Gabriella Brusa-Zappellini - Morfologia Dell'Immaginario. L’arte delle origini fra linguistica e...

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Gabriella Brusa Zappellini L’arte delle origini fra linguistica e neuroscienze Morfologia dell’immaginario ARCIPELAGO EDIZIONI

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Le prime forme d’arte visiva create dall’uomo nella profondità delle grotte e nei ripari sotto roccia presentano, accanto a un bestiario naturalistico di straordinaria bellezza, immagini enigmatiche che non trovano riscontro nella percezione della realtà sensibile. Esseri ibridi e segni geometrizzanti convivono con i grandi animali dipinti, spezzando l’incanto del loro linguaggio figurativo. Queste presenze irreali costituiscono la sfida maggiore alla nostra capacità di comprensione delle culture preistoriche, il punto più buio dell'universo oscuro della nostra spiritualità nascente. Le diverse ipotesi che, dalla fine dell’Ottocento a oggi, sono state avanzate sul loro significato non hanno mai trovato un consenso unanime. Si potrebbe però tentare l'azzardo di procedere obscurum per obscurius, cercando di capire se non siano proprio queste emergenze visionarie a offrire un ponte insperato per una maggiore comprensione delle più antiche espressioni della creatività e, insieme a queste, delle strutture antropologiche profonde dell'immaginario.The first forms of visual art created by the man in the depth of the caves and in the shelters under rock introduce, close to a naturalistic bestiario of extraordinary beauty, enigmatic images that don't find comparison in the perception of the sensitive reality. Hybrid beings and you mark geometrizzanti they cohabit with the great painted animals breaking the enchantment of their figurative language. These unreal presences constitute the greatest challenge to our ability of understanding of the prehistoric cultures the darkest point of the dark universe of our dawning spirituality. The different hypotheses that, from the end of the eight hundred to today they have been advanced on their meaning, you/they have never found an unanimous consent. You would be able however to try the hazard to proceed obscurum for obscurius, trying to understand if they were really these visionary emergencies to offer an unexpected bridge for a great understanding of the most ancient expressions of the creativeness and, together with these, of the deep anthropological structures of the imaginary.

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Le prime forme d’arte visiva create dall’uomo nella profondità delle grotte e nei ripari sotto roccia presentano, accanto a un bestiario naturalistico di straordinaria bellezza, immagini enigmatiche che non trovano riscontro nella percezione della realtà sensibile. Esseri ibridi e segni geometrizzanti convivono con i grandi animali dipinti, spezzando l’incanto del loro linguaggio figurativo. Queste presenze irreali costituiscono la sfida maggiore alla nostra capacità di comprensione delle culture preistoriche, il punto più buio dell'universo oscuro della nostra spiritualità nascente. Le diverse ipotesi che, dalla fine dell’Ottocento a oggi, sono state avanzate sul loro significato non hanno mai trovato un consenso unanime. Si potrebbe però tentare l'azzardo di procedere obscurum per obscurius, cercando di capire se non siano proprio queste emergenze visionarie a offrire un ponte insperato per una maggiore comprensione delle più antiche espressioni della creatività e, insieme a queste, delle strutture antropologiche profonde dell'immaginario.

Gabriella Brusa-Zappellini (Milano 1948), già docente di Estetica e di Storia dell’Arte, ha progettato e diretto Corsi di Istruzione e Formazione Superiore per la tutela e la valorizzazione dei siti preistorici, finanziati dalla Regione Lombardia e dalla Comunità Europea. Studiosa delle prime forme d’arte e di cultura, ha pubblicato numerosi saggi e una decina di volumi monografici. Fra i più recenti: Lo stregone danzante. Mito e mímesis alle origini dell’arte (Milano 1997); Arte delle origini. Preistoria delle immagini (Milano 2002); Il dio del vino e del miele. Radici preistoriche dell’immaginario dionisiaco (Milano 2002); Alba del mito. Preistoria dell’immaginario antico (3 voll., Milano 2007).

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Gabriella Brusa ZappelliniGabriella Brusa Zappellini

L’arte delle origini fra linguistica e neuroscienze

Morfologiadell’immaginario

ARCIPELAGO EDIZIONI

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ˆ 20,00[IVA ASSOLTA DALL’EDITORE]

In copertina: Pittura rupestre di Ayers Rock, Australia centrale.

9540167888769

ISBN 978-88-7695-401-6

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cod. 401 MORFOGENESI_copertina.pdf 01/10/2009 12.37.35

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Gabriella Brusa-Zappellini

MoRfoLoGIADeLL’IMMAGINARIo

L’arte delle originifra linguistica e neuroscienze

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Indice

Capitolo I

ALLe oRIGINI DeLL’ARte

1. figure dell’immaginario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

2. Creature ibride . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

3. forme aniconiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

Capitolo II

eMPAtIA e AStRAZIoNe

1. Imitazione e schematizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

2. Excursus etnologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

3. I “grandi segni” della preistoria . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

Capitolo III

ICoNoGRAfIA DeLL’INvISIBILe

1. L’ipotesi fosfenica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93

2. Sciamanismo e preistoria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101

3. Percezione e visione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109

Capitolo Iv

MetAfoRe vISIve

1. Immaginario versus fantastico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115

2. Linguaggio e creatività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124

3. Strategie figurative del linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . 138

Capitolo v

ANtRoPoLoGIA DeLL’IMMAGINARIo

ANIMALIStICo

1. frammenti di etomitologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161

2. Il paradigma emozionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169

3. Nell’aldilà del segno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174

Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183

Indice delle illustrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207

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Capitolo i

alle origini dell’arte

le prime Forme d’arte visiva create dall’uomo nella pro-fodità delle grotte e nei ripari sotto roccia presentano,accanto a un bestiario naturalistico di straordinaria bel-

lezza, immagini surreali di esseri ibridi che non trovano riscon-tro nella percezione della realtà sensibile. Si tratta di un feno-meno globale che caratterizza tutte le più antiche culture. dal-l’area franco-cantabrica alla namibia, dal sub-continente in-diano all’australia, nelle ultime fasi della glaciazione di Würm,il mondo dei cacciatori-raccoglitori del paleolitico superiore èpopolato da figure irreali. immerse in branchi selvaggi, trac-ciate sui soffitti e sulle pareti o isolate sui pendenti rocciosi,queste strane creature, per lo più antropo-zoomorfe, sembranocustodire, sospese tra un’animalità non ancora del tutto superatae un’umanità non pienamente acquisita, il mistero della genesidella creatività immaginifica. tutta l’arte delle origini, pur marcatamente connotata in sensorealistico, è percorsa da queste apparizioni visionarie destinatea sopravvivere per millenni, eludendo i confini dello spazio edel tempo, nei territori del “fantastico” e del “meraviglioso”.Zone contigue, sottratte alle leggi della percezione ordinaria eposte sotto la giurisdizione dell’“immaginario”. Ci avventu-riamo qui in un terreno rischioso. “immaginario” è un termineambiguo e polisemico che si è prestato in passato a usi così di-versificati da diventare quasi impraticabile. eppure questa pa-rola, più di altre, sembra conservare ancora una efficacia im-mediata nella sua capacità di raccordare la dimensione ideativadella mente alla dimensione sensibile dell’immagine, cioè alrisultato tangibile dell’atto creativo. la sua oscillazione seman-

1. Figure

dell’immaginario

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8 Morfologia dell’immaginario

tica pare suggerire una stretta correlazione fra l’attività imma-ginifica del pensiero e la capacità della mano di produrre formecapaci di durare nel tempo, cioè di offrirsi allo sguardo anchequando il gesto creativo ha esaurito la sua funzione. È in questodialogo fra la mano e la mente che si colloca la genesi del fareartistico, un’origine che dilata a dismisura i confini della storiadell’arte spalancando alla analisi delle forme simboliche unorizzonte temporale straordinariamente vasto. ma quantovasto? in quale momento della nostra storia evolutiva la capa-cità di astrazione della mente e la padronanza della mano sisono incontrate per la prima volta dando vita a quella attivitàstraordinaria, del tutto specifica dell’uomo, che chiamiamoarte? nel 1952 esce a parigi un libro di Jacques mauduit dal ti-tolo Quarante mille ans d’art moderne.1 È una provocazioneefficace: l’uomo del tardo pleistocene è un individuo “mo-derno” a tutti gli effetti e la storia della sua creatività figurativanon va misurata in centinaia d’anni, ma in decine di millenni. da dove vengono le sue immagini? Certamente da una manoabile, capace di calibrare il tocco delle dita, di tracciare unalinea continua con un carbone di legna o di sfumare il colorecon un gessetto d’ocra su una parete rugosa. non è cosa dapoco. per giungere a questo risultato è dovuto trascorrere untempo infinito – la temporalità quasi immobile della evoluzionenaturale – attraverso il quale una nuova specie nascente ha vistoprogressivamente un arto rigido, funzionale per lo più agli spo-stamenti della vita arboricola, trasformarsi in uno straordinariostrumento di raccordo fra il mondo circostante e i progetti dellamente. Questo, però, non basta. dietro le immagini urgono mo-tivazioni profonde che restano per lo più ignote allo stesso sog-getto che le elabora e che ne determinano in modo preponde-rante la fisionomia. “nel lungo e paziente dialogo tra l’uomo ela materia – scrive denis Vialou – la mano ha ben presto com-piuto il suo apprendistato, acquisito la sua prodigiosa abilità apadroneggiare le forme tecnologiche. il cervello non ha ancoracessato indubbiamente la propria evoluzione, ma quando si apreall’uomo il campo dell’immaginario, l’arte si fa subito crea-zione di forme sensibili, lo spirito popola l’universo dei suoi

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alle origini dell’arte 9

pensieri e dei suoi sogni, l’immagine sottrae alla materia la so-stanza della propria universalità”.2

l’arte non nasce con la storia. le più antiche civiltà urbanehanno alle spalle decine di millenni in cui società senza scritturahanno prodotto un patrimonio figurativo di straordinario valore.il paleolitico superiore dell’area franco-cantabrica, con le suegrotte ornate, i suoi ripari sotto roccia istoriati e i suoi repertidi arte mobiliare, ha una durata di almeno 25.000 anni. proba-bilmente in africa e in australia vi sono estensioni temporaliancora più ampie. in ogni regione del mondo in cui è giunta, lanostra specie ha portato con sé, fin dai primordi, un bagagliodi immagini che nessun altro vivente possiede. Si tratta, per lopiù, di figure zoomorfe, dipinte e graffite con una maturitàespressiva che pare uscita dal nulla. per decine di millenni leevidenze preistoriche offrono all’indagine archeologica le esilitracce dei siti abitativi degli ominidi e i loro manufatti litici,reperti che testimoniano di una notevole maestria, ma che nonrecano traccia alcuna di intenzionalità figurativa. poi, all’im-provviso, uri, bisonti, cavalli selvaggi, renne, mammut e rino-ceronti lanosi subiscono, come per incanto, un inaspettato sdop-piamento: pascolano nelle tundre e nelle steppe sotto la voltadel cielo e si animano alla luce delle torce nelle stanze internedelle caverne, intrappolati nelle morfologie cristalline sotterra-nee. “È così che le forme grafiche e plastiche scaturirono dauna sorta di subitaneità, come un’esplosione di luce che si ir-radia nelle tenebre senza forma”(d.Vialou).3 Se gli ominidifabbricavano formidabili strumenti per lavorare, l’Homo sa-

piens sapiens fabbrica formidabili strumenti per fantasticare.gli ominidi si sono estinti; l’Homo sapiens sapiens ha colo-nizzato il mondo. non solo il mondo delle terre emerse, maanche quello sommerso dell’immaginario. Seguendo le diret-trici dei suoi flussi migratori, prendono corpo, nello scorreredelle generazioni, immagini potenti, figure che nessuna manoaveva tracciato prima e nessuno sguardo aveva precedente-mente osservato. il paleolitico superiore conosce un’esplosionefigurativa senza precedenti. È davvero difficile leggere – comealcuni hanno tentato di fare – nel frammento di costola di bo-

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vide rinvenuto a Pech de l’Azé (Francia), in uno strato acheu-

leano del Paleolitico inferiore (200.000 anni fa circa), la pre-

senza di interventi intenzionali, tanto meno figurativi. Diver-

samente vanno le cose nel Paleolitico medio. Non si può infatti

escludere che in questa fase già il Neanderthal – un individuo

che seppellisce in modo rituale i propri morti e che produce

un’industria litica su scheggia estremamente funzionale – di-

pingesse con l’ocra rossa o con l’ossido di manganese cortecce,

pelli o il proprio corpo. I rinvenimenti di queste tinture – con

tracce d’uso – negli strati musteriani sono abbondanti. Non vi

sono però, allo stato attuale delle ricerche, testimonianze di

un’attività figurativa (né probabilmente potremmo averne per

la deteriorabilità dei supporti). Tutto resta ipotetico. Ciò che il

Neanderthal ci ha lasciato sono sequenze di aste incise, segni a

zig-zag e coppelle che esprimono l’emergenza di un senso rit-

mico più che grafico o semmai la presenza di un grafismo in-

cipiente. “Si può affermare – scrive Emmanuel Anati – che

l’uomo di Neandertal ha lasciato qualche frammento osseo con

delle tacche incise. Si può parlare anche di uso dei coloranti.

Che farebbe pensare all’esistenza di un gusto estetico. Ma non

si hanno per ora elementi sufficienti per parlare di linguaggio

visuale e quindi di arte visuale”.4

La creatività iconografica è, invece, un fenomeno specifica-

mente connesso alla nostra presenza. Potremmo quasi dire che

la produzione di immagini, da un certo punto in avanti, è così

generalizzata da poter essere considerata, come l’acqua e il

cibo, una necessità per la nostra specie. Ma per soddisfare quale

bisogno? Se il sesso, il cibo e il territorio costituiscono le spinte

vitali di tutti i viventi, le immagini dipinte quali esigenze pos-

sono soddisfare? Le prime raffigurazioni naturalistiche a noi

note risalgono agli inizi del Paleolitico superiore, intorno a

35.000-32.000 anni fa (con qualche esile anticipazione dalla

datazione ancora piuttosto incerta). Dai più recenti studi sul

DNA mitocondriale apprendiamo che la nostra emergenza – la

cosiddetta Eva mitocondriale – potrebbe collocarsi in Africa

intorno a 143.000 anni fa, con un margine di errore piuttosto

limitato (più recente l’individuazione dell’Adamo Y-cromoso-

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male – 75.000 anni fa circa).5 una datazione, scandita dall’oro-logio molecolare, che si avvicina alle evidenze paleo-antropo-logiche, tenendo conto che le analisi al radiocarbonio dei repertischeletrici sono attualmente in grado di superare il limite dei40.000 anni, ma non di spingersi oltre i 60.000. “la sottospeciea cui appartengono tutti gli uomini anatomicamente moderni èchiamata Homo sapiens sapiens; secondo parecchi paleoantro-pologi, le sue origini più remote risalgono a poco prima di100.000 anni fa, nell’africa orientale e meridionale. essa pre-senta differenze assai nette da tutti i precedenti esseri umani,incluso il loro ultimo rappresentante estinto, il neandertal”.6

le prime migrazioni dall’africa sarebbero iniziate intorno a70.000-60.000 anni fa (con un primo tentativo fra 100.000 e95.000 Bp (Qafzeh-israele) probabilmente fallito per il soprag-giungere dell’ultima glaciazione) e il nostro arrivo in europarisalirebbe a 40.000 anni fa circa, un’europa già abitata dal ne-anderthal col quale abbiamo convissuto per alcuni millenni. Seescludiamo l’eccezionale rinvenimento della grotta di Blombosin Sud africa (77.000-70.000 Bp) di due parallelepipedi di ocraincisi con linee astratte, uno iato di quasi 100.000 anni separala nostra presenza nel mondo dalle prime forme grafiche. Que-sto potrebbe significare che intorno a 35.000-32.000 anni fa,per qualche ragione a noi ignota, si è verificato un salto quali-tativo eccezionale che ha proiettato la nostra specie in un uni-verso simbolico prima sconosciuto, oppure che le espressionifigurative precedenti, affidate a materiale deteriorabile o col-locate in zone particolarmente sfavorevoli alla conservazione,sono andate perdute. o forse che il futuro può ancora riservarcisorprese. in archeologia un colpo di vanga può modificaremolte cose. in ogni caso, con la conquista del campo figurativo,l’azione creatrice dell’uomo si colloca in una dimensione nuovache travalica gli orizzonti della realtà empirica. la capacità diastrazione si fa concreta, prende corpo. “una concreta testimonianza di crescente autocoscienza – scri-vono giancarlo ligabue e gabriele rossi-osmida – comparesolo in un’epoca relativamente tarda della preistoria, nel paleo-litico superiore, quando si evidenziano le prime tracce di una

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produzione artistica che spinge l’Homo sapiens sapiens a creareuna serie di immagini ripetitive che non riusciamo ancora a mo-tivare. tutto quello che oggi possiamo dire è che noi, in basealle nostre esperienze, definiamo “arte” questa manifestazionedi autocoscienza ma che non sappiamo minimamente come ve-nisse considerata dagli uomini del paleolitico. l’unica rispostapossibile che trova concordi tutti gli studiosi è che questo sti-molo creativo provenisse da pulsioni di ordine spirituale:l’uomo aveva scoperto di avere un’anima”.7 le immagini zoo-morfe, pur decisamente naturalistiche, che caratterizzano leprime forme simboliche non sono, però, “copie dal vero” deglierbivori e dei carnivori che popolavano le tundre e le steppe,ma proiezioni figurative degli animali che popolavano la mente.una mente di cui ignoriamo le intenzioni, i sogni e i progetti.non sappiamo quale impulso abbia spinto i cacciatori-racco-glitori arcaici a dar vita a una sorta di mondo analogo dipintocoi colori minerali sulle rocce, inciso coi bulini o tracciato conle dita. non sappiamo perché alcune raffigurazioni siano sot-tratte alla frequentazione quotidiana, in grotte profonde chesolo la fiamma può illuminare e altre siano in superficie, allavista di tutti, rischiarate dagli astri del cielo. non conosciamoné i riti, né i miti, né i canti che dovevano accompagnare questaattività figurativa. riconosciamo però gli animali che raffigu-rano, in molti casi in maniera precisa e dettagliata, il variegatobestiario degli ambienti tardo-glaciali della fine del pleistocene.È una riconoscibilità rassicurante. identificare rinoceronti, leonie stambecchi o una mandria di uri solleva l’anima dal misterofitto intorno alle motivazioni della loro presenza nelle grotte osui reperti mobiliari. le forme visive del bestiario naturalisticodel paleolitico superiore coincidono con il nostro repertorio in-teriore. la loro identificazione funziona come una bussola cheguida l’esplorazione del passato in un mare sconosciuto sottoun cielo di stelle ignote. “l’identificazione di una forma –scrive marcel otte – provoca una sorta di sollievo intellettuale,come se avessimo conquistato una parte del messaggio anticoe come se ne avessimo presentito la coerenza”.8

nel panorama artistico delle origini caratterizzato, per circa

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25.000 anni, da modalità figurative naturalistiche, un patrimo-nio di cui il tempo ha restituito solo una minima parte, due sonole espressioni che non trovano una riconoscibilità immediatanel mondo sensibile: le figure ibride e irreali e i segni geome-trizzanti e aniconici. Si tratta di presenze inquietanti che con-vivono con le immagini realistiche, mescolandosi e sovrappo-nendosi alle forme iconiche. numerose sono le ipotesi inter-pretative che sono state avanzate dalla fine dell’ottocento aoggi per comprenderne il significato. ipotesi che non hannomai trovato fra gli studiosi un consenso unanime. potremmodire che queste figure strane, che questi segni enigmatici costi-tuiscono la sfida maggiore alla nostra capacità di comprensionedell’arte preistorica: il punto più buio dell’universo oscuro dellanostra spiritualità nascente. Si potrebbe però tentare l’azzardodi procedere obscurum per obscurius, capovolgendo il pro-blema e cercando di capire se non siano proprio queste presenzeibride e aniconiche a offrire un ponte insperato verso una mag-giore comprensione delle prime forme d’arte e, insieme conqueste, delle strutture antropologiche fondative dell’immagi-nario in generale.

già paolo graZioSi aveva sottolineato, a metà del secoloscorso, che “le figure di esseri ibridi oscillanti in quella

zona d’irrealtà che sta tra il mondo animale e quello umano nonsono sempre da interpretarsi in modo realistico come alcunivorrebbero cioè quali riproduzioni di stregoni o cacciatori ma-scherati (…)”.9 ma se non sono “riproduzioni del reale”, daquali luoghi dell’irrealtà giungono? Quali passaggi della mentehanno attraversato prima di riversarsi sulle pareti rocciose?

Secondo graziosi, queste figure “possono trovare la loro ragiond’essere proprio in quella mentalità primitiva che non stabiliscenetti confini tra uomo e animale ma vede negli altri esseri vi-venti intorno a sé l’espressione vitale di quella stessa natura dicui si sente parte integrante, e con tali esseri, quindi, contraelegami profondi e indissolubili”.10 molte creature irreali si tro-

2. Creature iBride

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14 Morfologia dell’immaginario

vano in zone delle grotte particolarmente impervie. Questo hafatto pensare che possa trattarsi di gardiens du sanctuaire (H.Breuil) posti a custodia dei percorsi sotterranei riservati agliiniziati. alcune figure paiono uomini mascherati, una pratica,quella del mascheramento zoomorfo, usuale nelle culture dicaccia, messa in atto per confondere gli animali o per familia-rizzarsi con le prede. per altre, l’ipotesi del travestimento è, in-vece, piuttosto problematica. pensiamo al cornigero della Salledu Fond della grotta Chauvet di Vallon pont d’arc nella Fran-cia meridionale.11 la sua testa villosa, con le corna frontali, èdi bisonte. il suo corpo, tozzo e ricurvo, ha un andamento an-tropomorfo che va a fondersi col ventre e le gambe di una fi-gura femminile (Fig. 1). le sue spalle si dilatano in una ana-morfosi leonina. Come scrive Jean Clottes, “il s’agissait donctrès vraisemblablement d’un être composite, à la fois humainet bison. Cette créature fut réalisée postérieurement à la femmeet immédiatement à son contact. les techniques de réalisationdes deux sujets sont exactement les mêmes (…) la localisationde cette “scène”, face à l’entrée de la Salle du Fond et au voi-sinage immédiat du principal panneau de la caverne, c’est à direen un lieu privilégié, témoigne de l’importance qu’elle revêtaitpour son auteur et pour les mythes de son groupe”.12

Su un pendente roccioso, vagamente fallico, dinanzi a una pa-rete fitta di leoni in corsa, questo ibrido, dipinto intorno a32.000-29.000 anni fa col carbone di legna, sembra emergeredagli abissi del tempo e dell’anima come prototipo di tutti que-gli infiniti esseri mostruosi destinati a dominare l’immaginariofigurativo antico e medioevale, spingendosi nei sogni e negliincubi della modernità. alcuni millenni più tardi, su una paretedella grotta magdaleniana di Fontanet (ariège) ritornerà lastessa, enigmatica solidarietà mistica fra uomo-bisonte e donna,mentre ad angles-sur-l’anglin (Vienne) il bassorilievo di unostambecco è accostato al ventre e alle gambe di una donna conil sesso evidenziato. anche a Bédeilhac, nel diverticolo dellagrotta, un piccolo bisonte modellato sul suolo sembra avvici-narsi a un segno vulvare.

Figura 1

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alle origini dell’arte 15

da una zona più profonda del pozzo deltempo proviene il cornigero di ocra rossadel riparo di Fumane (Verona), rinvenutodurante gli scavi diretti da alberto Bro-glio in uno strato aurignaziano del depo-sito di riempimento (36.000-32.000Bp).13

il suo volto-maschera è frontale comequello dell’antropo-zoomorfo dellagrotta di les trois Frères (ariège), lo“stregone danzante” che domina a tremetri e mezzo dal suolo lo straordinarioscenario sotterraneo scavato dal corso su-periore del fiume Volp. un salto di circa 15.000 anni separa il sorcier magdaleniano diles trois Frères dallo stregone aurignaziano della grotta Chau-vet. una barba puntuta gli copre il collo. Sul capo spuntano dueorecchiette diritte e il doppio palco di un cervide. il corpo è diprofilo; la coda è di cavallo o di lupo, mentre il fallo penzolacome nei felini (Fig. 2). gli arti anteriori ricordano le zampe dei plantigradi. i piedi sonodecisamente umani. osservato dall’angolo di visuale di chi siinoltra nella grotta, la sua postura pare sospesa tra l’animale el’umano: non è né propriamente eretta né del tutto quadrupede.il suo volto-maschera di civetta cattura lo sguardo con i suoiocelli ipnotici e paralizzanti: ci fissa mentre lo guardiamo.nella stessa grotta fa la sua comparsa un altro antropo-zoo-morfo, immerso in un fitto branco d’animali incisi (Fig. 3).

Figura 2

Figura 3

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16 Morfologia dell’immaginario

È il cosiddetto petit sorcier à l’arc musical. da un corpo quasiumano che danza seguendo con gli arti posteriori le cadenze diun arcano ritmo musicale, spuntano una coda di cavallo e unatesta villosa e cornigera di bisonte. potrebbe trattarsi di unuomo mascherato che, col suo arco musicale, sta incantando,quasi fosse un orfeo magdaleniano, gli animali che gli stannointorno. dinanzi a lui volge indietro la testa uno zoomorfo dalsesso femminile vistoso. Ha la parte anteriore di bisonte equella posteriore di cervide. nella stessa grotta una figura som-mersa da un caotico groviglio animalistico, con la postura erettae il pene ben evidenziato, ha la testa di bisonte (Fig. 4). È unuomo mascherato? non sembra. Se escludiamo le “Veneri” a tutto tondo, numerose soprattuttonel gravettiano, le raffigurazioni umane dell’arte paleoliticasono relativamente scarse. Spesso si tratta di immagini tracciatecon un gesto rapido: volti dai tratti improbabili e un poco de-formi o dai profili grotteschi e teriomorfi, come nel caso dei“ritratti” dal prognatismo accentuato di la marche (lussac-les-Chateaux) (15.000-14.000 Bp circa), incisi su frammenti di pie-tra rinvenuti durante le esplorazioni da léon pericard e Sté-phane lwoff a pochi metri dall’ingresso della grotta. gli artistidi la marche hanno tracciato più di un centinaio di figureumane: uomini in atteggiamenti goffi, donne dai seni gonfi, visidi profilo con barba, baffi e strane acconciature. “les Humains– scrive Vialou – de la marche témoignent de façon exem-plaire de la capacité des paléolithiques à se figurer, tout commeils le font pour les animaux, et simultanément leurs refus quasitotal de créer des images humaines vraies, de faire des copiesanatomiques du corps, de la tête, du visage. la représentationpaléolithique de l’Homme est idéologique, répond à unconcept, exprime des significations ; elle est en marge de la na-ture”.14

la tipologia, piuttosto lontana dai canoni espressivi tipici deigiacimenti magdaleniani, ha sollevato, negli anni quaranta ecinquanta, un acceso dibattito sulla autenticità di questi reperti.gli stessi rilievi, pubblicati da lwoff, per la difficoltà di letturadei tratti sottili e confusi, potrebbero prestarsi a diverse inter-

Figura 4

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pretazioni.15 il discorso può ripetersi per un frammento rinve-nuto a enlène (ariège) dove, sotto il tracciato splendido e au-stero di un bisonte dallo sguardo intenso, fluttuano due antro-pomorfi rozzi e caricaturali (Fig. 5). È un rinvenimento emble-matico. una costante dell’arte paleolitica è la straordinaria ma-turità espressiva delle figure animalistiche e la approssimativaesecuzione delle figure umane. anche nella grotta di marsoulas(Haute-garonne), gli antropomorfi sono sconcertanti nella loroingenuità figurativa.

Figura 5

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18 Morfologia dell’immaginario

Si è parlato di “grafie domestiche, più o meno clandestine” (a.plénier) che sono venute ad aggiungersi nel tempo alle decora-zioni animalistiche. tratti analoghi a quelli di la marche si pos-sono rintracciare in un frammento inciso, aurignaziano-peri-gordiano, del riparo di la Colombière (Bourg-en-Bresse-ain)

in cui un uomo barbuto sembra intento a incan-tare una renna che gli sta dinanzi con un

gesto solenne, quasi sacerdotale delbraccio. dello stesso periodo è un

frammento proveniente dallaCavità di péchialet (dordo-gna) con incisa la sagoma diun orso (sanguina dal naso?)

attorniato da due antropo-morfi (uno reca una zagaglia?)

(Fig. 6). potrebbe trattarsi di unascena di caccia o, per le strane posture

degli antropomorfi, di incantamento venatorio.anche nell’arte parietale del paleolitico francese le figureumane, assai scarse rispetto alle raffigurazioni animalistiche(non più di un centinaio se si escludono vulve e mani), tendonoa mostrare gli stessi caratteri grotteschi e stilisticamente sca-denti dei reperti mobiliari. Vi sono alcune, rarissime eccezioniche riguardano il corpo femminile. a la magdelaine (tarn),all’entrata della grotta, in piena luce sotto un tetto roccioso, duedonne nude in bassorilievo (mancano della testa e dei piedi),languidamente semi-distese, presentano una estrema purezzalineare e una notevole raffinatezza compositiva che sfrutta lerotondità della parete. Breuil le ha soprannominate le “mada-mes récamier” della preistoria. Come hanno rilevato le analisistatistiche di leroi-gourhan, esiste una gerarchia dei soggettirappresentati: la figura umana appare, in genere, nelle zone in-terne delle grotte o nelle zone marginali. Si tratta, nella maggiorparte dei casi, di figure incomplete. a prevalere è, per lo più, laraffigurazione del volto, mentre gli umani completi o sono scol-piti (figure femminili) o hanno caratteri decisamente animale-schi. a volte compaiono, fra le fessure della roccia, profili

Figura 6

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vaghi, quasi-umani: i co-siddetti “fantasmi” (Fig. 7).la tendenza alla mascheraè, però, anche in questicasi, assai marcata. profiliumani ravvicinati presentano spesso tratti deformi e ipertroficiche stridono con il carattere realistico ed elegante degli animali.il volto frontale, con le orecchie rotonde e il mento appuntito,della grotta di marsoulas (Haute-garonne) ha gli stessi occhitondi dei mammut.più numerosi e significativi sono, invece, gli esseri semiumanidecisamente antropo-zoomorfi presenti fin dalle prime fasi delpaleolitico superiore. Sembra quasi che, mentre per le figurefemminili la nudità sia già di per sé un prodigio che non ri-chieda per manifestarsi di elementi aggiuntivi, la figura ma-schile avverta l’esigenza, per emanciparsi da uno status di ina-deguatezza grafica, di rappresentarsi attraverso stravaganticommistioni teriomorfe. Va però ricordato che più della metàdelle rappresentazioni semiumane (e/o umane) dell’arte parie-tale e rupestre paleolitica non presenta attributi sessuali cosìevidenti da consentire una chiara identificazione. una delleprime immagini decisamente antropo-zoomorfa è costituitadalla statuetta leontocefala restituita dal livello abitativo auri-gnaziano del riparo di Hohlenstein-Stadel (31.750 ± 1.150 Bp)in germania.

Figura 7

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ma l’ibrido più noto in assoluto è quellomagdaleniano del pozzo della grotta dilascaux (dordogna), che ha dato vita aun numero infinito di interpretazioni(Fig. 8). la figura schematica, dipinta con bios-sido di manganese, è collocata in unazona di accesso assi difficoltoso, tantoche alcuni studiosi hanno ipotizzatoun’entrata secondaria alla galleria infe-riore della caverna in epoca preistorica(norbert aujoulat). attualmente, per rag-giungere il pozzo profondo 6,30 metri bi-sogna superare l’abside, attraversare laSala dei tori e inoltrarsi lungo una galle-ria stretta per poi calarsi con una scala. Sitratta, secondo leroi-gourhan, della raf-figurazione più tragica di tutta l’arte Qua-ternaria, l’unica “scena narrativa” di tuttoil paleolitico. un antropo-zoomorfo iti-fallico pare sul punto di cadere dinanzi aun bisonte che ha la testa rivolta all’in-dietro (è ferito e sta perdendo le sue vi-

scere labirintiche?). l’ibrido ha il volto e le mani di uccello eindica un piolo ornitomorfo alla sua destra. Sulla base di ana-logie etnografiche, Breuil ha ipotizzato che il piolo possa rap-presentare un palo funerario. Se escludiamo alcune suggestive,ma piuttosto fantasiose, interpretazioni che hanno letto la scenaalla luce di mitologie anche molto lontane nel tempo e nellospazio – un esempio per tutte la lettura boscimane di HerikHolm16 – l’interpretazione prevalente è che si tratti della rap-presentazione di un “incidente di caccia” in cui un bisonte feritosta dinanzi a un uomo mascherato nell’atto di soccombere.“Questa composizione – scrive graziosi – potrebbe avere loscopo commemorativo di un avvenimento luttuoso, ma moltoprobabilmente essa è legata a pratiche magiche”.17. in effetti,se osserviamo la scena dalla base del pozzo, cioè da una ango-

Figura 8

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latura bassa, l’impressione muta radicalmente (Fig. 9). l’uomocol volto di uccello – centrale e non marginale rispetto allacomposizione – si erge dinanzi a un animale steso a terra. uncacciatore trionfante e mascherato o uno sciamano in estasi?Jean Clottes ha richiamato l’attenzione sulla presenza, in questoluogo angusto della grotta, di una forte concentrazione di gasdagli effetti nocivi.18 il senso di morte della scena più che a epi-

Figura 9

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22 Morfologia dell’immaginario

sodi di caccia potrebbe rinviare a un rituale sciamanico di dis-soluzione e rigenerazione della vita. a metà del secolo scorso,Horst Kirchner ha riconosciuto nella scena una operazione scia-manica: l’uomo non sarebbe morto, ma in trance dinanzi al bi-sonte sacrificato.19

Soltanto nella grotta di les Combarelles (dordogna), la ca-verna dello splendido felino inciso, l’abate Breuil ha identifi-cato una quarantina di antropo-zoomorfi “dont une partie sem-ble représenter des figures masquées” (Fig. 10). una parte. e gli altri? umani sul punto di trasformarsi in ani-mali? o strane visioni oniriche, come nel caso dell’uomo “dontla tête affecte la forme d’un mammouth” (H.Breuil) (Fig. 11). È difficile dire. dalle giaciture magdaleniane di mas d’azil(ariège), di lourdes (Hautes-pyrénées) e di laugerie Basse(dordogna) provengono strani antropomorfi con la coda e ilvolto deformato. Su un osso di gourdan (Haute-garonne) unacreatura un po’ scimmiesca dalla erezione vigorosa alza unagrande mano dalle dita incredibilmente affusolate. Sulle duefacce di un ciottolo di la madelaine (dordogna), una figuramaschile e una femminile hanno un volto deforme e teriomorfo. nel riparo di mège à teyjat (dordogna), tre “folletti” cornigeriprocedono su un bastone forato come sospesi nell’aria(Fig. 12). Secondo Breuil, si tratterebbe di tre piccoli stregonimascherati con teste di camoscio, intenti a danzare. una particolare attenzione meritano quelle rare figure dellegrotte che sono state identificate come “uomini uccisi”. potreb-bero essere individui trafitti da zagaglie, a dimostrazione cheanche nel paleolitico l’aggressività intraspecifica mieteva lesue vittime. pensiamo, ad esempio, all’antropomorfo incisonella grotta Cosquer (marseille) (Fase ii / 18.500-19.200 circaBp), in posizione obliqua (uomo-foca?), con le braccia e legambe sollevate e attraversato da lunghe linee profonde. nellagrotta Cougnac (lot), una caverna particolarmente scenogra-fica, ricca di stalagmiti e di drappeggi, un umano sembra trafitto(Fig. 13).

Figura 12

Figura 10

Figura 11

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Figura 13

Figura 14

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24 Morfologia dell’immaginario

È una raffigurazione molto simile al piccolo umano rosso dellavicina grotta di pech-merle (20.000 circa Bp) (lot) con ilcorpo attraversato da linee spezzate (Fig. 14). Sempre a Cougnac, un antropomorfo acefalo, dipinto di brunoall’interno di un grande megacero rosso, procede con tre “za-gaglie” conficcate nei glutei e nella schiena (25.000-22.000 Bp)(Fig. 15). la “scena” più complessa si trova, però, nella grottadi gabillou (dordogna) dove un umano acefalo che regge unazagaglia (o ne è trafitto) sta dinanzi a un antropo-zoomorfo at-traversato da linee inintelleggibili (Fig. 16). Si è pensato a uo-

Figura 15

Figura 16

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mini feriti o a forme di “magia di distruzione” (una sorta diesorcismo figurativo) o ancora a scene commemorative di ca-rattere regionale. ma dubbi possono sorgere. gli antropomorfisono o acefali o antropo-zoomorfi. l’uomo di Cougnac el’uomo di pech-merle hanno la testa di uccello, mentre a ga-billou da un corpo umano spunta una testa cornigera simile aquella dello “stregone” inciso nella stessa grotta. anche in que-sti casi si potrebbe pensare che non di uomini uccisi si tratti,ma di sciamani sul punto di trasformarsi negli animali dellatrance. Seguendo questa suggestione, n.W. Smith ha ipotizzatoche i segmenti che attraversano i corpi non siano armi, ma lineeenergetiche, rappresentazione grafica di forze extracorporeeche collegano lo sciamano al mondo degli spiriti e degli animalimagici.20

Se tutta l’arte dei più antichi cacciatori-raccoglitori spezza ilsuo linguaggio naturalistico con l’inserimento di figure semiu-mane di difficile interpretazione, negli zoomorfi tende invecea prevalere il dato realistico, attento ai particolari anatomici,anche quando la raffigurazione è miniaturizzata o ha per og-getto animali molto piccoli, come nel caso della cavalletta in-cisa su un osso (les trois Frères). anche gli zoomorfi possonopresentare, a volte, tratti indeterminati, cioè non immediata-mente associabili a una specie naturale esistente. in alcuni casi,la difficoltà della identificazione è dovuta ai tratti sommaridella esecuzione, a imprecisioni probabilmente non volute oalle numerose sovrapposizioni, una caratteristica non solodell’arte parietale, ma anche dei reperti mobiliari. non man-cano, però, stravaganze intenzionali, forzature dei dati dellapercezione, anche se piuttosto contenute. non vi sono animalipropriamente “fantastici” o chimerici. per intenderci, non tro-viamo, nell’arte franco-cantabrica, mammut con la testa dicervo o cavalli con le ali. può esserci il caso di un bovide conla testa di cervide o di un cervide con la testa di bovide, di unleone con il muso che ricorda più il profilo di un orso che di unfelino (grotta Chauvet) o di un cavallo con due grandi cornaad arco (grotta Cosquer). ma bisogna tener conto che, sul piano

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Figura 17

Figura 22

Figura 18

Figura 21

della stilizzazione grafica, certecurve cervico-dorsali si confon-dono e certi profili possono dareluogo a incertezze figurative. po-trebbe essere il caso della “cerbiatta” dipair-non-pair (gironda) (Fig. 17).Certamente alcune deformazioni dove-vano essere intenzionali, come nel casodella enfatizzazione delle corna arabe-scate di lascaux, dei “mostri” di pergouset(lot) (Fig. 18), dei musi a “bec de canard” dei cavalli di leportel (ariège) (Fig. 19) e di pair-non-pair (gironda) (Fig. 20)

Figura 20Figura 19

o delle creature vagamente equine incise all’entrata della gal-leria dei bisonti d’argilla di tuc d’audoubert (ariège) (Fig.

21). alcuni animali di specie diverse paiono intrattenere tra lororapporti del tutto innaturali, come nel caso dell’orso e dellarenna che sovrastano un piccolomammut all’entrata della grottadi pair-non-pair (Fig. 22). tro-viamo anche posture inusualio irreali. a rebières (dordo-gna), su una pietra incisa, unequide ha la strana posizionedi un umano o di un urside.

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a le portel un cavallo “scalpitante” procede con una andaturatanto aggraziata quanto ingarbugliata e stravagante (Fig. 23).nella grotta Chauvet un piccolo di mammut presenta stranecaratteristiche anatomiche: ha una postura quasi eretta e lezampe a palla. Siamo dinanzi a una voluta distorsione dei trattirealistici o a un uomo mascherato? nella grotta Cussac (dor-dogna), scoperta nel 2.000 e studiata da norbert aujoulat, al-cuni animali incisi, di non chiara identificazione, hanno le fauciaperte e il muso irrealisticamente allungato.anche a les trois Frères appaiono zoomorfi ambigui o com-positi (Fig. 24), come ambigui sonogli animali (le cosiddette antilopi)disegnati in fondo alla galleria delCombel della grotta di pech-merle(Fig. 25).

Figura 23

Figura 24

Figura 25

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28 Morfologia dell’immaginario

un discorso a sé va fatto per gli animali con più teste,più zampe e più code, probabili strategie figurativeper rendere il dinamismo e il movimento. potrebbeessere il caso del leone frontale con quattro teste edue code di les trois Frères, anche se l’atmosfera ge-nerale della grotta, con tre “stregoni” e quattro ci-vette, potrebbe giustificare altre letture. lo splendidocervo inciso con due teste simmetriche di Quinta deBarca (Foz Côa – portogallo) potrebbe invece rien-trare, più che nel repertorio delle stravaganze, nelletecniche di resa del movimento: l’animale si gira aosservare una femmina (Fig. 26). una riflessione a parte merita il cosiddetto “liocorno”che apre il grande fregio della parete di sinistra dellaSala dei tori della grotta di lascaux (Fig. 27). Sitratta forse della raffigurazione animalistica più mar-

catamente visionaria dell’arte parietale dei cacciatori arcaicieuropei. anche se è probabile che le due lunghe antenne – a cuideve la denominazione – non gli appartengano, il corpo e ilmuso fanno pensare a un animale fiabesco, un po’ felino e unpo’ equide, a una strana pantera dal mantello maculato o a unmulo dai contorni gonfi e dilatati. Secondo Breuil, il suo corpo

Figura 26

Figura 27

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ricorda quello di un rinoceronte, ma il muso sembra quello diun’antilope tibetana. una analisi attenta degli arti posteriori po-trebbe, però, suggerire una lettura diversa. “esaminando il “lio-corno“ molto obliquamente – scrive louis-rené nougier – conuna luce radente e nella penombra naturale, le sue zampe ante-riori sembrano allora curiosamente delle gambe, il suo spessomuso squadrato assumerà caratteri umani”.21 l’unico, autentico“animale fantastico” dell’arte paleolitica europea potrebbe,dunque, non essere un animale, ma un antropo-zoomorfo. dinuovo siamo dinanzi a una creatura visionaria dai tratti umanie insieme teriomorfi, a conferma dell’idea che, quando l’irrealetende a insinuarsi nell’orizzonte naturalistico dell’arte paleoli-tica, sia destinato ad assumere una fisionomia vagamenteumana. un caso emblematico è la figuretta misteriosa dipintanella cupola del Cul-de-Four della grotta niaux (ariège) (Fig.

28). È l’unica immagine presente nella nicchia di una zona in-vitante che avrebbe potuto ospitare altre istoriazioni. non si rie-sce a comprenderne né il senso né la natura. potrebbe essere unanimale furtivo con le gambe umane, o una apparizione fanta-smatica che si dilegua sulla roccia con la coda fra le gambe. equell’esserino tondo e cornigero che ci fissa da un osso mag-daleniano istoriato (laugerie-Basse) a quale curiosa specie puòappartenere? (Fig. 29).anche lo strano demonietto inciso sulla parete di gabillou pareuna creatura dell’altro mondo (Fig. 30).

Figura 28

Figura 29

Figura 30

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30 Morfologia dell’immaginario

Figura 31

Figura 32

Figura 33

Si tratta di apparizioni strane, nascoste fra le pieghe dell’im-

maginario dell’arte delle origini, che si insinuano fra gli animali

affastellati, mettendo in crisi l’effetto di realtà del loro insieme.

Se lasciamo la Francia per l’area cantabrica, il Paleolitico su-

periore presenta qui caratteristiche analoghe a quello francese.

Anche in questo caso, nell’arte visiva e mobiliare fanno la loro

comparsa, accanto a zoomorfi realistici, creature ibride antropo-

zoomorfe. Nella Grotta di Hornos de la Peña (Spagna) una fi-

gura semiumana, con un “portamento da scimmia” e con una

coda posticcia si protende in avanti con le braccia alzate. Breuil

ha dichiarato di aver omesso, nel rilievo, il sesso in erezione

“n’étant pas sûr qu’il lui appartienne”.

Nella Grotta di Ekain (Gipuzkoa) due strane figure dal contorno

nero paiono orsi acefali (Fig. 31).

Ad Altamira (Magdaleniano medio) (Santander) alcune inci-

sioni profonde e decise sembrano antropo-zoomorfi col muso

da uccello e le zampe d’orso (Fig. 32). Altre ricordano strani

vampiri (Fig. 33).

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alle origini dell’arte 31

Figura 34

Figura 35

Figura 36

il bisonte scuro, ricavato da un rigonfiamento roccioso dellagrotta di el Castillo (Santander), nella sua postura eretta e ap-piattita sulla sporgenza delle scaglie, pare un genio custodedalla natura ambigua (Fig. 34). Se abbandoniamo il paleolitico e scorriamo nel tempo, fra leraffigurazioni rupestri levantine dei Cacciatori evoluti troviamoibridi muniti di archi e zagaglie22 (Fig. 35). una sintesi simbio-tica fra cacciatori mascherati e prede o espressioni di un imma-ginario ancora sospeso tra natura e cultura, fra realtà e sogno? Colpiscono la fantasia le figure frontali (probabile fase tardadei Cacciatori evoluti) dipinte in ocra scura sulle giganteschescarpate rocciose di los organos despeñaperros (Jaén, Sierramorena), una delle zone più selvagge della Spagna (Fig. 36).

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32 Morfologia dell’immaginario

Sembrano insetti con le zampe di uccello immersiin un bizzarro scenario di segni geometrizzanti.Sono schematizzazioni di figure femminili con vi-stosi ornamenti sul capo e sul collo o sono piutto-sto la rielaborazione visionaria di una fantasiacreatrice che segue con la mano i tracciati mentalidella sua potente immaginazione? la presenza di ibridi in cui elementi umani e zoo-morfi si mescolano e si confondono (una bizzar-ria, nata nelle prime culture dei cacciatori-racco-glitori arcaici) è ricorrente anche fuori dell’europae si spinge dentro orizzonti culturali che travali-cano il contesto paleolitico delle origini. l’arte ru-pestre africana, dall’atlante alla provincia delCapo, presenta stili e temi figurativi molto diffe-renziati a seconda dei periodi, delle aree e dellediverse culture di cui sono espressione, ma i trattiimmaginari sono ricorrenti.nel tassili-n-aijer a ouan mellen, una cultura diCacciatori evoluti ha raffigurato strani antropo-zoomorfi intenti alla caccia (Fig. 37). ricordanonelle posture il famoso arciere dall’arco a curva

tripla di Cueva de la Vieja (Spagna). ma qui è una figura dal corpo umano e dalla testa di animale(difficile pensare in questo caso a una maschera) che tende unarco la cui freccia è destinata a non scoccare mai. gli sta ac-canto un altro antropo-zoomorfo, con gli arti ripiegati in unapostura di un’eleganza quasi femminea e uno sguardo languidod’animale a sangue caldo perso negli orizzonti di una lonta-nanza infinita, immerso in una immota temporalità abissale. Sempre nel tassili-n-aijer una cultura visionaria, quella dellecosiddette “teste rotonde” – i cui dipinti vengono fatti risalirea una fase di optimum climaticum (Vii millennio) – è caratte-rizzata da un’arte densa di scene popolate da esseri fluttuanti,dispersi in uno spazio fluido che sembra azzerare, insieme allagravità, ogni naturale distinzione fra l’umano e l’animale, ilreale e l’irreale.23 il paesaggio intorno è visionario (Fig. 38).

Figura 37

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alle origini dell’arte 33

le stratificazioni rocciose, erose per millenni dagli agenti na-turali, hanno formato fiabesche città morte con le vie squadrate,i colonnati minerali e gli archi di pietra battuti dal vento e dallaluna. “aujourd’hui – scrive Henri lhote – tout cela est vide etil y règne un silence oppressant. autrefois, par contre, ces cou-loirs étaient autant de rues habitées, car la plupart des falaisessont érodées à la base et présentent d’assez profondes excava-tions qui offraient des abris naturels aux populations primitives.Celles-ci ont disparu mais elles ont laissé leur trace sur les pa-rois de leurs anciennes demeures, couvertes de centaines depeintures”.24

immerso in questa scenografia onirica, anche il mondo animaleconosce strane metamorfosi. a strapiombo su Jabbaren, lhoteha rilevato una splendida antilope (105 x 130 cm.), dipinta in

Figura 38

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34 Morfologia dell’immaginario

rosso e bianco, con il corpo possente di ele-

fante e dalla postura vagamente antropo-

morfa (Fig. 39).

A Timenzouzine figure sospese tra l’umano

e il teriomorfo (Bovidiano 6.000-4.000 BP)

si confondono con animali decisamente rea-

listici. Nel Messak (Fezzàn libico) fanno la

loro comparsa, accanto agli zoomorfi, ibridi

orrorifici, con il corpo umano e la testa di ani-

male25 (Fig. 40).

L’Africa australe è probabilmente la regione

del mondo più ricca di arte rupestre. La mag-

giore concentrazione si trova seguendo la

Valle del Rift, sulle montagne, in ripari sotto

roccia collocati spesso ad alta quota. La Tan-

zania (distretto di Kondoa e di Singida) e la

Namibia hanno restituito un patrimonio in-

gente di pitture, spesso con sovrapposizioni

che rilevano un’estensione temporale molto

ampia. In Sud Africa, l’arte dei Boscimani

del Drakensberg rivela aspetti di particolare interesse, soprat-

tutto alla luce dei raffronti che è possibile fare tra le pitture che

Figura 39

Figura 40

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Alle origini dell’arte 35

si sono conservate e le raccolte et-

nografiche dei miti. Siamo dinanzi

a una espressione figurativa molto

antica: i primi dipinti

potrebbero risalire alla

fine del Pleistocene.

Un carattere im-

materiale, fuori del

tempo, caratterizza

molte scene dipinte,

testimonianza straordi-

naria di una cultura scia-

manica durata centinaia

di millenni. Pensiamo alle

figure vagamente pisciformi

della Provincia di Capo Occiden-

tale (Sud Africa). Alcuni studiosi

hanno avanzato l’ipotesi che si

tratti di sciamani della pioggia sul

punto di trasformarsi in uccelli o in

pesci (Fig. 41).

Le pitture e le incisioni sudafricane,

oggetto degli studi di David Lewis-

Williams hanno evidenti caratteri ma-

gico-sciamanici.26 Di nuovo, siamo di-

nanzi a raffigurazioni che fondono ele-

menti naturalistici (animali col man-

tello rosso-bruno e bianco, scene di

danza di uomini rosso-bruno con la

testa bianca) con una sensibilità mar-

catamente visionaria (figure bizzarre

e incontri portentosi) in cui i confini

tra la veglia e il sogno, fra il mondo

dei vivi e il mondo degli spiriti e dei

defunti tendono costantemente a in-

crociarsi e a confondere i loro percorsi

(Fig. 42) (Fig. 43).

Figura 41

Figura 42

Figura 43

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36 Morfologia dell’immaginario

la grande antilope del Capo è oggettodi infinite raffigurazioni, colta sia neisuoi splendidi tratti naturalistici siatrasfigurata (“antilope volante dellatrance”), proiettata in un orizzonte vi-sionario e allucinato, libero da ognivincolo realistico (Fig. 44) (Fig. 45).Come l’europa e l’africa, anchel’asia – dalla Siberia al sub-conti-nente indiano – possiede un conside-

revole patrimonio artistico delle origini. Se la Siberia conservale più antiche testimonianze delle prime culture di cacciatori-raccoglitori paleolitici, nel cuore dell’india le innumerevoligrotticelle del madhya pradesh documentano una delle più ri-levanti concentrazioni di arte rupestre mondiale. anche qui,l’ordine di successione degli stili consente di individuare unaestensione temporale molto ampia, daicacciatori arcaici fino alle espressioni re-ligiose e rituali recenti. le più antiche pit-ture rappresentano, per lo più, grandi fi-gure animalistiche mescolatead antropomorfi di piccole di-mensioni e a segni geometriz-zanti.

Figura 44

Figura 45

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alle origini dell’arte 37

per quanto riguarda l’australia, è probabile che il suo primopopolamento sia avvenuto fra 60.000 e 50.000 anni fa (r.g.roberts), anche se la testimonianza più antica di arte rupestrea oggi rinvenuta – i tracciati serpentiformi della grotta di Koo-nalda (australia meridionale) – datata in modo indiretto dai fo-colari 20.000 Bp, è relativamente recente. nel Kimberley, però,nel riparo di Carpenter’s gap un frammento di roccia dipintodi ocra rossa staccatosi dal soffitto è stato rinvenuto in unostrato datato 39.700 ± 1.000 e 39.220 ± 870 Bp. in ogni caso,la datazione dell’arte rupestre australiana registra ancora ogginon poche difficoltà dovute, fra l’altro, alla abitudine millenariadegli aborigeni di ridipingere le loro creazioni magiche durantele cerimonie (Fig. 46). pitture e incisioni, disseminate in di-verse aree, presentano grandi insiemi stilistici, convergenze fi-gurative e tematiche e aspetti più particolaristici e regionali.anche qui, stili figurativi attenti alla verosimiglianza anatomicae strane deformazioni (volti senza bocca,creature filiformi o raffigurazioni enormidi esseri mostruosi) vanno a comporreun mosaico espressivo estremamente ar-ticolato (Fig. 47). la prima colonizzazione da parte del-l’uomo del continente americano è avve-nuta probabilmente per successive on-date dall’asia durante la fase dell’ultimaglaciazione in cui la Siberia e l’alaskaerano collegate da un largo ponte di terra(Beringia) a steppa e a tundra (25.000-15.000 Bp). Su questa ricostruzione nonvi è, però, accordo fra gli studiosi. Se-condo alcuni archeologi, le più antichepresenze antropiche nel continente risa-lirebbero a un periodo più remoto e sa-rebbero testimoniate da un insediamentonel nordest brasiliano datato 40.000 Bp.anche per il messico sono state avanzatedatazioni di insediamenti associati a una Figura 47

Figura 46

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38 Morfologia dell’immaginario

produzione di choppers anteriore a 30.000 Bp. (r.S. mac-neish). Si tratta di attribuzioni molto alte e non unanimementecondivise. presenze più attendibili si trovano, invece, in argen-tina, in Cile e in patagonia dove numerosi accampamenti dicacciatori preistorici risalirebbero a 20.000 e 12.000 Bp. Se ilpopolamento dell’america è avvenuto da nord a Sud, questofarebbe, in ogni caso, pensare alla presenza di insediamenti set-tentrionali più antichi. l’arte rupestre americana, pur differen-ziandosi da regione a regione, anche in maniera marcata, è ca-ratterizzata, nel complesso, da tratti fortemente visionari e al-lucinati. ancora oggi, per numerose popolazioni indigene delcontinente, i graffiti e le pitture sulle rocce non rappresentanosolo il patrimonio fossile di un passato remoto, ma una presenzaviva, legata a tradizioni che continuano a conservare un signi-ficato rituale e cerimoniale (Fig. 47).Serpenti con le corna di antilope e di cervo, grandi antropo-morfi cornigeri con le braccia alari e spiriti orrorifici popolanoi massi erratici e i ripari sotto roccia, spesso mescolati a un’esu-berante proliferazione di segni aniconici, quei segni che, in-sieme alle figure ibride, costituiscono una delle presenze piùenigmatiche e generalizzate dell’arte rupestre di tutti i conti-nenti (Fig. 48).

Figura 48

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Linee pArALLeLe, circoLi, punteggiature, reticoli, griglie ezig-zag sono una presenza costante e generalizzata delle

prime forme d’arte; adornano i reperti mobiliari, si confondonocon le figure animalistiche dei ripari sotto roccia e dei massierratici, circondano gli antropo-zoomorfi delle grotte profonde,dominano intere pareti. nel paleolitico francese sono, però, pra-ticamente inesistenti caverne dove compaiono soltanto formeaniconiche. È il caso della Grotte du cantal (Lot) ornata di solisegni, con l’eccezione di un’esile protome di stambecco. nelresto del mondo ci sono invece numerosi esempi di siti con isto-riazioni esclusivamente astratte. pensiamo alla Grotta di Koo-nalda nel sub-continente australiano, al sito di La Gruta dos mi-lagres in Brasile o a certe grotticelle del malawi. in alcuni casi,i segni aniconici fanno la loro comparsa in maniera isolata, perlo più nei diverticoli e nei cunicoli, in altri si organizzano inraggruppamenti apparentemente caotici e casuali, in altri ancorasembrano suggerire una disposizione ordinata e intenzionale.Se andiamo molto indietro nel tempo, la prima testimonianzadell’attività grafica dell’uomo è rappresentata da due paralle-lepipedi di una decina di centimetri di ocra rossa, levigati e in-cisi con una punta di selce, rinvenuti nelle campagne di scavodirette da christopher henshilwood nella Grotta di Blombos(Sud Africa), sulle sponde dell’oceano indiano27 (Fig. 49). La datazione molto alta, fra 77.000-70.000 Bp, conferisce ai re-perti un carattere di assoluta eccezionalità. Siamo dinanzi allapiù antica intenzionalità grafica a noi giunta, una intenzionalitàche si esprime attraverso segni regolari e geometrici. Su unodei due blocchetti, le linee si intersecano in modo ritmico e re-golare, componendo motivi a rombo delimitati, in alto e inbasso, da linee parallele e da un segmento centrale che taglia ipunti di incrocio degli angoli. negli stessi strati di rinvenimentosono presenti migliaia di frammenti d’ocra – usati probabil-mente come pigmenti – insieme a punte di lancia, oggettid’osso e conchiglie forate, dipinte di rosso. La Grotta di Blom-bos, per la sua datazione, costituisce un unicum, anche se è pro-babile che scoperte analoghe possano contribuire in futuro adarricchire la nostra conoscenza dei primordi. relativamente nu-

3. Forme Aniconiche

Figura 49

Alle origini dell’arte 39

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40 Morfologia dell’immaginario

merose sono invece le testimonianze del grafismo incipientedel neanderthal. L’abbondante ocra rossa nei suoi insediamentifarebbe supporre l’esistenza di una attività pittorica, forse susupporti deteriorabili, andata perduta. Alcuni frammenti mine-rali evidenziano una levigazione che ne attesterebbe l’utilizzocome pigmenti.28 nella stazione musteriana del loess di rhein-dalen (Germania), in uno strato della fine del riss, anteriore a120.000 Bp, è stata rinvenuta una placchetta di quarzite con unincavo che doveva servire per polverizzare l’ocra.29 La Grottadi raj (polonia centrale) ha restituito, in due strati musteriani(70.000-60.000 Bp), una copiosa presenza di ematite insiemea diversi macinelli di granito con tracce di ocra.30 resta da ca-pire se questi ritrovamenti di materia colorante siano di per sésufficienti a dimostrare l’effettiva presenza nelle culture nean-dertaliane di una attività figurativa. Di fatto, la documentazionearcheologica, alla luce delle attuali acquisizioni, non è in gradodi confermarlo. Vi sono invece coppelle scavate nella pietra,come nel caso di La Ferrasie (Dordogna) (Fig. 50) e ossa incisecon segni astratti e geometrizzanti. Anche qui, però, non è sem-plice distinguere fra segni intenzionali e tracce involontarie diattività di lavorazione o di scarnificazione – mediante strumentilitici – su ossa impiegate come piani d’appoggio. Gli scavi nella stazione di Tata (100.000-80.000 Bp) in Unghe-ria hanno portato alla luce, insieme a una industria litica di tipocharentiano, una placchetta d’avorio subovale, levigata lungotutto il perimetro e modellata con cura. possiamo pensare a unoggetto “simbolico” non finalizzato a un uso pratico, ma po-trebbe trattarsi di un lisciatoio. nello strato 12 della Grotta diBacho-Kiro – anteriore a 42.000 Bp (Bulgaria) – è stato rinve-nuto un frammento osseo di notevole interesse (Fig. 51). inquesto caso, le incisioni non possono che avere un carattere in-tenzionale. La linea ritmica zigzagante è stata eseguita con unbulino via via spostato a seconda dei tratti ascendenti e discen-denti del motivo.ma lasciamo il grafismo incipiente (o pre-figurativo secondola definizione di Breuil) del neanderthal e veniamo all’Homo

sapiens sapiens. La sua emergenza ha determinato una vera ri-

Figura 50

Figura 51

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Alle origini dell’arte 41

voluzione simbolica. Laddove giunge, la nostra specie portacon sé un patrimonio di immagini graffite e dipinte con straor-dinaria maturità espressiva. come scrive Salomon resnik,“ogni avventuriero dell’immaginario e del fantastico porta consé le proprie immagini, i propri simboli, i propri eídola”.31 Sitratta per lo più di figure animalistiche. Lungo il corso del pa-leolitico superiore, gli stili variano nei luoghi e nel tempo ma,nel complesso, ci troviamo dinanzi a una notevole omogeneitàdei temi e a una sensibilità marcatamente realistica. Questaesplosione figurativa è accompagnata, però, fin dalle sue primefasi, da una presenza ricorrente di forme aniconiche e geome-trizzanti. nel paleolitico francese le grotte che non presentanosegni aniconici sono assai rare (mayrière supérieure, La mag-delaine). Alcuni segni hanno un carattere regionale, limitato adaree e fasi stilistiche specifiche (tettiformi, claviformi), altri in-vece (meandri, spirali, cerchi concentrici, labirinti, zig-zag) siripetono in maniera ampia e generalizzata. per questi è possi-bile ipotizzare un’emergenza autonoma da ogni diffusionismoe probabilmente connessa a elementi fondamentali della strut-tura logica o neurologica umana. È del tutto impensabile rico-struire qui, anche per sommi capi, un fenomeno grafico di que-sta portata. ci limiteremo a evidenziare alcune presenze parti-colarmente significative. La prima testimonianza di arte parie-tale europea (e probabilmente non solo europea, anche se al-cune datazioni sudafricane e australiane potrebbero riservaresorprese) è la Grotta chauvet (Ardèche) (32.000-29.000 Bp)studiata da Jean clottes e dai suoi collaboratori.32 con i suoieccezionali repertori animalistici, la caverna aurignaziana do-veva rappresentare il primo grande santuario di tutto l’occi-dente. Leoni, rinoceronti, cavalli selvaggi sfumati con il car-bone di legna si inseguono sulle pareti delle stanze più interne.Le campiture scure danno un rilievo del tutto particolare ai det-tagli anatomici delle teste (occhi, orecchie, criniere, corna),mentre i contorni dei corpi, spesso incompleti, conferisconoall’insieme dei pannelli istoriati un paradossale dinamismo cri-stallizzato. i segni aniconici, di ocra rossa, si trovano nelle saledella grotta più vicine all’entrata, dove compaiono strane forme

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42 Morfologia dell’immaginario

alari, punteggiature e puntoni impressi con il palmo della mano.Al periodo aurignaziano risalgono anche i reperti d’arte mobi-liare delle grotte del Giura Svevo, nella regione del Danubiosuperiore. Le statuette d’avorio di mammut della Grotta di Vo-gelherd a Stetten-ob-Lontal (35.000-30.000 Bp), ripropongonoil medesimo bestiario della Grotta chauvet: cavalli, mammut,bisonti, rinoceronti, felini (Fig. 52). come nella caverna fran-cese, anche qui sono dominanti gli animali pericolosi o in at-teggiamento aggressivo. Lo stile compatto, ma dinamico, dellestatuette è, anche in questo caso, realistico. Gli animali, di pic-cole dimensioni – dai 5 ai 7 centimetri “a misura di mano” –presentano tracce di ocra rossa e recano incisi segni geometriz-zanti che non hanno alcuna relazione naturalistica con i parti-colari anatomici, col pelame o con la muscolatura. Si tratta dicrocette, di punti, di marcature che dovevano probabilmente ri-vestire un significato magico. “L’arte aurignaziana dell’AltoDanubio – scrive Janusz K. Kozlowski – appare quindi comeespressione di una magia tramite la quale ci si appropriava dellaqualità degli animali, forse assicurando in questo modo il suc-cesso della caccia.”33

Dalla stazione di malt’a, in Siberia, proviene una placchettaaurignaziana (30.000 pB circa) con perforazione centrale chereca su un lato un’incisione puntiforme a spirale, contornata damotivi periferici spiraliformi, e sull’altro linee zigzaganti e ser-pentiformi (Fig. 53). Un forte impulso all’astrazione caratterizza numerosi repertid’arte mobiliare dell’europa orientale e settentrionale. Un casoparticolarmente eclatante è offerto dalla cultura di mezin, anord del mar nero sul fiume Desna (Ucraina occidentale)(17.000-15.000 pB circa). Siamo dinanzi a una produzione suavorio estremamente raffinata che si caratterizza per l’esube-ranza decorativa dei suoi manufatti, dovuta a una sorta di pro-cesso di generazione e moltiplicazione di motivi ornamentalisemplici e simmetrici (Fig. 54).

Figura 52

Figura 53

Figura 54

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Questa propensione aniconica si manterrà, in modo più o menomarcato, per parecchi millenni. Anche l’arte mobiliare nordicadelle culture postglaciali (maglemosiano, Viii-Vii millenniocirca), soprattutto in Svezia e Danimarca, si caratterizza per lapresenza di motivi geometrici accanto a zoomorfi naturalisticio schematici.34

ma torniamo all’area franco-cantabrica, la più ricca in assolutodi caverne profonde istoriate. A rouffignac (Dordogna), lunghi meandri digitali solcano lepareti d’argilla e i soffitti. hanno un andamento serpentino; al-cuni tracciati paiono una rivisitazione delle unghiate lasciatedagli orsi prima del letargo, altri si sviluppano intorno alle mor-fologie naturali, si allineano o si ripiegano in curve flessuose.Ad Altamira (Spagna), fra le linee flessuose che corrono lungoil soffitto di una sala è possibile scorgere il muso di un cavallo(Fig. 55a) (Fig. 55b). Secondo Breuil, da questi percorsi delledita, lasciate scorrere in modo quasi casuale sulle pareti molli,sono emerse le prime forme figurative: un tratto curvo ha dato

Figura 55a

Figura 55b

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44 Morfologia dell’immaginario

Figura 56a

Figura 56b

vita al profilo di un cavallo, un tratto più ampio alla linea cer-vico-dorsale di un bovide. Fra i tracciati digitali del soffitto ar-gilloso di pech-merle si possono scorgere figure femminili (le“donne-bisonte” di Leroi-Gourhan) e il profilo di un mammut(Fig. 56a) (Fig. 56b).Secondo h.Breuil e L.Berger-Kirchner, le origini dell’arte fi-gurativa vanno ricercate “nelle linee tracciate con più dita ocon spatole dentate nell’argilla delle grotte. Queste linee chia-mate “maccaronis”, inizialmente del tutto caotiche, rappresen-tano in molti luoghi sulle pareti delle grotte la più antica scrit-tura “ideografica” e debbono anche risalire anche cronologica-mente all’Aurignaziano medio. probabilmente trattavasi ini-zialmente per l’uomo aurignaziano di un puro atto di imita-zione, che più tardi si trasformò in forme sempre più complicatesinché si definì una determinata immagine intenzionale; all’ini-zio solo inabile e goffa, l’immagine dell’animale nel corso dilunghi esercizi diventa semplice e chiara. Ben presto le dita fu-rono sostituite da uno strumento atto ad incidere, con l’aiuto

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Alle origini dell’arte 45

del quale l’uomo imparò anche a tracciare linee sulla dura roc-cia. Begli esempi si trovano ad Altamira e Gargas, dove all’im-provviso dall’intrico delle linee tracciate nell’argilla sorgono icontorni ben riconoscibili della testa di un animale”.35 in realtà,questi tracciati sono presenti nelle grotte più antiche come nellepiù recenti e più che precedere l’attività istoriativa sembranoaccompagnarla per tutto il paleolitico. “h. Breuil – scrive henriDelporte – pensait plus anciennes et primitives les oeuvres lesmoins élaborées; c’est ainsi qu’il attribuait à l’Aurignacien lestracés digitaux du plafond des hiéroglyphes de pech-merle(Lot), tracés qui sont en fait bien plus récents”.36

Una presenza altrettanto generalizzata è costituita da segni dallafisionomia geometrizzante più decisa e squadrata (angolari, areticolo, a nastro, a griglia, a scala e a scacchiera) che compa-iono in molte grotte sia francesi che cantabriche. A Lascaux griglie forcute, poste accanto agli animali, paionotrappole per impigliarne la corsa (Fig. 57). Una griglia puntutacompare anche a Gabillou accanto al corpo flessuoso di unadonna. (Fig. 58). Difficile pensare che si tratti di una trappola.nella lunga galleria di una zona profonda della grotta spagnoladi el castillo (Santander), punteggiature e linee d’ocra rossa sisviluppano a cascata, combinandosi in forme strutturate, si af-fiancano a motivi quadrangolari, si replicano intorno alle fen-diture delle pareti o ne seguono le protuberanze naturali(Fig. 59).

Figura 57

Figura 58

Figura 59

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46 Morfologia dell’immaginario

“Si può notare – scrive Louis-rené nougier – una ricerca ditipo geometrico, con l’uso di forme regolari, come il rettangolo,la fascia, gli assi, le mediane, il tratteggio regolare”.37 ricor-dano i reticolati neri della Grotta di Las chimeneas (puenteViesgo, Spagna) o i motivi scaliformi della Grotta di Altamira(Santander). Gli stessi segni ricompaiono quasi identici nell’arte rupestre dizone lontane migliaia di chilometri, come sulle pareti dellaGruta dos milagres in Brasile (Fig. 60) (Fig. 61).nella Grotta niaux (Ariège), una caverna dipinta col carbonedi ginepro che si segnala per lo straordinario naturalismoespressivo del suo bestiario, punteggiature scure e barre rosseritmano la superficie dei pannelli, scandendone gli spazi, quasifossero un invito a una conta: due sbarrette, quattro punti, seilinee…ma è un rompicapo di cui non si riesce a cogliere la logica disuccessione (Fig. 62) (Fig. 63).

Figura 60

Figura 62

Figura 63

Figura 61

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La stesso discorso si può ripetere per l’arte parietale del ver-sante Spagnolo (cueva del pindal, Asturie) (Fig. 64).A volte, i segni geometrici sono associati alle figure zoomorfe,come nel caso delle punteggiature che compaiono nel diverti-colo della Grotta di Lascaux sotto un cervide dalle strane cornache paiono slanciarsi verso l’alto (Fig. 65). Sono braccia sche-letriche che protendono grandi mani magiche dalle dita incre-dibilmente affusolate?in altre grotte, i segni si mescolano in maniera caotica agli ani-mali. in altre ancora, si sovrappongono in modo ordinato e re-golare quasi a suggerire un linguaggio cifrato. È il caso deisegni a p incisi su un cavallo di Les Trois Frères o dei segnirossi tracciati sul corpo di un bisonte della Grotta di marsoulas(Fig. 66). Sempre nella Grotta di Les Trois Frères, un orsodel pannello del Santuario, non lontano dallo“stregone danzante” e dall’“uomo-bisonte“ recaincisi su tutto il corpo quasi 200 piccoli cerchieseguiti con minuziosa perizia (Fig. 67). L’ani-male sembra sanguinare dalle fauci aperte e dalnaso. È ferito a morte o evoca un fenomenosciamanico ben testimoniato dalle pitture rupe-stri del Drakensberg?

Figura 64

Figura 65

Figura 66

Figura 67

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48 Morfologia dell’immaginario

Un discorso a parte meritano le bacchette di osso (magdale-niano iV) profondamente incise sulla parte concava, rinvenutenumerose in alcune grotte pirenaiche: isturitz e Arudy (Basses-pyrénées), Lespugne (haute-Garonne), Lourdes (hautes-pyré-nées). Queste bacchette affusolate del tardo magdaleniano, a sezionesemicircolare (“bacchette semitonde”), presentano motivi or-namentali curvilinei molto complessi (spirali semplici, spiralidoppie inverse, cerchi concentrici e raggiati) di oscura decifra-zione (Fig. 68). È interessante rilevare che il motivo a spiralefa la sua comparsa solo in questa fase finale del magdale-niano – che vede in tutta europa un grande sviluppo delle de-corazioni aniconiche – senza alcuna anticipazione nelle cultureprecedenti.Di notevole interesse è il rinvenimento di tre pietre dipinte delriparo di Villabruna nelle Dolomiti venete (italia), scavato estudiato da Alberto Broglio.38 il riparo ha restituito la sepoltura(12.000 Bp circa) di un giovane adagiato in una fossa con uncorredo funebre di strumenti litici e di osso. Sull’interramentosono state rinvenute numerose pietre di riporto. Due presentanomotivi dipinti di colore rosso: uno a bande, l’altro “iperantro-pico” avvicinabile ai decori più tardi (neolitici) dell’area iberica(Fig. 69). Scrive Antonio Beltrán “el estilo ‘linear-geométrico’que se extiende por todo el territorio donde después aparecióel ‘levantino’, que se pintó sobre aquél y aprovechó los espa-cios y sacralizaciones anteriores presenta esencialmente trazosen forma de espina de pescado, zig-zags, angulitos, líneas pa-ralelas, con ausencia total de elementos figurativos, cronólogi-camente anteriores al mundo ‘levantino’ y sin el menor paren-tesco con el arte paleolítico ni posibilidad de conexión con éldesde un punto de vista estilístico, siendo impresionante el pa-ralelismo con los esquemas sombre cantos rodados del epigra-vetiense final italiano que se denuncia en el riparo VillabrunaA, de los Dolomitas”.39

La terza pietra, rinvenuta nel deposito antropico al di fuoridell’area di sepoltura, presenta motivi alberiformi. Sempre all’italia, ma a una fase successiva (10.000 Bp circa),

Figura 68

Figura 69

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appartiene la pietra dipinta con segni a pettine della Grotta ro-manelli sulla costa orientale della penisola salentina (Lecce)(Fig. 70a) (Fig. 70b). Anche a mas d’Azil, nei pirenei francesi, sono stati rinvenutialcuni piccoli ciottoli dipinti con motivi geometrici datati in-torno a 11.000-9.500 Bp (Fig. 71). La loro tipologia è moltosimile ai ciottoli, assai più recenti, della Grotta della madonnae della Grotta della Serratura in puglia attribuibili all’Viii-Viimillennio (Fig. 72).Sui ciottoli di mas d’Azil la ricorrenza del numero tre, del quat-tro e della loro somma pare, di nuovo, un invito a contare. neglianni sessanta, marie König ne ha dato una lettura in chiaveastrale, ponendo in relazione questi segni con una concezionecosmica superiore legata alle fasi lunari.“en europe, l’homme mésolithique était aussi chasseur; maisil n’exprimait plus sa croyance à l’aide d’images (…). Avec lapeinture rouge, il dessinait ces idéogrammes anciens sur desgalets qu’il déposait dans les cavernes du culte paléoli-thiques – dans la grotte de mas d’Azil (Ariège) par exem-ple.(…). Le statut de l’espace et du temps se retrouve sur ces

Figura 70a

Figura 70b

Figura 71

Figura 72

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50 Morfologia dell’immaginario

galets et est marqué par des points ou des traits: ainsi nous yvoyons trios points, quatre lignes parallèles et des

lignes croisées; ou bien la simultanéité de ces deuxconcepts, c’est-à-dire l’addition de trois et de qua-tre s’exprimant par sept traits parallèles”.40

Questo strano linguaggio dei segni è presentenell’arte rupestre di tutti i continenti.Se torniamo in Africa, le prime testimonianze

pre-neolitiche a noi note sono costituite dalle in-cisioni geometrizzanti dei gusci di uova distruzzo attribuibili al capsiano (12.000-8.000Bp) (Fig. 73). nell’arte rupestre del malawi un particolare in-teresse è costituito dal cosiddetto “complessorosso-schematico” di numerose grotticelle chepresentano motivi esclusivamente astratti: linee,

spirali, circoli concentrici o raggiati, grate, probabile opera diuna popolazione pigmea stanziata nel territorio prima dell’ar-rivo dei Bantu (Fig. 74).

Figura 73

Figura 74

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Alle origini dell’arte 51

Desmond clark ha ipotizzato che si tratti di simboli legati alculto della pioggia.41

in altre zone dell’Africa australe, la mescolanza di forme ico-niche e di segni astratti può essere indicativa di fasi istoriativediverse. Un esempio notevole è il pannello dipinto di Kolo inTanzania che evidenzia numerose sovrapposizioni di stili a te-stimonianza della straordinaria estensione cronologica delle pit-ture rupestri della regione42 (Fig. 75).Fra le catene del Drakensberg (Sud Africa), l’accostamento ela fusione di segni e di immagini bizzarre è ricorrente. Grandiantilopi sono collegate, in una sorta di simbiosi magica, a figuredi sciamani da lunghe linee sottili e puntiformi accuratamentetracciate. Antropo-zoomorfi dal corpo umano, con gli zoccolie la testa di antilope, sono circonfusi di piccoli segmenti e dipuntini bianchi (Fig. 76).

Figura 75

Figura 76

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Linee flessuose e a zig-zag circondano gli animali o si sostitui-scono agli arti degli antropomorfi. in Australia, il sito probabilmente più antico, la grotta calcareadi Koonalda (Australia meridionale) presenta, a circa 300 metridall’entrata, numerosi tracciati digitali di carattere serpenti-forme e a cerchi concentrici, molto simili a quelli delle grottefranco-cantabriche (datati indirettamente dai focolari 23.000-15.000 Bp). nel complesso, i diversi insiemi stilistici del sub-continente australiano che testimoniano di una creatività chedalla preistoria è giunta fino ai giorni nostri, comprendono siasegni aniconici che figure realistiche e bizzarre.41 in alcunezone, prevalgono gli stili naturalistici (anche se con marcatitratti fantastici), come nelle regioni settentrionali (Kimberley,Terra di Arnheim, Queensland) e nelle regioni sud-orientali, inaltre zone domina uno stile lineare e geometrico, come nelleregioni sud occidentali e centrali, in altre ancora gli stili si fon-dono o convivono (regioni centro-occidentali). Dove prevalel’arte aniconica, in molti ripari sotto roccia sono ricorrenti im-pronte di animali e cerchi concentrici da cui si dipartono lineerette, ma anche motivi spiraliformi apparentemente caotici(Fig. 77). “Un esame generale dell’arte australiana – scriveAndrea Lommel – ci porta ad alcune conclusioni istruttive. Ve-diamo dapprima che accanto ai gruppi delle opere rupestri conraffigurazioni naturalistiche antropomorfe o zoomorfe, se nepuò porre un altro, caratterizzato da figure geometriche, comese ne trovano nelle regioni occidentali, meridionali e centralie, sporadicamente, anche in quelle orientali. naturalmente frai due gruppi sono avvenute comunicazioni e per questo motivonon possono essere geograficamente divise in modo assoluto.Appare tuttavia che lo stile geometrico delle opere rupestri delmeridione e dell’occidente è concentrico e forse rappresenta laforma più antica dello stile rupestre australiano”.43 con il pro-gressivo sopraggiungere nelle diverse zone del mondo, delleculture a economia mista, le scene dipinte o incise si fanno piùcomplesse. Anche la presenza dei segni subisce un analogo pro-cesso di moltiplicazione, dando vita a una sorta di esplosione

Figura 77

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Alle origini dell’arte 53

Figura 78

Figura 79

grafica (Fig. 78). Le linee, i cerchi, gli zig-zag, le grate si di-spongono intorno alle figure fino a costituire uno sfondo sur-reale in cui strane creature ibride si trovano totalmente immerse(Fig. 79).

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Figura 80

Figura 81

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Alle origini dell’arte 55

cascate di punti, linee percorse da un perpetuo moto ondulato-rio, forme geometriche e girandole dai contorni irregolari po-polano la creatività visionaria dell’arte rupestre di tutto il con-tinente americano (Fig. 80) (Fig. 81). in generale, nell’arte delle origini e nell’arte tribale segni ani-conici, enigmatici e ricorrenti, accompagnano la creativitàanche degli stili più realistici. Grandi cerchioni spezzati, dischiconcentrici, motivi scutiformi, puntiformi, a vortice e a spiralesi affiancano e si sovrappongono alle immagini naturalistichecontaminando i percorsi della visione (Fig. 82).Sono stelle? Sono corsi d’acqua? Sono fulmini? o sono piut-tosto trappole magiche per la nostra capacità di decifrare unmondo che non ci ha lasciato, per comprenderne il senso, altreforme di scrittura?

Figura 82

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capitolo II

emPatIa e astRazIone

aglI InIzI del novecento, di quel secolo che ha visto,con l’affermazione delle avanguardie, una forte pro-pensione dell’arte ad abbandonare i modelli imitativi

della realtà in nome di forme creative pure, l’estetica si è inter-rogata a lungo sulle ragioni che hanno spinto, nel corso deltempo, le tendenze stilistiche verso modalità compositive na-turalistiche o verso espressioni schematiche e aniconiche. nel 1908 esce a monaco – la stessa monaco di Kandinskij edel Cavaliere Azzurro – un breve saggio di Wilhelm WorringerAbstraktion und Einfühlung, destinato a una fortuna inattesa.1

nel termine Abstraktion, le sperimentazioni pittoriche che di lìa poco si sarebbero lasciate alle spalle la tradizione figurativa,avrebbero trovato la loro parola magica, il loro “apriti sesamo”capace di spalancare i nuovi orizzonti espressivi che si anda-vano delineando. In realtà, il giovanissimo autore attribuiva adastrazione un significato non propriamente coincidente con gliintendimenti della ricerca contemporanea. all’interno di unapiù generale riflessione sull’origine e sui caratteri della creati-vità, l’astrazione veniva intesa come il risultato di una sensibi-lità stilistica caratterizzata da un desiderio di presa di distanzadel fare artistico da un mondo naturale avvertito come ingover-nabile e ostile. “l’impulso alla astrazione trova la propria bel-lezza nella dimensione inorganica che nega la vita”.2 si trattadi una tendenza pre-moderna che emerge nelle culture più ar-caiche. secondo Worringer, i segni aniconici, del tutto auto-nomi e indipendenti da modelli naturali, precedono nel tempole raffigurazioni realistiche. nell’astrazione, cioè nella propen-sione del segno verso la purezza lineare, si esprime la volontà

1. ImItazIone e

schematIzzazIone

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dell’uomo primitivo di distaccarsi dalla natura, vissuta comeostile e strapotente. nell’armonia geometrica e cristallina delleforme regolari – forme che individuano nell’inorganico i loromodelli di riferimento – l’animo selvaggio, turbato dalla pre-senza di una realtà esterna caotica e ingovernabile, poteva tro-vare rifugio e rassicurazione compensativa. nella calma ine-spressiva dell’astrazione, il soggetto si ritraeva in sé per pro-teggersi dal potere orrorifico dell’organico. solo in un secondomomento, un’umanità ormai in grado di tenere a bada il mondo,fiduciosa nelle capacità indagative dei sensi, avrebbe potutoabbandonarsi a quel sentimento di immedesimazione (Einfüh-

lung) con la natura che caratterizza gli stili realistici, in una fe-lice consonanza e fusione con i modelli sensibili.“come l’impulso di empatia, quale presupposto dell’espe-

rienza estetica, trova la propria gratificazione nella bellezza delmondo organico, così l’impulso di astrazione trova la propriabellezza in quello inorganico, negatore della vita, nel cristallinoo, in generale, in ogni legge e necessità astratta”.3 l’arte sarebbedunque nata dal bisogno dell’uomo di crearsi rassicuranti im-magini pure per farsi poi sempre più mimetica fino a divenireillusionistica, in un progressivo processo d’immersione nelladimensione naturale, espressione di un sentimento di comu-nanza e d’amore con “la superficie visibile del mondo”.“mentre l’impulso di empatia è condizionato da un felice rap-porto di panteistica fiducia tra l’uomo e i fenomeni del mondoesterno, l’impulso di astrazione è conseguenza di una grandeinquietudine dell’uomo provata di fronte ad essi”.4

a una prima tendenza geometrizzante, di carattere astratto, sisarebbe via via sostituita una creatività sempre più solidale conle forme sensibili. In questo senso, la schematizzazione precedel’imitazione e sta all’origine, in generale, dell’impulso artistico. oggi questa priorità dei segni aniconici nella genesi dell’artenon è più sostenibile. nelle pitture parietali dei cacciatori-rac-coglitori del Paleolitico superiore è dominante la rappresenta-zione naturalistica, mentre è semmai il contesto neolitico, agri-colo e sedentario, che tende alle schematizzazioni geometriz-zanti. già a metà degli anni cinquanta, Ranuccio Bianchi-Ban-

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dinelli aveva sostenuto, riprendendo le tesi di arnold hauser,che “di contro al naturalismo dell’età paleolitica sta dovunqueil geometrismo astratto dell’età neolitica”, un geometrismo ri-conducibile alle concezioni animistiche delle società sedenta-rie.5 anche Worringer si era reso conto, pur nei limiti delle ac-quisizioni archeologiche dei primi del secolo scorso, di questacontraddizione, ma l’aveva risolta semplicemente negando ognivalore artistico alle espressioni parietali e mobiliari paleolitiche.“tutta la produzione del periodo paleolitico (come attestaquanto è venuto alla luce in dordogna, a la madeleine, a tün-gen, ecc.) rivela un modo decorativo che solo in misura limitataattinge a forme geometrico-lineari, evidenziando invece un tipodi ornamentazione improntata a un accentuato e sorprendentenaturalismo (…) ci troviamo quindi in presenza di un feno-meno che contraddice l’evoluzione storica dell’arte. tale con-traddizione però cade se il concetto di arte viene inteso comerazionalmente deve essere. le opere naturalistiche dei trogloditid’aquitania ci danno la felice opportunità di accennare all’as-surdo che si determina quando la storia dell’arte viene identi-ficata con la storia dell’impulso di imitazione, cioè con la ca-pacità manuale di riproduzione. I prodotti che ne derivano sonofrutto soltanto dell’impulso di imitazione e di un sicuro spiritodi osservazione, e di conseguenza pervengono – se ci è con-cesso l’uso di un termine tanto equivoco e deviante – alla storiadell’abilità artistica. nulla invece essi hanno a che spartire conl’arte vera e propria, con l’arte esteticamente accessibile, la cuievoluzione porta, con la stessa logica e la stessa coerenza, tantoalle piramidi d’egitto quanto ai capolavori di Fidia”.6

Queste enormità, peraltro condivise da grandi studiosi del ca-libro di georges Perrot e alois Riegl, possono trovare una giu-stificazione nel clima culturale del periodo. non stupisce chequando nel 1848 fu rinvenuto nella grotta di chaffaud (Fran-cia) un osso con l’incisione di una cerva fu ritenuto “celtico”.Quando Worringer scrive le sue considerazioni sull’arte prei-storica – la prima stesura è del 1907 come tesi di laurea – sonopassati appena cinque anni dal “mea culpa d’un sceptique” ap-parso su “antropologie” nel 1902, in cui uno dei più insigni

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studiosi del tempo, l’archeologo Émile de cartailhac ammet-teva le sue gravi responsabilità nell’aver negato per vent’annil’autenticità dei dipinti della grotta di altamira in cantabria,scoperti nel 1879 da un nobiluomo spagnolo, marcelino desautuola. “Un’ingiustizia che dev’essere riconosciuta e per cuiè necessario fare pubblica ammenda”. Questo fraintendimentoaveva portato i suoi colleghi (che pure non potevano non co-noscere il centinaio di reperti preistorici raccolti nel musée desantiquitées nationales di st.germain-en-laye) non solo a ri-fiutarsi di prendere in considerazione la grotta spagnola, maanche di visionarne i dipinti. anche Worringer tende a escluderedal proprio orizzonte indagativo il Paleolitico, considerato ununicum ancora al di là della emergenza dell’impulso artistico eirretito in uno stadio pre-estetico, estraneo allo sviluppo deglistili e sostanzialmente dominato dalla “abilità” manuale. nelgiro, però, di pochi decenni la situazione muta radicalmente,mentre i rinvenimenti si susseguono a ritmo serrato. a cent’annidalla pubblicazione di Abstraktion und Einfühlung, anche allaluce di scoperte recenti del tutto straordinarie – pensiamo sol-tanto alle pitture e ai graffiti aurignaziani della grotta chauvet– si può affermare che astrattismo e naturalismo non sono mo-menti separati e antitetici della sensibilità creativa delle origini,ma modalità espressive compresenti nell’arte preistorica findalle sue prime manifestazioni. almeno fin dalle prime mani-festazioni a noi note. se effettivamente nell’universo artisticoil pendolo dell’astrazione e dell’empatia ha conosciuto oscilla-zioni a favore dell’uno o dell’altro polo, la stilizzazione e il rea-lismo non vanno intesi come attitudini espressive opposte e an-titetiche, ma come momenti complementari. Potremmo dire cheil complesso meccanismo della genesi della creatività è unitarioanche se i suoi ingranaggi non girano sempre alla stessa velo-cità. già nel 1927, con una notevole intuizione, olivier leroyaveva colto questo carattere unitario dell’impulso artistico deiprimordi. “I disegni dei selvaggi appartengono per lo più al tipostilizzato. anche nei prodotti preistorici considerati per con-venzione realistici, come le pitture di altamira, non si è copiatopedissequamente il modello; non c’è naturalismo, ma deforma-

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zione astrattiva, semplificazione audace della complessità vi-vente. migliaia di anni prima di goethe, l’artista magdalenianoha capito che doveva essere padrone e schiavo della natura. Ilproblema dell’astrazione nell’arte primitiva non si pone in ter-mini alternativi: rappresentazione diretta da un lato, forma geo-metrica dall’altro. le figurazioni realistiche, anche se superanoin quantità le figurazioni geometriche, non dovrebbero essereaffatto considerate in contrapposizione a quelle astrattive”.7

Worringer riconosceva questi caratteri unitari dell’impulso ar-tistico sia all’arte greca classica, come eccezionale risultato diuna felice sintesi fra la tendenza naturalistica micenea e il geo-metrismo astratto dello stile dipylon, sia all’arte orientale me-dioevale come perfetto esempio di integrazione fra astrazioneed empatia. non però all’arte delle origini. la seconda sezionedel suo saggio, dedicata alle forme ornamentali, presenta ele-menti di maggiore attualità. I motivi decorativi non sarebberoprogressive schematizzazioni di modelli naturalistici preesi-stenti né, tanto meno, risoluzioni grafiche riconducibili a esi-genze tecnico-pratiche, ma forme di sviluppo di precedentiespressioni astratte. si tratta di una posizione innovativa e, in una certa misura, dirot tura. a metà dell’ottocento, in un testo destinato a una grandefortuna, Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten

(1860-1863), l’architetto tedesco gottfried semper aveva formu-lato, partendo da considerazioni mutuate dalle tecniche edifica-tive, una teoria sulla genesi dei motivi geometrico-decorativi de-stinata a egemonizzare il campo della critica d’arte e ad avere unlargo seguito anche fra gli studiosi di arte preistorica e tribale.8

secondo semper, il decoro ornamentale era il risultato di tre di-verse esigenze, una connessa alle finalità d’uso e alla destina-zione degli oggetti (Zweckfunktion), una dovuta alla scelta e allanatura dei materiali impiegati e una – in molti casi prevalente –subordinata ai processi di lavorazione e alle specifiche tecnichedi realizzazione dei manufatti (Verfahrensweise).acquisizioni legate a particolari esigenze produttive possonogiungere a influenzare anche ambiti artistici diversi, apparen-temente lontani ed estranei, come nel caso dei disegni e degli

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ornati delle tessiture che hanno suggestionato la progettualitàarchitettonica. l’arte, in generale, non sarebbe dunque che underivato del mestiere in cui si esprime lo spirito della tecnica.Questa teoria funzionalistico-utilitaristica della decorazione, ein generale delle origini del fare artistico, viene messa in di-scussione, già alla fine del secolo, dal viennese alois Riegl inStilfragen (1893) che, tacciando le teorie di semper di “darwi-nismo trapiantato nel campo della vita spirituale”, vede nel de-coro lineare l’espressione di una “volontà artistica” densa divalenze estetiche storicamente determinate.9 l’arte nascerebbeda un’idea creatrice indipendente, se non antitetica, ai condi-zionamenti materiali. al saper fare di semper, Riegl contrap-pone il voler fare, inteso come impulso originario della creati-vità. anche heinrich Wölfflin, storico dell’arte svizzero allievodi Jacob Burckhardt e di Wilhelm dilthey, esprime, negli stessianni, la convinzione che, anche se i procedimenti tecnici pos-sono influenzare la creatività, è sempre una volontà formale adeterminare l’espressione artistica: la tecnica non creerà maiuno stile.10 Worringer si pone sostanzialmente su questo stessoversante anti-utilitaristico, sostituendo, però, alla riegliana “vo-lontà artistica” (Kunstwollen), l’idea del processo creativocome soddisfazione di esigenze psicologiche collettive. Perquanto riguarda la genesi delle forme astratte, queste non deri-verebbero né dalle modalità imitative della natura, come ancorasosteneva Riegl, né da esigenze dettate dalla tecnica, secondola concezione di semper, ma dagli impulsi psicologici diun’umanità primitiva che va cercando nella regolarità dellelinee uno stato di quiete e una serenità interiore al riparo dallaingovernabilità del fluire accidentale del mondo. lo stesso discorso vale per l’ornamentazione vegetale e ani-malistica. Il decoro vegetale, presente su molta ceramica ar-caica – greca e no – non rappresenterebbe la schematizzazionedi un modello naturale di partenza, ma il risultato di una stra-tegia di fuga dall’organico, una sorta di processo grafico di de-purazione del segno che, semplificando la complessità delleforme naturali, si concentra sulla regolarità delle strutture, cioèsulle leggi interne che governano le scansioni (regolarità equi-

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librio, disposizione intorno al centro, ecc.) delle forme visive.se lo stile geometrico abbandona l’organico per l’inorganico,il decoro vegetale nega l’organico rifugiandosi nella purezzadei suoi ritmi. nell’ornato l’artista non riproduce una foglia,ma la regolarità della sua struttura, potremo quasi dire non ilsuo essere, ma la sua morfologia, la sua idea universale, svin-colata dalla dimensione empirica. Qui effettivamente, in questa sorta di “platonismo” delle formepure, Worringer sembra maggiormente avvicinarsi alla sensi-bilità delle correnti artistiche a lui contemporanee. solo in unsecondo momento, a partire da un’astrazione formale, l’imma-gine potrà farsi carico della intera complessità del mondo or-ganico in un processo di progressiva approssimazione ai dativisivi della realtà sensibile. tale processo potrà avviarsi, però,solo quando una diversa, più fiduciosa predisposizione psico-logica nei confronti della natura avrà preso il sopravvento. lostesso discorso vale per la decorazione animalistica che carat-terizza gli stili dei popoli nordici. anche in questo caso, ciò checonta non è il modello naturale, cioè l’animale in carne e ossa– che pure doveva essere ben presente nella mente degli artisti– quanto le sue particolarità strutturali, prima ancora che sim-boliche: ad esempio, il rapporto fra l’occhio e il becco, o tra leali e il corpo, ecc. (Fig. 83). le complesse forme ornamentalidel mondo nordico, in cui i particolari anatomici sembrano per-dersi in un labirinto di intrecci e di nastri, di nodi e di spirali,non sarebbero, secondo Worringer, il risultato di una progres-siva semplificazione del vivente, quanto piuttosto una sorta di“vivificazione dell’inorganico” che risponde a un bisogno vitaleprofondo: non sono gli animali a schematizzarsi, ma le formeschematiche ad animarsi. negli anni trenta, henri Focillon scri-verà in Vita delle forme che “lo spazio della intrecciatura non èimmobile e piatto: si muove poiché le metamorfosi avvengonoin esso sotto i nostri occhi, non attraverso fasi separate, ma nellacontinuità complessa delle curve, delle spire, dei gambi intrec-ciati”.11 Questi complessi intrecci in cui occhieggiano artigli,becchi e code, rappresenterebbero un tentativo di cattura este-tica della natura, una natura vissuta come estranea e ingover-

Figura 83

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nabile. la genesi delle forme simboliche sembra trovare in que-sta riflessione sull’arte nordica, la sua giustificazione in unasorta di determinismo ambientale curvato in senso psicologico.In effetti, un curioso determinismo che distingue la sensibilitànordica da quella mediterranea, sembra percorrere tutto il di-battito artistico fra fine ottocento e inizi novecento. Il grovigliodi linee che, in una sorta di delirio grafico, caratterizza leespressioni artistiche del medioevo nordico esprime, secondoWorringer, il páthos dei popoli settentrionali, un páthos che pe-netra e anima l’inorganico in un sortilegio estetico teso ad af-fermare un vitalismo che stenta a riconoscersi nel mondo. Èuna inquietudine interiore a spingere l’uomo del nord – co-stretto a vivere fra le nebbie aurorali che precedono il dispie-garsi della solarità – a vitalizzare l’inanimato, come se il suosguardo, offuscato dall’asprezza delle condizioni ambientali,non riuscisse a scorgere nel mondo alcun afflato in grado diconsonare con le sue esigenze di spiritualità. “Il bisogno di em-patia di questi popoli inquieti non sceglie la via più ovvia checonduce all’organico, perché per esso il moto armonico dell’or-ganico non è sufficientemente espressivo, ha bisogno invece diquel páthos misterioso che è proprio dell’animazione dell’inor-ganico”.12 se nelle analisi delle prime forme artistiche, le ri-flessioni di Worringer presentano dei limiti – riconducibili, al-meno in parte, alle pionieristiche acquisizioni archeologichedel tempo – queste hanno avuto, il merito di porre al centro deldibattito dei primi del novecento tre considerazioni rilevantisull’origine dell’arte:1) la radice della creatività artistica, cioè la volontà di dare

forma, rinvia a esigenze psichiche che rispecchiano i conflittidell’anima. l’arte riflette il Weltgefühl, cioè “lo stato psichicoin cui si trova l’umanità, nei diversi momenti storici, nei con-fronti del cosmo e dei fenomeni del mondo esterno”.

2) l’impulso artistico originario è espressione di una grandeinquietudine interiore (“l’immensa agorafobia spirituale”),di un’angoscia esistenziale che tende al suo auto-supera-mento scaricandosi nelle forme.

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empatia e astrazione 65

3) la tendenza all’astrazione è una risposta istintiva e irrazio-nale a una forte ansia di carattere spirituale.

Un influsso indubbio delle concezioni worringeriane si può rav-visare in Italia, pur in un contesto e con intendimenti profon-damente mutati, in un saggio del 1956 di Bianchi-Bandinelliche riprende, fin dal titolo, Organicità e astrazione, gli interessitematici dello storico dell’arte tedesco.13 secondo Bianchi-Ban-dinelli, l’arte realistica e l’arte geometrizzante, organica laprima, inorganica e astratta la seconda, non sono pure opzionistilistiche, ma forme diverse della sensibilità creativa che cor-rispondono a differenti visioni del mondo. mentre il realismoè espressione di una società razionale, capace di accogliere alproprio interno la ricchezza e la complessità della vita, l’astrat-tismo è indice di un pensiero irrazionale e metafisico che tendea irrigidirsi e a chiudersi alle istanze di rinnovamento. l’esempio più significativo a sostegno di questa tesi è affidatoal raffronto fra la monetazione greca del IV secolo a.c. e la mo-netazione barbarica della tarda antichità. In particolare, osser-vando una piccola moneta greca – uno statére di tre centimetridi diametro coniato da Filippo il macedone fra il 359 e il 336a.c. – che reca sul recto il profilo di apollo coronato di alloroe sul verso una biga, Bianchi-Bandinelli rileva il carattere pla-stico della composizione e la perfetta organicità delle immagini(Fig. 84a). avvicinando questa moneta d’oro a una d’argentodel I secolo a.c dei nervii, popolazione gallica degli atrebati,è possibile, invece, notare una dissoluzione delle forme orga-niche e un irrigidimento dei motivi decorativi (Fig. 84b). Que-sta tendenza all’astrazione è una caratteristica di molte monetebarbariche, soprattutto celtiche, rinvenute con particolare ab-bondanza sulle sponde del Reno e del meno; quelle che gli spe-cialisti chiamano “scodelline dell’arcobaleno”. secondo l’ar-cheologo, si può dimostrare come l’immagine del recto dellamoneta dei nervii derivi direttamente da quella greca attraversouna serie successiva di trasposizioni. In effetti, le popolazionibarbariche erano giunte in contatto con le monete greche attra-verso gli stanziamenti commerciali di massalia (marsiglia) giànella prima metà del III secolo a.c. e avevano iniziato a imi-

Figura 84a

Figura 84b

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tarne i motivi, distaccandosi però progressivamente dai modellinaturalistici originali. Questo processo era già stato evidenziatoda max ebert che lo aveva interpretato come una progressivadegenerazione dovuta sia a insipienza tecnica sia a un feno-meno di logoramento dei motivi, tipico delle reiterazioni mec-caniche di un prototipo di cui si perda la memoria.14 ci trove-remmo quindi dinanzi a uno scadimento degli elementi pla-stico-figurativi delle immagini greche nelle imitazioni celtiche.anche per Bianchi-Bandinelli saremmo in presenza, da uncerto punto di vista, di un fenomeno degenerativo, ma di naturadiversa e dovuto ad altri fattori. la tendenza all’astrazione nonsarebbe riconducibile, se non in minima parte, alle incapacitàartistiche dei barbari, ma a una scelta stilistica del tutto coerentecon la loro sensibilità. da parte dei celti – ma anche degli sciti– le forme naturalistiche vengono distorte e abbreviate inten-zionalmente. I raccordi dei moduli compositivi della moneta diFilippo si disgregano e si frantumano nella monetazione celtica,abbandonando il realismo di partenza. “la forma naturalisticanon viene più letta nel suo originario significato di rappresen-tazione di un oggetto determinato, ma nella associazione dimasse, di volumi, di linee che la compongono e che vengonoposte in risalto e fatte vivere in modo autonomo”.15 si assiste auna dislocazione delle forme: la linea degli occhi si geome-trizza; la massa delle guance si fa compatta e rigida, staccandosidall’elemento bocca che, compattandosi con la linea del naso,si sintetizza in una forma semicircolare. anche la figura dellabiga sul verso si dissocia in volute e linee a spirale. “le trasfor-mazioni subite dall’immagine monetale greca nelle immaginimonetali celtiche non sono attribuibili semplicemente a “deca-denza“ o “mancanza di capacità“ (...), ma esse corrispondonoevidentemente a una determinata visione e prassi artistica, chea sua volta si basa sopra una determinata mentalità, del tuttodiversa da quella che si appaga delle immagini naturalistiche,oggettive, organiche: mentalità che sarà a sua volta espressionedi una determinata struttura”.16 I barbari dissolverebbero, dun-que, le forme organiche, cioè realistiche, nell’arte, in quanto sipresentano sulla scena della storia come distruttori della ragione

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empatia e astrazione 67

sia all’interno del pensiero che della società. In conclusione, ilsopravvento degli elementi irrazionali generati dalla decompo-sizione della civiltà antica coincide con il progressivo disfaci-mento delle forme plastiche della precedente arte naturalistica.da un certo punto di vista, avviene un fenomeno analogo aquello che, secondo arnold hauser, si era verificato alcuni mil-lenni prima quando l’arte naturalistica del Paleolitico, un’artemagico-mimetica del tutto aderente alle esigenze concrete deiprimi cacciatori-raccoglitori, era stata soppiantata dall’arteastratta e geometrica dei popoli sedentari, allevatori e agricol-tori, dominati dal timore di forze occulte strapotenti e sopran-naturali. “l’arte paleolitica – scrive hauser – ritrae le cose connaturalezza e con fedeltà, mentre l’arte neolitica contrapponealla realtà dell’esperienza consueta un mondo superiore stiliz-zato e idealizzato. ma così l’arte diventa intellettualistica e ra-zionale: introduce simboli e sigilli, astrazioni e sigle, tipi esegni convenzionali al posto di immagini e figure concrete (...)e così la riproduzione si trasforma a poco a poco in un segnopittografico, la ricchezza delle immagini si perde in uno steno-gramma privo o quasi di valore figurativo”17. tornando alle ri-flessioni di Bianchi-Bandinelli, molto vicine a quelle hause-riane, mentre il realismo si presenta come lo stile artistico mag-giormente rispondente a un contesto sociale razionale, dina-mico e progressivo – il cui punto più alto nell’antichità è rag-giunto dalla grecia classica – l’astrattismo sarebbe la formaespressiva più rispondente alla cultura barbarica, irrazionale sulpiano della visione del mondo e statica sul piano sociale.“l’astrazione formale conduce alla immobilità della geometriacome la metafisica conduce alla immobilità della teologia edella pura contemplazione”.18 a questo teorema corrisponde,per contro, l’esaltazione delle opzioni realistiche, dinamiche eaderenti alla vita nel campo dell’arte, sensistiche e materiali-stiche nel campo del pensiero. mentre la moneta di Filippo ilmacedone esalta l’organicità del realismo greco, le monete cel-tiche esprimono l’astrattismo irrazionale dello spirito barbarico.Una critica lucida e puntuale di queste posizioni, per moltiaspetti problematiche, viene avanzata dall’archeologo e storico

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dell’arte antica ermanno arslan in “Organicità e astrazione”

di Ranuccio Bianchi Bandinelli: una rilettura nel 2000, in cuilo studioso evidenzia i limiti della contrapposizione radicalefra organicità e astrazione avanzata da Bianchi-Bandinelli e sot-tolinea i caratteri “ideali” della raffigurazione “organica” dellamoneta macedone: “Innanzi tutto non viene riconosciuta la na-tura profondamente astratta, in termini filosofici, “idealistici“,dell’immagine greca. la rappresentazione greca partiva da unascomposizione del reale (di tutta la realtà) e dalla sua ricompo-sizione in termini di organicità ideale, in uno sforzo sconvol-gente di astrazione. così la rappresentazione veniva portata allaperfetta autonomia, con una propria vita, diversa da quella na-turale (anche perché con diverse premesse: il materiale, l’im-mobilità, la bidimensionalità ecc.) e con una sua propria orga-nicità”.19 Quanto ai caratteri della monetazione barbarica “ilmondo celtico – prosegue arslan – proprio nelle monete e neiprodotti artistici (...) scomponeva e ricomponeva con propriefinalità espressive, realizzando la commistione di propri speci-fici contenuti ideologici, religiosi, formali. Realizzando, in altreparole, una diversa “organicità”, certamente non naturalistica,ma non per questo individuabile in termini di degenerazione”.20

In ogni caso, potremmo aggiungere, è molto difficile pensarealla grecia del IV secolo come a un mondo di pura razionalità,immune da forti spinte idealistiche e da “contaminazioni” dio-nisiache. ed è curioso che venga portata come simbolo di purarazionalità proprio una moneta col profilo di apollo, il dio chesi manifesta attraverso la “mania”, una follia costitutiva dellasapienza greca. allo stesso modo, non è pensabile la civiltàdegli sciti e dei celti (con tutta l’importanza che quest’ultimaavrà per la nascita dell’europa) come un universo alla deriva,pervaso da un irrazionalismo misticheggiante al quale ci avvi-ciniamo solo per “colta curiosità o per desiderio di evasione dalmondo presente”.21 del resto, il realismo ha conosciuto in Italia,negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mon-diale, nello stesso contesto di pensiero in cui si colloca lo studiodi Bianchi-Bandinelli, una fortuna equivoca, fondata su pre-supposti ideologici difficilmente condivisibili e, in ogni caso,

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estranei allo spirito scientifico della ricerca. nel medesimoorizzonte concettuale di Worringer, riconducibile alla psicolo-gia della forma, si pongono, invece, le riflessioni sull’arte diRudolf arnheim volte a indagare le componenti essenziali delprocesso visivo che entrano in campo nelle dinamiche compo-sitive. a partire dalle acquisizioni della filosofia della Gestalt

intorno ai moduli strutturali che organizzano la percezione(equilibrio, forma, spazio luce, movimento), arnheim sostieneche il vedere sia già di per sé, un atto creativo. analizzandol’impulso iconografico dei bambini e la loro tendenza, da uncerto punto in avanti del loro sviluppo, a tracciare cerchi il piùpossibile perfetti, il grande psicologo e critico d’arte berlineseindividua nell’uomo una propensione innata verso le formesemplici, indipendenti da qualsiasi imitazione della realtàesterna. l’astrazione geometrica è una creazione spontanea, ra-dicata nella mente e nell’istinto dell’uomo: “geometric abstrac-tion is rather a pure self-creation”.22 l’uomo ha una propen-sione istintiva all’astrazione in quanto l’astrazione geometricacorrisponde alle regole di funzionamento dell’intelletto e dellapercezione. ma su questo torneremo nei capitoli successivi.

se la RIFlessIone estetica tra la fine dell’ottocento e gli inizidel secolo scorso si interroga sulla genesi delle forme ani-

coniche, indagando i processi mentali che strutturano la creati-vità e la concettualità umana, su un piano diverso sembra muo-versi, nello stesso arco di tempo, la ricerca etnologica e palet-nologica. Fra gli studiosi di arte preistorica e tribale tende aprevalere una metodologia indagativa saldamente ancorata al-l’analisi dei manufatti e alle loro relazioni con le culture mate-riali di appartenenza. In realtà, anche in questo quadro più par-ticolaristico e attento alla specificità delle singole espressionidella creatività, va affermandosi un paradigma universale chetende a ricondurre i segni astratti e i decori alla semplificazionedi modelli naturali di partenza. I triangoli, gli zig-zag, le losan-ghe e i circoli che ornano i cesti, i tessuti e le ceramiche dei po-

2. ExCuRSuS

etnologIco

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70 Morfologia dell’immaginario

poli tradizionali o che compaiono sui reperti preistorici d’arte

mobiliare e visiva, sarebbero, per lo più, il risultato di una “de-

riva plastica”, cioè la schematizzazione progressiva di forme

naturalistiche che traggono il loro spunto, e insieme la loro va-

lenza simbolica, dalla realtà sensibile, anche quando questa non

è più immediatamente riconoscibile. Questa convinzione sem-

bra risentire degli studi coevi sulla nascita delle scritture alfa-

betiche, un processo che ha visto effettivamente le schematiz-

zazioni naturalistiche (i pittogrammi) subire deformazioni e

semplificazioni sempre più marcate fino a dar vita a segni ste-

reotipi e ripetitivi di carattere convenzionale (grafemi). Questo

paradigma è esplicitamente messo in luce, negli anni cinquanta,

da uno dei maggiori studiosi delle prime scritture, Ignace J.

Gelb. “Il fatto che i disegni geometrici rappresentino l’evolu-

zione delle forme pittoriche può essere provato infine dall’os-

servazione dello sviluppo di qualsiasi scrittura nelle sue fasi

storiche. Tutte le più note scritture antiche, come il sumero,

l’egiziano, il cinese, ecc., hanno sviluppato nel corso del tempo

una forma lineare corsiva generalmente così lontana dalle fi-

gure originali che senza la conoscenza delle fasi intermedie, sa-

rebbe spesso impossibile giungere alla conclusione che la

forma lineare sia una diretta discendenza di quella pittorica”. 23

Ho sempre trovato del tutto straordinario che ancora oggi, ogni

volta che tracciamo l’asticciola della lettera a ricalchiamo incon-

sapevolmente le corna del bue delle prime scritture sinaitiche.

L’esportazione, però, di questo paradigma (dal figurativo al-

l’astratto) ai segni geometrizzanti della preistoria non può che

avere un valore relativo, tenendo conto che il processo che porta

alla nascita della scrittura e alle sue forme di semplificazione ri-

sponde a un’esigenza – prevalentemente anche se non esclusi-

vamente – comunicativa e convenzionale, mentre non è per nulla

scontato che i segni aniconici delle grotte istoriate o dei reperti

d’arte mobiliare possano essere inseriti in una rete intenzionale

di carattere relazionale (fosse anche una relazione con gli spiriti).

D’altro canto, segni lineari e geometrizzanti sono presenti anche

nella tradizione artistica dei popoli senza scrittura e nell’arte ru-

pestre tribale. Anche in questo caso, Gelb li interpreta come

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forme di scrittura incipiente, “risultato dello sviluppo schematicodi figure reali”, ponendoli sulla stessa linea che porta dai pitto-grammi agli stereotipi della grafia. In effetti, nelle manifestazionimobiliari e visive dei popoli tradizionali compaiono, in manieraricorrente, forme geometrizanti – meandri, spirali, zig-zag, punti,reti, cerchi, aste ecc. – isolate o in associazione con figure rico-noscibili che presentano non poche analogie con la sintassi com-positiva dell’arte delle origini. gli antropologi hanno attribuito a questi segni valenze diverse:decorative, magiche, informative, commemorative, mnemoni-che, a seconda dei differenti contesti, sottolineandone, però, ilcarattere generale di “scrittura incipiente”.Prendendo in esame le culture delle tribù indiane del michigan,l’antropologo americano henry R. schoolcraft, già a metà del -l’ottocento, aveva interpretato i segni astratti in senso ideo-grammatico, decodificandone il senso attraverso una analisi de-scrittivo-narrativa delle scene rappresentate. 24 Paradigmatica èla sua lettura di una roccia istoriata sulle rive del lago supe-riore (Fig. 85). si tratterebbe della raffigurazione di una spedi-zione di guerra. nella parte superiore appaiono cinque canoeschematizzate che trasportano guerrieri (i cinquantuno seg-menti). l’uomo a cavallo rappresenterebbe l’avanzata nel ter-ritorio, mentre i quattro animali che gli stanno intorno sareb-bero altrettanti simboli del carattere della spedizione (buonariuscita/tartaruga, coraggio/aquila, forza/ puma e astu zia/ser -pente). In questo contesto, i segni geometriz-zanti, cioè i tre punti sormontati dai trearchi che compaiono sulla destradella scena starebbero a indicareche il viaggio è durato tre giorni. sa-rebbero, quindi, indicatori temporali,schematizzazioni della volta celeste edel sole. numerosi sono, del resto,presso tutte le popolazioni tradizio-nali, i decori geometrizzanti che si pre-stano a una lettura sia in chiave astrale che to-pografica. la stessa logica combinatoria sem-bra caratterizzare anche il linguaggio visivo usato Figura 85

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dagli indiani d’america nella loro corrispondenza. Quando laprogressiva integrazione porta i pellerossa delle riserve e dei vil-laggi a usare il sistema postale introdotto dai bianchi, lo “scambiodelle lettere” – gli indirizzi sulle buste venivano scritti dagli im-piegati postali – si effettua come “scambio di disegni”, spessomolto ingenui, ma del tutto efficaci sul piano della precisione in-formativa. Interessante è l’analisi di alcune di queste “missive”proposta alla fine dell’ottocento da garrick mallery, il primo,grande studioso di arte rupestre nordamericana.25 nei dipinti, isegni aniconici, abbinati a “pittogrammi” schematici, ma ancorariconoscibili, hanno, per lo più, una funzione numerica, quanti-tativa o topologica. la stessa “logica informativa” caratterizzaanche altre forme grafiche. così mallery interpreta la scena dipinta da un cacciatore del-l’alaska su un bastone di legno conficcato nel terreno vicino aun rifugio (Fig. 86). nella parte sinistra è schematizzata unacanoa. al centro, un uomo con le braccia aperte fa intendereche la sua è una situazione di assoluta penuria. gli sta accantoun uomo che porta la mano destra alla bocca, mentre con la si-nistra indica il rifugio (semicerchio reticolato). la scena sta-rebbe a significare: qui non c’è nulla da mangiare. l’abbina-mento fra tracciati geometrizzanti e figure iconiche può avereanche valenze mnemoniche. È il caso degli “annuari” dipinti sulle pelli di bufalo, vere e pro-prie mappe del tempo, in grado di perpetuare nella memoria levicende rilevanti della collettività (Fig. 87). I segni, spesso schematici, stanno a indicare l’evento denotativodell’anno (calcolato per inverni) (Fig. 88).

Figura 86

Figura 87

Figura 88

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segni iconici e aniconici pos-sono essere utilizzati anchecome parole-chiave, per anno-tare il “repertorio” dei canti e lesequele dei proverbi (Fig. 89). ci troveremmo, quindi, dinanzia una sorta di strategia graficadella memoria a metà strada fral’oralità e la scrittura. Questaforma particolare di proto-scrit-tura dipinta è stata di recenteoggetto di uno studio di note-vole rilievo da parte di carloseveri, Le Principe de la chimère.26 attraverso l’analisi delleimmagini che rappresentano le vicende di caccia e di guerra di-pinte dagli indiani d’america nel XIX secolo, l’antropologo ègiunto alla conclusione che queste “pittografie” abbiano un si-gnificato complesso di carattere magico e mnemonico che vaben oltre un vago e generico simbolismo figurativo. esisterebbeuna sostanziale continuità fra l’arte rupestre paleolitica delnord america, i dipinti sulle pelli di bisonte e i disegni sui tac-cuini dell’armata americana utilizzati dagli indiani a partiredalla fine dell’ottocento. secondo severi, cambia il supporto,ma il senso di questa attività grafica, connessa alla trasmissionedella memoria collettiva, dalla guerra alla caccia, dai riti agliincontri con gli spiriti, si ripropone attraverso i millenni, com-ponendo una sorta di “alfabeto delle forme” denso di elementiricorrenti e di stereotipi cui è affidata la conservazione neltempo del patrimonio culturale-sociale del gruppo (Fig. 90)(Fig. 91).negli stessi anni in cui mallery prendeva in esame gli ideo-grammi degli indiani del nord america, il “padre dell’etnologiabrasiliana”, l’esploratore tedesco Karl von den steinen, autore,fra l’altro, di un’opera monumentale sui miti delle isole mar-chesi, analizzando le forme decorativo-geometriche delle tribùauetí del Brasile, notava come il modello naturalistico di par-tenza di questi segni fosse per i nativi ancora del tutto chiaroed evidente, nonostante la loro estrema schematizzazione. Itriangoli neri, ad esempio, sono “pipistrelli” (a), le losanghe

Figura 89

Figura 90

Figura 91

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sono “grosse scaglie di pesce” (b), mentre i rombi bianchi eneri sono “piccole api” (c)27 (Fig. 92).

Figura 92

Figura 93

La stessa schematizzazione è presente, in forma ancora più ac-centuata, negli ornamenti dei Karaja presi in esame da PaulEhrenreich che, alla fine dell’Ottocento, avvia una lettura inchiave simbolica dei motivi decorativi provenienti sia dal-l’America settentrionale che meridionale. Anche in questo caso,saremmo dinanzi a “piccole api” (a), a pipistrelli (b) e a pellidi serpente (c-d-e-f)28 (Fig. 93).

Negli oggetti d’uso degli indiani Pueblo, le forme geometrizzantidei decori rinviano alla rappresentazione dei motivi celesti e aelementi topografici che tanta importanza rivestono nella vita enelle forme di culto di queste popolazioni (Fig. 94) (Fig. 95).I rettangoli possono indicare le stelle, i triangoli le montagne,le strisce i fiumi e i sentieri (Fig. 96). Questo linguaggio ideo-

Figura 95

Figura 96

Figura 94

(a) (c)(b)

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grafico può rappresentare anche astrazioni mentali sganciatedai modelli naturali. la linea potrebbe significare il percorsodella vita, le losanghe e le scacchiere la buona fortuna e il suc-cesso, i piccoli quadrati in successione lo scorrere del tempo.Profonde ed evidenti analogie collegano questo simbolismoaniconico al linguaggio grafico degli arapaho, degli cheyennee dei sioux. lo stesso discorso vale per le decorazioni dei cesti degli Indianidella guyana Britannica studiate negli anni venti del secoloscorso da W.e. Roth.29 I segni geometrici, in alcuni casi, sonoancora riconducibili agli animali che rappresentano o perchéne ricordano le caratteristiche, come le maculazioni del man-tello, o perché ne riprendono i dettagli anatomici. mentre incerte schematizzazioni, può essere ancora riconoscibile il “ser-pente che insegue una rana” (a) o un uomo (b), il rapporto trail segno ripetitivo a doppia t rovesciata e “l’albero di noce mo-scata selvatico” sembra ormai del tutto convenzionale (c) (Fig.97). si tratta evidentemente, in questi casi, di dialetti iconogra-fici locali che variano, anche in modo sostanziale, da cultura acultura, e che paiono conservare il loro significato simbolico ela loro leggibilità solo all’interno degli specifici contesti di ap-partenenza.

Figura 97

l’ampia messe di studi condotti fra ottocento e novecentosull’arte dei popoli tradizionali viene a convergere in un’operafondamentale pubblicata a oslo nel 1927 e destinata a diventareuna “bibbia” dell’antropologia del novecento, Primitive Art diFranz Boas.30 l’importanza degli “imperativi” della tecnicanella elaborazione delle forme, già sostenuta da semper più dicinquant’anni prima, viene qui ripresa alla luce delle nuove ac-

(a)

(b)(c)

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quisizioni etnologiche e sviluppata in un orizzonte interpreta-tivo più articolato e ampio. secondo Boas, le forme naturali, diper sé, non sono modelli in grado di sostenere un processo dirielaborazione formale se non quando diventano oggetto del-l’intervento tecnico-artigianale. se c’è nell’uomo primitivo unasensibilità intuitiva per la forma, in parte innata e in parte con-nessa all’osservazione della natura, questa si sviluppa e si affinasolo attraverso le capacità manipolative, quando l’oggetto na-turale viene piegato alle esigenze pratiche. “Il fatto stesso chein qualsiasi parte del mondo – scrive Boas – le produzionidell’uomo abbiano stili particolari e marcati dimostra che in-sieme alle attività tecniche si sviluppa anche una sensibilità perla forma; ma nulla dimostra che la sola contemplazione dellanatura o di oggetti naturali faccia nascere un senso della formadefinito, e nemmeno abbiamo prove che questa forma stilisticaben definita si sviluppi esclusivamente come prodotto dellaforza di immaginazione dell’artigiano, senza la guida dell’espe-rienza tecnica che porta la forma al livello di coscienza”.31 tec-nica e sensibilità per la perfezione formale si coniugano in unprocesso creativo che educa progressivamente il senso estetico.lo stanno a dimostrare le decorazioni geometriche regolaridegli intrecci dei cesti indiani (Fig. 98) (Fig. 99) (Fig. 100).

Figura 98

Figura 99

Figura 100

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Precisione, maestria, padronanza tecnica e regolarità diventanole parole chiave per comprendere la propensione artistica deipopoli tradizionali (Fig. 101). molti decori geometrici, come ilcerchio, la linea curva e regolare e la spirale sono probabil-mente il risultato di una abilità manuale perché in natura leforme geometriche sono assai rare e difficilmente avrebberopotuto imporsi come modelli. “le superfici piane sono rappre-sentate in natura dai cristalli, dagli sfaldamenti di alcuni tipi diroccia, dagli specchi di acqua calma; le linee rette dai germoglio dagli steli delle piante, dalle punte aguzze dei cristalli; lecurve regolari da gusci di lumaca, piante rampicanti, bollesull’acqua o ciottoli lisci, ma non c’è una ragione palese percui l’uomo dovrebbe imitare queste particolari forme astratte,a meno che, ad esempio, non indossi come ornamento o usicome strumento conchiglie dalle curve regolari”.32

Figura 101

l’importanza della linea retta è connessa, in numerosi casi,all’azione del cacciatore che lancia una freccia o scaglia unazagaglia e alle loro traiettorie. In alcuni casi, i segni astrattivanno ricondotti ai gesti cadenzati e ritmici tipici di specifichemodalità di lavorazione. la ripetizione reiterata e costante dellostesso movimento conduce alla riproposizione dei motivi e può

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giustificare la presenza di determinate forme decorative di ca-rattere regolare e seriale. In altri casi, la schematizzazione geo-metrica è dovuta all’adattamento della figura ai materiali. Inparticolare, il passaggio da rappresentazioni realistiche a sche-matizzazioni sempre più convenzionali di un medesimo tema,denso di implicazioni simboliche, deriverebbe o dai processi diriproduzione o dalla imposizione di tecniche particolari nellatrasposizione dei disegni o ancora dall’adattamento al campo

decorativo. Un esempio di geometrizzazione, dovutaall’adattamento della figura al campo de-corativo, è ravvisabile, ad esempio, nellastilizzazione del “serpente a sonagli” pre-sente sui dischi di conchiglia del tennes-

see (Fig. 102). “le esigenze di simmetria all’interno del campodecorativo richiedono adattamenti che possonomodificare considerevolmente la forma figura-tiva”.33

non tutti i processi di schematizzazione hanno, però, la stessaorigine.“a questo punto – scrive Boas – sorge l’importante problemase, come spesso è stato affermato, tutte queste forme siano daconsiderarsi evoluzioni dal realismo al convenzionalismo, o senon possa essersi verificato anche il procedimento opposto, checioè da un disegno geometrico esistente si sia andata gradual-mente affermando una forma realistica, che nel motivo geome-trico si leggesse un significato e che in questo modo si sianooriginate le forme significative”.34 Boas tende a pensare chepossano prodursi entrambe le possibilità. Un esempio della se-conda ipotesi è offerto dal modo convenzionale degli Indianidelle Pianure di rappresentare il bisonte con una sagoma ret-tangolare simile a una pelle stesa con le zampe, la testa e lacoda (Fig. 103). ma anche un rettangolo tout court può veniridentificato come bisonte. a questo punto, è possibile che lapelle sia stata schematizzata con la sottrazione di alcuni ele-menti (zampe-testa-coda) fino ad apparire semplicemente comerettangolo o, al contrario, che il rettangolo sia stato “letto” (eFigura 103

Figura 102

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empatia e astrazione 79

successivamente sviluppato con elementi aggiuntivi) comepelle di bisonte.35 Un esempio ancora più convincente di riela-borazione immaginifica delle forme geometriche è costituitodagli astucci per gli aghi degli eschimesi dell’alaska dove ilmotivo tubolare, con piccole sporgenze ai lati, viene interpre-tato come testa di foca o di tricheco. Una lettura sottolineatacon l’intaglio. In ogni caso, conclude Boas, è difficile indivi-duare l’effettiva genesi dei processi di strutturazione formalein quanto, presso tutte le popolazioni primitive, forme reali-stiche e forme geometrizzanti sono costantemente compre-senti.

tornIamo ora, dopo questo excursus etnologico, alla prei-storia e alle forme aniconiche dell’arte parietale e mobiliare

del paleolitico superiore. già nei primi studi sulle grotte isto-riate dell’area franco-cantabrica, tra la fine dell’ottocento e gliinizi del secolo scorso, ci si rese conto dell’importanza di questisegni “enigmatici”, ripetitivi e geometrizzanti, presenti in ma-niera pressoché generalizzata all’interno dell’orizzonte natura-listico dell’arte delle origini. per lo più, questi segni che nontrovano riscontro nella realtà sensibile, né offrono elementi diimmediata riconoscibilità con i reperti materiali dei contesti dirinvenimento, vennero interpretati – in analogia con le acqui-sizioni antropologiche – come progressive schematizzazioni diprototipi naturalistici. Un primo esempio di questo paradigmainterpretativo, destinato a egemonizzare il campo degli studipreistorici di inizi novecento, viene da Hugo obermaier che,ponendo a confronto alcune figure antropomorfe schematiche,ma ancora riconoscibili, dell’arte rupestre levantina (spagna)con le forme geometrizzanti dipinte sui ciottoli di mas d’azil(ariège) (mesolitico/11.000-9.500 Bp), ipotizza un percorso diriduzione grafica della raffigurazione umana: dagli antropo-morfi schematici levantini alla loro semplificazione astratta

3. I “segnI” della

preIstorIa

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80 Morfologia dell’immaginario

sulle pietre dipinte.36 (Fig. 104). In realtà, l’ordinetemporale è rovesciato. Quando nel 1916 obermaierpubblica il suo testo fondamentale El Hombre Fósil,era convinto che l’arte levantina andasse collocata nelpaleolitico e che la sua successione temporale do-vesse sostanzialmente corrispondere a quella dal-l’area franco-cantabrica. Una tesi oggi non più soste-nibile (antonio Beltrán).37 Interessante è anche l’ipo-tesi sulla origine dei segni della preistoria avanzataqualche anno prima da alois riegl.38 lo storico del-l’arte austriaco riconduceva la loro emergenza alleesigenze formali connesse alle modalità tecniche dirappresentazione degli zoomorfi sulla superficie roc-ciosa (cioè alla loro semplificazione dovuta a ragionidi rappresentabilità). la maggior parte degli animalidelle grotte è raffigurata di profilo. le figure frontalisono piuttosto rare. la resa del profilo su un supporto

bidimensionale ha richiesto, per ragioni compositive, la sosti-tuzione della forma tridimensionale con una linea ideale, unalinea – come la dorsale – da cui, secondo riegl, si sono svilup-pate sia le forme naturalistiche che le forme aniconiche. Il primo studioso, però, a occuparsi in maniera sistematica dei“grands signes”, o meglio, a raccogliere un numero ingente dirilievi con l’intento di avviarne uno studio comparato, ful’abate Breuil. la sua interpretazione risente, in maniera di-chiarata, degli studi etnologici di fine ottocento, in particolaredelle analisi di Henry Balfour sulle decorazioni dei popoli pri-mitivi (1893)39 e di alfred C. Haddon sulla evoluzione deglistili nell’arte (1895).40 secondo Breuil, i segni aniconici dellapreistoria deriverebbero sia da una progressiva schematizza-zione di modelli naturalistici – procedimento che si può riscon-trare soprattutto nelle ultime fasi del magdaleniano (magdale-niano V e VI) – sia da esigenze tecniche connesse alla lavora-zione dei materiali, in particolare dell’osso (fori, tagli, taccheecc.) o dalla imitazione dei manufatti (intrecci della paglia, le-gacci, cordicelle, ecc.). In Les hommes de la pierre ancienne, scritto da Breuil in col-

Figura 104

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empatia e astrazione 81

laborazione con lantier, si legge: “a côté de l’art naturaliste,représentant les animaux et l’homme selon les conventionsd’un réalisme visuel, il y a, durant le magdalénien surtout, maisoccasionnellement bien plus tôt, d’autres éléments graphiques,figurés selon une représentation abstraite de réalisme intellec-tuel. ce sont des images très simplifiées d’emblée, réduites àun certain nombre de traits essentiels, parfois ornemanisés etgroupés en décorations d’apparence géométrique”.41

su alcuni reperti mobiliari può accadere di trovare una testa dibue ripetuta tre volte. la prima è naturalistica, la seconda sche-matizzata, mentre la terza è ridotta a qualche tratto riconduci-bile all’animale solo alla luce delle precedenti raffigurazioni.“de telles “clés“ existeront à d’autres moments de tout le mag-dalénien, permettant d’interpréter des symboles graphiques im-pénétrables sans cela”.42 nel magdaleniano IV, che segna l’apo-geo dello stile realistico, in particolare nell’arte mobiliare, al-cuni dettagli – per lo più animalistici – come le corna, le orec-chie del bisonte, l’occhio della renna con la fossa lacrimale ola testa frontale dei bovidi e dei cervidi – vengono parcellizzatied estrapolati dal contesto anatomico per diventare elementi li-beramente associati in una autonoma ricomposizione decora-tiva. Vi sono, però, anche segni ideografici semplici il cui si-gnificato è del tutto ipotetico o incomprensibile. “Un fuseau,souvent barré en long, ou pointé, peut être un Poisson, un œil,une vulve, un symbole de blessure. le signe en Y peut repré-senter une pointe de trait à base ou pointe fourchue, un sexemâle, une tête cornue, etc.”.43 Per quanto riguarda la genesidella successione degli stili che caratterizzano l’arte parietalefranco-cantabrica (aurignaco-Perigordiano e solutreo-madda-leniano), Breuil ritiene che le più antiche espressioni artistichesiano costituite dalle impronte delle mani e dai lunghi tracciatidigitali – i meandri impressi sull’argilla con le dita intrise dicolore – da cui sono iniziati progressivamente a emergere i pro-fili delle figure destinate ad assumere una fisionomia, via via,sempre più naturalistica.nell’orizzonte interpretativo di Breuil si collocano, a metà deglianni cinquanta, le analisi di Paolo graziosi che dedica due ca-pitoli della sua opera fondamentale L’arte della antica età della

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pietra ai motivi decorativi dell’arte mobiliare e ai segni astrattidell’arte parietale.44 anche secondo graziosi, la genesi di que-ste forme aniconiche, presenti fin dalle prime fasi dell’auri-gnaziano e destinate a riproporsi nell’arte di tutto il Paleoliticosuperiore, va ricondotta, nella maggior parte dei casi, a sche-matizzazioni di oggetti reali o a esigenze decorative subordinateai materiali e alle tecniche di lavorazione. nell’arte mobiliare,la stilizzazione degli zoomorfi – assai raramente degli antro-pomorfi o dei fitomorfi – può comportare una disaggregazionedelle forme naturalistiche di partenza, con la conseguente re-stituzione grafica di un solo dettaglio anatomico, come l’occhioo le corna. Un’operazione che, se reiterata, tende progressiva-mente a perdere i tratti di riconoscibilità del modello naturaledi partenza per presentarsi, alla fine, come puro segno geome-trico. solo una attenta ricostruzione delle fasi di semplifica-zione è in grado di cogliere il raccordo col prototipo. Un esem-pio del tutto convincente di questa dinamica è offerto da alcuneistoriazioni che appaiono, in sequenza, su reperti mobiliari ap-partenenti alle medesime aree di rinvenimento. dal sito mag-daleniano di el Pendo (santander) provengono quattro incisionisu osso che evidenziano, sui diversi frammenti, le fasi di stiliz-zazione di uno stambecco frontale (Fig. 105). “la figura del-

l’animale, vista sempre frontalmente – scrivegraziosi – è ridotta alle corna, alle orecchiee a un tratto verticale che sintetizza il restodel corpo (...) Questi stessi elementi si geo-metrizzano ancor più e si dissociano in formadi segni a virgola, i quali però mantengono ladisposizione originaria sicché vi si possonoindividuare ancora le corna e le orecchiedell’animale (…) (successivamente) non ri-mangono che le corna rappresentate da segni

a forma di V, disposti l’uno sull’altro e costituenti ormai unpuro motivo decorativo. la successione ora descritta può co-stituire la chiave per interpretare il significato originario di altrisegni a V nell’arte ornamentale paleolitica”.45

lo stesso discorso potrebbe ripetersi per altri repertori istoria-tivi, in particolare per certe schematizzazioni di carattere pisci-

Figura 105

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forme. Alcuni motivi ondulatori incisi su osso – è il caso di unrinvenimento nella grotta di Isturiz (Basses-Pyrénées) – potreb-bero, invece, far pensare al mondo vegetale.Rispetto alle forme aniconiche dell’arte mobiliare, una diversafisionomia presentano i segni dipinti o incisi sulle pareti dellegrotte, forme geometrizzanti che possono assumere fisionomiediverse e ricorrenti. Sono, scrive Graziosi, “segni di oscuro si-gnificato che in molti casi sembrano librarsi in un’atmosfera dipuro simbolismo o di astrattismo”.46 La loro presenza è del tuttoenigmatica. Potrebbero essere riproduzioni di oggetti di usoquotidiano di cui non è rimasta testimonianza nelle evidenzearcheologiche. Per certi tettiformi si potrebbe azzardare che sitratti di capanne. A volte, però, accanto ai tettiformi compaionodegli animali, presenza che, in un mondo di cacciatori-racco-glitori che non conosce né la domesticazione né l’allevamento,sembra suggerire un significato simbolico estraneo alle logicheabitative (Fig. 106). In ogni caso, questi segni tendono a evol-versi verso forme che ben poco hanno a che vedere con le ca-panne. Un’altra ipotesi avanzata è che possano essere trappoleper animali. Un’interpretazione estesa anche ad altri segni a re-ticolo (Kurt Lindner). Secondo Obermaier, si tratterebbe sì ditrappole, non però per gli animali, ma per gli spiriti maligni. Ineffetti, marchingegni di questo tipo sono ancora presenti nelleculture pellerossa. Pensiamo anche alle famose scacchiere co-lorate della Grotta di Lascaux che sono state interpretate neimodi più vari e che Breuil ha definito come “blasoni”. “Ils ontété l’objet de commentaires variés – scrive Gorges Bataille –dont le moins que nous puissions dire est qu’ils n’ont pas ter-miné la discussion”.47 Numerose ipotesi sono state avanzate,alcune ragionevoli, alcune stravaganti. “Comunque il fattostesso – scrive Graziosi – che questi strani disegni si incontrinospesso accumulati in angusti recessi isolati delle grotte, comea El Castillo o come alla Pasiega, ove sono dipinti entro unastretta fenditura, fa pensare che i paleolitici attribuissero lorocarattere sacro e li volessero avvolgere di particolare mistero”.48

Per quanto riguarda i segni claviformi, Graziosi tende a pensareche si tratti di riproduzioni schematizzate di armi di cui non ciè giunta testimonianza. Le figure “piumiformi” potrebbero es-

Figura 106

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sere frecce impennate. Impossibile, invece, dare un’interpreta-zione alle punteggiature, spesso disposte in bande, che si inse-guono sulle pareti delle grotte, in file semplici o multiple, anchese taluni hanno ravvisato in queste sequenze degli indicatori dipercorso. oggi sappiamo che, mentre i segni tettiformi e clavi-formi hanno un carattere piuttosto particolaristico e regionali-stico, le punteggiature, le asticciole e le linee sono una presenzauniversale dell’arte parietale e rupestre che travalica di granlunga i confini dell’area franco-cantabrica. a una decina d’anni dalla pubblicazione dell’Arte della anticaetà della pietra, esce in Francia uno studio assai corposo diandré leroi-gourhan, Préhistoire de l’art occidental (1965),destinato, come il volume di graziosi, a divenire una pietra mi-liare degli studi successivi.49 In un più generale orizzonte dianalisi evolutiva dei paradigmi stilistici, frutto di una accurataricerca condotta in sessantasei grotte e ispirato a una metodo-logia strutturalista, leroi-gourhan sottolinea come nell’arte pa-rietale paleolitica la successione degli stili sia alla base dellasuccessione cronologica. Questo vale sia per le forme figurativecome per i segni, ma secondo un criterio evolutivo rovesciato.mentre per le figure animalistiche lo sviluppo va da forme sem-plici e primitive a forme sempre più naturalistiche, per i segniil processo è inverso: da forme mimetico-rappresentative (stileI) a forme sempre più schematiche (stile II-III), fino a giungerea una completa astrazione di carattere geometrizzante (stile IV).dunque, anche i segni sono sufficientemente caratterizzati neidiversi periodi da poter assumere un ruolo di “controllo crono-logico”. ma qual è il loro significato? “Fondandosi su vaghesomiglianze formali e su coincidenze etnografiche essi sono in-terpretati come trappole, capanne, trappole-capanne per gli spi-riti, armi, blasoni. la statistica topografica e cronologica cihanno fatto preferire una spiegazione totalmente diversa”.50

I segni, secondo leroi-gourhan, hanno una valenza simbolicae possono essere suddivisi in due grandi gruppi: i segni allun-gati (linee, bastoncini, file di punti) e i segni pieni (ovali, trian-goli, rettangoli). mentre i primi sono schematizzazioni dell’or-gano genitale maschile, i secondi sostituiscono la rappresenta-zione naturalistica dell’organo genitale femminile (Fig. 107).

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saremmo, quindi, dinanzi a progressive semplificazioni grafi-che di elementi anatomici radicati in quel dimorfismo sessualeche lo studioso francese pone come criterio interpretativo do-minante della sua lettura simbolica dell’arte delle origini. sitratterebbe di una sorta di “deriva plastica” che, attraverso tappesuccessive, ha portato le più antiche raffigurazioni degli organisessuali maschili e femminili a discostarsi progressivamentedalle forme “anatomiche” di partenza per approdare a un sim-bolismo astratto. Questa semplificazione formale implica unprocesso non molto diverso da quello che ha spinto Picasso adisegnare le metamorfosi del toro (Fig. 108). secondo leroi-gourhan, i segni maschili, ricorrenti all’entrata e nel fondodelle grotte, sembrano intrattenere un legame costante con ilcavallo, mentre i segni femminili sono, per lo più, associati albisonte.

Figura 108

Figura 107

Una diversa lettura delle forme aniconiche viene avanzata,negli stessi anni, da alexander marshack che inizia ad appli-care, in maniera sistematica, alle incisioni paleolitiche alcuneprocedure d’analisi messe a disposizione dalle pratiche di la-boratorio, come la fotografia a luce infrarossa e ultravioletta,la microfotografia e la lettura al microscopio dei reperti.51 stu-

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diando una serie di minuscole punteggiature incise su un ossoaurignaziano (30.000 BP circa) rinvenuto nel riparo Blanchard,marshack sostiene che per incidere i sessantanove fori furonousati ventiquattro diversi utensili e fu necessaria una serie diinterventi successivi distribuita su un periodo piuttosto lungo(Fig. 109). si tratterebbe, in definitiva, di una sorta di calen-dario con le annotazioni del ciclo lunare. oggi questa ipotesinon è più sostenibile considerando, fra l’altro, che più aggior-nati criteri d’analisi hanno messo in luce che le marcature delreperto sono state eseguite con un solo utensile e con una suc-cessione rapida di gesti. sophie a. de Beaune ritiene più pro-babile che si tratti di uno strumento musicale, forse usato fa-cendo scorrere un bastoncino sui bordi denticolati.52 In ognicaso, marshack ha sviluppato la sua ipotesi “calendaristica”estendendola a diversi reperti mobiliari istoriati. ad esempio,la piccola lama in osso di la Vache con incisi su un lato unafemmina di daino, alcune “linee d’acqua” e la testa di uno stam-becco e sull’altro una testa di bisonte e alcuni “rami spogli”viene letta come la memorizzazione del passaggio stagionaleprimavera/autunno. “Forse la croce sul corno dello stambeccorappresenta una uccisione simbolica. oggetti come questi se-gnalavano l’arrivo di certe stagioni”. ancora più evidente è, se-condo marshack, il senso calendaristico della raffigurazione suuna sezione di un corno di renna rinvenuto nella grotta di

montgaudier nella Francia sud-occi-dentale (Fig. 110). le foche, il sal-mone, i serpenti, i filamenti e gli stelidi piante indicherebbero, di nuovo,una composizione stagionale. anchei reperti mobiliari mesolitici, dallascandinavia alla spagna, incisi conlinee semplici e astratte attestereb-

bero un sistema di notazione del tempo (time-factored) basatosulla osservazione delle fasi lunari omogeneo con i sistemi ca-lendaristici sia paleolitici che neolitici. secondo marshack, lascrittura, l’aritmetica e i calendari delle prime civiltà storicheaffonderebbero le loro radici in questi “sistemi” preistorici. Perquanto riguarda, invece, i segni a meandro tracciati con le dita

Figura 109

Figura 110

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o incisi sia nelle grotte che sui reperti d’arte mobiliare (“attoindividuale di partecipazione”) potrebbero essere ricondotti, al-meno in alcuni casi, al simbolismo dell’acqua.Più complessa e articolata è la posizione di emmanuel anatiche integra le analisi strutturali di leroi-gourhan con apportimutuati dalle più recenti acquisizioni della linguistica e dellapsicologia dell’arte, fondando un nuovo paradigma interpreta-tivo delle forme elementari del linguaggio preistorico e tribale.Il concetto di astrattismo è, in ogni caso, da considerarsi im-proprio per l’arte delle origini. “Probabilmente il concetto di“astratto“ per l’uomo preistorico, non esisteva. d’altro canto,l’arte grafica, anche la più naturalista, è sempre un’astrazione,perché costituisce la rappresentazione, l’idea o la figurazione,e quindi comunque la trasfigurazione, di una realtà della qualesi sceglie una parte, sia essa visuale, simbolica o concettuale.ciò che noi definiamo come “astrattismo“ è spesso il risultatodi un livello superiore di sintesi, la cui corretta lettura dipendedalla nostra capacità o incapacità di individuarne il meccanismoassociativo”.53 anati classifica il repertorio non figurativo deipopoli senza scrittura in due grandi categorie: gli ideogrammie gli psicogrammi che, accanto ai pittogrammi – cioè alle rap-presentazioni figurative identificabili – vengono a costituire labase grammaticale del linguaggio grafico-elementare delle ori-gini.54 mentre i pittogrammi sono rappresentazioni di antropo-morfi, zoomorfi, strutture e oggetti, reali o immaginari (la florae i paesaggi sono assolute eccezioni), gli ideogrammi e gli psi-cogrammi hanno un carattere più sintetico e ripetitivo. gli ideo-grammi sono segni dalla forte valenza simbolica che riflettonoprocessi mentali connessi a elementi anatomici (il corpoumano), concettuali (materializzazione di idee) e numerici(quantificazioni del reale o dell’immaginario). “tra le formepiù comuni vi sono il punto, la serie di punti, la linea, il disco,il disco con il punto centrale, la linea e il punto, il segno a “V”,il segno a “t”, il segno a “s”, il quadrato, il rettangolo, il trian-golo, il dardo, il ramo, la croce, la stella, il serpentiforme, lozigzag, il segno fallico, quello vulvare, quello a labbra, le cin-que dita di una mano, il reticolato”.55 si tratta di grafemi che,in alcuni casi, come i segni anatomici, evidenziano il processo

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di schematizzazione di elementi naturalistici (ad esempio isegni fallici o vulvari), in altri assumono un carattere più con-venzionale, connesso alle specifiche culture (i rumori della na-tura, i suoni, il vento, ma anche la forza energetica del pen-siero). Particolarmente convincente è una immagine dei cac-ciatori evoluti della tanzania in cui la musica viene rappresen-tata sotto forma di cascata di piccoli punti che escono da unostrumento a fiato (Fig. 111). del tutto svincolati da ogni modello naturalistico e collocabilisu un registro di massima espressività emozionale riconducibileagli strati profondi del subconscio, sono invece gli psico-grammi, violente scariche energetiche dell’impulso grafico,“espressione di sentimenti, desideri ed altre sensazioni”(Fig. 112). “sono segni che hanno il potere di turbare il sanguee la mente senza provocare alcuna associazione specifica (…)sono esplosioni dello spirito tradotte in formule grafiche di im-mensa efficacia”.56 secondo anati, pittogrammi, ideogrammi epsicogrammi si presentano assai di rado come presenze isolate,ma tendono a strutturarsi in sintassi associative (giustapposi-zioni, sequenze, scene) che consentono l’identificazione dellestrutture concettuali della creatività dei primordi, caratteriz-zando le tipologie stilistiche di differenti forme espressive, dallinguaggio universale dei cacciatori arcaici, attraverso le pecu-liarità raffigurative dei cacciatori evoluti, ai “dialetti regionali”di carattere narrativo-figurativo delle società a economia com-plessa. le associazioni evidenziano la stessa logica e gli stessiprocessi cognitivi che caratterizzeranno, molti millenni piùtardi, le prime forme di scrittura. “dall’analisi tematica emer-gono – scrive anati – tipologie di figure, di segni, i grafemi chesono il “vocabolario“ dell’arte e che appaiono come le paroledi una frase. I grafemi sono la base grammaticale del linguaggiovisuale. segni isolati sono rari. nell’arte si hanno insiemi cheriflettono sistemi di associazione, che sono la sintassi. sono le“frasi“ composte dall’aggruppamento o dalla sequenza dei gra-femi. I sistemi associativi riflettono processi mentali e denotanola presenza di modelli archetipici di logica. l’analisi gramma-ticale e l’analisi sintattica dell’arte permettono di identificarnela struttura concettuale e sono il primo passo per decifrare i co-

Figura 111

Figura 112

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dici, non solo dell’arte preistorica maanche, attraverso questa, degli elementifondamentali della dinamica cognitivadella nostra specie”.57 Un esempio para-digmatico del linguaggio dei cacciatori ar-caici è offerto da un pannello della grottaniaux in cui un bisonte (pittogramma) ediversi ideogrammi vengono a costituire una sequenza logica(Fig. 113). secondo anati, ogni gruppo avrebbe un valore nu-merico e un ordine intenzionale. nella generale riflessione sulla origine dei segni aniconici, unindubbio interesse rivestono anche taluni studi circostanziati,connessi a specifici ritrovamenti di culture regionali, studi chehanno il merito di introdurre ipotesi di lettura innovative, pas-sibili, in alcuni casi, di una certa generalizzazione. Particolar-mente significativa in questa direzione è l’analisi dei motivigeometrici a legamenti spezzati della cultura di mezin, inUcraina occidentale (19.000-17.000 BP circa), avanzata dalouis-René nougier.58 l’archeologo francese, studiando le in-cisioni a chevron, regolari e ripetitive, dei bracciali a fasce rin-venuti nella stazione paleolitica, ha ipotizzato che l’origine delpiù elaborato e complesso motivo a losanghe possa derivare daun particolare modo di combinare fra loro i bracciali “forse perscelta di gusto, forse per distrazione”1). Il decoro a chevron,che reitera il segno a V dei bracciali può essere abbinato in ma-niera simmetrica (esempio 1) (Fig. 114a) o in maniera specu-lare (esempio 2) (Fig. 114b).Un leggero scorrimento dell’abbinamento speculare potrebbeaver prodotto il motivo a meandro (“un semplice movimentodel braccio è sufficiente per ottenere il motivo della greca”) chepuò aver stimolato la fantasia fino a costituire una propria, au-tonoma sintassi ornamentale (esempio 3) (Fig. 115). saremmo,dunque, dinanzi all’emergenza di un percorso grafico, forse deltutto casuale, responsabile di fortunate convergenze geometri-che dovute più a ragioni estetiche che simboliche, in ogni casodel tutto indipendenti da schematizzazioni e semplificazioni diprototipi naturalistici. Il modo asimmetrico di infilare più brac-ciali – con la stessa decorazione a V – avrebbe determinato

Figura 113

Figura 114a

Figura 114b

Figura 115

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l’emergenza di nuove forme e di nuovi stilemi compositivi.l’ipotesi è molto suggestiva anche se è difficile immaginare,nel contesto preistorico, una indipendenza dei segni, anche ipiù semplici, da motivazioni magiche e sacrali.nei suoi studi sulla cultura di mezin, a metà degli anni sessantadel secolo scorso, svetlana Bibikova ha avanzato l’idea che leincisioni che decorano i reperti della stazione paleolitica, al-meno nelle loro forme iniziali, imitino le usure naturali dellezanne di mammut, un animale avvertito come straordinaria-mente potente. si tratterebbe dunque di tracciati simbolici de-stinati a diffondersi – rielaborati nella forma regolare di spirali,meandri e zig zag – in una vasta area del mondo preistorico eprotostorico eurasiatico. Un evidente continuum grafico lega lacultura dei cacciatori paleolitici di mezin alle prime fasi neoli-tiche della siberia in cui, peraltro, troviamo un vasellame afasce orizzontali che molto richiama “la base” degli abbina-menti a chevron dei bracciali. È il caso delle ceramiche di afan-sevo (tardo calcolitico), che alcuni considerano la cultura piùa oriente dei popoli proto-europei (Fig. 116). Un altro esempio assai suggestivo, che sposta in avanti l’assedella temporalità proiettandoci nelle prime fasi del neoliticoceramico della mezzaluna fertile, è l’ipotesi avanzata da otta-vio cornaggia-castiglioni sull’origine del segno a svastica pre-sente sulle ciotole di samarra.59 si tratterebbe, secondo il pa-letnologo italiano, della schematizzazione del motivo magico-religioso della “vasca”, di origine iranica. su altre ceramichecoeve è presente il motivo dei capridi che si abbeverano intornoa un bacino d’acqua, per lo più quadrato, spesso partito a scac-chiera, con linee d’acqua, o a croce di malta (non va dimenti-cato che i templi di sumer e di accad avevano una vasca cen-trale). Questa scena naturalistica, forse ricollegabile a una an-tica mitologia – la cosmogonia di ea, il dio stambecco e diabzu, il dio delle acque – conosce via via forme di semplifica-zione con la riduzione del capride alle corna e la scomparsa deicontorni della vasca, fino a giungere alla svastica. “successivipassaggi nella stilizzazione, tutti iconograficamente dimostra-bili, ci permettono – scrive cornaggia castiglioni – di stabilirecome tali rappresentazioni stilizzate delle corna degli animali,

Figura 116

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coniugandosi con le partizioni crociate all’interno della vasca,diano origine a quel celeberrimo motivo della svastica sul cuisignificato si sono sparsi fiumi di inchiostro e che tutti inter-pretano invece come un simbolo della ruota solare”.60

alla luce di un panorama interpretativo così variegato che havisto la formulazione di diverse ipotesi interpretative delleforme aniconiche, alcune più convincenti altre più fragili, si èportati a pensare che probabilmente, in un arco di tempo cosìlungo come quello del Paleolitico superiore, i segni astratti pos-sano presentare diverse serrature e che per tentare di penetrarneil senso sia necessario avere in mano un buon mazzo di chiavi.

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Le prime forme d’arte visiva create dall’uomo nella profondità delle grotte e nei ripari sotto roccia presentano, accanto a un bestiario naturalistico di straordinaria bellezza, immagini enigmatiche che non trovano riscontro nella percezione della realtà sensibile. Esseri ibridi e segni geometrizzanti convivono con i grandi animali dipinti, spezzando l’incanto del loro linguaggio figurativo. Queste presenze irreali costituiscono la sfida maggiore alla nostra capacità di comprensione delle culture preistoriche, il punto più buio dell'universo oscuro della nostra spiritualità nascente. Le diverse ipotesi che, dalla fine dell’Ottocento a oggi, sono state avanzate sul loro significato non hanno mai trovato un consenso unanime. Si potrebbe però tentare l'azzardo di procedere obscurum per obscurius, cercando di capire se non siano proprio queste emergenze visionarie a offrire un ponte insperato per una maggiore comprensione delle più antiche espressioni della creatività e, insieme a queste, delle strutture antropologiche profonde dell'immaginario.

Gabriella Brusa-Zappellini (Milano 1948), già docente di Estetica e di Storia dell’Arte, ha progettato e diretto Corsi di Istruzione e Formazione Superiore per la tutela e la valorizzazione dei siti preistorici, finanziati dalla Regione Lombardia e dalla Comunità Europea. Studiosa delle prime forme d’arte e di cultura, ha pubblicato numerosi saggi e una decina di volumi monografici. Fra i più recenti: Lo stregone danzante. Mito e mímesis alle origini dell’arte (Milano 1997); Arte delle origini. Preistoria delle immagini (Milano 2002); Il dio del vino e del miele. Radici preistoriche dell’immaginario dionisiaco (Milano 2002); Alba del mito. Preistoria dell’immaginario antico (3 voll., Milano 2007).

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In copertina: Pittura rupestre di Ayers Rock, Australia centrale.

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ISBN 978-88-7695-401-6

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