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- 30 - 1. INTRODUZIONE Negli ultimi decenni la nozione di pericolosità sismica (in inglese “hazard”) ha avuto una circo- stanziata codifica nell’ambito del processo di defi- nizione quantitativa del concetto di rischio sismico (in inglese “risk”): quest’ultimo è comunemente espresso in termini di stima probabilistica del danno atteso in un dato territorio come conse- guenza degli scuotimenti sismici. Nella stima del rischio entrano fattori dipendenti dalle caratteristi- che dell’insediamento umano sul territorio, che lo rendono suscettibile a subire danni in conseguenza di terremoti (densità di popolazione, distribuzione di impianti produttivi e infrastrutture, vulnerabilità dei manufatti al danneggiamento sotto sollecita- zioni sismiche, ecc.). Questi fattori vanno ad inte- ragire con una “componente naturale” del rischio che è appunto la pericolosità sismica: essa è defi- nita dalla probabilità che in un dato territorio ed in un definito intervallo di tempo si verifichino scuo- timenti sismici potenzialmente in grado di produrre effetti di danno. A partire dalla emanazione della Ordinanza PCM 3274/2003, e in accordo con le direttive della Comunità Europea definite nell’Eurocodice 8, la legislazione italiana ha incorporato il principio secondo cui la stima quantitativa della pericolosità sismica deve rappresentare la base di riferimento per l’applicazione di normative finalizzate alla minimizzazione del danno sismico. Tale stima, infatti, permette di suddividere il territorio in aree omogenee dal punto di vista della probabilità che, entro un determinato arco di tempo, vengano superati certi livelli “pericolosi” di scuotimento sismico. Sulla base di una tale zonazione è quindi possibile differenziare, da zona a zona, i livelli di precauzione da adottare in modo da contenere la probabilità di un danno sismico entro un limite accettabilmente basso, compatibilmente con le risorse che possono essere investite nella preven- zione. Per un principio di equità le prescrizioni finaliz- zate a limitare la probabilità di danneggiamento dovrebbero rendere uniforme tale probabilità sul territorio nazionale, compensando le differenze territoriali di pericolosità con differenti livelli di severità delle prescrizioni. Diventa perciò di estrema importanza la misura, il più possibile accu- rata, delle differenze di pericolosità riscontrabili sul territorio. Per tale scopo sono state messe a punto diverse tecniche tra le quali quelle attualmente di uso più diffuso sono basate su tre elementi fonda- mentali: il riconoscimento delle aree potenzial- mente capaci di “produrre” terremoti (zone sismo- genetiche), la valutazione della frequenza con cui tali zone generano terremoti a diversi livelli di energia (tassi di sismicità) e la stima di quanto decresce lo scuotimento sismico in funzione della distanza tra le zone in cui avvengono i terremoti e quella di cui si vuole stimare la pericolosità (tra- mite le cosiddette “relazioni di attenuazione”). I dati di base necessari a definire questi tre ele- menti derivano in larga misura dalle osservazioni disponibili sulla sismicità sia di tipo strumentale che di tipo storico. I dati di sismicità storica sono di importanza critica particolarmente per la defini- zione dei tassi di sismicità: dal momento che i forti terremoti hanno tempi medi di ricorrenza molto lunghi (pluridecennali o persino plurisecolari), la stima statistica della loro frequenza temporale può essere ricavata solo disponendo di un esteso inter- vallo di osservazioni. 2. LA SISMICITÀ IN PUGLIA Per quanto riguarda il territorio pugliese, il pro- gresso delle conoscenze realizzatosi nel corso degli ultimi decenni ha portato ad una revisione critica di una certa idea generale secondo cui il rischio sismico in Puglia sarebbe trascurabile. Non c’è dubbio che, rispetto ad altre aree del paese, la Puglia è interessata da livelli di sollecitazione sismica di minore pericolosità, soprattutto per la più bassa frequenza temporale con cui si verificano eventi capaci di produrre danni. Ciò è una conse- ELEMENTI PER LA STIMA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA IN PUGLIA Vincenzo Del Gaudio (1, 2) (1) Dipartimento di Geologia e Geofisica – Università di Bari (2) Osservatorio Sismologico dell’Università di Bari ORDINE REGIONALE DEI GEOLOGI - PUGLIA n° 2-2007 pagg. 30-36 GEOLOGI e TERRITORIO GEOLOGI e TERRITORIO GEOLOGI e TERRITORIO

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1. INTRODUZIONENegli ultimi decenni la nozione di pericolosità

sismica (in inglese “hazard”) ha avuto una circo-stanziata codifica nell’ambito del processo di defi-nizione quantitativa del concetto di rischio sismico(in inglese “risk”): quest’ultimo è comunementeespresso in termini di stima probabilistica deldanno atteso in un dato territorio come conse-guenza degli scuotimenti sismici. Nella stima delrischio entrano fattori dipendenti dalle caratteristi-che dell’insediamento umano sul territorio, che lorendono suscettibile a subire danni in conseguenzadi terremoti (densità di popolazione, distribuzionedi impianti produttivi e infrastrutture, vulnerabilitàdei manufatti al danneggiamento sotto sollecita-zioni sismiche, ecc.). Questi fattori vanno ad inte-ragire con una “componente naturale” del rischioche è appunto la pericolosità sismica: essa è defi-nita dalla probabilità che in un dato territorio ed inun definito intervallo di tempo si verifichino scuo-timenti sismici potenzialmente in grado di produrreeffetti di danno.

A partire dalla emanazione della OrdinanzaPCM 3274/2003, e in accordo con le direttive dellaComunità Europea definite nell’Eurocodice 8, lalegislazione italiana ha incorporato il principiosecondo cui la stima quantitativa della pericolositàsismica deve rappresentare la base di riferimentoper l’applicazione di normative finalizzate allaminimizzazione del danno sismico. Tale stima,infatti, permette di suddividere il territorio in areeomogenee dal punto di vista della probabilità che,entro un determinato arco di tempo, venganosuperati certi livelli “pericolosi” di scuotimentosismico. Sulla base di una tale zonazione è quindipossibile differenziare, da zona a zona, i livelli diprecauzione da adottare in modo da contenere laprobabilità di un danno sismico entro un limiteaccettabilmente basso, compatibilmente con lerisorse che possono essere investite nella preven-zione.

Per un principio di equità le prescrizioni finaliz-

zate a limitare la probabilità di danneggiamentodovrebbero rendere uniforme tale probabilità sulterritorio nazionale, compensando le differenzeterritoriali di pericolosità con differenti livelli diseverità delle prescrizioni. Diventa perciò diestrema importanza la misura, il più possibile accu-rata, delle differenze di pericolosità riscontrabili sulterritorio. Per tale scopo sono state messe a puntodiverse tecniche tra le quali quelle attualmente diuso più diffuso sono basate su tre elementi fonda-mentali: il riconoscimento delle aree potenzial-mente capaci di “produrre” terremoti (zone sismo-genetiche), la valutazione della frequenza con cuitali zone generano terremoti a diversi livelli dienergia (tassi di sismicità) e la stima di quantodecresce lo scuotimento sismico in funzione delladistanza tra le zone in cui avvengono i terremoti equella di cui si vuole stimare la pericolosità (tra-mite le cosiddette “relazioni di attenuazione”).

I dati di base necessari a definire questi tre ele-menti derivano in larga misura dalle osservazionidisponibili sulla sismicità sia di tipo strumentaleche di tipo storico. I dati di sismicità storica sonodi importanza critica particolarmente per la defini-zione dei tassi di sismicità: dal momento che i fortiterremoti hanno tempi medi di ricorrenza moltolunghi (pluridecennali o persino plurisecolari), lastima statistica della loro frequenza temporale puòessere ricavata solo disponendo di un esteso inter-vallo di osservazioni.

2. LA SISMICITÀ IN PUGLIAPer quanto riguarda il territorio pugliese, il pro-

gresso delle conoscenze realizzatosi nel corso degliultimi decenni ha portato ad una revisione criticadi una certa idea generale secondo cui il rischiosismico in Puglia sarebbe trascurabile. Non c’èdubbio che, rispetto ad altre aree del paese, laPuglia è interessata da livelli di sollecitazionesismica di minore pericolosità, soprattutto per lapiù bassa frequenza temporale con cui si verificanoeventi capaci di produrre danni. Ciò è una conse-

ELEMENTI PER LA STIMA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA IN PUGLIA

Vincenzo Del Gaudio (1, 2)

(1) Dipartimento di Geologia e Geofisica – Università di Bari(2) Osservatorio Sismologico dell’Università di Bari

ORDINE REGIONALE DEI GEOLOGI - PUGLIA

n° 2-2007 pagg. 30-36GEOLOGI e TERRITORIOGEOLOGI e TERRITORIOGEOLOGI e TERRITORIOGEOLOGI e TERRITORIO

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guenza della peculiarità strutturale di questaregione che rappresenta un lembo emerso di unaplacca relativamente rigida e poco deformabile, lacosiddetta “Placca Adriatica” o “Adria” (Fig. 1): talemicroplacca, serrata nella morsa tra le grandi plac-che Europea ed Africana, è circondata da regionistrutturalmente più deformabili, sicché lungo i suoibordi, marcati da una cintura di catene montuoseche vanno dagli Appennini, alle Alpi, alle Dinaridi,Albanidi ed Ellenidi, vengono a scaricarsi preferen-zialmente, sotto forma di terremoti, gli sforzi asso-ciati ai movimenti relativi indotti dalla collisione trai continenti Africano ed Europeo.

Ciò nonostante, la pericolosità sismica del terri-torio pugliese è tutt’altro che trascurabile per dueragioni: in primo luogo perché aree capaci di gene-rare frequenti terremoti anche molto forti sono pre-senti entro distanze che, rispetto al territoriopugliese, sono tutt’altro che di sicurezza; insecondo luogo perché una attività sismica conpotenzialità di danno è presente anche all’internodello stesso territorio regionale. I dati di sismicitàsia storica che strumentale evidenziano che, in con-seguenza di questi due fattori, attraverso l’esten-sione del territorio regionale siosserva una considerevole variabilitàdella pericolosità sismica.

2.1 Puglia SettentrionaleTra gli eventi sismici storicamente

documentati che hanno causato vit-time in Puglia, i più gravi si sono veri-ficati nella parte settentrionale, coinci-dente con la provincia di Foggia. Inparticolare, tre eventi hanno assunto icaratteri di autentica catastrofe e cioèi terremoti di Ascoli Satriano del 17luglio 1361, quello della Capitanatasettentrionale del 30 luglio 1627 equello del Foggiano centro-meridio-nale del 20 marzo 1731. I primi dueterremoti hanno prodotto effetti mas-simi stimati intorno al X grado dellascala M.C.S. (Mercalli - Cancani - Sie-berg) causando vittime nell’ordine dialcune migliaia e il terzo evento haprodotto effetti fino al IX grado M.C.S.con un numero di vittime più incertoma comunque rilevante (almeno nel-l’ordine del migliaio: cfr. Boschi et al.2000). L’evento meglio studiato è

Figura 1 - Mappa schematica delle grandi unità strutturali dell’Italia e delle areecircostanti (da Meletti et al., 2000)

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quello del 1627 (Fig. 2), che è stato il più disastrosoterremoto documentato nella storia sismica dellaPuglia. Le cronache dell’epoca hanno portato a valu-tare che questo terremoto causò almeno 5000 vittimeconcentrate soprattutto tra Serracapriola, Lesina, SanPaolo di Civitate, Apricena, Torremaggiore e SanSevero. Un aspetto rilevante di questo eventosismico è il fatto che esso fu accompagnato da feno-meni impressionanti quali lo svuotamento peralcune ore del lago di Lesina e un maremoto che siabbatté nella medesima area producendo la som-mersione del centro abitato di Lesina. Tali fenomenisi possono verosimilmente spiegare come effetto diforti deformazioni associate all’attivazione di unagrande faglia, che hanno coinvolto l’antistante fon-dale marino in un brusco spostamento con unasignificativa componente verticale. Questo tipo difenomeno acquista un particolare rilevo se si tienepresente che, all’epoca, esso produsse effetti limitatisulla popolazione in quanto le aree costiere del pro-montorio garganico erano scarsamente popolate, maben diverso potrebbe essere l’impatto se un simileevento dovesse ripetersi oggi, considerando la dif-fusa presenza in zona di insediamenti turistici.

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Una constatazione che emerge da questi dati disismicità storica è che, nonostante sia comune-mente diffusa l’opinione che la sismicità del norddella Puglia sia principalmente associata al pro-montorio garganico, in realtà le più gravi catastrofisismiche della storia pugliese hanno piuttosto avutoil loro fuoco nel Tavoliere o, comunque, nell’areacompresa tra il Gargano ed il fronte della catenaappenninica. Il promontorio garganico è stato sicu-ramente anch’esso interessato da fenomeni sismicirilevanti quali i terremoti del 1223, del 1414, del1646 e del 1893, tuttavia la revisione dei dati storicidisponibili, pur nell’incertezza legata al fatto che learee interessate erano meno densamente popolatee quindi più povere di testimonianze, sembranoindicare per tali eventi livelli di scuotimento sismicodecisamente inferiori a quelli osservati nel nord delTavoliere per il terremoto del 1627.

La identificazione delle strutture sismogeneticheall’origine di questi terremoti è ancora controversae una certa cautela dovrebbe essere adottata nel-l’associare i grandi terremoti del passato a sistemi difaglie con un’espressione superficiale molto evi-dente, ma che attualmente potrebbero essere nonpiù attive o comunque non responsabili dei mag-giori eventi. A titolo di esempio si può citare il fattoche, benché spesso in letteratura alcuni grandisistemi trascorrenti con sviluppo est-ovest sianoindicati come importanti faglie sismogenetiche del-l’area garganica (per es. la faglia delle Tremiti o la

linea Mattinata – San Marco in Lamis), i dati dellasismicità strumentale recente mostrano che l’attivitàsismica di tali faglie è modesta o assente, mentre glieventi sismici appaiono disporsi preferenzialmentein aree discoste da tali faglie e lungo direttrici tra-sversali (vedi Fig. 3 e cfr. Del Gaudio et al., 2007).

2.2 Area MurgianaA sud dell’Ofanto i dati di sismicità storica sono

piuttosto poveri. Ciò riflette il fatto che il potenzialesismogenetico di quest’area è sicuramente inferiorea quello delle regioni contigue (sia la catena appen-ninica che la Puglia settentrionale).

Per quanto riguarda la Puglia centrale, un soloevento sismico è documentato aver causato unimprecisato numero di vittime, e cioè il terremotodell’11 maggio 1560, che colpì particolarmente gliabitati di Barletta e Bisceglie con effetti stimati del-l’VIII grado MCS. Tuttavia altri eventi che hannoalmeno prodotto danneggiamenti sono riportati dafonti documentali ed è possibile che finora sia statosottostimato il potenziale sismogenetico dell’areamurgiana. In un recente studio (Del Gaudio et al.,2004), basato sia su dati storici che sulle osserva-zioni strumentali raccolte in poco meno di venti

Figura 2 - Mappa degli effetti del terremoto nel nord dellaPuglia compilata da Greuter nel 1627. Si noti il riferimento almaremoto attraverso il disegno delle acque che fuoriescono dallago di Lesina trascinando i pesci fuori del bacino (da Molin eMargottini, 1981)

Figura 3 - Ubicazione degli epicentri dei terremoti localizzatinel nord della Puglia con incertezza di localizzazione inferiore a5 km dal 1985 al 2004: per ogni evento in rosso è riportata l’el-lisse degli errori di localizzazione centrata sull’epicentro. Inverde sono riportati alcuni dei maggiori sistemi di faglie propo-sti in letteratura come possibili strutture sismogenetiche: A.F. =faglia di Apricena; C.F.F. = faglia Cerignola-Foggia; M.F. =faglia di Mattinata; S.F. = faglia Sannicandro Garganico – Apri-cena; T.F. = faglia delle Tremiti (modificato da Del Gaudio etal., 2007)

V. DEL GAUDIO: Elementi per la stima della pericolosità sismica in Puglia

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anni dall’Osservatorio Sismologico dell’Università diBari (Fig. 4), si è ipotizzato che strutture sismoge-netiche minori, presenti all’interno dell’area mur-giana, possono essere occasionalmente riattivate,talvolta sotto lo stimolo della ridistribuzione deglisforzi generata da eventi sismici importanti nelleregioni contigue.

Tracce di questa sismicità “intramurgiana” si pos-sono cogliere anche nei dati di sismicità storica sesi supera il pregiudizio che ha indotto, talvolta, adattribuire i fenomeni sismici descritti in letteratura arisentimenti di eventi con epicentro in aree vicine,pregiudizio favorito anche dal fatto che i centri abi-tati, cioè i punti di raccolta dell’informazione storicasui terremoti, hanno una distribuzione perifericarispetto al corpo dell’altopiano murgiano.

2.3 SalentoUn discorso particolare merita l’esame della

sismicità del Salento. E’ opinione comune che lapericolosità sismica del territorio salentino siaesclusivamente legata al risentimento di effettisismici prodotti da terremoti generati in prossimitàdelle prospicienti coste balcaniche. Tale opinione èsupportata dalla constatazione che 1) il Salento èl’area più prossima al margine balcanico dellaplacca adriatica, il quale è sicuramente sede diintensi sforzi tettonici, testimoniati dagli elevati tassidi sismicità; 2) che la natura strutturale della placcaadriatica permette la trasmissione delle onde sismi-che generate da tale sismicità con elevata effi-cienza: è un’osservazione comune il fatto che lepopolazioni del Salento sperimentano un altogrado di percezione dei terremoti che avvengonolungo le coste adriatiche albanesi-montenegrine opresso le isole greche ioniche.

Tuttavia non si dovrebbe trascurare la possibilitàche altre sorgenti sismiche attive siano presenti inuna diversa collocazione geografica. Dal punto divista della sismicità storica, un solo evento con con-seguenze nefaste è generalmente riconosciutocome autenticamente accaduto in quest’area, inmezzo ad altri che si sono rivelati dei falsi storici: sitratta del terremoto del 20 febbraio 1743 che causòcirca 200 morti, per la maggior parte a Nardò, macon danni e vittime distribuite in diversi centrisalentini tra cui Francavilla Fontana, Manduria,Taranto, Brindisi e Galatina. Questo evento haavuto caratteristiche molto particolari: esso è statoassociato ad un terremoto che colpì le isole ionichegreche (in particolare Lefkada), dove causò un cen-

tinaio di morti, e che ebbe un area di risentimentoanormalmente ampia da Trento a Messina a Malta efino al Peloponneso.

E’ stato ipotizzato che la sorgente sismogeneticadi questo evento sia da collocarsi nel tratto sud delcanale d’Otranto, tuttavia la distribuzione delleintensità risentite nel territorio salentino apparepoco congruente con questa ipotesi (vedi Fig. 5),dato che non si osserva una generale correlazionetra i valori di intensità e il decrescere della distanzadall’epicentro ipotizzato. In parte queste incon-

Figura 4 - Mappa degli eventi sismici localizzati dal 1985 al2001 nell’area della Puglia centrale, sulla base dei dati della retedi stazioni dell’Osservatorio Sismologico dell’Università di Bari(OSUB). Si tratta di eventi la cui magnitudo ha raggiunto almassimo un valore 3.4. I triangoli marcano le stazioni della reteOSUB, i quadratini quelle della rete sismica dell’ IstitutoNazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)

Figura 5 - Mappa delle intensità M.C.S. risentite in occasionedel terremoto del 1743 in Salento (dal catalogo DOM4.1,Monachesi e Stucchi, 1996). L’asterisco marca la localizzazioneipotizzata per l’epicentro di questo evento

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gruenze possono riflettere la presenza di amplifica-zioni di sito in relazione a particolari condizionilitostratigrafiche, tuttavia, considerata la distribu-zione delle località più danneggiate, non si puòescludere che in tale distribuzione abbia giocato unruolo la possibile riattivazione, in concomitanzacon l’evento greco, di qualche struttura tettonicacollocata nel golfo di Taranto. Del resto i dati disismicità strumentale hanno evidenziato la pre-senza, nel golfo di Taranto, di un’attività di energiamoderata con epicentri in mare non distanti dallecoste del Salento, come nel caso della scossa dimagnitudo 4.6 al largo di Gallipoli il 7 maggio 1983.Inoltre, dati supplementari sulla possibile presenzadi una sismicità che interesserebbe le coste occi-dentali del Salento sono stati proposti all’attenzionedegli studiosi anche sulla base di evidenze archeo-logiche e geologiche.

3. STIME DI PERICOLOSITÀIn un’analisi di pericolosità sismica la considera-

zione dei soli massimi storici di scuotimento (vediFig. 6) può risultare fuorviante, dal momento chenon include l’aspetto della ricorrenza temporaledegli eventi: è ben possibile, infatti, che la proba-bilità di un danno sismico in una certa area edurante un certo arco di tempo sia maggiormenteassociato a sorgenti sismiche che generano fre-quenti eventi di magnitudo moderata, piuttosto chea sorgenti che hanno prodotto un singolo eventonoto di grande energia, rimanendo poi quiescenti

per tempi millenari. Un aspetto rilevante, a questoriguardo, è l’intervallo temporale di attenzionerispetto al quale vanno intraprese specifiche azionidi prevenzione e che dipende, evidentemente, daltempo di vita del potenziale “bersaglio” del danno,che si vuole preservare. Per esempio nelle norma-tive per la costruzione di opere di ingegneria civilel’orizzonte temporale di riferimento rispetto allaprotezione dal danno sismico è tipicamente assuntopari a 50 anni: a questo riguardo i criteri normativiraccomandati dalla Comunità Europea attraversol’Eurocodice 8, propongono di garantire un definitolivello di protezione rispetto a scuotimenti sismiciche hanno un’elevata probabilità (90%) di nonessere superati nell’arco di 50 anni. Seguendo untale criterio, considerando che l’azzeramento delrischio non è praticamente realizzabile, si conter-rebbe comunque entro un limite accettabilmentebasso (10%) il rischio che eventi sismici possanoprodurre sollecitazioni superiori a quelle che l’o-pera ingegneristica può sopportare.

La carta di pericolosità sismica redatta dall’Isti-tuto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)nel 2004 (Gruppo di Lavoro, 2004), che l’ordinanzaPCM n. 3519 del 2006 ha adottato come elaboratodi riferimento per la zonazione sismica del territo-rio, riporta i valori di accelerazione massima delsuolo (PGA – “Peak Ground Acceleration”) misu-rata in g (accelerazione di gravità) che hannoappunto una probabilità del 90% di non esseresuperati in 50 anni. Per quanto riguarda il territorio

V. DEL GAUDIO: Elementi per la stima della pericolosità sismica in Puglia

Figura 6 - Carta delle massime intensità osservate in epoca sto-rica in Puglia (da GNDT – ING - SSN, 1996)

Figura 7 - Distribuzione territoriale dei valori di PGA (espressiin g) che hanno una probabilità del 90% di non essere superatiin 50 anni nell’area pugliese (Gruppo di Lavoro, 2004)

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pugliese (Fig. 7), questi valori sono compresi tra unmassimo prossimo a 0.25 g e un minimo inferiore a0.05 g con un tendenziale decremento di pericolo-sità scendendo verso sud-est e un incrementoandando dalla costa adriatica verso l’entroterra pereffetto dell’influenza delle sorgenti sismiche appen-niniche che possono far sentire i loro effetti nellearee ad esse più prossime. Rispetto a questo trendgenerale, le articolazioni di scala minore, riflettonolo stato attuale delle conoscenze circa la identifica-zione e le caratteristiche delle strutture sismogene-tiche attive: tutto ciò nella comunità scientifica èmateria di discussione, sicché le stime di pericolo-sità disponibili non vanno considerate come acqui-sizioni definitive ma rappresentano la sintesi piùaggiornata sulla materia che, tuttavia, viene conti-nuamente sottoposta ad approfondimenti e verifi-che alla luce dei nuovi dati via, via acquisiti.

Nel nord della Puglia, per esempio, la distribu-zione dei valori di PGA appare fortemente condi-zionata dalla attribuzione di un elevato potenzialesismogenetico a un sistema di faglie di direzioneest-ovest comprendente la faglia di Mattinata. Taleattribuzione, come si è sopra accennato, è tuttoraoggetto di un dibattito che potrebbe in futuro por-tare a modifiche nelle suddette stime di PGA.

Così pure, solo di recente si è cominciato aprendere parzialmente in considerazione l’esistenzadi una sismicità intra-murgiana, le cui caratteristichesono ancora poco chiare: pur nelle incertezzelegate alla lacunosità dei dati storici, integrandolicon le osservazioni strumentali, è stato possibilestimare che questa attività “endogena” non va asso-lutamente trascurata sotto l’aspetto delle potenzia-lità di danno (anche se a livello di danno mode-rato). Infatti includendo il contributo della sismicitàmurgiana nel calcolo dei valori di PGA con proba-bilità di non superamento del 90% in 50 anni siottiene, almeno secondo una ipotesi conservativacirca i suoi possibili tassi di sismicità, un incre-mento tale da far rientrare tutto il sud-est barese inzona sismica 3, cioè la zona per la quale, secondole recenti disposizioni normative, l’adozione di pre-scrizioni antisismiche, almeno ad un livellominimo, va resa obbligatoria.

Infine, per quanto riguarda la pericolositàsismica del Salento, allo stato attuale delle cono-scenze, essa appare, almeno entro l’orizzonte tem-porale considerato nelle prescrizioni in materia edi-lizia, associata soprattutto al risentimento dei terre-moti di area greco-albanese. Tuttavia sono allo stu-

dio i potenziali sismogenetici di altre strutture (peresempio nell’area del Golfo di Taranto) chepotrebbero modificare il quadro della pericolositào, almeno, influire su stime di pericolosità a piùlungo termine, quali quelle necessarie per strutturecon vita utile di progetto più lunga rispetto all’edi-lizia ordinaria (le cosiddette Strutture di Classe 2 nelTesto Unico delle Norme Tecniche per le Costru-zioni del 2005: costruzioni che prevedono affolla-menti significativi, industrie con attività pericoloseper l’ambiente, reti viarie e ferroviarie la cui inter-ruzione provochi emergenza, costruzioni con fun-zioni pubbliche essenziali).

4. CONCLUSIONIA consuntivo di questa panoramica si può rile-

vare che la pericolosità sismica in Puglia presentaun considerevole grado di variabilità, tanto chenelle varie ipotesi di classificazione sismica il terri-torio pugliese si caratterizza per il fatto di distri-buire i propri comuni tra tutte le categorie o zonesismiche previste. Ciò è una conseguenza della par-ticolare posizione e conformazione del territorioregionale: il suo sviluppo allungato al margine e indirezione obliqua rispetto a importanti confini strut-turali, lungo i quali sono preferenzialmente dispo-ste le strutture sismogenetiche, fa sì che i livelli dimassimo scuotimento sismico atteso in 50 annisiano notevolmente differenziati, tendenzialmentecon un decremento da nord-ovest verso sud-est.

La maggiore disponibilità di dati di sismicità sto-rica per la parte settentrionale della regione con-sente di avere per essa un quadro meglio definitodella sua pericolosità, per quanto rimanganoancora aperte alcune questioni riguardo a qualisiano effettivamente le faglie sismogenetiche all’in-terno di questa area. La più bassa frequenza di atti-vità sismica a sud dell’Ofanto rende inevitabilmentepiù povero il corrispondente patrimonio di dati sto-rici e quindi più debole la base statistica su cuicostruire le stime di pericolosità: diventa perciòmaggiormente importante, in prospettiva, l’appro-fondimento delle conoscenze sismiche sia attra-verso l’intensificazione dell’indagine storica, siatraendo il massimo di informazione dal progressivoaccumularsi di osservazioni strumentali, nonchédallo studio di ulteriori potenziali indicatori disismicità di tipo archeologico e geologico (quali,per esempio, strutture sedimentarie di originesismica o tracce di fratturazione sismica di concre-zioni calcaree in grotte carsiche).

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