Come un selvaggio - Storie dalle case popolari di Milano
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Questo testo è distribuito sotto licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Italia - http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/it/deed.itAutore: Luca Baroni - https://www.facebook.com/lucabaroni.mix
IndicePremessa Pag. 3
Ti pesto a sangue, ma ti amo Pag. 4
"L'Aler mi sta facendo pressione" Pag. 6
"Aprivano la finestra e vomitavano" Pag. 9
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Questo testo è distribuito sotto licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Italia - http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/it/deed.itAutore: Luca Baroni - https://www.facebook.com/lucabaroni.mix
PremessaLe storie che leggerai in questo report sono tutte vere. Vengono da un
documentario che ho girato qualche anno fa all'interno di alcune case
popolari di Milano. Questo documentario non è più disponibile, il girato
sì. Ma, per motivi di privacy, non pubblicherò alcun video.
Queste storie mostrano uno spaccato concreto di un contesto troppe
volte distorto dall'informazione "istituzionale".
Quello che raccontano queste storie è una realtà fatta di amori che
durano una vita, malattia, violenza, follia, disoccupazione e terrore di
perdere la casa. Ma io non ho editori né referenti politici che
censurano, deformano, mutano quanto ho visto, ascoltato e ripreso.
Ho solo queste storie, e le racconto così come si sono svolte.
Nota. Sempre per motivi di privacy, i nomi dei personaggi non
corrispondono a quelli reali. E ho evitato di inserire particolari di
luoghi e persone in grado di portare a un'identificazione precisa delle
stesse.
Alcuni audio di queste storie li trovi qui:
http://lucabaroni.com/podcast
Buona lettura!
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1. Ti pesto a sangue, ma ti amo
(violenza domestica)
Lisa è una giovane donna vittima di violenza da parte del marito.
Violenza che è durata per una decina d'anni, prima che si decidesse a
porvi termine.
Lisa è intelligente e dotata di senso dell'umorismo. La sua
testimonianza si rivela lucida e precisa.
Lisa conosce Stefano e se ne innamora. Si sposano. Per sei mesi, tutto
bene. Poi comincia la violenza: pugni, calci, insulti, divieto di vedere
altre persone pena altre botte.
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Stefano, racconta Lisa, è una persona stupenda. Quando non si droga.
Allora diventa violento e paranoico. Hanno due figli (non specifico il
sesso), ma questo non cambia la situazione. Anzi, è peggio. Adesso i
pestaggi di Stefano contro Lisa hanno un pubblico. Che non vorrebbe
vedere. Ma che, impotente e terrorizzato, assiste.
Per dieci anni ha provato a lasciarlo, per poi tornare sempre da lui. Per
aiutarlo. Perché pensava di poterlo allontanare dalla droga. Per i
bambini. Perché non voleva ammettere di aver sbagliato persona.
Poco prima della separazione definitiva, Stefano si dice d'accordo con
Lisa: la loro storia non funziona più. Si lasciano. E subito dopo lui
comincia a perseguitarla con messaggi, telefonate, minacce.
Tornano insieme per l'ennesima volta. L'ultima.
Una notte, Stefano fa irruzione nella casa dei genitori di Lisa, dove ci
sono anche i due bambini. Picchia padre e madre e porta via con la
forza i bambini. Quando Lisa va a casa sua per riprenderseli, le spacca
il naso con un pugno. Mentre Lisa è in ambulanza, lui le invia messaggi
chiedendole come sta e dichiarandole il suo amore.
Al momento delle riprese era in corso il procedimento per il divorzio.
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2. "L'Aler mi sta facendo
pressione" (casa e disoccupazione)
Sto camminando insieme a Rita, una delle operatrici sociali che mi
fanno da guida durante le riprese. A un certo punto incontriamo Marta,
una ragazza che Rita conosce bene e di cui si occupa. Saprò più tardi
che Marta soffre di una seria malattia, che le crea problemi nel
trovare lavoro. Ma il problema che manifesta Marta, adesso, è quello
dell'Aler. Quello che segue è il suo sfogo, e la descrizione della sua
situazione.
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<<Una è venuta lì e mi fa: "È possibile che lei riesca a campare con un
reddito da 1200 € all'anno?" Mi hanno sospeso il CUD e mi hanno detto
di andare dai preti. Perché mi era venuto in mente di dire "Ogni tanto
vado alla chiesa e mi da il pacco". Io per orgoglio non gli posso dire che
vado a casa a mangiare da un amico...da un amico...da un amico. E lei
mi ha detto che se entro l'11 non le porto tutta la documentaizone mi
aumentano l'affitto del 150% o mi danno lo sfratto.
Io ho il debito di 4200 € con l'Aler. Sto facendo un progetto con il Celav
[servizio del Comune di Milano per l'inserimento lavorativo, n.d.A.].
Adesso sto facendo anche un progetto con la dottoressa Rossi, per
l'inserimento nel mondo del lavoro. Ho già avuto tre colloqui con lei,
perché ha capito la gravità della situazione e vuole aiutarmi. Ma è
l'Aler. Io ho paura dell'Aler. L'Aler mi sta facendo pressione. L'Aler non
crede alla mia situazione, che è così.
Ho i muri del bagno che mi vengono giù. Ma siccome sono in difetto
con l'Aler, non me li mettono a posto. Vivo nella muffa.
Cazzo, sono regolare, ti porto tutti i documenti, non nascondo niente,
la mia situazione è questa, sono sotto i servizi sociali, sto facendo due
inserimenti lavorativi, mi sto buttando per risanare tutto, non c'ho
lavoro, non c'ho un cazzo e voi...mi aumentano l'affitto del 150% se no
mi danno lo sfratto!
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Domani vado da mia mamma e le chiedo di farmi una tessera del
cellulare. Io i 10 € per farla non ce li ho! L'Aler non crede alla mia
situazione!
Mi hanno mandato una lettera dicendo che potevo fare un piano di
rientro, un ampio piano di rientro, ma con che cosa lo faccio che non
sto lavorando?
Se mi sbattono fuori dove vado?>>
Quando chiedo a Marta se mi autorizza a diffondere le riprese, lei mi
dice subito: "Sì, sì". Poi: "Lo vedranno anche all'Aler?". "Sì. Vuoi che non
lo vedano?" "No, voglio che lo vedano. Voglio che lo vedano tutti". "Ok".
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3. "Aprivano la finestra e
vomitavano" (disagio psichico)
Quando io e l'operatrice sociale che mi accompagna, Lisa, arriviamo
all'ingresso del complesso di case popolari, Alberto è intento a fare
segni della croce in rapida sequenza. Si trova di fronte a una celletta
votiva posta sopra l'ingresso della portineria: l'immagine di Maria, un
cero acceso, un piccolo vaso di fiori. Al fianco di Alberto si trova Gino,
suo fratello.
Alberto è subito gentile. Sorriso contagioso. Pelle del volto e del collo
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arrossata. Rasatura recente. Un lungo e apparentemente profondo
taglio percorre il padiglione auricolare sinistro, sconfinando nel lobo.
Sanguina.cLisa glielo fa notare, chiedendo se si è tagliato rasandosi.
Alberto è sorpreso. Che ne sa. Mica se n'era accorto. Lisa gli disinfetta
la ferita. Con un altro sorriso Alberto ci accompagna verso il suo
appartamento. Ha ecceduto con il dopobarba. Potrei seguirlo anche a
occhi chiusi.
Prima ancora che Alberto apra la porta il forte profumo di dopobarba
scompare. A dissolverlo è un odore nauseante, un Frankeinstein
olfattivo composto da un insieme di fetori vari. Nell'appartamento,
questo odore ti avvolge, tiepido e pesante. “Nei primi tempi,” mi dirà
Lisa, “questo odore era ancora peggio. Alcuni operatori entravano,
aprivano la finestra che dà sul balcone e vomitavano.”
Anche noi entriamo. Anche noi apriamo la finestra che dà sul balcone.
Però nessuno vomita. L'odore, seppure ancora intenso, è sopportabile.
Anche se la vicina ci dirà che, ancora adesso, ci sono giorni nei quali è
costretta a tenere aperte le sue finestre per poter respirare.
Eccoci dentro. Un soggiorno nel quale si apre un piccolo vano cucina.
Un bagno che si estende in lunghezza. Una camera da letto. Le porte
di tutte le stanze sono aperte.
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Prima o dopo essersi rasato, Alberto ha lavato il pavimento del bagno.
Acqua a profusione e abbondante detersivo, insieme allo sporco
disciolto, formano una sorte di palude. Una palude pericolosa. Mentre
faccio le riprese in bagno, un paio di volte scivolo, rischiando una
goffa (come sarebbe nel mio stile) quanto rovinosa caduta.
“C'è voluto del tempo,” mi racconta Lisa indicando lo scaldabagno,
gigante bianco che si staglia su una parete in alcuni punti scrostata, in
altri scurita da macchie di umidità. “Però alla fine siamo riusciti a far
sostituire il vecchio scaldabagno, guasto, con questo nuovo.”
Camera da letto. Letto a una piazza, con la testata appoggiata al
centro della parete. Un comodino e una sedia che si intravedono
appena, sommersi da mucchi di vestiti. Due armadi.
All'interno del vano cucina ci sono solo sacchetti pieni di qualcosa.
Sacchetti, sacchetti e basta. Non una cucina, né un frigo. Sacchetti.
“Spesso,” mi spiegherà Lisa, “Alberto compra dei tramezzini e dei
panini al bar qui sotto e li mette, tutti dentro un sacchetto, in cucina.
Mangiato il primo, gli altri magari se li dimentica per giorni, e quando
ne mangia un altro questo è già andato a male, ammuffito o roba del
genere. Questo accade perché Alberto molte volte si rifiuta di aprire
all'operatrice che settimanalmente si reca da lui, oppure non è in casa
ma a vagabondare da qualche parte.”
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In soggiorno.
Piazzo il cavalletto della videocamera in mezzo a una dozzina di
scarafaggi morti stecchiti. Ce ne sono molti, di scarafaggi morti, stesi
a zampe in su sul pavimento del soggiorno. Di vivi, non se ne vedono.
L'aspetto curioso è che, pavimento con cadaveri a parte, alla vista il
soggiorno sembra quello di una persona come tante altre. Ordinato,
pulito, ben tenuto. Lisa mi dirà, dopo avere visto alcune riprese: “Non
sembra nemmeno casa sua”.
Ed ecco che Alberto comincia a raccontare episodi della sua vita: un
ricovero in ospedale quando era giovane, un'amore ora finito, la morte
dei genitori, il lavoro di un tempo. Non solo Alberto parla con vivacità
e ritmo ma dà anche vivacità, ritmo e ironia al suo racconto. Quello
che emerge dalla sua testimonianza, è una completa mancanza di
consapevolezza riguardo alla sua situazione attuale.
Poi è il turno di Gino, il fratello di Alberto. E Gino, della situazione
attuale, si dimostra consapevole eccome. Racconta che per molti anni
lui e Alberto si sono persi di vista e che quando si sono ritrovati ha
cominciato a darsi da fare per aiutare il fratello. “Alberto è così da
quando ha perso nostra madre” spiega. “Gli è venuta una depressione
poi non si è più ripreso”.
Continua: “È come un selvaggio, non vuole né telefono né altro, avete
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visto, non ha neanche il frigo. Ma lui sta bene così, guai a togliergli le
sue abitudini”. Rivolto a Lisa: “Meno male che ci siete voi e altri che
se ne fanno carico, perché altrimenti non so come finirebbe. Non lo si
può contattare, a volte non apre la porta, spesso va in giro a
vagabondare - certe volte lo picchiano.”
Conclude: “Queste persone hanno bisogno di qualcuno che le aiuti,
perché non si rendono conto dei problemi che hanno, o non vogliono
rendersene conto, e lasciate da sole finirebbero molto male.”
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