Forme della norma

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Contro l’eccentricità del discorso normativo sudasiatico

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religioni identità culture

La collana ‘Religioni, Identità, Cultu-re’ costituisce uno spazio di riflessione scientifica dedicato ai fenomeni reli-giosi. Uno spazio aperto a materiali provenienti da diversi contesti geogra-fici e da differenti periodi storici. Uno spazio in cui sono ospitati studi relativi ad aree distanti fra loro, a partire dagli ambiti asiatici fino a quelli sudameri-cani. Il suo obiettivo è quello di rende-re pubblici i risultati delle più recenti ricerche di area, assieme alle nuove ac-quisizioni metodologiche, in maniera da illustrare, con sempre maggiore dettaglio, il reticolo relazionale che, ovunque, unisce fra loro le nozioni di ‘religione’, di ‘identità’ e di ‘cultura’.

consulenza scientifica di areaSergio BottaPiero CapelliChiara LetiziaStefano Pellò

Alessandro SaggioroAlessandro Vanoli

Marco Ventura

coordinamento di collanaFederico Squarcini

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Federico Squarcini

forme della normacontro l’eccentricità

del discorso normativo sudasiatico

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© 2012 Società Editrice Fiorentinavia Aretina, 298 - 50136 Firenze

tel. 055 [email protected]

isbn 978-88-6032-231-9

prima edizione: novembre 2012

Proprietà letteraria riservataRiproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata

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Indice

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Introduzione

I. Prima della norma. Per il connubio fra diacronia e sincronia quando si parla di norma

II. Dall’anonimato alla norma. L’esercizio dell’arbitrio sull’ambiguità, l’imposizione della

regola sull’eccezione

III. Meri nomi, all’alba della norma. Evento, contingenza, fatto, disorientamento, eccezione

IV. La norma sorge dal buio. Sulle logiche oscure del decidere

V. Il tutto e le parti. Prodromi di una logica della decisione e del sacrificio politico

VI. Riscoprire gli imperativi pratici (e dunque politici) che sottendono al rimando ai princìpi, tuttavia disattesi

VII. Ancora sull’uso strumentale dei princìpi. Decidere della ‘deviazione’ della Gaṅgā nell’antichità

VIII. Decidere per via delle somiglianze istituite. Sull’ergonomia logico-sinestetica del ‘con-senso’,

ovvero, sull’incorporazione inintenzionale delle costituenti vincolanti della ‘decisione preliminare’

IX. Decidere quel che decide del decidere

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X. La norma, ossia l’esito di una decisione preliminare

XI. Per una meta-sistemica reticolare del trittico linguaggio, norma, società

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Introduzione

La legge e le leggi. La regola e le regole. La norma e le norme. Semplici giochi di parole, con cui si passa dal singolare al plurale, dall’uno ai tanti, dal semplice al complesso, dall’uni-co al molteplice, sine cura. Un gioco diffuso, comune, inno-cente, utile, finanche necessario. Un gioco che riguarda ogni cosa e attraverso il quale, da secoli, cerchiamo di tener te-sta alla varietà delle cose. Un gioco impiegato per descrivere tutto ciò con cui abbiamo a che fare, senza il quale, ci pare, saremmo sordi e muti. Un gioco per il cui tramite operiamo trasferimenti di status, di epoca in epoca, di àmbito in àmbi-to, di livello in livello, di contesto in contesto. Da una singola immagine ne traiamo infinite, da una singola forma ne de-duciamo migliaia, da un solo modello ne creiamo dozzine.

È ragionevole, si pensa —ma senza pensare—, guadare in questo modo, ossia di scoglio in scoglio, il torrente della molteplicità fenomenica. Del resto, ‘è così che va’ il mondo delle rappresentazioni, dal plurale al singolare, dal singolare al plurale, senza timore, con un ciclo infinito di assonanze, di richiami, di somiglianze, di ammiccamenti. È perciò ‘ovvio’ che si dia il centro e la periferia, il polo e i suoi margini, il punto e la retta, il generale e il particolare.

Ciò nonostante, il passaggio dal singolare al plurale è tutt’altro che ovvio, tutt’altro che scontato, tutt’altro che neu-tro, tutt’altro che fedele.

Dall’idea di ‘religione’, ad esempio, passiamo a quella di ‘religioni’ in maniera del tutto indolore, ci pare, senza che ciò produca alcuno scarto, alcuna perdita, alcuna omissio-

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ne. Similmente, dall’idea di ‘norma’ approdiamo a quella di ‘norme’, dall’idea di ‘regola’ arriviamo a ‘regole’, dall’idea di ‘uomo’ a quella di ‘uomini’, senza che ciò crei particolari sussulti.

E lo stesso potrebbe dirsi dell’andamento inverso, ossia l’‘innocuo’ procedere, per via induttiva, dalla molteplicità dei particolari all’unità del generale: un procedere anch’esso irto di trappole implicite, ipotesi interessate e criteri di se-lezione pre-ordinati.

Ora, sebbene siano questi i modi di ‘leggere’ il mondo che ci accomunano, e che ci precedono, tutti, siffatte ma-niere di organizzare le relazioni fra oggetti ed eventi vanno sorvegliate con maggiore acrimonia. Dietro la loro ovvietà, infatti, non si annidano solo credenze, schemi concettuali, convinzioni e persuasioni raramente fondate, ma anche re-sidui di rapporti di forza, tracce di forme di dominio, echi di strutture egemoniche.

L’uso del singolare, ad esempio, non è solo un modo di flettersi della lingua, oppure una mera questione di nume-ro, bensì è la punta di una piramide gerarchica, pensata per disporre e far convergere in un sol punto varietà infinite di ‘fatti’.

Norma o norme, dunque? Quale, fra i due termini, funge da regola per l’altro? E in che senso è possibile parlare di ‘forme’ (plurale) della ‘norma’ (singolare), ossia di ‘norme’?

In questo lavoro, facendo leva sulla nozione di dharma (postulandola come sinonimo di ‘norma’), vado a guardare ad alcune forme e ad alcuni snodi interni ai sistemi norma-tivi di àmbito sudasiatico —troppo spesso ritenuti ‘partico-lari’, ‘straordinari’, ‘eccentrici’ ed ‘esotici’—, in cerca di una diversa maniera di intenderli e di interpretarli.

Una maniera nuova, mi auguro, che accoglie la diversi-tà delle forme senza confinarle a se stesse, senza reputarle eccezioni. Le ‘forme della norma’ che andrò qui a rappre-sentare, perciò, non sono da intendere come episodi auto-nomi della storia sudasiatica, bensì sono da leggere come campioni di un medesimo logos, che ci riguarda tutti. Il no-

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motetico logos sotteso ad ogni pronunciamento sul mondo, che tutto riguarda e che tutto riduce.

Campioni ricchi di ricorrenze e omogenie assai eloquenti, da convocare ogni qual volta si fa eccesivo spazio l’‘esoti-smo’, l’‘eccezionalismo’ e lo ‘straordinarismo’. Ricorrenze e omogenie, però, che non leggerò a partire da una supposta unità dei fenomeni sociali, bensì guardando all’unità dei di-spositivi logici impiegati per la rappresentazione degli stessi.

A questo punto, pur per sommi capi, vado ad indicare il procedere dei capitoli del lavoro che segue.

Questo mio discorso sulle ‘forme della norma’ prende le mosse da alcune considerazioni rispetto a quel che c’è ‘prima della norma’ (cap. I), ossia da riflessioni preliminari circa i modi d’intendere il fondamento del discorso normativo in Sud Asia, e sulla necessità di ripristinare il connubio fra dia-cronia e sincronia quando si parla di tradizioni normative.

A seguire (cap. II), illustro alcuni dei passaggi che colle-gano l’anonimato alla norma, guardando alle forme di ar-bitrio chiamate in causa per risolvere e ridurre l’ambiguità e l’eccezione.

Ciò introduce al momento in cui si passa dall’evento con-tingente alla regolazione dello stesso, giungendo all’alba della norma (cap. III). Un titanico sforzo regolativo, questo, che precede il sorgere del discorso normativo, basato, come dico, su di un sistema di decisioni e di narrazioni, mosso in gran parte da logiche ‘oscure’ (cap. IV).

Decidere significa escludere, mostrare il favore verso qualcosa, scegliere una parte sull’altra. Ed è questo il tema del capitolo successivo (cap. V), tutto speso attorno alla di-samina della logica della pars pro toto, intesa come specifica forma di decisione politica. Una logica chiave, qui esempli-ficata tramite il recente caso della realizzazione del gigante-sco invaso idrico di Ṭiharī.

Il capitolo seguente (cap. VI) verte sugli imperativi pra-tici e politici che sottendono al rimando ai princìpi e alle ‘regole’ del decidere, tratte, nel caso specifico, da antiche massime dell’epica sanscrita.

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L’uso strumentale dei princìpi è poi al centro di un’ulterio-re digressione (cap. VII), dove illustro le maniere con cui si decide della ‘deviazione’ della Gaṅgā all’interno del poema epico del Rāmāyaṇa.

A questo punto del lavoro (cap. VIII), profittando dei precedenti esempi cardine, torno a un discorso di massima, volto a definire il dettaglio delle maniere di decidere tramite l’impiego della logica delle somiglianze e delle similitudini.

Il circolo dei rimandi della decisione è ora fissato, e me-rita guardarlo più da vicino. Questo è fatto attraverso un discorso sul ‘decidere quel che decide del decidere’ (cap. IX), preludio necessario al venire in essere della norma.

Ed è proprio sulla norma, nella sua accezione sanscrita di dharma, che si concentra la parte seguente del libro (cap. X), mostrando gli itinerari dei discorsi classici attraverso i quali la norma è posta e sorretta (quando, di solito, si pensa che essa sia data e sia ciò che sostiene).

In ultimo, alla stregua di coagulo sintetico, ho cercato di mettere in ordine gli esiti dei precedenti capitoli e di mo-strare i modi con cui può ora procedere la disamina dei discorsi sulla norma in Sud Asia (cap. XI).

Questa, in breve, la traiettoria attraverso la quale si dipa-na il lavoro qui presentato.

In ultimo, dopo aver segnalato che tutte le traduzioni presenti in questo testo —ove non diversamente indica-to— sono a cura dell’autore, passo ai ringraziamenti. Tanti, infatti, sono stati gli occhi clementi, ma allo stesso tempo vigili e acuti, che si son gettati su queste pagine. Occhi che voglio qui davvero ringraziare per aver supplito al deficit dei miei. Grazie dunque a (gli occhi di) Giulia Bassi, Ester Bianchi, Emanuele Bindi, Delphina Fabbrini, Marianna Ferrara, Marco Guagni, Luca Mori, Gabriella Paolucci, Ste-fano Pellò, Antonio Rigopoulos.

Venezia, Ottobre 2012