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REGIONE SICILIANA ASSESSORATO REGIONALE AGRICOLTURA E FORESTE Dipartimento Azienda Regionale Foreste Demaniali UOB n. 3 – Difesa fitosanitaria dei boschi Funghi ed Insetti riscontrati nei boschi della Sicilia nell’ anno 2004. Attività di studio, ricerca e sperimentazione. Agatino Sidoti - Antonino Colletti Palermo, Maggio 2005

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REGIONE SICILIANA

ASSESSORATO REGIONALE AGRICOLTURA E FORESTE

Dipartimento Azienda Regionale Foreste Demaniali UOB n. 3 – Difesa fitosanitaria dei boschi

Funghi ed Insetti riscontrati nei boschi della Sicilia nell’ anno 2004.

Attività di studio, ricerca e sperimentazione.

Agatino Sidoti - Antonino Colletti

Palermo, Maggio 2005

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INDICE

Premessa ………………………………………………………………………….. 3

1. L’andamento climatico del 2004……………………………………………… 4

2. Malattie fungine……………………………………………………………….. 6

3. Insetti dannosi…………………………………………………………………. 12

4. Alterazioni ad eziologia non ben definita……………………………………. 16

5. Attività di studio, ricerca e sperimentazione………………………………... 17

6. Allegati…………………………………………………………………………. 19 6.1. Cenni sui risultati del 1° anno della borsa di studio “Processionaria del pino

in Sicilia”…………………………………………………………………… 19

6.2. Bibliografia citata……………………………………………………………. 20

Coordinamento tecnico-scientifico: Dott. Agatino Sidoti, Dipartimento Azienda Regionale Foreste Demaniali, UOB n. 3 – Difesa fitosanitaria dei boschi, Via della Libertà, 97 – 90143 PALERMO; tel. 091-7906811, fax: 091-7906801; e-mail: [email protected] Fotografie Le foto riportate sono degli autori tranne quelle sottoindicate: Campo G. : 13 Csoka G. : 14 Tirrò A. : 4 Si ringrazia il personale del Dipartimento e degli Uffici Provinciali Azienda che ha collaborato allo svolgimento dell’attività riportata nella presente pubblicazione.

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Premessa Le malattie dei boschi sono il risultato di un’alterazione dello stato di equilibrio esistente fra le piante e gli altri fattori biotici ed abiotici che compongono i sistemi naturali. Gli agenti di malattie parassitarie sono, per lo più, da ricercarsi tra le componenti biotiche degli ecosistemi naturali di cui fanno parte. L’introduzione di entità patogene estranee all’ecosistema o l’alterazione dello stesso per l’azione avversa di fattori naturali e, spesso, antropici sono le principali cause della rottura dello stato di equilibrio ecologico preesistente che può sfociare in stati di deperimento e morie anche gravi (F. Moriondo, Introduzione alla Patologia Forestale, UTET 1999). Anche gli insetti sono parte integrante degli ecosistemi forestali e svolgono un ruolo importante per il loro funzionamento ed evoluzione. Tuttavia, quando la loro presenza raggiunge livelli d’infestazione elevati, possono incidere fortemente sulla crescita e sulle funzioni svolte dalle formazioni forestali. Le attività dell’uomo provocando l’impoverimento genetico (con l’utilizzo degli alberi migliori dal punto di vista commerciale), la degradazione del suolo, l’abbandono o la cattiva gestione dei boschi, in diversi casi, hanno ridotto o compromesso la vitalità e le intrinseche difese naturali dei popolamenti forestali che, di conseguenza, sono più predisposti alle avversità. Ai fenomeni di “deperimento del bosco”, frequentemente segnalati negli ultimi anni, i ricercatori associano anche gli effetti del cambiamento climatico sugli ecosistemi forestali. A tal proposito, nelle regioni del bacino del Mediterraneo è soprattutto lo stress idrico, conseguenza dei ricorrenti fenomeni siccitosi, ad incidere fortemente, in forma diretta ed indiretta, sullo stato di salute dei boschi ed è responsabile primario del “deperimento delle querce”. Infine, anche gli effetti dell’inquinamento atmosferico sull’indebolimento degli ecosistemi forestali e, quindi, sul loro stato di salute non devono essere sottovalutati. L ’incremento degli scambi commerciali derivanti dalla “globalizzazione” e dalla posizione geografica della Sicilia e l’attuazione di normative comunitarie e accordi internazionali (Agenda 2000, Protocollo di Kyoto, ecc.) volti a favorire il rimboschimento e l’imboschimento, determineranno un aumento degli spostamenti di piante fra aree diverse e, probabilmente, di nuovi parassiti che, spesso, risultano devastanti per i soprassuoli forestali. Le problematiche connesse agli effetti delle avversità biotiche ed abiotiche sulla vitalità e stato di salute delle foreste richiedono, in sostanza, un’attenta e continua vigilanza sul nostro patrimonio forestale ai fini della sua protezione e, quindi, conservazione e miglioramento secondo i principi della Gestione Forestale Sostenibile. In tale contesto s’inserisce la recente costituzione, all’interno del Dipartimento Azienda Regionale Foreste Demaniali, della UOB n. 3 – Difesa fitosanitaria dei boschi, struttura inedita per l’Amministrazione Regionale Siciliana. Le problematiche fitosanitarie, in qualche caso piuttosto complesse, dei vivai forestali e dei boschi gestiti dall’Azienda Regionale Foreste Demaniali affrontate dall’UOB n. 3 - Difesa fitosanitaria dei boschi nei primi sei mesi dalla sua costituzione documentano l’enorme mole di lavoro esistente e hanno confermato la necessità di un approccio specialistico alla gestione delle avversità delle piante forestali. A tal proposito si citano come esempi il rinvenimento dello “scolitide dai sei denti o stenografo” (Ips sexdentatus Börner) in pinete dell’Etna, mai riportato come agente di danno in Sicilia, che nell’estate 2004 ha causato la repentina ed improvvisa morte di un centinaio di alberi e l’individuazione di due nuove entità fungine, agenti di malattia su pioppo tremulo e faggio. Questa pubblicazione riporta le malattie fungine e gli insetti riscontrati nel 2004 nei boschi gestiti dall’Azienda Regionale Foreste Demaniali e nei vivai forestali ma anche altre avversità biotiche conosciute in Sicilia per le quali sono stati affrontati aspetti inerenti la difesa o che rivestono un’importanza regionale e meritano di essere divulgate; inoltre, vengono brevemente citate le attività di studio, ricerca e sperimentazione svolte dall’UOB n. 3 – Difesa fitosanitaria dei boschi in forma diretta o in collaborazione con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Fitosanitarie (Distef) – Sezione di Patologia Vegetale dell’Università degli Studi di Catania e l’Osservatorio per le Malattie delle Piante di Acireale, UOB n. 21.

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Le informazioni riguardanti le avversità e le relazioni con l’ospite e l’ambiente (patogeno, insetto, danni, dati stazionali, fattori predisponenti, ecc.) sono state annotate in schede che insieme al materiale bibliografico raccolto, inerente le problematiche fitosanitarie forestali finora trattate in Sicilia da Enti di ricerca ed Istituzioni pubbliche, costituiscono la base iniziale di un “Inventario Fitopatologico Forestale”. Quest’ultimo, adeguatamente sviluppato e migliorato, può diventare negli anni un utile strumento per la Gestione Sostenibile dei boschi della Regione Sicilia finalizzata, tra l’altro, al mantenimento della salute e della vitalità degli ecosistemi forestali.

1. L’andamento climatico del 2004

L'andamento meteorologico del 2004 è stato caratterizzato, soprattutto, dal bilancio pluviometrico nettamente positivo in quanto le piogge si sono verificate in abbondanza anche nei mesi estivi ed hanno colmato il leggero deficit evidenziatosi nei mesi di febbraio e ottobre. Le temperature, tranne in qualche caso, non hanno fatto registrare per lungo tempo valori sopra le medie climatiche, risultando spesso più bassi tanto da generare fenomeni di ritardo fenologico alle colture. Il mese di Gennaio si è contraddistinto per un andamento complessivamente freddo e poco piovoso. La prima decade è stata caratterizzata da un tempo un po' più freddo e piovoso rispetto alle medie; la seconda è stata quasi totalmente asciutta e un po' più calda delle medie; la terza, infine, è stata molto più fredda delle medie e poco piovosa. Malgrado il numero di giorni piovosi sia rimasto pressoché nella norma, a causa dei modesti apporti unitari, le precipitazioni sono risultate in quasi tutta la regione molto inferiori rispetto ai valori normali ad eccezione delle aree settentrionali, specie quelle a quota più elevata. In Febbraio è piovuto poco o niente; per quanto riguarda le temperature, è stato evidenziato un andamento sostanzialmente caldo. Nella terza decade, per lo Scirocco forte e persistente, le temperature sono balzate ben sopra le medie. Anche in febbraio, le precipitazioni sono risultate ovunque più basse rispetto al clima. Ad inizio mese si è registrato un blocco anticiclonico con una circolazione in quota di aria calda proveniente da sud che ha determinato rarissimi fenomeni di inversione termica sopra i 1000 m s.l.m.. In tali giorni, le temperature delle stazioni poste alle quote maggiori sono infatti risultate mediamente superiori a quelle rilevate in tutte quelle ubicate più in basso, determinando un'evidente deviazione del gradiente termico tipico del periodo. Il tasso di umidità ha evidenziato, sostanzialmente, un' andamento nella norma. Il mese di Marzo è risultato complessivamente freddo, umido e piovoso. La prima decade è stata caratterizzata da un tempo più freddo rispetto alle medie e precipitazioni nella norma. La seconda decade è stata quasi asciutta e più calda delle medie. La terza, infine, è stata molto più piovosa e poco più calda. Le precipitazioni abbondanti del mese (in alcune aree i valori mensili sono risultati di molto superiori rispetto alle medie), soprattutto nell'ultima decade, hanno di molto contribuito a migliorare la situazione deficitaria evidenziatasi nei primi due mesi dell'anno. Nel mese di Aprile si è ripetuto l’andamento meteorologico del mese precedente. La prima decade è stata caratterizzata da temperature intorno alle medie, con precipitazioni più abbondanti della norma. La seconda è stata più calda e piovosa delle medie ed, infine, la terza è stata molto più piovosa e più fredda. Le precipitazioni abbondanti hanno contribuito a migliorare ulteriormente la situazione deficitaria di inizio anno tranne nelle province di Agrigento, Catania ed Enna dove i valori correnti sono rimasti poco al di sotto delle medie. In particolare si sono avuti valori mensili molto elevati, fino a 150-200 mm; più elevati gli scarti positivi, rispetto al clima, nelle province di Ragusa e Siracusa e sui Nebrodi con punte di 8 volte i valori medi. L’umidità è stata piuttosto elevata. Il mese di Maggio ha riproposto freddo e pioggia. Le tre decadi sono state caratterizzate da un andamento meteorologico più freddo delle medie. Anche per le precipitazioni, le ultime due decadi sono risultate mediamente più piovose. I maggiori scarti negativi delle temperature si sono registrati nelle ultime due decadi, quando si sono spesso raggiunti valori fino a 5 °C inferiori al clima. Il ritardo di sviluppo fenologico di molte colture ha confermato il deficit

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termico. L'umidità relativa giornaliera è scesa progressivamente in modo meno evidente rispetto al trend del periodo. Anche le prime due decadi di Giugno sono risultate più fresche e piovose delle medie del periodo. La terza è risultata asciutta e con valori termometrici poco sopra la norma, dando di fatto avvio all'estate. Le precipitazioni, più abbondanti nei settori centro-settentrionali dell'isola e segnatamente in prossimità dei rilievi maggiori, sono risultate superiori alla norma, con scarti positivi che hanno raggiunto valori medi superiori 29-30 volte i valori climatici; in alcune aree dei versanti nord-occidentali dell'Etna si sono perfino registrate punte mensili di 180-200 mm. Tale situazione meteorologica ha ulteriormente contribuito ad ampliare il divario tra i valori correnti (meteorologici) e quelli climatici (trentennio di riferimento) sia rispetto all'anno solare che, soprattutto, rispetto all'annata agraria 2003-2004. In quasi tutto il mese, sono rimasti ancora relativamente alti i valori idrometrici che hanno favorito lo sviluppo di malattie fungine. Il mese di Luglio, complessivamente, ha fatto registrare tempo fresco e piovoso: la prima decade è risultata asciutta e calda; la seconda, fresca e ancora asciutta; la terza, fresca e piovosa. In particolare, le temperature sono risultate poco sopra le medie nella prima decade e ben al di sotto nella seconda, con punte di 5-6 °C di scarto negativo, poi ancora poco al di sotto nella terza decade. Alcuni eventi temporaleschi, soprattutto nelle aree centro-settentrionali e orientali dell’Isola, hanno contribuito ad aumentare il divario con i valori climatici delle precipitazioni rispetto all’anno solare (da gennaio 2004). Elevato il numero medio giornaliero di ore con umidità relativa bassa (< 40%) ma sono state registrate anche periodi abbastanza lunghi con un elevato numero di ore giornaliere con umidità relativa alta (> 80%). Il mese di Agosto è risultato asciutto e poco caldo. Nella prima decade, complessivamente più fredda delle medie del periodo, si è avuto qualche acquazzone nelle aree nord-orientali dell'Isola, segnatamente nelle stazioni di Maletto e Randazzo; la seconda e la terza decade sono state asciutte e mediamente calde. Le temperature hanno avuto un andamento altalenante lungo tutto il mese, oscillando da circa -3 °C a circa +3 °C rispetto alle medie del periodo. Il 20 di agosto è stato il giorno più caldo dell'anno. Le temperature massime hanno raggiunto punte di circa 43 °C nelle località più interne e meno ventilate (es. aree caratterizzate da depressioni topografiche). Settembre è stato complessivamente fresco e piovoso. In tutte le decadi, le temperature sono state abbondantemente sotto le medie. In questo mese, sono caduti in media circa 60-70 mm di pioggia, distribuite però diversamente sull'intero territorio regionale. Le zone più bagnate sono state quelle tirreniche e del Ragusano. Rispetto alle medie climatiche si sono registrati incrementi pluviometrici di circa il 200 % ; le zone con i maggiori valori di scarto positivo sono state quelle sud-orientali, la fascia costiera meridionale e quasi tutte le aree tirreniche. I valori di umidità relativa dell'aria sono risultati piuttosto alti per il periodo. Il mese di Ottobre è risultato molto caldo e poco piovoso; le temperature si sono mantenute abbondantemente sopra le medie del periodo. Le massime si sono spesso avvicinate alla soglia dei 30 °C, superandola in diverse giornate anche nelle aree collinari e di bassa montagna. Infatti, soprattutto nella parte settentrionale dell'Isola, proprio alle quote altimetriche medie, i venti di Scirocco e Libeccio hanno fatto alzare molto le temperature, con un contemporaneo forte abbassamento dei livelli igrometrici dell'aria. Anche le minime sono spesso state molto al di sopra delle medie. Le precipitazioni sono state quasi ovunque inferiori alle medie del periodo. Il mese di Novembre è stato più freddo e piovoso rispetto alla media. La prima decade è stata mediamente più calda, in quanto si è sentito il prolungamento dell'anomala ondata di caldo di fine ottobre, e anche più piovosa. La seconda decade è stata particolarmente fredda e ancora abbondantemente piovosa mentre la terza è stata asciutta e leggermente fredda. Le precipitazioni abbondanti del mese hanno riportato i valori correnti al di sopra di quelli climatici (medie trentennali). L’ umidità relativa è stata piuttosto alta. Infine il mese di Dicembre è stato molto piovoso e poco freddo. La situazione è stata abbastanza diversificata: più piovosa e ben più calda delle medie la prima decade; più piovosa e poco più calda la seconda; più fredda e più piovosa la terza. Le piogge sono state in tutta la regione ben sopra le medie e più abbondanti nel settore nord-orientale, dove si sono raggiunte punte di 500-550 mm e scarti percentuali fino al 550 % in più rispetto alla situazione climatica mensile. Da segnalare la prima neve, a quote superiori ai 1000-1200 m, che nella stazione di Cesarò - m.te Soro (1850 m s.l.m.) ha

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fatto registrare altezze fino a 70 cm negli ultimi giorni dell'anno. Il 2004 si è chiuso con una totale minore disponibilità di calore che ha generato il ritardo fenologico per molte colture. (Fonte: Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano, Assessorato Agricoltura e Foreste, Dipartimento Interventi Strutturali).

2. Malattie fungine

Marciume radicale da Heterobasidion annosum Nel mese di maggio 2004, nel bosco demaniale Candelara, località “Tavernara” (m.ti Peloritani, Messina), ricercatori dell’Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale di Roma hanno evidenziato la presenza dell’inoculo del fungo basidiomicete Heterobasidion annosum su campioni di legno di pino domestico (Pinus pinea). Nel sopralluogo effettuato nel mese di luglio dall’UOB n. 3 sono stati rinvenuti almeno tre focolai del patogeno, con la tipica distribuzione a macchia d’olio (foto 1), che ha causato la morte di almeno 50 piante, una parte delle quali erano state già tagliate ed asportate. Secondo le informazioni acquisite in loco, la malattia sarebbe stata osservata nel 2002 ma si ritiene che fosse presente da molto più tempo in quanto morie della pineta non diagnosticate sono segnalate da più anni. H. annosum, in Sicilia, è stato segnalato su pino laricio nel bosco Ragabo di Linguaglossa (CT) e su alberi di faggio impiantati nel Giardino Botanico Etneo “Nuova Gussonea” (Tirrò e Grillo, 1995; Distefano et al. 1996). Questa specie fungina è una delle avversità più pericolose per le specie forestali, in particolare conifere, in quanto può causare danni ecologici ed economici considerevoli. Negli ultimi anni è stato dimostrato che il genere Heterobasidion è costituito da almeno 5 specie che si distinguono per le loro caratteristiche genetiche, fisiologiche, biochimiche, morfologiche, per l’intersterilità e per i diversi ospiti attaccati. In base alla nuova nomenclatura, le tre specie riscontrate nei Paesi europei sono associate, rispettivamente: H. annosum a Pinus spp., H. parviporum all’abete rosso (Picea abies) e H. abietinum all’abete bianco (Abies alba). Le conifere attaccate manifestano un generale deperimento che inizia con l’ingiallimento della chioma, il disseccamento e la caduta degli aghi. Nei pini con il durame resinoso (pino laricio, pino domestico, ecc.), il fungo colonizza le radici (foto 2) ed il colletto fino a portarli a morte ma non causa la carie del fusto, a differenza che su altre specie come l’abete bianco e l’abete rosso. Le piante infette presentano l’emissione di resina dalle radici, che impregna abbondantemente il terreno circostante, mentre il legno appare traslucido e sono soggette a sradicamenti o schianti ad opera, soprattutto, del vento (foto 3). In presenza di elevata umidità ambientale si può sviluppare il corpo fruttifero, a forma di mensola, alla base del fusto, sulla ceppaia oppure sopra le radici nella zona di sollevamento del terreno. H. annosum si diffonde, principalmente, tramite le spore trasportate dal vento che s’insediano sulle superfici legnose appena tagliate come le ceppaie o attraverso ferite del fusto. Successivamente, il fungo colonizza l’apparato radicale e si propaga tramite i contatti radicali esistenti fra piante vicine. In merito ai fattori ambientali ed antropici predisponenti l’infezione e la diffusione di H. annosum nella pineta “Candelara” sono state formulate delle ipotesi. Innanzitutto, è notorio che il pino domestico all’età di 50-70 anni è particolarmente suscettibile al patogeno, probabilmente anche in funzione della maturità precoce dei popolamenti impiantati in stazioni a non elevata fertilità. La siccità frequente ed intensa degli anni antecedenti la comparsa, l’impianto monofita, la scarsa profondità e la natura sciolta del suolo e forse la carente componente microbiologica antagonista potrebbero aver determinato condizioni di stress ed indebolito le piante nelle quali il patogeno si è facilmente insediato e diffuso. Inoltre, l’elevata densità del bosco, per l’assenza di interventi di diradamento, non ha permesso uno sviluppo regolare del tronco e della chioma degli alberi che si presenta piuttosto scarsa (“a candelabro).

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La presenza di più focolai e la rapida diffusione del fungo rendono preoccupante la situazione per la pineta interessata dalla moria e per i popolamenti limitrofi. Al fine di contenere la diffusione della malattia sono stati suggeriti all’UPA di Messina degli interventi di lotta da attuare nel breve-medio termine che consistono nel: a) taglio e bruciatura tempestiva delle piante morte e di quelle deperienti adiacenti al focolaio; b) ove possibile, estirpazione delle ceppaie e delle radici; c) protezione preventiva delle ceppaie, immediatamente dopo il taglio, con soluzioni di urea al 20

% che impedisce la facile colonizzazione e, quindi, l’ulteriore diffusione del patogeno; Durante l’esecuzione degli interventi di eliminazione delle piante infette è importante evitare quanto più possibile ferite alle piante in piedi e disinfettare con urea eventuali lesioni provocate. Nel medio-lungo termine, ove gli interventi di lotta adottati non fossero sufficienti a contrastare la diffusione del patogeno, si può pensare alla sostituzione graduale del pino domestico con altre specie già presenti ed emergenti fra le quali il leccio, la roverella ed altre arbustive (acacia, corbezzolo, pungitopo, ecc.) meno suscettibili all’attacco e, nell’insieme, generatrici di uno strato umifero naturale che migliora le condizioni ecologiche della componente microbiologica del suolo antagonista di H. annosum. Infine, si potrebbe sperimentare e, successivamente, applicare anche la lotta biologica tramite l’impiego di funghi antagonisti (Phlebiopsis gigantea, Trichoderma spp., ecc.) capaci di colonizzare le ceppaie appena tagliate e, quindi, di impedire l’insediamento di H. annosum.

Cancro del cipresso Questa malattia, il cui agente è il fungo Seiridium cardinale, è molto diffusa in tutto il mondo, molto probabilmente, a causa dell’utilizzo massiccio nei rimboschimenti di cipresso macrocarpa (Cupressus macrocarpa) che è molto suscettibile. Il fungo attacca anche il cipresso comune (C. sempervirens) e il cipresso dell’Arizona (C. arizonica) provocando gravi danni sia in bosco che in vivaio. S. cardinale infetta gli organi legnosi, le galbule verdi e i nuovi getti. L’infezione ha inizio da ferite sul fusto e dalle aperture che si originano nel punto d’inserzione dei rami sul fusto dalle quali si propaga, per tutta la circonferenza, fino a far disseccare il cimale. Sui rami più grossi si evidenziano spaccature con abbondanti fuoriuscite di resina. La corteccia infetta può presentare, specie in periodi molto umidi, corpiccioli nerastri (acervuli) contenenti conidi i quali, tramite l’acqua di scorrimento, diffondono la malattia lungo il fusto della stessa pianta. Inoltre, alcune specie di insetti scolitidi, riproducendosi su piante morte o deperite, trasportano gli organi di moltiplicazione del fungo e, quindi, la malattia su piante sane ove si dirigono per nutrirsi. Nell’anno 2004, sono stati visitati dei popolamenti misti di Cupressus, impiantati tra il 1970 – 1975, nel bosco demaniale Contesse (SR) che evidenziavano una consistente fallanza (almeno il 25-30 %), soprattutto di piante di cipresso macrocarpa (foto 4), morte negli anni precedenti e nell’anno in corso. Numerose anche le piante in precarie condizioni vegetative che mostravano una abbondante resinazione, fessurazioni sulla corteccia e il disseccamento di cimali e rami laterali. Nei casi di gravi attacchi, l’unico intervento di difesa attuabile contro S. cardinale è senza alcun dubbio la bonifica fitosanitaria (asportazione e bruciatura delle piante disseccate o anche con soli sintomi iniziali) su vaste superficie al fine di ridurre drasticamente l’inoculo fungino. E’ consigliabile, inoltre, evitare nel breve-medio termine l’impianto di specie del genere Cupressus e la sostituzione con latifoglie. Infine, si segnala che esistono specie asiatiche di Cupressus e cloni brevettati di C. sempervirens (Agrimed 1, Bolgheri, ecc.), da utilizzare per frangivento o per scopi ornamentali, resistenti alla malattia.

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Cancro della corteccia del castagno Nell’anno 2004 sono stati esaminati castagneti demaniali e di proprietà privata nel territorio etneo. Nella maggior parte dei casi, è stato evidenziato un generale stato di sofferenza o, nel caso di castagneti privati, di quasi abbandono nei quali il cancro corticale costituisce il principale fattore di degrado a conferma dei risultati di una recente indagine alla quale si rimanda per un approfondimento (Sidoti e Saraceno, 2003). Le infezioni causate dal fungo Cryphonectria parasitica hanno raggiunto nelle principali aree castanicole della Sicilia livelli di diffusione rilevanti. La malattia interessa gli organi legnosi e si manifesta, inizialmente, con depressioni della corteccia di colore rosso-mattone. Successivamente, la corteccia tende a screpolarsi, a fessurarsi e a sollevarsi fino a mettere in evidenza il tipico micelio feltroso e a ventaglio, di color crema, dando origine al cosiddetto “cancro evolutivo” (foto 5). L'estensione del cancro, su tutta la circonferenza del fusto o del ramo, determina la morte della chioma soprastante e il “riscoppio” della vegetazione (rami epicormici) sotto la zona lesionata. La malattia, oltre che nella sintomatologia descritta, può manifestarsi anche in forma atipica con fessurazioni superficiali limitate alla corteccia, “cancro involutivo”, che non si evolvono in forma letale ma tendono a regredire poiché riparate dalla formazione di callo cicatriziale, “cancro cicatrizzante” (foto 6). Tale forma atipica è correlata con la presenza di ceppi ipovirulenti del fungo. Il carattere dell’ipovirulenza è trasmesso naturalmente dai ceppi ipovirulenti a quelli virulenti tramite la fusione delle ife fungine che avviene solo a condizione che esista compatibilità vegetativa tra i ceppi. Pertanto, ove si volessero mettere in atto programmi di lotta biologica in un territorio, occorre che i ceppi ipovirulenti con cui si vuole intervenire siano compatibili con i ceppi virulenti locali. Sui tessuti colonizzati dal patogeno si originano i corpi fruttiferi, periteci e picnidi, responsabili della diffusione che avviene ad opera di agenti vari (vento, pioggia, insetti, uomo). La penetrazione delle spore e dei conidi si realizza attraverso ferite di diversa natura: grandinate, tagli di potatura, screpolature della corteccia alla base dei tronchi molto vigorosi, gallerie di insetti. La salvaguardia e la valorizzazione dei castagneti siciliani richiedono, necessariamente, l’effettuazione di interventi di lotta “diretti” consistenti nell’eliminazione delle piante morte o del tutto compromesse e nella bruciatura del materiale di risulta in quanto il fungo è capace di sopravvivere e moltiplicarsi anche sul legno tagliato. Non meno importanti sono gli interventi di tipo “indiretto” mirati a contenere l’influenza dei fattori predisponenti gli attacchi del patogeno. Tra questi, assume rilevanza basilare la corretta gestione selvicolturale degli impianti; in particolare sono necessari i diradamenti poiché evitano l’eccessiva competizione fra i polloni in crescita ed il rilascio di polloni e matricine che presentano cancri involutivi e/o cicatrizzati/nti capaci di assicurare la diffusione naturale dell’ipovirulenza nei popolamenti successivi. A tal ultimo proposito, un aiuto considerevole potrebbe scaturire da una revisione delle Prescrizioni di Massima e Polizia Forestale. I risultati positivi delle prove di lotta biologica condotte in castagneti del versante sud-est dell’Etna (Sidoti e Granata, 2000), ne dimostrano le potenzialità nel contribuire al contenimento del cancro corticale nelle aree che presentano gli attacchi più gravi. C. parasitica attacca anche le querce provocando disseccamenti dei rami e del tronco, cancri e, nei casi più gravi, la morte di giovani polloni. Nei querceti dell’Etna, la diffusione del fungo è abbastanza rilevante e i danni sono più gravi nelle aree degradate e nei boschi misti dove le infezioni al castagno sono particolarmente estese. I querceti infetti potrebbero svolgere un ruolo rilevante nella diffusione dei ceppi virulenti di C. parasitica e quindi influire negativamente sulla condizione sanitaria del castagno e su quella delle querce. Deperimento delle querce Per “malattia del deperimento” delle querce s’intende un fenomeno patologico complesso che interessa gran parte delle specie quercine presenti in Italia. La malattia nelle regioni meridionali

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coinvolge soprattutto il cerro, la roverella ed il frainetto raggiungendo un’incidenza del 20-40 % (Ragazzi et al., 2000). In Sicilia, la malattia è stata finora segnalata nei popolamenti di cerro, leccio e roverella dell’Etna e di sughera del bosco di Santo Pietro, in provincia di Catania (Granata e Sidoti, 2000). I sintomi consistono in riduzioni dello sviluppo, disseccamenti localizzati o sparsi delle parti apicali compresi i rami adulti, foglie piccole e clorotiche che cadono anticipatamente. Sui tronchi e sulle branche si osservano cancri di dimensioni variabili dai quali fuoriesce un essudato mucoso brunastro e l’emissione di getti epicormici. In sezione trasversale e longitudinale si notano imbrunimenti e necrosi del tessuto legnoso (foto 7). Gli alberi più giovani possono morire in breve tempo mentre quelli adulti sopravvivono altri 3-4 anni (foto 8). Questa malattia è conseguenza dell’interazione, simultanea o sequenziale, di più fattori di origine biotica ed abiotica. Secondo il modello generale: l’età avanzata, l’assenza d’interventi selvicolturali, le fluttuazioni climatiche e l’inquinamento atmosferico agiscono da fattori predisponenti dando inizio al fenomeno (Ragazzi et al., 2000); la siccità, le alte temperature, il gelo e la defogliazione agirebbero invece da fattori scatenanti debilitando le piante, la cui resistenza alle avversità sarebbe ulteriormente abbassata, tanto che l’azione d’insetti defogliatori e corticicoli e di funghi, sebbene deboli parassiti, ne aggravano lo stato di salute fino alla morte. Questo modello è, per grandi linee, applicabile ai querceti siciliani per i quali la prolungata e ricorrente siccità e l’intervento antropico s. l. costituiscono i maggiori fattori determinanti lo sviluppo e la diffusione della malattia. Le specie fungine maggiormente isolate in Sicilia dai rametti, dalle branche e dal tronco di piante infette sono state: Biscogniauxia mediterranea, Cytospora sp., Diplodia mutila, Discula quercina, Phoma sp. e Phomopsis quercina. Queste entità, nel corso della loro esistenza, possono assumere un comportamento endofitico vivendo, come simbionti asintomatici, all’interno dei tessuti dell’ospite senza provocare danni fino a quando le difese naturali di quest’ultimo, a causa di prolungati periodi di stress, non vengono alterate. L’eziologia complessa e multifattoriale di questa malattia richiede una azione sinergica fra il selvicoltore ed il patologo forestale che deve tendere a misure preventive mirate al mantenimento dello stato di equilibrio esistente fra le diverse componenti dell’ecosistema bosco o, in presenza di un’alterazione, alla ricostituzione dello stesso con metodi basati sui principi della gestione forestale sostenibile. La corretta gestione selvicolturale dei popolamenti può contribuire a contenere l’evoluzione del fenomeno, ad esempio, con l’esecuzione dei tagli di diradamento e colturali poiché riducendo la densità aumenta la disponibilità d’acqua, di luce e di nutrienti per le piante che ne migliorano lo stato fisiologico e stimolano i meccanismi di difesa. Non meno importante si considera l’eliminazione degli alberi dominati i quali, soccombendo facilmente all’attacco di deboli parassiti, possono costituire dei pericolosi focolai d’infezione. Gli interventi di lotta diretti, infine, come il taglio e la distruzione di organi infetti o dell’intera pianta morta sono necessari per l’eradicazione della malattia da un territorio o per contenerne la diffusione. Moria del Pioppo tremulo In località Primo monte (Linguaglossa) e Monte S. Maria, (Randazzo), provincia di Catania, sono state osservate numerose piante giovani e adulte di 30-40 anni di pioppo tremulo (Populus tremula) morte da uno o più anni o deperienti. Sul fusto e sui rami delle piante alterate si è notata la presenza di un arrossamento e depressione della corteccia che, successivamente, evolveva in spaccature tipo cancri (foto 9). Quest’ultimi, quando interessavano l’intera circonferenza di rami e fusto, determinavano il disseccamento della parte soprastante. In sezione longitudinale e trasversale, si osservava l’imbrunimento e la necrosi dei tessuti legnosi sottocorticali, anche oltre il limite dell’alterazione esterna. Le piante presentanti più infezioni, molto probabilmente, muoiono nel corso di pochi anni. Sulle parti infette sono stati osservati numerosi corpi fruttiferi, tipici di specie fungine. La malattia è più diffusa nella prima località dove i danni sono stati quantificati in circa 20 piante morte e 30 con sintomi.

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In entrambe le stazioni, sono stati prelevati campioni di corteccia e organi legnosi infetti con corpi fruttiferi, successivamente, utilizzati per indagini di laboratorio. Ulteriori studi sono stati effettuati anche su campioni vegetali asintomatici allo scopo di verificare un eventuale comportamento endofitico del microrganismo presunto responsabile dell’alterazione. Il fungo isolato, successivamente, è stato sottoposto a prove di patogenicità allo scopo di verificarne la capacità di riprodurre in ambiente controllato i sintomi osservati in natura (Postulati di Koch). L’agente responsabile della moria di pioppo tremulo è stato identificato nella specie fungina Leucostoma niveum (Hoffm.) Höhn., anamorfo Cytospora nivea (Höhn.) Sacc.. Ad oggi, questa specie non risulta segnalata in Italia su pioppo tremulo. L’identificazione della specie fungina è stata possibile anche per la collaborazione intrapresa, a titolo gratuito, con la d.ssa Vera Hayova del M.G. Kholodny Institute of Botany di Kiev (Ucraina) e con il dott. Achille Giorcelli dell’Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale Monferrato (AL). I risultati degli studi, condotti in ambiente controllato e in laboratorio, hanno confermato la patogenicità di L. niveum su pioppo tremulo e il comportamento da endofita in quanto il fungo è stato rinvenuto anche su gemme e legno di un anno sia di piante asintomatiche che sintomatiche. Il fungo è considerato un patogeno di debolezza che esplica la sua azione parassitaria su piante indebolite da fattori ambientali, attacchi di insetti ed altro. Per quando riguarda la sua attività parassitaria sui popolamenti etnei di P. tremula, si può ipotizzare l’azione predisponente della siccità e delle elevate temperature che si sono verificate negli anni passati. Le piante indebolite, potrebbero essere state così soggette più facilmente all’azione del fungo, soprattutto, in stazioni caratterizzate da substrati rocciosi e poco profondi dove, infatti, la diffusione è più elevata. In tali situazioni, la reazione della pianta all’invasione del fungo è meno efficace e non si concretizza con la delimitazione del tessuto infetto e la formazione di callo di cicatrizzazione. Di conseguenza, L. niveum colonizza rapidamente il cambio e l’alburno, dando origine a formazioni cancerose lunghe anche oltre un metro. Il contenimento della diffusione della malattia può avvenire con la repentina asportazione delle piante morte o fortemente deperite, compreso il materiale di risulta, e la bruciatura in quanto L. niveum sopravvive da saprofita anche su organi morti. Una attenta e periodica sorveglianza, specie nelle annate in cui gli eventi climatici raggiungono valori estremi, potrà agevolare interventi rapidi di lotta. Cancri e disseccamenti del fusto di Faggio In località Timpa Rossa, Castiglione di Sicilia (CT), sul versante nord-orientale dell’Etna, sono stati osservati disseccamenti e cancri su piante di faggio (Fagus sylvatica). La malattia colpisce, in maniera sparsa, polloni giovani ed adulti e si manifesta, inizialmente, con l’arrossamento della corteccia del fusto e la successiva necrosi del tessuto legnoso sottostante, facilmente evidenziabile in sezione trasversale, che si estende in profondità e lunghezza oltre la lesione esterna. Il disseccamento del fusto ha un andamento basipeto (foto 10) e può giungere fino al colletto. Le foglie della pianta infetta avvizziscono e restano attaccate ai rametti. Sui tronchi più grossi sono stati osservati tipici “cancri” che si originano dalla screpolatura superficiale della corteccia e dalla successiva fessurazione. In alcuni casi è stato notato che la formazione di cancri notevolmente allungati interessava più polloni adiacenti di una medesima ceppaia (foto 11). Solo su questi ultimi, al bordo dell’intera lesione cancerosa, si assisteva alla formazione di callo cicatriziale. Nelle immediate vicinanze di queste ceppaie era stato bruciato il materiale di risulta di diradamento della faggeta. Sulla corteccia morta, sono stati osservati corpiccioli nerastri assomiglianti a fruttificazioni fungine. Allo scopo di determinare l’agente eziologico responsabile dei disseccamenti e delle due tipologie di cancri, sono stati prelevati campioni di corteccia e organi legnosi infetti per l’isolamento su agar-patata-destrosio (PDA) e condotte osservazioni al microscopio ottico sui corpi fruttiferi prelevati su porzioni di corteccia morta. Infine, sono stati effettuati isolamenti su campioni

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vegetali asintomatici allo scopo di verificare un eventuale comportamento endofitico del microrganismo responsabile dell’alterazione e prove di patogenicità con le specie fungine isolate. Dai campioni vegetali infetti, sono state isolate due specie fungine: Valsa ambiens subsp. ambiens, (anamorfo Cytospora leucosperma) e, con minore frequenza, Melanconium atrum, (teleomorfo Melanconis sp.). Anche per Valsa ambiens subsp. ambiens ci si è avvalsi della collaborazione del M.G. Kholodny Institute of Botany di Kiev (Ucraina). Entrambe le specie non sono mai state segnalate in Italia. V. ambiens subsp. ambiens è stata isolata su gemme di piante sane ed asintomatiche e sul legno di un anno e di 3-5 cm di diametro di piante con sintomi confermando, quindi, un comportamento endofitico. Allo stato attuale, la sua diffusione sembra limitata all’areale di ritrovamento dove attacca, soprattutto, qualche pollone di ceppaie non sottoposte a diradamento. Essa, invece, colonizza con maggiore frequenza la corteccia ustionata di piante adiacenti a zone di bruciatura del materiale di risulta dando origine a vistose spaccature e necrosi del legno sottocorticale. Sulla corteccia morta, successivamente, si formano i corpi fruttiferi. Questa specie fungina è conosciuta come patogeno opportunista o entità saprofita, colonizzatrice della corteccia e di organi legnosi di piante arboree ed arbustive indebolite da fattori biotici ed ambientali (siccità, temperature elevate, scottature della corteccia, ecc.). La limitata diffusione e la debole capacità patogenica, dimostrata sperimentalmente, rendono ad oggi non preoccupante la presenza del fungo il cui possibile sviluppo, comunque dovrà essere monitorato negli anni futuri, specie nelle annate siccitose. Melanconium atrum ha mostrato anch’essa una debole attività patogenica, confermando quando riportato in letteratura scientifica riguardo a specie dello stesso genere, conosciute come saprofite o debolmente patogene. Per quando riguarda la difesa, si è consigliato l’asportazione delle piante morte o con i sintomi, compreso il materiale di risulta, e la bruciatura in quanto anche questi funghi sopravvivono da saprofiti su organi morti. Una misura per prevenire la diffusione del fungo è ovviamente quella di non bruciare il materiale di risulta degli interventi selvicolturali vicino alle piante sane. Disseccamenti di semenzali di leccio da Diplodia mutila Nel periodo estivo, su semenzali di 1-2 anni di leccio (Quercus ilex), allevati in fitocella nel vivaio Etna di Nicolosi (CT), sono stati osservati fenomeni di disseccamento dei germogli apicali ed avvizzimento delle foglie. In sezione longitudinale, il fusticino si mostrava imbrunito e necrotico. L’alterazione interessava circa il 20 % delle piantine. Le analisi di laboratorio hanno permesso di accertare nel fungo Diplodia mutila l’agente responsabile del disseccamento. Esso è un patogeno di debolezza capace di attaccare una vasta gamma di ospiti fra le quali predilige le specie arboree (querce, orniello, ecc.) ed arbustive. Inoltre ha un ruolo importate nella fase finale del deperimento delle querce in ambiente mediterraneo. Allo scopo di evitare la necrosi dei nuovi germogli, che rallenterebbe lo sviluppo regolare delle piantine, è stato consigliato di intervenire con sostanze attive a base di rame (ossicloruri, solfato di rame, idrossido di rame) nel periodo autunnale e primaverile in concomitanza alle piogge in quanto il fungo si avvantaggia dell’elevata umidità relativa. Inoltre è importante asportare e bruciare i germogli morti al fine di diminuire l’inoculo fungino. Gli interventi antiparassitari, ovviamente, dovranno essere effettuati rispettando tutte le norme di sicurezza per l’operatore (tuta, maschera, guanti, assenza di vento, ecc.) e le dosi riportate sull’etichetta di ogni sostanza attiva. Deperimento del Bagolaro secolare di Buscemi Su richiesta del comune di Buscemi (SR) nel mese di settembre è stato effettuato uno studio di campo e di laboratorio per verificare la causa del deperimento dell’albero secolare di Bagolaro di elevato valore simbolico. La pianta manifestava il disseccamento di tre branche principali e di

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alcuni rami localizzati, principalmente, nella parte periferica della chioma. Alcuni rami deperienti portavano scarse foglie con vistosi sintomi di ingiallimento. Sono stati, inoltre, osservati monconi di branche e rami con inizi di carie. L’indagine di laboratorio ha consentito l’isolamento di più entità fungine agenti di carie e di disseccamento di branche e rami. Queste specie penetrano nella pianta attraverso ferite di varia origine oppure sono già presenti ma diventano patogeni solamente quando le difese della stessa diminuiscono per l’azione di fattori esterni. La scarsa cura e manutenzione (irrigazione incostante, mancata eliminazione delle branche e dei rami morti o taglio irrazionale degli stessi, mancata disinfezione delle grosse ferite da potatura, calpestio dell’aiuola) e soprattutto la piccola aiuola, insufficiente per le notevoli dimensioni dell’albero, che non permette regolari scambi gassosi alle radici potrebbero essere i principali fattori predisponenti il deperimento. Al fine di salvaguardare l’esemplare, di notevole bellezza e significato culturale, si è consigliato di intervenire con l’ampliamento dell’aiuola, sia vicino al tronco che in corrispondenza della proiezione della chioma dove si trovano le giovani radici, e l’effettuazione regolare dell’irrigazione. Si è consigliato, inoltre, di eliminare con urgenza le branche ed i rami deperienti e morti al fine di tutelare i frequentatori della scuola elementare limitrofa e di impedire la diffusione di eventuali patogeni fungini. I tagli dovranno essere obliqui allo scopo di evitare il ristagno dell’acqua e radenti all’inserzione della branca o del ramo al tronco per evitare la formazione di monconi. Infine, si è suggerito la ricopertura delle grosse ferite di potatura con mastici cicatrizzanti e il monitoraggio periodico dello stato di salute dell’albero per poter intervenire tempestivamente in casi analoghi.

3. Insetti dannosi Fillossera della quercia Nel mese di luglio, su semenzali di 1-2 anni di leccio, allevate in fitocella nel vivaio Etna di Nicolosi (CT), sono state osservate deformazioni, necrosi e macchie decolorate delle foglie che successivamente tendevano a perforarsi. I danni interessavano almeno il 50 % delle piantine. Osservazioni allo stereomicroscopio hanno confermato nella fillossera della quercia (Phylloxera quercus) l’agente responsabile dei danni. Il fitomizo è molto diffuso in ambiente mediterraneo e svolge il suo ciclo su diverse querce. Esso risulta pericoloso principalmente sulle giovani piantine in vivaio in quanto le punture possono provocare il disseccamento della nuova vegetazione ed arrestarne lo sviluppo. La lotta deve prevedere uno-due trattamenti invernali (novembre-dicembre) con oli minerali contro le uova e le neanidi svernanti. Nei mesi di marzo-aprile, al germogliamento, è fondamentale intervenire con uno o più trattamenti contro le prime generazioni dell’afide (dette fondatrici e fondatrigenie) con insetticidi a base di fenitrothion, malathion o rotenone. In piena estate, al contrario, non si deve intervenire in quanto il danno è già avvenuto, la consistenza numerica delle popolazioni estive tende a diminuire per la dispersione delle forme alate, la siccità estiva impedisce lo sviluppo di nuova vegetazione e, infine, per la predazione esercitata dagli insetti utili. Gli interventi antiparassitari, anche in questo caso, dovranno essere effettuati rispettando tutte le norme di sicurezza per l’operatore (tuta, maschera, guanti, assenza di vento, ecc.) e le dosi riportate sull’etichetta di ogni sostanza attiva. Processionaria del pino

Le infestazioni di Traumatocampa pityocampa costituiscono un fenomeno normale e ricorrente nella pinete del bacino del mediterraneo ove questo lepidottero defogliatore è diffuso. Nell’anno 2004 pullulazioni di un certo rilievo si sono verificate nei popolamenti di pino laricio (Pinus

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laricio) dell’Etna e nelle pinete naturali di pino marittimo (P. pinaster), nei rimboschimenti di pino d’Aleppo (P. halepensis) e pino domestico (P. pinea) della R.N.O. Isola di Pantelleria. Infestazioni meno importanti sono state riscontrate anche nei boschi artificiali di: pino nero (P. nigra) nella R.N.O. Monti Sambughetti e Campanito, Comune di Cerami e Nicosia (EN); pino delle Canarie (P. canariensis) e pino d’Aleppo, demanio Marineo – Cozzarelli, m.ti Iblei, Comune di Mineo e Licodia Eubea (RG); di pino nero, m.te Colla, Comune di Randazzo (CT), Parco Regionale dei Nebrodi. Gli intensi attacchi di processionaria verificatisi nelle pinete dell’Etna hanno interessato i popolamenti di m.te Conca (Linguaglossa) e quelli presenti lungo la pista altomontana, in particolare, nelle seguenti località: m.ti Vituddi, Galvarina, m.te Maletto e m.te Scavo. Agli attacchi dell’insetto sono particolarmente vulnerabili, in particolare, i popolamenti artificiali realizzati negli ultimi 30-40 anni in contesti ecologici poco adatti che, a causa delle condizioni pedo-climatiche difficili, sono caratterizzati da scarso sviluppo e vigore (Longo et al., 1989). L’azione ripetuta delle infestazioni di processionaria su alberi già debilitati da stress di natura ambientale può incidere negativamente sulla loro crescita e predisporli ad attacchi parassitari di coleotteri scolitidi o patogeni fungini. Le problematiche generate dagli attacchi di T. pityocampa riguardano, soprattutto, la fruibilità delle pinete attraversate da sentieri natura e con aree e strutture abitative destinate a scopi turistico-ricreativi (aree attrezzate, rifugi, alberghi, ecc.) in quanto la presenza di peli urticanti sulle larve di terza età in poi, rimanendo nell’atmosfera per parecchio tempo, producono fenomeni patologici (dermatiti, congiuntiviti, riniti, asma) e, nei casi più gravi, shock anafilattici. Non meno pericolosa è considerata l’incauta manipolazione dei “nidi”. Da diversi anni il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Fitosanitarie (DISTEF), sezione di Entomologia dell’Università di Catania, in collaborazione con l’Ufficio Speciale Forestale di Catania e con l’Ente Parco dell’Etna, esegue un attento monitoraggio di T. pityocampa in diversi popolamenti etnei (Galvarina, m.te Scavo, m.te Spagnolo, Pitarrone, Cubania, Casa del Vescovo e Piano Provenzana) acquisendo preziose informazioni sull’andamento dei voli dei maschi, fecondità, numero di larve per nido ed incidenza dei limitatori naturali (Longo et al., 2001). Questi dati sono stati utilmente impiegati per la predisposizione di prove di controllo integrato in aree adiacenti alle due stazioni sciistiche presenti sull’Etna (Rifugio Sapienza e Piano Provenzana) mediante tecniche di lotta meccanica, chimica e biologica i cui risultati hanno evidenziato un’azione nella riduzione della densità della popolazione dell’insetto entro limiti compatibili con la destinazione delle pinete (Spampinato et al, 2002). In queste attività di studio, una prezioso e attivo ruolo è stato svolto dall’Ufficio Provinciale Azienda di Catania che, tra l’altro, in maniera continua impegna annualmente risorse finanziarie ed umane ai fini del contenimento dei danni causati dall’insetto. Nell’anno 2004, pur avendo iniziato la propria attività ad estate inoltrata, sulla base delle proprie esperienze pregresse, l’effettuazione di sopralluoghi e la partecipazione a riunioni e conferenze di servizio si è cercato di analizzare ed approfondire la problematica della gestione fitosanitaria della processionaria che risulta ampia e complessa per l’ampia estensione delle pinete etnee e per il fatto che ricadono all’interno di un’area protetta. Su richiesta dell’UPA di Catania, alla fine di luglio 2004, è stata redatta una nota nella quale si evidenziava come gli interventi di lotta effettuati in estate non hanno alcun effetto sulla dinamica di popolazione dell’insetto ma sono utili ai fini della salvaguardia della salute dei fruitori locali o stranieri che attraversano la pista altomontana e che sostano nei rifugi adiacenti alle aree interessate dall’infestazione. Di conseguenza, si è proposto l’effettuazione della rimozione meccanica dei nidi vuoti, ma ancora pericolosi per le possibili conseguenze di natura sanitaria, in particolare dagli alberi delle aree adiacenti ai rifugi e alla pista altomontana. Si è consigliato, inoltre, di ben evidenziare eventuali cantieri di lavoro e d’informare gli escursionisti attraversanti le aree a rischio. Al fine di potere incidere efficacemente sulla dinamica della popolazione dell’insetto si è proposto, inoltre, compatibilmente con le disponibilità finanziarie, di predisporre un piano di intervento per il periodo compreso tra fine estate e l’inverno inoltrato. In linea con quando proposto

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e utilizzando le disponibilità finanziarie di fine anno assegnate, l’UPA di Catania ha prontamente predisposto ed attuato la raccolta meccanica dei nidi invernali. Nell’anno 2004, anche l’UPA di Trapani ha attuato interventi di contenimento della processionaria nelle pinete di pino marittimo di Pantelleria mediante la cattura massale degli adulti e la raccolta di nidi invernali. In conclusione, si sottolinea come l’Azienda Regionale Foreste Demaniali da tanti anni è attivamente impegnata in tutto il territorio regionale con interventi di lotta integrata alla processionaria del pino e con attività di studio che, recentemente, si è tradotta nel bando ed assegnazione di una borsa di studio biennale (2004-2005). A tal proposito, in allegato, si riporta una breve nota riguardante l’attività ed i risultati preliminari conseguiti. Scolitide dai sei denti o stenografo (Ips sexdentatus) Ips sexdentatus è un coleottero scolitide che infesta quasi esclusivamente conifere del genere Pinus. Alla fine del mese di luglio 2004, funzionari dell’Azienda Regionale Foreste Demaniali hanno segnalato in località Palomba, Comune di Castiglione di Sicilia (CT), ingiallimenti ed arrossamenti della chioma di piante di pino laricio che, successivamente, morivano repentinamente (foto 12). Nei sopralluoghi effettuati a metà agosto e, successivamente, fino al mese di novembre su numerosi alberi deperienti e morti sono stati osservati fori sulla corteccia in corrispondenza dei quali si notavano ammassi di resina solidificata o colature della stessa ed accumulo di rosura tra le anfrattuosità della corteccia e alla base dei fusti. Scortecciando la parte basale del tronco, l’intera superficie interna presentava gallerie dell’insetto nelle quali si rinvenivano larve, pupe e soprattutto adulti (foto 13) (Campo e Sidoti, 2005). I focolai complessivamente individuati sono stati:

a) versante nord-ovest: m.te Scavo, Comune di Maletto, 1750 m slm (5 piante morte); b) versante sud-ovest: m.te Vetore, Comune di Belpasso, 1700 m slm, (22 piante morte); c) versante nord-est: Passo Salletti, 1200 m slm (13 piante morte), Piano Palomba 1570 m slm

(20 piante morte), Comune di Castiglione di Sicilia; Cubania, Comune di Sant’Alfio, 1300 m slm (6 piante morte); Secondo Monte, Comune di Linguaglossa, 1500 m slm circa (50 piante morte).

I focolai d’infestazione di Passo Salletti e Piano Palomba hanno avuto origine da tronchi posti in cataste appoggiate alle piante colpite o lasciati sul terreno come residui delle operazioni di apertura o regolazione di viali parafuoco. Su tale materiale, la presenza delle forme giovanili e dell’adulto del coleottero scolitide era considerevole. Un altro grave attacco è stato registrato a Secondo Monte dove, nella prima decade di ottobre, si è evidenziato il disseccamento repentino di quattro gruppi di piante per un totale di 50 alberi. In tale località, la pineta era stata recentemente percorsa dal fuoco e ciò, insieme alla densità eccessiva del popolamento, potrebbe aver generato uno stato di stress delle piante e di conseguenza agevolato il parassita; inoltre, la pullulazione potrebbe essere stata favorita, indirettamente, anche dalla vicina colata lavica del 2002 in quanto su diverse piante morte o danneggiate dalla stessa sono stati rinvenuti in forma massiccia adulti di I. sexdentatus. I danni causati dall’infestazione hanno comportato, finora, la perdita di oltre un centinaio di alberi, originati da rimboschimenti realizzati tra il 1960 ed il 1970, per una cubatura stimata di circa 64 m3 . L’I. sexdentatus è un coleottero xilofago molto pericoloso in quanto si riproduce repentinamente, compiendo alle nostre latitudini più generazioni per poi svernare da larva, pupa e soprattutto da adulto nella corteccia della base dei fusti. L’insetto attacca alberi recentemente abbattuti o in piedi di conifere specialmente quando sono stressati da fattori come la siccità, le infestazioni da altri insetti o sono danneggiati da avversità meteoriche. I periodi di maggiore pericolo sono aprile - maggio e luglio-agosto. I. sexdentatus, nel 1963, era stato già rinvenuto sull’Etna, nelle località Milia, Serra la Nave e Rifugio Citelli, dal naturalista Giacomo Gulli. Al fine di evitare le condizioni favorevoli per un consistente incremento delle popolazioni dello scolitide nella primavera successiva, con attacchi gravi alle altre piante, si è suggerito di intervenire

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rapidamente con la rimozione e la bruciatura di tutto il materiale legnoso tagliato, soprattutto le cortecce, e delle piante infestate entro l’autunno-inverno. Nei casi in cui fosse stato difficile allontanare le piante infestate, si è suggerito di asportare e bruciare, sempre nel periodo invernale, almeno le cortecce della parte basale dei tronchi ove si concentrano la maggior parte degli adulti svernanti. Inoltre, come misura preventiva è stato consigliato di attuare alcune pratiche selvicolturali che, se ripetute negli anni, risultano notevolmente efficaci: monitoraggio periodico, in particolare degli alberi vicini ai focolai precedentemente segnalati, o interessati da incendi o schiantati per neve o vento; abbattimento ed esbosco tempestivo delle piante morte, deperienti o schiantate; rapida asportazione del materiale di risulta degli interventi di utilizzazione o delle consuete cure colturali compresi quelli di minore entità (ad es. apertura o regolazione di viali parafuoco o piccoli diradamenti). Un altro accorgimento di difesa molto efficace consiste nel predisporre, entro il mese di febbraio-inizio marzo, cataste coniche di tronchi - esca con legna di pino fresco (derivato da diradamenti, spalcature o sfolli) in chiarie soleggiate o accanto alle piste forestali. Tale materiale, in primavera richiamerà gli adulti che hanno svernato i quali, in parte, inizieranno il ciclo annuale su esso invece che sugli alberi in piedi; i tronchi - esca dovranno essere asportati e bruciati o trattati con piretroidi prima della formazione dei nuovi adulti, comunque, entro maggio - inizio giugno. A tal ultimo proposito, si è sottolineata la necessità di una accurata sorveglianza e di una repentina eliminazione dei tronchi – esca al fine di evitare che diventino, al contrario, ulteriori focolai d’infestazione. Si è suggerito, infine, l’effettuazione a partire dalla primavera successiva del monitoraggio e l’applicazione del metodo della “cattura massale” tramite l’utilizzo di trappole attivate con feromoni. Tale sistema consentirà di acquisire informazioni utili sul ciclo biologico dell’insetto nelle pinete dell’Etna e, inoltre, di diminuire la densità di popolazione. A tal fine, è stata proposta all’UPA di Catania, competente per territorio, l’acquisto di erogatori di “feromoni di aggregazione” tipo super Wood e di trappole modello Theyson. Nel corso dei sopralluoghi, oltre all’Ips sexdentatus sono stati identificati, sempre in collaborazione con l’UOB 21-OMP di Acireale, Acanthocinus aedilis, (Passo salletti) cerambicide, specie commensale di I. sexdentatus e il coleottero tenebrionide Helops rossii (Secondo monte). Danni da cerambicidi su pino d’Aleppo, isola di Levanzo (TP) Nella seconda metà del mese di settembre è stato effettuato un sopralluogo in località Serra alberello (Pietra varata) dove già da diversi anni, secondo le informazioni acquisite in loco, le piante manifestano improvvisi ingiallimenti ed arrossamenti della chioma seguiti dalla morte. Nel corso della visita è stata accertata una fallanza di 10-15 alberi di Pinus halepensis e il deperimento di altri che presentavano disseccamenti diffusi. Su una pianta morta schiantata, su altre sintomatiche in piedi e su alcune cataste di legna (derivanti da spalcature) addossate agli alberi sono stati osservati fori di sezione ellittico/ovale sulla corteccia e la presenza di gallerie sottocorticali nel cilindro centrale, ripiene di rosura, che si approfondivano fino alle radici. All’interno delle gallerie sono state rinvenute larve, pupe e adulti di coleotteri cerambicidi. Su una pianta morta da almeno un anno è stata osservata, inoltre, marciscenza radicale e micelio fungino. L’indagine di laboratorio, condotta in collaborazione con l’UOB 21-OMP di Acireale, ha permesso l’identificazione di Arhopalus rusticus (foto 14) che per frequenza e numerosità di rinvenimento si può ritenere l’agente responsabile del deperimento di pino d’Aleppo. Inoltre, è stato riscontrato, in minore frequenza, anche il coleottero cerambicide Arophalus syriacus. L’indagine di laboratorio non ha rivelato la presenza di patogeni causanti marciumi radicali ma ciò non si può escludere con certezza in quanto il campione che si è potuto prelevare (organi legnosi e radicali marciscenti) non era idoneo a tale scopo. Il genere Arhopalus comprende specie abbastanza comuni per le pinete dell’ambiente mediterraneo; le larve si nutrono, inizialmente, dei tessuti subcorticali e, successivamente, dei tessuti legnosi scavando profonde gallerie per un periodo lungo anche 2-3 anni. L’insetto, quindi,

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completa il ciclo originando la pupa e sfarfalla da adulto, praticando un foro ellittico o ovale sulla corteccia. Gli adulti si trovano nei fusti, generalmente, da aprile-maggio a settembre-ottobre. In linea generale, questi insetti attaccano piante sofferenti per l’azione di uno o più fattori di stress che, nel caso in esame, si possono individuare nelle difficili condizioni ecologiche in cui vegetano i popolamenti di pino d’Aleppo infestati (scarsa profondità del suolo, roccia affiorante, siccità ricorrente, venti disseccanti, elevate temperature estive). Al fine di contenere i danni da ulteriori attacchi si è consigliato d’intervenire rapidamente con la rimozione e la bruciatura delle piante infestate vive, delle piante morte comprese delle radici presentanti le gallerie e del materiale di risulta. Inoltre, per prevenire pullulazioni gravi dell’insetto all’inizio della prossima primavera, si è consigliato di monitorare le piante delle aree adiacenti ai focolai d’infestazione segnalati per verificare la presenza di fori sulla corteccia e, in tal caso, intervenire. Un altro accorgimento di difesa preventiva, da sperimentare, consiste nel predisporre, entro il mese di febbraio-inizio marzo, cataste coniche di tronchi - esca con legna di pino fresco in chiarie soleggiate o piste forestali accanto alle aree dei focolai che, in primavera, attirano gli adulti che hanno svernato. I tronchi - esca dovranno essere asportati e bruciati o trattati con piretroidi entro l’inizio dell’estate. A tal ultimo proposito, si sottolinea la necessità di una accurata sorveglianza e di una repentina eliminazione dei tronchi - esca al fine di evitare che diventino, al contrario, ulteriori focolai d’infestazione. Infine, si è suggerito la sostituzione delle piante morte con specie più resistenti alle difficili condizioni ecologiche dell’ambiente di Levanzo. Cecidomia del faggio (Mikiola fagi) Mikiola fagi è un dittero cecidomide non dannoso, comune nelle faggete, che si riconosce facilmente per le caratteristiche “galle”, con superficie liscia e lucida, prodotte dalle larve. Nell’anno 2004 una elevata formazione di queste escrescenze è stata segnalata sul popolamento artificiale di faggio (foto 15) presente nel Giardino Botanico Etneo “Nuova Gussonea” situato in territorio di Ragalna (CT). Le femmine compaiono in aprile-maggio, ovideponendo sulle gemme della pianta. Le larve, appena fuoriuscite, causano la formazione di una tenera galla, color verde, a forma di pera che successivamente assume una consistenza più dura e vira in rosso-violaceo. All’interno della galla, la larva nutrendosi dei tessuti fogliari si accresce fino all’autunno quando cade al suolo con la foglia e, oramai matura, sverna per poi impuparsi nella primavera successiva. Il danno prodotto alle piante è solo di natura estetica; di conseguenza non si effettuano interventi di lotta.

4. Alterazioni ad eziologia non ben definita Deperimento della Betulla dell’Etna Nella primavera 2004, ricercatori del Distef dell’Università di Catania e tecnici dell’UOB 54 - OMP di Acireale, hanno effettuato un sopralluogo sul versante nord-orientale dell’Etna per indagare su una moria di betulla dell’Etna (Betula aetnensis) (Tamburino et al., 2005). In popolamenti di betulla, consociati ad alberi di pino laricio (m.ti Sartorius e Grotta dei ladroni), sono stati osservati sintomi riconducibili ad infezioni fungine alle radici e al colletto. Le piante di betulla erano sradicate (foto 16) e mostravano microfillia, appassimento delle foglie, disseccamenti dei rami in senso basipeto più o meno intensi. Tagliando trasversalmente i tronchi già abbattuti o deperienti si rendeva visibile il tessuto legnoso imbrunito, marcescente e cariato specie nella parte centrale. Nelle piante morte e deperienti, l’apparato radicale aveva perso la sua consistenza, era imbrunito e la struttura legnosa fortemente alterata. Al fine di isolare l’eventuale patogeno, sono state condotte indagini di laboratorio ponendo frammenti di legno prelevati dalle radici, dal colletto e dalle ceppaie cariate in scatole Petri con due

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differenti substrati artificiali: patata-destrosio agar e agar-malto al 2%. Le piastre sono state poste in incubazione in termostato per 10 giorni a 22° ± 1° C. Inoltre, rotelle di legno alterato sono state poste in camera umida. L’indagine di laboratorio ha permesso di identificare Spiniger meinekellus, forma conidica di Heterobasidion sp. che si ritiene l’agente responsabile della moria delle piante di betulla. A seguito del coinvolgimento dell’UOB n. 3, nei mesi autunnali sono stati effettuati dei sopralluoghi in alcune aree d’insediamento della betulla (m.ti Sartorius, Grotta dei ladroni, aree sottostanti al rifugio Citelli, bivio strada Mareneve, ecc.), osservazioni e prelievi di campioni in bosco e condotte indagini di laboratorio e bibliografiche. Nelle varie località sono state osservate numerose ceppaie di betulla con evidenti sintomi di marciume alle radici e al colletto, carie del cilindro centrale e la presenza, soprattutto su giovani polloni, di feltro micelico sottocorticale di Armillaria sp.. In alcuni casi, sono stati osservati anche dei carpofori, presumibilmente di Armillaria mellea sensu strictu. In maniera sparsa, all’interno di ceppaie di betulla o vicino ad esse, sono state osservate piante di ginestra dell’Etna e di cerro disseccate e con feltro micelico di Armillaria sp. Infine, in alcuni popolamenti misti, con prevalenza di betulla, sono state tagliate alcune piante di pino laricio per verificare la presenza di marciume, con esito negativo. Le successive indagini di laboratorio hanno confermato la presenza di Armillaria sp. La moria di betulla osservata sul versante nord-orientale dell’Etna è piuttosto diffusa e preoccupante. Le osservazioni e gli studi finora eseguiti hanno permesso di accertare la presenza di patogeni fungini causanti marciume delle radici e del colletto e carie del legno. Tuttavia, la problematica in questione potrebbe essere più ampia e complessa di quando finora osservato in quanto alcuni interrogativi restano finora senza risposta. Armillaria sp. è soprattutto un parassita di debolezza che attacca piante stressate da fattori biotici ed abiotici e dalle prime indagini sembrerebbe più diffusa rispetto ad Heterobasidium sp.. Quest’ultimo, invece è un patogeno primario già segnalato sulle pinete dell’Etna (Tirrò e Grillo, 1995). Esso si propaga, soprattutto, tramite le spore che colonizzano organi legnosi vivi attraverso le ceppaie di piante abbattute o le ferite di varia origine e secondariamente per contatto radicale fra piante adiacenti. Nell’area in questione, a parte il nucleo adiacente all’area Grotta dei ladroni, da parecchi anni non vengono effettuate cure selvicolturali; di conseguenza si può supporre che, in questa area, Heterobasidion sp. si sia insediato attraverso i tagli effettuati parecchi anni fa o trasmesso dal pino alla betulla per i contatti dell’apparato radicale tra le due specie. Queste ipotesi sono ancora da verificare per la moria dei popolamenti puri o comunque distanti dalla pineta e sui quali non sono state eseguite cure colturali. L’importanza ecologica e naturalistica di B. aetnensis e la preoccupante moria, richiedono l’effettuazione di altri studi, più approfonditi e continuativi, che dovranno verificare la possibile azione di altri fattori come l’andamento climatico degli ultimi anni, la componente microbiologica del suolo, i cambiamenti climatici e l’accumulo della sostanza organica derivante dalla mancanza di interventi selvicolturali che, da soli o in combinazione, potrebbero aver ridotto sensibilmente le intrinseche difese naturali del soprassuolo di betulla predisponendolo, di conseguenza, ad avversità di natura biotica.

5. Attività di studio, ricerca e sperimentazione

L’UOB n. 3 – Difesa fitosanitaria dei boschi svolge anche attività di studio, ricerca applicata e sperimentazione su tematiche inerenti la biologia e l’ecologia degli organismi animali e vegetali dannosi alle piante forestali, le relazioni avversità biotica – ospite – ambiente e le strategie di difesa fitosanitaria. Tali attività hanno la finalità di acquisire nuove conoscenze e trasferire i risultati delle più avanzate linee di ricerca e le principali innovazioni di processo e/o di prodotto. Nell’anno 2004, le attività svolte in tale ambito hanno riguardato:

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1. studio della popolazione del fungo Cryphonectria parasitica, agente del cancro corticale del castagno, finalizzato alla conoscenza dello stato fitosanitario dei castagneti dell’Etna e a favorirne il risanamento tramite la diffusione naturale dei ceppi ipovirulenti;

2. identificazione di nuovi agenti di malattia su specie forestali (faggio, ginestra, pioppo tremulo e Zelkova sicula).

Studio della popolazione del fungo Cryphonectria parasitica, agente del cancro corticale del castagno, finalizzato alla conoscenza dello stato fitosanitario dei castagneti dell’Etna e a favorirne il risanamento tramite la diffusione naturale dei ceppi ipovirulenti. La difesa contro Cryphonectria parasitica è di norma effettuata con una strategia di tipo integrato che prevede, insieme ai tagli fitosanitari, l’impiego di ceppi ipovirulenti del fungo (Sidoti e Granata, 2000). L’efficacia dei programmi di lotta biologica al cancro corticale dipende dalla trasmissione del carattere dell’ipovirulenza che avviene naturalmente, tramite anastomosi ifale, tra i ceppi ipovirulenti e la popolazione patogena di un territorio a condizione che esista compatibilità vegetativa tra i ceppi. La presenza di numerosi gruppi di compatibilità riduce le possibilità di risanamento delle piante ammalate poiché rende più difficile la trasmissibilità del ds-RNA, responsabile dell’ipovirulenza, all'interno della popolazione fungina. In una precedente indagine condotta in Sicilia (Granata et al., 1992), erano stati individuati 12 gruppi di compatibilità vegetativa indicanti un elevato grado di disomogeneità genetica di C. parasitica anche se la maggior parte dei ceppi isolati si sono collocati in un solo grande gruppo facendo intendere, quindi, una più ampia trasmissibilità del carattere dell’ipovirulenza e la conseguente diffusione naturale. L’attività di studio svolta ha rappresentato il lavoro conclusivo di una indagine effettuata precedentemente nei castagneti etnei mirata alla conoscenza dell’evoluzione della malattia nell’ultimo decennio. Essa ha riguardato la caratterizzazione in laboratorio di isolati etnei di Cryphonectria parasitica e il confronto con ceppi testers europei forniti dall’Istituto di Patologia Vegetale dell’Università di Milano, applicando una nuova metodologia molto più sensibile rispetto a quella precedentemente applicata (Cortesi et. al., 1996). I risultati finali dello studio dimostrano l’appartenenza dei ceppi etnei di C. parasitica a tre gruppi di compatibilità riscontrati a livello europeo e costituiscono un elemento basilare per eventuali futuri programmi di lotta biologica al cancro corticale. Lo studio complessivo, inoltre può consentire di formulare una proposta di aggiornamento delle prescrizioni di Massima e Polizia Forestale previste per il castagno nella provincia di Catania, molto utile al fine di aiutare il risanamento naturale dei castagneti. I risultati conseguiti verranno successivamente divulgati.

Identificazione di nuovi agenti di malattia di piante o popolamenti forestali (faggio, ginestra, pioppo tremulo e Zelkova sicula) . Negli ultimi anni su popolamenti di faggio, ginestra e pioppo tremulo dell’Etna e di Zelkova sicula in territorio di Buccheri (SR) sono stati osservati morie e deperimenti che sono stati oggetto di indagine in bosco e in laboratorio. La metodologia sperimentale, al fine di pervenire con esattezza all’identificazione dell’agente eziologico responsabile di una malattia, prevede il riscontro dei cosiddetti “Postulati di Koch” che, per le specie oggetto di studio, sono stati verificati nel corso del corrente anno. L’effettuazione delle prove di patogenicità in ambiente controllato ha consentito di confermare definitivamente l’associazione degli agenti fungini isolati sulle piante forestali oggetto d’indagine e il ruolo svolto nel relativo deperimento. Nel dettaglio, Leucostoma niveum su pioppo tremulo e Phomopsis sp. su ginestra dell’Etna hanno dimostrato di essere patogeni e, quindi, di avere un ruolo importante nello sviluppo della malattia.

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Valsa ambiens subsp. ambiens e Melanconium atrum su faggio e Diplodia sarmentorum e Fusicoccum aesculi su Zelkova sicula, invece, hanno evidenziato un’azione patogenica moderata dimostrando, quindi, un ruolo secondario nell’alterazione nella quale sono, molto probabilmente, coinvolti fattori biotici ed abiotici. Sulla formazione di cancri in polloni di faggio osservati in località Timpa Rossa (Castiglione di Sicilia), come già detto, influisce molto la poca corretta esecuzione degli interventi selvicolturali. Per quando riguarda, Z. sicula il contesto ecologico degradato in cui attualmente vegeta la popolazione costituisce, indubbiamente, l’elemento determinante lo stato di sofferenza; tutto ciò è spesso, aggravato dalle elevate temperature estive e, soprattutto, dalla ricorrente siccità che si traducono in una precocissima filloptosi nei mesi estivi. Le piante, in tale situazione d’indebolimento sono più predisposte all’attacco di specie fungine e di insetti xilofagi. In tale contesto s’inserisce l’azione di D. sarmentorum e F. aesculi che vivono nella pianta da endofiti e, in presenza di fattori di stress, agiscono da patogeni opportunisti contribuendo al deperimento della popolazione. I risultati ottenuti sono molto interessanti e degni di essere pubblicati su riviste scientifiche in quanto si tratta di specie fungine mai segnalate in Italia o all’estero; essi, inoltre, hanno un riflesso pratico in quanto ci consentono di predisporre e divulgare opportune strategie di difesa. Le note scientifiche e divulgative derivate dall’attività svolta e finora prodotte sono:

1. Sidoti A. (2005) - La castanicoltura dell’Etna. L’Informatore Agrario, 8, 61-64. 2. Sidoti A., Granata G. (2005) - Diplodia sarmentorum e Fusicocum aesculi, agenti di cancri

su Zelkova sicula. In stampa. 3. Sidoti A. (2005) – Il deperimento della popolazione di Zelkova sicula. Sicilia Foreste. In

stampa. 4. Campo G., Sidoti A. (2005) - Infestazioni di Ips sexdentatus in boschi di Pino laricio della

Sicilia. Poster da presentare al Congresso Italiano Nazionale di Entomologia, 13-18 giugno 2005, Perugia – Assisi.

6. ALLEGATI

6.1 Cenni sui risultati del 1° anno della borsa di studio “Processionaria del pino in Sicilia”

Il Dipartimento Azienda Regionale Foreste Demaniali, tramite una borsa di studio biennale bandita nel 2003, ha avviato uno studio sull’impatto della Processionaria del Pino (Traumatocampa pityocampa) nelle pinete siciliane. Lo studio intende acquisire informazioni più dettagliate riguardo gli ospiti attaccati, la distribuzione, il ciclo biologico, l’ecologia, i danni, la presenza e la diffusione degli antagonisti naturali di questo temibile defogliatore. Esso è finalizzato a migliorare gli interventi di contenimento delle infestazioni nel pieno rispetto della biodiversità degli ambienti naturali e non interessati dagli attacchi. La ricerca farà particolare riferimento agli impianti artificiali di conifere nei quali, recentemente, sono stati riscontrati seri problemi di gestione fitosanitaria. Tuttavia verranno indagate anche le stazioni a Pinus spp. in cui la presenza di T. pityocampa è endemica come i popolamenti di pino laricio (P. laricio) che si trovano nel Parco Naturale dell’Etna (CT) e quelli di pino marittimo (P. pinaster) e pino d’Aleppo (P. halepensis) presenti nella R. N. O. Isola di Pantelleria (TP). Le altre stazioni di studio individuate si trovano: nella R. N. O. m.ti Sambughetti e Campanito, Comune di Nicosia (EN); nella valle del Fiume Flascio e m.te Colla, zona meridionale del Parco Naturale dei Nebrodi, Comune di Randazzo (CT) e nel demanio Marineo – Cozzarelli, m.ti Iblei, Comuni di Mineo (CT) e di Licodia Eubea (CT).

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Riguardo le stazioni indagate sui m.ti Nebrodi e nella R.N.O. m.ti Sambughetti e Campanito, la specie attualmente interessata dalle infestazioni è solamente il Pino nero (P. nigra); sui m.ti Iblei è il pino delle Canarie (P. canariensis) a subire i maggiori danni e secondariamente il pino d’Aleppo mentre il pino domestico è attaccato occasionalmente. In queste due aree, dopo anni di elevate infestazioni e danni consistenti, la situazione è attualmente migliorata in quanto la specie è in fase di latenza forse in conseguenza degli ultimi inverni rigidi e piovosi; al contrario, sui popolamenti di pino laricio dell’Etna (versante sud e sud-ovest, c/da Galvarina-m.te Vituddi) e sui popolamenti artificiali di pino delle Canarie dei m.ti Iblei l’attacco è tuttora notevole tanto che si riscontrano anche più di 20 nidi per albero. Nel demanio regionale Marineo-Cozzarelli il problema riguarda anche i pini d’Aleppo ricadenti all’interno dell’area attrezzata dove i pochi nidi invernali presenti creano fastidi ai fruitori del luogo. I numerosi sopralluoghi effettuati nel primo anno hanno consentito, inoltre, di osservare piccoli focolai sui filari di pino d’Aleppo presenti lungo l’autostrada A19 (Palermo-Catania) nelle vicinanze di Enna e su singole piante di pino d’Aleppo, pino domestico e cedro (Cedrus spp.) presenti all’interno di ville e giardini di alcuni comuni della provincia di Catania e lungo la SS 417 (Catania - Caltagirone). Ciò fa supporre un’ampia distribuzione della specie in Sicilia, anche a carico di conifere impiantate per fini ornamentali. Il lepidottero in questione, attraverso questi corridoi artificiali creati involontariamente dall’uomo, potrebbe in futuro ampliare la propria diffusione raggiungendo nuovi territori per mezzo dei nuovi impianti di conifere, ormai parecchio diffusi anche nelle zone più interne della Sicilia. Quest’ultimi, di conseguenza, potrebbero subire danni tali da influire sulla crescita, evoluzione e stato fitosanitario nonché limitazioni alla loro fruibilità. In tutte le stazioni sono state collocate diverse trappole attivate con feromoni sessuali di sintesi per rilevare i vari periodi di sfarfallamento degli adulti alle diverse quote. Infatti, si è notato che nelle stazioni site a quote più alte e fresche come quelle dei Nebrodi, m.ti Sambughetti-Campanito ed Etna, i voli del fitofago sono stati registrati fino a fine settembre - inizio ottobre mentre si sono protratti a fine ottobre – inizio novembre sui m.ti Iblei e probabilmente anche a Pantelleria cioè nelle stazioni a quote più basse e quindi più calde. La ricerca in bosco è stata integrata con l’attività di laboratorio che è stata svolta nel Dipartimento SENFIMIZO, sez. di Entomologia, della Facoltà di Agraria dell’Università di Palermo. I nidi invernali raccolti, le ovature prelevate durante la stagione estiva e i prenidi prelevati durante la stagione autunnale sono stati posti in allevamento all’interno di appositi contenitori aerati allo scopo di rilevare la presenza di eventuali parassitoidi. Rocco Lo Duca, Borsista dell’Azienda Regionale Foreste Demaniali presso il Dipartimento SENFIMIZO (Entomologia, Acarologia, Zoologia), Università degli Studi di Palermo, V.le delle Scienze 13, 90128 Palermo.

6. 2 Bibliografia citata

Campo G., Sidoti A. (2005) - Infestazioni di Ips sexdentatus in boschi di Pino laricio della Sicilia.

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compatibility types in subpopulations of Cryphonectria parasitica in Italy. Mycol. Res. 100:1087–1093.

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Granata G., Sidoti A., Gullotto A., Pennisi A. M. (1992) - Incidenza del cancro della corteccia del castagno in Sicilia e prove di compatibilità vegetativa. Tecnica Agricola 1, 3 - 11.

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