Futur Iuris - Seconda Uscita

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C on la caduta del Muro di Berlino abbiamo ritrovato questa parte essenziale della nostra cultura: ma l’abbiamo ritrovata davvero? La caduta dei muri di pietra è accolta con gioia, osservava Christa Wolf, ma è molto più difficile fare i conti con i muri che stanno dentro le nostre teste. La larga ignoranza nei confronti delle cultu- re dei “paesi ritrovati” ci dice che i ”muri di dentro”sono ancora solidi. Guido Crainz (Prof. di Storia Contemporanea) FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE P er la terza volta nell’arco di nove anni, viene prevista la possibilità di rimpatrio o di regolarizzazione dei beni e dei capitali detenuti all’este- ro in violazione delle norme che impongono la dichiarazione di tali attività (si vedano l’art. 13-bis d.l. 78/2009, e le modifiche apportate dal d.l. 103/2009). La ragione eco- nomica del nuovo provvedimento sta nel fatto che la crisi finanziaria ancora in corso ha alimentato una nuova reazione degli stati contro i cosiddetti “rifugi, o paradisi, fiscali”, cioè quegli stati che consentono di detenere denaro, partecipazioni o altre attività finanziarie, garantendo ai titolari l’anonimato in quanto viene negato lo “scambio di informazioni” con le amministrazioni finanziarie o giudiziarie degli stati in cui risiedo- no gli effettivi possessori dei beni. Da questa ripresa di un conflitto che possiamo definire eterno, sul piano fiscale è derivato un inasprimento delle regole destinate a colpire i redditi esteri non dichiarati, in ge- nere prodotti attraverso lo schermo di società costituite appositamente per fungere da cassaforte per le ricchezze che non devono essere conosciute dalle amministrazioni finanziarie e, talora, giudiziarie. La collocazione di risorse in paesi non collaborativi (e sostanzialmente privi di una loro propria fiscalità) garanti- sce almeno due vantaggi, che i red- diti prodotti all’estero siano sottratti a qualunque forma di tassazione, quale che sia il loro impiego, e che in quella cassaforte si possano depositare frutti di attività illecite (o perché criminali, o perché frutto di evasione fiscale). Negli ultimi anni il fisco italiano (come tutti gli altri) ha molto intensificato la ricerca di tali ricchezze, che la legge obblighereb- be comunque a dichiarare, anche a prescindere dalla imponibilità ef- fettiva dei redditi che ne derivano: i media hanno spesso riferito di personaggi famosi coinvolti o in resi- denze fiscali fittizie, o nel possesso di capitali esteri occulti. Con la solenne (ma poco credibile) dichiarazione di intenti che, data la sistematica lotta a tale forma di evasione ed elusione fiscale inter- nazionale, occorreva dare un’ultima chance agli operatori di rientrare in una situazione di legalità, e che questa sarebbe stata l’ultima via d’uscita concessa, è stato fulminea- mente introdotto lo scudo fiscale, che consente il rimpatrio o la rego- larizzazione dei beni e dei capitali detenuti all’estero e che non siano stati dichiarati secondo le regole: la norma è stata introdotta con un emendamento governativo ad un decreto legge, sul quale è stata po- sta la fiducia, e non ha avuto alcun dibattito in sede parlamentare (come è ormai prassi frequente). Dagli stati “sospetti”, è necessario il rimpatrio, mentre nell’ambito UE è possibile la sola regolarizzazione dato che le norme comunitarie sulla libertà di circolazione dei capitali avrebbero impedito di imporre una collocazio- ne in Italia delle risorse. Sui beni dichiarati, si applica un’imposta del 50%, applicata ad un reddito annuo presunto (molto inferiore a quello effettivo presumibile) del 2% sul valore del capitale detenuto. Natu- ralmente, al soggetto che accede all’operazione deve essere garantita un’ampia protezione – di qui il nome di scudo – e pertanto la legge con- sente di conservare l’anonimato e prevede che le somme regolarizzate non possano essere usate a sfavore del titolare delle stesse, in un’am- pia gamma di giudizi. Insomma, al rimpatrio o alla regolarizzazione va necessariamente abbinata una sanatoria fiscale e una sorta di im- munità penale, che, come sempre, sono state disegnate con una certa ampiezza anche se, formalmente, restano esclusi dalla copertura i rea- ti connessi al riciclaggio. Anche se il giudizio di molti è posi- tivo, considerando che l’economia Lo scudo fiscale: opportunità anti crisi o strumento di crisi?

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Il periodi dell'Udu Teramo

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Con la caduta del Muro di Berlino abbiamo ritrovato questa parte essenziale della nostra cultura: ma

l’abbiamo ritrovata davvero? La caduta dei muri di pietra è accolta con gioia, osservava Christa Wolf, ma è molto più difficile fare i conti con i muri che stanno dentro le nostre teste. La larga ignoranza nei confronti delle cultu-re dei “paesi ritrovati” ci dice che i ”muri di dentro”sono ancora solidi.

Guido Crainz(Prof. di Storia Contemporanea)

FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE

Per la terza volta nell’arco di nove anni, viene prevista la possibilità

di rimpatrio o di regolarizzazione dei beni e dei capitali detenuti all’este-ro in violazione delle norme che impongono la dichiarazione di tali attività (si vedano l’art. 13-bis d.l. 78/2009, e le modifiche apportate dal d.l. 103/2009). La ragione eco-nomica del nuovo provvedimento sta nel fatto che la crisi finanziaria ancora in corso ha alimentato una nuova reazione degli stati contro i cosiddetti “rifugi, o paradisi, fiscali”, cioè quegli stati che consentono di detenere denaro, partecipazioni o altre attività finanziarie, garantendo ai titolari l’anonimato in quanto viene negato lo “scambio di informazioni” con le amministrazioni finanziarie o giudiziarie degli stati in cui risiedo-no gli effettivi possessori dei beni. Da questa ripresa di un conflitto che possiamo definire eterno, sul piano fiscale è derivato un inasprimento delle regole destinate a colpire i redditi esteri non dichiarati, in ge-nere prodotti attraverso lo schermo di società costituite appositamente per fungere da cassaforte per le ricchezze che non devono essere conosciute dalle amministrazioni finanziarie e, talora, giudiziarie. La collocazione di risorse in paesi non collaborativi (e sostanzialmente privi

di una loro propria fiscalità) garanti-sce almeno due vantaggi, che i red-diti prodotti all’estero siano sottratti a qualunque forma di tassazione, quale che sia il loro impiego, e che in quella cassaforte si possano depositare frutti di attività illecite (o perché criminali, o perché frutto di evasione fiscale). Negli ultimi anni il fisco italiano (come tutti gli altri) ha molto intensificato la ricerca di tali ricchezze, che la legge obblighereb-be comunque a dichiarare, anche a prescindere dalla imponibilità ef-fettiva dei redditi che ne derivano: i media hanno spesso riferito di personaggi famosi coinvolti o in resi-denze fiscali fittizie, o nel possesso di capitali esteri occulti.Con la solenne (ma poco credibile) dichiarazione di intenti che, data la sistematica lotta a tale forma di evasione ed elusione fiscale inter-nazionale, occorreva dare un’ultima chance agli operatori di rientrare in una situazione di legalità, e che questa sarebbe stata l’ultima via d’uscita concessa, è stato fulminea-mente introdotto lo scudo fiscale, che consente il rimpatrio o la rego-larizzazione dei beni e dei capitali detenuti all’estero e che non siano stati dichiarati secondo le regole: la norma è stata introdotta con un emendamento governativo ad un

decreto legge, sul quale è stata po-sta la fiducia, e non ha avuto alcun dibattito in sede parlamentare (come è ormai prassi frequente). Dagli stati “sospetti”, è necessario il rimpatrio, mentre nell’ambito UE è possibile la sola regolarizzazione dato che le norme comunitarie sulla libertà di circolazione dei capitali avrebbero impedito di imporre una collocazio-ne in Italia delle risorse. Sui beni dichiarati, si applica un’imposta del 50%, applicata ad un reddito annuo presunto (molto inferiore a quello effettivo presumibile) del 2% sul valore del capitale detenuto. Natu-ralmente, al soggetto che accede all’operazione deve essere garantita un’ampia protezione – di qui il nome di scudo – e pertanto la legge con-sente di conservare l’anonimato e prevede che le somme regolarizzate non possano essere usate a sfavore del titolare delle stesse, in un’am-pia gamma di giudizi. Insomma, al rimpatrio o alla regolarizzazione va necessariamente abbinata una sanatoria fiscale e una sorta di im-munità penale, che, come sempre, sono state disegnate con una certa ampiezza anche se, formalmente, restano esclusi dalla copertura i rea-ti connessi al riciclaggio.Anche se il giudizio di molti è posi-tivo, considerando che l’economia

Lo scudo fiscale: opportunità anti crisi o strumento di crisi?

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RIFORMA UNIVERSITARIA: DOVE ARRIVEREMO? Come cambia il governo degli atenei

Sull’articolo in uscita su “La “Città” ho analizzato a grandi linee i principali effetti della riforma universita-

ria; qui cercherò di approfondire maggiormente il tema.Il sistema di governo degli Atenei ha il suo fondamento nell’autonomia sancita a livello costituzionale all’art. 33 che prevede : “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” ed, inoltre, “le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”. Su questa scia, la legge 168/89 attribuisce ad ogni università il potere di redigere il proprio statuto, dan-do la possibilità di stabilire in via autonoma la didattica, la contabilità e le modalità elettive dei principali organi d’Ateneo, in linea con la normativa dettata dalla legge stessa. Il Rettore, che rappresenta l’Ateneo, convoca e presiede Senato e Cda, ha responsabilità disciplinari sui docenti, firma le delibere ed emana i decreti rettorali. Può ricoprirne la carica solo un professore ordinario, eletto da docenti, personale tecnico e studenti. A Teramo parteci-pano al voto tutti i rappresentanti degli studenti con voto ponderato di 1/4, tutti i docenti di I e II fascia ed i ricerca-tori confermati, ed il personale con voto ponderato di 1/3. Con il ddl il Rettore non può eleggersi oltre il secondo mandato – e questa mi pare un’innovazione positiva che allontana di fatto il rischio attuale di inamovibilità della ca-rica – e può essere anche un docente ordinario esterno all’Ateneo – punto che non può accogliersi, poiché solo un conoscitore di vizi e virtù dell’Ateneo può assolvere ottimamente al suo ruolo.Le scelte politiche di programmazione e sviluppo in ma-teria di didattica, ricerca e personale accademico sono ora determinate dal Senato Accademico; il ddl lo priva di fatto di potere reale, lasciandogli ruolo esclusivamente propositivo e consultivo su didattica e ricerca, con mem-bri eletti da almeno i 2/3 dei docenti di ruolo.E veniamo al Consiglio di Amministrazione, l’organo di gestione amministrativa, finanziaria ed economica pre-sieduto dal Rettore con componente studentesca pari, in proporzione, al 15%. Tra le sue funzioni, quella di appro-

vare il bilancio, bandi ed appalti edilizi. Con il ddl gli ver-ranno attribuiti tutti i poteri in materia di programmazione finanziaria e contabile, e ne risulterà modificata anche la composizione con un massimo di 11 componenti (tra cui personalità in possesso di comprovata competenza in campo gestionale ed almeno 5 membri su 11 esterni). In altri termini, il CdA diventerà l’unico organo decisio-nale competente a deliberare su gestione economica, didattica e ricerca, ambiti che saranno subordinati alla politica di bilancio e non alle reali esigenze didattiche e formative.Questi i punti fondamentali che il ddl andrà a trasformare. Tuttavia, c’è sempre qualcosa che manca nelle “grandi” riforme che in Italia i nostri rappresentanti politici cercano di realizzare ; noi dell’ Udu Teramo ci aspettiamo una se-ria revisione del sistema universitario che preveda: corsi ed esami pratici da affiancare alla teoria, riduzione dei corsi di laurea con relativa professionalizzazione degli esistenti, docenti che vivano l’università a tempo pieno, valorizzazione del merito a tutti i livelli, dalle cattedre - al-lontanando i docenti che vengono solo a presenziare-, ai banchi – chiudendo le porte dell’ università agli studenti da troppi anni fuori corso, e, in definitiva, abolizione di tutti gli ordini professionali.In ultimo, cerchiamo di andare fieri delle nostre università pubbliche, impegnandoci per cambiarle dall’interno affin-chè un domani ci possa finalmente essere un’inversione di tendenza: vedere i nostri atenei, piuttosto che quelli cd. “privati”, bacini privilegiati dai quali reperire lavoratori.

Andrea Monsellato

italiana dovrebbe così godere di un afflusso di capitali “freschi” conside-revole (e lo stato otterrà comunque un gettito significativo), lo scudo non può essere a mio avviso assoluta-mente condiviso. A parte infatti i be-nefici previsti, che sono comunque di breve periodo e anche assai dubbi, dato che non è affatto certo che i capitali regolarizzati saranno effetti-vamente investiti in Italia, sta di fatto che l’operazione ha un alto tasso di rischio rispetto alle attività criminali, che ovviamente investono all’estero, in forma occulta, i loro profitti, ma so-prattutto costituisce l’ennesima ricor-rente forma di tolleranza verso chi ha

commesso gravi irregolarità. E’ vero che, senza lo scudo, molte di quelle risorse non sarebbero state mai ac-certate, ma è anche vero che la pe-riodicità ormai garantita di condoni e sanatorie pone premesse sicure per incoraggiare la persistenza in futuro dei comportamenti illeciti. Inoltre, se per il primo scudo si trattava di sana-re esportazioni di capitali che risali-vano molto indietro nel tempo, anche a periodi in cui non esisteva libera circolazione di capitali, oggi le attività regolarizzate sono prevalentemente frutto (nella migliore delle ipotesi) di evasione fiscale: ed allora si pone anche un problema di equità, dato

che questo ampio condono è negato agli evasori che abbiano trattenuto in Italia i proventi occultati al fisco (a meno che non dichiarino falsamente di detenerli all’estero). Tra l’altro, la Corte di Giustizia europea tende or-mai a ritenere illegittime forme così ampie di sanatoria fiscale.Sui manuali di diritto tributario, ormai, credo vada dedicato all’argomento un apposito capitolo; la patologia italiana non può più essere ignorata dalla riflessione scientifica.

Massimo Basilavecchia(Professore di Diritto Tributario)

FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA

SEZIONE AFFARI INTERNI E POLITICA

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Che fine farà il lodo Alfano?

Ci risiamo! Ancora una volta si tenta di delegittimare la nostra

Carta Costituzionale.E si, perché una delle ultime novità del nostro Governo (e purtroppo non siamo ancora salvi) è statal’emanazione del “lodo Alfano”, boc-ciato dalla Corte Costituzionale a ottobre scorso.Il lodo Alfano, legge 23 luglio 2008 n. 124, assicurava l’immunità alle più alte cariche dello Stato come recita l’art. 1 comma 1.Nel 2008 il Tribunale di Milano aveva sollevato la questione di legittimità della suddetta legge con le ordinan-ze 397/08 e 398/08.La Corte Costituzionale è stata cosi chiamata a giudicare la questione e alla fine è arrivata a bocciare la legge n.124 poiché questa viola gli art. 3 e

138 della Costituzione: il primo sta-bilisce l’eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi la legge, il secondo regola la procedura parlamentare per le leggi di revisione costituzionale.In poche parole la Corte ha dichiara-to incostituzionale il lodo in quanto, nel sospendere i processi alle più alte cariche dello Stato con una leg-ge ordinaria, ha di fatto creato una disparità di trattamento tra cittadini (in violazione dell’art. 3 della Carta Costituzionale), violando l’art. 138 della Costituzione che prevede in tali casi l’emanazione di una legge Costituzionale.Il problema è lungi dall’esser risolto: infatti, oltre al dibattito sul nuovo ddl “processo breve”, si parla anche della possibilità di riproporre il testo della legge 124, seguendo, però, l’iter previsto dall’art 138. Staremo a vedere.

La domanda che mi pongo a questo punto però è questa: come può uno stato democratico, quale dovrebbe essere il nostro, che dispone di una Costituzione avanzata come quella del 1948, essersi ridotto a discutere di questioni di tale natura?E soprattutto, come possiamo non preoccuparci, se all’interno delle no-stre istituzioni operano politici, eletti da noi, capaci di dare delle soluzioni così in contrasto con i principi cardi-ne di un sistema democratico?Non stiamo, forse, sottovalutando quello che sta accadendo?Vi invito a riflettere..

Eugenia Ricci

PROCESSO BREVE: tra disastro annunciato ed esigenze di riforma.

Da quindici anni a questa parte, dalla “scesa in cam-po” di Silvio Berlusconi, l’Italia vive a fasi alterne lo

scontro tra politica e magistratura. Le pendenze proces-suali del Premier hanno inevitabilmente condizionato il confronto sulla Giustizia, dividendo il Paese tra quanti (come me) sostengono che Berlusconi si serve di leggi ad personam per evitare i processi e quanti credono che sia la magistratura ad utilizzare i processi per far fuori Berlusconi.Sta di fatto che in questi anni gli interventi legislativi in materia di giustizia penale proposti dal centrodestra (dal-la legge Ex Cirielli ai Lodi Schifani ed Alfano) sono stati tutti accomunati dalla esigenza di mettere il Premier al riparo dal rischio di una condanna penale. Il ddl sul “pro-cesso breve” non esce da questo solco e rischia di man-dare al macero migliaia di processi per bloccarne uno. Quali i contenuti del ddl all’esame del Senato? Il testo normativo fissa in 6 anni (2 per grado di giudizio) il ter-mine massimo di durata del processo, decorso il quale il reato risulterà estinto. Introduce poi alcuni correttivi di facciata e di dubbia costituzionalità (il prezzo che si paga alla Lega Nord?): la legge si applica ai reati puniti con pena non superiore ai d ieci anni (tra cui concussione,corruzione e bancarotta) ma non trova applicazione per i reati di allarme sociale (furto, spaccio di droga, guida in stato di ebbrezza) e di immigrazione clandestina; opera per i soli incensurati, come se gli altri avessero un diritto affievolito alla ragionevole durata del processo; si applica ai processi in primo grado (come sono guardacaso i processi di Milano con l’imputato Ber-lusconi) e non a quelli che sono in appello (il corruttore Berlusconi sarà assolto, il corrotto Mills condannato).

Una legge piena di antinomie che difficilmente supererà il vaglio di costituzionalità del Presidente della Repubbli-ca e della Corte Costituzionale ma che comunque servirà a prender tempo (come già avvenuto con i Lodi Schifani e Alfano).Intanto il problema Giustizia resta tale e quale. La lun-ghezza dei processi e l’incertezza della pena mortificano la vittima, che ha diritto ad ottenere giustizia in tempi rapidi e certi, ma pregiudicano anche l’imputato, relegan-dolo per anni nel limbo di chi attende con ansia il verdetto che giudicherà della sua colpevolezza o innocenza. Ed allora, se il nostro sistema giudiziario fosse in grado di concludere i processi nell’arco di soli 6 anni, la legge sul processo breve sarebbe assolutamente inappuntabi-le perchè rispondente agli interessi di celerità e certezza del giudizio. Ma un provvedimento legislativo non può prescindere dalla realtà, la astratta previsione normativa va calata nella concreta realtà quotidiana, ed allora oc-corre chiedersi quali conseguenze questa riduzione dei tempi di prescrizione può avere se prima non si mette il sistema in condizione di celebrare i processi in tempi brevi? La risposta è semplice: un disastro. Chiunque abbia una minima conoscenza della realtà del sistema giudiziario (chi scrive svolge la pratica forense da poco più di un anno) sa bene che i Tribunali versano in pessi-me condizioni, sa che manca il personale di cancelleria, sa che il numero dei magistrati è insufficiente, sa che le strumentazioni tecniche (computer, stampanti ecc.) sono assolutamente obsolete. A fronte di tutto ciò chiedere agli Operatori della Giustizia di ridurre i tempi processuali è come chiedere ad una barca a vela di solcare i mari a gran velocità mentre si fa cessare il vento. Per avere una giustizia più veloce è indispensabile destinare alla stessa maggiori risorse, umane e finanziarie. Bisogna aumenta-

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Vietato dire “complotto”

Il presidente del Consiglio italiano può parlare di complotto ai suoi

danni ogni giorno. La stampa italiana, dalla più alla meno libera, se ne guarda bene dal farlo.E non si può di certo negare come, in un paese dove accadono vicende estremamente gravi come quella del caso Marrazzo, l’uso delle parole sia molto importante. Anzi, fondamentale.Giornali e programmi televisivi, a partire dal 23 ottobre, giorno della diffusione pubblica del video che ritraeva l’ex Presidente della Regione Lazio nell’abitazione di un trans, non hanno fatto altro che aprire discussioni e dibattiti sui particolari, anche i più insignificanti, della vicenda. Scansione dettagliata degli eventi in rigoroso ordine cronologico, cifre di assegni, cifre per pagare la cocaina, tonnellate di testimonianze, interviste ai trans di tutta Roma. Insomma, ne abbiamo sentite veramente di tutti i colori e in tutte le salse. L’importante era non parlare delle dimensioni della vicenda.In realtà, qualsiasi cittadino normale si porrebbe un’altra domanda: perchè un video girato il 3 luglio, peraltro giunto per la prima volta alla stampa il 15 luglio (a visionare per prima il video fu la redazione romana del quotidiano “Libero”) e che da quel momento è passato per diverse redazioni di giornali, è giunto a conoscenza dell’opinione pubblica

(peraltro non si sa bene nemmeno a causa di chi) solo il 23 ottobre? Il cittadino italiano è però sicuro di due cose. Primo: in estate gli eventi politici hanno una risonanza molto minore. Secondo: a ottobre

mancano pochi mesi proprio per il rinnovo della giunta della Regione Lazio. E Piero Marrazzo, per il suo secondo mandato, pùò ricandidarsi.Ma, è evidente che colpire l’uomo, per provocare le dimissioni (politiche) del Presidente, ha significato necessariamente una conoscenza dettagliata delle sue abitudini sessuali, per scovare almeno una “scappatella”. A tal fine, un pedinamento appare il requisito minimo per riuscire nell’impresa. Ma se davvero l’iniziativa fosse stata delle terribili “mele marce”, ecco cosa si sarebbero trovate, realisticamente, sul piatto della bilancia: compiere un’operazione che avrebbe (se non

altro) comportato il compimento di più reati, la cacciata dall’Arma, la perdita del posto di lavoro... per estorcere l’irrisoria cifra di ventimila euro. Un piatto di lenticchie. Ne varrebbe davvero la pena? Forse

il piatto della bilancia era molto più equilibrato di quello che i grandi maestri del giornalismo italiano dicono. Proviamo a ribaltare la domanda: vale la pena far marcire quattro mele per il Governo della Regione che ospita la Capitale d’Italia? Eh no signori, in questo paese i complotti politici si fanno solo contro Silvio Berlusconi.

Lorenzo Filippo Berghella

re il personale giudiziario e para-giudiziario, informatizza-re gli uffici ed eliminare i presidi inutili anche accorpando i Tribunali. È necessario aggiornare la disciplina del codi-ce di procedura penale, sfoltendo i formalismi che creano soltanto appesantimenti e lungaggini, introducendo filtri al giudizio d’appello (limitando l’appello dei reo confessi e ritoccando il divieto di reformatio in peius), e rivedendo la disciplina della udienza preliminare accentuandone i caratteri della oralità e del contraddittorio e rafforzando la sua funzione di filtro al dibattimento.Se è vero che il livello di civiltà di uno Stato si misura innanzitutto dal suo sistema di giustizia, è giunta l’ora di

una Riforma ampia e sistematica del nostro sistema pro-cessuale. Sarà questa classe dirigente capace di tanto? Queste premesse non fanno ben sperare.

Luca Scarpantoni

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Rieducazione o Punizione?

Regina Coeli, Roma - Un corpo devastato da lividi, una madre che stenta a riconoscere il suo ragazzo,

Stefano Cucchi, le cui foto fanno il giro della rete. Alcuni quotidiani coraggiosi le pubblicano persino. Castrogno, Teramo - Un audio, pervenuto in forma anonima alla redazione de “La Città“, racconta un presunto caso di violenza avvenuto dietro le sbarre del carcere. E l’opinio-ne pubblica si interroga su quello che realmente avviene negli istituti penitenziari italiani.“Rieducazione non è punizione”, il terzo comma dell’arti-colo 27 della Costituzione recita così: “...le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Sul principio rie-ducativo si è basato anche uno dei più grandi esponenti dell’Il-luminismo, Cesare Beccaria, che nel suo “Dei delitti e delle pene” parla dell’origine e dello scopo delle pene afflittive della persona : esse consistono nel-l’allontanamento dalla società a scopo rieducativo, e devono essere proporzionate, così da garantire l’uguaglianza di tutti gli individui, prescin-dendo dalle condizioni economiche, politiche e sociali. Il concetto di rieducazione correttamente interpretato è, dunque, implicito in quello di pena, in quanto ne costitui-sce la principale finalità per l’ordinamento e può avvenire attraverso molte strade che permettano al soggetto di riversare le sue energie nel lavoro manuale e non, ga-rantendo, soprattutto ai giovani rei, una vita serena e rispettosa. Sull’assurda morte di Stefano Cucchi restano ancora molti lati oscuri : la famiglia ha chiesto che ven-ga fatta giustizia, che vengano ricostruite nel dettaglio i

sei giorni di calvario vissuti dal 31enne. Sulla vicenda che si sarebbe consumata nel carcere di Teramo, invece, c’è qualche elemento in più, perchè nell’audio si sentono nitidamente frasi del tipo: “Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto. Un detenuto non si mas-sacra in sezione, si massacra sotto”. Secondo le indica-zioni riportate all’interno della lettera anonima che faceva da corredo all’ audio, quelle parole così crude sarebbero state pronunciate all’interno di uno degli uffici della Po-lizia penitenziaria. Frasi spaventose impresse in un na-stro. Ora questo audio è nelle mani della Procura della Repubblica di Teramo che ha aperto un’inchiesta sulla

vicenda. Sono parole che raccontano di un pestaggio ai danni di un detenu-to, episodio che sembra rientrare nella normale gestione del penitenziario. Sperando che in entrambi i casi, che hanno messo in luce un mondo sommerso, la giustizia riesca a fare chiarezza, è il caso di riflettere sia sul senso dell’articolo 27, sia sui concetti espressi dal Beccaria, affinché restino i capisaldi del diritto penale, da osser-vare e mettere in pratica. Un monito rivolto agli studenti, per comprendere la solennità e praticabilità di quanto

studiano, e ai cittadini, per continuare a credere nelle possibilità di rieducazione e reintegrazione sociale del reo e in quella certezza della pena che non può tollerare in alcun modo l’utilizzo di metodi violenti e disumani. Con l’auspicio che le reali responsabilità emergano e non sia-no coperte da vergognosi SILENZI.

Mariangela Bartolomeo

SEZIONE ESTERI

Where is my Vote?

Oggi, all’inizio del nuovo millennio, quando la democrazia dovrebbe essere una realtà

concreta, stupisce che in un Paese come l’Iran, il “più occidentale” dei Paesi del Medio - oriente (la prima costituzione risale al 1906), si verifica-no episodi che hanno assunto i contorni della repressione e dell’esercizio violento dell’autorità politica.Il 12 giugno 2009, a trent’anni dall’instaurazione della Repubblica Islamica dell’Iran, hanno avuto luogo le elezioni presidenziali, che hanno portato alla vittoria di Mahmoud Ahmadinejad.Si è discusso molto sull’effettiva legittimità dei risultati elettorali e ci è sembrato doveroso in-

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tervistare una studentessa iraniana di scienze politiche: Kamelia Babazadeh, da sei anni in Italia. - Kamelia, da “ iraniana in Italia”, come hai vissuto il “tuo” 12 giugno?- Con il fiato sospeso, io con tutta la mia famiglia ho cercato di carpire quante più notizie possibili, guardando sia la Cnn, dove veniva trasmesso un programma intera-mente dedicato alle elezioni, sia seguendo la tv di stato iraniana. I risultati erano previsti per il giorno dopo, ma, nonostante lo spoglio fosse stato effettuato, nel tardo pomeriggio non si era ancora avuta una dichiarazione ufficiale dei risultati.- Viste le discussioni che si sono avvicendate im-mediatamente dopo le votazioni, vorremmo sapere le modalità e un tuo parere sulla legittimità delle elezioni.- I risultati hanno attestato la vittoria di Ahmadinejad con il 63% dei consensi e, la conseguente, sconfitta dell’ex primo ministro Mousavi con il 34% dei voti. Risulta ambigua la modalità del voto, di cui poco si è par-lato, che prevedeva l’utilizzo del numero 44 per Ahmadi-nejad e del 4 per Mousavi. Proprio su questo elemento si concentrano i principali dubbi sui possibili brogli elettora-li. Inoltre, sebbene le prime notizie dessero in vantaggio Mousavi, improvvisamente, la situazione si è capovolta. Stupisce poi, la grande omogeneità conseguita dal vinci-tore, in province diverse fra loro per cultura e classe so-ciale. Persino a Teheran, progressista, dove i pronostici erano a favore di Mousavi, ha vinto Ahmadinejad. La mancanza di occhio vigile, causa l’assenza di os-

servatori internazionali, non ha consentito una garanzia sull’effettiva validità dei voti.- Alla luce di questi fatti, la popolazione e in partico-lar modo i giovani, come hanno reagito?- Dal momento della proclamazione dei risultati migliaia di iraniani, sostenitori di Mousavi, hanno dato il via a una serie di manifestazioni di piazza contro quello che loro definiscono un risultato falsato da brogli, tanto da usare come slogan “WHERE IS MY VOTE?”I manifestanti sono soprattutto studenti universitari, uo-mini e donne sotto i trent’anni, la maggioranza della po-polazione iraniana: loro sono la cosiddetta “ONDA VER-DE”. Scelgono il verde, i sostenitori di Mousavi, il colore della famiglia del profeta, che ha una valenza simbolica molto forte nell’immaginario collettivo sciita. - A tutt’oggi, a 5 mesi dalle elezioni, per te sostenere la “causa iraniana” ha ancora un senso?- Nonostante le repressioni e la perdita di molti miei connazionali, le proteste contro il regime non devono fer-marsi, affinché il cammino tortuoso per raggiungere una forma di governo democratica veda luce anche in questa terra che da sempre ha ricoperto un ruolo importante nello scenario internazionale. Stavolta gli iraniani stanno vincendo le loro paure!

Annachiara BaioccoLaura Campagna

Federica Giovannoli

Persepolis: la storia di una vitaUn bianco e nero a colori

Film d’animazione diretto da Marjane Satrapi e Vincent Pa-

ronnaud, Persepolis è la trasposi-zione cinematografica dell’omonima graphic novel scritta da Marjane Satrapi. Primo fumetto iraniano a es-sere mai stato pubblicato, è il riflesso sincero della sua autrice. Ha vinto il Premio della Giuria al Festival di Cannes, e ricevuto la nomination all’Oscar nel 2008 come miglior film d’animazione dell’anno. Nonostante la statuetta mancata è considerato un capolavoro nel suo genere.Disegnato in due dimensioni e quasi interamente in bianco e nero, arriva al cuore dello spettatore attraverso la potenza contenutistica delle immagi-ni e la strepitosa colonna sonora curata da Oliver Bernet, che in ogni scena svela la vera anima della sua protagonista.Persepolis narra le vicende della pic-

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cola Marjane, simbolo dei mutamenti generazionali e storico-culturali di un’intera nazione: l’Iran. Figlia di una colta famiglia borghese, Marjane cresce con degli ideali forti che la porteranno a lottare contro l’ipocrisia della quale è testimone. L’infanzia felice di Marjane trascorre a Teheran, sotto il regime repressivo dello Scià Reza Pahlavi di cui ormai il popolo è stanco ed è per questo motivo che saluterà con ingenuo en-tusiasmo la Rivoluzione iraniana del 1979 al grido di “abbasso lo Scià”.Dopo il breve governo del demo-cratico Shapur Bakhtiar, il 30 marzo 1979 gli iraniani andarono alle urne e con referendum sancirono la na-scita della Repubblica Islamica.Con il “99,9%” dei voti si passò al regime dell’Ayatollah Khomeini. Cambia il volto dell’Iran e cambia il volto delle sue donne costrette ad in-dossare il velo e a coprire ogni parte del loro corpo. Il fondamentalismo si inasprisce e la censura bandisce ogni “stile di vita all’occidentale”. In questo clima, in cui la mancanza di una piena libertà sta stretta a Marja-ne, la famiglia convince la ragazza ad andare a studiare a Vienna, lonta-no e al sicuro da una guerra che per otto anni segnerà il suo Paese.Marjane trascorrerà così la sua adolescenza, “periodo di bruttezza eternamente rinnovata”, in un’Eu-ropa libera e permissiva, ma anche

così poco accogliente nei confronti dell’estraneo, dove chi la circonda cercherà di scovare in lei la confer-ma dei propri luoghi comuni sull’Iran:

come accade spesso, appena metti il naso fuori dai confini, perdi la tua individualità e diventi una specie di specchio del tuo Paese. Per Marjane l’Europa sarà la prima prova di indi-pendenza, ma tanto forte e determi-nata nella sua autoaffermazione si rivelerà però assolutamente impre-parata ad affrontare l’amore!Le difficoltà e la nostalgia per il suo Paese, spingeranno la ormai giova-

ne donna a tornare in Iran fino alla sua definitiva scelta di vita. Tra i tanti personaggi che costella-no Persepolis e la vita di Marjane, straordinarie sono le figure delle due donne di casa Satrapi, da cui Marjane trae il suo “genetico” spirito di ribellione contro l’omologazione al regime: la simpatica nonna che profuma di gelsomino, che ha la capacità di farla guardare dentro se stessa, e la madre, che le sta ac-canto con il coraggio di chi vede una figlia cercare la sua identità, senza mai intralciarla, anzi facendo di tutto per lasciarle “la scelta”.Tutto racchiuso in Persepolis, con una narrazione intelligente e dina-mica: ironia e poesia per raccontare la verità.

Martina D’Andrea

SEZIONE AMBIENTE

RISPARMIO ENERGETICO:tra strategie innovative e innova-zioni divulgative.

Le emissioni di gas serra prove-nienti dal consumo di energia

costituiscono, a tutt’oggi, la prin-cipale causa dell’ inquinamento atmosferico e dei conseguenti cambiamenti climatici. In Italia, la ricerca sul risparmio energetico si è concentrata nei settori dell’edilizia residenziale, in quello dei trasporti e quello industriale. Le sperimentazio-ni tecnologiche di implementazione di impianti a sfruttamento di fonti

rinnovabili nell’edilizia hanno offerto un’ ampia possibilità di interventi nor-mativi in diversi comuni italiani ove la progettazione e costruzione di edi-fici con innovativi impianti energetici, hanno prodotto buoni risultati riguar-do ai problemi connessi al consumo energetico negli “usi civili”. In effetti, stando ai dati riportati dal Bilancio energetico nazionale 2005, i consu-mi domestici costituiscono più del 30% dei consumi energetici totali. Tuttavia, è oramai assodato che né l’ Italia né gli altri paesi dell’Unione Europea riusciranno a rispettare l’im-pegno assunto con la sottoscrizione

del Protocollo di Kyoto che fissava l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 5,2 % entro il 2012, atteso che negli ultimi quindici anni le emissioni in Italia sono per giun-ta aumentate del 12,1%. A seguito della emanazione del cosiddetto “Pacchetto Europeo sui cambiamenti climatici”, gli Stati membri dell’Unio-ne Europea sono adesso vincolati al nuovo limite temporale del 2020 per porre in essere tutte le misure e le strategie necessarie per perseguire l’obiettivo di ridurre di almeno il 20% le emissioni di CO2, portare al 20% l’impiego delle fonti rinnovabili e au-

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Coste Sant’Agostino, c/o Facoltà di Giurisprudenzae-mail: [email protected] - [email protected]: 339/7458178

Realizzato con i Fondi per le Iniziative Culturali dell’università degli studi di Teramo

mentare l’effi cienza energetica del 20%. Questi i temi e le fi nalità del convegno (L’) Energia la strada è (L’) Alternativa? orga-nizzato dall’UDU Teramo e previsto per l’inizio del 2010.

Rachele Cocciolito