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Giorgio Patrizi - I nuovi modelli narrativi per l’Italia del primo Ottocento

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da

copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e

per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Giorgio Patrizi - I nuovi modelli narrativi per l’Italia del primo Ottocento

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Indice

1 IL ROMANZO PRESENTA SE STESSO ................................................................................................................... 3

2 IL DIBATTITO IN ITALIA SULLA FORMA ROMANZO ............................................................................................. 6

3 IL NUOVO DIBATTITO SULLA FORMA E LA LINGUA DEL ROMANZO ................................................................... 9

BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................................................12

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1 Il romanzo presenta se stesso

Lorem L’autoreferenzialità (in chiave metanarrativa: la riflessione sulla natura e le modalità

della narrazione contenuto all’interno del testo stesso), che si è detto caratterizza le prime

provvisorie redazioni del romanzo di Alessandro Manzoni, il Fermo e Lucia e Gli sposi promessi,

scompare - come si è detto - nelle redazioni successive del romanzo, che "Facendosi più

armonioso e compatto estromette l'ispida, tortuosa rivelazione della complessità del suo farsi,

elimina la contorta e affascinante messinscena dei problemi della scrittura” (Bertoni).

Le prime prove del testo, però, Manzoni le aveva previste come un dato fortemente

caratterizzante l’organizzazione della narrazione, Anche se sembrano rappresentare un

rallentamento del flusso del racconto, in realtà tutte le fasi in cui, direttamente o indirettamente ci

si interroga su singole fasi ed episodi del romanzo sono necessarie ad una intenzione esplicativa del

funzionamento retorico/argomentativo della concatenazione dei fatti o della presentazione dei

personaggi.

Il percorso di Manzoni, nella prospettiva a cui stiamo alludendo, è estremamente indicativo

del modo di pensare il genere romanzo muovendo da un approccio in cui si guarda soprattutto

alla pluralità di forme in prosa di varia natura, significato e stile, accorpate, talora amalgamate, in

nuovi organismi, duttili e compositi, che conservano, anche nella nuova veste, i segni e i modi

dell’origine. Successivamente, anche su influenza del percorso ideologico e biografico, Manzoni,

com’è noto, sposerà la causa di un realismo su basi storiche, come nuova forma di realismo, degli

eventi e dei personaggi.

Insomma “Il romanzo storico – scrive la Colummi Camerino - accoglie al suo interno la storia,

aprendosi ad una prospettiva più ampia di quella che aveva privilegiato i destini individuali sui

quali ora incidono i rapporti tra le classi, i governi, le leggi…Il romanzo si fonda ora infatti su dati

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certi, realizzando una “verità”, una verosimiglianza più piena che nel passato, sentita da Manzoni

come capace di riscattare la qualità evasiva dell’invenzione.”

Questa decisa impronta metaletteraria testimonia una realtà ben precisa, al di là della

specifica strategia manzoniana di accredito, come si è detto, di una realtà storica come base per

l'invenzione narrativa, attraverso la finzione del manoscritto ritrovato, di cui si parla all’inizio dei

Promessi sposi. A scorrere le pagine della discussione sulle forme narrative che si svolge - all'interno

della più ampia dialettica classici/romantici - nei primi decenni del secolo, è evidente come

l'istanza metanarrativa, intrecciata a una visione caleidoscopica, pluristilistica e plurilinguistica, del

testo del racconto, è un filo rosso che percorre le opere più diverse.

Anche partendo da discussioni che sembrano orientate in senso opposto: a partire dal

sostanziale rifiuto dell'eccesso di contaminazione della storia con le invenzioni della fantasia.

All'interno però di queste considerazioni, si annida il riconoscimento della vitalità di un genere

nutrito di sensi molteplici, mai riconducibili all'unità e all'omogeneità, ma piuttosto fertili nella

rappresentazione delle dinamiche più disparate della realtà. Dalle polemiche di Ermes Visconti –

esponente di spicco della generazione romantica formatasi attorno alla rivista “Il Conciliatore” -

contro il massimo rappresentante del romanzo storico dell’epoca, Walter Scott, nel '21; alla

corrispondenza, nello stesso anno, di Manzoni con il suo più assiduo interlocutore per questi temi,

quel Claude Fauriel, critico e storico, eminenza grigia del Romanticismo tedesco, che conduce il

corrispondente italiano a dichiarare la propria decisa opposizione a quello spirito "romanzesco"

che - da Scott ai suoi emuli nostrani - esaspera oltre misura le modalità dell'intreccio, del

"meraviglioso", dell' avventura.

Scrive Visconti:

“Walter Scott, lo sapete, non ha alcuno scrupolo quando trova conveniente allontanarsi

dalla verità storica. Gli elementi della finzione dovranno essere trattati in modo da non trovarsi

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minimamente in contraddizione con gli elementi storici, nemmeno con quelli di cui non ci sarà

alcuna traccia nella redazione del romanzo”.

In realtà la fortuna di Walter Scott in Italia è ampia e sostenuta dalle fonti più diverse. Negli

anni Venti – dell’Ottocento - anche l’austera “Biblioteca Italiana”, legata al classicismo, accetta la

pubblicazione di romanzi storici di Scott e seguaci.

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2 Il dibattito in Italia sulla forma romanzo

È interessante, in questo arco di anni, segnati da polemiche culturali e ideologiche, il lungo

saggio, pubblicato sulla “Antologia”, tra il 23 e il 24 da Sansone Uzielli – intellettuale di spicco della

cultura ebraica in Toscana di quegli anni- dedicato all’opera di Scott, nel panorama del romanzo

europeo. Muove da una precisa idea della funzione della narrazione che fa i conti con la storia.

“L’istoria – scrive Uzielli - vale a farci conoscere tutti gli uomini in massa, la società tutta nel

suo aspetto generale ed esterno. Ma noi amiamo anche vedere l’interno delle famiglie e il loro

vivere domestico, l’apprendere i costumi, i sentimenti le consuetudini, le opinioni, i pregiudizi,

l’influenza di tutte queste cose sugli avvenimenti politici e reciprocamente degli avvenimenti

politici su di esse”.

Muovendo dalla constatazione del ritardo del genere nella cultura italiana a causa della

tradizione poetica dominante, Uzielli sottolinea la resistenza provocata da una tradizione che vede

il romanzo esclusivamente in rapporto a quello cavalleresco, medievale e rinascimentale. La

novità del “nuovo romanzo” ora invece propone un rapporto originale tra vero e verosimile.

“Il verosimile illustra il vero nel senso che occupa gli spazi delle ipotesi lasciati liberi da una

storiografia lacunosa, a partire dalla quale è possibile costruire liberamente una invenzione che, a

contatto con la storia, riscopre nuovi contatti e nuove motivazioni” (Colummi Camerino).

Il punto di vista di Uzielli insiste sul contributo che il romanzo – nella configurazione che il

critico va delineando per il genere oggetto della discussione - può fornire al tema dell’istruzione,

con un contributo di conoscenze e di valori morali da insegnare al lettore, non escludendo anche

la fase del piacere, intesa come fase dell’esperienza estetica, ripensata nelle prospettive della

filosofia sensistica (dunque antidealistica).

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Uzielli trovò un fiero avversario della propria proposta di romanzo storico nel magistrato

fedele al governo austriaco Paride Zajotti. Studioso dei problemi del romanzo, dalle pagine della

“Biblioteca Italiana”, recensendo autori contemporanei e classici, andò delineando un modello

narrativo “descrittivo”, al riparo dal rischio di falsare la storia autentica, innestando su di essi

elementi di finzione che snaturano la funzione educativa del romanzo. Eppure, risolti così i conti

con la storia, “Zajotti legittima il romanzo come genere della finzione, cioè del verosimile dei fatti

inventati, opposto e separato dalla storia, il cui oggetto è il vero dei fatti accaduti.” (Collummi

Camerino). Nella prospettiva che propone, con la denominazione di “romanzo descrittivo”,

“individua la possibilità di tenere separata la storia da contenuti romanzeschi attinti al campo del

reale al di là degli ‘usi e costumi’ del Settecento”. Insomma, scrive Zajotti, “fatti finti per illustrare

costumi e caratteri veri.”

Anche Manzoni lavora attorno al progetto di un modello di narrazione in cui elementi

pubblici e privati si integrano in modo nuovo. La storia – nel progetto manzoniano - da soggetto

principale (come accadeva nelle modalità tradizionali dei romanzi storici e nelle tragedie di cui lo

stesso Manzoni era stato autore), viene collocata ai margini dell’opera, mentre l’invenzione ora è

ritenuta ammissibile fino a diventare la parte centrale dell’opera. Scrive Manzoni:

“Li concepisco [i romanzi storici] come una rappresentazione di un certo stato della società

per mezzo di fatti e caratteri così simili al vero che si possa crederli una storia vera appena

scoperta. Quando eventi e personaggi storici vi si trovano mescolati, credo che occorra

rappresentarli nel modo più rigorosamente storico”.

E ancora, in un'altra lettera al Fauriel:

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“In tutti i romanzi che ho letto, mi pare di scorgere un certo sforzo per stabilire rapporti

interessanti e inaspettati fra i diversi personaggi, per portarli uniti sulla scena, per escogitare

vicende che influiscano simultaneamente e variamente sul destino di tutti, insomma un'unità

artificiosa che non si riscontra nella vita reale...verrà un giorno in cui sarà criticata come un

difetto, e in cui quel modo di annodare e intrecciare le vicende sarà citato come un esempio del

condizionamento che l'abitudine esercita anche sugli spiriti più liberi”.

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3 Il nuovo dibattito sulla forma e la lingua del romanzo

La recensione a Fede e bellezza di Nicolò Tommaseo da parte di Carlo Cattaneo – grande

figura di filosofo e politico, che ebbe un ruolo centrale nel Risorgimento milanese - apparsa nel

1840 su «Il Politecnico», ripropone il problema - a cui accennava anche Visconti nello scritto prima

citato - di una lingua italiana che, nella ricchezza lessicale e formale, smarrisce un'unità di

contenuti omogenei:

“Nei nostri paesi corrono formidabili racconti di decine d'anni omericamente spese a fare

un romanzo, od anche solo a premeditarne lo stile, anzi a crearlo...V'è tra noi chi sogna di vocaboli

e di sapore di lingua, come altri sognerebbe di te­ sori e di troni...da certo tempo in poi nacque la

pretesa d'uno scrivere che taluni chiamano popolare; e con ciò intendono una certa compostura

di parole, il più delle quali non solo non è inteso da popolo alcuno che abiti cinquanta miglia di

paese, ma riesce assai malagevole anche ai più studiosi. Noi per certo vorremmo piuttosto tradurre

una pagina di Plauto, che scommettere d’indovinare sempre che cosa siano i dàddoli e le tetta, e

le pezzolate…Ma è questa dunque la lingua italiana, la lingua che cinquecento anni sono, fra

trabocchetti e gabbie di ferro, sapeva cantare Solo e pensoso i più deserti campi [notissimo incipit

di una canzone petrarchesca]…Qual ribellione d’ortolane edi pettegole, e di raccattoni da

Fiesole e da Pescia contro la lingua d’una nazione, contro il solo vincolo della vita e del nome

commune?...Ciò che manca alla lingua italiana non è per fermo la copia dei vocaboli...Ciò che

manca all'Italia, e per colpa di chi troppo sa, non di chi sa poco, è il modo sicuro e fermo e con­

corde ed uno di valersi della lingua”.

Rispetto a queste perplessità, ai timori di uno "smembramento" della lingua letteraria dinanzi

alle dinamiche centrifughe impresse dalle molteplici risorse espressive e comunicative che urgono

contro il fronte della lingua istituzionale, la coscienza letteraria acutissima di quel singolarissimo

intellettuale che è Ippolito Nievo - che è sicuramente uno dei personaggi più importanti della

cultura risorgimentale, nonché autore di quel romanzo centrale in questa cultura che è Le

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confessioni di un italiano (apparso postumo nel 1867) - disegna con precisione, al negativo, i

termini del problema:

“Il letterato contemporaneo ha la coscienza della sua missione e l'adempie con coraggio

degno dei principii ch'esso propugna; materialista come un medico, positivo come un

banchiere, realista come una lorette, s'ispira alle succulente emanazioni della cucina; rinunzia

all'Ippocrene per una bottiglia di Gattinara, e baratta le nove Muse, belle e vergini come sono,

con una butirrosa braciuola alla milanese. L’oggi per l'oggi, l'arte per la svanzica, la penna per la

pistola, la biografia per il pranzo, ecco i suoi principii!”

E rivolgendosi ai “lettori gravi, commentatori, glossatori, eruditi”, “gridate anatema e

protestate ...ma intanto? ... intanto il romanzo – romanzo intimo specialmente, sentimentalmente

noioso coll'abate Chiari, tronfio, declamatore con Davide Bertolotti, appassionato con Cletto

Arrighi, epigrammatico con Rovani, in frac paré con Carcano, in blouse con Vollo, in guanti al

burro con Calvi, senza guanti, senza frac...e spesso anche senza camicia con Ghislanzon i- va

innanzi a testa alta...sbirciando d'alto in basso col suo sorriso provocatore i puristi, i doganieri, i

pedanti…Vegliate pure a’ confini, prescrivete un cordone sanitario, chiedetegli la sua carta di

legittimità, negategli il diritto di cittadinanza…il romanzo s’infischierà di tutte le vostre precauzioni;

frivolo o appassionato, pensieroso o burlone, voi lo troverete dappertutto e con tutti: scacciato

con sdegnoso disprezzo alla vostra biblioteca, cercherà un rifugio sulla toeletta di vostra moglie, o

sotto il capezzale della vostra serva…Voi credete di distruggerlo, e invece lo moltiplicate; strozzato

come libro rinasce come appendice, condannato dalla critica, detronizza la critica”.

Insomma, attraversando esperienze diverse quanto contraddittorie, innovative e

sperimentali quanto nostalgiche di un classicismo di maniera, si va delineando una storia della

genesi e dell'affermazione del genere più tipico della cultura moderna che, demolendo luoghi

comuni e genealogie approssimative, riconosce la natura intima del testo narrativo complesso

nella pluralità delle forme, dei linguaggi, delle retoriche. Nel disimpegno, teorizzato e praticato, dal

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modello unico, monolitico, monodico, che alcuni avevano intravisto nelle prime esperienze delle

scritture romanzesche.

Come scrive, con precisione, Ugo Olivieri,

“La narrativa settecentesca è da tempo oggetto di una rinnovata attenzione da parte

della teoria della letteratura grazie anche ad una riconsiderazione del problema delle origini del

romanzo moderno. Fondamentali sono stati gli ormai classici lavori di Bachtin in cui si individuavano

gli antecedenti del romanzo moderno nei generi "alti" della tradizione letteraria ma in alcuni generi

minori dell'antichità caratterizzati dall'uso bivocale e parodico della parola letteraria ufficiale. Vi

erano nella teoria bachtiniana del romanzo le premesse per una considerazione del novel

settecentesco come diretto erede di tali generi, per la presenza nelle sue strutture narrative dei

fenomeni della riscrittura, della stilizzazione, della citazione, e come primo esempio del pluristilismo

e della polifonia che caratterizzano il romanzo moderno. L'altra novità che il XVIII secolo introduce

nel canone del genere e che caratterizzerà da allora in poi la forma-romanzo è la sistematica

contemporaneità tra l'apparizione della nuova forma narrativa del nove! e di una produzione

saggistica dedicata a discutere e analizzare i tratti innovativi del genere”.

Secondo Bachtin, com'è noto, il processo di costruzione del romanzo si elabora tra un

momento di pluralità e uno di sintesi in cui non si smarrisce però il tratto della molteplicità dei

materiali elaborati: «il romanzo come totalità è un fenomeno pluristilistico, pluridiscorsivo,

plurivoco», dal momento che tale totalità si scinde, in diverse unità stilistico-compositive.

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Bibliografia

Vincenzo Palladino, La revisione del romanzo manzoniano, Le Monnier,

Firenze 1964

AA. VV. Manzoni e oltre, ESI, Napoli 1987

Ezio Raimondi, Il romanzo senza idillio, Einaudi, Torino, 1989

Margherita Ganeri, Il romanzo storico in Italia, Manni, Lecce 1999

Discorsi sul romanzo. Italia 1821-1872, a cura di M. Colummi Camerino, Lisi,

Taranto 2000

Il romanzo in Italia. L’Ottocento, a cura di G. Alfano e F. De Cristoforo,

Carocci, Roma 2018.