gatto selvaggio n.1 aprile 2008

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Gatto Selvaggio 1 Le mosche hanno occupato la carta moschicida Morire di lavoro Contratto metalmeccanici Lavazza Assemblea sull’Ordinanza 92 Scuola Fiorona Comdata La dura vita del bancario Poste Contratto cooperative Per contatti: c/o Confederazione Unitaria di Base Corso Marconi, 34 10125 Torino Tel/Fax 011.655897 [email protected] Aprile 2008 Dal lavoro e dal territorio

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notizie dalla cub piemonte

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Le mosche hannooccupato la cartamoschicida

Morire di lavoro

Contrattometalmeccanici

Lavazza

Assembleasull’Ordinanza 92

Scuola Fiorona

Comdata

La dura vita del bancario

Poste

Contratto cooperative

Per contatti:c/o Confederazione Unitaria di BaseCorso Marconi, 3410125 TorinoTel/Fax [email protected]

Aprile 2008

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Mi è avvenuto poco tempo addietrodi ragionare, nel contesto di unoscambio di idee di carattere più

ampio, con un mio compaesano di sindacatosull’attitudine che lui ed i militanti della suaarea politico/sindacale hanno nei confrontidelle elezioni. Ai miei appunti sulla sua/loroelasticità sull’argomento egli rispondeva chelui e i suoi amici non votano e che, comun-que, non hanno alcuna fiducia negli attualipartiti parlamentari ma che sono disponibilia dare un qualche aiuto a questo o a quel can-didato alle elezioni ammini-strative e politiche al fine diavere degli interlocutori pri-vilegiati nelle istituzioni.

In realtà il mio interlocu-tore non mi ha detto nullache non sapessi già.Nell’area del sindacalismoalternativo mentre è maturata una certa diffi-denza o, quantomeno, estraneità al sistemadei partiti, estraneità rafforzatasi dopo lamediocre performance anche da un punto divista blandamente riformista del governo dicentro sinistra, non è certo acquisita, al con-trario, una critica radicale al parlamentari-smo.

Credo valga la pena di ricordare come ècambiata, da questo punto di vista la situa-zione. In occasione delle elezioni del 2001,infatti, capitava di leggere sui giornali dellasinistra appelli elettorali per questo o quelcandidato (solitamente presentatosi nelleliste del PRC) firmati da una serie di militan-ti di diversi sindacati di base ognuno deiquali indicava il sindacato di appartenenza e,

in qualche caso, il ruolo che svolgeva nelsindacato stesso. Si trattava, con ogni evi-denza, di un escamotage per sostenere questicandidati senza impegnare formalmente leorganizzazioni sindacali di riferimento.

Al momento, ma non escludo nulla, nonmi risultano iniziative analoghe ma non mistupirebbe che se ne dessero quantomeno asostegno di Sinistra critica e del PartitoComunista dei Lavoratori. È avvenuto pro-prio a me di vedermi chiedere una firma perla presentazione della lista di entrambi i par-

titi anche se sospetto chechi me l’ha chiesta l’ab-bia fatto più per celia chenella speranza di averlavisto l’attitudine benevo-la che hanno avuto afronte del mio, peraltrocortese, rifiuto.

Se la situazione è cambiata, d’altrocanto, è perché la Sinistra Arcobaleno èimpresentabile per evidenti ragioni al corpodei militanti del sindacalismo alternativo enon perché, come ricordavo, questi militan-ti hanno maturato una posizione antiparla-mentare. Fra l’altro, proprio alcuni deglieletti “d’area” si sono dimostrati, una voltainsediatisi, discreti amministratori ma cau-tissimi interlocutori dei movimenti. Potreifare, a questo proposito, più di un esempio.Questa cautela è stata evidente soprattuttosu questioni delicate, dal punto di vistadegli equilibri istituzionali quali, ad esem-pio, nel caso torinese l’occupazione di unapalazzina da parte di un gruppo di profughidel Darfur.

EDITORIALE

LE MOSCHE HANNO OCCUPATO LA CARTA MOSCHICIDA

Gli interessi dell’organizzazione

si sovrappongono agliinteressi della classe

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quanto riguarda l’affidabilità e la ragionevo-lezza del sindacato. Se, infatti, si vuole esse-re “interlocutori” credibili delle istituzioninon si può rompere il giocattolo e, magari inmaniera inconsapevole, si afferma un’attitu-dine moderata in diverse occasioni. Le stes-se iniziative di lotta tendono ad esserecostruite con l’obiettivo di premere sulle isti-tuzioni, di trovare interlocuzioni, di rafforza-re la credibilità del sindacato.

Le ragioni dell’organizzazione si sovrap-pongono a quelle dellaclasse con l’effetto dispostare l’attenzionedall’efficacia dellelotte alla loro visibilitàe spendibilità nel giocopolitico.

Non è, da questopunto, di vista casualeche la visibilità suimedia diventa assolu-tamente centrale e sap-piamo bene come,nella società dello

spettacolo, pensare di “usare” i media” con-danna a produrre eventi che i media possonousare.

I sindacalisti “elastici”, insomma possonocredere in perfetta buona fede di usare edoccupare le istituzioni ma vale per loro quel-lo che vale in genere per chiunque pretendadi portare nelle istituzioni le ragioni deimovimenti, il territorio occupato si rivelauna carta moschicida.

Cosimo Scarinzi

Resta aperta, a mio avviso, la questionefondamentale.

Da una parte sembra essere entrato incrisi, insisto sul sembra, il classico modellodella cinghia di trasmissione che prevedel’egemonia, e se possibile il controllo, daparte di un partito detentore della coscienzagenerale di classe sulle organizzazioni eco-nomiche della classe stessa.

Dall’altra continua a funzionare una qual-che forma di “rapporto di scambio” di accor-do, più o meno forma-lizzato, fra un soggettosociale ed un partitodel tipo: io ti porto unpacchetto di voti e tumi garantisci la tuteladi alcuni particolariinteressi, meglio anco-ra se questa tutela èaffidata ad uominidirettamente espressidal soggetto socialestesso.

Che effetti hannoquesti accordi sul funzionamento e sullanatura dei sindacati? Credo sia evidente chequeste operazioni si svolgono, necessaria-mente, al di fuori del controllo della base cheviene manipolata dai leaders sindacali che legestiscono e che chi controlla i rapporti congli eletti controlla risorse che gli danno pote-re nell’organizzazione sindacale stessa.

Mi si passi la forzatura, il partito politicogenerale viene sostituito, e non è detto siameglio, da una rete di quadri che controlla ilsindacato. Un soggetto politico non dichiara-to e, di conseguenza, più difficilmente criti-cabile che fa comunque scelte generali inluogo e per conto degli associati.

Inoltre, è altrettanto evidente che, se sidevono avere degli interlocutori istituzionali,si devono dare loro delle ”garanzie” per

IL MIO LAVORO È NOCIVO!

Gatto Selvaggio è redatto da uncollettivo di militanti del sindacali-smo di base e si propone di colle-gare le lavoratrici e i lavoratori chevivono quotidianamente il conflittosociale e sindacale.

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Io non credo che interventi legislati-vi o misure organizzative (come ades. la creazione di un pool di magi-

strati specializzato) possano produrreeffetti di una qualche rilevanza nellalotta agli incidenti mortali sul lavoro.Com’è possibile prescrivere una terapiaquando non si conoscono le condizionidel paziente? Posso peccare di presun-zione, ma sono quasi certo che le istitu-zioni non hanno presente la mappa delmercato del lavoro in Italia, nemmeno agrandi linee. E quindi non hanno la piùpallida idea della mappa del rischio.Cominciamo da un dato: il differenzialedi circa 2,4 punti percentuali tra l’inci-denza dei morti sul lavoro in Italiarispetto al resto dell’Europa è dovuto alfatto che da noi si muore “in itinere”,cioè mentre ci si sposta per lavoro o perandare o tornare dal luogo di lavoro.Quindi “il luogo” di lavoro di per sé,concepito come luogo fisico, non sareb-be più rischioso in Italia di quanto siaquello di altri Paesi europei. È lo spaziodella mobilità quello più rischioso.Perché? La rivoluzione postfordista haagito in due direzioni:

1) ha man mano “dissolto” il luogo dilavoro come spazio fisico separatomischiandolo sempre più al luogo di vitaprivata e lo ha dilatato nello spazio(despazializzazione del rischio); 2) ha – come in nessun altro Paese

d’Europa – affidato la gestione delrischio a un’entità particolarissima,quella che forma la caratteristica piùtipica dell’Italia, cioè la microimpresa. Equando intendo microimpresa intendoun’entità talmente piccola che stento ariconoscere in quella le caratteristicheistituzionali di un’impresa – cioè diqualcosa che ha bisogno almeno di treruoli sociali, il capitale, il manager el’operaio.

Io vorrei prendere per mano ilMinistro Damiano, il dottor Epifani e ildottor Guariniello e metterli di fronte aquella semplice tabella ISTAT che sonosolito riprodurre in tutte le mie presenta-zioni. Da cui risulta che più di 6 milionidi persone – su un totale di 24 – lavorain unità impropriamente chiamate“imprese” la cui dimensione media è 2,7addetti. Ma c’è qualcosa di più recente.Il 29 ottobre 2007 l’ISTAT pubblicavauna nuova serie di dati, cito: “Nellemicroimprese (meno di 10 addetti), cherappresentano il 94,9 per cento del tota-le, si concentra il 48,0 per cento degliaddetti, il 25,2 per cento dei dipendenti,il 28,3 per cento del fatturato ed il 32,8per cento del valore aggiunto. In esse il65,1 per cento dell’occupazione è costi-tuito da lavoro indipendente”. Perchéquesta assurda miniaturizzazione del-l’impresa in Italia? Per ottenere flessibi-lità, minori costi del lavoro ma anche pertrasferire sui più deboli il rischio.

MORIRE DI LAVOROLa microimpresa, in itinere, di chi la colpa?

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ritmi ad uccidere, malgrado tutte leattrezzature antinfortunio. Che te ne faidei tuoi fottuti caschi, scarponi, cinture,occhiali, della tua fottuta segnaleticaquando devi scaricare da una nave 37container all’ora e invece di otto ore nedevi lavorare dodici, perché senza glistraordinari non arrivi a fine mese?

Misure legislative, azione repressivadella magistratura, diavoleria dell’antin-fortunistica – tutta roba inutile. Bisogna

rovesciare i rapportisociali che hannocreato questa infa-me e incivile condi-zione del lavorooggi in Italia, percui sui più debolieconomicamente siè scaricato non solotutto il rischio fisicoma anche tutta laresponsabilità civilee penale del medesi-mo. Non è un caso,è la riprova di quan-to sto dicendo, che

sia a Genova che a Molfetta la colpadegli incidenti è stata attribuita o allevittime (“non hanno indossato lemascherine”) o ai compagni delle vitti-me. Malvolere di magistrati? No, ilrischio è stato strutturato in modo che lacolpa sia sempre delle vittime.Postfordismo all’italiana. Uscire daquesta condizione è una strada lunga, loso, ma questa è la realtà, questo il risul-tato di aver messo in soffitta per più divent’anni il problema del lavoro.

Sergio Bologna

Paradossalmente ha ragione laConfindustria quando protesta contro idecreti d’inasprimento delle sanzioni.Le sue imprese, quelle che hanno firma-to gli accordi sindacali, quelle dove vigeancora l’art. 18, il rischio lo hannoesternalizzato da vent’anni, non è robaloro, ma dei loro fornitori, dei subappal-ti, delle cooperative di lavoro, degliautonomi, in una parola, è roba scaricatasulla microimpresa! Pertanto il rischioha cambiato sede, si ètrasferito sui percorsidella mobilità (morti“in itinere”) e si èannidato nei piccolis-simi organismi dellamicroimpresa, làdove padrone e ope-raio stanno a galla permiracolo e dove ilpadrone muore assie-me all’operaio (vediMolfetta). Il casoThyssen è un casoanomalo, non bisognaprenderlo a misuradelle cose. Le maggiori sanzioni previstenei decreti non colpiranno mai le picco-le, medie, le grandi imprese – colpiran-no sempre, state sicuri, quei poveracciche se la cavano in mezzo a mille diffi-coltà. Ma sono quelli che mandanoavanti questo Paese, sono quelli chegarantiscono la tenuta occupazionale,sono quelli che per vent’anni si sonoassunti sulle spalle la responsabilità delrischio! Senza poter dettare le condizio-ni del loro lavoro ma subendo i ritmivoluti dai committenti. E sono questi

ANCH’IO MI SENTO MALEQUANDO CALANO I PROFITTI

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Dopo oltre nove mesi dalla scaden-za del contratto e oltre 50 ore disciopero, FIM-FIOM e UILM,

come di consuetudine dopo una trattativaad oltranza1 utile a dare la percezionedella natura eroica del sindacalismo,hanno chiuso il contratto dei metalmecca-nici che resta, nonostante gli apologeti delpostindustriale il più importante contrattonon solo del settore privato.

Partiamo dai risultati di cotanto sfor-zo.I giornali parlano di un aumento di 127euro al mese. Non è, a rigore, un cifraenorme considerando la perdita del potered’acquisto del salario negli ultimi anni e ilfatto che si tratta di un aumento lordo. Ilproblema sta nel fatto che questa cifra noncorrisponde alla realtà. I 127 euro, infatti,sono riservato ai lavoratori di quinto livel-lo mentre la figura più numerosa è l’ope-raio di terzo livello che avrà 109 euro

sempre ovviamente, lordi e a regime. Gliaumenti sono a regime, in altri terminimeno della metà sarà corrisposto a genna-io 2008 e circa un quarto rispettivamentea gennaio ed a settembre 2009.Ma nonbasta, il padronato copre i nove mesi divacanza contrattuale, anche questa unadefinizione graziosa che rimanda alleferie, del 2007 solo con un una tantum di267 euro, questa volta eguali per tutti, e,soprattutto, ottiene un prolungamentodella validità del contratto da 24 a 30 mesicon l’effetto che, se calcoliamo gliaumenti, appunto, sui 24 mesi, scopriamoche anche ai quinti livelli vengono eroga-ti meno di 110 euro. Se consideriamo ladurezza della vertenza, un risultato deci-samente modesto. In cambio di aumentiretributivi che si corrispondono a quantoin altri tempi avrebbe garantito automati-camente la scala mobile Federmeccanicaporta a casa un incremento dello straordi-nario, per usare il casto linguaggio dellaFIOM, esente da contrattazione di 8 oreall’anno.Per quanto riguarda il riassorbi-mento del precariato, i sindacati concerta-tivi hanno ottenuto un tetto di 44 mesiall’utilizzo dello stesso precario con lastessa mansione e nella stessa azienda, inpratica le aziende hanno a disposizione unperiodo di prova di quasi quattro anni.Visono, per la verità, alcune migliorie margi-nali, quelle che in gergo sindacale sonoindicate con il termine “manutenzione”riguardo alla sicurezza sul lavoro (dopo ilmacello della Tyssenkrupp una concessio-ne quasi scontata) e la tendenziale parifica-zione normativa fra operai e impiegati mala sostanza è chiara, uno scambio fra dila-tazione degli straordinari e aumenti assaicontenuti.È, a questo punto, interessantenotare che il buon Luca Cordero di

Contratto metalmeccanici

“L’accordo raggiunto per il rinnovo delcontratto dei metalmeccanici presentaaspetti importanti e significativi, pur inpresenza di elementi di sofferenza.Credo che, a questo punto, fosse l’unicoaccordo possibile. Ciò che è più impor-tante, e che va nettamente sottolineato, èche abbiamo evitato che venisse realiz-zato il tentativo degli industriali di farsaltare il contratto. Il nostro giudizio suquesto difficile accordo è dunque positi-vo. La parola passa adesso ai lavoratoriche saranno chiamati a esprimersi nelreferendum unitario, la cui data sarà fis-sata in settimana dall’Assemblea deiCinquecento.”

Gianni Rinaldinisegretario generale della FIOM CGIL

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siamo trovare i semi dell’attuale “torna acasa Lessie” di Rinaldini e dei suoi. LaFIOM, infatti, aveva tentato di forzare sudi un terreno politico generale avendocome sponda, appunto, politica la sinistradell’Unione e si era rotta le ossa in questavicenda proprio perché, nel mentredenunciava il fatto che il referendum eratruccato, ne accettava la dinamica e,soprattutto, le conseguenze.

Chi non ricorda, fra l’altro, la manife-stazione del 20 ottobre 2007 che avevavisto decine di migliaia di lavoratori e dimilitanti chiedere all’Unione di “applica-re il proprio programma”, riempire treni,pullman, traghetti e trattorie di Trasteveresenza combinare nulla tranne che garanti-re consenso a PdCI e PRC?

Chi non ricorda l’assenza del “frontedel NO”, che pure aveva promesso sfra-celli nelle assemblee che hanno preparatoil referendum, allo sciopero del sindacali-smo di base del 9 novembre? Una batta-glia tutta politica, troppo esclusivamentepolitica non aveva determinato radica-mento sociale, capacità di iniziativa, auto-nomia rispetto all’apparato di CGIL-CISL-UIL.

Ed è chiaro che quando Paolo Ferrero,ministro del Welfare ed esponente dellasinistra bertinottiana, affermava “È neces-sario rafforzare questo risultato con lafirma degli altri contratti aperti” il segna-le che la ricreazione è finita è arrivato. Se,infatti, questo è un risultato da “rafforza-re” siamo proprio ben conciati.

Dalla sinistra di governo arrivava unarichiesta precisa “Lasciateci lavorare!”3 enon è necessaria un’eccessiva riflessioneper comprendere come il radicalizzarsidel conflitto sociale e sindacale sia unproblema per chi ha scelto di percorrere latriste strada della governabilità soprattuttonel momento in cui, per scelta del baldopadre padrone dell’Udeur, il miticoClemente Mastella, il governo del-l’Unione è, dopo mille salti e capriole,giunto al capolinea. È chiaro, infatti, che i

Montezemolo riesce ad essere scontentovisto che, a suo avviso “E’ un fatto positi-vo che si sia chiuso il contratto con imetalmeccanici ma il sistema delle tratta-tive è ancora arcaico. Sulla produttività esulla competitività siamo molto indietro.”2

A cosa si riferisce il nostro eroe? Conogni evidenza, all’obiettivo di ridurreancora più seccamente il ruolo del con-tratto nazionale per valorizzare quelloaziendale che, in una fase di debolezza delmovimento dei lavoratori, permetterebbeun’ancora più accentuata divisione fra ilavoratori e l’imposizione di un legamepiù forte fra salario e carichi di lavoro.Lasciamo, per ora, da parte le prospettivedi azione del padronato sul medio periodoe teniamoci all’oggi.

È chiaro che da questo contratto escecon le ossa rotte, oltre ai lavoratori, la miti-ca FIOM. Si può, infatti, a mio avviso par-lare della fine dell’anomalia FIOM, diquell’anomalia che aveva fatto parlare diuna sorta di quarta confederazione accantoa CGIL-CISL-UIL. Quando GiorgioCremaschi, leader della sinistra FIOM eCGIL, afferma “Sono molto insoddisfattoper il risultato sul salario. È ciò che voleva-no le imprese.” ha, questo va da sé, perfet-tamente ragione. È, però, un fatto che ilComitato Centrale della FIOM ha accetta-to l’accordo con 103 si, 12 no e 5 astenuti.Stiamo parlando della mitica FIOM cheseduce tanti compagni anche nostri e nondell’algida FIM o della volpina UILM.Cosa è successo per portare un’organizza-zione che pochi mesi addietro si era spesaper il NO nel corso del referendum sull’ac-cordo sul welfare a parlare, per bocca delsuo segretario generale di “ aspetti impor-tanti e significativi, pur in presenza di ele-menti di sofferenza”?

È assolutamente evidente che, dentro laCGIL, si è lavorato con forza e determina-zione a riportare a ragione i birboncellidella FIOM e, soprattutto, che l’operazio-ne è riuscita bene. Proprio nella vicendadel referendum sul welfare, a rigore, pos-

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gruppi dirigenti della sinistra parlamenta-re, a maggior ragione in una fase pre elet-torale, ritengono che un buon risultatoelettorale è favorito da una relativa pacesociale che rida spazio e rilevanza allaquestione della rappresentanza. Comesempre, d’altro canto, la sinistra sindacaleistituzionale risponde ai segnali che riceveda quella parlamentare. Non c’è né da stu-pirsi né da scandalizzarsi. A questo punto,ma non è nemmeno questa una novità, lapartita si giocherà nelle aziende e nonsarà, credo, una partita facile. Non vi è,infatti, alcuna meccanica relazione fradeteriorarsi delle condizioni di vita e dilavoro e ripresa dell’iniziativa di classe.Al contrario, almeno sul breve periodo, lesconfitte determinano passività e ripiega-mento. Possiamo, a questo proposito,individuare una sorta di realismo subalter-no di ampia parte dei lavoratori che tendo-no ad adattarsi alla situazione come indi-vidui e/o, nella migliore delle ipotesi,come collettivi aziendali.

Abbiamo di fronte un padronato duroed attrezzato a reggere lo scontro e capa-ce, a fronte della cedevolezza sindacale diproporsi, ove ve ne siano le condizioni, diporsi come interlocutore diretto dei lavo-ratori facendo concessioni mirate, adesempio, sul terreno del welfare.

Vi è, per di più, fra i metalmeccanici, ilsegmento dell’apparato sindacale piùrobusto e radicato, il tutto in un quadrosociale generale non semplice. Dovremoaffrontarla partecipando alle assemblee,diffondendo un punto di vista critico e,soprattutto, sviluppando iniziative di lottaindipendente dal quadro istituzionale ilche comporta un ripensamento serio sullalotta stessa. Non può, infatti, bastare lacostruzione di scadenze generali didenuncia della politica sociale del gover-no e dell’iniziativa padronale ma è neces-sario, non mi stancherò mai di insistere suquesto punto, il tematizzare la questionedella forza intesa propriamente comecapacità di imporre con gli strumenti ade-

guati le proprie rivendicazioni. Da anniragioniamo sulla fragilità dell’attualestruttura produttiva, sulla vulnerabilitàdella logistica, sul fatto che il just in timepuò rovesciarsi in un condizione favore-vole all’azione di classe.

Si tratta ora di produrre inchiesta suquest’ordine di problemi, di lavorare sul-l’intreccio possibile fra ricomposizionedi classe propriamente intesa come capa-cità di relazione fra le diverse figure dellavoro salariato e capacità di colpirel’avversario imponendogli tempi e pas-saggi del conflitto. Si tratta, in estremasintesi, di sottrarci alla subalternità checaratterizza l’azione ridotta, nellamigliore delle ipotesi, a contrasto rispet-to all’iniziativa padronale.

Guido Giovannetti

Note

1 Massimo Calearo, Presidente di Federmeccanica, in

un’intervista a “La Stampa” del 21 gennaio 2008,afferma “E’ finita, dopo nove giorni a Roma torno acasa” e, alla domanda “Come ha fatto il MinistroDamiano a ‘domare’ le parti” risponde “ Ci ha porta-to per mano, tenendoci separati, ad avvicinarci alrisultato”

2 È anche vero che lo scontento di Luca Luca è anche

funzionale a FIM – FIOM –UILM che potrannoaffermare che hanno sconfitto la pretesa diConfindustria di eliminare il contratto nazionale.

3 Non a caso, in fase elettorale, la Sinistra Arcobaleno

ha “riscoperto” le questioni messe da parte con ilcontratto: salari, diritti, precariato, sicurezza. Quantoera sostenibile sul piano sociale in presenza di ungoverno di sinistra diventa indecente a fronte dellarottura fra PD e Sinistra Arcobaleno e della probabi-le vittoria elettorale della destra. Ma tutto è affidatoalla sfera della rappresentanza, quella sfera che èpalesemente in crisi radicale come dimostra il reitera-to fallimento dei tentativi della sinistra di riattivareun circuito virtuoso fra sofferenza sociale e propriorilancio. Sarebbe, infatti, singolare che i lavoratoririscoprissero le glorie del parlamentarismo appenadopo aver sperimentato i vantaggi loro apportati dal“proprio” governo.

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La Lavazza è uno dei marchi italiani piùfamosi nel mondo. È anche una delleaziende con il maggiore utile del

nostro paese. Ogni anno Patron Lavazza vantagli aumenti di faturato dei produttori di caffèpiù famosi in Europa. Come se non bastassegli ultimi anni hanno visto il marchio torinesealla conquista di mercati ed aziende d’oltreo-ceano. È di pochi mesi fa’ la notizia chel’azienda di Corso Novara ha acquistato laseconda azienda per fatturato e terza per pro-duzione dello stato brasiliano di Sao Paulo.Tutto rose e fiori, quindi? A vedere comevanno le cose nello stabilimento torinese diStrada Settimo non si direbbe.

Lo scorso autunno la Direzione inizia a farcircolare il prospetto di una completa riorganiz-zazione del reparto manutenzione e di quellocontrollo qualità, il cui succo sembra sia statoconcordato con le RSU aziendali in sede dicontrattazione integrativa. Il senso del progettosalta subito agli occhi di chiunque non abbiaportato il cervello all’ammasso: la cancellazio-ne dei due reparti e il loro scioglimento all’in-terno del reparto produttivo vero e proprio. Iltutto avrebbe dovuto costituire una nuovaforma organizzativa nota sotto il pomposonome di UPI (Unità Produttiva Integrata).

In pratica la tradizionale divisione tra unreparto produttivo direttamente al lavoro sullemacchine, un reparto addetto al controllo quali-tativo e un reparto addetto alla manutenzionemacchine veniva a saltare. Ci saremmo trovatidi fronte ad un unico reparto incaricato di svol-gere il lavoro di produzione, effettuare il con-trollo di qualità e compiere la necessaria manu-tenzione.

I lavoratori del controllo qualità e dellamanutenzione sarebbero slittati in produzione eavrebbero mantenuto le loro mansioni esclusi-

vamente come parte del loro lavoro complessi-vo. Allo stesso tempo i lavoratori direttamentein produzione avrebbero dovuto essere adde-strati dagli stessi addetti qualità e manutenzio-ne a svolgere anche queste altre mansioni.

In pratica si sarebbe trattato come minimo diun aumento pesante dei carichi lavorativi ditutti i reparti. I manutentori e gli addetti al con-trollo qualità avrebbero dovuto lavorare inlinea, svolgere i consueti interventi di manuten-zione e addestrare gli operatori di linea a com-piere le mansioni prima loro spettanti; i lavora-tori addetti alla produzione avrebbero dovutocontinuare a lavorare in linea e, in più avrebbe-ro dovuto imparare a compiere (e, quindi, svol-gere in prima persona) anche gli interventi dimanutenzione e di controllo qualità. Il tuttosenza che nemmeno fossero previsti incentividi nessun tipo.

In aggiunta a questo, si poneva la difficilequestione della sicurezza: un reparto di manu-tentori garantisce un certo livello di sicurezzadi tutti i lavoratori all’interno dello stabilimen-to, la manutenzione spalmata su tutti gli opera-tori e, in più effettuata come una delle mansio-ni e non più come centro del proprio lavoro,evidentemente porta alla diminuzione dellegaranzie sul controllo degli impianti. Il fattoche questo tentativo di diminuire l’attenzionesulla sicurezza sia avvenuto proprio a cavallotra la tragedia della Thyssen Krupp e quelleavvenute a Brindisi e a Chiasso più recente-mente, non ha certo evocato gli scenari miglio-ri per questa ennesima “riforma” costruita adarte per diminuire il potere di controllo deilavoratori sul proprio lavoro.

L’introduzione della UPI ha subito trovatoun’opposizione diffusa all’interno del corpo deilavoratori della Lavazza, malcontento che si èespresso in innumerevoli interventi durante le

LAVAZZA

Una vertenza difficile e un primo successodella mobilitazione dei lavoratori

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assemblee sindacali gestite da RSU sempre piùnervose e sorprese di incontrare una notevoleresistenza ai piani da loro concordati conl’azienda.

È in questo clima che si è prodotta la nostraazione come collettivo aziendale FLAICA-CUB con la circolazione di volantini e materia-li che attaccavano direttamente la riorganizza-zione dei reparti e indicavano la strada dellalotta come unico percorso per impedire allaDirezione aziendale di fare quello che voleva.Dopo alcune assemblee all’interno delle qualisi toccava con mano loscontento dei lavoratori ela critica alla conduzionedelle trattative con l’azien-da da parte delle RSU,proclamavamo il bloccodegli straordinari, unprimo sciopero di quattroore il 15 febbraio e unsecondo di otto ore il 3marzo.

Di fronte a questonostra iniziativa RSU eazienda reagivano com-patti facendo circolareogni genere di nequizienei nostri confronti, mentre alcuni delegati cir-colavano per i reparti sostenendo l’illegalitàdel nostro sciopero e il rischio di licenziamen-to per chi vi avesse partecipato. Facendo que-sto le RSU CGIL-CISL e UL dimostravano inmodo chiaro quale sia la loro collocazionequali siano gli interessi che difendono vera-mente: quelli dell’azienda in primo luogo e laloro legittimazione come unici interlocutorilegali del padronato. Questa è la discarica nellaquale questi signori hanno portato il sindacali-smo e la difesa degli interessi dei lavoratori:solo loro signori possono decidere se, come equando scioperare!

Di fronte a queste provocazioni abbiamosempre reagito informano tutti i lavoratori delfatto che lo sciopero altro non è che un dirittoindividuale del lavoratore e che il sequestro ditale arma da parte sindacale non è solo infamema non è neppure previsto dalle peraltro orrendeleggi contro gli scioperi approvate anni fa con lapartecipazione delle stesse CGIL-CISL e UIL.

Purtroppo la paura è tuttora il sentimento piùdiffuso tra i lavoratori italiani stante gli anni di

sconfitte e batoste subite, e così la manovradelle RSU riusciva limitando al massimo leassenze per sciopero il giorno 15 febbraio.

L’opposizione alla ristrutturazione UPI,però, non è venuta meno e le stesse RSU hannodovuto passare la mano e chiedere alle loroorganizzazioni di riferimento di sostituirle nelletrattative in atto con la direzione. Ulterioredimostrazione che il parere dei lavoratori contaben poco per quelli che pomposamente sidichiarano sindacati dei lavoratori stessi: difronte all’opposizione degli elettori gli eletti si

appellano ai loro diri-genti per levarli dagliimpicci!

Si giunge così altemporaneo finale: laristrutturazione UPIviene accantonata connonchalance da azien-da ed RSU che fannofinta di non averne maiparlato, e verrà proba-bilmente riproposta infuturo. I lavoratorihanno di fato vinto unaprima battaglia nono-stante non abbiano

saputo percorrere fino in fondo la strada dellasfiducia nei confronti di quei sindacati chehanno dimostrato di non rappresentarli e, anzi,di averne paura nel momento in cui questi sipermettono di rivendicare in prima persona ipropri interessi. Per quanto ci riguarda, ritenia-mo un successo la battaglia che abbiamo con-dotto, nonostante la vittoria non sia avvenutaalla luce del sole ma in modo mediato. Lanostra azione, infatti, ha dato voce ai moltilavoratori all’interno della Lavazza contrariall’ennesimo aumento dei carichi di lavoro eall’ennesima diminuzione della sicurezza. Cosìfacendo abbiamo messo alle corde la RSU cheha dovuto cambiare la propria posizione pernon perdere consenso tra i lavoratori e hacostretto l’azienda a ritirare un piano per ilquale non aveva più appoggi interni alla produ-zione. La strada da percorrere è solo all’inizioma in Lavazza, a partire da questa vicenda,puòiniziare la costruzione del sindacato di base perridare voce ed organizzazione ai lavoratori edalle lavoratrici.

Jaime

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L’insediarsi con il nuovo governo diFioroni nella posizione che fu dellanon compianta ministra Moratti ha

provocato da un lato la più intensa delle conti-nuità possibili, dall’altra un’attenzione morbo-sa e scandalistica della stampa nazionale allemalefatte agite e subite dall’istituzione scola-stica. Se la Moratti si era circondata, non menodel suo predecessore Berlinguer, di una schieradi pedagogisti folli ben presto odiati dalla cate-goria per l’evidente fallimentarità di esperi-menti concepiti in stanze di laboratorio e total-mente avulsi dalla realtà dell’insegnamento,Fioroni con la bonomia parrocchiale che locontraddistingue (bonomia che, quasi sempre,in siffatti soggetti nasconde una spiccata ten-denza alla ferocia e alla vendicatività) si è ado-perato per dare del suo operare l’immagine delrestauratore della scuola del “buon tempo chefu”. Grammatica, aritmetica e geometria, etanti saluti alla pedagogia.

Se si trattasse semplicemente della banaleaffermazione per la quale chi va’ a scuolaavrebbe anche il diritto di imparare qualcosanon si potrebbe che essere d’accordo; il guaio èche la messa sotto accusa della scuola di questiultimi quindici anni non vuole tanto il pensio-namento dei pedagoghi d’assalto o un rafforza-mento della qualità dell’insegnamento a favoredei discenti, quanto la restaurazione della scuo-la come presidio di autorità.

La campagna stampa iniziata alla fine del-l’anno passato sulle malefatte del corpo docen-te, impegnato ad assentarsi per mesi dalle auleo ad entrarvi in perizoma e a spogliarsi per lagioia di studenti ed utenti di youtube, e sullatotale distruttività di studenti abbandonati aloro stessi e impegnati a massacrare di bottecompagni di classe disabili o “deboli”, la dicelunga sul tipo di descrizione della scuola italia-na che si vuole rendere senso comune in quelloche resta di un’opinione pubblica frustrata edeterodiretta ed alla perenne ricerca di qualcunosu cui riversare la propria rabbia impotente.

Descrivere i colleghi come una banda discioperati e le colleghe come porno star manca-te in fregola di esibizione di fronte ai propri

studenti è non meno pericoloso del descriverequesti ultimi come una banda di barbari prontia sfasciare le scuole e ormai sordi a qualsiasireclamo di autorità. La soluzione che stampa eministero suggeriscono di fronte a questi mali èsemplice ed autoevidente: il ripristino dell’au-torità e della gerarchia all’interno della scuola el’abbandono da parte di questa di ogni finalitàintegrativa. Quello che più preme ai soloni checommentano ogni giorno il “deplorevole” statodella scuola italiana è colpire la trasformazioneavuta da questa nel corso degli anni Settanta edOttanta quando in modo limitato ma importan-te recepì i venti di trasformazione che alloraspiravano in quella che è stata una delle socie-tà più conflittuali dell’Occidente e accolse inqualche modo quella popolazione giovanile chefino ad allora ne era stata accuratamente tenutafuori. Insomma nel mirino di Fioroni, nondiversamente da quanto va’ compiendo inFrancia quel Sarkozy che si candidò all’Eliseoal grido di “farla finita con il ’68”, c’è soprat-tutto quel minimo di uguaglianza che decennidi lotte sociali vi avevano fatto penetrare.

La logica dei fatti ci indica chiaramente che ladirezione intrapresa dall’élite politica, economicae culturale che governa il nostro paese è questa.Dal punto di vista degli investimenti tutti i gover-ni che si sono succeduti negli ultimi quindici annihanno considerato la scuola come un centro dicosto da metter sotto controllo e da ridurre inmodo drastico. Questo modello di abbattimentodei costi ha voluto dire necessariamente limitarele risorse a disposizione per la scuola proprio nelmomento in cui la trasformazione dell’Italia inun paese di immigrazione poneva il problema diuno sforzo superiore nel senso dell’integrazionedi figli e nipoti delle persone che raggiungevanol’Italia in cerca di lavoro. Altra conseguenza nonsecondaria è stata il progressivo innalzamentodel numero degli alunni per classe che sta’ ritor-nando a toccare il limite dei 30, mentre da piùparti si invoca il ritorno della figura del maestrounico nella Primaria.

Ora è del tutto evidente a chiunque abbiaconservato la capacità di attivare i neuroni cheuna scuola alla quale viene richiesto un surplus

SCUOLA FIORONA

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di capacità integrativa, aperta a tutti i soggetti,e quindi disposta a lavorare anche con ragazzi-ni appena arrivati nel paese, deve disporre dirisorse superiori a quelle erogate fino a quelmomento, allo scopo di costruire percorsi diffe-renziati tra chi necessita di imparare le basidella lingua nazionale e chi invece, legittima-mente, desidera ottenere conoscenze superioria quelle delle quali è in possesso. Il taglio con-tinuo delle risorse ha voluto dire invece che gliinsegnanti si sono dovuti sobbarcare lo spiace-vole ruolo di bricoleur, incaricati di compiti peril cui svolgimento servirebbe una squadra dilavoro con ruoli differenti. Allo stesso modol’obiettivo dei 30 ragazzi per insegnante signi-fica ridurre sempre più il lavoro di questi alruolo di controllore dei comportamenti degliallievi. In altre parole la marcia indietro su ogniidea di scuola come luogo di trasmissione criti-ca di idee, di scambio e di crescita personaledei “cuccioli della specie”.

Naturalmente questo è il ruolo che vieneassegnato alla scuola “per tutti”. Nella nostracittà non meno che nel resto del paese è incorso una fuga di dimensioni massicce dellefamiglie dalle scuole ritenute “non buone” per-ché oberate dalla presenza di troppi stranieri operché ritenute non in grado di preparare ade-guatamente i figli alla competizione di domani.

E’ del tutto evidente che l’autonomia scola-stica e la possibilità di iscrivere i propri figli inscuole differenti da quelle territorialmentecompetenti abbiano giocato il ruolo centralenell’organizzare la competizione discriminantetra le scuole. Così le scuole si stanno specializ-zando fin dalla Primaria in due tipologie bendistinte: le scuole “accoglienti”, aperte alla pre-senza di stranieri, ragazzi in difficoltà e casisociali, dove l’accento cade inevitabilmentesulla capacità di mantenere la disciplina, equelle chiuse e selettive, capaci di permettereuno studio ad alto livello. Anche solo facendoun giro per le scuole della nostra città è eviden-te come questa sia diventata la politica ufficia-le e la vera riforma della scuola messa in atto inquesti anni.

Un ritorno alla scuola per censo mascheratoda ampliamento dell’offerta, differenziazioneinterna e possibilità di scegliere per le famiglie.

Il primo dei guai grossi che ci sono davan-ti è che questa politica rischia seriamente diandare incontro ad esigenze espresse in modosempre più aggressivo da quella parte di opi-nione pubblica che conta nelle scelte governa-tive: i ceti medio alti di buona formazione

intellettuale interessati ad avere a disposizioneuna scuola pubblica funzionante non per tuttima per i loro figli. Laddove funzionante è unvocabolo il cui senso è quello di: capace dipreparare i fanciulli

alla competizione per e sul posto di lavoro.Oltretutto una maggiore severità andrebbeincontro ad un’altra delle esigenze di restaura-zione dell’ordine che oggi queste famiglie pon-gono. Le famiglie di ceto medio si trovanosempre più ad aver a che fare con figli ai qualidedicano tempo limitato e verso i quali non sta-biliscono alcun rapporto di autorevolezza;richiedono quindi che la scuola li sostituiscaproponendosi come luogo di trasmissione diautorità sul cui operato richiedono però di direla loro. In sintesi la richiesta di questi ceti èquella di una scuola insieme efficiente e autori-taria, ma dove l’operato di docenti ed educato-ri sia costantemente monitorato dagli stessigenitori. In altre parole una scuola privata sulconto dell’intera collettività. Le recenti normeche permettono anche nelle scuole pubbliche lapenetrazione al livello dei consigli d’istituto dirappresentanze di finanziatori non meglio spe-cificati potrebbe rispondere proprio a quest’esi-genza permettendo a qualcuno dei più qualifi-cati tra i genitori di controllare i professori.

Ma il secondo dei problemi posti da questalinea politica e culturale del governo è l’ade-sione da parte di settori consistenti della cate-goria che sono restati abbagliati dall’idea dipoter lavorare sulla propria materia e non sullecontinue mediazioni necessarie al funziona-mento di classi molto disomogenee. A questicolleghi deve essere chiarito in quale situazio-ne si cacceranno seguendo una linea di merarestaurazione quale quella proposta daFioroni: o tra i salvati destinati a lavorare perle scuole d’élite sotto l’occhiuto controllo diDirigenti che innanzitutto risponderanno allefamiglie e che quindi avranno un atteggiamen-to fortemente sbilanciato verso queste ultime ein contrasto con i colleghi, oppure tra i som-mersi trasformati in educatori di collegio epronto alla quotidiana pugna con classi mistedi 30 o più ragazzini senza gli strumenti ade-guati per lavorare in una scuola con più lin-gue, più culture e più classi di età.

In generale sarà poi a risentirne non solo laformazione dei ragazzi esclusi dai paradisi aspesa pubblica ma a gestione privata, non solola psiche e l’amor proprio dei colleghi, maanche il principio stesso di una scuola libera edi un luogo di apprendimento e non di norma-

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Il 25 febbraio, presso il ConvittoUmberto I di Torino, si è tenuta un’as-semblea sull’Ordinanza 92 relativa al

recupero dei “debiti scolastici”. L’as-semblea è stata convocata da un gruppo diRSU aderenti a varie sigle sindacali. Né unrinnovo contrattuale in pura perdita, né lecondizioni di lavoro sempre più logoranti,né lo scandalo di un governo di centro-sini-stra che, dopo aver messo la scuola ai pri-missimi punti del proprio programma digoverno, ha poi agito continuando a consi-derare la scuola un costo da contenere e nonun investimento da sostenere sono riusciti asmuovere la categoria. Riuscirà una presa diposizione critica nei confronti dell’Or-dinanza 92 ad essere un punto di partenzaper rimettere finalmente in movimento l’as-sopita categoria degli insegnanti?

L’ASSEMBLEA SI È ARTICOLATAIN TRE MOMENTI.

a) Analisi del quadro generale in cui siinserisce l’Ordinanza 92Dopo gli anni del ministero Moratti, caratte-

rizzati da frequenti proteste degli insegnan-ti, l’epoca di Fioroni è stata quella del torpo-re della categoria, che s’è vista passare sottoil naso la conferma di una parte dei decretiMoratti e due Finanziarie che per la scuolahanno portato soltanto tagli negli investi-menti e negli organici e lo sberleffo dell’in-nalzamento dell’obbligo di istruzione a 16anni tout court e con la possibilità che lostesso obbligo venga assolto presso le strut-ture della formazione professionale. È statomesso in evidenza quanto le ultime dueFinanziarie abbiano tolto alla scuola, anchese, ipocritamente, i risparmi sono stati collo-cati sotto la voce “misure per migliorarel’efficienza e l’efficacia della scuola” (art.50 della Finanziaria 2008). Per restare atti-nenti al tema dell’assemblea e per eviden-ziare quale sia la coerenza del Ministro nelmomento in cui dichiara che è necessariorestituire serietà alla scuola si è messo inevidenza che già nella Finanziaria 2007 unmaggior risparmio veniva previsto attra-verso la riduzione delle bocciature nellesuperiori; la stessa cosa che viene ribadi-ta nella Finanziaria 2008.

ORDINANZA 92

Assemblea del 25 febbraio 2008

zione così come si era cercate di trasformarla.La fine degli esperimenti, che nessuno e tantomeno noi rimpiangiamo, vuole dire anche lafine dell’apertura e dell’integrazione scolastica.

Questi ultimi due sono temi e principi che cisembra il caso oggi più che mai di rivendicarenel ragionare sulla scuola come istituzione; sela scuola è sempre più un vaso di coccio tra vasidi ferro è perché la si è gettata sul mercato enon certo perché la si è aperta verso gli esclusi.Le difficoltà quotidiane di interagire con stu-denti che sempre più possono rivolgersi ad altrefonti di formazione più o meno intelligentisono reali ma non sono insuperabili. Oggi lenostre maggiori difficoltà derivano dalla conti-nua introduzione di merci e simboli della diffe-

renziazione all’interno delle classi, e dellalegittimazione del desiderio di consumo degliadolescenti da parte dell’insieme sociale e inprimo luogo delle famiglie. Lo spazio di unlavoro educativo c’è ed è possibile esprimerlonel momento in cui si riescano ad ottenere lecondizioni in primo luogo fisiche per svolgerlo.Anche nelle situazioni più difficili ci sonoesperienze di lavoro condiviso sull’integrazio-ne e sul ruolo educativo che hanno visto

protagonisti insegnanti ed altre figure dellavoro pedagogico e psicologico. A nostroavviso si tratta di valorizzarle e cogliere inpieno la possibilità educativa oltre la societàdelle merci che queste esprimono.

Giacomo Catrame

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dei luoghi comuni che vengono propagatidai mezzi di comunicazione di massa, sia aquella parte della categoria che, incapaced’altro, auspica un ritorno al passato tantorassicurante quanto illusorio. Certo, ilsistema dei “debiti” e dei “crediti” si èrivelato fallimentare, ma non è la solacausa del degrado delle nostre scuole. Nelsettore tecnico e professionale dell’istru-zione superiore si assommano, come inparte detto sopra, numerose situazioni disvantaggio iniziale che andrebbero sanatecon ben altri mezzi che non i pochi fondidisponibili per il recupero o con le vuoteindicazioni offerte dall’Ordinanza 92.

Anche questa volta si conferma la veri-tà della frase di Don Milani: dare lo stessoa tutti vuol dire dar di più a chi ha di meno.Ma questa frase pur famosa, ad oltre qua-rant’anni di distanza dal momento in cui èstata scritta, sembra che i nostri Ministridella Pubblica Istruzione non l’abbianomai sentita.

* statistica di fonte ministeriale e relativaall’anno scolastico 2005-2006

c) Proposte - Dal punto di vista operativo l’assemblea

ritiene che gli scrutini dei “sospesi”siano da effettuarsi all’inizio di settem-bre, sia per ragioni organizzative sia perdar modo agli studenti di rielaborare edapprofondire la loro preparazione.

- Dal punto di vista sindacale l’assembleachiede agli organi competenti il mante-nimento dell’organico di fatto di luglio(fatte salve variazioni che prevedanol’aumento del numero di classi) in mododa evitare il determinarsi di situazioni disovrannumerarietà a settembre.

- Di conseguenza l’assemblea ritienenecessario lo slittamento in avanti delladata di inizio dell’anno scolastico 2008-2009.

Infine i partecipanti si sono impegnati a con-vocare un’altra assemblea entro marzo fina-lizzata anche a promuovere iniziative di pro-testa e di mobilitazione.

Giovanna Lo Presti

Si è fatto poi notare come la recente chiusu-ra della sequenza contrattuale relativa alFondo di Istituto abbia portato nelle cassedelle scuole ben pochi soldi in più rispettoallo scorso anno. Inoltre, le nuove tabelleper il pagamento delle ore di recupero con-sentiranno di retribuire un numero di orenettamente inferiore, visto che l’incrementoretributivo è superiore al 70%.

b) Specificità degli istituti tecnici e profes-sionali rispetto al problema del recupero. È stato sottolineato quanto la situazione dipartenza degli studenti dei tecnici e deiprofessionali condizioni pesantemente ladidattica. L’altissima percentuale di ragaz-zi in uscita dalla scuola media con il giudi-zio di sufficienza (prossima o addiritturasuperiore al 90% in molti istituti), il fattoche in Piemonte (ma poco cambia per lealtre regioni) gli studenti iscritti in etàregolare agli anni di corso della scuolasuperiore siano stati nel 2005-2006 * il90,9% nei licei, il 68,9% nei tecnici e il54,7% nei professionali sono dati cheparlano da soli.

Inoltre tecnici e professionali raccolgonooltre l’80% degli studenti diversamente abilie degli studenti stranieri che frequentano lesuperiori.

L’Ordinanza 92, con grande superficiali-tà, propone lo stesso “rimedio” per licei, pertecnici e professionali, e scarica sugli inse-gnanti il compito di organizzare il recuperoladdove sarebbe necessaria una riflessioneseria sulle cause della notevole disaffezioneche molti nostri studenti hanno nei confron-ti della scuola, riflessione alla quale dovreb-bero far seguito provvedimenti complessi eradicali sulle condizioni strutturali dell’ap-prendere e dell’insegnare. È certo necessa-rio restituire autorevolezza alla scuola maper far questo non è sufficiente tornare agliesami di riparazione.

Il metodo-Fioroni è stato caratterizzatoda un alto tasso di demagogia. Il Ministroci ha detto che a scuola bisogna tornarealla grammatica, alle tabelline e agli esamidi riparazione e, con questi slogan sempli-ficatori e irrealistici, ha voluto parlare siaall’opinione pubblica che non comprendecosa accada nelle nostre scuole e si nutre

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Il 2008 per i lavoratori Comdata ècominciato male. Cattivi segnali arriva-no dall’azienda la quale ai tavoli della

trattativa ha messo sul piatto la classica pol-petta avvelenata. Alla richiesta avanzata dailavoratori e già sostenuta con lo scioperodel 27 dicembre scorso, di avere in bustapaga l’erogazione del pre-mio produzione, l’aziendaha risposto con una propo-sta che svela dietro quel-l’apparente sensibilitàverso le esigenze dei lavo-ratori incarnato dal “wecare” che campeggia sulsuo logo, il vero volto incarnato da unapolitica repressiva e di controllo esercitatanei confronti dei propri lavoratori.

La proposta è stata presentata durante lacontrattazione tra azienda e rappresentanzedi cgil-cisl-uil, prevede che il premio diproduzione sia erogato sulla base della pro-duttività e della qualità calcolata per ciascu-na commessa. L’erogazione verrebbe legataalla autocertificazione che il lavoratoredovrà dare di se stesso secondo modalitàancora tutte da stabilire. In sé la propostapotrebbe sembrare innocua ma è necessarioconsiderare la gravosità del lavoro svolto daun operatore: tempi stretti, numero di prati-che da evadere, rigidi schemi di comunica-zione, impossibilità di incidere sui carichiproduttivi rendono il lavoro dell’addettocall center molto stressante. La propostaavanzata dall’azienda ha nei fatti l’obbietti-vo di rendere ancora più gravoso il lavoro aipropri dipendenti mentre i dati di bilancio

parlano di una crescita esponenziale del fat-turato. Il messaggio è chiaro da una partel’azienda riconosce in qualche modo che gliutili che negli ultimi tre anni si sono quintu-plicati vadano ripartiti anche tra i lavorato-ri, veri protagonisti della crescita economi-ca, come contropartita chiede che vengano

introdotti meccanismi chenei fatti non fanno altroche far aumentare il cari-co di lavoro del singolooperatore e rafforzare cosìi meccanismi di controllo.L’autocertificazione cosìcome è stata presentata

alle controparti sociali, sarà il risultato datodalla sommatoria parziale che il lavoratoredovrà dare di sé periodicamente. Inoltrel’erogazione del premio non sarà calcolatosull’utile del fatturato dell’azienda, bensìsulla produttività di ciascuna commessaeludendo il principio che i risultati di unabuona gestione siano goduti in manieraegualitaria. Inoltre la mossa dell’aziendarivela l’obiettivo di indurre i lavoratori aprodurre di più, istigando alla competizionecon il duplice scopo di aumentare i profittie la possibilità di poter disporre di un ulte-riore mezzo per schedare il profilo di cia-scun lavoratore.

Nel mese di marzo le rsu della Comdatadi Torino hanno indetto un’assemblea pro-prio per informare i lavoratori dell’anda-mento delle trattative. I delegati non hannopotuto terminare il loro intervento. I lavora-tori infatti hanno interrotto definendo laproposta dell’azienda sul premio di produ-

COMDATA

Il bastone e la carota

La vita dei lavoratori del call center

è sempre più precaria

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alcuni lavoratori è stata riscontrata un peg-gioramento della vista a causa della lungaesposizione davanti al monitor. L’azienda

per tacitare la scottantequestione offre ai pro-pri dipendenti cheriscontrano questi sin-tomi rimborsi per visiteoculistiche e lenti pergli occhiali (da notareche le montature sareb-bero a carico del pove-ro dipendente).Quelloche si prospetta da quia pochi mesi è l’esten-dersi dei fattori dirischio per la saluteproprio per il mancatorispetto di quelle chesono le indicazioni chesi trovano nella legge

626. Come hanno già dimostrato diversericerche di settore sulla sicurezza, i luoghi dilavoro dei call center sono deficitari per ciòche riguarda lo spazio, il ricambio dell’aria,l’illuminazione, il rumore. Tutti questi para-metri sono fuori dalla norma e Comdata nonsi discosta da questa tendenza.

In questo panoramarisulta evidente come lerichieste salariali siintrecceranno con le que-stioni legate alla sicurez-za. Vedremo quale sarà larisposta dell’azienda sesarà disposta a ragionaresu questi temi o tenterà difare come la scimmietta

che non vede non sente non parla. Se la pro-spettiva dovesse essere quest’ultima i lavo-ratori hanno già fatto sapere che non accet-teranno queste palesi violazioni dei propridiritti e che saranno pronti a mobilitarsiinaugurando una nuova fase conflittuale.

Rocco Sacconelavoratore Comdata

zione come irricevibile. Grande sdegno erabbia affioravano dagli interventi dei lavo-ratori che testimoniavano come l’aziendanon mostri rispetto afronte di un comporta-mento che, da partedei lavoratori, è sem-pre stato all’insegnadella massima dispo-nibilità nei confrontidelle richieste chel’azienda. Non è dadimenticare che inquesti anni ai lavorato-ri è stato chiesto ditutto all’insegna dellamassima flessibilità:richiesta di straordina-ri, programmazionedei turni lavorativi concontinue modifichedegli orari, aumento dei carichi di lavoroche hanno reso la vita dell’addetto del callcenter precaria nel significato più intimodel termine. L’assemblea ha dato quindimandato ai delegati di rifiutare questa pro-posta nel modo più netto senza se e e senzama. I delegati hanno fatto intendere che lersu delle altre sedi sareb-bero invece propense adaccettare la propostaaziendale. Sollecitati dagliinterventi dei lavoratoriche chiedevano di fareluce su questa questione èvenuto fuori che la deci-sione delle altre sedi non èil frutto di assemblee svol-te tra i lavoratori ma la tendenza prevalentedei delegati. L’incontro successivo conl’azienda si sarebbe svolto il 19 marzo ma atut’oggi non si sanno quali siano stati irisultati.

Intanto in azienda iniziano a registrarsicasi di quelle che sono le malattie professio-nali legate all’uso dei videoterminali. Ad

Aumentano i difetti della vista, l’aziendarimborsa l’oculista e le lenti, ma non

le montature

SE LAVORI TROPPO PREMI 1,SE SEI PAGATA POCO PREMI 2,

SE SEI STANCA DELLA VITA PREMI 3,...

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Nell’immaginario collettivo quello delbancario è un buon lavoro e ben retri-buito. Dal punto di vista economico,

gli assunti negli ultimi anni, oltre agli apprendi-sti precari, hanno subito una drastica diminu-zione di benefici e lo stipendio resta interessan-te solo in relazione alla parallela caduta salaria-le degli altri settori. La qualità del lavoro è, sepossibile, ancora peggiorata per le continuepressioni commerciali alla vendita dei prodottipiù redditizi per la banca. In questo contesto,ogni tanto, qualche responsabile troppo zelantesupera i limiti dellabuona educazione e delrispetto dei sottoposti.

È quello che è acca-duto alla filiale diCollegno di IntesaSanpaolo (quella di viaManzoni), dove ladirettrice si è resa prota-gonista di varie scenatecon i lavoratori (e anchecon i clienti) non suffi-cientemente solerti nelconvincere la clientela ausare strumenti come il bancomat “evoluto”(che fa anche i versamenti), anziché “intasare”lo sportello.

La responsabile in questione si era già resaprotagonista di episodi negativi nella filialeprecedente e il sindacato di base era intervenu-to con un primo volantino e stava per farneuscire un secondo quando, dopo un’assemblea,anche le altre sigle sindacali si sono espresseper il suo trasferimento. Anziché destinarla adaltri incarichi, la banca ha deciso di rimetterla adirigere una filiale e, quasi subito, sono rico-minciati i problemi.

La Cub-Sallca ha segnalato il tutto airesponsabili del personale, ma la risposta èstata evasiva. A questo punto, è uscito primaun volantino ai lavoratori e poi è stato fatto unpasso inconsueto, cioè il volantinaggio diret-tamente alla clientela della filiale, con un

comunicato congiunto con l’AssociazioneConsumatori Utenti. Per la Cub-Sallca è dove-roso denunciare situazioni limite, dove i lavo-ratori sono costretti a lavorare in un clima tesoed al limite dell’intimidazione, ma i veriresponsabili di tutto questo sono coloro cheguidano le politiche commerciali delle banchee che ribaltano sui direttori messaggi aggressi-vi per raggiungere gli obiettivi di vendita. Èquesto uno dei problemi principali del settore.

Il caso, forse, più eclatante, denunciatodalla Cub-Sallca, ha riguardato Cariparma,

dove un responsabile èarrivato al punto di stru-mentalizzare la recentemorte di un soldato inAfghanistan (il soldatoera cliente della banca)per convincere i lavora-tori a vendere un deter-minato prodotto. Nel-l’occasione, i lavoratorinon sarebbero stati abba-stanza convincenti nelproporre, insieme almutuo, la polizza “caso

morte”, che interviene per pagare il debitoresiduo. A parte il cattivo gusto dell’esempioscelto per promuovere un prodotto difficile dacollocare perché molto costoso, l’esempio eraproprio sbagliato, poiché la polizza non coprei rischi per chi lavora in luoghi pericolosi…

Gli esempi sulle politiche commercialiaggressive delle banche potrebbero continua-re, perché l’uso (incauto) delle mail per invia-re messaggi “motivazionali” nella varie ban-che non mancano. L’unico rammarico è che,nonostante la nostra opera puntuale di denun-cia, troppo spesso i mezzi di (dis)informazio-ne (spesso in mano ai banchieri, o perché pro-prietari o perché garantiscono flussi pubblici-tari) non danno spazio alle segnalazioni chericevono.

Marco Schincaglia

La dura vita del bancario

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Chi l’avrebbe detto che il lavorodel postino è al primo postonella peggiore speranza di vita?

Parto da una tabella presa da uno studiofatto sulla popolazione Torinese:

SPERANZA DI VITA A 65 ANNI PER PROFESSIONIProfessione Anni perdutiLe miglioriForze armate 1,2Medici, dentisti, psicologi, farmacisti 1,6Avvocati, magistrati, notai, commercialisti 1,6Insegnanti 1,8Vigili, agenti PS, finanza e penitenziari 1,8Dirigenti, imprenditori, legislatori, amministratori 1,9Professioni tecniche 2,0Impiegati di concetto 2,0Lavoratori del legno 2,0

Le peggioriSpedizionieri, imballatori 3,1Lavoratori dell’alimentare 3,1Gasisti, idraulici, termoidraulici 3,3Addetti a pulizie e raccolta-trattamento rifiuti 3,3Portalettere, fattorini postali 3,9

Per essere più chiari, i portalettere e fat-torini postali sono quelli che hanno il tri-ste primato di vivere ben 3,9 anni inmeno rispetto ad altre categorie di lavo-ratori. Questo è quanto è risultato da unoStudio Longitudinale Torinese che asso-cia informazioni anagrafiche, censuariee sanitarie. (Speranze di Vita in buonasalute nella popolazione Torinese).Da dove nascono questa differenze? Ifattori possono essere tanti: - reddito- educazione- provenienza famigliare- esposizione a fattori di rischio connes-

si con la professione - diverse abitudini e stili di vita.

Ma il risultato rimane: chi fa certilavori guadagna meno, vive di meno, epaga di più.

Eppure i postini non vengono mai chia-mati alle visite annuali di controllo sullasalute nonostante il triste primato primamenzionato. È evidente che, soprattuttoda parte dei sindacati istituzionali, nonc’è alcuna pressione in questo senso eche l’azienda ha tutto l’interesse a nonintervenire sulla questione.

Per quanto mi riguarda, l’unica visitaa cui sono stato sottoposto, risaleall’anno 1978 ed è stata la visita medi-ca che ha stabilito la mia idoneità perpotere lavorare alle Poste, appunto,come postino.

Da trent’anni lavoro per strada e sof-fro di asma allergica da circa dieci anni.La ragione è evidente, le polveri sottiliche siamo costretti, tutti noi, a respirare,lasciano segni sul nostro stato di saluteed è chiaro che quanto più sei espostoalle polveri, tanto più è il rischio diammalarsi. Faccio presente che sono unsoggetto che non ha mai fumato.

Il Postino, questa figura spensieratache accompagna i ricordi di tutti noi,lascia anche lui le sue vittime nel mondodel lavoro; basta pensare che solo nelsecondo trimestre del 2007 il 37% degliinfortuni si sono avuti recapitando lacorrispondenza col motorino, il 6% si èinfortunato recapitando la posta conl’automezzo, e poi ci sono gli altri infor-tuni motivati da altre cause. Va segnala-to, inoltre, il fatto che la nuova organiz-

Poste Italiane: una nocività poco conosciuta

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no anche loro vittime del lavoro? Se sba-gliano, dove sbagliano oggi le agenzie dicontrollo sulle prevenzioni degli infortu-ni? Credo, a questo proposito, che siapossibile agire su tre piani:- garantendo che vi sia un numero ade-

guato di addetti al controllo;- coordinando le agenzie sino, perché

no?, ad unificarle per evitare doppionie mancanza di informazioni;

- prevedendo se-vere sanzioni per leimprese che nonapplicano la nor-mativa sulla sicu-rezza.

Dove sbagliano ilavoratori che siinfortunano? Certa-mente quando nonpretendono conforza l’applicazio-ne della normativa

sulla sicurezza ma perché lo si possafare è necessaria una forte presenza sin-dacale ed un’adeguata formazione, pernon parlare dei diritti, per RSU ed RLS.

Credo, soprattutto, che gli organicompetenti al controllo, dovrebberoascoltare più da vicino i lavoratori escambiarsi le notizie utili per evitare chesi continui a piangere sui morti.

Luigi PispisaCOBAS PT CUB di Torino

zazione del recapito costringe i postini aritmi di lavoro indecenti e non è un casoche nel secondo semestre del 2007 gliincidenti sono aumentati dell’11%rispetto al primo semestre.

Recapitando la posta abbiamo ancheavuto 4 mortiAbbiamo avuto 23 colleghi che sonostati aggrediti dai clienti, l’ultimo casorisale a circa duemesi fa in zonaMirafiori a To-rino, un postino,solo perché hasuonato il cam-panello per farsiaprire la porta,ha ricevuto botteed ha avuto untimpano rotto ediverse escoria-zioni.

Io stesso, solo un mese fa, sono statominacciato perché ho suonato tre voltedato che avevo da consegnare una racco-mandata. Un tizio in via Nizza si è affac-ciato dal balcone è mi ha gridato cheavrei dovuto solo suonare una volta eandarmene via, altrimenti mi avrebbetagliato la gola. Ci sono stati 214 colle-ghi aggrediti dagli animali.

Insomma, lavorare oggi è quasi comeandare in guerra perché si registrano trop-pe vittime nel mondo del lavoro. Solo aTorino , che purtroppo detiene il secondoposto nell’odiosa classifica delle città conpiù vittime del lavoro, ci sono 36 mortiogni anno. I dati sono forniti dall’INAILe si riferiscono al periodo 2004/2006.Allora io mi chiedo e vi chiedo: qualipossono essere le soluzioni per evitareche i futuri lavoratori di domani diventi-

Supplemento a “Collegamenti Wobbly”

Dir. Resp. Giorgio SacchettiReg. Trib. Firenze

2563 del 14/3/1977Stampato in proprio

C’È POSTA PER TE

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Flaica – C.U.B.C.U.B. Sanità e Assistenza

Confederazione Unitaria di Base

IL CONTRATTO FA SCHIFO ED È SCADUTO IL 31/12/2005, CHE FARE?

La trattativa tra i sindacati confederali e le centrali cooperative per il rinnovo del CCNL sta assumendo unandamento farsesco:– la piattaforma sindacale per il rinnovo è stata presentata con 19 mesi di ritardo. Come regalo alla contro-

parte, non c’è male; hanno risparmiato sull’indennità di vacanza contrattuale (se avessero presentato lapiattaforma nei termini previsti dal CCNL, l’IVC sarebbe stata pagata da aprile 2006) ed hanno spostatoin avanti il momento in cui avrebbero definito gli aumenti;

– guardiamoli, questi aumenti... La piattaforma della CGIL parla di un aumento dell’ 8,58% lordo al VI livel-lo.... Intanto, bisogna vedere se li danno tutti e, soprattutto, quando li danno; sono già passati più di treanni dall’ultimo aumento. Ad esempio, secondo l’ISTAT, per il periodo dall’ultimo aumento ad oggi c’ègià un tasso di inflazione del 5,5%... Quindi, se li dessero adesso, l’aumento reale sarebbe del 3,28% (42euro mensili lordi al VI livello), se li daranno più avanti.... Ancora di meno. Notate che questa miserabilecifra è calcolata sulla piattaforma... La realtà dell’accordo potrebbe essere ben peggiore;

– il CCNL precedente prevedeva l’erogazione dell’ERT (a livello regionale). La gran parte delle cooperati-ve se ne è bellamente fregata... Cosa hanno fatto i Confederali per imporgli il rispetto del CCNL che hannofirmato?

– i problemi non sono solo sui soldi, ma anche sulla parte normativa del CCNL. Ad esempio, scomparirà unabuona volta dal CCNL l’articolo sulle cosiddette “notti passive”, che servono alle cooperative per nonpagare il lavoro notturno?

Potremmo andare avanti a lungo, ma non ne vale la pena. Il problema è semplice: chi lavora nel setto-re della sanità/assistenza può avere una marea di contratti diversi (Uneba, Anaste, Coop. Sociali, EntiLocali, Sanità privata, Sanità ...) per fare esattamente lo stesso lavoro e di questi il CCNL delle

Cooperative Sociali è il peggiore.

Esiste un solo motivo sensato per cui un educatore del comune, uno della Asl ed uno di una cooperativa deb-

bano prendere paghe diverse per lo stesso lavoro?

In questi anni, il settore pubblico è riuscito ad abbassare notevolmente i costi dei servizi socio-sanitari-assi-stenziali, riducendo gli stanziamenti e delegandone la gestione alla cooperazione, che, da parte sua, si è este-

sa e rafforzata. Chi ci ha perso? I lavoratori e, spesso, anche gli utenti.

Semplicemente, questo CCNL di merda non ha nessun motivo per esistere e l’unica contrattazione sensata

sarebbe quella che punta a cancellarlo: a uguale lavoro, uguale salario.

Ma questo, da CGIL, CISL, UIL e dalle Centrali Cooperative non ce lo possiamo aspettare: il loro mestiere èriprodurre all’infinito questo balletto: si firma il CCNL (recuperando a stento l’inflazione programmata, se vabene), poi questo scade, poi ci si pensa su, poi si presenta la piattaforma in ritardo, poi ci si ripensa su, poi sifa finta di incazzarsi per il ritardo (di cui si è corresponsabili!), poi si fa uno sciopericchio... Ed alla fine si

firma un CCNL praticamente identico al precedente. Sarebbe ora di finirla.

Gli scioperi vanno benissimo, la nostra situazione ne giustificherebbe non uno ma 100! Si tratta però di bat-

tersi per i propri diritti tutti giorni, a cominciare dal giorno dopo la firma del prossimo contratto-bidone.

PASSA DALLA TUA PARTE, PASSA ALLA CUB!27/03/2008