Fonetica - lettere.uniroma2.itlettere.uniroma2.it/sites/default/files/Fonetica della lingua... ·...

34
Fonetica 1. Dal protoindoeuropeo al protoslavo Il processo di dissoluzione dell’unità linguistica indoeuropea, durato millenni, è ancora avvolto nell’oscurità, così come la storia delle migrazioni di popoli cui si è accompagnato. Nel secolo scorso si immaginava che il tronco comune si fosse diviso inizialmente in due rami, e questi ulteriormente in rami, costituendo una sorta di albero genealogico delle lingue storiche. Oggi l’immagine dell’albero si può considerare superata: si ritiene che la lingua comune abbia conosciuto una lunga evoluzione, attraversando diversi stadi e varie forme di divisione dialettale anche prima dell’inizio del processo di smembramento. Gruppi linguistici si sarebbero quindi distaccati da questo tronco comune a scaglioni e, sulla base di differenti stadi evolutivi della lingua comune, avrebbero innovato in modo ora convergente, ora parallelo, con una cronologia su cui non esiste definitivo accordo tra gli studiosi. Lo slavo avrebbe assunto una fisionomia riconoscibile al termine del “periodo baltoslavo”, quando un sottogruppo dialettale (un continuum di parlate) individuatosi nell’indoeuropeo intorno al III millennio a.C., si sarebbe scisso nei due tronconi del protobalto e del protoslavo 1 . 2. Consonantismo Il sistema fonologico i.e. comprendeva quasi certamente la fricativa dentale 1 Il problema della unità linguistica balto-slava, decisamente negata da molti studiosi in favore della tesi di mutue influenze avvenute durante un lungo periodo di contatto, non ha ancora trovato una soluzione definitiva: per lo status quaestionis si può vedere la “Breve sintesi storica della ‘questione balto-slava’” in Pietro U. Dini, Le lingue baltiche, La Nuova Italia 1997, pp. 127-138.

Transcript of Fonetica - lettere.uniroma2.itlettere.uniroma2.it/sites/default/files/Fonetica della lingua... ·...

Fonetica 1. Dal protoindoeuropeo al protoslavo

Il processo di dissoluzione dell’unità linguistica indoeuropea, durato millenni, è ancora avvolto nell’oscurità, così come la storia delle migrazioni di popoli cui si è accompagnato. Nel secolo scorso si immaginava che il tronco comune si fosse diviso inizialmente in due rami, e questi ulteriormente in rami, costituendo una sorta di albero genealogico delle lingue storiche. Oggi l’immagine dell’albero si può considerare superata: si ritiene che la lingua comune abbia conosciuto una lunga evoluzione, attraversando diversi stadi e varie forme di divisione dialettale anche prima dell’inizio del processo di smembramento. Gruppi linguistici si sarebbero quindi distaccati da questo tronco comune a scaglioni e, sulla base di differenti stadi evolutivi della lingua comune, avrebbero innovato in modo ora convergente, ora parallelo, con una cronologia su cui non esiste definitivo accordo tra gli studiosi. Lo slavo avrebbe assunto una fisionomia riconoscibile al termine del “periodo baltoslavo”, quando un sottogruppo dialettale (un continuum di parlate) individuatosi nell’indoeuropeo intorno al III millennio a.C., si sarebbe scisso nei due tronconi del protobalto e del protoslavo1. 2. Consonantismo

Il sistema fonologico i.e. comprendeva quasi certamente la fricativa dentale

1 Il problema della unità linguistica balto-slava, decisamente negata da molti studiosi in

favore della tesi di mutue influenze avvenute durante un lungo periodo di contatto, non ha ancora trovato una soluzione definitiva: per lo status quaestionis si può vedere la “Breve sintesi storica della ‘questione balto-slava’” in Pietro U. Dini, Le lingue baltiche, La Nuova Italia 1997, pp. 127-138.

Il paleoslavo

78

sorda *s, quattro sonoranti (due nasali: *n, *m e due liquide: *l, *r)2 e un inventario di occlusive molto discusso: la ricostruzione neogrammaticale3 ne contava venti, prodotte in cinque diversi luoghi e distinte in quattro modalità articolatorie:

labiali dentali labiovelari palatovelari velari semplici

sorde non aspirate p t kw k’ k aspirate ph th kwh k’h kh

sonore non aspirate b d gw g’ g aspirate bh dh gwh g’h gh

Questo schema venne presto messo in discussione (da Saussure), con

particolare riferimento alle aspirate sorde, poco rappresentate se non in vocaboli onomatopeici e sospettate di essere allofoni. A partire da quel momento il sistema delle occlusive è stato oggetto di numerosi studi, sfociati negli anni ’70 nella teoria glottalica, che elimina dal sistema la serie aspirata in favore di uno schema tripartito nei modi di articolazione sordo, sordo glottalizzato e sonoro.

Al suo posto, tuttavia, si preferirà qui lo schema tripartito tradizionale, che prevede un sistema formato da occlusive non aspirate sorde (*p, *t, *k), occlusive non aspirate sonore (*b, *d, *g), occlusive aspirate (*bh, *dh, *gh). Non sarà inoltre considerata la riduzione delle palatovelari, che toglie senso alla visione di una frattura dialettale dell’indoeuropeo in lingue centum e lingue satem4.

2 Le sonoranti (o sonanti, in opposizione a non sonoranti, o ostruenti) funzionano come

consonanti quando sono precedute o seguite da una vocale (cioè in posizione di margine di sillaba) e funzionano come vocali in posizione interconsonantica (cioè quando sono centro di sillaba): ṃ, ṇ, ḷ, ṛ. Sonoranti si possono considerare anche i foni i, u, che hanno allofoni asillabici postvocalici (le semivocali i̯, u̯) e prevocalici (le semiconsonanti j, w).

3 La scuola neogrammaticale fu fondata negli anni ’70 del XIX secolo da A. Leskien, H. Osthoff, K. Brugmann e D. Delbrück. La definizione di “giovani grammatici” (Jung-grammatiker) si deve a studiosi non appartenenti alla scuola, che intendevano così sottolineare ironicamente la giovane età e la scarsa esperienza dei colleghi.

4 L’indoeuropeo avrebbe avuto in realtà due sole serie, velare e labiovelare (come le lingue centum); le lingue satem avrebbero innovato.

Fonetica

79

3. Vocalismo Anche sul vocalismo i.e. più antico non c’è accordo tra gli studiosi, che

ipotizzano inventari di una, due o quattro vocali più un numero variabile di vocali ultrabrevi e dal timbro poco definito dette schwa. Per quanto riguarda l’indoeuropeo tardo, invece, si postula la presenza di dieci fonemi vocalici, cinque lunghi e cinque brevi: *ā, *ē, *ō, *ī, *ū, *ă, *ĕ, *ŏ, *ĭ, *ŭ, classificati secondo l’altezza in alti (*i, *u), medi (*e, *o) e bassi (*a) e secondo il luogo di articolazione in anteriori, centrali e posteriori:

*ī *ĭ *ū *ŭ *ē *ĕ *ō *ŏ *ā *ă

Le vocali non alte in combinazione con le sonoranti potevano originare

trentasei dittonghi:

*āi̯ *ăi̯ *āu̯ *ău̯ *ām *ăm *ān *ăn *āl *ăl *ār *ăr *ēi̯ *ĕi̯ *ēu̯ *ĕu̯ *ēm *ĕm *ēn *ĕn *ēl *ĕl *ēr *ĕr *ōi̯ *ŏi̯ *ōu̯ *ŏu̯ *ōm *ŏm *ōn *ŏn *ōl *ŏl *ōr *ŏr 4. Apofonia

La lingua indoeuropea era caratterizzata da un sistema di alternanza vocalica grammaticalizzata, nota con il nome di ‘apofonia’, o ‘gradazione vocalica’, o ‘alternanza vocalica’, o ‘Ablaut’ (in russo: čeredovanie glasnych). “L’alternanza vocalica consiste nel fatto che nelle differenti unità morfologiche (radici, suffissi e desinenze) le sonanti e le consonanti sono gli elementi fissi, mentre le vocali sono quelli mutevoli. Se si sostituisce o si sopprime una sola delle sonanti o delle consonanti che compongono radice, suffisso o desinenza, se ne altera l’identità. Le vocali [invece] possono alterarsi o essere sostituite senza altre conseguenze se non un cambiamento della funzione morfologica di questa stessa unità”5. Per esempio, variazioni apofoniche sono quelle del latino pendo ‘io peso’ vs pondus ‘peso’, tego ‘io copro’ vs toga ‘toga’; analogamente in greco fero ‘io porto’ vs -foro ‘portatore’ (cfr. semaforo, termoforo), lego ‘io parlo’ vs logos ‘parola’.

5 F. Villar, Gli indoeuropei e le origini dell’Europa, Bologna 1997, p. 243.

Il paleoslavo

80

All’apofonia si deve l’alternanza del tipo facio (‘faccio’, presente) vs feci (‘feci’, perfetto), sto (‘sto’, presente) vs steti (‘stetti’, perfetto), che dal latino passa all’italiano. Grazie all’apofonia si formano i paradigmi verbali inglesi del tipo drink, drank, drunk.

“Alternanza vocalica significa, dunque, la capacità che hanno le vocali di alternarsi in uno stesso elemento morfologico senza che questo perda la sua identità. Tuttavia, non tutte le vocali sono in grado di far parte di questo gioco alternativo. La modalità principale, che potremmo definire standard, comprende e/o/ē/ō/ø, che deve essere inteso come l’inventario massimo”6.

Le variazioni apofoniche all’interno di uno stesso elemento morfologico si definiscono ‘gradi vocalici’. Una stessa radice, quando la serie è completa,

6 Ibidem. L’esistenza di catene apofoniche “anomale” (a/o/ā/ō; ā/ō/əә; ō/əә), sommata alla anomalia nella correlazione tra vocali brevi in alcune lingue indoeuropee (che veniva spiegata con la presenza di vocali i.e. ultrabrevi e dal timbro poco definito: əә1 e əә2), e rapportata all’anomalia nella struttura di certe radici (CV oppure VC invece di CVC) ha portato Saussure a intuire la presenza di un antico fonema successivamente eliminato: “La lucida intuizione di Saussure consistette nel rendersi conto che i tre tipi di anomalia erano in relazione tra loro ed erano suscettibili di una spiegazione complessiva. Infatti, le radici nelle quali manca la prima consonante sono le stesse nelle quali si verifica il tipo di alternanza vocalica anomala a/o/ā/ō. E le radici nelle quali manca la seconda consonante sono le stesse nelle quali si verifica il tipo di alternanze anomale ō/əә. Infine, le corrispondenze vocaliche anomale che davano luogo alla ricostruzione dello, o degli, schwa sono quelle stesse nelle quali si verificano le alternanze anomale e nelle quali manca soprattutto la seconda consonante” (Ivi, p. 244). Il fonema misterioso x, che Saussure chiama “coefficiente sonantico”, avrebbe occupato i margini della radice (xVC; CVx), restituita così alla sua struttura abituale, e nello scomparire avrebbe avuto la capacità di alterare il timbro della vocale che lo precedeva o lo seguiva. Questa ipotesi di Saussure permette di ridurre tutte le serie alternanti irregolari al tipo standard: “ā/ō/əә sarebbero state in uno stadio anteriore ex/ox/x; e a/o/ā/ō sarebbero state xe/xo/xē/xō. Da ciò si potevano trarre varie deduzioni: 1) le vocali lunghe delle serie irregolari (ā, ō) derivavano dalla contrazione (o dall’allungamento compensativo?) di un’antica vocale breve della serie regolare (e, o) con i fonemi in questione; 2) tali fonemi potevano alterare il timbro di tali vocali (per es. *ex > ā); 3) nel grado (zero) dell’alternanza regolare (cioè quando non c’è nessuna vocale), x era capace di assumere la funzione di vocale, apparendo di fatto nelle lingue storiche trasformata in una vocale, generalmente /a/, ma in sanscrito /i/ e in greco a volte /a/, a volte /o/” (Ivi, p. 245). La teoria dei “coefficienti sonantici”, successivamente battezzati “consonanti laringali” da Møller, ha trovato una formulazione oggi classica in Benveniste, che ipotizza un inventario di tre laringali responsabili dei seguenti mutamenti fonetici: əә1e > e, əә2e > a, əә3e > o; eəә1 > ē, eəә2 > ā, eəә3 > ō.

Fonetica

81

presenta tre gradi: normale (o medio), forte (o pieno) e ridotto. Il grado normale è rappresentato dalla vocale e (e, ei, eu); il grado forte dalla vocale o (o, oi, ou; per questo viene anche definito ‘grado o’); il grado ridotto presenta sonoranti o esiti di schwa, ma può anche essere caratterizzato dall’assenza di qualsiasi vocale (‘grado zero’). Esiste infine il ‘grado allungato’, in rapporto di apofonia quantitativa con il grado medio (e/ē ) e forte (o/ō). 5. Trasformazioni del consonantismo (occlusive e fricative)

Il primo passo verso la dissoluzione dell’unità i.e. è costituito dal diverso trattamento delle occlusive aspirate: baltoslavo, iranico, celtico e albanese perdono l’aspirazione (le occlusive aspirate confluiscono con le sonore); in greco le aspirate si conservano e si assordano, in latino si trasformano in fricative sorde (*bh > [Φ], *dh > [Θ], *gh > [x], *gwh > [xw]); in seguito in latino [Φ], [Θ], [xw] in posizione iniziale confluiscono nella fricativa labiodentale sorda f, mentre in posizione interna [Φ] > b, [Θ] > d, [xw] > v (ma gu dopo nasale); [x] si conserva in tutte le posizioni (ma > g dopo nasale) ed è resa graficamente con <h>. Il germanico conosce una serie di trasformazioni nota come “I rotazione consonantica”, che trasforma le occlusive sorde in aspirate, le occlusive sonore in sorde e le occlusive aspirate in sonore:

PIE germanico greco baltoslavo, iranico, celtico e albanese latino

t th t t t d t d d d

dh d th d f, d

Alle occlusive velari è legata la grande frattura dell’area indoeuropea in due sottoinsiemi: il gruppo delle lingue centum (tocario, anatolico, greco, italico, celtico e germanico) e il gruppo delle lingue satem (indoiranico, baltoslavo, armeno e albanese).

Nel primo gruppo le palatovelari confluiscono con le velari semplici (*k’ > *k; *g’ > *g; *g’h > *gh) e le labiovelari si conservano distinte:

*k *k’ *kw ↓ ↙ ↓

*k *kw

Il paleoslavo

82

Nel secondo le labiovelari si fondono con le velari semplici (*kw > *k; *gw > *g; *gwh > *gh), mentre le palatovelari passano da occlusive a fricative (*k’ > *š; *g’ > *ž; *g’h > *ž). Quindi, mentre le lingue centum possiedono due serie di occlusive velari (*k, *g, *gh e *kw, *gw, *gwh), le lingue satem ne possiedono solo una (*k, *g, *gh):

*k’ *k *kw ↓ ↓ ↙ š *k

Le fricative palatali (scibilanti) *š, *ž, comparse in baltoslavo come esito di

*k’, *g’ e mantenute tali dal lituano, si trasformeranno (nelle altre lingue baltiche e slave) nelle fricative dentali (sibilanti) s, z (cfr. hiems, bulgaro зима, lituano žiemà ‘inverno’; decem, bulgaro десет, lituano dešimt ‘dieci’). Prima che il processo si compia ha luogo però, nell’area orientale del gruppo satem (indoiranica e baltoslava), la ‘retroflessione della *s’: la fricativa dentale sorda preceduta da *i, *u, *r, *k e seguita da vocale o da sonorante sposta il proprio luogo di articolazione all’indietro, verso il palato: *s > *ś. Gli esiti ulteriori segnano la fine del periodo baltoslavo nel consonantismo. La *ś infatti passa a š nelle lingue indoiraniche e in lituano; torna a s nelle altre lingue baltiche (lettone e antico prussiano), passa a x in slavo (legge di Pedersen):

lingue indoiraniche e lituano lettone, anticoprussiano protoslavo

*s > *ś > š *s > *ś > s *s > *ś > x

La retroflessione della *s indica che il processo di satemizzazione si è compiuto in fasi diverse. Se essa fosse avvenuta dopo la trasformazione delle scibilanti in sibilanti, le nuove dentali ne avrebbero seguito le sorti e si sarebbero retroflesse. Si suppone dunque una fase in cui le occlusive palatali i.e. si trasformano in fricative e la dentale i.e. è ancora al suo posto:

labiali dentali palatali velari

occlusive sorde p t (k’)↓ k sonore b d (g’)↓ g

fricative sorde s š sonore ž

Fonetica

83

una fase intermedia, in cui la fricativa dentale preceduta da *i, *u, *r, *k e seguita da vocale o da sonorante si retroflette (*s > *ś) e si trasforma (in protoslavo) in fricativa velare:

labiali dentali palatali velari

occlusive sorde p t k sonore b d g

fricative sorde s→ →→→→→

š → x

sonore ž

e una finale, in cui il processo di satemizzazione si conclude, e le fricative palatali si trasformano in dentali:

labiali dentali palatali velari

occlusive sorde p t k sonore b d g

fricative sorde s ← ← (š) x sonore z ← ← (ž)

Il consonantismo del protoslavo si presenta dunque così modificato:

labiali dentali velari

occlusive sorde p t k sonore b d g

fricative sorde s x sonore z

Alcuni esempi:

indoeuropeo7 latino greco germanico slavo *p pater

pes pathvr pwv" (dorico)

father Fuss (ted.)

пеший (agg.) ‘a piedi’

*b de-bilis beltivwn более ‘più’ *bh fero

frater fevrw bring

brother беру ‘prendo’ брат ‘fratello’

*t tres trei`" three три ‘tre’ *d duo duvo two два ‘due’

7 Quando non diversamente indicato (ted. = tedesco, got. = gotico, bulg. = bulgaro) si tratta

di voci inglesi (per le lingue germaniche) e russe (per quelle slave).

Il paleoslavo

84

*dh fumus qumov" дым ‘fumo’ *k cruor kreva" кровь ‘sangue’ *k’ centum

cor, cordis eJkatovn kardiva

hundred heart

сто ‘cento’ серд(це) ‘cuore’

*kw quis tiv" who к(то) ‘chi’ *g iugum zugovn yoke иго ‘giogo’ *g’ ego

co-gnosco ejgwv gi-gnwvskw

ik (got.) know

аз ‘io’ (bulg.) знаю ‘so’

*gw vita

gunhv bivo"

queen

жена < *g-ena ‘donna’ жизнь < *g-iznь ‘vita’

*gh hostis hortus

guest garden

гость ‘ospite’ город ‘città’

*g’h hiems cei`ma зима ‘inverno’ *gwh formus qermov" warm гор(ячий) ‘ardente’

6. Trasformazioni del consonantismo (sonoranti)

La natura della sonorante (funzione sillabica, cioè vocalica, o non sillabica, cioè consonantica) è determinata dal contesto: in presenza di altre vocali la sonorante si comporta come una consonante; inserita in posizione inter-consonantica diventa apice di sillaba (funzione vocalica): ṛ, ḷ (cfr. croato smrt ‘morte’).

Verso la fine del periodo baltoslavo le sonoranti liquide e nasali in posizione sillabica sviluppano vocali d’appoggio (*ī,*ū,*ĭ,*ŭ) generando sedici nuovi dittonghi che si aggiungono ai trentasei della lingua comune indoeuropea: *īm, *īn, *īl, *īr, *ūm, *ūn, *ūl, *ūr, *ĭm, *ĭn, *ĭl, *ĭr, *ŭm, *ŭn, *ŭl, *ŭr. La nasale labiale si dentalizza quindi in baltoslavo in posizione finale di parola: cfr. i.e. *sṃ-, *som, protoslavo *sŭ(n) ‘con’; i.e. *kom-, protoslavo *kŭ(n) ‘verso’.

In protoslavo, secondo la ricostruzione della maggioranza degli studiosi, la vocale lunga dei trentasei dittonghi i.e. e dei sedici più recenti sarebbe divenuta breve (ad esclusione dei casi in cui il dittongo in posizione davanti a vocale si era sciolto nella sequenza VC), mentre la lunghezza avrebbe caratterizzato il dittongo nella sua interezza. L’inventario dei dittonghi si sarebbe quindi ridotto a ventisei, tutti lunghi, ma diversi dal punto di vista dell’intonazione.

Fonetica

85

7. Intonazione Il protoslavo conosce due tipi di intonazione, una acuta o ascendente (´),

per cui la vocale accentata si pronuncia con un lieve innalzamento del tono della voce, e una circonflessa o discendente (~), per cui la vocale accentata si pronuncia con un lieve abbassamento della voce.

Tutte le vocali brevi erano circonflesse (discendenti) e tutte le vocali lunghe erano acute (ascendenti): l’intonazione era quindi un fatto automatico e non marcato.

I dittonghi potevano avere intonazione sia acuta che circonflessa: in presenza di vocali etimologicamente lunghe l’accento cadeva sulla vocale stessa, prima componente del dittongo, che riceveva così un’intonazione acuta. In presenza di vocali brevi l’accento si distribuiva in modo più uniforme sulle due componenti del dittongo, che riceveva così una intonazione circonflessa.

8. Trasformazioni del vocalismo

La fine del periodo baltoslavo è segnata dall’apertura dei suoni vocalici: in protoslavo le vocali *o e *a confluiscono nella vocale posteriore bassa e labializzata [å]; la *e si apre trasformandosi nella vocale anteriore bassa [æ]8. Il vocalismo del tardo indoeuropeo

anteriore posteriore

alto *ī *ĭ *ū *ŭ medio *ē *ĕ *ō *ŏ basso *ā *ă

si trasforma nel seguente9:

anteriore (non labializzato) posteriore (labializzato) alto *ī *ĭ *ū *ŭ basso *ē *ĕ *ā *ă

Il nuovo sistema vocalico si riflette sui dittonghi: *ōi̯, *ōu̯ ecc. > *āi̯, *āu̯ ecc.

8 Il valore di questa nuova vocale aperta è poco chiaro. Gli studiosi indicano questo suono con ä, ea, ia, eä, eäa. Cfr. M. Enrietti, “Il protoslavo *ĕ in Grecia”, in Europa Orientalis, XI (1992: 2), pp. 157-170.

9 Per indicare le nuove vocali basse utilizzeremo i grafemi <a> per [å] e <e> per [æ].

Il paleoslavo

86

Successivamente, ossia quando si compie la perdita della quantità vocalica, il vocalismo subisce un’ulteriore modifica, legata alla trasformazione della quantità in timbro (v. p. 105):

chiuse *ī > (’)i *ū > y *ĭ > (’)ь *ŭ > ъ

aperte *ē > ’a

(’)ě *ā > a

*ĕ > (’)e *ă > o Nel corso della nostra trattazione avremo a che fare con entrambi gli stadi

del vocalismo: quello antico interessato alle mutazioni descritte, e quello più recente, testimoniato dal paleoslavo o da lingue slave moderne.

9. Dal protoslavo allo slavo comune tardo

Due principi sovraintendono a tutte le mutazioni dello slavo: la tendenza all’armonia sillabica e la tendenza alla sonorità crescente, di cui è cruciale manifestazione la legge della sillaba aperta.

La sonorità crescente implica che all’interno di ogni sillaba gli elementi più sonori devono trovarsi alla fine della sillaba stessa. In altre parole, tutte le sillabe devono terminare per vocale o per sonorante, e quella finale di parola sempre in vocale. Per ottenere questo risultato, quando non sia possibile spostare i confini di sillaba, si rendono necessarie le seguenti trasformazioni:

a) i nessi consonantici in inizio di sillaba si semplificano e si assimilano, le consonanti finali di parola cadono;

b) i dittonghi costituiti da vocale-semivocale si trasformano in vocali lunghe (monottonghi);

c) i dittonghi costituiti da vocale-consonante nasale si trasformano in monottonghi nasalizzati;

d) i dittonghi formati da vocale-consonante liquida si trasformano in sequenze consonante-vocale con processi di metatesi e/o allungamento e/o pleofonia;

e) i dittonghi derivati dallo sviluppo di una vocale protetica davanti a sonorante si trasformano nuovamente in sonoranti.

Fonetica

87

In queste nuove sillabe aperte l’interazione tra vocale e consonante si fa più stretta: i suoni di una sillaba si influenzano, tendono a avvicinare il proprio luogo di articolazione in una nuova armonia sillabica (sinarmonismo). Si realizzano le seguenti mutazioni:

a) palatalizzazione delle velari davanti a vocale anteriore; b) iodizzazione (palatalizzazione delle consonanti davanti a jod); c) metafonia delle vocali posteriori dopo consonante palatale.

10. La I palatalizzazione Si definisce I palatalizzazione la trasformazione operata dalle vocali

anteriori *ī, *ĭ, *ē, *ĕ sulla consonante velare che le precede. Il fenomeno riguarda le due velari k e g e la fricativa velare x, nata dalla retroflessione della fricativa dentale i. e.: k > č, g > ǯ > ž, x > š: *gwеn- > *gеn- > *žen- (je¢a ‘donna’); *kwetūr- > *ketūr- > *četyr- (~et¨re ‘quattro’); *teis- > *tis- > *tix- (legge di Pedersen) *tix-in- > *tiš-in- (ti{i¢a ‘silenzio’; cfr. tih) ‘calmo’).

Successivamente, unica eccezione alla tendenza all’armonia endosillabica, dopo queste nuove consonanti palatali *ē > [’a] in tutti i dialetti slavi, esclusi quelli macedoni cui si ispira l’alfabeto glagolitico (v. p. 106):

*krik-ē-ti ‘gridare’ > glagolitico: kriEAti (kričěti) cirillico: kri~ati (kričati)

La palatalizzazione riguarda anche i nessi *sk, *zg, *kt (*gt) davanti a vocale anteriore, con esiti differenziati che in paleoslavo coincidono con quelli della iodizzazione delle dentali: *sk > š’t’; *kt > š’t’; *zg > ž’d’10.

10 In altre aree slave questo è vero solo per il nesso *kt:

*sk > *sč’ > *š’č’ > š’č’ [š’t’š’] slavo orientale + polacco š’t’ slavo meridionale + ceco e slovacco

*zg > *zǯ’ > *ž’ǯ’ > ž’ǯ’ [ž’d’ž] slavo orientale + polacco ž’d’ slavo meridionale + ceco e slovacco

*kt > *t’t’ > *š’t’š’ >

š’t’ slavo meridionale t’š’ slavo orientale

*s’t’s’ > t’s’ slavo occidentale Dubbi sono stati avanzati relativamente all’esito di *sk e *kt nei dialetti macedoni: sia il

grafema glagolitico R (combinazione di S e di E), sia l’ortoepia dello slavo ecclesiastico di

Il paleoslavo

88

11. La iodizzazione Contemporanea alla I palatalizzazione è la iodizzazione, cioè la

palatalizzazione di tutte le consonanti davanti alla semiconsonante j (iodizzazione viene appunto dal nome del grafema <j>: jod), allofono di i consonantizzato in posizione prevocalica (tautosillabica) (v. nota 2).

a) le consonanti velari si comportano come davanti a vocale anteriore, cioè il loro comportamento non è diverso in posizione davanti a *ī, *ĭ o davanti a j: *prēdŭ-tek-ja > pr:d)te~a ‘precursore’; *vĕlĭ-mog-ja > vel|moja ‘uomo di potere’; *dux-ja > dou{a ‘anima’.

I nessi *sk, *zg, *kt davanti a jod si comportano come davanti a vocale anteriore, cioè coincidono in paleoslavo con gli esiti della iodizzazione delle dentali (ma non in altre lingue slave: v. note 10 e 11).

b) le fricative dentali (sibilanti) si trasformano nelle fricative palatali (scibilanti) š, ž, che a seguito di ciò cessano di funzionare come allofoni (varianti di posizione) delle velari e diventano fonemi indipendenti: cfr. N sg f ¢oga ‘gamba’ vs G sg m ¢oja ‘del coltello’; G sg m douha ‘dello spirito’ vs N sg f dou{a ‘anima’.

c) le labiali sviluppano una l epentetica: questo fenomeno riguarda la totalità della Slavia in posizione iniziale di parola (*bheudh- > russo блюдо, bulgaro блюдо, antico polacco bluda ‘piatto’) mentre è diffusa solo in alcune zone della Slavia nel confine di morfema: *g’hem-ja > russo земля, bulgaro antico земля, bulgaro moderno земя, polacco ziemia ‘terra’. Successivamente alla piena consonantizzazione di u̯ (v. p. 92) lo stesso processo coinvolge la labiodentale v: loviti ‘dare la caccia’, 1ª sg lovl+ ‘io do la caccia’.

d) le dentali producono riflessi diversi nelle varie zone della Slavia11, con

redazione orientale [šč’] farebbero pensare che nella zona di Salonicco l’esito *kt, *sk + vocale anteriore fosse [š’č’], e che missionari originari di quella zona possano aver importato questa pronuncia nella Slavia orientale (v. B. A. Uspenskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka, Moskva 2002, p. 134).

11 Gli esiti delle lingue slave moderne sono i seguenti: slavo occidentale c’ e ʒ’ (z’ in Ceco e in Sorabo); slavo orientale č’ e ž. Lo slavo meridionale è molto variegato:

bulgaro št, žd serbo e croato ć’, đ’ macedone k’, g’ sloveno č’, j

Fonetica

89

un processo tardo, forse preceduto da una fase comune in cui *tj > *t’ (o *ć’) e *dj > *d’ (o *dź’). In paleoslavo *tj > št’, *dj > žd’. I nessi *stj, *zdj si comportano come *skj, *zgj : š’t’, ž’d’.

Le liquide, la labiodentale e la nasale dentale, iodizzate, possono iodizzare la consonante che le precede:

*slj > šl’ *mysljǫ > myšl’ǫ m¨{l+ ‘io penso’ *zlj > žl’ *vъzljubjǫ > vъžl’ubl’ǫ v)jl<bl+ ‘io amo’ *snj > šn’ *kъsnjǫ > kъšn’ǫ k){¢+ ‘io ritardo’ *znj > žn’ *kъznjǫ > kъžn’ǫ k)j¢+ ‘io tramo’’ *trj > štr’ *xytrjǫ > xyštr’ǫ h¨{tr+ ‘io escogito’ *drj > ždr’ *mǫdrjǫ > mǫždr’ǫ m\jdr+ s( ‘io faccio il furbo’ *strj > štr’ *ostrjǫ > oštr’ǫ o{tr+ ‘io acuisco’ *zvj > žvl’ *jazvljǫ > jažvl’ǫ qjvl+ ‘io ferisco’

12. Metafonia palatale

In protoslavo l’anteriorità è incompatibile con il tratto di labialità12. Dopo j le vocali labializzate (posteriori) spostano la propria articolazione in avanti e si delabializzano: *jū > *jī, *jā > *jē, *jŭ > *jĭ, *jă > *jĕ: *ju-go-m > *jigo > igo ‘giogo’.

13. Monottongazione dei dittonghi in semivocale

La tendenza alla sonorità crescente e la conseguente legge della sillaba aperta determinano la necessità di abolire le sequenze vocale-semivocale.

L’elemento semivocalico si sposta all’inizio della sillaba seguente se questa inizia in vocale: *poi̯ -e-tъ > po&t) (po-je-tъ) ‘lui canta’13. Se invece la sillaba seguente comincia in consonante, il dittongo si trasforma in una vocale lunga anteriore, se la semivocale è anteriore, in una vocale lunga posteriore se la semivocale è posteriore:

12 Sono intrinsecamente labializzati i foni vocalici posteriori (u, o); i foni vocalici anteriori possono esserlo in altre lingue (i, e, e arrotondate: y, ø, œ), ma non in protoslavo.

13 La vocale che cessa di essere componente di un dittongo di intonazione ascendente, e che come si è visto avrebbe ridotto secondo alcuni studiosi la propria quantità vocalica all’interno del dittongo, in questa circostanza si riallunga.

Il paleoslavo

90

anteriore posteriore *āi̯, *ăi̯ > *ē, *ī *āu̯, *ău̯ > *ū *ēi̯, *ĕi̯ > *ī *ēu̯, *ĕu̯ > *’ū

La nuova *ū (*ū2), fortemente labializzata, non viene metafonizzata da jod:

sviluppa invece un intacco molle, venendo così a coincidere con l’esito della monottongazione dei dittonghi *ēu̯, *ĕu̯: al D sg bratou (brat-u) corrisponde il D sg pol< (pol’-u).

+ V + C

*āi̯ a-jV ě kaqti s( ‘pentirsi’ // c:¢a ‘prezzo’ (radice *kwōi- : *kwei-)

*ăi̯ o-jV ě i

g¢oi (gnojь) ‘marciume’ // g¢:v) ‘collera’ stoli (*stol-o-i) N pl m ‘troni’; ¢esi (*nes-o-i-s) imperativo sg.

‘porta’ *ēi̯ ě-jV i s:qti ‘seminare’ // sito (radice *sēi-) ‘setaccio’ *ĕi̯ *e-jV > ь-jV i viti ‘avvitare’ // 1ª sg v|+ (radice *u̯ei-) ‘io avvito’ *āu̯ a-vV u slava ‘fama’ // slouti ‘avere fama, essere detto’ *ău̯ o-vV u slovo ‘parola’ // slouti ‘avere fama, essere detto’ *ēu̯ ě-vV ju *ĕu̯ e-vV ju r<ti ‘ruggire’ // rev\ ‘io ruggisco’14

La vecchia *ū indoeuropea, scalzata dal suo luogo articolatorio, si

delabializza. In posizione davanti a C e # si trasforma nella vocale centrale alta non

arrotondata [ɨ], resa in cirillico con il grafema <y>, <¨> (‘jery’), in translitterazione <y>: *ū + C, # > *ŭŭ > *ŭi <ъi> l<b¨ (‘amore’ N sg f).

In posizione davanti a vocale si trasforma in un dittongo: *ū + V > *ŭŭ > *ŭu̯ <ъv > l<b)v| (‘amore’ A sg f).

14 L’alternanza tra gli esiti del dittongo davanti a vocale e davanti a consonante nel confine

tra morfemi (del tipo p:ti ‘cantare’, po+ ‘io canto’, verovati ‘credere’, verou+ ‘io credo’, plouti ‘navigare’, plov\ ‘io navigo’) non va confusa con l’alternanza vocalica radicale (v. p. 79). Esempio: il tema dell’infinito *smi- alterna con il tema del presente *smēi- nel verbo smiqti s( ‘ridere’, 1ª sg sm:+ s( ‘io rido’. Dal grado forte della stessa radice *smoi- si forma invece per monottongazione il sostantivo sm:h) ‘riso’.

Fonetica

91

Delabializzandosi, la vocale rigetta la propria labialità alla propria sinistra. Nel corpo della parola questo può riflettersi sulla articolazione della consonante che precede (v. p. 101 per la mancata palatalizzazione delle velari in posizione di III palatalizzazione se seguite da ¨ , ъ < *ū, *ŭ). In posizione iniziale (dopo silenzio) la labialità riceve una articolazione autonoma sotto forma di protesi (approssimante labiovelare e poi fricativa labiodentale, v. p. 92 e nota 25). Nessuna parola slava inizia con ¨ , ъ < *ū, *ŭ.

La monottongazione dei dittonghi ha conseguenze sull’intonazione, giacché le nuove vocali lunghe che derivano da dittonghi con intonazione circonflessa la conservano su di sé: se prima le vocali brevi erano tutte circonflesse (discendenti) e le vocali lunghe erano tutte acute (ascendenti), e quindi l’intonazione era un fatto automatico e non marcato, adesso si oppongono vocali lunghe ascendenti a vocali lunghe discendenti.

14. La II palatalizzazione

Davanti alle nuove vocali anteriori nate da monottongazione (*ē2, *ī2) le velari subiscono nuovi processi di palatalizzazione: k > c’, g > ʒ’ (z’), x > s’: kaisar (< caesar) > *kēsar > c:sar| (russo царь) ‘zar’; *kwoi̯n- > c:¢a ‘prezzo da pagare’ (cfr. greco poinhv, lat. poena). La affricata sonora ʒ’ (dz’), che forse conosce ab origine una diffusione areale, si semplifica presto in fricativa dentale sonora (z’): il N pl m m)¢o™i (< *mŭnog-ī2) ‘molti’ può ricorrere nei testi del canone nella forma m)¢oæi . Nella Slavia sud-orientale (dialetti meridionali e orientali a esclusione di Novgorod) la II palatalizzazione si verifica anche quando tra le velari e le nuove vocali *ĕ2, *ī2 si frapponga la labiodentale v: *ku̯ > cv, *gu̯ > zv: cv:t) ‘fiore’, æv:æda ‘stella’.

La II palatalizzazione di k, g, x interessa soprattutto la flessione nominale (N pl m, L sg e pl m, DL sg f, NA duale f, L sg e pl n, NA duale n): N sg m vl|k) ‘lupo’, pl. vl|ci . Diversamente da quanto era avvenuto davanti alle vocali anteriori indoeuropee, davanti a *ē2, *ī2 la palatalizzazione non riguarda l’elemento fricativo dei nessi sk, zg: k) gor: eleo¢|sc: ‘verso il monte degli Ulivi’. Si osserva però l’esito sk > st, e zg > zd dovuto alle semplificazione delle affricate: sk > sc’ (sts’) > st, zg > zʒ’ (zdz’) > zd: rim|st:i cr|k)vi ‘alla

Il paleoslavo

92

chiesa romana’.

15. Consonantizzazione delle semivocali Come abbiamo visto, le vocali alte i, u si comportano come sonoranti: in

posizione interconsonantica o tra consonante e silenzio (inizio e fine di parola) sono apice di sillaba, in posizione pre- e postvocalica realizzano gli allofoni j e w, i̯ e u̯ asillabici.

A seguito dei processi sin qui esaminati in protoslavo lo statuto delle due vocali si modifica: *i̯ e *u̯ semivocali postvocaliche (ricorrenti come secondo elemento di dittongo) scompaiono, assorbite nel nuovo monottongo o spostate all’inizio della sillaba seguente. Si conservano invece le semiconsonanti jod (approssimante palatale), se non inglobata nella consonante iodizzata (infinito *nos-i-ti, part. pass. passivo *nos-i-en- > *no-sjen- > ¢o{e¢) ‘portato’) e wau (approssimante labiovelare) in posizione prevocalica.

Non più allofoni di i, u, queste semiconsonanti hanno destini diversi: jod resta un’approssimante palatale, non sempre evidenziata a livello grafico; wau si dentalizza, trasformandosi nella labiodentale v (*medŭ-ēdь > *me-dwědь > medv:d| ‘orso’):

sequenza tipo di mutamento C- j -V iodizzazione della consonante e metafonia palatale della vocale (se posteriore) V- i̯ -C monottongazione del dittongo V- i̯ -V spostamento del confine di sillaba, trasformazione di i̯ > j, metafonia della

vocale (se posteriore), trasformazione di ĕ > ь (ej > ьj) C-w-V spostamento del confine di sillaba e dentalizzazione w > v V-u̯-C monottongazione del dittongo V-u̯-V spostamento del confine di sillaba e dentalizzazione di u̯ > v

La dentalizzazione riguarda anche la *u̯ protetica che si sviluppa in

posizione iniziale di parola davanti a ъ, y < *u: *ūk- > *u̯ūk- > *vyk-: ¢av¨k¢\ti ‘imparare’ (cfr. russo навык ‘abito mentale’ e привычка ‘abitudine’; la radice *ūk- alterna con *ouk- da cui ou~iti , ‘insegnare, ammaestrare’, cfr. russo наука ‘scienza’); *ūps- > *ūs- > *u̯s- > *vys-: v¨sok)

Fonetica

93

‘alto’; *ŭp-, *u̯ŭp- > *vъp-: v)piti ‘gridare, lamentarsi’ e v)pl| ‘grido, lamento’ (cfr. italiano upupa, l’uccello diurno così chiamato per il grido lugubre e monotono che emette). 16. Semplificazione dei nessi consonantici

La sillaba slava nel periodo della apertura della sillaba può terminare esclusivamente in vocale se è finale di parola: droug) ‘amico’ (dru-gŭ), je¢a ‘donna’ (že-na), selo ‘villaggio’ (se-lo). Può terminare anche in sonorante se è interna alla parola: vr|h) ‘sommità’ (vṛ-xŭ).

Le consonanti che seguono l’ultima vocale in fine assoluta di parola cadono, modificando a volte timbro o quantità della vocale (v. p. 104). Le consonanti che si trovano alla fine della sillaba nel corpo della parola passano alla sillaba successiva e si comportano a seconda della sequenza di consonanti che viene così a crearsi.

La vocale può essere preceduta da un numero massimo di quattro consonanti (di cui la quarta può essere esclusivamente jod). Non esistono consonanti doppie.

La sequenza di consonanti nella sillaba deve rispettare il principio della sonorità crescente: nessuna consonante che venga a trovarsi davanti alla consonante di un gruppo situato alla sua sinistra (cioè meno sonora) o davanti a una consonante del suo stesso gruppo (cioè di uguale sonorità) può rimanere in quella posizione (eccezione: gd).

minima sonorità =============================== > massima sonorità

s, z, š, ž p, b, t, d, k, g, x, č, c, ʒ

v, m, n l, r j vocali

In qualità di quarta consonante può ricorrere solo jod, e solo dopo n, r, l,

che si palatalizzano. Le consonanti palatalizzate n’, r’, l’ non vengono indicate da grafemi appositi né in glagolitico né in cirillico, ma possono essere segnalate dalla vocale iodizzata; inoltre, la sequenza che termina in n’, r’, l’ non può iniziare con una fricativa dentale (sibilante), ma solo con le fricative palatali (scibilanti) š, ž.

Il paleoslavo

94

Nei nessi che comprendono consonanti dei primi due gruppi queste devono essere entrambe sonore o entrambe sorde (st, št, sk, sp / zd, žd, zg, zb). Le altre consonanti (v, m, n, l, r, j) non sono interessate alla opposizione sordità vs sonorità.

Davanti a s, z, š, ž qualunque altra consonante cade: bes)mr|t|¢) ‘immortale’, v:s) (*ved-s-ъ) ‘portai’, 1ª sg dell’aoristo sigmatico di vesti ‘portare’ (v. p. 180), i{|d) (*iæ{|d)) ‘uscito fuori’, ostoqti (*obstoqti) ‘circondare’, ost\piti (*otst\piti) ‘fare un passo indietro’, ra{iriti (*raæ{iriti) ‘allargare’. La semplificazione ha luogo anche nei sintagmi composti da preposizione e sostantivo: beæ)lob¨ (*beæ æ)lob¨) ‘senza cattiveria’, besrama (*beæ srama) ‘senza vergogna’, is¨¢a (*iæ s¨¢a) ‘dal figlio’. Unica eccezione: zž > žd: *raæje}i > rajde}i ‘infiammare’.

Se una fricativa del primo gruppo precede una consonante del secondo in una parola composta o in un sintagma avvengono le seguenti trasformazioni:

– davanti a p, t, k, x la fricativa sonora si desonorizza (z > s): ispasti (*iæpasti) ‘decadere’, iskoupiti ‘riscattare’, ishoditi ‘uscire’, vesti (*veæti) ‘condurre’, bestrouda (*beæ trouda) ‘senza sforzo’, v)s ~|to (*v)æ ~|to) ‘di che cosa’;

– davanti a c [ts] la fricativa sonora si desonorizza in fricativa sorda (z > s), la fricativa sorda può mantenersi al suo posto o cadere, ovvero l’intero nesso si semplifica (sts > st): *iz-cěliti > isc:liti , ic:liti , ist:liti ‘risanare’;

– davanti a č [tš] la fricativa tende a cadere, oppure l’intero nesso si desonorizza e si semplifica (stš > št): *bez-čislьnъ > be~isl|¢) , be}isl|¢) ‘innumerevole’;

Se una fricativa del primo gruppo precede una consonante del terzo (r, l) davanti alla vibrante r l’articolazione del nesso è aiutato dalla inserzione di una dentale sorda o sonora (sr > str, zr > zdr): *s-ru-ja > strouq ‘corrente’, *os-r-ъ > ostr) ‘acuto’; raædr:{iti (*raær:{iti) ‘sciogliere, assolvere’, beædr\kou (*beæ r\kou) ‘senza le mani’.

Se due consonanti del secondo gruppo si vengono a trovare vicine, la prima delle due cade: *othoditi > ohoditi ‘andare via’, *otkr¨ti > okr¨ti ‘scoprire’, *pogrebti > pogreti ‘seppellire’, con tre importanti eccezioni:

Fonetica

95

– due dentali contigue si dissimilano (tt, dt > st): *ved-ti > vesti ‘portare’; – il nesso kt (gt) davanti a vocale anteriore > št: *rek-ti > re}i ‘dire’,

*mog-ti > mo}i ‘potere’; – nel nesso bv cade la labiodentale (bv > b): *obviti > obiti ‘avvolgere’. Se le consonanti del secondo gruppo precedono consonanti nasali e liquide

si verificano le seguenti semplificazioni: – il nesso skn si semplifica con la caduta della velare (skn > sn): *těsknъ (<

*toi̯ sk-n-ъ) > t:s¢) ‘stretto’; – p, b, t, d cadono davanti a m, n: s)¢) < *sъp-n-ъ, ‘sonno’; v:m| < * věd-

mĭ ‘io so’. Fa eccezione il prefisso ob: ob¢oviti ‘rinnovare’, ob¢ajiti ‘denudare’;

– i nessi dl, tl > l in slavo meridionale e orientale. Successivamente alla metatesi e alla ricomparsa delle sonoranti si riformano gruppi tla, tlě, dla, dlě, tḷ, dḷ, quando ormai nessi del tipo tl, dl sono ammissibili e perciò non soggetti a semplificazione.

Davanti a un’altra consonante nasale la prima cade senza lasciare traccia: ko¢ъ| ‘cavallo’ < *kon- < *komn-.

17. Dittonghi in nasale

A partire dalla fine del periodo baltoslavo il protoslavo conosce sedici dittonghi in nasale, di cui otto continuano le sonoranti *ṇ e *ṃ15: *ān; *ēn; *īn < *ṇ’; *ūn < *ṇ; *ām; *ēm; *īm < *ṃ’; *ūm < *ṃ; *ăn; *ĕn; *ĭn < *ṇ’; *ŭn < *ṇ; *ăm; *ĕm; *ĭm < *ṃ’; *ŭm < *ṃ.

Davanti a vocale il dittongo viene reinterpretato come sequenza vocale-consonante (VC), e la consonante è inglobata nella sillaba seguente: *sŭpn-ŭ-s > s)¢) ‘sonno’.

Davanti a jod si formano le palatali n’, ml’, che entrano a far parte della sillaba che segue: *g’hem-ja > æemlq ‘terra’.

15 Come abbiamo detto (v. p. 84) secondo la ricostruzione di alcuni studiosi la vocale che

compone il dittongo in posizione davanti a consonante e silenzio (cioè in tutti i casi in cui il dittongo non si scioglie in una sequenza VC) è sempre breve, mentre il dittongo nel complesso è sempre lungo.

Il paleoslavo

96

Davanti alle restanti consonanti e davanti a silenzio (#) il comportamento del dittongo varia a seconda della sua collocazione nella parola.

In posizione interconsonantica il dittongo si monottonga formando una vocale nasale anteriore se l’elemento vocalico del dittongo era anteriore, posteriore nell’altro caso: *ēn, *ēm, *īn, *īm, *ĕn, *ĕm, *ĭn, *ĭm si monottongano in ę: *mems- > m(so ‘mensa’ e ‘carne’; *kṇ- > *čin- > ¢a~(ti (< *na-čin-ti; cfr: *na-čin-a-ti > ¢a~i¢ati) ‘cominciare’; *ān, *ām, *ūn, *ūm, *ăn, *ăm, *ŭn, *ŭm si monottongano in ǫ16: *ang- > \g)l) ‘angolo’.

Questa nuova vocale posteriore, come *ū2, non è metafonizzata da jod: a ¢og\ (nog-ǫ) ‘piede’ (A sg f) corrisponde æeml+ (zeml’ǫ) ‘terra’ (A sg f).

In posizione finale di parola (davanti a silenzio) la nasale viene assimilata nella articolazione della vocale che la precede se questa è lunga, cade senza lasciare traccia se questa è breve (ulteriori modifiche del vocalismo che intervengono in posizione finale di parola davanti a nasale v. p. 106): *ṇ-mēn > *ĭn-mēn > *ĭ-mēn > *jĭmēn > im( ‘nome’17; *ŭn > *u̯ŭn > v) ‘in’.

La n di *vъn, *sъn, *kъn si conserva tuttavia in un contesto particolare, ovvero nell’unione con il pronome dimostrativo *i (< *jь; v. p. 150). Nell’unità accentuale costituita dal sintagma preposizione-pronome la nasale si iodizza e passa a fare parte delle forme del pronome: k) ¢&mou ‘verso di lui’, v) ¢&m| ‘in lui’, s) ¢ъim| ‘con lui’. Quando *vъn, *sъn sono prefissi fusi con il sostantivo in una sola parola (esempio: v)¢\tr| avv. ‘dentro’) la n si conserva anche davanti a vocale: v)¢(ti , s)¢(ti .

18. Sviluppo di jod protetico

La tendenza alla sonorità crescente favorisce lo sviluppo di una protesi davanti alle vocali in posizione iniziale di parola (dopo #): non potendo più fare sillaba con la consonante che segue, la vocale rimane isolata e fa sillaba a sé. Può sviluppare allora a sinistra uno jod protetico che ne permetta l’andamento crescente. Questa protesi si sviluppa regolarmente davanti alle

16 I grafemi ę, ǫ sono frutto di una convenzione che si basa sull’alfabeto glagolitico; in realtà non è detto che in tutte le aree della Slavia le nasali fossero fonemi medio-alti.

17 Questa etimologia non è accettata da tutti gli studiosi.

Fonetica

97

vocali anteriori indoeuropee (*ī,*ĭ,*ē,*ĕ) e davanti alla nuova vocale nasale anteriore ę, anche se la presenza dello jod non è sempre evidenziata a livello grafico:

j + i = i iti (jiti) ‘andare’ j + ь = i im\ (jьmǫ) ‘io prendo’ j + ē = jě (glagolitico) /ja :dro / qdro ‘nucleo’ j + ĕ = je est| / &st| ‘è’ j + ę = ję (æ¨k) / `æ¨k) ‘lingua’

Quanto alle vocali posteriori, alcuni studiosi (Seliščev) ipotizzano che tutte

le parole in *ā abbiano sviluppato in protoslavo uno jod protetico, perdendolo poi in alcuni dialetti, che quelle in *ū2 e in *ǫ lo abbiano sviluppato saltuariamente (o dialettalmente) e che quelle in *ă non lo abbiano sviluppato mai18. Nei codici paleoslavi la grafia : (q) è sporadica (qko ‘come’); può ricorrere dopo la congiunzione i , soprattutto quando intervocalica (i > j): v)pro{\ i :æ) v¨ per v)pro{\ i aæ) v¨ , “interrogherò anche io voi”19.

19. Dittonghi in liquida.

Il protoslavo conosce due tipi di dittonghi in liquida: quelli formati con le vocali alte *ī, *ū, *ĭ, *ŭ, che continuano le sonoranti i.e. *ṛ, *ḷ, e quelli formati con le vocali basse *ā, *ē, *ă, *ĕ, che continuano i dittonghi i.e. *āl, *ār, *ēl, *ēr, *ōl, *ōr, *ăl, *ăr, *ĕl, *ĕr, *ŏl, *ŏr20.

18 Svilupperanno più tardi protesi labiodentali in alcune lingue (cfr. osm| ‘otto’ > russo восемь).

19 Nella Slavia orientale sono rarissime le parole senza protesi (solo alcuni prestiti, la congiunzione a , l’interiezione ah) , pochi esiti anomali della metatesi delle liquide del tipo alkati ‘essere affamato, digiunare’). La presenza e l’assenza di jod protetico servono a contrapporre lessemi dotti quali aæ) ‘io’, ag¢ec) ‘agnello’, <rod) ‘folle santo’ (in paleoslavo \rod) ‘scemo’), <tro ‘mattina’, e lessemi popolari quali q(æ)), qg¢ec) , ourod) , outro (la contrapposizione di <ou> e <<> assume valore solo dopo la II influenza slavo meridionale).

20 Come abbiamo detto (v. p. 84) non c’è omogeneità di vedute sulla quantità della vocale che compone i dittonghi. Secondo Seliščev, Chaburgaev, Aitzetmüller essa diventa sempre breve nel momento in cui entra a far parte del dittongo, e si riallunga in alcuni dialetti nel corso della risoluzione dello stesso. Van Wijk parla di metatesi o pleofonia dei dittonghi or, ol, er, el. Schenker, Radovich, Enrietti ricostruiscono la risoluzione dei dittonghi in liquida distinguendo tra vocali lunghe e brevi:

Il paleoslavo

98

I dittonghi in liquida (VR, dove R indica qualsiasi liquida21) potevano occorrere in posizione iniziale (dopo silenzio), internamente alla parola (davanti a vocale o davanti a consonante) o in fine di parola.

In fine di parola (davanti a silenzio) il dittongo è risolto con la caduta delle consonanti liquide. Davanti a vocale è reinterpretato come sequenza vocale-consonante (VC) con spostamento del confine di sillaba: *mēr-i-ti > m:riti (mě-ri-ti) ‘misurare’. Davanti a jod si formano le palatali r’, l’ che fanno sillaba con la vocale seguente: *mēr-i-ǫ > m:r+ (mě-r’ǫ) ‘io misuro’. Davanti a consonante l’anomalia della loro posizione, contraria alla legge della sonorità crescente, viene risolta mediante il ricorso alla metatesi: *mel-ti > ml:ti (mlě-ti) ‘macinare’, *mel-jǫ > mel+ (me-l’ǫ) ‘io macino’.

La metatesi si verifica inizialmente in posizione iniziale di parola (#VRC) con esiti poco differenziati nelle diverse lingue slave: la sequenza #āRC, #ăRC (unico esempio attestato della formula #VRC) viene risolta come *RāC, *RăC. La differenziazione dialettale riguarda la quantità vocalica, e viene descritta diversamente (fatta salva la coincidenza degli esiti) in base alla ricostruzione della quantità della vocale all’interno del dittongo.

Secondo la ricostruzione di chi assume la diversa quantità vocalica delle sequenze #āRC, #ăRC i dialetti slavi settentrionali mantengono la distinzione tra vocale lunga e vocale breve, mentre quelli meridionali allungano la vocale breve conservandone l’intonazione circonflessa. Chi crede nella riduzione *āR > *ăR afferma invece che in posizione dopo silenzio la metatesi delle liquide è complicata nei dialetti slavi orientali e occidentali (cioè in tutti i dialetti settentrionali) dall’allungamento sotto intonazione acuta (ex vocali lunghe),

*ār → *rā (> ra)

*ar → *ăr → *ră (> ro)

21 Sono possibili diversi sistemi di simbolizzazione, che riflettono diverse convenzioni: a) le

vocali possono essere indicate nella loro forma protoslava più antica (*a, *e, *i, *o, *u) in quella intermedia (*æ, *å, *i, *u) o in quella tarda, slavo-comune (a, o, i, ь, y, ъ, e, ě); b) le consonanti possono essere indicate con t, T, oppure C; c) le liquide possono essere indicate con un solo simbolo: R. Le sigle *ort, *tolt sono equivalenti alle sigle #VRC (silenzio + vocale + liquida + consonante), CVRC (consonante + vocale + liquida + consonante).

Fonetica

99

mentre nei dialetti meridionali l’allungamento si verifica sotto entrambe le intonazioni:

protoslavo russo polacco ceco serbo paleoslavo

*ăruĭn- рóвный równy rovný rávan rav|¢) *ălkŭt- лóкоть łokieć loket lâkat lak)t| *ārdl- рáло radło rádlo rȁlo ralo *ālkăm- лáкомый łakomy lakomý lȁkom lakom)

Uno stadio successivo vede la soluzione dei dittonghi generati da sonoranti,

ovvero delle sequenze del tipo CīRC, CūRC, CĭRC, CŭRC. In una prima fase, comune a tutte le lingue slave, la vocale si perde e la

funzione vocalica (sillabica) ritorna sulla sonorante, che può essere dura o molle22 a seconda della qualità della vocale perduta e di intonazione acuta o circonflessa a seconda della lunghezza (quantità) della vocale perduta23. La trasformazione ulteriore si colloca alla fine del periodo slavo comune, quando la legge della sillaba aperta comincia a non essere più operante e i dialetti di alcune aree della Slavia sviluppano nuovamente vocali protetiche.

Le sequenze del tipo CēRC, CāRC, CĕRC, CăRC (CVRC) sono tra le

ultime a mutare. I loro esiti sono differenziati dialettalmente, e testimoniano da un lato la contrapposizione di una slavia meridionale e di una slavia settentrionale, dall’altro la frattura di questa seconda in due grandi aree, orientale e occidentale.

Nei dialetti slavi meridionali e in quelli occidentali del sud (progenitori del ceco e dello slovacco) i dittonghi sono eliminati tramite metatesi. Secondo la ricostruzione di chi assume la effettiva presenza di una diversa quantità vocalica nelle sequenze CāRC, CăRC, la metatesi è complicata con

22 Si definiscono dure le consonanti la cui articolazione può coesistere con l’articolazione

delle vocali posteriori all’interno della stessa sillaba; si definiscono molli le consonanti (palatali e palatalizzate) che formano sillaba esclusivamente con le vocali anteriori, o con le nuove vocali del protoslavo che pur essendo posteriori possono sviluppare un intacco molle.

23 Queste sonoranti vengono rese graficamente in paleoslavo dai nessi <r|> <r)> <l|> <l)>.

Il paleoslavo

100

l’allungamento della vocale breve: CRēC, CRāC. Chi crede alla riduzione *āR > *ăR afferma che in posizione interconsonantica la metatesi delle liquide è complicata dall’allungamento sotto entrambe le intonazioni.

In area settentrionale i dittonghi sono risolti con l’introduzione di una vocale epentetica che crea una sequenza bisillaba del tipo CVRVC (trasformazione nota con il nome di “pleofonia” (polnoglasie):

– in slavo orientale la sequenza è del tipo CV1RV2C, dove V1 è la vocale originaria, sempre breve, mentre V2 è una vocale epentetica breve alta, omorganica a V1, il cui sviluppo successivo coincide con quello degli jer in posizione forte (v. p. 108). La diversa intonazione si riflette nella diversa accentazione: laddove l’intonazione dei dittonghi era acuta (vocale lunga) oggi in russo abbiamo la pronuncia -oró-, -eré-, -oló- (ворóна, вперëд, болóто)24. Laddove l’intonazione dei dittonghi era circonflessa (vocale breve) oggi in russo abbiamo la pronuncia -óro-, -ére-, -ólo- (гóрод, бéрег, гóлод).

– in slavo occidentale (esclusi i dialetti del sud, progenitori del ceco e dello slovacco) la sequenza è del tipo CV2RV1C, dove V1 è la vocale originaria e V2 una vocale epentetica breve alta, omorganica a V1, il cui sviluppo successivo coincide con quello degli jer in posizione debole (v. p. 108):

protoslavo russo polacco serbo paleoslavo

*gărd- гóрод gród grȃd grad) *u̯ārn- вoрóна wrona vrȁna *vra¢a *bĕrg- бéрег brzeg brȇg br:g) *bērz- берëза brzoza brȅza *br:æa *găld- гóлод głód glȃd glad) *bālt- болóто błoto blȁto blato *mĕlk- молокó mleko mléko ml:ko

In questa ultima fase dello slavo comune tardo una nuova trasformazione

attende anche le sequenze del tipo CīRC, CūRC, CĭRC, CŭRC. Nei dialetti slavi meridionali e in quelli occidentali del sud (progenitori del ceco e dello slovacco) le sonoranti si conservano e le molli confluiscono con le dure: ṛ, ḷ.

24 CēlC, CĕlC confluiscono con CālC, CălC in slavo orientale, in polabo e in casciubo (per

la velarizzazione della liquida).

Fonetica

101

In slavo orientale le sonoranti non si conservano, *ṛ e *ṛ’ hanno esiti distinti [ъr], [ьr], mentre *ḷ’ confluisce con *ḷ per la velarizzazione della liquida: [ъł]; gli jer si vocalizzano come jer forti ([e], [o]). In slavo occidentale le sonoranti non si conservano, gli esiti di *ṛ’, *ḷ’ non sono uguali a quelli di *ṛ, *ḷ, gli jer si mantengono molto a lungo e si vocalizzano con criteri diversi da quelli degli jer forti e dipendenti dal contesto articolatorio:

protoslavo slavo or. russo polacco serbo paleoslavo

*sṛ’p- sьrpъ сéрп sierp sȓp sr|p) *tṛg- tъrgъ тóрг targ tȓg tr)g) *vḷ’k- vъlkъ вóлк wilk vȗk vl|k) *sḷn-ĭk- sъlnьce сóлнце słońce sȗnce sl)¢|ce *gṝdl- gъrlo гóрло gardło gȑlo gr)lo *pḹ’n- pъln- пóлный pełny pȕn pl|¢)

20. La III palatalizzazione

Lo stesso esito che si ottiene per II palatalizzazione davanti alle nuove vocali anteriori si può ottenere quando la velare viene a trovarsi dopo le vocali anteriori indoeuropee *ī, *ĭ, dopo le nuove vocali anteriori *ī2, ę (< *in, *im), dopo la nuova sonorante ṛ (< *ir; questa ultima condizione non è accettata da tutti gli studiosi) e non è seguita da consonante o da *ū, *ŭ25: k > c’, g > ʒ’ (z’), x > s’. Se nelle altre due palatalizzazioni l’azione della vocale è regressiva (agisce cioè da destra verso sinistra), qui la vocale anteriore ha un’azione progressiva, agisce cioè sulla velare che la segue.

L’identità degli esiti della II e della III palatalizzazione e la difficoltà di definire le condizioni della realizzazione di quella progressiva hanno ingenerato grandi discussioni sulla cronologia relativa delle palatalizzazioni (chiamate I, II, III da Baudouin de Courtenay).

Alcuni ritengono che la cosiddetta III palatalizzazione sia anteriore alla II,

25 Le vocali alte posteriori *ū, *ŭ, che sono in via di delabializzazione, rigettano la loro labialità sulla consonante velare che le precede; la labializzazione (che corrisponde acusticamente a una bemollizzazione, cioè all’abbassamento del secondo formante), rende impossibile la palatalizzazione (che corrisponde acusticamente alla diesizzazione, cioè all’innalzamento del secondo formante). In posizione dopo silenzio la labialità ‘rigettata’ si manifesta sotto forma di protesi: *u̯ъ- > v)-, *u̯y > v¨-.

Il paleoslavo

102

o addirittura sia la più antica delle tre. A favore citano igo (< *jug-ŏ-m) ‘giogo’, che dimostrerebbe come la palatalizzazione progressiva non sia più operante nel momento in cui le vocali posteriori si metafonizzano dopo jod: per questo igo e non *i™o . Argomentazione topica a favore del fatto che la III palatalizzazione avrebbe preceduto la II sono le forme del tipo ot|ci (L sg di ot|c| ‘padre’). Questo sostantivo in *ŏ (*ŏtikŏs) dovrebbe avere al L sg la terminazione -ě < *ăi̯. La terminazione -i sarebbe prova della metafonia *ă > *ĕ dopo consonante palatalizzata per III palatalizzazione (*ăi̯ > *ĕi̯ > -i): *otьkăi̯ > *otьc’ăi̯ > *otьc’ĕi̯ > ot|ci . Se la velare si fosse palatalizzata per II palatalizzazione (k > c’ davanti a ě < *ăi̯) si sarebbe ottenuto *ot|c:.

La maggior parte degli studiosi è però di opinione contraria. Forme tipo r:ka , k)¢(™| , mr|cati valgono a corroborare la tesi secondo cui la III palatalizzazione sarebbe una trasformazione tarda: se infatti la palatalizzazione avesse preceduto la monottongazione dei dittonghi avremmo avuto *r:ca (< *răi̯ca < *răi̯ka); ugualmente in k)¢(™| , mr|cati le condizioni per la III palatalizzazione si creano solo dopo l’apertura delle sillabe e la conseguente formazione di nuove vocali nasali e nuove sonoranti (prima la velare è preceduta da consonanti: *kŭningos, *mĭrkati). Per quanto riguarda la forma ot|ci , i sostenitori dell’anteriorità della II palatalizzazione ritengono trattarsi di analogia morfologica (dopo il passaggio k > c’ sostantivi del tipo ot|c| seguono in tutto la declinazione di tipo molle) e citano a proprio favore forme quali v|s:h) (G pl del pronome v|s|): se fosse vera l’ipotesi dell’anteriorità della III palatalizzazione dovremmo avere G pl *v|sih) (< *vьs’-ĕi̯xъ < *vьs’-ăi̯xъ < *vьx-ŏi̯xъ). La forma v|s:h) dimostra invece che il passaggio *ăi̯ > ě e la palatalizzazione di x > s’ per II palatalizzazione (davanti a vocale di origine dittongale) è precedente alla III palatalizzazione. I sostenitori della prima ipotesi spiegano le forme del tipo v|s:h) come frutto di analogia morfologica.

Il livellamento del tema è invocato dagli studiosi di questo orientamento a spiegare il comportamento dei paradigmi nominali in generale: se condizione di non realizzazione della III palatalizzazione è la presenza di ъ, y < *ū, *ŭ dopo consonante velare dovremmo avere N sg *k)¢(g| , *ot|k) , di contro ai G sg k)¢(™q (kъnęʒ’a) e ot|cq (otьc’a). La scarsa economicità di un paradigma

Fonetica

103

in cui la consonante radicale appare ora come occlusiva velare, ora come affricata dentale, è evidente. Meno evidente è perché in alcuni casi si generalizzi l’occlusiva, in altri l’affricata. L’analogia morfologica potrebbe forse combinarsi a considerazioni di carattere semantico: così il suffisso -ik- compare in entrambe le forme (-ik- e -ic-), specializzandosi per generi (occlusiva velare per il maschile, affricata dentale per il femminile26).

21. Nuova metafonia palatale

Dopo le nuove consonanti molli le vocali posteriori di ascendenza indoeuropea diventano anteriori: *ā > *ē, *ū > *ī; *ă > *ĕ, *ŭ > *ĭ. Successivamente nei dialetti che si riflettono nell’alfabeto cirillico la *ē derivata dalla metafonizzazione di *ā si aprirà in una nuova realizzazione, [’a], indicata con <a> o con il nuovo grafema: <q> (v. p. 107):

22. Slavia settentrionale e Slavia meridionale

La II e la III palatalizzazione non riguardano la totalità della Slavia; come la semplificazione del nesso tl, dl, o la presenza di l epentetica nel confine di morfema, esse riflettono la frattura della Slavia in due zone, una meridionale (sud-orientale) e una settentrionale (nord-occidentale), più arcaica27, periferica rispetto al centro propulsore delle innovazioni:

Slavia sud-orientale Slavia nord-occidentale

II pal.: k > c’, g > ʒ’ (z’), x > s’ c:l) ‘intero’; ¢a rouc: ‘sul braccio’; ¢a ¢o™: ‘sulla gamba’; s:r) ‘grigio’

II pal.: k > k, g > g, x > x (Novgorod) k:le ‘intero’; ¢a rouk: ‘sul braccio’; ¢a ¢og: ‘sulla gamba’; h:re ‘grigio’

*ku̯ > cv, *gu̯ > zv cv:t) ‘fiore’; æv:æda ‘stella’

*ku̯ > kv, *gu̯ > gv kv:te ‘fiore’, gv:æda ‘stella’ (Novgorod) květ, hvězda (ceco), kwiat, gwiazda (polacco)

26 Alla luce del comportamento del suffisso -ik- Chaburgaev propone questa riformulazione

delle condizioni della III palatalizzazione: dopo i, ь, ę, ṛ davanti alla vocale aperta a. 27 Cfr. F. V. Mareš, “Die Tetrachotomie und doppelte Dichotomie der slavischen

Sprachen”, in Wiener Slavistische Jahrbuch 26 (1980), pp. 33-45; M. Enrietti, “L’apertura e la richiusura delle vocali in protoslavo”, in Europa Orientalis VI, 1987, pp. 7-24, e Id., “Di una concordanza dello slavo settentrionale col baltico (a proposito di jat’ terzo)”, in Res Balticae, 1996, pp. 39-49.

Il paleoslavo

104

III pal.: k > c’, g > ʒ’ (z’), x > s’ *vĭx- > *vĭs’> v|s| ‘tutto’

III pal.: k > c’, g > ʒ’ (z’), x > x, š’ x = x: v|h| (Novgorod) x > š’: wszystek, wszystko (polacco)

A questo punto il sistema consonantico del protoslavo presenta il seguente

aspetto (assumo la tesi di una fase intermedia *t’, *d’, non considero l’esito dei nessi *sk, *zg, ecc. davanti a vocale anteriore e j, indico tra parentesi i fonemi presenti solo in parti della Slavia):

labiali dentali palatali velari

occlusive p b t d t’ d’ k g fricative v s(’) z(’) š’ ž’ x (g) affricate c’ ʒ’ č’ (ǯ’) nasali m n n’ liquide r l r’ l’ approssimanti j

23. Fine della parola

In fine di parola si notano alcune particolarità, legate all’indebolimento dell’articolazione. Come si è già detto, dentali, fricative e liquide finali di parola cadono, la nasale viene assimilata nell’articolazione della vocale che la precede se questa è lunga, cade senza lasciare traccia se questa è breve. Le vocali tendono a chiudersi: *matēr > mati ‘madre’ N sg28, le consonanti molli induriscono, metafonizzando le vocali che le seguono: *-t’ĭ antica desinenza della 3ª persona sg e pl diventa *-tŭ (v. p. 162).

Davanti alle desinenze *-s (N sg m) e *-n (A sg e G pl di tutte le classi flessive) la vocale posteriore breve *ă (*å < *ŏ) aumenta la labializzazione: *brat-ăs > *brat-ŭs > brat) N sg e *bratăn > *bratŭn > brat) ‘fratello’ A sg e G pl.

Davanti alla desinenza *-ns (A pl di tutte le classi flessive) la vocale posteriore breve *ă (*å < *ŏ) aumenta la labializzazione: *ă > *ŭ, la vocale posteriore breve *ŭ si allunga: *ŭ > *ū. La vocale anteriore breve *ĭ si allunga:

28 Alcuni studiosi ritengono invece che la terminazione del nominativo singolare *-tē < *-

tēr sia stata rimpiazzata da -ti per analogia con i femminili in *i.

Fonetica

105

*ĭ > *ī. Quando la desinenza *-ns si trova dopo consonante (Cns) la nasale interconsonantica diventa sillabica: l’elemento vocalico sviluppato dalla sonorante diventa anch’esso lungo: Cns > Cṇs > Cĭns > Cīns > Cī:

*ŏ -ăns > -ūns > ū *bratăns > bratū brat¨ ‘fratelli’ *ā -āns > -ūns > ū *gorāns > gorū gor¨ ‘montagne’ *ŭ -ŭns > -ūns > ū *sūnŭns > sūnū s¨¢¨ ‘figli’ *ĭ -ĭns > -īns > ī *kostĭns > kostī kosti ‘ossa’ *C -Cns > -Cṇs > -Cĭns > Cī *materns > materī materi ‘madri’

Per ciò che riguarda i temi in *jŏ, *jā, il comportamento della vocale dopo

jod e davanti a s, n, ns non è coerente: davanti a s, n la labializzazione precede la metafonia, ovvero lo jod interviene al termine del processo di labializ-zazione e perdita della nasalità, metafonizzando la terminazione del tipo duro: *jăs > *jŭs > *jъ > ’ь; *jăn > *jŭn > *jъ̨ > *jъ > ’ь; *jān > *jǫ > ’ǫ.

Davanti a ns la metafonia precede la labializzazione, che non ha luogo. La vocale anteriore breve *jĕ (< *jŏ) si allunga, quindi *jēns (< *jŏns) e *jēns (< *jāns) > -ję29:

*jŏ -jăs > -jŭs > -jъ -jăn > -jŭn > -j ъ̨ > -jъ -jăns > -jĕns > -jēns > -ję

*konjăs > kon’ь *konjăn > kon’ь *konjăns > kon’ę

ko¢ ∞| ko¢ ∞| ko¢`

‘cavallo’ N sg ‘cavallo’ A sg ‘cavalli’ A pl

*jā -jān > -jǫ -jāns > -jēns > -ję

*zemjān > zeml’ǫ *zemjāns > zeml’ę

æeml+ æeml`

‘terra’ A sg ‘terre’ A pl

Nella declinazione agisce fortissimo il principio dell’analogia morfologica,

così che spesso la spiegazione di una terminazione non va ricercata nei processi fonetici: per esempio il N sg dei sostantivi neutri in *ŏ dovrebbe coincidere con l’A sg m: *sel) < *sel-ŏ-n. Invece i neutri adottano la terminazione -o della flessione pronominale: selo ‘villaggio’ (v. p. 120).

24. Trasformazione della quantità in timbro

L’ultima mutazione del tardo protoslavo è legata alla defonologizzazione dell’opposizione di quantità (non è più possibile l’esistenza di una coppia

29 La vocale anteriore lunga si comporta diversamente nella Slavia orientale, dove *jēns >

*jē (jat’ terzo): *konjăns > ko¢: , ‘cavalli’ A pl, *zemjāns > æeml: , ‘terre’ A pl.

Il paleoslavo

106

lunga/breve con i medesimi tratti distintivi di tensione30, compattezza31, labialità). La differenza tra le due vocali (differenza che si lega a diversi significati: per esempio *sūnŭ ‘figlio’, *sŭnŭ ‘sonno, sogno’) deve essere fondata sulla qualità del suono.

La diversificazione qualitativa delle vocali alte avviene in base al tratto di tensione: le vocali lunghe più tese, quelle brevi meno tese: *ī > i, *ĭ > ь, *ū > y, *ŭ > ъ.

La diversificazione qualitativa delle vocali basse avviene secondo diverse modalità. Per le vocali posteriori tratto distintivo è la labialità: *ă > o (accentuazione della labializzazione) *ā > a (perdita della labializzazione e aumento dell’apertura). In quanto alla coppia *ĕ / *ē, i dialetti riflessi nell’alfabeto glagolitico mostrano i seguenti esiti: la breve più chiusa (*ĕ > e), la lunga più aperta (*ē > æ)32. Il grafema A indica in glagolitico un suono vocalico aperto che continua sia *ē dopo consonante non palatale (m:sto < *mēt-t-o ‘posto’, cfr. latino mēta), sia *ē dopo consonante palatale (kri~:ti < *krik-ē-ti), sia *ē2 di origine dittongale (c:¢a < *kāi̯-na), sia *ē derivante dalla metafonizzazione di *ā dopo consonante palatale (mo: < *măi̯-a):

*ī > (’)i *ū > y *ĭ > (’)ь *ŭ > ъ *ē > (’)ä *ā > a *ĕ > (’)e *ă > o

Diversa è la realtà descritta dai creatori dell’alfabeto cirillico, per i quali

m:sto non si pronuncia affatto come moq . In posizione dopo consonante palatale la *ē indoeuropea e la *ē derivante dalla metafonizzazione di *ā

30 Si definisce teso un segmento prodotto con maggiore energia articolatoria e con

caratteristiche acustiche (di intensità, timbro, durata) maggiormente rilevate rispetto al suo corrispettivo non teso (o rilassato).

31 Si definisce compatto un segmento caratterizzato da concentrazione di energia nella parte centrale dello spettro acustico: /a/ è più compatta di /e/, che è più compatta di /i/.

32 Questo processo sembra divergere da quello spontaneo, per cui a chiudersi sono le vocali lunghe. Un’interessante spiegazione, che ipotizza un influsso straniero, e specificamente quello del latino di Dacia, sullo slavo, è proposta da Enrietti: M. Enrietti, “La caduta degli jer quarta ‘legge’ del protoslavo?”, in Ricerche slavistiche XLV-XLVI (1998-1999), pp. 87-97.

Fonetica

107

coincidono in una nuova vocale molto aperta, [’a], che può stare solo dopo vocale, dopo jod o dopo consonante palatale e si indica con un nuovo grafema: <q> (o anche <a> dopo č, ž, š, št, žd, c): moq , kri~ati . Rispetto a questa vocale, sia la *ē i.e. dopo consonante non palatale sia *ē2 ha una articolazione meno aperta, non possiede correlato posteriore, e non può mai trovarsi dopo dopo vocale, dopo jod o dopo consonante palatale (eccetto le palatali frutto di II e III palatalizzazione c’, ʒ’, z’, s’): a indicarla si usa il grafema <:>33:

*ī > (’)i *ū > y *ĭ > (’)ь *ŭ > ъ *ĕ > (’)e *ă > o *ē > ě *ē > ’a *ā > a

25. Nuove alternanze vocaliche

Il nuovo vocalismo si riflette naturalmente sui fenomeni apofonici ereditati dalle più antiche alternanze indoeuropee, qualitative e quantitative:

alternanze quantitative: *ŏ/*ō > o/a; *ĕ/*ē > e/ě; *ĭ/*ī > ь/i; *ŭ/*ū > ъ/y alternanze qualitative: *ē/*ō > ě/a; *ĕ/*ŏ > e/o alternanze quantitativo-qualitative: *ĕ/*ĭ > e/ь; *ē/*ĭ > ě/ь; *ă/*ŭ > o/ъ; *ŭ/*ou̯ > ъ/u

Tutte queste alternanze hanno valore tematico, oppongono temi verbali a

temi nominali, formano coppie aspettuali (verbi perfettivi e verbi imperfettivi), servono a individuare azioni brevi e unidirezionali (ex vocale breve) e azioni di durata indefinita, o più volte ripetuta (ex vocale lunga), differenziano il tema del presente dal tema dell’infinito: s)b|rati ‘raccogliere’ perf., s)ber\ ‘io raccolgo’ perf., s)birati ‘raccogliere’ imperf., s)bor) ‘raccolta’; pos)lati ‘inviare’ perf., pos¨lati ‘inviare’ imperf.; sko~iti ‘fare un salto’, skakati ‘saltare’; ¢esti , ¢ositi ‘portare’, ¢osila ‘barella’; s:d:ti ‘essere seduti’, saditi ‘piantare’; æ)vati ‘chiamare’, æov\ ‘io chiamo’, g)¢ati ‘inseguire’,

33 L’evoluzione ulteriore di ě nelle diverse lingue slave è varia: in slavo orientale è sospinto in alto, contrapponendosi a [e] (fonema medio-basso, aperto come “è” in italiano) come fonema medio-alto chiuso, dalla probabile pronuncia dittongale [ ͡ıe]. In ucraino la chiusura si accentua ancora: [i]. Alla diversa pronuncia dello jat’ si deve la suddivisione del serbo e del croato in ikavo, ekavo e ijekavo.

Il paleoslavo

108

je¢\ ‘io inseguo’, go¢iti ‘perseguitare’; sv:titi ‘illuminare’, sv:t) ‘luce’, sv|t:ti s( ‘illuminarsi’; douhati e d¨hati ‘respirare’, douh) ‘spirito’, d)h¢ove¢ie ‘respiro’. 26. Gli jer

Si chiamano jer (dal nome del grafema in paleoslavo) le vocali ridotte nate nel momento in cui la quantità si perde e le vocali si differenziano per timbro: si distingue uno jer posteriore, detto jer duro (ъ < *ŭ) e uno jer anteriore, detto jer molle (ь < *ĭ). Diversamente da quanto si è detto delle altre vocali, il valore delle vocali ridotte dipende dalla loro posizione: in posizione forte la loro pronuncia doveva essere più netta, in posizione debole più indistinta.

Gli jer sono deboli in tre posizioni: 1) alla fine di una parola (o meglio di unità accentuale) non monosillaba; 2) in posizione atona, davanti a una sillaba che contenga una vocale piena; 3) in posizione atona, davanti a una sillaba che contenga ъ, ь in posizione

forte (che cioè valgono come una vocale piena). Gli jer sono forti in due posizioni: 1) sotto accento34; 2) a prescindere dall’accento, quando precedono una sillaba che contiene ъ,

ь in posizione debole. Quando precedono jod, anche nel confine di due parole, gli jer si tendono,

riacquistando il valore della vocale piena. Infatti, se lo jer davanti a jod si tende, le vocali, al contrario, si riducono35, così che /y/ e /ъ/, /i/ e /ь/ davanti a jod coincidono in un unico suono, che indichiamo con ъ̂ , ь̂ o più raramente con ŷ, î: ъj > ъ̂ [y], ьj > ь̂ [i] L’equivalenza fonetica delle sequenze (ьj = ij e ъj = yj) può dare luogo a oscillazioni nella grafia: cfr. i sostantivi neutri formati con il suffisso - ь̂ je del tipo æ¢ame¢i& / æ¢ame¢|& ‘segno’, e i collettivi in - ь̂ ja del tipo bratiq / brat|q ‘confraternita’ (morfologicamente femminili singolari); delle due grafie è normativa la prima.

34 Ma cfr. l’opinione contraria di A. Zaliznjak, Nezavisimost’ evoljucii reducirovannych ot

udarenija v vostočnoslavjanskom. Struktura teksta-81. Tezisy simpoziuma. M. 1981, pp. 28-31. 35 Ricordiamo l’esito del dittongo *ĕi̯ davanti a V, con l’assimilazione della vocale e > i > ь

(cfr. N pl m dei nomi in *i *gost-ĕi̯-es > gostь̂ je con doppia grafia gosti& / gost|&).

Fonetica

109

Già nel periodo paleoslavo gli jer tendono a confondersi (la scelta tra ъ e ь non è più etimologica e dipende dalle scuole scrittorie) o a essere omessi (quasi sempre nella prima sillaba: m)¢ogo > m¢ogo). In alcuni manoscritti del canone si nota la tendenza a usare ь davanti a sillaba che contenga vocale anteriore, ъ davanti a sillaba che contenga vocale posteriore (assimilazione detta ‘legge di Jagić); ъ prevale in posizione finale e dopo š, č, ž, št, žd, c, z < dz (labiovelarizzazione detta ‘legge di Kul’bakin’).

Al momento della dissoluzione dello slavo comune la sorte degli jer varia nelle diverse zone della Slavia, con alcune costanti: gli jer (tesi e non) in posizione debole cadono (al loro posto può comparire ь o più raramente ъ con funzione grafica); gli jer (tesi e non) in posizione forte sono sostituiti da altre vocali (si vocalizzano): ь > [e], ъ > [o] nello slavo orientale e nei dialetti macedoni. Questo si riflette sulla morfologia: N sg m degli aggettivi di tipo duro *ъjь > -oi, N sg m degli aggettivi di tipo molle *ьjь > -ei.

In molti dialetti bulgari ъ > [əә] (graficamente <ъ>), ь > [e], in altri ъ e ь > [əә] (graficamente <ъ>) in tutte le posizioni. In serbo e in croato ъ e ь > [əә] (graficamente <ь>, sino al XIV secolo) e poi quasi sempre [a] (graficamente <a>). In sloveno entrambi gli jer danno [əә] (graficamente <e>) quando la vocale è breve, danno [a] quando la vocale è lunga. In slovacco gli esiti sono molto differenziati: per ь prevale l’esito [e] accanto agli esiti [a], [a:], graficamente <á>) e [o]; per ъ prevale l’esito [o] accanto agli esiti [e], [a], [a:]:

ь ъ protoslavo *dĭn-ĭ-s *sŭn-ŭ-s paleoslavo dьnь sъnъ bulgaro den sъn macedone den son serbo dan san croato dan san sloveno dan sen slovacco dnes sen ceco den sen polacco dzień sen ucraino denь son bielorusso dzenь son

Il paleoslavo

110

russo denь son