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Page 1: FOTO DEI BLACK PANTHERS TRATTE DAL LIBRO DI STEPHEN SHAMES ... · PDF filedi come la dinamica delle dittature si ri-peta, ... DI STEPHEN SHAMES, EDITIONS LA MARTINIÈRE LIBRI: GERALDINA

pagina 12 il manifesto MERCOLEDÌ 24 MARZO 2010

Prove tecnichedi democrazia

Cristina PiccinoPARIGI

Se la scommessa è il pubblico alloraCinéma du Réel ha centrato l’obiet-tivo. Le sale del Centre Pompidou -

tre, poche per un festival; per questa ra-gione, di molti programmi non sono pre-viste repliche, altra cosa abbastanza di-scutibile - sono sempre pienissime. E cer-to non perché il documentario è di moda(potrebbe dirsi da noi in Italia) - visto chequi occupa da molti anni un posto abba-stanza importante nella produzione diimmaginario. L’altra scommessa, an-ch’essa comune a molti appuntamentiinternazionali, è quella di giocare neltempo, immagini del passato e immagininuovissime con cui costruire suggestio-ni, intenti comuni, forme oblique di nar-razione della realtà.

È abbastanza impressionante vedereoggi Repression, realizzato nel 1970, unaproduzione del Newsreel, gruppo di film-

maker che cerca di mostrare, rispetto al-le news dei media istituzionali, una diver-sa «verità» dei fatti – quello che insommamolti avrebbero dovuto fare questi anniin Italia, senza preoccuparsi troppo deifunzionari Rai addetti al doc. Le lotte del-le Black Panthers per i diritti civili, la re-pressione poliziesca, la protesta contro ilVietnam, tutto ciò che è il movimento an-tagonista americano viene documentato«dall’interno», smascherando così men-zogne, violenza giustificata come difesacontro pericolosi criminali (oggi si direb-be «terroristi»), omicidi fatti passare perincidenti o per vendette interne. Le Pan-thers spiegano con lucidità cosa le rende-va così pericolose e destabilizzanti: il fat-to cioè che la loro battaglia riguardavatutti, non solo gli african american, maqualsiasi persona socialmente debole.

Tutto ciò accadeva quarant’anni fa.Ciò che si combatteva allora, oggi è la ba-se fondante del precariato globale, laddo-ve il ricatto senza diritti né garanzie è di-

venuto la regola, «grazie» alla crisi econo-mica, e nell’urgenza del bisogno ha sgre-tolato la possibilità di una rivendicazio-ne comune.

Repression è uno dei film della sezioneExploring documentary dedicata al pam-phlet visivo. Un’accezione, quella dipamphlet, che nella selezione curata daNicole Brenez dichiara una visione piùampia, cercando in quelle immagini una«persistenza» di radicalità ancora attualeche non è solo ideologia o supporto alconflitto del tempo ma riguarda la natu-ra politica del cinema, e degli immagina-ri che lo attraversano.

Non si tratta solo di cosa si racconta,ma di come viene fatto. Non è solo tecno-logia, piuttosto una profonda consapevo-lezza di essa. Prendiamo un film come48 (che passa in concorso). Si parla delladittatura instaurata da Salazar in Porto-gallo, una delle più durature d’Europa,terminata nell’aprile del 1974 (quandoSalazar era già morto, nel 1970) con quel-la che è passata alla storia con il nome«Rivoluzione dei Garofani». È terribile,ascoltando i racconti di chi in quegli an-ni venne arrestato e torturato, l’evidenzadi come la dinamica delle dittature si ri-peta, quasi ritualmente, sempre uguale.Lo spiega con precisione Raoul Peck nelsuo ultimo Moloch Tropical, che dalla dit-tatura giunge all’autoritarismo della de-mocrazia: siamo a Haiti, ma potremmoessere in Russia o in Italia ... E veniva fuo-ri anche, con molta chiarezza, dalle pri-me immagini di Isola Bielorussia diVictor Aslik, il paese governato da Luka-schenko, dove gli schermi della propa-ganda televisiva sempre accesi, funziona-no meglio di parate e altre manifestazio-ni «classiche». Ma il film si è interrottocon l’allarme bomba...Lo stesso non sipuò dire di Sanya e il monaco di AndreyGryazev, il cinema russo di oggi che sicompiace di una rappresentazione delsuo paese sicuramente «realistica» e pe-rò col gusto di indugiare nella miseria –qui due operai non pagati, esempi di uncapitalismo arcaico, implacabile, ripiega-to su se stesso presentati però come bor-derline della disperazione.

FACE-BOOK-CROSSING! · Una giornata dedicata alla condivisione della cultura

Regala un libro a uno sconosciutoDunque, un libro utile, in particolarmondo laddove dissacra la volontàgregaria di molti esponenti politici

della sinistra, che dopo la crisi, per contrap-passo, devono ascoltare i sermoni di GiulioTremonti contro gli ultras del libero mercatoche mettono a rischio la convivenza civile.

Ciò che invece rimane da comprendere ècome un insieme di idee fragili, intrise di pes-sima ideologia diffuse da personalità intellet-tuali mediocri sia riuscito a diventare il pen-siero dominante per così tanti anni.

Una risposta sta nel fiume di denaro che legrandi multinazionali statunitensi hanno di-rottato verso i think thank conservatori chepazientemente hanno costruito l’egemoniaculturale neoliberista. E tuttavia è indubbioche le guerre culturali condotte dalla destrastatunitense prima e europea dopo sono sta-te vincenti perché hanno prodotto un con-

senso alle loro teorie. Consenso limaccioso,le cui origini stanno nella reazione rabbiosadell’establishment industriale e finanziario al-l’assalto al cielo del Sessantotto. Le fortunepolitiche del populismo di destra vanno quin-di cercate nella sconfitta di quel movimentoglobale e dal rovesciamento di segno chel’ideologia neoliberista è riuscita a imprime-re alla sua promessa di libertà dalla necessi-tà. E nella capacità dei think thank neoliberi-sti di produrre una vision adeguata alle nuo-ve condizioni sociali e produttive ancoratatuttavia alle nuove condizioni sociali, produt-tive e culturali prodotte da quel movimentomondiale, non a caso ritenuto il movimentoche ha dato la spinta decisiva alla globalizza-zione. La forza dirompente del populismo po-litico e l’ideologia neoliberista non stavaquindi nella scientificità della sua concezio-ne dell’economia o della società, ma nella lo-ro capacità politica di innovare le forme poli-tiche e l’organizzazione produttiva attraver-so le quali il capitalismo voleva riprendere ilcomando sulla società.

LIBRI: GIULIANO GARAVINI, DOPO GLI IMPERI,L’INTEGRAZIONE EUROPEA NELLO SCONTRO

NORD-SUD, LE MONNIER, PP. 360, EURO 26

Giampaolo Calchi Novati

I l rappresentante dell’Unione europeanel mondo ha il compito di inventarela politica estera dell’Europa unita. So-

no molte le ragioni per nutrire un sano scet-ticismo sui risultati: l’Europa non è unita enon sembra in grado di esprimere un’uni-ca politica estera, gli stati più grandi si riser-vano le scelte decisive, l’opinione pubblicanon è in grado di farsi sentire. Bruxellesnon ha voce e forse neanche idee: a manca-re, infatti, non è solo l’esercito, come so-stengono coloro che scambiano la politicaestera – ogni politica estera – per l’uso (o laminaccia) della forza. Eppure, quando gliapparati dell’Europa erano meno sofistica-ti (e meno pletorici), l’allora Comunità eco-nomica europea elaborò un progetto chenon è stato applicato fino in fondo ma chepoteva dare un senso alla politica dell’Euro-pa su uno dei problemi essenziali del no-stro tempo: il rapporto Nord-Sud.

Il Sud apparve all’improvviso. La logicadi Jalta non lo prevedeva e finì per farne uncampo di battaglia della competizione Est-Ovest. Gli stati di recente indipendenza del-l’Africa e dell’Asia avevano uno stringentebisogno di attingere a risorse esterne: percominciare, erano costretti a dipendere dal-le ex metropoli – dopo tutto, essi erano oerano stati il retroterra del mondo capitali-sta. La Cee era la somma di nazioni e obiet-tivi che portavano ancora i segni delle poli-tiche coloniali ed era inevitabile che nellerelazioni con il Sud emergessero i vecchi in-teressi. Basti pensare alle politiche di «asso-ciazione» che furono avviate con l’Africa susuggerimento e pressione della Francia.Ciò nonostante, l’impostazione multilatera-le che caratterizza la politica dell’Europaaveva in sé una dimensione nuova.

C’erano i presupposti per andare al di làdella funzione che Niall Ferguson attribui-sce all’«impero»: il controllo della periferiasenza la partecipazione dei popoli assogget-tati. Non mancavano ovviamente le riservedei governi della decolonizzazione perquel riassorbimento surrettizio nel sistemada cui stavano uscendo o erano appenausciti, che in parte sfuggono all’ampia e do-cumentatissima ricerca di Giuliano Garavi-ni per l’origine prevalentemente europeadelle fonti utilizzate. Ma se non altro allabase del metodo europeo c’era il riconosci-mento della soggettività degli interlocutoriin una gamma di argomenti che includeva-no lo sviluppo, l’integrazione nel mercato,la gestione delle crisi locali.

In alcuni scacchieri, nel Medio Oriente enel Mediterraneo soprattutto, l’azione del-l’Europa si rivelò pesantemente condizio-nata dai veti che si levavano d’oltre Atlanti-co. L’Europa non nutre ambizioni neo-im-periali ma l’alleanza con gli Stati Uniti haimposto le sue regole trascinandola in unaserie di complicità senza escludere la guer-ra. Il libro di Garavini finisce così per descri-vere due delusioni o due percorsi incom-piuti: l’Europa che non si è realizzata e unSud che si è volatilizzato dopo gli exploitsdegli anni Cinquanta (la Conferenza di Ban-dung) e Settanta (la strategia del nuovo or-dine economico internazionale nata ad Al-geri che trovò una sponda nella Commis-sione Brandt). Il periodo trattato si conclu-de con gli anni Ottanta: mentre il rapportoNord-Sud fuori dalla guerra fredda rispon-de ad altre motivazioni, si profila un Sud-Sud che potrebbe scavalcare il Nord.

DA PAGINA 11Benedetto Vecchi

FOTO DEI BLACK PANTHERSTRATTE DAL LIBRODI STEPHEN SHAMES,EDITIONS LA MARTINIÈRE

LIBRI: GERALDINA COLOTTI, LA GUARDIA È STANCA,EDIZIONI CATTEDRALE, PP. 109, EURO 13,50

Tommaso Di Francesco

Come nell’ultimo romanzo di Paul Au-ster, Invisibile, Geraldina Colotti propo-ne un enigma. Con La guardia è stanca,

poema frammentato e articolato di brani e con-trappunti disperati, tesse un’autobiografia al li-mite del reale, dove la consapevolezza estremadella sconfitta di vita e di lotta rigenera una rab-bia verbale che si traduce in invettiva. Qualedelle due vite sarà quella vera: lei che si dichia-ra sconfitta, perduta, o quella che fa della paro-la ancora una barricata accesa? E il diario priva-to in versi è all’altezza delle nuove allucinazionidel presente che disegnano un territorio deva-stato? Siamo dentro la storia, anzi, scrive Geral-dina Colotti «mi tiene in pugno la storia», manon c’è mostra della sua fine. E se la stanchez-za della guardia rivoluzionaria che pose fine aquel che rimaneva della rappresentanza dellaDuma nel lontano groviglio dell’inizio dell’Otto-bre, corrisponde all’ultima, attuale stanchezza,ecco che quella lontananza riverbera, nella du-rata, il ridicolo del presente, il comico della bat-taglia e dei vincitori, il dolore nervoso di chi è ri-masto inesorabilmente in solitudine.

Brucia in questa poesia, al crocevia tra me-moria e offesa da restituire in satira, l’essere sta-ti protagonisti prima dell’assunzione della paro-la scritta, della presa in mano di strumenti affi-lati e concreti per combattere. E in quel com-battimento d’essere stati annientati e catturativivi. Senza per questo dichiararsi né vittima nétantomeno mito ed eroe, perché nei giorni re-sta «…nella sporta/ d’autunno/ qualche resa/ epaccottiglia/le medaglie/ di ferro/ un canestro/ dipuffi/ e la rossa/ bandiera». Nella forma di un di-stico ossessivo, senza mai punteggiatura, unverso d’una parola sola, con la rima a schiaffotra ossimoro e specchio di calembour. E nell’at-mosfera del recitativo a se stessa, come nei duepiccoli atti unici Le teste di Modì dove il falso èprefazione al vero, e in Canoniche dove i sogget-ti del canto si ribellano all’autore.

Farsi teatro sembra la residua esistenza, di-chiara Geraldina Colotti, «si faceva finta/ diniente», nella perseveranza-condanna al silen-zio pubblico che è «lo stigma dei poeti». Cheper istinto e formazione trovano solo il raffron-to con i vinti di cui è disseminata la scena del re-ale – dai migranti che compongono per nostracondanna i nuovi cimiteri marini fino alla sco-perta di un vero e proprio prototipo di sconfitta«politicamente corretta»: «voglio una vittima/come si deve/ impari dai fiori/ come si muore/…che in copertina/ lecchi la mano/ faccia l’inchi-no/ assuma la colpa/ del suo assassino».

È bene chiarire che «la guardia è stanca, maha scelto di andare», consapevole che questo èil tempo in cui «l’incidenza delle stelle/ è poca co-sa/ quando incalzano/ ciechi/ i lupi». Ma se lapoesia è inadeguata – «contro il liberismo/verso-liberismo» – che cosa allora lo è? Più dell’invetti-va, più della satira, La guardia è stanca sembraappartenere al non detto della sconfitta, dellaquale – dicono versi dolorosi – non si può sfug-gire col più frettoloso dei fingimenti: «Se muori/con un fucile in mano/ hai l’impressione/ che tut-to vada bene/ e si alzano le rondini al contrario/e il mondo tiene/ a mani vuote il timone…/». Inun lavorìo in controtendenza che è scavo osses-sivo, tra le macerie morali e nelle trame del quo-tidiano, organizzando come per un giornale iltessuto delle parole disadorne: «Come fai/ festa/a trascinare ancora/ grida e gesta/ se il giorno ve-ste notte/ d’armatura…/». Parole che apparten-gono alla zona d’ombra che ci riguarda. È lì chearriva questa poesia: «Sono tra voi/ che avetestanze quiete». Allora di che è stanca la guardia?Che sia perenne la sconfitta, che dal passatocontamini anche l’irriducibilità dei versi.

Nel 1925 l’antropologo Marcel Mauss affermava che «il do-no» è il modo più comune e universale di creare relazio-ni umane. Il dono è una forma di comunicazione genti-

le. Come poche se ne vedono in giro, ultimamente, dal talk showtelevisivo alla fermata dell’autobus. Ma nel 2010 c’è Facebook,un bacino in costante condivisione che propone piccole ideeche per semplice associazione diventano grandi iniziative. L’ulti-ma nasce dal gruppo Leggere, leggere, leggere! – 26 marzo 2010 –Primo esperimento nazionale. Alberto Schiariti, il fondatore, è unragazzo di 22 anni, blogger appassionato di libri, vittima dellasconcertante lontananza relazionale del pendolarismo. La gior-nata del 26 marzo, 241.327 persone (al momento, ma il numerosale ogni minuto) regaleranno libri a sconosciuti. Vale a dire chevenerdì ci saranno potenzialmente 241.327 libri in più in giroper l’Italia. L’industria editoriale ringrazia. Ma ringraziano so-prattutto gli internauti per questa bella metafora della rete che simoltiplica sulle strade. Una giornata che ricorda, inoltre, il boo-

kcrossing, iniziativa nata nel 2001, che prevede il rilascio di librinell’ambiente affinché di volta in volta vengano trovati, letti e dinuovo rilasciati. Un «libro-incrocio» per la circolazione delle co-noscenze, la condivisione del piacere della lettura, l’arricchimen-to delle risorse. Un «giralibro» che è un contatto virtuale - così co-me lo è «faccialibro» – ma che lascia il sapore della condivisioneemotiva, un Face-Book-Crossing di risorse che si arricchisconoviaggiando da un media a un altro. Sulla bacheca tanti messaggi,tra chi si chiede chi fermare e cosa dire, ma soprattutto tanti tito-li e un unico modo per comunicare, sentirsi insieme e, perchéno, trasmettere energia. Nei punti di incontro nelle varie città sidaranno vita a flashmob, una sorta di performance artistico-energetica dove persone riunite in uno spazio pubblico all’im-provviso e in contemporanea fanno qualcosa - leggere - per poidisperdersi. Energia concentrata e poi fatta propria: Novecento,Una bella differenza, Il dio delle piccole cose, Cent’anni di solitudi-ne, L’amico ritrovato... quale sarà la vostra? Alice Rinaldi

Al festival del documentario presso il Centre Pompidouvanno in onda le storture della dittatura (quelladi Salazar nel film «48» di Susana de Souza Dias)e le giuste ribellioni per i diritti civili (i Black Panthersdi «Repression»). Dall’Europa all’America, il filo rossoè la persistenza di una radicalità delle immaginiche riguarda la natura politica del cinema stesso

réel

POESIA

Versi dolorosi,dominati dal non dettodella sconfitta

SAGGI

L’Europa incompiutanel dialogotra Nord e Sud