Gabriella Brusa Zappellini - Archeologia Della Svastica. Morfogenesi di un simbolo - Indice e...

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http://www.ibs.it/code/9788876953316/brusa-zappellini-gabriel/archeologia-della-svastica.htmlhttp://www.facebook.com/media/set/?set=a.355414534508115.75790.346585082057727&type=1La svastica è uno degli schemi grafici più diffusi nel mondo protostorico e antico, già presente nei contesti preistorici. Compare dipinta sulle prime ceramiche delle pianure alluvionali fra il Tigri e l’Eufrate e sul vasellame delle culture neolitiche danubiane, martellinato sulle pietre della Valcamonica, sulle rocce della Scandinavia e sulle montagne caucasiche, sbalzato sui bronzi e sugli ori delle steppe euro-asiatiche, tracciato sulle urne cinerarie dell’Età del Ferro e sui bei vasi della Grecia arcaica, filtrato dalle sabbie fini delle culture pellerossa in una sorta di “onnipresenza semantica” che va dall’Europa all’Asia, dall’Africa all’America pre-colombiana. Fra tutti i segni ricorrenti giunti fino a noi dalla notte dei tempi, è indubbiamente quello che più d’ogni altro ha saputo mantenere, nel suo percorso plurimillenario, una valenza simbolica densa di suggestioni emozionali. Anche quando appare come elemento integrante di una sintassi decorativa, ad esempio negli ornati delle pavimentazioni musive romane o sulle cancellate delle abitazioni cinesi, la sua presenza sembra non piegarsi mai del tutto al puro gioco formale, ma conservare una carica oscura che rinvia a un significato ancestrale.La svastika est l'un des modèles graphiques les plus courants dans le monde protohistorique et antique, déjà présent dans des contextes préhistoriques. Apparaît peint sur plaine inondable première de céramique entre le Tigre et l'Euphrate, et la poterie des cultures néolithiques danubiennes, martelés sur les pierres de la Valcamonica sur les rochers de la Scandinavie et les montagnes du Caucase, en relief sur les bronzes et les ors des steppes euro-asiatiques, tracé sur les urnes de l'âge du fer et les vases de la Grèce antique, filtrée par les sables fins des cultures amérindiennes dans une sorte de "sémantique" ubiquité qui va de l'Europe à l'Asie, de l'Afrique à précolombienne . De tous les signes récurrents viennent jusqu'à nous depuis l'aube des temps, est certainement la manière plus que tout autre a été en mesure de maintenir son chemin plusieurs milliers d'années, une pleine symbolique des suggestions émotionnelles. Même quand elle apparaît comme une partie d'une syntaxe décorative, par exemple dans les sols en mosaïque romaine décorées avec ou supprimés sur les maisons chinoises, sa présence ne semble pas plier jamais complètement pur jeu formel, mais conserver une charge qui renvoie à une signification sombre ancestrale.A suástica é um dos padrões gráficos mais comuns no mundo proto-histórica e antiga, já presente em contextos pré-históricos. Aparece pintado na planície de inundação cerâmica-prima entre os rios Tigre e Eufrates, e da cerâmica das culturas Danúbio Neolítico, marteladas nas pedras do Valcamonica sobre as rochas da Escandinávia e as montanhas caucasianas, estampados nos bronzes e dourados das estepes euro-asiáticas, traçado nas urnas da Idade do Ferro e os vasos da Grécia antiga, filtrada pelas areias finas de culturas nativas em uma espécie de "semântica ubiqüidade" que vai da Europa à Ásia, da África à pré-colombiana . De todos os signos recorrentes chegou até nós desde a aurora dos tempos, é definitivamente a maneira mais do que qualquer outro foi capaz de manter o seu caminho vários milhares de anos, um total simbólico de sugestões emocionais. Mesmo quando parece como uma parte de uma sintaxe decorativo, por exemplo, nos pisos de mosaico decorado com Roman ou excluído nas casas chinesas, a sua presença não parece nunca dobrar completamente puro jogo formal, mas reter uma carga que se refere a um significado escuro ancestral.La esvástica es uno de los patrones de los gráficos más comunes en el mundo de proto-histórico y ancestral, presente ya en contextos prehistóricos. Aparece pintada en llano de cerámica inundación

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Dispense di

Dispensa n° 1

Archeologia dellasvasticaMorfogenesi di un simbolo

Gabriella Brusa Zappellini

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© 2006 Gabriella Brusa Zappellini

ISBN 88-7695-331-0

Prima edizione: maggio 2006Arcipelago EdizioniVia Carlo D’Adda, 2120143 Milano

Ristampe:7 6 5 4 3 2 1 02012 2011 2010 2009 2008 2007 2006

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Dispensa 1

GABRIELLA BRUSA ZAPPELLINI

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Indice5 � Premessa

7 �� 1. Le più antiche evidenzearcheologiche

20�� 2. Diffusione della svasticanell’Età del Bronzo e delFerro

43�� 3. Morfogenesi del segno

50�� 4. Svastica e ritualità funerarie

57�� Note

58�� Bibliografia

60�� Indice delle illustrazioni

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Dispensa 1

ARCHEOLOGIA DELLA SVASTICA

Dispensa di n° 1

http://www.studipreistorici.it

StampaDigital Print Service Srl

Via Torricelli, 9 - 20090 Segrate MilanoMaggio 2006

Edizione

[email protected]

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Premessa Fra tutti i segni ricorrenti giunti fino a noi dalla preistoria, la svastica è indubbiamente quello che più d’ogni altro ha saputo mantenere, nel suo percorso plurimillenario, una valenza simbolica densa di suggestioni emozionali. Anche quando compare in contesti di carattere decorativo, come negli ornati delle pavimentazioni musive romane o sulle cancellate delle abitazioni cinesi, la sua presenza sembra non piegarsi mai del tutto al puro gioco formale, ma conservare un enigmatico significato ancestrale. Certo possiamo pensare che l’uso fattone nel secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle possa condizionare la sua analisi, spingendoci in una contaminazione ideologica estranea allo spirito della ricerca. Possiamo però rovesciare il discorso e ritenere che tale uso non sia del tutto fortuito – un incidente nel traffico della storia dei segni –, ma che risenta della potenza intrinseca del suo schema grafico originario. All’ombra della svastica il Novecento ha celebrato riti collettivi di morte e rigenerazione, suscitando e alimentando un delirio di onnipotenza destinato a un esito tragico. Un profondo senso di morte ha costantemente accompagnato i miti del sangue e della terra del Terzo Reich. Rispetto a tutto questo la svastica è ovviamente incolpevole, ma forse non del tutto estranea. Ciò che segue non intende entrare nel merito di tale questione, anche se il percorso interpretativo che qui si propone, e che si manterrà nell’ambito delle evidenze archeologiche, potrebbe forse recare un contributo alla comprensione delle ragioni del suo uso strumentale. In via preliminare, possiamo dire che la svastica è uno degli schemi grafici più diffusi nel mondo protostorico e antico. Compare dipinta sulle prime ceramiche delle pianure alluvionali fra il Tigri e l’Eufrate e sul vasellame del Neolitico danubiano. La troviamo martellinata sulle pietre della Valcamonica, sulle rocce della Scandinavia e sulle montagne caucasiche, sbalzata sui bronzi e sugli ori delle steppe euro-asiatiche, tracciata sulle urne cinerarie dell’Età del Ferro e sui bei vasi della Grecia arcaica. Riappare tessuta sui tappeti e disegnata dalle sabbie fini delle culture pellerossa in una sorta

di “onnipresenza semantica” che va dall’Europa all’Asia, dall’Africa all’America pre-colombiana. Ci troviamo dunque dinanzi a un simbolo che ha attraversato la spiritualità vasta di culture diverse, lontane nello spazio e nel tempo. La sua fisionomia è semplice e lineare nel suo geometrismo simmetrico, strutturato secondo un principio di assoluta regolarità costruttiva: quattro bracci di uguale lunghezza, intersecati al centro, terminano con un prolungamento unidirezionato, ad angolo retto (iscrivibile in un quadrato) o curvilineo (iscrivibile in un cerchio). Nel primo

caso domina l’idea di un movimento trattenuto, quasi bloccato in una battuta d’arresto; nel secondo è evidente un dinamismo accelerato, una rotazione intorno a un mozzo immobile senza soluzione di continuità. L’andamento rotatorio può essere destrogiro o sinistrogiro, senza apparenti significati diversi presso alcune culture, con differenti valori presso altre.

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Una variante della svastica a squadra è la svastica curvilinea chiamata tetraskelion, con un andamento a girandola più deciso. Mentre la svastica lineare è generata dall’accostamento radiale di segmenti ad angolo retto, il tetraskelion nasce dall’intreccio di motivi spiraliformi che, in alcuni casi, delimitano uno spazio interno vuoto e conferiscono al segno una particolare “corposità”. Si tratta dunque, per il tetraskelion, di una figura contigua, ma non concettualmente identica alla svastica lineare. Per questo, l’analisi delle due forme andrebbe tenuta, almeno in via preliminare, distinta. Noi cercheremo, in questa breve ricognizione, di dare risposta a due domande impossibili: da dove viene la svastica e qual è il suo significato originario. È evidente che quando ci interroghiamo su una presenza così antica e generalizzata, l’indagine non può che giungere a ricostruzioni fragili e lacunose, del tutto insufficienti a formulare un’ipotesi interpretativa convincente. Possiamo arrivare tutt’al più a delineare uno scenario di pensabilità della sua origine e una costellazione di significati in cui il segno sembra oscillare senza mai risolversi in una valenza semantica univoca. Tenteremo quindi di tracciare un quadro di senso provvisorio e problematico, ma che sembra trovare in ritualità ancora presenti in alcune culture tradizionali, in particolare dell’area asiatica, un suo ragionevole sostegno, iniziando con una panoramica di quelle evidenze archeologiche che, più di altre, possono rendere conto della sua emergenza e della sua persistenza.

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1. Le più antiche evidenze archeologiche

Forse la svastica più antica a noi nota risale al Paleolitico superiore, incisa tra i tracciati geometrizzanti di una statuetta ornitomorfa di avorio di mammut. Si tratta di un oggetto d’arte mobiliare rinvenuto a Mezin, a nord del Mar Nero sul fiume Desna –nell’attuale Ucraina occidentale – datato tra 18.000 e 15.000 a.C. circa. Qui il condizionale è d’obbligo. La Cultura di Mezin si caratterizza infatti per l’esuberanza decorativa dei suoi manufatti dovuta a una sorta di processo di generazione e moltipli-cazione di motivi ornamentali semplici e simmetrici. Gli stessi decori a meandro sono, ad esempio, presenti, anche su alcuni bracciali d’avorio

delle stesso sito. Louis-René Nougier, analizzando le incisioni geometriche, regolari e ripetitive, di questi bracciali a fasce, ha ipotizzato che la genesi del più elaborato e complesso motivo a losanghe di Mezin possa derivare da un particolare modo di combinare fra loro i bracciali “forse per scelta di gusto, forse per distrazione”1). Il decoro a chevron, che reitera il segno a V dei bracciali può essere abbinato in maniera simmetrica (esempio 1) o in maniera speculare (esempio 2).

Un leggero scorrimento dell’abbinamento speculare produce un meandro (“un semplice movimento del braccio è sufficiente per ottenere il motivo della greca”) che può aver stimolato la fantasia fino a trovare una propria, autonoma sintassi ornamentale (esempio 3). Saremmo dunque dinanzi all’emergenza di un percorso grafico, forse in parte casuale, responsabile di fortunate convergenze geometriche, dovute più a ragioni estetiche che semantiche, in ogni caso del tutto indipendenti da schematizzazioni e semplificazioni naturalistiche. Il modo asimmetrico di infilare al braccio più bracciali –con la stessa decorazione a V – avrebbe determinato l’emergenza di nuove forme e di nuovi ritmi compositivi. L’ipotesi è interessante anche se è difficile immaginare nel contesto preistorico una indipendenza dei segni, anche i più semplici, da motivazioni magiche e sacrali.

Esempio 1

Esempio 2

Esempio 3

Figura 1

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Nei suoi studi sulla Cultura di Mezin, a metà degli anni Sessanta del secolo scorso, Svetlana Bibikova ha avanzato l’idea che le incisioni che decorano i reperti della stazione paleolitica, almeno nelle loro forme iniziali, imitino le usure naturali delle zanne di mammut, un animale avvertito come straordinariamente potente. Si tratterebbe dunque di tracciati dall’alto valore simbolico destinati a diffondersi – rielaborati nella

forma regolare di spirali, meandri e zig zag – in una vasta area del mondo preistorico e protostorico eurasiatico. Un evidente continuum grafico lega la cultura dei cacciatori paleolitici di Mezin alle prime fasi neolitiche della Siberia in cui, peraltro troviamo un vasellame a fasce orizzontali che richiama “la base” degli abbinamenti a chevron dei bracciali. È il caso delle ceramiche di Afansevo, che alcuni considerano la cultura più a Oriente dei popoli proto-europei.

La “ricomposizione” a meandro e a losanghe è presente nella Cultura eneolitica di Vinča (V millennio a.C.), sul vestito della Grande Dea e sul decoro del suo trono della stazione di Tisza nell’ Ungheria sud orientale (VI millennio a.C.) che sembrano ripetere i tracciati geometrici, con i legamenti spezzati, del piccolo ornitomorfo ucraino e dei bracciali studiati da Nougier.

Il motivo è ricorrente anche sul vasellame delle prime culture ceramiche della Transilvania, così come sulle terraglie delle stazioni eneolitiche di Tripolie-Cucuteni

Figura 2

Figura 3

Figura 4

Figura 5

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e via via sul vasellame di tutta la zona che dal Danubio si estende fino al Dneper, spingendosi, nell’Età del Bronzo, nelle culture dei kurgan di Andronovo e nei siti della Russia nord orientale di Vologda dove la continuità fra i più antichi decori e la configurazione a svastica diviene del tutto evidente anche se, per quanto riguarda, Andronovo, alcune pratiche funerarie tendono ad avvicinare questa cultura a un’area di influsso indo-iranica più che danubiana.

Tutto questo potrebbe far pensare a una morfogenesi della svastica da un gusto decorativo-ornamentale di carattere geometrico – a losanghe e meandri – che si è andato progressivamente affermando all’interno delle forme artistiche-aniconiche dei popoli proto-indoeuropei. In realtà, il quadro d’emergenza della svastica appare più problematico e complesso. Le recenti datazioni al carbonio 14 calibrato di alcuni reperti del primo neolitico ceramico tendono a spostare l’emergenza del segno a Sud, in Mesopotamia. Qui lo troviamo sia nella sua espressione geometrico-astratta sia in curiosi vortici atropo-zoomorfi sul vasellame di uno dei più antichi insediamenti agricoli della Mezzaluna fertile, quello di Samarra, facies finale della Cultura di Hassunah. Si tratta di una cultura di pastori-agricoltori caratterizzata, già a partire dalla fine del VII millennio, da una notevole produzione di motivi figurati monocromi, dipinti in modo raffinato, per lo più su ciotole larghe e coppe, che associano decorazioni geometriche a motivi pittografici di carattere sia animalistico che antropomorfo e fitomorfo.

Già nella precedente produzione di Hassunah, il vasellame ancora piuttosto rozzo, in argilla chiara mescolata a paglia e lavorato a mano, presenta, a partire dal II strato, decorazioni geometriche con decori a stella che, nella curvatura delle punte sembrano alludere a un andamento rotatorio che, nella successiva cultura di Samarra (VI millennio a.C.), si impone in modo deciso ed evidente come vortice dinamico. Il senso della presenza della svastica sia atropo-zoomorfa che lineare, per molti aspetti piuttosto enigmatico, può trovare alcuni elementi di riflessione in un raffronto fra i diversi motivi figurati di Samarra, rinvenuti nella necropoli sulla ceramica dipinta su fondo crema nei colori rosso, marrone e nero. Uccelli, pesci, capridi, scorpioni e antropomorfi sono immediatamente riconoscibili come presenze naturalistiche destinate a schematizzarsi e ricomporsi in forme geometriche inorganiche.

Figura 6 Figura 7

Figura 8

Figura 9

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Su un piatto, quattro uccelli acquatici dalle lunghe ali e dal collo serpentiforme, forse dei cormorani, con quattro pesci nel becco, sono disposti in circolo intorno a una svastica lineare sinistrogira. Sul bordo della composizione otto pesci guizzano nella stessa direzione della svastica, mentre un motivo a greca orna l’intero manufatto. Ma sono soprattutto i capridi a comporre vortici sia naturalistici che progressivamente sempre più schematizzati.

Su una ciotola a fondo piatto quattro antilopi, con le corna enfatizzate, ruotano intervallate da motivi di più complessa identificazione, forse uccelli in volo. Su una coppa, il motivo ruotante dei capridi, disposti simmetricamente intorno a una scacchiera, tende a una semplificazione geometrica più decisa che si risolve in una sorta di svastica animalistica.

Figura 10

Figura 11

Figura 12

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Un’altra presenza zoomorfa sulla ceramica di Samarra di estremo interesse è costituita dagli scorpioni. Su una coppa quattro antropomorfi centrali – forse donne in posizione di danza –, con i capelli mossi nella medesima direzione destrogira (capelli o linee energetiche che promanano dalla testa?) sono circondati da otto scorpioni con la coda velenifera ben evidenziata. La scena, segnata da un forte dinamismo, ha un andamento a vortice che crea l’illusione di un moto ruotante. La parte inferiore delle figure viene a ricomporsi in un motivo cruciforme con al centro un quadrato, mentre la parte superiore del corpo, col capo reclinato e i capelli unidirezionati, forma una “svastica figurata”. Il medesimo tema compare su un altro reperto ceramico in forma schematizzata, ma ben riconoscibile alla luce della “versione

naturalistica”. Sei antropomorfi compongono, allacciando le mani, una rosetta: un decoro geometrico perfettamente simmetrico. Mentre le figure si tengono per mano, sei scorpioni, che fanno da corona alla composizione, hanno agganciato la coda velenifera al loro piede sinistro dando vita a uno straordinario arabesco.

Elementi geometrizzanti, riconducibili alle composizioni figurate di Samarra sono presenti anche sulle scodelle e sui bicchieri della facies eneolitica di Susa (Susa A B). I capridi sono, in alcuni casi, rappresentati dal loro elemento simbolico e caratterizzante, le lunghe corna zigzagate, quelle corna che gli animali perdono prima dell’inverno per poi vederle ricrescere a primavera. Su un piatto cinque paia di corna sono intervallate da cinque scorpioni. La scena si dispone intorno a una svastica lineare dagli estremi biforcuti.

Figura 13

Figura 14

Figura 15

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Sempre a Susa su una ciotola, quattro stambecchi naturalistici, disposti intorno a una tavola quadripartita, con un motivo a scacchiera all’interno dell’ampia arcata delle corna, sono intervallati da segni di poco chiara identificazione, forse uccelli in volo o motivi d’acqua.

La scacchiera è destinata a ricomparire circondata da schematizzazioni alari disposte a vortice fino a costituire una figura-simbolo di carattere geometrico.

Su un’altra ciotola il motivo a svastica sormonta quattro triangoli che convergono ai vertici di un piccolo quadrato. La figura ricorda i capridi ruotanti di Samarra anche se, in questo caso è del tutto scomparsa ogni connotazione naturalistica. Il disegno, ormai geometrico e aniconico, è completato da due grandi linee zigzaganti-tripartite (forse grandi corna o linee d’acqua meandriformi) e da segni di difficile identificazione.

Figura 16

Figura 17

Figura 18

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Figura 19

Quale può essere il senso simbolico di queste immagini? Ottavio Cornaggia Castiglioni ne ha dato, negli anni Sessanta dello scorso secolo, una interpretazione suggestiva. Si tratterebbe del motivo magico- religioso della “vasca”, di origine iranica. Alcuni capridi si abbeverano intorno a un bacino d’acqua, per lo più quadrato, spesso partito all’interno a scacchiera, con linee d’acqua o a croce di Malta ( non va dimenticato che i templi di Sumer e di Accad avevano una vasca centrale). Questa scena naturalistica, sempre più schematizzata (Susa I), forse ricollegabile a una antica mitologia che troverà in età storica la sua rielaborazione nelle cosmogonie di Ea, il dio stambecco e di Abzu, il dio delle acque, conosce via via forme di semplificazione progressiva con la riduzione del capride alle sole corna e la scomparsa dei contorni della vasca, fino a giungere all’emergenza sintetica del motivo a svastica.

“Successivi passaggi nella stlizzazione – tutti iconograficamente dimostrabili – ci permettono – scrive Cornaggia Castiglioni – di stabilire come tali rappresentazioni stilizzate delle corna degli animali, coniugandosi con le partizioni crociate all’interno della vasca, diano origine a quel celeberrimo motivo della svastica sul cui significato si sono sparsi fiumi di inchiostro e che tutti interpretano invece come un simbolo della ruota solare” 2).

Che la presenza dello stambecco, animale che ama i luoghi freddi e montani e non la Mesopotamia, caratteristico della fauna dell’altopiano iranico, possa far pensare a un centro orientale di irradiazione dei temi figurati di Samarra è del tutto plausibile tenendo, del resto, conto che la Cultura di Tell Hassunah, di cui Samarra è uno sviluppo, doveva probabilmente estendersi in una zona geograficamente vasta, dall’altopiano anatolico a quello iranico. In particolare, nei primi strati ceramici del Tepe Siyalk (strati I-II), nel nord dell’Iran, ricorre il motivo dei capridi schematizzati a triangolo, mentre il tema della teoria degli uccelli è presente in molta ceramica eneolitica (V millennio a.C.) della stessa regione, anche in una disposizione in circolo, come nel caso di una ciotola di Zandijan.

Figura 20

Figura 21

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Si potrebbe allora ipotizzare un originario apporto di temi simbolici iranici nella Cultura di Samarra, destinato a ritornare nelle pitture vascolari delle stazioni elamite successive (Susa). L’idea suggestiva di Cornaggia non dà però conto delle più articolate presenze figurate, soprattutto degli antropomorfi e degli scorpioni, animali mortiferi dalla forte valenza simbolica presenti, del resto, anche sul vasellame iranico. Di questi aracnidi provvisti, come le tarantole, di ghiandole velenifere, di cui conosciamo bene il valore astrologico nel mondo greco-romano (si pensi, ad esempio, alla stretta relazione fra la costellazione dello scorpione, Orione e la morte del sole), non molto sappiamo dalle mitologie mesopotamiche. Certo il loro potere mortifero era assai maggiore di quello degli scorpioni europei. Nel Poema di Enmerkar e il signore di Aratta il tempo paradisiaco delle origini era caratterizzato dalla assenza degli scorpioni. Nella IX Tavoletta dell’Epopea di Gilgamesh, l’eroe semidivino incontra gli uomini-scorpione custodi delle porte delle montagne Mashu, il regno buio delle viscere della

terra che nessun uomo vivo ha mai attraversato. “La paura che essi incutono è enorme, nel loro sguardo c’è la morte… essi stanno a guardia del sole nel suo sorgere e nel suo tramontare” (Epopea di Gilgamesh 40-45 IX). Ma gli uomini-scorpione aprono le porte a Gilgamesh che, alla fine del suo percorso attraverso l’oscurità, raggiunge il giardino luminoso del dio Sole. Nell’Età del Bronzo sui Kudurru, cippi confinari di età Cassidica della seconda metà del II millennio, troviamo gli scorpioni nelle fasce inferiori. Di grande interesse è una piccola placca di clorite, databile al III millennio, rinvenuta negli scavi della necropoli di Konarr Sandal fra i monti di Jiroft, nella zona meridionale dell’Iran, che rappresenta un uomo-scorpione. Si tratta di una cultura straordinaria, portata recentemente alla luce da scavi irregolari e che solo ora inizia a essere studiata in maniera scientifica e coerente. Di fatto, sia i capridi, con la loro ricrescita stagionale delle corna, che gli uccelli, legati al viaggio estatico nel mondo ultraterreno e gli scorpioni, che uccidono, ma che aprono agli eroi la strada del buio verso la luce, hanno, in ogni caso, a che vedere col tema della morte e della rinascita e con i più antichi riti funerari. Ma su questo torneremo in seguito. L’ipotetica derivazione iranica delle figurazioni di Samarra potrebbe consolidare l’ipotesi di un’origine “nordica” della svastica, diffusasi dalle zone delle steppe a nord del Caucaso, attraverso l’altopiano iranico, in l’Anatolia e in Mesopotamia, ma potrebbe anche suggerire un percorso inverso, da Sud a Nord seguendo due direttrici:

Figura 22

Figura 23

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a) dai primi centri neolitici dell’altopiano iranico verso le steppe eurasiatiche e le zone siberiane ancora attardate in culture di caccia e raccolta;

b) dai più antichi centri agricoli di diffusione mesopotamici, seguendo gli spostamenti dei coltivatori, attraverso la Grecia (e il Caucaso), verso le rive danubiane e da lì verso le zone orientali delle steppe eurasiatiche.

La ricostruzione dei centri di irradiazione e dei rapporti di influenza delle culture che precedono l’uso dei metalli nella immensa fascia che va dal Danubio attraverso le steppe meridionali della Russia fino alle culture della Siberia occidentale e della valle del medio Jenisej richiederebbe un raffronto sostenuto da datazioni assolte dei reperti che oggi la ricerca non ha a disposizione se non in misura limitata. Le datazioni relative possono individuare intrecci e convergenze non sufficienti però a sciogliere il problema delle filiazioni. Sul piano più generale, va inoltre tenuto conto che le recenti datazioni ottenute con il carbonio 14 calibrato e la termoluminescenza di alcuni ritrovamenti, mentre hanno sostanzialmente confermato il quadro cronologico tradizionale a Sud del Mar Nero e del Caspio, hanno modificato il quadro di ricostruzione europeo facendo arretrare di parecchio i dati cronologici. Sui rapporti fra culture iraniche e culture siberiane vi sono testimonianze già a partire dal tardo Paleolitico. I primi stanziamenti culturali nel Caucaso, nell’Iran e nel Turkestan evidenziano notevoli analogie con le regioni della taiga e le più antiche stazioni siberiane (Krasnoiarsk) (direttrice Nord-Sud ?), analogie che si fanno più strette nel Neolitico fra le prime culture agricole di Iassakovo, di Serovo e di Kitoi e le culture delle prime fasi di Tepe Siyalk sia per la ceramica che per talune pratiche funerarie. La tarda ceramica di Kitoi inoltre molto si avvicina nei decori geometrici alla ceramica di Anau, “avamposto” iranico nel Turkestan, mentre le culture ceramiche di Afanasevo (IV-III millennio a.C.) di Andronovo (II millennio a.C.) e di Karasuk (II-I millennio a.C.) nella Siberia occidentale rimandano alle ceramiche di Tell Siyalk e di Susa oltre che al gusto ornamentale di Anau, caratterizzato da decorazioni a zig zag, a rombi e a quadrati (direttrice Sud-Nord?). Restando nel contesto neo-eneolitico, un discorso analogo si potrebbe ripetere per quella particolare forma a

vortice rappresentata dal tetraschelion dove il decoro a spirale sostituisce lo schema angolare. Si può pensare che la stilizzazione di alcuni motivi, come le corna dei capridi, abbia potuto suggerire la forma a spirale, elemento base per l’organizzazione della svastica spiraliforme. La ceramica di Susa I e del vicino sito di Tell-i-Bakun offrono esempi significativi di corna raffigurate in maniera ipertrofica sotto forma di spirale. Anche le corna del montone, animale rilevante nelle prime comunità di pastori-allevatori, ritorte in maniera armoniosa, possono suggerire l’andamento a spirale.

Figura 24

Figura 25

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In ogni caso, motivi a spirale erano già presenti nell’arte parietale del Paleolitico superiore abbinati, per lo più a tracciati serpentiformi e a capridi.

Belle spirali rosse su fondo crema e curiose svastiche attorniate da corna adornano le terracotte calcolitiche di Hacilar (V millennio a.C.) sull’altopiano anatolico e la ceramica di Trialeti nel Caucaso.

È però nelle culture neolitiche delle zone meridionali della penisola balcanica che, a partire dal VII millennio (Achilleion II – Tessaglia), il motivo spiraliforme inizia ad abbellire la ceramica dipinta di questi primi agricoltori europei destinati a diffondere lungo le rive del Danubio, insieme alle tecniche di domesticazione dei vegetali, anche una nuova sensibilità decorativa. Per tutto il VI e V millennio motivi dinamici a spirale, spesso dipinti in ocra rossa, a volte incisi o applicati, correranno lungo il collo e le spalle dei vasi delle prime culture agricole delle zone orientali dell’Europa, componendosi in fasce orizzontali e verticali. Marija Ginbutas tende ad associare la loro simbologia, che rimanda alle spire dei serpenti e al “crescente” delle corna bovine, al potere rigenerativo della Grande Dea mediterranea e ai cicli annuali della luna. Di particolare

interesse in questo senso, un piatto della Cultura di Karonopvo VI (V millennio a.C.) che presenta un chiaro andamento a tetraskelion associato alle fasi lunari.“L’elegante disegno di questo piatto – scrive la Gimbutas – è composto da un vortice centrale di falci di luna che ruotano in senso orario

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intorno a un disco o a un uovo. Quattro falci di luna creano intorno al bordo esterno un vortice in senso antiorario che rinforza il vortice interno”3). In effetti, il V e il IV millennio vedono una straordinaria diffusione del tetraskelion (sia sinistrogiro che destrogiro) dalla Grecia lungo tutta la zona a imbuto delimitata a Ovest dall’Adriatico e a Est dal Mar Nero, che si spinge a Nord, dall’alto corso del Danubio attraverso i Carpazi, fino all’alto corso del Dnieper e che vede il fiorire delle culture tardo-neolitiche ed eneolitiche di Vinča-Turdas, di Cucuteni e di Hamangia. È in questo contesto che il dinamismo delle fasce che decorano piatti e vasi si ricompone in quel particolare vortice, il tetraskelion, destinato a seguire il lento progredire degli agricoltori danubiani attraverso l’Europa.

In particolare, la Cultura di Cucuteni, in tutte le sue facies, sembra dominata dall’eleganza della forma a spirale che appare con insistenza su una ceramica estremamente raffinata anche nella policromia, caratterizzata dagli abbinamenti del rosso, del bianco e del nero. La grande ricerca decorativa e ritmica, indubbiamente presente in questa ornamentazione, non esclude però che i segni abbiano potuto rivestire anche un valore magico-sacrale.

La presenza del tetraschelion, per lo più inciso su scodelle-coperchi, caratterizzerà anche la più tarda Cultura di Sighişoara-Wietenberg, uno dei più importanti siti del Bronzo della Romania centrale.

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In ogni caso, questa sensibilità decorativa, dominata dalle linee sinuose, non è alternativa né al geometrismo squadrato, che sta alla base delle ornamentazioni a meandri e della svastica lineare, né a forme figurate che compaiono sulle ceramiche balcanico-danubiane integrandosi fra le serpentine e i decori aniconici. Si tratta prevalentemente di zoomorfi stilizzati che, in alcuni casi, presentano sia l’enfatizzazione delle corna che la disposizione in circolo come sul vasellame iranico e mesopotamico. Va ricordato che proprio in questa grande area culturale nel V millennio vengono a incontrarsi e a fondersi le culture agricole provenienti da Sud con le culture che nel Paleolitico superiore e nel Mesolitico avevano espresso una sensibilità decorativa legata ai meandri e all’intreccio di forme geometriche a squadra (Cultura di Mezin). Sui vasi di Cucuteni il tetraschelion e la spirale non escludono l’ornamento a meandro di carattere squadrato e angolare.

Molto presto, già a partire dal V millennio, il tetraskelion compare anche sulle ciotole dell’Europa centrale come testimoniano alcuni rinvenimenti in Boemia dove la spirale dinamizza il motivo farfalliforme della doppia ascia.

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Ma gli stessi motivi a vortice dell’area balcanico-carpatico-danubiana sono presenti in culture neolitiche dell’Asia orientale separate dal Danubio e dai suoi tributari da spazi infiniti. Particolarmente interessante, in questo senso, è la stazione neolitica di Yangshao (Gansu), nel nord della Cina, dove nel III millennio troviamo, su una splendida ceramica dai colori rossi, neri e marroni, sia la svastica lineare e i decori spiraliformi dell’Ucraina e della Moldavia che i motivi stilizzati delle “corna intorno alla vasca” delle ceramiche di Susa. La straordinaria vicinanza di questa produzione artistica con il vasellame occidentale, in particolare di Tripolie, una vicinanza che si può riscontrare anche in un’altra stazione neolitica cinese, quella di Ma-chang ai confini con la Mongolia, ha fatto pensare a improbabili, lunghe migrazioni. Oggi si è più inclini a vedere in questa ceramica un influsso indiretto affidato a un “passaggio di mano in mano” che testimonierebbe la grande capacità dei segni, dei simboli e delle tecniche di irradiarsi a larghissimo raggio già nel mondo preistorico e protostorico.

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