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TRA GLI SQUALI DEL MEDITERRANEO Plutone è “vivo”. Ecco le prove SETTEMBRE 2015 € 3,90 IN ITALIA 275 LA SCIENZA DEL CRIMINE Come tecnici, investigatori e criminologi danno la caccia ai killer. E perché non li prendono sempre LE VERITÀ DIETRO GLI OROSCOPI Salute Ho un segreto e non resisto COMPORTAMENTO Viaggio sotto il Vesuvio GEOLOGIA SCOPRIRE E CAPIRE IL MONDO Mensile: Austria, Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo (cont.) Spagna € 7,00 / Canada CAD 12,00 Germania € 9,50 / UK GBP 6,00 Svizzera Chf 8,90 – C.T. Chf 8,40 USA $ 12,00 Poste Italiane / Sped. in A.P. D.L. 353-03 art. 1, Comma 1 / Verona CMP

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TRA GLI SQUALI DEL MEDITERRANEOPlutone è “vivo”. Ecco le prove

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LA SCIENZA DEL CRIMINE

Come tecnici, investigatori e criminologi danno la caccia ai killer.

E perché non li prendono sempre

LE VERITÀ DIETRO

GLI OROSCOPI

Salute

Ho un segretoe non resisto

COMPORTAMENTO

Viaggio sotto

il Vesuvio

GEOLOGIA

SCOPRIRE E CAPIRE IL MONDO

Mensile: Austria, Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo (cont.) Spagna € 7,00 / Canada CAD 12,00 Germania € 9,50 / UK GBP 6,00 Svizzera Chf 8,90 – C.T. Chf 8,40 USA $ 12,00 Poste Italiane / Sped. in A.P. D.L. 353-03 art. 1, Comma 1 / Verona CMP

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Non è più un caso fortuito, ma una tendenza. La Cina, il Paese che emette più anidride carbonica al mondo, sta modificando la sua politica energetica. E si è convertita all’energia pulita. L’anno scorso, infatti, ha ridotto il suo utilizzo di carbone, e la maggior parte dei nuovi impianti energetici sono stati solari, eolici o idroelettrici. Alla fine, dei nuovi impianti installati il 59% produce energia da fonti rinnovabili.

Questa politica ha portato a un cambiamento radicale anche negli aspetti industria-li e politici. Grazie all’instal-lazione di tanti impianti, infatti, si è verificato un cosiddetto “disaccoppiamen-to” tra l’emissione di composti del carbonio e la crescita economica: l’anno scorso l’economia è cresciuta del 3% mentre le emissioni inquinanti sono rimaste stabili. Secondo le stime dell’International energy agency, nel 2030, a fronte di

un aumento della crescita dell’88%, ci sarà un innalza-mento delle emissioni di appena l’8%.

DI BUON ESEMPIO. Questi numeri sono di buon auspicio per l’importante incontro delle Nazioni Unite che si terrà a Parigi nel dicembre del 2015. Nella capitale francese, le nazioni di tutto il mondo cercheran-no di concordare una politica energetica che possa bloccare, o almeno rallenta-

re, le emissioni di anidride carbonica. Forse questi nuovi dati del gigante cinese convinceranno anche il Congresso degli Stati Uniti (finora ideologicamente contrario a qualsiasi patto che riduca le emissioni), che la crescita economica non passa necessariamente per l’inquinamento atmosferico. Con le note conseguenze, come l’aumento di tempera-tura e l’innalzamento del livello del mare.Marco Ferrari

Pechino punta sulle fonti rinnovabili

La Cina si fa “green”Il gigante asiatico ha cambiato passo: i suoi nuovi impianti di produzione energetica sono in gran parte verdi. Una scelta che dimostra come la crescita economica possa anche essere pulita.

2,7%L’aumento degli impianti a carbone lo scorso anno. Un vero e proprio crollo rispetto al 6,9% di qualche anno fa.

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BASTA SMOG!Wuhan, Cina: installazione

di pannelli di un impianto fotovoltaico sui tetti.

La buona notizia

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Scoprire e capire il mondo

In copertina: foto grande Spl/Agf, con elaborazione grafica di Chiara Scandurra; dall’alto: Corbis, Corbis, Getty Images, Corbis.

SETTEMBRE 2015 NUMERO 275

C’è vita fuori dalla Terra: entro vent’anni ne avremo la conferma. pag. 15

136Ingegneri a

6 zampe

30Vicini a Plutone

Mistero CHE FINE HA FATTO IL 777 SCOMPARSO ������������������������������������� 18L’aereo malese svanito nel nulla più di un anno fa è il più grande enigma della storia dell’aviazione. Ecco le ipotesi avanzate finora sulla sua sparizione.

Società QUELLO CHE (NON) DICE L’OROSCOPO ��������������������������������������� 24Gli studi negano l’influenza degli astri sul carattere delle persone. Ma, se si parla di salute, il mese di nascita conta.

Spazio DA PLUTONE CON SORPRESA ������������������������������������������������������� 30Le prime, straordinarie, immagini della sonda New Horizons ci mostrano un pianeta “vivo”, con montagne di ghiaccio e bianche pianure in continua evoluzione.

Mistero MIRACOLO A MILANO ������������������������������������������������������������������� 36Il 24 aprile un ragazzo è rimasto per 40 minuti sott’acqua. Ma è sopravvissuto. Perché?

Mondo NEL REGNO DEL BRILLANTE COMPAGNO ������������������������������������ 38Bufale, depistaggi, test nucleari... Che cosa succede davvero in Corea del Nord?

Tecnologia SCATTIAMO NEL FUTURO ������������������������������������������������������������� 44Si potranno mettere a fuoco le foto dopo lo scatto. E stamparle in 3D.

Economia L’ORO BIANCO ������������������������������������������������������������������������������� 52Il cotone è coltivato da millenni. E, ancora oggi, la sua produzione aumenta.

Storia LE LABBRA ROSSE DEI BRONZI DI RIACE ������������������������������������ 60Una ricostruzione scientifica svela l’aspetto originale dei famosi guerrieri.

86 QUI C’È STATO UN DELITTOCome investigatori e scienziati forensi danno la caccia ai killer.

94 COSÌ PENSA L’ASSASSINOIl profiler delinea l’identikit del colpevole partendo dal crimine.

98 IL ROBOPOLIZIOTTO È DI PATTUGLIA

Software predittivi, droni... La tecnologia promette più sicurezza. Ma a quale prezzo?

DOSSIER

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www.focus.it

Comportamento SCOMMETTI CHE TI CONVINCO? ..................... 68Avere ragione non basta. Esibire prove scientifiche neanche. Per far cambiare idea servono ascolto, intelligenza e... strategia.

Animali C’È UNO SQUALO NEL MARE NOSTRO ............ 72Questi temibili predatori vivono pure nel Mediterraneo. Ma, per loro, il pericolo siamo noi.

Geologia VESUVIO. IL FUOCO SOTTO ........................... 106Un mare di magma collega il vulcano più temuto dai napoletani a un suo “fratello” ancora più pericoloso: i Campi Flegrei.

Comportamento SEGRETI: CUSTODIRLI OPPURE... ................. 112Conviene confidarli o rivelarli? La decisione non è così semplice.

Scienza IL SOLE IN UNA STANZA ................................ 120In costruzione nel Sud della Francia un reattore che si ispira al funzionamento delle stelle per ricavare energia.

Salute LA PILLOLA DELL’ESERCIZIO ......................... 130Attività fisica al posto dei farmaci? Per molte malattie funziona.

Natura INGEGNERI A 6 ZAMPE .................................. 136Le formiche dominano la Terra. E costruiscono opere monumentali.

Ambiente SICCITÀ, GOLF E PISCINE .............................. 142Altro che spiagge, campi fertili e prati verdi: in California il deserto avanza. Ecco fin dove è arrivato.

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Prisma

120Il reattore

che si ispira alle stelle

Dall’antropologia all’entomologia, alla genetica: l’armamentario a disposizione dei detective è sempre più formidabile. Di conseguenza, si direbbe, per i criminali è ormai quasi impossibile farla franca... Ma non è proprio così. Per capire che cosa possono scoprire davvero i laboratori della Scientifica, venite con noi a pag. 86. Jacopo Loredan

L’INVITO ALLA LETTURA DEL DIRETTORE

SEZIONI

79 Prisma

126 Domande & Risposte

149 MyFocus 154 Relax

158 Giochi

161 Mondo Focus

Cartoline dalla Coreadel Nord

RUBRICHE

3 La buona notizia

8 Flash

15 L’intervista

17 In numeri

118 Come funziona

118Il nuovo impianto sul Monte Bianco

TecnologiaInvenzioniDigitaleTrasporti

SpazioScienzaGeologiaSalute

SocietàEconomiaMondoComportamento

StoriaMisteroArcheologiaCultura

Guida a colori e temi di questo numero

NaturaAnimaliEcologiaAmbiente

Ci trovi anche su:

pag. 38

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Flash

Punto di vistaaereo

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NEL CIELO INFINITO

Il piccolo Stearman rosso degli Anni ’40 sorvola la costa del Brasile. Il fotografo brasiliano Lalo de Almeida, autore di questa e delle foto che seguono, documenta il percorso degli aerei che la Posta nazionale brasiliana usò dal 1930 al 1965 per consegnare corrispondenza, farmaci e per trasportare malati. In 40 giorni, 300 ore di volo e 51.000 km, ha scattato più di 18.000 foto degli Stati di Goiás, Pará e Tocantins.

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Punto di vistaterrestre

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IL GIGANTE E LA FORMICA

Un impianto del colosso petrolchimico Braskem, il più grande dell’America Latina (siamo in Brasile). L’unica persona che si vede nella foto, uno dei 7.500 dipendenti dell’azienda, rende l’idea delle dimensioni: qui si producono oltre 16 milioni di tonnellate all’anno di polipropilene, polietilene, Pvc e altri prodotti chimici. È una delle aziende protagoniste a livello mondiale con un fatturato annuo di circa 24 miliardi di dollari americani.

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Punto di vista marino

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ALL’OMBRA DI IDDU

Una barchetta sotto la Sciara del fuoco, la lingua incandescente di lapilli che si affaccia sul lato nord-occidentale di Stromboli. La piccola isola delle Eolie è sovrastata da “Iddu”, come lo chiamano i siciliani, un vulcano che si innalza di 926 metri sul livello del mare e di oltre 2.500 metri dal fondale. Viene chiamato anche “faro del Tirreno”, perché punto di riferimento notturno per i naviganti: è, infatti, attivo in modo pressoché continuo da circa 2mila anni.

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L’intervista di

solare, siano molto elevate. Per quanto riguar-da il nostro sistema planetario, penso in parti-colare a Marte. E, in questo caso, probabil-mente a forme di vita esistite in passato, e quindi fossili. Oggi sappiamo che su Marte un tempo c’era una grande quantità di acqua li-quida e condizioni adatte alla vita. Sarei sor-presa che non fosse successo niente. Il rover europeo ExoMars potrebbe darci qualche ri-sposta già nel giro di 5 anni.

Guardando più lontano nello spazio, il telesco-pio James Webb consentirà, tra le altre cose, l’analisi delle atmosfere dei pianeti al di fuori del sistema solare, per capire se vi siano gli ele-menti caratteristici della vita.

4Quando vedremo invece l’uomo raggiunge-re Marte?

Credo intorno al 2030. Il fatto è che noi lavo-riamo per arrivare su Marte e poi rimanerci, in modo continuativo. Cioè installando basi e non solo facendo un semplice viaggio di anda-ta e ritorno. Sonde automatiche e rover sono eccezionali, ma il lavoro “umano” sul campo è ineguagliabile. Prima di questo, pensiamo a una missione rivolta verso gli asteroidi. Anche per testare il sistema di propulsione, che chia-miamo “solare-elettrico”, che servirebbe per portare fino a Marte i grandi carichi necessari.

5Che cosa pensa del Seti, cioè della ricerca di segnali radio di origine intelligente pro-

venienti dallo spazio?È un lavoro impegnativo e interessante. Ma, personalmente, essendo di formazione un geo logo, preferisco andare a cercare fossili su Marte.Gianluca Ranzini

Ellen StofanLa geologa che studia altri mondi

1Lei è venuta all’Expo di Milano per raccon-tare come le osservazioni dallo spazio pos-

sono aiutare a migliorare la vita sulla Terra.Il nostro è un pianeta meraviglioso, e tra l’altro le foto che ha fatto la vostra Samantha Cristo-foretti sono tra le più belle riprese da astro-nauti sulla Stazione spaziale. Ma per esempio ci sono problemi legati alle coltivazioni. E le osservazioni dei nostri satelliti – ne abbiamo 19 che scrutano la Terra – possono fornire molte informazioni utili. Siamo in grado di ve-dere la crescita delle piante e se i raccolti stan-no bene o meno... Per esempio, dai nostri dati emerge che negli Usa e in Europa si produce meno, mentre i raccolti aumentano in Cina e Canada. Oppure che la coltivazione della soia è particolarmente abbondante in Argentina e Brasile. Considerando che dove la produzione cala i prezzi tendono a salire, queste osserva-zioni aiutano a regolamentare i mercati e sono utili agli agricoltori, che possono accedere di-rettamente e gratuitamente ai nostri dati, per esempio attraverso la rete Servir sul sito www.servirglobal.net

2A parte il monitoraggio della Terra, quali sono le strategie e le priorità della Nasa nel

prossimo futuro?Oltre a monitorare lo stato e i cambiamenti del pianeta, gli obiettivi principali sono due: dob-biamo prepararci a riportare uomini nello spazio, dopo che gli shuttle sono stati ritirati dal servizio, e vogliamo portare a termine la realizzazione del James Webb telescope. Ri-guardo al primo punto stiamo lavorando sullo Space Launch System, un vettore molto po-tente che potrebbe portare l’uomo fino a Mar-te. Quanto al telescopio Webb, sarà il succes-sore di Hubble, in orbita dal 1990 attorno alla Terra. Speriamo di lanciarlo nel 2018.

3A proposito di vita, in un recente convegno a Washington si è sbilanciata ad affermare

che presto la scopriremo al di fuori della Terra. Che cosa intendeva?Penso che le probabilità di avere conferma, nel giro di una ventina d’anni, della presenza di vita su altri pianeti, dentro o fuori del sistema

Sarei davvero sorpresa se dovessimo scoprire che sul Pianeta rosso non è mai apparsa la vita

BiografiaEllen Stofan è, dall’agosto del 2013, chief scientist (capo ricercatore) della Nasa. In pratica è il principale referente scientifico di Charles Bolden, il direttore dell’agenzia spaziale Usa.Geologa di formazione, si è occupata in particolare della geologia di Venere, Marte, Titano e della Terra.Nel 1996 ha ricevuto il Presidential Early Career Award for Scientists and Engineers, prestigioso premio americano per i giovani scienziati.Ha lavorato per le missioni Mars Express, Magellano (verso Venere) e Cassini (diretta a Saturno).Ha proposto la missione Titan Mare Explorer, per far scendere una sonda negli oceani di metano di Titano, la luna di Saturno.

Entro vent’anni le prove che ET esisteAbbiamo incontrato a Expo 2015 il ricercatore capo della Nasa. Ci ha detto che siamo vicini a trovare segni di vita al di fuori della Terra. E poi: «Andremo su Marte per colonizzarlo».

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Che fine ha fatto il Il ritrovamento

di un pezzo d’ala nell’oceano

Indiano riapre il caso dell’aereo malese sparito più di un anno

fa: è il più grande enigma

nella storia dell’aviazione.

777scomparso

Mistero

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RICERCA INFRUTTUOSA.

Il comandante Rob Shearer

sull’aereo P3 Orion della Royal New

Zealand Air Force durante un volo

per la ricerca dei resti del MH370. G

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SOTTOMARINO. Il robot Bluefin 21 usato per le ricerche nell’oceano Indiano. A destra, il capitano della Marina militare Usa Mark Matthews. Nell’altra pagina: ricerche nel mare delle Andamane.

Poco dopo l’una del mattino dell’8 marzo 2014, un puntino scom-parve all’improvviso dai radar del centro di controllo del volo

di Kuala Lumpur, in Malaysia. Corri-spondeva a un Boeing 777 della Malay-sian Airlines, sigla MH370, decollato da poco verso Pechino, dove non sarebbe mai arrivato. Diciassette mesi dopo, il volo MH370 resta il più grande mistero nella storia dell’aviazione. Un aereo in perfette condizioni, equipaggiato dei più moderni sistemi di comunicazione e con 239 persone a bordo, svanito senza la-sciare traccia. Mesi di ricerche, costate oltre 100 milioni di dollari, non ne hanno trovato nemmeno un frammento. Anzi, il

VIA DAL RADAR. Fino ad allora, il viaggio era stato del tutto normale. Poco dopo la mezzanotte, all’aeroporto di Kuala Lum-pur, i 12 membri dell’equipaggio accolse-ro a bordo tutti i 227 passeggeri. Soprat-tutto cinesi, molti malaysiani, gli altri di molte nazionalità diverse, tra cui un rus-so e due ucraini. Alle 00:42 il decollo, poi la rotta verso la punta meridionale del Vietnam. Le condizioni meteo erano buone e il volo era controllato da tre si-stemi. Prima di tutto le conversazioni via radio con i controllori di volo. Poi il radar secondario, che invia impulsi da terra e riceve in cambio “risposte” da un dispo-sitivo sull’aereo, il transponder. Infine l’Acars, un sistema automatico che a in-tervalli prefissati manda alla compagnia aerea informazioni sul funzionamento dei motori, dei sistemi elettrici e sul car-burante. Via radio finché può, via satelli-te dove non c’è copertura. Alle 01:19, quando l’aereo stava per pas-sare nello spazio aereo vietnamita, i pilo-ti salutarono i controllori di volo malay-siani, che li affidarono al centro di controllo di Ho Chi Minh City. “Qui Ma-

recente e casuale ritrovamento di un pezzo d’ala, ritenuto compatibile con il 777, non lontano dal Madagascar, non ha fatto altro che infittire il mistero. Di cer-to, le poche e contraddittorie tracce che l’aereo ha lasciato tra radar e satelliti sembrano fatte apposta per dare adito alle teorie più fantasiose e paranoiche. Cambi di rotta repentini, ore di volo a strumenti spenti, per finire la sua corsa – secondo l’inchiesta ufficiale – in una sperduta area di oceano Indiano, lonta-nissimo dalla sua rotta. Lì, a 1.700 chilo-metri al largo della costa ovest australia-na, quattro navi equipaggiate con sonar e robot sottomarini setacciano da mesi un rettangolo di mare di 120.000 km qua-drati, con fondali profondi fino a 6.000 metri. Perché recuperare il flight recor-der – la cosiddetta “scatola nera” – è l’u-nica speranza di comprendere cosa sia accaduto su quell’aereo dopo le 01:21 (ora della Malaysia) dell’8 marzo.

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“Qui Malaysia tre sette zero, buonanotte”, queste le ultime parole dalla cabina

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DOVE SONO FINITI?Il rientro alla base di Perth

(Australia) di un Raaf P3 Orion: anche questa volta le ricerche del

MH370 non hanno dato risultati.

Pechino

Il satellite Inmarsat L’ultimo contatto

radar militare

Oceano Indiano

Kazakistan

Perth

UN AGO IN UN PAGLIAIO

QUALE ROTTA? L’aereo MH370 partito da Kuala Lumpur (Malaysia) l’8 marzo 2014 poco dopo mezzanotte sarebbe dovuto arrivare a Pechino alle 06:30. Alle 01:21 scomparve dai radar. Ma il dispositivo satellitare della Inmarsat, che pure si spense alle 01:20, si riaccese un’ora dopo, rilevando i presunti spostamenti del velivolo. Due le ipotesi: o è andato a nord verso il Kazakistan, oppure a sud verso l’oceano Indiano dove si sarebbe inabissato dopo le 08:19.

laysia tre sette zero, buonanotte”, furono le ultime parole provenienti dalla cabina. È a questo punto che finiscono le certez-ze e iniziano le ipotesi. Alle 01:21, il puntino del MH370 scom-parve dai radar, segno che il transponder aveva smesso di funzionare. Nessuna ri-sposta quando i controllori chiamarono i piloti. Anche la radio era fuori uso. E il successivo segnale Acars, atteso alle 01:37, non arrivò mai. Tutti i sistemi era-no spenti. Può accadere per un incidente catastrofico, come un’esplosione. O per-ché i piloti disattivano i circuiti elettrici.

STRETTE DI MANO. Quando alle 06:30 il volo mancò l’atterraggio a Pechino l’al-larme era ormai scattato. Le prime ricer-che si concentrarono nel braccio di mare tra Malaysia e Vietnam, nel punto dell’ul-timo contatto radar. Ma intanto le auto-rità civili chiesero aiuto ai militari, che controllano tutto con i loro radar prima-ri: quelli che misurano la riflessione del segnale radar su un oggetto in movimen-to, e non la risposta di un transponder. Così arrivò il primo colpo di scena. L’ae-

reo non aveva finito la sua corsa alle 01:21, ma aveva fatto un’inversione a U per tornare verso sud-ovest. Giunto sulla costa occidentale malaysiana aveva de-viato ancora verso nord-ovest, per essere visto l’ultima volta dal radar poco a nord di Banda Aceh in Indonesia, alle 02:22. Ma questo era nulla a confronto di quan-to rivelato qualche giorno dopo dalla so-cietà di servizi satellitari Inmarsat. Il MH370 aveva infatti un dispositivo sa-tellitare, il Satcom, che serve a inoltrare i segnali Acars o eventuali messaggi di emergenza. Anche quando non ha niente da comunicare, il Satcom verifica perio-dicamente di essere collegato alla rete, attraverso uno scambio di segnali con il satellite detto “handshake”, stretta di mano. I tecnici Inmarsat rivelarono che dopo essersi spenta attorno alle 01:20, assieme a transponder e radio di bordo, l’unità satellitare del MH370 si riaccese alle 02:25, e funzionò fino alle 08:19, scambiando diverse “strette di mano” con il satellite. L’aereo, insomma, volò per altre sei ore dopo l’ultima rilevazione del radar militare. Ma in che direzione?

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UN’AREA IMMENSA.In rosso, la rotta che avrebbe dovuto seguire il Boeing e l’inversione a U.In rosa, le due traiettorie (Kazakistan e oceano Indiano) che potrebbe aver preso secondo Inmarsat. In grigio, i voli di ricognizione dalla base australiana di Perth.

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Niente aereo, niente scatola nera: per questo non ci sono certezze

PERLUSTRAZIONI.Operazioni di monitoraggio

sull’oceano Indiano a bordo del RNZAF

P3 Orion e, sotto, in un aereo della

guardia costiera giapponese.

L’ipotesi più azzardata? Rotta sul KazakistanQUELL’HANGAR SOSPETTO. Se le ricerche nell’oceano Indiano alla fine si rivelassero infruttuose, si potrebbe persino rivalutare l’ipotesi più azzardata: che l’aereo sia andato a nord, lungo l’altra direttrice indicata dal satellite. Ne è quasi convinto Jeff Wise, un giornalista americano di Slate, secondo cui il volo potrebbe essere davvero atterrato in Kazakistan. Immagini satellitari di quella regione mostrano, vicino a una pista di atterraggio, un edificio che ha tutta l’aria di essere un hangar, costruito e poi smantellato in fretta e furia nei giorni attorno all’8

marzo. Follia? Lo stesso Wise fatica a crederci, anche perché lo scenario richiederebbe una manomissione dell’unità Satcom per ingannare la successiva analisi di Inmarsat. Difficile ma non impossibile, a patto di accedere direttamente ai circuiti Satcom che sul Boeing 777 si trovano... vicino ai posti dove sedevano i passeggeri russi e ucraini. Ma qui è meglio fermarsi, per evitare di pensare all’altro volo Malaysia abbattuto dai miliziani filorussi sopra l’Ucraina pochi mesi dopo, e scoprirsi improvvisamente complottisti.

Una complessa analisi del tempo impie-gato da ogni “stretta di mano” per andare dall’aereo al satellite e viceversa permise a Inmarsat di stabilire che in quelle sei ore l’aereo doveva aver percorso una tra due traiettorie simmetriche: una a nord e l’altra a sud. L’ipotesi nord puntava ver-so il Kazakistan (vedi riquadro). Ma il 24 marzo il governo malaysiano annunciò l’ulteriore analisi di piccole variazioni di frequenza dei segnali satellitari dovute all’effetto Doppler, lo stesso che ci fa sen-

stico, perché non è mai arrivata una rivendicazione? Tutto questo vale se crediamo all’inchie-sta ufficiale. Che però secondo Pietro Pallini, ex pilota di linea e direttore della rivista online Manuale di Volo, è viziata da un metodo, quell’analisi delle “strette di mano”, mai usato prima. I dati di Inmarsat potrebbero cioè contenere er-rori di cui gli esperti non sono coscienti. E anche le tracce del radar che descrivo-no i cambi di direzione dopo le 01:21 sono quello che sono: indicano la rotta di “un” aereo, ma non la certezza che si tratti di “quell’aereo”. Per non parlare del pezzo d’ala da poco rinvenuto: era davvero del MH370? E che cosa ci faceva lì, vicino al Madagascar? Le indagini sono in corso. Toccherebbe pensare male, ma Ustica insegna che in caso di incidenti aerei anomali a volte ci si azzecca. Finché non si troverà la scatola nera, nessuna ipotesi può essere scartata. Ma più passa il tem-po, più aumentano le probabilità che il MH370 possa non essere mai ritrovato, e il suo mistero durare per sempre. Nicola Nosengo

tire la sirena sempre più acuta man mano che l’ambulanza si avvicina. Secondo questa analisi – da allora, la versione uf-ficiale – l’aereo stava sicuramente an-dando a sud, verso l’oceano Indiano Me-ridionale. E lì è caduto quando ha finito il carburante, poco dopo le 08:19, ora dell’ultimo handshake.

ERRORE DI METODO? Molti, come David Learmount della rivista specializzata Flightglobal, sono ormai convinti che l’unica spiegazione sia il gesto intenzio-nale di un pilota, ipotesi che dopo il disa-stro Germanwings sembra meno assur-da. Solo così si spiega lo spegnimento improvviso di transponder, radio e Acars quando con tutta evidenza i motori fun-zionavano e c’era ancora qualcuno ai co-mandi. O la mancanza di allarmi da un aereo con un’unità satellitare funzio-nante. Resta la domanda più ingombran-te: perché? Se è stato un suicidio, perché zigzagare due ore e poi volare altre sei fino a finire il carburante, anziché gettar-si subito in picchiata come ha fatto il pi-lota tedesco sulle Alpi? Se fu atto terrori-

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del lavoro o la salute futura di un bebè? A sostegno dell’astrologia si citano gli studi di Michel Gauquelin, statistico matematico francese, e della moglie Françoise, risalenti alla seconda metà degli anni Settanta. Gauquelin era infatti convinto di aver dimostrato la relazione tra la posizione di certi pianeti alla na-scita di ogni bimbo e la successiva scelta della professione “da grande”.

RISULTATI FALSATI. Lo scienziato aveva preso come campione un gruppo di in-dividui nati con Marte nel tema natale e, cercati fra loro gli “atleti”, ne aveva tro-vati più di quanti era lecito aspettarsene. Una verifica scientifica dei dati, fatta nel 1995 dal Comitato di controllo del para-normale olandese, aveva scovato l’erro-re di metodo nella griglia di valutazione: Gauquelin non aveva stilato preventiva-mente il profilo di che cosa intendesse per “atleta”, e così nell’ammucchiata era-no finiti i veri atleti, e anche chi faceva un po’ di ginnastica in palestra. Dunque uno studio i cui risultati erano falsati. Se non c’è correlazione fra segno zodia-cale e attività professionale (o sporti-

Quello che (non) dice l’oroscopo

Gli studi negano l’influenza degli astri sul carattere delle

persone. Ma, se si parla di salute, il mese di nascita conta.

Il mio Nobel? Merito degli astri, ha dichiarato Kary Mullis, premiato per l’invenzione di un sistema che ampli-fica il Dna e ne facilita lo studio. Un

capitolo di un suo libro si chiama così: Sono un Capricorno. Mullis non è il solo a credere che ci sia un legame fra gli astri nel cielo al momento della nascita e gli eventi della vita. Anche un recente stu-dio correla la data di nascita con i ma-lanni che si verificheranno... Che le stelle abbiano ragione?D’altra parte, in tutto il mondo occiden-tale – razionale, tecnologico e cartesiano – la magia è viva come presso i Caldei di Mesopotamia che la inventarono circa 2.500 anni fa. E se i rappresentanti del Centro italiano discipline astrologiche interpretano il movimento di stelle e pia-neti in relazione al destino degli uomini, gli studi dicono che con l’aumentare del-la crisi economica aumenta anche il nu-mero di astrologi, cartomanti e maghi (v. riquadro nelle prossime pagine). Ma davvero dalla posizione delle stelle al primo vagito si possono prevedere la personalità, il decorso delle relazioni amorose, l’andamento delle fortune e

Società

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NEL REGNO DEI PESCI.

Meglio in pentola, con

patate e cipolle...

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va), c’è forse con i fatti della vita quoti-diana? Certamente, se gli astri fornissero informazioni attendibili, sarebbero utili anche in campo economico. Per esempio, le compagnie di assicurazione potrebbe-ro stabilire l’importo dei premi in base alla maggiore o minore “sinistrosità” prevista degli individui. È quello che devono aver pensato i manager della Cassa nazionale di assicurazione contro gli incidenti di Berna, compagnia di as-sicurazione svizzera, che hanno studiato l’eventuale correlazione tra segno zo-diacale dei clienti e numero di incidenti denunciati. Per scoprire che le stelle, in questo settore, sono ininfluenti.

ASTRI E SCIENZA. Eppure, se lo afferma un Nobel come Mullis, ci saranno alme-no delle correlazioni fra astri e successo nella ricerca scientifica? La domanda era intrigante e così i ricercatori del dipar-timento di medicina dell’University of Western Ontario (Canada) hanno spul-ciato le date di nascita di ben 171 Nobel in medicina e fisiologia e di altri 742 Nobel in tutte le discipline. Niente da fare, i No-

Chi nasce a settembre ha più probabilità di soffrire di asma nella vita. A gennaio cresce il rischio ipertensione

interpretava il test standard di personali-tà, il Cpi, compilato dagli stessi studenti. E alla conclusione dello studio, nel quale psicologi e astrologi nulla sapevano dei rispettivi risultati, si dimostrò inconfu-tabilmente che lo zodiaco non fornisce dati attendibili neppure sul carattere. Conclusione: nell’astrologia, dicono gli scienziati, non c’è nulla di razionale. «Si può stimare che se anche tutti i pianeti fossero allineati sulla testa di un nasci-turo, congiuntura mai verificatasi, la loro forza di attrazione sarebbe pari alla diffe-renza di forza gravitazionale che c’è fra raso terra e un metro di altezza», calcola Adalberto Piazzoli, già ordinario di fisica

bel in medicina del Capricorno, il segno di Mullis, sono il 4,68% e quelli di tutte le discipline il 5,62%: essere del Capricor-no, insomma, non aumenta la probabili-tà di essere premiato in Svezia. Ma, almeno, i corpi celesti influenzano il carattere? La posizione dei pianeti al momento della nascita, dicono gli astro-logi, determina i tratti generali della per-sonalità. Shawn Carlson, fisico dell’Uni-versità della California a Berkeley (Usa), ha voluto verificarlo con dati statistici, psicologici e astrologici. Un gruppo di astrologi ha elaborato la personalità zo-diacale di 116 studenti in base ai soli dati di nascita, mentre un gruppo di psicologi

MERCATO DELL’OCCULTO

I NUMERI. L’anno scorso, Lavoce.info calcolava che nel primo semestre del 2013 il fatturato dell’occulto fosse aumentato del 18,5% arrivando a 8,3 miliardi, rigorosamente in nero; che gli operatori, cioè maghi, cartomanti e fattucchieri, fossero 160mila, fornissero 30mila prestazioni al dì e che su 10 italiani 4 confidassero nelle loro previsioni, spendendo da 50 a 1.000 € a seduta. Quali i temi? Relazioni affettivo-sentimentali e salute per le donne; lavoro e denaro per i maschi. Non molto diverse le stime dei Codacons, secondo i quali gli italiani che si rivolgono all’occulto sarebbero 13 milioni, un milione in più rispetto al 2011 e 3 milioni in più rispetto al 2001.

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generale all’Università di Pavia. «E ben-ché nessuno creda che nascere al primo o al secondo piano di un edificio possa in-fluenzare il carattere del neonato, molti continuano a credere all’influenza degli astri».

GIOCO INNOCUO. Per i più l’astrologia è un gioco innocente, che non influenza nessuno e non fa danni. Ma David Phil-lips, dell’Università della California a San Diego, non crede a questa tesi e ha esaminato i decessi di 28mila cinesi im-migrati negli Usa. L’astrologia cinese af-ferma che il fato individuale è influenza-to dall’anno di nascita: se l’ultima cifra è 0

ZODIACO.Rappresentazione

fantastica del segno del Toro.

Bronchiolite acutaMalattia respiratoria

AsmaMalattia respiratoria

IpertensioneMalattia cardiaca

Fibrillazione atrialeMalattia cardiaca

AterosclerosiMalattia cardiaca

Angina (dolore al petto)Malattia cardiaca

Infezione viraleInfezioni/Parassiti

ADHDMalattia mentale

più forte

più debole

Inverno

PrimaveraEstate

Autunno

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o 1 è l’anno del metallo: se 2 o 3 dell’acqua, e così via per gli anni del legno, del fuoco e della terra. Ogni elemento predispone a una malattia. Chi è nato nel segno del-la terra è predisposto ai tumori, chi nel segno del fuoco alle malattie cardiache, mentre il segno del metallo favorirebbe le patologie respiratorie. E la ricerca di Phillips ha dimostrato che, quando un cinese si ammala della malattia cui è astrologicamente predestinato, getta la spugna: i più attaccati alla tradizione muoiono da 1,3 a 4,9 anni prima degli individui del gruppo di controllo, nati lo stesso anno e con la stessa malattia, ma che non credono nel destino astrologico.

Questi risultati, insomma, sono frutto delle convinzioni, dell’effetto nocebo (v. Focus n° 273): è dannoso credere che qualcosa faccia male.Ma una parte di verità deve pur esserci, se già 2.500 anni fa Ippocrate descriveva la correlazione fra stagionalità e malattie con queste parole: “Perché conoscendo il mutare delle stagioni […] e come ciascuna di esse ha luogo, il clinico sarà in grado prevedere che tipo di anno seguirà […] perché con le stagioni cambiano gli orga-ni digestivi umani”. Fole di una medicina arcaica e ancora assai poco scientifica? O veramente le stelle predicono la salute? Non proprio: recenti studi collegano il

GRANDI NUMERI. Nicholas Tatonetti ha studiato l’archivio di un secolo di nascite (1900-2000) conservato alla Columbia University di New York, al fine di identificare eventuali correlazioni tra il mese di nascita e il rischio di contrarre particolari malattie. Il risultato è sintetizzato nello schema sotto, in cui ogni pallino colorato rappresenta una patologia. Per alcune la correlazione c’è: più le malattie sono spostate verso l’esterno del cerchio, maggiore è la probabilità che l’associazione non sia casuale.

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L’OROSCOPO DELLA SCIENZA

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Il peso alla nascita? È legato al clima, non alle stelle nel cielo

mese di nascita con malattie neurologi-che, del sistema riproduttivo, endocrine e immuno-infiammatorie. Nicholas Ta-tonetti, del dipartimento di informatica biomedica della Columbia University di New York, ha costruito un archivio di 1,7 milioni di soggetti nati tra il 1900 e il 2000, e poi ha studiato l’associazione tra mese di nascita e 1.688 patologie. E ha scoperto che 55 malattie erano signifi-cativamente correlate al mese di nascita (v. schema nella pag. precedente). Ma la correlazione non è con il segno zodiaca-le, uguale in tutti gli emisferi, bensì con il clima: chi per esempio nasce nelle sta-gioni in cui sono più abbondanti gli acari

della polvere ha un aumento del rischio del 40% di soffrire di asma da acari, il che conferma la tesi che essere sensibilizza-to a un allergene nell’infanzia aumenta il rischio di soffrirne. Alcune malattie neurologiche possono invece essere as-sociate alla nascita nei mesi invernali a causa delle variazioni della vitamina D, la cui produzione è legata all’esposizione al sole. Chi nasce, per esempio, a marzo a New York ha un rischio maggiore di ma-lattie cardiovascolari, ma una protezione rispetto alle malattie respiratorie e neu-rologiche. Mentre chi nasce ad ottobre ha un aumento del rischio di malattie respiratorie e un aumento della prote-zione rispetto ai disturbi cardiovascola-ri. Alcuni mesi, poi, sono più fortunati: chi nasce da maggio a luglio non ha rischi aumentati per nessuna malattia.

PARALLELI. Ma, mentre possono esserci correlazioni nell’incidenza delle malat-tie legate alla stagionalità fra New York, Madrid e Napoli, tutte sul 41° parallelo a nord dell’Equatore, bisogna tener conto dell’inversione delle stagioni quando si ragiona sull’altro emisfero. Per esempio, la Tasmania australiana o la provincia del Rio Negro argentina sono sul 41° parallelo a sud dell’Equatore e quindi hanno un andamento stagionale inver-tito rispetto a New York (ma non i segni zodiacali). E persino restando nell’emi-sfero settentrionale, i ricercatori hanno confrontato i dati di New York con quelli danesi di Copenaghen (fra il 54° e il 55° parallelo nord) e hanno scoperto che lo spostamento temporale del picco di in-solazione fra le due aree geografiche, che condiziona la presenza di acari, fa slitta-re di due mesi la correlazione fra mese di nascita e rischio di asma. Anche nel caso del peso alla nascita, la correlazione non è con gli astri ma con le temperature: ai paralleli in cui fa più cal-do le madri nell’ultimo trimestre di gra-vidanza mangiano meno e i ricercatori di Harvard e dell’Università israeliana Ben Gurion hanno calcolato che, soprattutto nelle aree urbane, per ogni aumento di 8,4 °C si ha una riduzione del peso del bimbo alla nascita di circa 17 grammi, e una lieve diminuzione della durata della gestazione: ma anche in questo caso è colpa del gran caldo, non degli astri.Amelia Beltramini

GEMELLI FORTUNATI.Coppia di calzini. I nati sotto il segno dei Gemelli sono tra i più fortunati: non hanno un rischio aumentato di contrarre particolari malattie.

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Spazio

DA PLUTONECON SORPRESA

Avvicinato per la prima volta da una

sonda spaziale, il pianeta nano ha inaspettatamente

rivelato di essere un mondo vivo. Vi

spieghiamo perché.

Il segnale è giunto quando in Italia erano le 4 del mat-tino del 15 luglio. Alice Bowman, responsabile della navigazione della navicella New Horizons della Nasa, decrittava quel flebile sussurro che per quattro ore e mezza si era fatto strada nello spazio interplanetario e lo comunicava a centinaia di tecnici e scienziati che pendevano dalle sue labbra: «Il flyby è stato comple-

tato. La navicella è integra!».Il boato che ha coperto le sue parole liberava tensioni con le quali alcuni dei presenti, come Alan Stern, hanno convis-suto per un quarto di secolo. È Stern, 58 anni, Principal In-vestigator della New Horizons, lo scienziato che più di ogni altro ha lottato per avere questa missione approvata dalla Nasa. E adesso gioisce nell’apprendere, dai dati telemetrici, che le memorie di bordo della navicella sono stracolme di immagini e di dati. Ci vorrà solo molta pazienza: la distanza è grande, il segnale radio è debole, cosicché occorrerà un anno e mezzo prima che vengano scaricate le migliaia

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VISIONE D’INSIEME.Plutone, la sua luna Caronte e la sonda New Horizons in

una illustrazione. Ron

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di riprese effettuate. E almeno quattro mesi per averne un’anteprima, a risolu-zione più bassa.

UN MONDO VIVO. I risultati valgono co-munque l’attesa, perché già le prime im-magini diffuse dalla Nasa hanno sbalor-dito i planetologi, rivelando che Plutone è un mondo geologicamente attivo, forse addirittura ancora ai nostri giorni.A partire dal 1985, per una circostanza geometrica che si sarebbe verificata solo per pochi anni, Plutone e il suo satellite Caronte (scoperto nel 1978) andarono soggetti a occultazioni mutue: i dischi dei due mondi scivolavano alternativa-mente l’uno di fronte all’altro, lasciando filtrare la luce da porzioni via via decre-scenti della superficie del corpo occulta-to. Una specie di danza dei sette veli, che gli astronomi sfruttarono per disegnare mappe d’albedo (ossia, di riflettività) dei rispettivi dischi. Così, ci si accorse che Plutone presentava una regione partico-larmente chiara e brillante, diversa dal resto della superficie. Conclusione avva-lorata in seguito dalle riprese del telesco-pio spaziale Hubble e ora definitivamen-te confermata dalle riprese ravvicinate raccolte nel flyby, il sorvolo, del 14 luglio scorso. Per apprezzare appieno l’acume degli astronomi, si consideri che, prima della New Horizons, il disco di Plutone da Terra appariva grande come una mo-neta da 1 euro vista da 45 km di distanza!Effettivamente, una vasta pianura chia-ra, a forma di cuore, denominata Tom-baugh Regio, in onore dello scopritore di Plutone (Clyde Tombaugh, 1930), occu-pa gran parte dell’emisfero nord opposto a Caronte (il satellite resta sempre sospe-so sopra un emisfero plutoniano, poiché la sua rivoluzione dura esattamente 6,4 giorni, quanto la rotazione di Plutone). La sua superficie è liscia e percorsa da sot-tili crepe, come quelle che si formano in

Visto dalla Terra, è piccolo come una moneta da 1 euro a 45 km di distanza

una palude terrestre in periodo di secca, quando il limo, contraendosi, si frattura. È ricoperta di monossido di carbonio ghiacciato e non presenta alcun cratere d’impatto sulla sua pur vastissima area. Siccome nel corso della sua storia Pluto-ne è stato pesantemente bombardato da asteroidi e meteoriti, l’assenza di crateri significa che qualche processo geologico ne ha cancellato le tracce.

SUPERFICIE GIOVANE. Quale mecca-nismo di ringiovanimento superficiale opera su Plutone? È questo il più intri-gante dei problemi che la New Horizons pone ai geologi. Che la crosta di un pia-neta dall’interno caldo, come la Terra, sia teatro di attività geologiche è nell’ordine delle cose; che lo stesso avvenga su un piccolo gelido mondo, come è Plutone, è però un dato assolutamente spiazzante.

Non solo il “cuore”, ma anche larga parte della superficie di Plutone risulta rinno-vata di recente. I crateri d’impatto sono infatti rari, perlopiù concentrati in una regione scura equatoriale, e tutti par-zialmente degradati da processi che ne erodono i contorni.E non è finita. Ovunque su Plutone si os-servano picchi montuosi. Cosa li ha ge-nerati? La crosta plutoniana dev’essere

30%La percentuale del ghiaccio nella composizione di Plutone. Il restante 70% della massa è invece roccia.

Il nano ghiacciatoPlutone è un oggetto strano: è un corpo roccioso e piccolo, come i pianeti terrestri, collocato però nel regno dei pianeti giganti e gassosi. Dal 2006 non è più considerato un pianeta, ma un “pianeta nano”.

MOVIMENTO SINCRONIZZATO.Plutone e Caronte mostrano l’uno all’altro sempre la stessa faccia. In altre parole, da una faccia di Plutone si vede sempre la stessa faccia di Caronte, dall’altra non lo si vede mai (sotto).

LE LUNE.Plutone ha 5 lune accertate: Caronte, Styx, Nix, Kerberos e Hydra. A parte la prima, le altre sono oggetti piccoli, di forma irregolare.

CARONTE. La luna principale di Plutone (qui a sinistra in una visione artistica, ma in proporzione allo spaccato del pianeta) fu scoperta nel 1978. I primi dati di New Horizons mostrano un terreno ghiacciato, relativamente liscio.

IL SIMBOLO.Monogramma “PL” che evoca il nome del pianeta e di Percival Lowell, che fondò l’osservatorio da cui fu scoperto.

PIANETA DOPPIO.Caronte è grande circa la metà di Plutone. Per questo il sistema è una sorta di “pianeta doppio” che orbita attorno a un punto comune.

Plutone

Sole

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molto sottile, ma comunque l’orogenesi richiede spinte ed energie di cui non si intuisce la fonte. Se da noi le montagne sono rocce con una sottile copertura di ghiaccio, qui sono fatte unicamente di ghiaccio: si pensa che, alla loro base, il ghiaccio d’acqua sia così indurito dalla temperatura da riuscire a sostenere il peso di massicci alti fino a 3.500 m, come quelli osservati. «Queste immagini ci obbligano a riconsiderare i meccanismi geologici in atto su tutti i corpi ghiaccia-ti del sistema solare», ha commentato John Spencer, geologo della Nasa.Le ipotesi avanzate per spiegare il rin-novamento della crosta sono al momen-to due: la prima è che Plutone si dia un “belletto” sotto forma di neve di metano, azoto, monossido di carbonio, le sostan-ze volatili che si osservano a chiazze in superficie, che potrebbero sublimare

UNA CALOTTA SCURA.Caronte ha una superficie abbastanza uniforme;

la cappa polare ha una colorazione rossastra.

CONFRONTO IMPIETOSO.Il diametro di Plutone (2.370 km) paragonato a quello

di Caronte (1.207 km) e della Terra (12.742 km).

INCONTRO AVVENUTO.Tecnici e scienziati esultano

all’annuncio che il sorvoloha avuto pieno successo.

NUCLEO.Composto da ferro, nichel e silicati. Le dimensioni precise non sono note.

CROSTA.Acqua, azoto e metano ghiacciati.

ATMOSFERA.

MANTELLO.È un ampio strato di acqua ghiacciata.

Distanza media dal Sole

5.874.000.000km

Periodo orbitale 247,68 anni

Raggio medio 1.186 km

Massa (Terra = 1)

0,002

Temp. media –229 °C

Inclinazione asse

122°

2%Altri gas

98%Azoto

I NUMERI DI PLUTONE.

ORBITA. L’orbita di Plutone è molto inclinata e allungata rispetto a quelle degli altri pianeti.

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ECLISSI ANULARE.L’ombra di Caronte si proietta su Plutone in una illustrazione artistica.

e in seguito precipitare al suolo. Oppure potrebbe essere attivo qualche meccani-smo geologico, alimentato da non si sa quale fonte interna d’energia. I planeto-logi sembrano propensi a privilegiare la seconda, anche perché la miriade di pic-cole buche scure che si scorgono nella Tombaugh Regio assomigliano alle boc-che da cui sbuffano i geyser di Tritone, il grande satellite di Nettuno, un mondo che spesso viene avvicinato a Plutone (se ne sospetta un’origine in comune). An-che Tritone è un mondo gelido, eppure è vivo. Però, mentre l’interno di Tritone viene mantenuto caldo dalle maree in-dotte da Nettuno, su Plutone l’interazio-ne di marea con il piccolo Caronte non basta per giustificare tanta esuberanza geologica. In ogni caso, finora non sono stati identificati né geyser attivi, né crio-vulcani, cioè vulcani di ghiaccio.

cromatica la cappa polare, scura e rossa-stra per la presenza di sostanze organi-che esposte al bombardamento dei raggi cosmici. Tali sostanze potrebbero essere state risucchiate direttamente dalla te-nue atmosfera di Plutone. Caronte ha in comune con Plutone una superficie povera di crateri da impatto: sembra una pazzia solo pensarlo, ma pure il satellite potrebbe essere geologicamente attivo.E gli altri satelliti? Styx, Nix, Kerberos e Hydra sono oggetti talmente piccoli che anche nelle immagini ravvicinate della New Horizons occupano solo una man-ciata di pixel. Si tratta di corpi di forma irregolare, le cui dimensioni vanno da 20 a 50 km.

PIÙ GRANDE DEL PREVISTO. Anche di Plutone, per la prima volta, si sono potu-te prendere le misure precise, scopren-do che negli anni scorsi il suo diametro era stato sottostimato: il pianeta nano ritorna così a essere il corpo di maggiori dimensioni tra tutti gli oggetti transnet-tuniani della Fascia di Kuiper.

Plutone potrebbe avere al suo interno qualche fonte di energia ancora non spiegata

CARONTE GHIACCIATO. A proposito di Caronte, le immagini del satellite con-fermano quanto si era appreso dalle oc-cultazioni mutue. La colorazione è mol-to diversa da quella di Plutone: mentre questo è rossastro e brillante, il satellite è grigio e opaco. Mentre il primo, secon-do le ultime ipotesi, è fatto per il 70% di rocce e per il 30% di ghiacci, su Caron-te il contributo è pressoché paritario. Mentre Plutone è ricoperto di azoto, di metano e di monossido di carbonio ghiacciati, la superficie di Caronte è una lastra di ghiaccio d’acqua. Non ci sono regioni montuose e i terreni sono più uniformi, con l’eccezione di un sistema di fratture che si snoda per un migliaio di chilometri all’altezza dell’equatore e di un canyon profondo 9.000 metri che corre per centinaia di chilometri in di-rezione nord-sud. Rompe la monotonia

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Minuscole luneNIX E HYDRA. La New Horizons ha osservato anche i piccoli satelliti di Plutone, individuati in anni recenti. Di Nix e di Hydra, scoperti nel 2005 da immagini prese con il telescopio spaziale Hubble, ha rilevato anche le dimensioni: 42x36 km il primo, 55x40 km il secondo. Nix ha una grossa macchia rossastra che occupa buona parte di un emisfero. Quando scriviamo, non si ha notizia che la navicella abbia osservato anche i restanti satelliti, ancora più piccoli, ultimi arrivati nella famiglia di Plutone, Kerberos e Styx, scoperti nel 2011 e nel 2012, né che ne abbia rivelati di nuovi. Sono tutti oggetti che ruotano caoticamente su se stessi: sulla loro superficie, un giorno il Sole sorge a est, un altro a nord, un altro a sud...

MONTAGNE E PIANURE.Sopra, picchi alti fino a 1.500 m. I terreni scuri sono quelli più antichi.

RETICOLO DI CREPE.

Particolare della Tombaugh Regio.

La zona è attraversata da

crepe sottili. In basso a destra,

il ghiaccio è punteggiato

da buche che sembrano

bocche di geyser.

A FORMA DI CUORE.Il disco di Plutone mostra

una regione chiara, a forma di cuore, detta Tombaugh

Regio, priva di crateri.

A usurpargli il titolo era stato Eris, un pianeta nano scoperto nel 2005 dal team di Mike Brown, l’astronomo del Caltech soprannominato “il killer di Plutone” per il ruolo che ebbe nella decisione di degradare Plutone da pianeta a pianeta nano (è bene dirlo: per ragioni che non riguardano solo le dimensioni).Ebbene, Eris ha un diametro di 2.326 km. Plutone di 2.370 km. Grazie alla New Ho-rizons, il Nostro si è preso la sua bella ri-vincita.Corrado Lamberti

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Miracolo a MilanoIl 24 aprile un ragazzo è rimasto per 40 minuti sott’acqua. Tutti si aspettavano che fosse morto. E invece... Ecco la cronaca del recupero. Con una conclusione sorprendente.

16:55 L’incidenteIl pomeriggio di venerdì 24 aprile 2015, a Castelletto, frazione di Cuggiono, a nord di Milano, faceva caldo. Quattro quindicenni in costume da bagno e scarpe da tennis si buttavano in acqua dalla sponda sinistra del Naviglio Grande, una decina di metri a monte del ponte, e, trasportati dalla corrente tumultuosa, passavano sotto l’arcata di sinistra e riprendevano terra al lavatoio, una sessantina di metri a valle, poi risalivano correndo via al Ponte per rituffarsi.IMPIGLIATO. Non si sa quante volte si sia tuffato Michi M., 1,70 m di altezza per 60 kg di peso, e certo l’acqua del Naviglio era ancora fredda, 13,5 °C diranno i vigili del fuoco. Poco prima delle 17, l’ultimo tuffo, dal quale non era riemerso. I compagni lo avevano visto in trasparenza, dal ponte, dibattersi sul letto del canale, il piede destro imprigionato fra le alghe. Si erano ripetutamente tuffati per cercare di liberarlo, ma lì la corrente faceva imbuto e li trascinava via impedendo loro di soccorrere il compagno. Dopo poco Michi aveva smesso di dimenarsi ed era rimasto immobile sul fondale, prono, la gamba sinistra leggermente piegata, il capo verso il ponte.

17:28 Primi soccorsiLa telefonata al 115 era arrivata alle 16,58: a chiamare erano stati i carabinieri di Cuggiono: avevano raccontato che il ragazzo era in acqua da 5-7 minuti e cercavano i sommozzatori dei vigili del fuoco. Alle 17,04 era partito il camion con i sommozzatori a sirene spiegate: 37,6 km nel traffico di punta del venerdì sera: erano arrivati sul posto alle 17,28, in 24 minuti. «Avevano già la tuta addosso e l’autorespiratore quando sono scesi dal camion», racconta Rossella Giacomello, 52 anni, medico rianimatore di turno quel pomeriggio all’elisoccorso e giunta al Naviglio alle 17,20. «In due, legati a una cima, lo hanno tirato fuori. Sulla mia scheda c’è l’ora: 17,35».

a cura di Amelia Beltramini

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18:50 RicoveroQuando Alberto Zangrillo, responsabile dell’équipe cardio-toracico-vascolare dell’ospedale San Raffaele di Milano, l’aveva preso in consegna, Michi aveva una temperatura interna di 30 °C. L’équipe gli aveva inserito nell’arteria e nella vena femorale della gamba le cannule dell’Ecmo, l’ossigenatore extracorporeo a membrana: una macchina che sostituisce sia l’attività cardiaca sia quella respiratoria facendo circolare il sangue, ossigenandolo e riscaldandolo lentamente. IL RECUPERO. Successivamente il cuore era ripartito in modo autonomo senza danni coronarici da infarto. Poi il ragazzo aveva ripreso conoscenza e a una settimana dal ricovero una Tac e poi una risonanza magnetica avevano dimostrato che sì, c’erano piccole lesioni circoscritte, compatibili con un quadro neurologico che evolveva verso la normalità. Un solo effetto collaterale: l’amputazione della gamba destra sotto il ginocchio, frequente danno collaterale dell’Ecmo da ischemia acuta. Un mese dopo quel tuffo, Michi era stato dimesso in ottime condizioni.

Ma come ha fatto?A stringere i tempi all’osso, Michi è stato sott’acqua, senza respirare, almeno 40 minuti. Come abbia fatto a sopravvivere non se lo spiega nessuno. C’è il caso, riportato dalla rivista The Lancet, di una sciatrice di fondo norvegese rimasta sotto il ghiaccio di un lago per 79 minuti: la temperatura corporea, quando l’avevano ripescata, era di 13,7 °C, e dopo 5 mesi era tornata a lavorare in ospedale. Ci sono stati anche molti bambini salvati dal freddo, ma nel loro caso il piccolo volume consente una discesa rapida della temperatura corporea e il crearsi di un fenomeno simile all’ibernazione che riduce drasticamente il consumo di ossigeno delle cellule cerebrali e cardiache rallentando il danno. Nel caso di Michi, forse i ripetuti bagni ne avevano ridotto la temperatura corporea, forse il tuffo è stato fatto a polmoni pieni, consentendogli una buona ossigenazione iniziale. SENZA RISPOSTA. Ma non basta: le tabelle dicono che a 29 °C di temperatura corporea l’arresto cardiocircolatorio può protrarsi senza danni cerebrali per 10 minuti, non di più. Nessuno sa spiegarsi gli altri 30. «Questo è un terreno in gran parte inesplorato», hanno detto tutti i rianimatori che Focus ha consultato, «ne abbiamo già parlato a un congresso: nessuno sa spiegarsi questo caso».

18:20 In elicotteroMichi era in arresto cardiocircolatorio quando Giacomello lo aveva preso in consegna: nei polmoni c’era abbondante liquido schiumoso. La sua temperatura interna, misurata con sonda in faringe, era di 29,5 °C. Sperando nell’effetto protettivo del freddo, Giacomello e l’équipe dell’elisoccorso avevano intubato e ventilato artificialmente il ragazzo insufflando l’ossigeno nei polmoni con un pallone di rianimazione, mentre il massaggio cardiaco esterno sostituiva il circolo del sangue anche se il cuore era fermo. Verso le 18 era ripartito il cuore e il battito si era mantenuto per almeno 12 minuti, per poi riarrestarsi per aritmia. Giacomello lo aveva defibrillato: dovrà ripetere la manovra almeno altre 4 volte. Intanto Michi era stato trasportato all’elicottero, che era decollato alle 18,20 per atterrare alla piazzola dell’ospedale San Raffaele alle 18:34. Poi l’autolettiga fino al Pronto soccorso e la corsa interna in barella fino alla cardiochirurgia dove Michi era arrivato alle 18:50.

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SOTTO IL SOLE DELL’AVVENIRE.Kim Jong-Un all’alba sul sacro Monte Paektu, il più alto della Corea del Nord.

TRE GENERAZIONI

TUTTO IN FAMIGLIA. Il regime di Pyongyang è un affare di famiglia. Il padre della patria è Kim Il-Sung, il “Grande Leader”, eroe della resistenza anti-nipponica durante la Seconda guerra mondiale. Salito al potere nel 1948, fu lui il creatore dell’ideologia del Juche (autosufficienza). Alla sua morte, nel 1994, gli è succeduto il figlio Kim Jong-Il, il “Caro Leader”, che ha ulteriormente sviluppato il programma nucleare del padre. Dal 2011 è al potere il suo terzogenito Kim Jong-Un, il “Brillante Compagno” o “Supremo Leader”.

Mondo

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Nel regno del Brillante CompagnoBufale, depistaggi, test nucleari...

Cosa succede davvero in Corea del Nord, dietro la facciata

delle foto ufficiali dove splende il sorriso di Kim Jong-Un?

A cura di Fabio Massi

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Formalmente il Paese è in guerra con la Corea del Sud dal 1950

PASSIONE SPORTIVA

STADI PER TUTTI. Il Brillante Compagno, oggi 32enne, è un appassionato di calcio e di basket. Così ha dato impulso allo sport, investendo molto in nuove strutture, con l’obiettivo di rilanciare all’estero un’immagine più sana e moderna del Paese, alimentando nel contempo l’orgoglio nazionale. I cittadini sono “invitati” a partecipare in massa a ogni evento sportivo, e le vittorie degli atleti nordcoreani nelle manifestazioni internazionali sono salutate come trionfi del popolo.

TRA GLI SQUALI.L’acquario di un campo estivo per bambini nella

città portuale di Wonsan.

TOP GUN D’ASIA.Kim Jong-Un tra piloti militari e operatori della contraerea.

COME BAMBINI.Su una giostra del parco

di divertimenti Rungna, nella capitale Pyongyang.

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TUTTO VERO?

CANI E CANNONI. Le notizie che escono dal Paese sono filtrate: è difficile, perciò, capire che cosa accada davvero. Tra le novità più eclatanti di cui i media hanno parlato di recente, ma sulle quali mancano prove certe, l’uccisione dello zio di Kim Jong-Un, fatto sbranare dai cani per tradimento; l’esecuzione con un cannone del ministro della Difesa, reo di essersi addormentato durante un evento militare; e la condanna a morte di tutta la nazionale di calcio per aver perso contro i cugini del Sud.

ECONOMIA DI REGIME

INDUSTRIE E AGRICOLTURA. Il sistema economico è interamente pianificato dal regime. La principale risorsa è l’industria (42,8% del Pil), soprattutto militare, estrattiva e metallurgica, mentre l’agricoltura pesa per il 24,6% e i servizi per il 32,6%. La Cina è il maggiore partner commerciale (75%), seguita – nonostante tutto – dalla Corea del Sud (15% circa). Negli ultimi anni il tasso di crescita del Pil sta viaggiando sull’1%, anche se il dato annuale pro capite è ancora tra i più bassi al mondo.

IN POSA DA CONTADINO.Il dittatore coreano in un campo coltivato (sopra) e in un allevamento di salmoni (a sinistra).

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Si stima che le spese militari sfiorino un quarto di tutto il budget dello Stato

IN FUGA VERSO IL SUD

VIAGGIO DIFFICILE. In Corea del Nord il dissenso non è ammesso: chi è sospettato di tradimento rischia la morte o la reclusione nei “campi di rieducazione”. L’anno scorso l’Onu ha divulgato un rapporto nel quale accusava il regime di crimini contro l’umanità: si ritiene che nei suoi gulag siano rinchiuse circa 200mila persone. Ogni anno centinaia di dissidenti provano a scappare attraverso il confine con la Cina; ma in pochi riescono a raggiungere la Corea del Sud, dove c’è un programma di recupero per i fuggitivi.

MINACCIA NUCLEARE

LO SPAURACCHIO DEI TEST. L’ultima prova di forza del regime nordcoreano è stato l’annuncio di aver sviluppato la tecnologia per miniaturizzare ordigni atomici da inserire nei missili a lunga gittata. Vero o falso che sia, il Paese asiatico è uno dei più militarizzati del mondo, con un esercito di oltre un milione di soldati, anche se resta un mistero la reale entità del suo potenziale bellico. La Corea del Nord ha effettuato diversi test nucleari che le sono costati pesantissime sanzioni da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

SIAMO A CAVALLO.Kim Jong-Un durante

l’ispezione a un campo di equitazione dell’esercito.

NON MI PIACE PER NIENTE!

Il Leader nel nuovo aeroporto di Pyongyang. Si

dice che abbia “epurato” (o

addirittura giustiziato) l’architetto

perché non gli è piaciuto il

progetto.

CON LE MANI IN PASTA.Il Supremo Leader in visita

alla principale fabbrica di lubrificanti nordcoreana.

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Basterà dire “scatta!” per farsi un selfie. E sarà un autoscatto talmente dettagliato – quasi una ricostruzio-ne virtuale del nostro viso – che volendo si

potrà persino stampare in 3D. Anche le altre foto che scatteremo con lo

smartphone ci offriranno possibilità finora impensabili: per esempio, dopo aver immortalato un panorama, potre-mo scegliere se mettere a fuoco le mon-tagne sullo sfondo o un fiore in primo piano, modificare la prospettiva e l’in-quadratura. C’è persino chi è pronto a scommettere che, ben presto, le fotoca-mere non avranno più bisogno di lenti!

PRIMA SCATTI, POI CI PENSI. Dovremo allora reimparare a catturare la real tà che ci circonda? Avremo a che fare con macchine fotografiche del tutto nuove? «Quando scattiamo una foto», spiega Christopher Chute, analista america-no esperto di innovazione digitale, «sia che stiamo usando lo smartphone sia che abbiamo tra le mani la più evoluta

MOLTE IN UNA.Sotto, una fotocamera

“light field” (Lytro Illum). Accanto, due versioni

di una stessa foto, dove la messa a fuoco è stata regolata dopo lo scatto.

FOTOMANIACI.Turisti che fotografano la Gioconda, al Louvre di Parigi.

Tecnologia

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Scattiamo nel futuro

Le foto di domani? Potremo metterle a fuoco come ci pare anche dopo averle fatte. E poi guardarle (e stamparle) in 3D.

delle fotocamere professionali, in realtà non facciamo altro che sfruttare la stes-sa tecnica inventata nei primi decenni dell’800 e che poi si è semplicemente affinata grazie all’avvento di nuove tec-nologie». Una tecnica che consiste nel catturare, al momento dello scatto, una certa quantità di “informazioni” relative alla scena che si para davanti a noi, con

lo scopo di ricostruirla in un’immagine. Proprio aumentare la quantità di infor-mazioni che riusciamo a immagazzinare al momento dello scatto è l’obiettivo di una serie di innovazioni (che sono allo studio o, in qualche caso, già disponibili) che finiranno per regalarci nuove e fino-ra inesplorate possibilità di “maneggia-re” le foto appena scattate.

NEL CAMPO DI LUCE. Oggi, infatti, quan-do premiamo il fatidico pulsante, cattu-riamo la realtà da un punto di vista che resta definitivo: in altre parole, gli “ele-menti” principali che determinano l’a-spetto di una fotografia (inquadratura, prospettiva, messa a fuoco) non saranno più modificabili e il risultato è un’imma-gine fissa, dove – per esempio – se un

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79%La percentuale delle foto (su un probabile totale di 1.272 miliardi!) che saranno scattate con uno smartphone nel 2017 (stima Worldwide Image Capture Forecast).

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stessa foto, ciascuna colta da un punto di vista leggermente diverso dall’altro. Il risultato è una immagine dove si può mettere a fuoco un determinato oggetto o punto, oppure modificare prospettiva e inquadratura: comodo, soprattutto in quelle situazioni dove fotografiamo “al volo”, senza il tempo per meditare lo scatto. Questo almeno in teoria, perché per ora la tecnologia “light field” è adot-tata da poche fotocamere professionali (la prima, prodotta dall’azienda america-na Lytro) e presenta qualche peccato di gioventù: non soltanto le foto hanno una risoluzione più bassa rispetto a quelle che scattiamo con le macchine tradizio-nali, ma per metterle a fuoco successiva-mente o cambiare la prospettiva bisogna di fatto usare un computer e “masticare” già i software per il fotoritocco.

PIÙ CHE MODIFICABILI. Sono comunque molte e superano ogni immaginazione le possibili ap plicazioni di questa rivolu-zione. Alcuni, come la società california-na Pelican Imaging, stanno pensando di introdurre il light field negli smartpho-ne, in modo da scattare foto “modifica-bili” anche con i telefonini. Non solo. Per gli ingegneri di Pelican, con un semplice clic sullo smartphone saremo in grado di costruire immagini 3D così realisti-che che potremo esplorarle come in un videogame o in una real tà virtuale. E ad-dirittura darle in pasto a stampanti 3D per costruire un modellino dell’oggetto o della persona fotografata.

volto è venuto sfocato, non si potrà inter-venire per metterlo a fuoco. Le cose stanno cambiando per merito di una nuova tecnologia chiamata “light-field” (campo di luce), messa a punto nell’Università americana Stanford dal ricercatore di origine malese Ren Ng.A differenza delle fotocamere “norma-li”, che riescono a captare la luce prove-niente da una sola direzione (v. schema a destra), quelle a campo di luce catturano flussi provenienti da diverse direzioni: grazie a una “matrice” formata da cen-tinaia di lenti, è come se a ogni scatto si registrassero altrettante versioni di una

Con il “light field”, si possono catturare le immagini in 3D. E poi esplorarle come in un videogame

DA PIÙ PUNTI DI VISTA.Una matrice con più lenti (16, nell’esempio, ma in alcuni modelli si arriva a 100) registra più versioni della stessa foto, che viene poi catturata dal sensore ed elaborata da un chip.

FA (QUASI) TUTTO IL SENSORE.Un sensore intelligente è incorporato in un sottile vetro dove è inciso un motivo geometrico, che “scompone” la luce. Un microchip, infine, ricostruisce l’immagine.

UN SOLO FLUSSO CATTURATO.La luce attraversa lenti e filtri, poi uno specchio devia l’immagine verso un display. Al momento del clic, lo specchio si sposta e l’immagine è catturata dal sensore.

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Tecnologie a confrontoCON UN CLIC. Quando scattiamo una foto, catturiamo un flusso luminoso con le informazioni relative all’oggetto, alla persona o al paesaggio che stiamo inquadrando con la fotocamera. Ecco come funzionano la tecnologia tradizionale e un paio tra le più innovative.

SCATTO E RICOSTRUISCO.Un’immagine del Project Tango di Google: un tablet per ricostruire in 3D l’ambiente circostante.

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4.096pixelÈ la dimensione di base di un’immagine ripresa in formato 4K (contro i 1.920 del formato video in alta definizione).

Anche Google, del resto, sta lavorando a qualcosa di simile col suo progetto Tan­go: la tecnologia adottata è diversa (per ora si tratta di un mix di fotocamere, sensori e scanner 3D incorporati in un tablet, o in uno smartphone, che effettua la scansione dell’ambiente circostante), ma il risultato finale è, anche in questo caso, una ricostruzione tridimensionale esplorabile, magari da condividere sui social network per consentire ai nostri amici di immergersi virtualmente nella stessa realtà in cui ci troviamo in quel momento: la spiaggia, un parco, lo sta­dio... «Per non parlare dei possibili van­taggi di cui godranno registi, fotografi e artisti multimediali», aggiunge Chute, «che potranno sperimentare nuove for­me creative, magari da sfruttare con i famosi visori di realtà virtuale la cui dif­fusione è ormai imminente».

ADDIO LENTI... Ma gli effetti di quella che gli specialisti hanno già ribattezzato “fo­tografia computazionale” (cioè la tecni­ca fotografica supportata da programmi evoluti e microchip sempre più potenti) potrebbero essere più ampi e riguardare persino l’aspetto stesso che avranno le fotocamere di domani. Per esempio potrebbe sparire il pulsan­te di scatto, sostituito da un semplice comando vocale (“Scatta!”), come già accade negli smartphone di ultima gene­razione. E addirittura le lenti stesse po­trebbero diventare un antico ricordo: l’i­dea è di un ingegnere americano, Patrick Gill, che ha messo a punto il prototipo di una fotocamera (Rambus) nella quale, al posto delle solite lenti, c’è un sensore “intelligente”. È incorporato in una mi­nuscola lastra di vetro dove è inciso un motivo geometrico – nel prototipo ha la forma di una spirale – che serve ad alte­rare (diffrangere) la luce: i singoli raggi vengono così deviati da queste incisioni e

«Il futuro della fotografia ci sorprenderà, riguarderà tutti

noi e non solo una minoranza di appassionati»

QUESTIONE DI DETTAGLI.Sopra, l’obiettivo sporgente di un iPhone 6: sparirà nei prossimi modelli. Sotto, il confronto tra un’immagine in HD e una in formato 4K.

quando giungono sul sensore producono un’immagine inizialmente confusa, che poi viene “rimessa in ordine” da un soft­ware che basa la sua ricostruzione pro­prio sugli effetti di questa diffrazione. Per adesso il risultato è di bassa qualità, ma la promessa è che, grazie a questa tecnologia senza lenti, si potranno ot­tenere fotocamere sottilissime (questi componenti hanno spessori di circa 0,1 mm!), con profondità di campo notevoli (da 1 mm a infinito) e dai costi di produ­zione molto contenuti (pochi centesimi di euro). In attesa di farle sparire del tutto, c’è però chi sta lavorando a rendere le lenti più sottili, come i progettisti di Linx, società che è stata da poco acquistata da Apple. Il loro sistema non si basa sul solito uni­co, grande sensore, ma su una serie – da 2 a 4 – di formato più piccolo, che rende sufficiente l’uso di una lente anch’essa di dimensioni più contenute: se nel prossi­mo iPhone, a differenza dell’attuale, non troverete più quell’antiestetico “scalino” in corrispondenza dell’obiettivo (che ha

fatto storcere il naso ai puristi del design) sapete già a chi rendere merito!Ed è grazie a software e chip sempre più potenti che, col telefonino, potremo fare cose che oggi sono un’esclusiva delle fo­tocamere professionali, come elimina­re in modo efficace l’antipatico effetto mosso dovuto al tremolio della mano (l’azienda californiana Light, per esem­pio, sta mettendo a punto un software che sfrutta i giroscopi impiegati nei vi­deogame dei cellulari) o girare video in altissima definizione (nel formato 4K).

CHI SOPRAVVIVERÀ. Ma se le fotocame­re degli smartphone diventeranno all’al­tezza (o migliori) delle tradizionali, che ne sarà di queste ultime? «Gli smartpho­ne finiranno per impadronirsi sempre più del mercato», spiega Chute, «ma non è detto che uccideranno le macchine fo­tografiche, anzi. Queste ultime potreb­bero “rubare” funzioni presenti sugli smartphone, come quelle che ci consen­tono di ritoccare le immagini appena scattate o di condividerle in Rete senza passare per un computer. Si tratterà di modelli di alta qualità, come le reflex, usate da professionisti o da grandi appas­sionati. La specie che rischia invece l’e­stinzione», conclude Chute, «è quella delle compatte di fascia media, che han­no già patito per l’arrivo degli smartpho­ne. Quel che è certo, però, è che il futuro della fotografia riguarderà tutti noi e non solo una minoranza di appassionati». Giulio Boresa

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TUTTI SCHIERATI.Raccolta di cotone in Brasile, uno dei primi 5 produttori al mondo.

Economia

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L’ORO BIANCO

Il cotone è coltivato e filato da millenni. Ha segnato fin dall’inizio la Rivoluzione industriale. E, ancora oggi, la sua produzione aumenta.

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Con lui sono nate la fab-brica, il capitalismo e la Rivoluzione indu-striale. Ha fatto parla-re di sé storici antichi come Erodoto, Plinio e Strabone, riempito

di denari le borse di Marco Polo, ispirato le riflessioni di Marx e le lotte anticolo-niali di Gandhi. Avvolge i nostri corpi e il nostro sonno, ma anche quelli delle mummie egizie. Lo accarezziamo pro-vando un abito e quando maneggiamo i soldi per pagarlo. E ancora, della cel-

lulosa che lo compone troviamo traccia in alcuni esplosivi, nei cavi elettrici, nel sapone, negli oli vegetali, nelle pagine stesse che state leggendo.

20 MAGLIETTE. Insomma, il soffice co-tone è davvero “il tessuto delle nostre vite”, come recita una pubblicità statu-nitense. La sua stagione di gloria, quella in cui disegnò lo sviluppo industriale del mondo guadagnandosi il soprannome di “oro bianco”, è ormai lontana nel tempo. Eppure ancora oggi ogni anno si produ-cono circa 30 milioni di tonnellate di

questa fibra, l’equivalente di una ventina di t-shirt per ogni abitante del pianeta; messe una accanto all’altra, le balle di cotone coprirebbero una volta e mezza la circonferenza del globo. Numeri di un successo che è legato anche all’incredi-bile ubiquità di questa pianta: «L’area di diffusione delle diverse varietà della specie Gossypium (questo il suo nome scientifico) è una “fascia” che dai 40 gra-di di latitudine nord ai 30 di latitudine sud abbraccia l’intero pianeta», spiega Stefano Dotti, docente di Ingegneria dei materiali tessili all’Università di Berga-mo. In sostanza è l’anello che racchiude il clima tropicale e subtropicale del globo: oggi comprende un’ottantina di nazioni, ma se andiamo indietro nel tempo, que-sta varietà geografica diventa ancora

L’area di diffusione del cotone abbraccia l’intero pianeta. E il suo uso è noto da 5mila anni. Ma in Europa fu merce di lusso fino al Rinascimento

IL PAPERONE DEL BATUFFOLO

INVENZIONI PREZIOSE. Cotone e genialità, ecco il segreto del successo. Almeno stando alla biografia di Richard Arkwright, inventore inglese. Classe 1732, era nato a Preston, in Gran Bretagna, ultimo dei 13 figli di un sarto. Mandato a bottega da un barbiere, ideò una tintura impermeabile per parrucche che gli procurò i primi fondi con cui dedicarsi alla meccanica. Nel 1769 il brevetto del suo filatoio ad acqua, azionato dalla forza idraulica, imprimeva una svolta formidabile alla nascente automazione dell’industria tessile. Sei anni dopo ideò un macchinario per cardare che trasformava i batuffoli di cotone in fibre pronte per la filatura. Arkwright lo sperimentò con successo nella sua prima fabbrica interamente meccanizzata a Cromford (nella foto, nel 1970), seguita da altre inaugurate in varie parti dell’Inghilterra e azionate da nuovi motori a vapore.

ALTA QUALITÀ.Un operaio al Cairo, in

Egitto. In questo Paese si produce il cotone

di migliore qualità.

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IN TUTTO IL MONDO.Il cotone ha bisogno di molta acqua ma clima secco durante il raccolto. Può essere coltivato in entrambi gli emisferi nelle regioni tropicali e subtropicali.

Arriva il cotone transgenico: l’Argentina converte un milione di ettari di terra per il raccolto del 1997/8.

A Manchester aprì la prima filanda inglese. La città diventò il più importante centro mondiale del cotone.

L’industria del cotone ha dovuto affrontare la concorrenza delle fibre artificiali e derivate dal petrolio.

I Fenici dall’Egitto e Alessandro Magno dall’India portarono il cotone in Europa.

Nell’antico Egitto il cotone era usato prima del lino. Le persone comuni usavano cotone grezzo, i ricchi varietà più raffinate.

La filatura e la tessitura del cotone come industria iniziò in India.

I PRODUTTORI PRINCIPALI

Brasile

Pakistan

Usa

India

Cina

1,9

2,2

3,6

5,9

7,2

Totale nel mondo: 26,7 milioni di tonnellate

Fiore

SteloBrattee

Semi avvolti dai peli

Capsula

Carpello

La lunghezza delle fibre determina la qualità, che dipende però anche da spessore e resistenza. Le fibre lunghe sono usate per i tessuti più pregiati.

Fiocchi

Foglia

1A settanta giorni dalla semina, appaiono i primi

fiori. Sono gialli e possono raggiungere i 5 cm di diametro.

2 Il frutto ha cinque cavità nelle quali i semi sono

avvolti in lunghi peli unicellulari che costituiscono la fibra del cotone.

3Alla fine dell’estate i frutti cominciano ad aprirsi,

“mostrando” i morbidi ciuffi bianchi. Quando sono completamente aperti si possono raccogliere.

Dal fiore al fioccoINSOSTITUIBILE. È la fibra naturale più usata nell’industria. A cosa deve questo primato? Alla resistenza, alle diverse varietà, alla comodità, alla facilità di lavaggio... Vediamo insieme come e dove nasce. Cominciando dall’inizio.

1

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3

SEMINA E RACCOLTO IN ARGENTINA

Semina: ottobre - dicembreRaccolto: marzo - giugno

1,20

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Fiore

FiocchiFrutto

2800 A.C. 1500 A.C. 333 A.C. 1641 1747 1950 1996

SUL FILO DEL TEMPOIl rapido sviluppo industriale fece impennare la domanda di cotone esportato dagli Usa. Gli schiavi ne pagarono le conseguenze.

IL CICLO DELLA PIANTA

Nord America

Sud America

Africa

Asia

Oceania

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Dati in milioni di tonnellate (2011-12)

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Stati del Sud degli Usa nella produzio-ne – sull’utilizzo massiccio degli schiavi per la raccolta. Ma nel regno del candido “Re Cotone”, com’era baldanzosamente chiamato dagli Stati confederati del Sud schiavista, le catene dei neri d’America furono solo uno dei tanti aspetti oscuri.

FABBRICHE E ARTIGIANI. Mentre infat-ti gli imprenditori inglesi e i proprietari terrieri americani si arricchivano, i pic-coli produttori del Sud del mondo ve-nivano spazzati via, ridotti a coltivatori salariati e compratori, a loro volta, delle stoffe industriali create dalle fabbriche di Manchester e del Lancashire, dove donne e bambini coprivano turni di 18 ore nelle nuove catene di montaggio. La torre di Babele del cotone resistette oltre un secolo e mezzo, per poi crolla-re rovinosamente. Decolonizzazione, democrazia, due guerre mondiali e il diffondersi delle tecnologie industriali alla fine ebbero ragione delle fabbriche d’Oltremanica, che ancora negli Anni ’60 del secolo scorso chiudevano i bat-tenti al ritmo di una alla settimana. Al

Con questa fibra è tessuta la trama di molte tragedie. Dallo schiavismo negli Usa a quello delle fabbriche inglesi nell’800

MONTAGNE DI FIOCCHI. Uno stabilimento in Cina (a Yuli, nella

regione dello Xinjiang): il Paese è il maggior produttore mondiale di cotone.

più evidente. Dalla regione indiana del Gujarat all’isola indonesiana di Sulawe-si, lungo le rive dell’Alto Volta o del Rio Grande, dalle valli della Nubia allo Yu-catán, famiglie di tre continenti hanno coltivato questo vegetale vecchio di 20 milioni di anni, separando a mano la fit-ta peluria bianca che avvolge i suoi semi dentro le capsule dei frutti, per poi filare e tessere la fibra nelle proprie case.

DALL’INDIA. E il Vecchio Continente? Climaticamente inadatto a produrla, per molto tempo questa fibra fu preclusa alla maggioranza dei suoi abitanti: studiosi e marinai ne parlavano in termini quasi leggendari, legandola a viaggi in terre re-mote. In India, invece, la manifattura del cotone era già vecchia di millenni quan-do nel IV sec. a.C. vi giunsero le truppe di Alessandro Magno, vestite di scomo-da lana: il “colpo di fulmine” con il fre-sco tessuto creò le basi di un florido com-mercio col Vicino Oriente, che solo molti secoli dopo, agli albori del Medioevo, l’e-spansione dell’islam portò stabilmente in Europa (qutun è una parola araba). Con il XII secolo la conquista normanna della Sicilia portò i segreti della lavora-zione del cotone nel Nord Italia: città già rodate nella manifattura della lana come Biella, Prato e Valdagno divennero i punti di riferimento del settore, lavo-rando le fibre che iniziavano ad arrivare in quantità dall’Anatolia e dall’attuale Siria nei porti di Genova, Pisa e Venezia. L’invenzione dell’arcolaio nel Trecento e l’entrata in gioco della Germania este-sero le dinamiche di questo commercio, il cui punto di debolezza però rimaneva lo stesso: l’estrema distanza dai luoghi di produzione non permetteva il controllo sulle coltivazioni. Come risultato, il co-tone rimase un prodotto d’élite e gli eu-ropei continuarono a vestirsi soprattut-

to di lana, lino, canapa o, se ricchi, di seta. La scoperta delle Americhe e l’istituzio-ne delle Compagnie delle Indie britan-nica e olandese agli inizi del XVII secolo posero le basi di un nuovo e aggressivo mercato: cento anni più tardi, tessuti esotici d’importazione come il calicot e il chintz erano divenuti così popolari da spingere alcuni Paesi europei a ema-nare leggi protezionistiche per tutelare la produzione delle loro manifatture nazionali. Ma nella seconda metà del Settecento questo scenario, insieme con l’economia del mondo intero, cambiò per sempre. I nuovi filatoi meccanici creati da intraprendenti inventori inglesi come James Hargreaves e Richard Arkwright (v. riquadro alla pag. precedente), uniti alle quasi illimitate possibilità di approv-vigionamento dell’Impero britannico, posero il cotone al centro della nascente Rivoluzione industriale e diedero all’In-ghilterra le chiavi di un nuovo mercato globale: un assetto economico basato sul controllo diretto della produzione, la coltivazione intensiva e infine – dopo l’ingresso di Georgia, Louisiana e altri

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Altro artificialePoliestereCotone

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20152005 2010 2020Previsione

FAME DI TESSUTI

CONCORRENZA. Il consumo globale di tessuti aumenta, e si prevede che nel 2020 supererà i 100 milioni di tonnellate (sulla verticale del grafico a fianco). Nonostante questo, il cotone perde sempre più terreno rispetto ad altre fibre artificiali, come il poliestere.

loro posto tornarono pian piano sul po-dio gli antichi produttori. «Cina e India, insieme, coprono oggi quasi metà della produzione del pianeta», precisa Dotti. «Sulla qualità tuttavia non c’è partita: le migliori in assoluto sono le fibre egiziane della varietà Makò». Sebbene detronizzato dall’avvento del poliestere e degli altri tessuti sintetici, “Re Cotone” mantiene le sue rendite di posizione sul mercato mondiale. Merito anche delle peculiarità della pianta, di-sponibile alla raccolta tutto l’anno per-ché presente in entrambi gli emisferi. Non solo: come 200 anni fa in Inghilter-ra, ancora adesso è la “porta d’ingresso” dell’industrializzazione per le economie dei Paesi in via di sviluppo.

COSTI AMBIENTALI. Neppure un mate-riale così semplice, però, è rimasto im-mune alle novità e alle nanotecnologie: «Trattamenti ai sali d’argento per le pro-prietà anti-acari delle lenzuola, biossido di titanio per l’asetticità dei tessuti a uso sanitario, biossido di silicio per rendere idrorepellente il tessuto contro numero-

se sostanze chimiche nocive... e così via», spiega Dotti. A partire dagli Anni ’90, la domanda di cotone ha però seguito una tendenza inversa, preferendo a un pro-dotto “tecnico” uno al 100% biologico. Questa im magine naturale ed ecososte-nibile, purtroppo, è vera solo in parte. La coltivazione del cotone, infatti, ha un forte impatto sull’ambiente: «Per pro-durre 1 kg di cotone servono in media 1 kg di pesticidi e 100 litri di acqua. Memo-rabile a questo proposito lo scempio am-bientale del Lago Aral, tra Uzbekistan e Kazakistan: un tempo uno dei bacini più

grandi del mondo, ora ridotto ai minimi termini da decenni di drenaggio intensi-vo per le piantagioni dei due Paesi». Dal sudore degli schiavi ottocenteschi alle risorse idriche, fino alle autocisterne di micidiale Ddt, la costante storica del cotone sembra insomma quella di esige-re da sempre, in barba alla sua leggerez-za, pesanti contropartite. Fu per questo forse che gli Aztechi, ma anche i Cinesi, videro proprio nel cotone la moneta ade-guata con cui assolvere l’onere più gravo-so: le tasse. Adriano Monti Buzzetti Colella

COME UNA VOLTA. In una tintoria egiziana, al Cairo, dove si colorano in modo naturale i tessuti: come tinta si usa la radice di robbia,

utilizzata allo scopo fin dall’antichità.

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Le labbra rosse dei Bronzi di Riace

Volti e corpi non erano verdi, né spogli come ora: una ricostruzione scientifica svela l’aspetto originale dei guerrieri.

Alto (poco meno di due metri) e muscoloso lo è sempre stato. Adesso che è anche abbronza­to, e per giunta con le armi in pugno, ha dav­vero un’aria poco rac­

comandabile. Attenzione: non parliamo di un bulletto di periferia e neanche di una star hollywoodiana di action movies, ma di uno dei tesori d’arte che il mondo ci invidia: il Bronzo di Riace A, detto “il giovane” (a destra). O meglio, la sua copia a grandezza naturale, creata con moder­ne tecnologie dall’archeologo tedesco Vinzenz Brinkmann del Liebieghaus Museum di Francoforte, che dopo un attento studio dell’originale conservato a Reggio Calabria ha prodotto una ri­costruzione scientifica della statua così come doveva apparire 2.500 anni fa.

Il risultato, esposto in questi giorni a Milano nella mostra “Serial Classic” al­lestita dagli archeologi Salvatore Settis e Anna Anguissola presso la Fondazione Prada, è qualcosa a cui l’occhio dei mo­derni si deve abituare: il colore naturale del bronzo di nuova fusione, libero dalle ossidazioni del mare patite dai veri guer­rieri di Riace, si aggiunge a quello dora­to dell’elmo, dello scudo e della lancia scomparsi e ricreati ex novo, nonché alla ritrovata vividezza di dettagli policromi già noti e presenti sull’originale come la dentatura d’argento, le cornee di mar­mo, il rosso del rame per labbra, ciglia e capezzoli. Il risultato è un piccolo shock per l’osservatore contemporaneo, edu­cato a una visione monocromatica della scultura antica dalle suggestioni del Neo­classicismo settecentesco di Canova, ma ancor più dalla visione del pioniere

Storia

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TORNATO A NUOVA VITA.

Pelle scura, labbra rosse,

elmo corinzio: ecco il bronzo

di Riace A (il giovane), nella

ricostruzione dell’archeologo

tedesco Vinzenz Brinkmann.

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sidazione ma anche come legante per pigmenti, oltre che come colore in sé».

ELMO E SCUDO. La versione “ravvivata” del guerriero, ricostruita da Brinkmann e dalla moglie Ulrike analizzando l’antico manufatto con modernissime scansioni a frange di luce (v. foto in alto a sinistra), si presenta corredata dei suoi “ferri del mestiere” perduti, ma con tracce ancora evidenti sull’originale: un oplon, il pe­sante scudo rotondo dei fanti greci, e una lancia appoggiata sull’avambraccio de­stro, le cui forme e dimensioni sono state dedotte da fonti archeologiche dell’epo­ca. In aggiunta a questi due accessori la ricostruzione ne ipotizza un terzo, la cui presenza è suggerita da un perno al cen­tro della testa: un elmo corinzio, tirato in­dietro sulla fronte per rendere visibile la fascia regale (tenia) che cinge la fluente

SOTTO SCANSIONE.Qui a fianco, la

scansione con la quale è stato

analizzato il Bronzo A. Di lato, alcuni

particolari. Gli occhi (1), nella

ricostruzione, sono stati realizzati in pietra e vetro; la

bocca (2) è rinata col rame, mentre i denti sono stati rivestiti di foglia color argento.

Infine i capezzoli (3) hanno

riacquistato vigore.

dell’archeologia Johann Winckelmann, per il quale il bianco immacolato delle statue non era un accidente del tempo ma una precisa scelta estetica.

BIANCO SOSPETTO. È lo stesso Brink­mann, uno dei massimi studiosi di poli­cromia di marmi e bronzi greco­romani, a confermarci l’enormità dell’equivoco: «In tutte le civiltà preindustriali, la bel­lezza è stata sempre legata a colori vividi. Il fatto che quelli delle statue svanissero col tempo, gli agenti atmosferici o l’in­curia era percepito come qualcosa di esecrabile. Non a caso il personaggio di Elena di Troia, archetipo della bellezza femminile e delle sventure da essa causa­te, in un passo dell’omonima tragedia di Euripide dice tra sé e sé: “Potessi imbrut-tire di colpo, come una statua da cui vengo-no cancellati i colori...”». Se dunque rosso carminio, verde malachite, blu egiziano e ogni altro pigmento conosciuto nell’an­tichità ricoprivano capelli, labbra, vestiti delle statue di marmo per accentuarne il realismo, le opere in bronzo inseguivano

invece il colore attraverso inserti di ma­teriali diversi come oro, argento, rame e pietre varie. Non solo: «L’analisi chimica sui Bronzi di Riace ha mostrato chiare tracce di trattamenti allo zolfo, elemento utilizzato da sempre per produrre pati­nature artificiali, e capace di indurre l’al­ta concentrazione di rame presente nel­la lega di bronzo a cambiare colore: dal rosso vivo al verde, al blu e anche al nero. In più le fonti antiche citano spesso l’ap­plicazione di bitume sulle statue di me­tallo, utilizzato per proteggerle dall’os­

Gli ultimi segreti dei guerrieriSCOPERTE. La sorprendente ricostruzione del Riace A (sopra) non offusca l’interesse verso i restauri conservativi che periodicamente si devono effettuare sugli originali. L’ultimo intervento, finito nel 2011, per esempio, ha permesso di stabilire che il guerriero “vecchio” (il Riace B) ha, in realtà, 50 anni in meno del Riace A. Lo hanno capito i ricercatori dell’Istituto superiore per il restauro (Iscr) analizzando i residui dell’antica argilla usata per la fusione. «Inoltre», spiega Paola Donati, che ha condotto i lavori, «contrariamente a ciò che si credeva, il Riace A ha le cornee fatte di marmo e non d’avorio, mentre il Riace B aveva ciglia di bronzo».

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In genere tutti pensano che le statue antiche fossero monocrome. In realtà avevano colori sgargianti

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TRUCCO E ACCESSORI.

A destra, particolare della

ricostruzione delle labbra.

Sotto, sempre il Bronzo A con

gli accessori aggiunti (elmo, scudo e lancia) che senz’altro

aveva nella versione

originale.

Chi erano i Bronzi? Forse due personaggi mitici: il re di Tracia Eumolpo e il re di Atene Eretteo

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capigliatura del “giovane”. Un personag-gio di rango, dunque, di cui l’inedito re-styling rende ancor più evidente l’atteg-giamento orgoglioso e sfidante. Il volto girato a destra, le labbra rosse semichiuse sulla dentatura scintillante: tutto sembra suggerire che l’eroe di bronzo interagisse in maniera aggressiva, o comunque dia-lettica, con qualcun altro. Chi? Il primo pensiero corre ovviamente al suo compa-gno di antiche disavventure navali: il Ri-ace B, avvistato insieme all’altro nel 1972 da un sub sui fondali dello Ionio, dov’e-rano probabilmente finiti dopo un nau-fragio. Caratterizzato da tratti più severi, è stato soprannominato “il vecchio”. «È probabile», aggiunge Brinkmann, «che a officine differenti sia no state commis-sionate sculture che appartengono in realtà a un singolo monumento». Anche il Bronzo B si presenta spoglio di armi e ornamenti, ma qui l’aspetto leggermente deformato e liscio della testa rende cer-ta la presenza di un copricapo, del quale rimangono però solo alcune placchette di rame coperte da piccole martellature. Analizzando con Salvatore Settis questi indizi, Brink mann è giunto a una con-gettura suggestiva: «Riteniamo molto

probabile che il Riace B indossasse l’alo-pekis, un berretto di pelle di volpe tipico dell’antica Tracia. Abbiamo in program-ma a breve ulteriori analisi per cercare di rafforzare l’ipotesi». Per un guerriero trace, teorizza Brink mann, le armi per-dute avrebbero potuto essere quelle tra-dizionali della sua terra: ascia bipenne (a due lame), arco e scudo.

IDENTITÀ SVELATA. Ma soprattutto l’ori-gine, qualora avvalorata, condurrebbe a una sola identificazione plausibile per i due personaggi: «Il guerriero B ritrar-rebbe Eumolpo, figlio del dio del mare Poseidone e re di Tracia, mentre il com-pagno A impersonerebbe il re di Atene Eretteo, impegnato con l’avversario nella lotta per il possesso dell’Attica». Dal con-fronto con le testimonianze dei classici arrivano prove non conclusive, ma di certo sorprendenti: Pausania, autore e geografo greco del II sec., rivela infatti che sull’Acropoli di Atene c’erano “due grandi statue di bronzo che rappresenta-no due uomini disposti in battaglia, e li chiamano l’uno Eretteo e l’altro Eumol-po”. E ancora, in un altro lavoro, sempre Pausania elogia un’opera dello scultore

Mirone – l’autore, tra l’altro, del celebre Discobolo – giudicandola “la più degna di essere vista dopo l’Eretteo che è ad Atene”. Si riferiva proprio alla scultura di Eret-teo posta sull’Acropoli? Difficile dirlo con certezza, perché in città sembra ci fosse anche un’altra effigie del leggenda-rio monarca. Se così fosse, però, ben due tessere del mosaico andrebbero al loro posto rivelando al contempo sia l’identi-tà delle sculture che l’autore (almeno del Bronzo A): questioni su cui gli studiosi si arrovellano da decenni. Anche qui, ov-viamente, si resta per ora nel regno delle supposizioni. E permane, per giunta, il mistero di quel viaggio per mare che nel II secolo a.C. portò le due statue lontano da Atene, consegnandole ai fondali della costa calabra per due millenni.In attesa di conferme non resta che affi-darsi all’ipotesi più probabile: quella di vedere presto, accanto allo sgargiante clone del primo guerriero, il moderno duplicato del suo avversario. Restituito da Brinkmann alla guizzante vitalità di muscoli e armi, ma soprattutto alla miti-ca contesa senza tempo in cui i due eroi di metallo furono immaginati.Adriano Monti Buzzetti Colella

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Una Crociera Green

Che la Green economy sia una moda o no, poco importa. Quello che conta è che le aziende all’avanguardia stiano convertendo e adeguando le proprie strutture per ridurre al minimo l’impatto ambientale. MSC Crociere è una delle compagnie che si è maggiormente distinta in campo ecologico perché ricicla fino al 95% dei rifiuti smaltibili a bordo, mentre i rifiuti speciali sono sistemati in contenitori sigillati anti-contaminazione prima di essere inviati alle apposite strutture di riciclaggio. I rifiuti di altro tipo vengono invece consegnati alle strutture del porto autorizzate allo smaltimento e quelli trattati sono registrati nel “Garbage Disposal Record Book” e lo scarico è certificato da ricevuta MARPOL.

Su ogni nave c’è un responsabile per l’ambiente che, oltre a garantire il corretto funzionamento dei sistemi di smaltimento, si occupa della formazione dei membri dello staff in materia di riciclaggio.

L’impegno di MSC Crociere per la salvaguardia dell’ecosistema marino le ha permesso di conseguire diversi premi e certificazioni: oltre al Green Planet Award e il premio CIAL per il recupero dell’alluminio, nel 2013 il Bureau Veritas le ha assegnato le “7 Golden Pearls” per l’attenzione all’ambiente delle navi della Classe Fantasia. Il portale Shippingefficiency.org, inoltre, ha promosso l’ammiraglia MSC Divina come green ship. A Sorrento le è stato conferito il “Premio Internazionale di ecologia Verde Ambiente 2014”.

Tutte le tecnologie a bordo sono studiate per cooperare tra loro nella salvaguardia dell’ambiente e nell’efficienza dei servizi.L’Advanced Wastewater Purification System permette di trattare sino a 1,500 metri cubi di acque nere al giorno, l’Energy Saving riduce e ottimizza l’uso di energia elettrica fino al 30%, il Cabin Monitoring System interviene sui climatizzatori delle cabine e dei saloni

pubblici minimizzando gli sprechi. Il Cold Ironing Power permetterà alle navi attraccate di ricevere l’energia sufficiente per mantenere attivi i servizi a bordo direttamente dal porto tenendo così i motori spenti e diminuendo del 30% le emissioni di CO2 e del 95% quelle di ossido di azoto. Inoltre, l’Optimization di nuova concezione nella progettazione dello scafo riducendo l’attrito aumenta il risparmio di carburante.

Quelle di MSC Crociere sono navi ecologiche per eccellenza, costruite nel rispetto degli standard di consumo e dotate di moderne tecnologie per favorire il risparmio energetico e ridurre l’impatto ambientale.

Per maggiori informazioni visita il sito www.msccrociere.it o nelle agenzie di viaggio

Dalle acque del Mediterraneo aquelle dei Caraibi, la salvaguardiadel mare e dell’ambiente è unimpegno costante per MSC Crociere

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Scommetti che ti convinco?

Avere ragione non basta. Esibire

prove scientifiche neanche. Per far cambiare idea a

certe persone servono ascolto, intelligenza e...

qualche strategia.

Discussioni logoran­ti che portano a un nulla di fatto e a un grande senso di fru­strazione: finiscono spesso in questo mo­do i tentativi di con­

vincere qualcuno ad adottare il nostro punto di vista. Accade perfino quando a sostegno delle nostre tesi presentiamo prove scientifiche inconfutabili. Alcuni dei nostri interlocutori, anzi, sembrano totalmente impermeabili alla logica e alla razionalità (vedi riquadro): persone così, se dobbiamo averci a che fare tutti i giorni, in famiglia o sul lavoro, possono farci impazzire. Prima di picchiare la te­sta contro il muro, però, meglio fare un respiro profondo, porsi qualche doman­

da e poi provare a mettere in atto la tatti­ca più efficace. «Quando qualcuno è particolarmente resistente, occorre chiederci: non è che per caso siamo noi, con il nostro tenta­tivo di fargli cambiare idea, gli artefici del suo irrigidimento?», avverte Mat­teo Rampin, psichiatra e ipnoterapeuta, autore di Tecniche di controllo mentale (Aurelia). «Molte persone, infatti, si au­topersuadono sempre di più della pro­

pria idea a mano a mano che qualcuno la mette in dubbio». Insomma, insistere troppo rischia di essere controprodu­cente: occorre adottare strategie diverse. Impresa ardua: far cambiare idea a una persona, anche la più conciliante, è sem­pre difficilissimo. L’uomo è infatti un “conservatore cognitivo”, cioè tende a mantenere le proprie idee anche di fron­te a prove che dimostrano il contrario. «Per fare cambiare idea a una persona è

Comportamento

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CON QUESTI TIPI È PIÙ DIFFICILE!

CAPETOSTE. Alcune persone sembrano resistere a ogni argomentazione scientifica e razionale. Eccole. Dogmatici. Partono da princìpi indiscutibili, di solito “verità di fede”, ed entrano in collisione anche con la scienza se questa mette in discussione i loro dogmi. Complottisti. Per stabilire dove stia la verità individuano chi si avvantaggia in una determinata situazione: è la prova necessaria e sufficiente che costoro (politici, case farmaceutiche, multinazionali…) ne siano i responsabili. Hanno difficoltà a tollerare la complessità e le casualità che governano la vita. Sono difficili da convincere perché, dal loro punto di vista, si muovono sui binari della razionalità.Tradizionalisti. Sposano un’idea perché è quella della maggioranza, o perché hanno sempre pensato che fosse così. Sono intellettualmente pigri, abitudinari anche nella vita e diffidano di qualsiasi novità. Bulli. Come Fonzie di Happy days, non sanno dire “ho sbagliato”. Si impuntano su una tesi solo perché ormai si sono pronunciati in tal senso, e ammettere di avere torto sarebbe una sconfitta personale. Per loro è decisamente più importante non perdere la faccia che stabilire quale sia la verità.

più utile usare, insieme alle argomenta-zioni razionali, anche l’arte della persua-sione, cioè appellarsi alle emozioni, agli istinti, a ragionamenti che sembrano filare anche se in realtà non sono affatto logici», suggerisce Rampin. «Questo per-ché in realtà tutti noi, anche se non ce ne rendiamo conto, siamo restii a ragiona-re in modo logico». Ecco allora qualche trucco per riuscire a portare gli altri dalla nostra parte.

ASCOLTATE. Bisogna mostrare disponi-bilità verso l’interlocutore e dargli modo di esprimere le sue ragioni. Invece che fare affermazioni, all’inizio ponete do-mande, mostrandovi curiosi e rispettosi. Questo vi permette di stabilire una con-nessione emotiva. Non dimenticate che chi avvalora un’opinione irrazionale è mosso dalle emozioni più che dal ragio-namento. Il che non deve però farvi pen-sare che la sua idea sia più debole della

vostra: come ha osservato Antonio Da-masio, neuroscienzato della University of Southern California a Los Angeles, ra-gione ed emozioni non sono in contrap-posizione. Le emozioni sono anzi parte integrante di ogni processo decisionale, tant’è che se non ne proviamo non siamo in grado di prendere nessuna posizione. Quindi: vanno capite e rispettate. Molto spesso, per esempio, sotto certe afferma-zioni “estreme” ci sono rabbia e/o paura. Meglio sapere di che cosa si sta parlando veramente, prima di ribattere.

SINCRONIZZATEVI. Per favorire la con-nessione con l’interlocutore può essere utile assumere una postura a lui specula-re, imitarne i gesti (senza esagerare!) e le espressioni. Serve a entrare in sintonia, è come dire: “sono simile a te”. Sintoniz-zate anche il linguaggio, riprendendo le stesse parole ed espressioni. Evitate in-vece di atteggiarvi a professori: aumenta le distanze, raffredda il rapporto e spinge l’altro ad affilare le armi. A nessuno piace essere trattato da stupido: se fate i sapu-telli, la battaglia è persa in partenza.

IDENTIFICATE LE RADICI. Cercate di ca-pire da dove provengono le sue idee. Al-cune opinioni, infatti, non sono neutre, ma dicono chi siamo e a quale gruppo ap-parteniamo: è il caso, per esempio, della fede politica o di quella religiosa. Cam-

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Per convincere qualcuno bisogna prima capire come e dove le sue idee hanno radicibiarle significa rinunciare a un pezzo del­la propria identità, e questo non è facile per nessuno. Perfino gli scienziati, pur in presenza di prove eclatanti, faticano a cambiare opinione se a quell’idea hanno dedicato la loro vita. Secondo Thomas Kuhn, filosofo statunitense, la scienza procede per “salti”, e non in modo linea­re, proprio perché gli studiosi più anziani, che detengono il maggior potere nell’am­biente scientifico, si oppongono alle idee che non si accordano ai loro paradigmi. Per imporre l’eliocentrismo è servita la rivoluzione copernicana. Perciò, se vi rendete conto che l’ostinazione dell’altro ha radici nel suo senso di appartenenza a una certa comunità (politica, religiosa, etnica, sportiva...), prima di proporre i vostri dubbi esprimete tutto il rispetto possibile per la sua “famiglia”. Dopo vi ascolterà più volentieri.

FATE ARGOMENTARE. Date la possibili­tà al vostro interlocutore di fare un vero e proprio comizio, senza interromperlo e facendogli solo alcune domande per chiarire i punti oscuri del suo ragiona­mento. A volte si darà da solo la zappa sui piedi. Accade a causa di quella che i ricercatori americani Leonid Rozenblit e Frank Keil chiamano “illusione della co­noscenza profonda”: si è convinti di sa­per molte cose, ma quando si è costretti ad andare a fondo (come avviene ai geni­tori incalzati dai continui “perché?” dei bambini) prima o poi ci si impantana.

DISCUTETE DI PERSONA. E non su In­ternet! Uno dei luoghi meno “civili” per

Le armi di chi “gioca sporco”A TUTTI I COSTI. Potete osservarle all’opera in qualsiasi talk show televisivo: sono le “trappole della logica”, che i persuasori professionisti, come i politici, usano per minare i ragionamenti degli altri, soprattutto agli occhi del pubblico (il vero destinatario del raggiro). Meglio saperle individuare, per evitare di cascarci. E se il vostro obbiettivo non è convincere ma “vincere” una discussione, anche per sfruttarle a vostro vantaggio.

1. Evitare di rispondere a una critica puntuale accusando l’altro di aver commesso lo stesso errore.2. Ripetere le affermazioni dell’altro esagerandole e distorcendole per sembrare, nel confronto, i più ragionevoli.3. Dare per scontato che, poiché due fatti sono accaduti insieme, uno sia la causa dell’altro.4. Sostenere che quello che è vero per una certa parte di una

dialogare sono i social network. È noto che la rete pullula di haters (“odiato­ri”), utenti che disprezzano e criticano distruttivamente gli altri. Inoltre nelle discussioni online manca il linguaggio corporeo, necessario per sintonizzarvi con l’altro e per correggere il tiro quando il discorso prende la piega sbagliata. Infi­ne, scripta manent: chi si è espresso in un senso difficilmente ritornerà sulle sue idee, specie se la discussione avviene in una piattaforma pubblica. Ecco perché, come suggerisce Christie Aschwanden,

blogger ed editorialista del Washington Post, piuttosto che discutere su Face­book è meglio farsi una birra al bar.

STIMOLATE L’AUTOSTIMA. Prima di ogni “affondo” è importante valorizzare i punti buoni dei ragionamenti dell’al­tro, mostrando stima e apprezzamento. Come ha dimostrato Brendan Nyhan, politologo e docente al Dartmouth Col­lege, negli Stati Uniti, se una persona si sente accettata e considerata, invece che sfidata, sarà più disposta a rivedere le

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FOCALIZZATEVI SUI FATTI. Più che sull’idea in sé, che chi è convinto fatica ad abbandonare, meglio concentrarsi sui fatti che la contraddicono, o sulle ecce­zioni che potrebbero rendere accettabile all’altro la propria tesi. «Persuadono più i fatti che le parole», puntualizza Rampin, «quindi si dovrebbe cercare di rendere concrete le nostre argomentazioni con immagini vivide o esempi tratti dall’espe­rienza». Se una persona rifiuta le teorie di Darwin perché contraddicono la Bib­bia, può essere utile ricordare che molti cattolici (meglio fare nomi e cognomi di comuni conoscenze) credono nell’evolu­zione e non per questo smettono di cre­dere in Dio. Insistere sulla infondatezza di una convinzione, al contrario, ottiene solo di rinforzarla.

USATE I PARADOSSI. Le affermazioni pa­radossali aiutano a sgretolare le certezze. Sono destabilizzanti, mandano l’altro in confusione, predisponendolo a lasciare spazio a idee diverse. Per questo ne fa­ceva largo uso anche Milton Erickson, il fondatore dell’ipnosi moderna, con i pa­zienti più resistenti. Qualche esempio? “La sicurezza è la cosa più pericolosa del mondo” (Huge Walpole), o “Confessare una debolezza è un gesto di superiorità” (Dino Basili) o ancora “Ogni volta che la gente è d’accordo con me, ho la sensazio­ne di avere torto” (Oscar Wilde, un vero maestro dei paradossi).

IPOTIZZATE DI AVERE TORTO. Non date per scontato di avere ragione. È difficile ammetterlo, ma questa possibilità esiste, eccome. Si tratta anzi di un punto fonda­mentale, senza il quale i nove trucchi precedenti falliscono miseramente: se partite con la certezza che la vostra idea sia quella giusta, il vostro interlocutore si sentirà manipolato e preso in giro. È quindi importante essere sempre dispo­sti a cambiare idea in presenza di ele­menti nuovi che mostrano la questione sotto una luce diversa. Per restare nel campo dei paradossi: è irrazionale anche perseguire la razionalità a tutti i costi. Marta Erba

questione complessa, debba essere vero anche per tutto il resto. Oppure, approfittare di un’affermazione errata dell’altro per sostenere che anche tutto il resto di ciò che sostiene è sbagliato.5. Considerare solo due possibili soluzioni a un problema, nascondendo l’esistenza di terze vie.6. Dire che “la verità sta nel mezzo”. Falso: la verità sta dove sta. 7. Giudicare una cosa giusta o sbagliata basandosi sulle sue origini o sul contesto da cui proviene.8. Sostenere che un evento casuale si evolverà senz’altro

in un determinato modo per “legge statistica”.9. Di fronte a un’evidenza contraria a quanto si afferma, dire che si tratta di un’eccezione.10. Sostenere che se si permette che A accada, questo porterà “inevitabilmente” a B, C, D, E... fino alla catastrofe.11. Sfidare l’altro a provare il contrario di quanto si è affermato: ma l’onere della prova è di chi parla, non di chi ascolta.12. Affermare che una cosa, in quanto “naturale”, è anche giusta, inevitabile e sana. I.C.

sue posizioni e perfino ad accettare idee diverse dalle sue. Assecondare la visione dell’interlocutore non vuol dire sposare la sua tesi, ma sottolineare le sue “buone ragioni” e mostrare di comprenderle.

NON ABBIATE FRETTA. Gutta cavat lapi-dem, dicevano gli antichi Romani, cioè la goccia scava la pietra: con pazienza, e a piccole dosi, si arriva a modificare anche le posizioni più rigide. Secondo Howard Gardner, docente di psicologia all’Uni­versità di Harvard, cambiare idea d’un

botto è quasi impossibile. Tutti hanno bisogno di tempo per abituarsi a un’idea nuova, per raccogliere più elementi pos­sibile e valutare i pro e i contro. «Napoleo­ne diceva: ho fretta, quindi vado lenta­mente», ricorda Rampin. «Andare piano porta più rapidamente ai risultati perché si evita che l’interlocutore eriga barriere difensive rigide e insormontabili». In­sinuare qualche dubbio, soprattutto in caso di idee fortemente identitarie (vedi al punto “identificate le radici”), è già un risultato di cui andare soddisfatti.

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C’è uno squalonel Mare Nostro

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VERDESCASpecie: Prionace glauca.Lunghezza: fino a 3 metri.Dove vive: mari temperati e tropicali.Pericolosità: bassa.Curiosità: ogni anno se ne pescano 10–20 milioni nel mondo.

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Anche nel Mediterraneo vivono i predatori più

efficienti dei mari. Ma, per loro, il pericolo siamo noi...

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Dal 1847 al 2014, sulle coste italiane ci sono stati 13 attacchi, con 3 morti. Tra i Paesi europei ci supera solo la Grecia

PESCE MARTELLO MAGGIORESpecie: Sphyrna mokarran.Lunghezza: fino a 6 metri.Dove vive: mari caldi e temperati; nel Mediterraneo sulla costa sud.Pericolosità: bassa.Curiosità: il “martello” serve per trovare sul fondo le prede, come le pastinache, e bloccarle.

PESCE SEGASpecie: Pristis pectinata.Lunghezza: fino a 7 metri.Dove vive: Atlantico, Mediterraneo.Pericolosità: nulla.Curiosità: questa razza (cugina degli squali) usa il rostro per cercare le prede nella sabbia.

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GRANDE SQUALO BIANCOSpecie: Carcharodon carcharias.Lunghezza: fino a oltre 6 m.Dove vive: in tutti i mari.Pericolosità: alta.Curiosità: alcune parti del corpo sono a sangue caldo.

SQUALO ELEFANTESpecie: Cetorhinus maximus.Lunghezza: fino a 9 m.Dove vive: mari temperati. Pericolosità: nulla.Curiosità: si riempie la bocca d’acqua, la espelle dalle branchie e trattiene il plancton.

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Nel mondo, ogni anno sono catturati 100 milioni (o più) di questi pesci. Spesso sono uccisi solo per le pinne, di cui sta aumentando la richiesta

SQUALO TIGRESpecie: Galeocerdo cuvier.Lunghezza: fino a oltre 5 m.Dove vive: mari caldi, segnalato nel Mediterraneo.Pericolosità: alta.Curiosità: si nutre di tutto ciò che riesce a catturare.

Chi cattura chiNEMICI? Anche se occupa solo lo 0,7% della superficie degli oceani, il mar Mediterraneo è molto popolato. E quindi gli incontri con gli squali sono relativamente frequenti. Ci sono 43 specie, anche se quelle pericolose sono pochissime: gli attacchi sono per la maggior parte del grande squalo bianco. Molto più pericoloso è l’uomo per gli squali, perché la pesca (tra catture “mirate” e accidentali) e l’inquinamento, nel Mare Nostrum, hanno ridotto il loro numero del 97% negli ultimi 200 anni.

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SQUALO VOLPE Specie: Alopias vulpinus.Lunghezza: fino a 6 metri.Dove vive: in tutti gli oceani.Pericolosità: bassa.Curiosità: la lunga coda serve a stordire i banchi di pesci di cui si nutre.

GATTUCCIOSpecie: Scyliorhinus canicula.Lunghezza: fino a 1 metro.Dove vive: Atlantico e Mediterraneo.Pericolosità: nulla.Curiosità: gli astucci da cui sono usciti i piccoli (chiamati “borsellini della sirena”) si trovano spesso sulle spiagge.

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Prisma

State guardando una partita di basket e la vostra squadra è in vantaggio. Ma quando potete dire di avere... la vittoria in tasca? Usate la formula di Aaron Clauset. «Calcola le probabilità che un certo vantaggio sia “sicuro”, a un dato

momento dalla fine», spiega il matematico della University of Colorado-Boulder. SQUADRA. Un esempio: in una partita di basket Nba di 48 minuti, a metà match, una squadra avanti di 18 punti avrà il 90% di probabilità di vittoria. E verso la fine? Per calcolare il vantaggio necessario per vincere al 90%, si moltiplica la radice quadrata dei secondi che restano per 0,4602. Il metodo è “statistico”. «La formula descrive la tipica evoluzione del gioco e non considera la forza di giocatori o team». Si può appli-care, per esempio, per squadre allo stesso livello. «Abbiamo testato il modello su ho-ckey, football americano, basket: funziona soprattutto per quest’ultimo, ma vale per altri sport». Non per tutti: nel calcio, dove i punteggi sono bassi, è meno affidabile. E.I.

PARTITA DECISAUna formula calcola quanto vantaggio serve per essere sicuri di vincere.

Chi volesse scoprire nuovi “buchi” sulla Terra dovrà aguzzare la vista. I grandi crateri da impatto, con

diametro maggiore di 6 km, sono già stati individuati tutti. Ma molti di quelli piccoli restano da scoprire: ce ne sarebbero oltre 90 con diametro tra 1 e 6 km, e oltre 250 tra gli 0,25 e 1 km. Lo dicono due geofisici dell’Università di Friburgo (Germania): analizzando il ritmo delle collisioni di asteoridi e dell’erosione, hanno valutato quanti crateri possono esserci ancora. Quelli finora confermati sono 188, esposti in superficie o nascosti da sedimenti; alcuni sono sott’acqua, vicino alle coste. L’inventario dei “buchi” da oltre 6 km è completo (sono 70), dicono gli studiosi: «Ma all’elenco dei più piccoli (come il Meteor Crater, Usa, sopra: 1.200 m di diametro) se ne potrebbero aggiungere 340, considerando solo quelli in superficie». E.I.

Più di 300 crateri ancora da scoprire

Se vi sembra che tutti vi guardino male, fatevi una dormita: la carenza di sonno impedisce infatti di interpretare correttamente le espressioni facciali, «perché porta a sovrastimare il pericolo», dice Matthew Walker (University of California, Berkeley). Ha

fatto un test in cui i volontari, riposati o dopo una notte in bianco, dovevano valutare facce con diverse espressioni: se assonnati, tendevano a interpretare più volti come minacciosi, anche se erano neutri o amichevoli. E con la risonanza magnetica funzionale si è visto che, nel loro cervello, le regioni che “rilevano” le emozioni non distinguevano bene le espressioni. E.I.

Quando hai sonno, il mondo ti sembra nemico

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6mm al meseVelocità di crescita dei canini superiori – lunghi 18 cm – nei giovani di Smilodon fatalis, le estinte tigri dai denti a sciabola (studio Usa).

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Prisma

Sono gli abitanti meno notati dei boschi: i licheni, organismi formati da funghi e alghe o cianobatteri. Non per Matthew Cicanese (Usa), che fotografa

licheni – come quelli negli scatti a destra – e altri componenti del tappeto forestale: «Ne mostro ruolo ecologico e bellezza». Con la foto qui accanto (Cladonia rangiferina, “lichene delle renne”) è stato tra i finalisti del premio Atkins Ciwem Environmental Photographer of the Year 2015.

A vedere i film in aereo siamo abituati. Fuori dall’aereo, direttamente sulle nubi, un po’ meno... Eppure se vi foste trovati in volo sopra Nottingham, in Gran Breta-gna, avreste visto il filmato di un uomo a cavallo, al galoppo, proiettato sulle nuvole

da un piccolo velivolo. La particolare “prima” cinematografica è stata realizzata da un team britannico di scienziati e artisti. In anni di lavoro, hanno messo a punto uno speciale proiettore laser: montato su un Cessna 172 (nella foto), ha usato le nuvole come schermo e vi ha fatto apparire la silhouette di un cavaliere al galoppo, in luce verde. NONNO. È una versione moderna del “bisnonno” dei proiettori: lo zoopraxiscopio, che proiettava immagini impresse su un disco rotante, creato nel 1879 da Eadweard Muybrid-ge. «Il nostro apparecchio ha due dischi che ruotano in direzioni opposte, uno con 14 im-magini “in sequenza” e l’altro con lenti semicircolari che focalizzano fasci di luce laser da una sorgente luminosa: i fasci che passano attraverso un’immagine la proiettano, e la rapida successione di questi “flash” dà l’impressione del movimento», spiega l’artista Dave Lynch, che guida il progetto, chiamato Project Nimbus. «Il laser – già usato per pro-iezioni dal terreno, su nubi o fumi di ciminiere – ci permette di avere un’immagine a fuoco su ogni distanza, anche su un fondale “nebuloso” e da un aereo in volo». Le applicazioni? Spettacoli, pubblicità, ma anche messaggi di segnalazione in caso di emergenze. G.C.

La levitazione delle cellule

Gli scienziati finora hanno usato magneti per far levitare nell’aria rane, topi e fragole. Ora un team

della Stanford University li ha utilizzati per far levitare singole cellule: un metodo che permette di “separarle” a seconda del tipo, con applicazioni nella ricerca e nelle analisi mediche. Le cellule sono immerse in una soluzione magnetica, all’interno di un canale tra due magneti. In questo fluido restano sospese, «posizionandosi a varie distanze dai magneti», spiega Gozde Durmus, del team. «L’altezza di levitazione di ogni cellula è diversa e legata alla sua densità». E ciò permette quindi di separare i diversi tipi: i globuli bianchi dai rossi, «o le cellule cancerose da quelle sane: si potrebbero per esempio distinguere le cellule tumorali entrate nella circolazione sanguigna, meno dense di quelle del sangue», chiarisce Durmus. «Un’altra applicazione è lo studio di nuovi farmaci. Se cellule tumorali o batteriche muoiono, la loro densità aumenta: così possiamo separare e analizzare quelle sopravvissute a un trattamento».

Al cinema nel cielo, con schermo... di nuvole

Un team britannico ha creato un sistema di proiezione sulle nubi, che si effettua da un aereo.

IL FASCINO DEI LICHENI

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La comunicazione è costellata di gesti. Ma quali sono i meccanismi neurali che ci permettono di capirli? I ricercatori del Cnr e dell’Università di Milano-Bicocca hanno visto cosa succedeva nel cervello di volontari impegnati nell’interpreta-

zione dei gesti, da pollice e indice uniti a dire “ok” alla mano che scrive nell’aria “il conto”. COMPLESSO. «Si attivano le aree cerebrali legate alla comprensione di parole e linguag-gio, quelle coinvolte nell’elaborazione di volti e corpi, e il sistema di osservazione delle azioni (neuroni specchio)», spiega Alice Mado Proverbio, coordinatore della ricerca. «Un sistema neurale complesso, quindi, entra in azione per comprendere la gestualità. Come se questa fosse a metà tra il linguaggio “emotivo” del corpo (inconsapevole, che riflette ciò che proviamo) e i segni dei non udenti (un linguaggio formale con regole e sintassi)». E.I.

Ci capiamo a gesti

Il lungo viaggio della pioggiaCosa succede all’acqua che cade sui continenti, in forma di pioggia o neve? Lo ha calcolato Stephen Good, University of Utah, analizzando i percorsi dell’acqua che arriva sulle terre (il 23% delle precipitazioni globali; il 77% cade

sugli oceani). Come mostra il grafico, un quarto va al mare con i fiumi; il resto torna in atmosfera, per evaporazione o rilasciata dalle piante che l’hanno assorbita dal suolo.

Energia eolica dal viadotto

C’è un modo in più per usare un viadotto, oltre che passarci sopra in macchina: produrre

energia eolica, installando turbine sotto le sue campate. Lo aveva ipotizzato un gruppo di architetti italiani per un tratto in disuso della Salerno-Reggio Calabria (v. Focus n° 223). Ora un team internazionale di scienziati ha calcolato quanta energia si potrebbe produrre installando turbine sul viadotto di Juncal, nell’isola di Gran Canaria. «L’opzione migliore sarebbero due turbine di medie dimensioni (sopra)», spiega Óscar Soto Hernández, che ha guidato lo studio. «Ognuna avrebbe una potenza 0,25 MW e insieme coprirebbero il consumo di circa 500 case. Per ogni ponte, però, bisognerebbe studiare la struttura giusta. Si potrebbe così sfruttare il vento che, nella valli che i viadotti attraversano, è “concentrato” e più veloce». La ricerca è stata promossa dalla compagnia Zecsa, delle Canarie, che sta lavorando sul progetto. «È in contatto con le autorità di Gran Canaria per le autorizzazioni», dice il ricercatore. «Ci vorranno 15-30 mesi, ma sarebbe la prima realizzazione al mondo». G.C.

1,7% SUPERFICI D’ACQUA: evaporazione da laghi e fiumi.

20% FOGLIE: evaporazione dalle foglie.

4,3% SUOLO: evaporazione dal terreno.

26% FIUMI: viaggio verso gli oceani in fiumi e corsi d’acqua.

48% PIANTE: traspirazione (rilascio dalle piante).

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DALLO SPAZIO

L’Agenzia spaziale italiana (Asi) coordina gli investimenti nel settore aerospaziale e dipende dal ministero dell’Università e della Ricerca. È uno dei più importanti attori mondiali per lo spazio e le tecnologie satellitari. Il suo presidente è il prof. Roberto Battiston.

L’INCONTRO FATALEProlungata di nove mesi la missione Rosetta: terminerà nel settembre 2016 con... una sorpresa. In collaborazione con

La sonda Rosetta è stata lanciata il 2 mar-zo del 2004. Dopo un viaggio lunghissimo, e un letargo di 31 mesi, si è risvegliata per l’incontro con la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Ha poi sganciato il lander Philae, che ha realizzato le prime immagini della superficie di un nucleo cometario, per poi rimanere a corto di energia. In maggio il lander ha ripreso a trasmettere, ma in modo irregolare. «Le difficoltà dipendo-no dall’attività crescente della cometa, e quindi dalla posizione che la sonda madre deve mantenere per evitare le emissioni gassose del nucleo. Il problema è tenere il collegamento per 50 minuti consecutivi, il tempo di una sessione completa di lavoro», racconta Raffaele Mugnuolo, responsabile per Asi della missione. Dopo tutto questo, era previsto che la missione terminasse in dicembre 2015. Ma il comitato scientifico dell’Esa ha deciso di prolungarla di 9 mesi.ANDATA E RITORNO. Il motivo? «La co-meta è stata osservata, in agosto dell’anno scorso, a 550 milioni di km dal Sole, men-

tre era in fase “dormiente”. Poi l’abbiamo seguita mentre si avvicinava al Sole e ini-ziava a essere attiva», spiega Mugnuolo. «Si sono formate la chioma e la coda, dandoci la possibilità di osservare il processo di emis-sione di materiale gassoso. Con la missione estesa e con l’allontanamento della cometa dal Sole osserveremo invece il processo in-verso. L’attività del nucleo diminuirà fino ad annullarsi. Osservarlo mentre si allon-tana, fino a una distanza di circa 570 milio-ni di km dal Sole, sarà molto interessante. Ed è anche qualcosa di inaspettato, che ren-de ancora più speciale questa missione». Quanto a Rosetta, gli scienziati stanno pen-sando a un finale a sorpresa: l’idea sarebbe di far posare la sonda sulla cometa con una serie di traiettorie a spirale, destinando quindi Rosetta e Philae, il suo fedele lander, a un eterno “abbraccio”. G.R.

VICINISSIMO.Un dettaglio della

superficie del nucleo della cometa.

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ODONTOIATRIA

L’équipe del San Babila Day Ho-spital di Milano, che fa ricerca da oltre trent’anni, risolve anche i casi con osso deficitario con l’im-pianto in titanio applicato intorno all’osso.L’impianto viene programmato sul modello stereolitografico della cre-sta ossea, rilevato al computer da una tac multislice.

E’ l’impianto che può essere col-laudato prima dell’applicazione in bocca, una prova importante poiché viene testata la tenuta dell’impianto dal suo ancoraggio sugli avvallamenti e asperità tipi-ci della cresta ossea.L’applicazione in bocca è sempli-ce e veloce, pochi minuti per di-varicare la fibromucosa gengivale

e altrettanti per applicare l’impian-to, essendo già stato testato sul modello. Il blocco immediato e definitivo dell’impianto permet-te, già alla sua applicazione, di utilizzarlo subito.L’impianto in titanio esterno all’osso ha rivoluzionato la vecchia metodi-ca. Abbiamo realizzato dagli anni 80 migliaia di casi che sono ancora validissimi, in quanto questo impian-to viene applicato sull’osso esterno corticale più consistente dell’interno midollare. Eseguiamo la valutazio-ne dello stato clinico generale con inquadramento metabolico funzio-nale in preparazione all’impianto.Abbiamo all’attivo migliaia di casi con dichiarazioni gratificanti di nu-merosi pazienti.

E’ stato possibile realizzare questo impianto di nuova generazione grazie all’attuale metodica di fu-sione del titanio, metallo che ha grande affinità con l’osso umano, come è dimostrato dagli ottimi ri-sultati ottenuti in implantologia.

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Il Direttore ScientificoDr. Giancarlo Di Giulio

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Prisma

Caldo e poca umidità significano anche boschi in fumo. «Piante e foglie sono secche: la condizione

favorevole per gli incendi», dice Matt Jolly, dello Us Forest Service. E col riscaldamento globale cosa cambia? «Si sta allungando la stagione degli incendi, il numero di giorni all’anno in cui è più alta la possibilità che la vegetazione vada in fiamme», spiega Jolly, che ha fatto un calcolo: dal 1979 al 2013, si è allungata in un quarto della superficie coperta di vegetazione al mondo. «Nelle foreste mediterranee europee, per esempio, è diventata più lunga di 12–19 giorni». G.C.

Si chiama Rhnudx1. Non ha un nome molto poetico, ma potrebbe regalarci una rosa perfetta: bella e profumata. Rhnudx1 è un gene: il team di Sylvie Baudino (Université

Jean Monnet, Saint-Étienne) ha scoperto che è tra i responsabili della delicata fragranza delle rose. «I fiori più profumati ne hanno una particolare variante, che si esprime soprattutto nei petali», spiega Baudino. «Il gene è coinvolto nella sintesi del principale monoterpene della rosa, il geraniolo». I monoterpeni sono molecole aromatiche alla base di molte fragranze delle piante. «La ricerca sarà utile ai coltivatori per ottenere nuove varietà di rosa», dice. «Potranno verificare se la variante di Rhnudx1 è presente in una pianta ancor prima della fioritura». G.C.

Non è proprio un fratello gemello, ma certo un «cugino più grande», come lo ha definito Jon Jenkins della Nasa. Si chia-ma Kepler-452b, si trova a 1.400 anni luce da noi e finora è

il migliore candidato al titolo di “Terra 2”. Si tratta di uno dei pia-neti extrasolari scovati grazie al telescopio Kepler: per ora quelli confermati sono circa mille (su circa 1.900, trovati anche da altri strumenti). Il pianeta “cugino” ha un diametro del 60% più grande di quello terrestre e orbita in 385 giorni attorno a una stella (Ke-pler-452) simile al nostro Sole, con diametro maggiore del 10% e il 20% più brillante. Insomma, dicono alla Nasa, abbiamo scoperto la “coppia” pianeta e stella che assomiglia di più a Terra e Sole. ABITO IN ZONA. Kepler-452b è probabilmente un pianeta roccio-so, come il nostro. Ed è all’interno della “zona abitabile”, la regione

La traiettoria di un fulmine è imprevedibile. A scala più piccola, anche quella di una

scintilla tra due elettrodi, benché i punti di partenza e arrivo siano “fissi”. Ma ora un gruppo internazionale è riuscito a guidare con precisione la traiettoria di una scarica elettrica: colpendo con raggi laser il gas presente tra due elettrodi, i fisici hanno creato una sorta di “percorso preferenziale” che è stato seguito dalla scintilla. Combinando i fasci dei laser, sono riusciti a creare traiettorie complesse, facendo percorrere alla scarica tracciati curvi o anche a S. M.M.

Profumo di rosa in un gene

IL CUGINO LONTANOÈ Kepler-452b, simile alla Terra.

La scarica si muove come voglio

attorno a una stella dove è possibile che ci sia acqua liquida sulla superficie dei pianeti e quindi si potrebbe sviluppare la vita come la conosciamo. Nel disegno sono indicate in verde le zone abitabili del Sole e delle stelle Kepler-452 e Kepler-186; in quest’ultima c’è Kepler-186f, che finora era considerato il pianeta più simile alla Terra, in orbita però attorno a una stella piccola e fredda. G.C.

Si allunga la stagione degli incendi

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Sistema Kepler-452

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Seguire gli indizi. Saliva, cellule epiteliali (foto), peli... l’assassino lascia sempre una traccia.

Come indaga la Scientifica

Nella testa del killer: i profiler

Promesse (e rischi) delle nuove tecnologie

Sulla scena del crimine

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Qui c’è stato un delitto Come, e con quali strumenti, investigatori e scienziati forensi danno la caccia a killer imprendibili.

NON È UNA FICTION.Polizia e Scientifica analizzano la scena del crimine dove è stato ucciso nel 2013 Jérome Salvadori, in Corsica.

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scienziati forensi cercano tracce, prove, e tutti concordano sul primo scopo dei loro accertamenti: l’identificazione, di persone e di oggetti. Tutto quanto acca-de su una scena del crimine si può rias-sumere in una formula, un principio ben impresso nella mente di chi compie il primo intervento: “Proteggi e preserva”, una regola fondata sul concetto di inter-scambio, illustrato nel 1910 da Edmond Locard, responsabile del laboratorio del-la polizia scientifica di Lione.

POTENZIALITÀ E LIMITI. Tra le discipline forensi coinvolte in un’investigazione,

Grida sotto casa; un colpo d’ar-ma da fuoco nella notte; la sor-presa e poi l’orrore di un uomo che va a spasso con il cane al

mattino e finisce per inciampare in un cadavere sul ciglio di un prato. L’allarme raggiunge la pattuglia più vicina e si met-te in moto la macchina delle indagini, con gli uomini delle forze dell’ordine e il magistrato di turno, cui spetta il compito di coordinare l’intervento.Tutto converge sulla scena del crimine, la palestra più importante per quanti de-vono identificare, raccogliere, analizzare e interpretare i segni lasciati dalla vitti-ma e dall’aggressore. Ma l’investigatore e il pubblico ministero possono conta-re su un alleato prezioso, qualcuno che non lo potrà mai sostituire ma piuttosto affiancare nel compito di assicurare un criminale alla giustizia. Questo alleato si chiama scienziato forense. Due mondi, quello della scienza e quello della legge, che spesso si confrontano a fatica; sono

infatti molti gli errori giudiziari fondati sulla presentazione di prove scientifiche solo all’apparenza indiscutibili.

TRAPPOLE. Il fatto è che senza il suppor-to di regole etiche condivise, gli scienzia-ti forensi possono trasformarsi in hired gun, armi prezzolate al servizio delle parti, capaci di trascurare una prova ri-levante, se sfavorevole al proprio cliente. Ma anche se onesto e corretto, un esper-to può sempre commettere gravi errori, per ignoranza o per l’applicazione errata delle metodologie. Se la cautela è compagna preziosa, non può essere negato il valore dell’alleanza tra scienza e legge. Perché un legame tra il criminale e la sua vittima esiste sempre, e proprio da questa constatazione ini-zia il lavoro del moderno investigatore, professionista che si muove applicando sempre più i metodi scientifici nell’anali-si, nel confronto, e infine nella valutazio-ne. Nel loro lavoro gli investigatori e gli

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L’AUTORE. Massimo Picozzi, psichiatra e criminologo, direttore del master in criminologia e reati economici de Il Sole 24 Ore, è autore dei primi due articoli di questo dossier.

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Stabilire il momento del decesso è una delle sfide più ardue per il medico legale

DISCIPLINE FORENSI ANTROPOLOGIA: applica in prima istanza l’anatomia, la tafonomia (v. sotto), l’archeologia, per problemi medico-legali.ARCHEOLOGIA: il metodo archeologico è utile per il recupero dei resti umani e l’interpretazione delle loro associazioni spaziali.ENTOMOLOGIA: lo studio degli insetti sul cadavere.ODONTOLOGIA: in campo legale, utile per l’identificazione.PATOLOGIA: investiga le cause delle lesioni, e ancora dei tempi, dei mezzi e della maniera della morte.PSICOLOGIA E PSICHIATRIA: analizzano testimonianze e cause psichiche del comportamento criminale, e i disturbi che incidono sulla responsabilità personale.TAFONOMIA: che cosa succede a un corpo, e all’ambiente circostante, dopo la morte.TOSSICOLOGIA: lo studio delle droghe d’abuso e dei veleni.

A queste discipline si possono aggiungere la biologia e la genetica forense, e il digital forensics, dove tracce e prove del crimine sono virtuali, proiettate nel cyber-spazio.

zatore contenuto nell’emoglobina, che in presenza di un agente ossidante fa sì che il luminol produca una fugace lumi-nescenza blu elettrica, visibile al buio. Basta quindi nebulizzare la miscela con il luminol nell’area in cui si sospetta ci sia no delle tracce di sangue non fresco. E naturalmente armarsi di macchina foto-grafica, perché la reazione è molto fugace e dopo pochi secondi scompare.Una volta riconosciuta la presenza di sangue sulla scena di un crimine, ecco la vera rivoluzione nel campo delle scienze forensi: l’analisi del Dna. Dalla scoper-ta della molecola da parte di Watson e Crick, passano circa trent’anni, prima che Alec Jeffreys, professore di genetica all’Università di Leicester, intuisca nel 1985 le potenzialità del Dna nell’iden-tificazione. Nel 1986 il test fa il suo in-gresso in un’aula di tribunale per scagio-nare il principale sospettato di due casi di stupro e omicidio e incastrare il vero colpevole. Da allora la genetica forense è prepotentemente entrata nelle aule dei tribunali e grazie a tecniche sempre più sensibili che si fondano sull’amplifica-zione del Dna mediante Pcr (Polymera-se chain reaction, in italiano Reazione a

alcune sono più sfruttate e determinan-ti, e perciò oggetto di contestazione e critica: le impronte digitali, tra le prime a essere studiate ma ancora oggi fonda-mentali; l’esame del Dna, rivoluzionario per l’impatto ma non infallibile; e infine la psicologia forense, il cui fascino deve fare i conti con una limitata oggettività. Se schizzi, imbrattamenti o grandi chiaz-ze non creano grossi problemi di ricono-scimento, talvolta le tracce di sangue non sono così evidenti, e bisogna saperle sco-vare. Il metodo non è complicato, basta affidarlo alle mani di seri professionisti, e prevede un primo test di screening se-guito da una prova di conferma. Tra i test preliminari troviamo quello ormai celebre del luminol. Il principio su cui si basa è l’attività di un cataliz-

CHI. Sulla scena del crimine arriva la polizia giudiziaria (spesso preceduta da volontari del 118, o vigili) che si occupa della vittima; blocca, se è ancora lì, il responsabile; cerca testimoni; isola con nastro la scena del crimine. Poi arriva la squadra investigativa e la Scientifica.

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COSA. Dopo aver documentato la scena con foto e video, i tecnici passano a raccogliere eventuali tracce (impronte, sangue, fibre...). Ecco cosa contiene la valigetta della Scientifica.

QUANDO. In assenza di altri dati (le testimonianze, ad esempio), stabilire l’epoca della morte è una delle sfide più difficili per il medico legale. A distanza di un giorno dal decesso, una seria valutazione può restringere il campo a circa 60 minuti +/– 90 minuti (una finestra temporale quindi di quasi cinque ore).

liquido fisiologico per il prelievo di

tracce organiche

flaconcini per i campioni

lente di ingradimento

colla

pennelli

guanti

polveri esaltatrici

carte per la raccolta di impronte

nastro adesivo

<3 ore

8-36ore

3-8 ore

>36ore

caldo e non rigido

freddo e non rigido

caldo e rigido

freddo e rigido

1,5 °C=1 ore

3,0 °C=2 ore

4,5 °C=3 ore

6,0 °C=4 ore

7,5 °C=5 ore

9,0 °C=6 ore

10,5 °C=7 ore26,5 °C

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catena della polimerasi), oggi è possibile risalire a un individuo anche a partire da pochissime cellule, come quelle lasciate da un po’ di sudore o dal sangue lavato. Ma non bisogna dimenticare che anche gli strumenti scientifici più raffinati valgono come i detective che li usano. E il caso straordinario del “Fantasma di Heilbronn” lo dimostra.

GERMANIA, OTTOBRE 2001. Una madre si presenta in ospedale: suo figlio, nel parco, si è punto con una siringa. I medi-ci mandano tutto in laboratorio, cercan-do il virus dell’Hiv e insieme il Dna del tossicomane. Sorpresa: nei computer della polizia quel profilo genetico è già stato registrato sulla scena di due bruta-li omicidi mai risolti, il primo avvenuto otto anni prima in Renania, il secondo il 23 maggio 1993, a Friburgo, in Svizzera. Lo stesso Dna, sesso femminile: eviden-temente una donna serial killer. Ma il 24 ottobre successivo le sue tracce biologi-che compaiono su un tovagliolo di carta accanto al rimorchio di un tir, forzato e ripulito, un furto che non c’entra nul-la con gli omicidi. La stessa impronta genetica viene ritrovata su una pistola giocattolo, usata in una rapina ad Arbois, nella Francia Occidentale. Poi, il pome-riggio del 6 maggio 2005, a Worms, in Renania (Germania), due fratelli rom si azzuffano, e di nuovo il laboratorio sco-pre un collegamento con la donna senza

volto. Comincia a farsi strada un’ipotesi: la criminale dev’essere legata a qualche gruppo di nomadi specializzati in furti, capace anche di ammazzare. Il 25 aprile del 2007, a Heilbronn, nel Sud della Germania, Michèle Kiesewet-ter, giovane agente dell’antidroga sotto copertura, viene uccisa nell’auto, da due individui. Il suo compagno è gravemente

ferito. Chi li ha aggrediti ha lasciato una traccia di Dna sul sedile posteriore. È da questo momento che la donna senza vol-to diventa il “fantasma di Heilbronn”.Il governo tedesco mette 300.000 euro di taglia sul fantasma, destinati a chiun-que sia in grado di fornire informazioni utili. Intanto dai genetisti forensi arriva un’altra informazione utile: il Dna ap-

ACARI. Si nutrono del corpo in decomposizione: alcuni prediligono la fase iniziale, altri quella avanzata.

MOSCHE. Arrivano quasi subito e depongono le loro uova negli orifizi. Riguarda soprattutto le Calliphoridae.

TARME. Sono le ultime ad arrivare. Si nutrono di peli e capelli.

SCARABEI. Arrivano dopo 5-11 giorni. Sono utili per rilevare tracce di droghe o sostanze tossiche.

4 INSETTI. Lo studio degli insetti può aiutare a stabilire l’ora della morte perché la colonizzazione del corpo avviene in una successione ben nota. Tuttavia i tempi possono variare in relazione allo scenario (esterno o interno) e al clima.

Distanza e angolo d’impatto

Tipo di arma

Killer destro o mancino

Ora del crimine

Posizione degli attori

Tipo di ferita

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5 FIBRE. La loro analisi può essere determinante nel collegare un sospettato alla scena del crimine. Così come l’analisi dei terreni e delle sabbie trovate sulle suole delle scarpe, o trattenute dagli abiti. Ma non si può parlare di corrispondenza certa, quanto di compatibilità.

OSSA. “Parlano” anche loro: le lesioni traumatiche lasciano traccia; la frattura dell’osso ioide (collo) può indicare strangolamento; i veleni e le droghe possono conservarsi a lungo nei resti.

CELLE TELEFONICHE. Utili ma... Intanto non si può localizzare un cellulare spento. Poi: un dispositivo potrebbe essere agganciato da una cella o da quella limitrofa in caso di traffico telefonico alto, condizioni meteo particolari, barriere fisiche che deviano o riflettono il segnale.

SANGUE. L’interpretazione delle macchie aiuta a trovare: traiettoria del sangue, punto di origine, tipo di lesione. Macchie piccole indicano che il sangue proviene da fonte vicina. La forma rotonda indica un angolo di impatto di 90 gradi.

2,5 cm

90° 70° 50° 30° 10°

60 cm

1,2 m 1,8 m 2,4 m

Traditi da un’improntaQUESTIONE DI MINUZIE. Le impronte digitali sono la riproduzione di creste e avvallamenti sui polpastrelli. Ognuna presenta un disegno caratteristico dato dai solchi e dalla presenza di almeno centocinquanta peculiarità (dette minuzie), che consentono spesso di identificare qualcuno anche da un frammento di impronta. Di fatto, dall’esperienza di milioni di casi, si può affermare che ciascuna è unica: per questo le impronte digitali sono usate da più di cento anni dagli investigatori. Il loro primo impiego “moderno” risale al 1858, in India: William Herschel, funzionario inglese, inizia a chiedere che i residenti aggiungano in calce ai contratti l’impronta della mano destra. Dal lavoro di Herschel e di altri scienziati, si arriva agli impieghi in campo forense. Come nel caso dei coniugi Farrow, uccisi nel loro negozio a Deptford (Gb) nel 1905. Nella cassetta dei soldi vuota, si trova l’impronta di un pollice. Gli esperti della sezione impronte creata a Scotland Yard la collegano a uno dei fratelli Alfred e Albert Stratton, indicati dalle testimonianze. E la nuova tecnica è giudicata una prova sicura in tribunale: i fratelli sono condannati. Le impronte digitali hanno così rivoluzionato le indagini. Anche se ci sono stati errori. Come per Brandon Mayfield, avvocato Usa convertito all’islam, accusato degli attentati ai treni a Madrid del 2004. L’Fbi inserisce un’impronta parziale trovata sulla scena in un sistema di identificazione automatizzato (Iafis) e gli esperti la associano a Mayfield, che è arrestato. Per gli spagnoli però l’impronta è di un altro: l’avvocato è rilasciato. In realtà, c’erano 20 candidati compatibili con la traccia; per ognuno erano state raccolte informazioni e Mayfield era balzato in cima alla lista. 

DNA. Prezioso, senza dubbio, ma due persone potrebbero averlo identico: i gemelli omozigoti. Un caso in Germania ha visto l’assassino prosciolto per l’impossibilità di stabilire se la presenza sulla scena fosse la sua o del congiunto. Le impronte digitali invece sono differenti anche nei gemelli omozigoti.

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Come si risale all’identità

capelli e peli tracce d’orecchie

saliva tracce di labbra

cellule epiteliali

sangue tracce di morso

sperma, secrezioni vaginali

tracce di piedi

escrementi, urina

tracce papillari

timbro vocale

forma viso

iride forma mano

calligrafia firma

TRACCE DI NATURA BIOLOGICA

ALTRE TRACCE DI IDENTIFICAZIONE

TRACCE MORFOLOGICHE

Dna, impronte digitali e dentali: così si inchioda un assassino partiene a un soggetto che proviene da un Paese dell’Europa orientale. Tutto quadra, perché alla periferia di Heilbronn è accampato un gruppo di rom e dalla cittadina, proprio poche ore dopo il delitto, un pullman di linea è par-tito verso Bucarest. Il 30 gennaio 2008, nel fiume che scorre alla periferia di Heppenheim, non lontano da Manheim, affiorano i cadaveri di tre uomini assas-sinati; si tratta di tre georgiani, gente che trafficava in auto. Tra i sospettati, un somalo e un iracheno, e la svolta delle indagini arriva quando, sulla macchina dell’asiatico, gli investigatori trovano il sangue di una delle vittime. C’è però una cosa che nessuno riesce a spiegare, in quella storia che sembra un regolamento di conti tra bande rivali: che cosa ci faceva, seduta sul sedile po-steriore, l’assassina di Heilbronn? Ormai per gli investigatori è certo che la donna, dopo aver eliminato Michèle Kiesewet-ter, ha fatto il salto di qualità: è diventata un killer su commissione.

COSTOSO ERRORE. Un fantasma che continua a colpire e a far impazzire gli investigatori. La notte del 22 marzo 2008 svaligia cinque appartamenti. A maggio aggredisce una donna e le ruba la borset-ta. Poi uccide di nuovo: un’infermiera, per rubarle 300 euro. Ed è sempre il Dna a legarla all’omicidio. Quindici anni di terrore, migliaia di ore di lavoro e più di dieci milioni di euro spesi, senza un risultato. La svolta arriva soltanto nella primavera del 2009.A chiudere la storia è un immigrato clandestino, ammazzato in Francia da qualcuno che poi gli ha dato fuoco. Im-possibile stabilirne l’identità, se non con un profilo genetico; ma il laboratorio re-stituisce una risposta davvero bizzarra: il campione appartiene a una donna, e

CODICE GENETICO. Un tampone per la raccolta del Dna.

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QUEI DELITTI ITALIANI CHE FANNO DISCUTERE

DELITTO DI VIA POMA, ROMA, 1990. Per l’omicidio di Simonetta Cesaroni viene condannato in primo grado, a più di vent’anni dal delitto, il fidanzato dell’epoca Raniero Busco, anche sulla base della odontoiatria forense. Assolto poi per impossibilità di confronto tra un elemento (ipotetico morso sul seno della vittima, repertato con foto) e un riscontro attuale (impronta dentale).DELITTO DI COGNE, 2002. Per l’omicidio del figlio viene condannata Anna Maria Franzoni. Determinante l’impiego di una tecnica relativamente nuova in Italia, la Bpa, Bloodstain pattern analysis, l’analisi del disegno prodotto dagli schizzi di sangue.MEREDITH KERCHER, PERUGIA 2007. Sostenuta con successo dalla difesa la contestazione al sopralluogo della Polizia Scientifica, con la possibilità di contaminazione. Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati assolti in Cassazione.CHIARA POGGI, GARLASCO, 2007. Determinante la valutazione della possibilità che Alberto Stasi, poi condannato in appello, sia passato sulla scena del crimine senza sporcare di sangue le scarpe; battaglia processuale tra periti e consulenti. SARAH SCAZZI, AVETRANA, 2010. Confronto acceso tra consulenti sull’arma del delitto (corda o cintura?) dato che il corpo è rimasto a lungo in acqua. Contestazione della perizia Ros sulla posizione dei telefonini. Condannate in appello per l’omicidio Sabrina Misseri e Cosima Serrano. ROBERTA RAGUSA, GELLO (PISA) 2012. Per l’accusa l’omicida è il marito Antonio Logli: ma viene prosciolto sia per il mancato rinvenimento del cadavere, sia per le testimonianze ritenute attaccabili.ELENA CESTE, COSTIGLIOLE D’ASTI, 2014. Indagato il marito, Michele Buoninconti; impossibile determinare la causa della morte, per riduzione in scheletro del corpo e assenza di segni d’arma da taglio, da sparo, contundente. Assenza di reperti tossicologici significativi.

Il Dna non sbaglia, ma gli esseri umani sì: c’è sempre il rischio di una contaminazione

per quanto carbonizzato, non c’è dubbio che la vittima sia un maschio... Il proble-ma vero è, però, un altro: il profilo gene-tico è identico a quello del fantasma di Heilbronn. Alla fine di marzo 2009, la situazione è chiara. Il fantasma non è mai esistito! Il profilo genetico di un’imprendibile as-sassina, una donna dell’Europa Orienta-le, non è mai stato raccolto sulla scena di crimini efferati e banali rapine. Quel Dna era già presente sui tamponcini in coto-ne usati per le tracce. In gergo tecnico si chiama “contaminazione”. I “cotton-fioc” utilizzati da molti dipartimenti di polizia provenivano tutti dalla medesi-ma azienda, dov’erano impiegate parec-chie operaie dei Paesi dell’Est, e il Dna apparteneva a una di loro. Massimo Picozzi

“Sul criminale possono essere ritrovate

tracce della vittima e della scena del crimine,

come pure la vittima può avere su di sé tracce che rimandano

all’aggressore. E ancora, l’aggressore può lasciare traccia di sé sulla

scena del delitto”.Edmond Locard, 1910

Gli oggetti“parlano”SEGNI. Le tracce fisiche presenti sulla scena di un crimine sono fondamentali per sostenere, indirizzare (o contraddire) punti dell’indagine. Gli investigatori sanno di doversi muovere con cautela per raccogliere, proteggere e custodire queste prove. Le tracce fisiche da cercare sono quelle umane, le impronte e gli oggetti.

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TRACCE: 1 di guanti - 2 di fibre tessili - 3 di pneumatici - 4 di residui da sparo - 5 sulle munizioni - 6 di vernice - 7 di suole di scarpe - 8 di vetro infranto - 9 di attrezzi da scasso - 10 di terra

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1 Sai che cosa vuol dire “aderenza terapeutica”?Vuol dire rendere sempre conto al medico di tutti gli effetti collaterali che la cura mi provoca.Significa fare quello che dice il medico nel rispetto delle modalità e dei tempi della cura.Aderenza terapeutica è quando prendo le medicine solamente quando sto male e poi le sospendo quando comincio a sentirmi meglio.

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2 Sai quando devi interrompere la cura?Quando sto meglio.Quando ho effetti collaterali posso interrompere anche senza aver sentito il medico.Quando la terapia assegnata dal medico è completata.

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MORTI SENZA IDENTITÀ.Il teschio di una persona uccisa più di 20 anni fa. Per il profiler l’identikit della vittima è importante per elaborare quello dell’assassino.

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Così pensa (e colpisce) l’assassino

La figura del profiler ha solo

pochi decenni di vita. Fra

grandi successi e clamorosi errori, ecco

come si svolge la parte più “profonda”

dell’indagine.Criminal minds, Il silenzio degli

innocenti... Il “profiler” è una figura che il grande pubblico conosce soprattutto attraver-

so serie tv e film; il suo compito è deli-neare un identikit sociale, psicologico e comportamentale di uno sconosciuto partendo dalle caratteristiche del cri-mine che ha commesso. Come ci arri-va? Riesce a identificare i colpevoli? È “scientifico” e affidabile? Cominciamo dalle fonti di informazione che analizza. Sono tre: la scena del crimine, in tutti i suoi dettagli; il profilo della vittima; la ricerca di un collegamento con crimini commessi nel passato, per trovare ele-menti comuni (in gergo, case-linkage).

PRIMI PASSI. Il primo esempio di pro-filing nell’era moderna è senza dubbio quello elaborato da Thomas Bond, me-dico legale e consulente della Criminal Investigation Division di Londra che nel

1888 stilò, basandosi sulle caratteristi-che dei delitti commessi nel quartiere di Whitechapel, a Londra, l’identikit di Jack lo Squartatore: “fisicamente forte e di grande freddezza e audacia [...] sog-getto a periodici attacchi di mania eroti-ca e omicida [...] affetto da satiriasi [...] persona inoffensiva, di mezza età, curato nell’igiene e rispettabilmente abbigliato [...] senza occupazione regolare, vive di piccole entrate o di un sussidio”.Per quanto ammirevole, sappiamo che lo sforzo del medico legale non portò ad alcun risultato pratico, tanto che oggi, a distanza di 127 anni, l’identità del “mo-stro” resta ancora un mistero.Questo tuttavia non scoraggiò nel 1972 un gruppo di agenti speciali dell’Fbi, che, forti di un master in psicologia, fondaro-no la Behavioral Science Unit, l’Unità di Scienze del Comportamento. Nel 1978 entrò nel team colui che, insieme a Ro-bert Ressler, è considerato il profiler

Numeri, statistiche e... inganniFALSE CONVINZIONI. Quali sono le difficoltà per chi vuole applicare la matematica o la statistica alla criminologia? Il matematico, se vuole comprendere il delitto e costruirne schemi esplicativi, deve essere consapevole di 5 grandi inganni, “bias” o “fallacies” in gergo tecnico. Al primo posto c’è la dramatic fallacy, che sta a indicare l’enfatizzazione sui crimini violenti, come omicidio e stupro, scordando che sono furti, rapine e reati legati alla droga a dominare l’universo dei fatti criminali. Poi c’è da considerare la not-me fallacy, la falsa credenza che i criminali siano qualitativamente diversi da noi. L’ingenuity fallacy ipotizza invece abilità particolari in chi commette un delitto, mentre gran parte dei reati sono semplici nella progettazione e nell’esecuzione, anche se le vittime poco sopportano l’idea di essere state facilmente sopraffatte. La cops and court fallacy riguarda la sovrastima del ruolo della polizia e dei tribunali nel sistema della giustizia; in realtà la maggior parte dei crimini avviene senza che la polizia ne sia informata. L’agenda fallacy è l’ultimo inganno, che deriva dall’interpretare il crimine in rapporto alle proprie convinzioni morali, politiche o religiose. Ma il delitto non segue regole di destra o di sinistra.

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I profiler lavorano su un campo minato: perché quando ci si basa sul fattore umano il rischio di sbagliare è altissimo

Le trappole del pensieroPREGIUDIZI. Si chiamano “euristiche”, ma potremmo definirle scorciatoie mentali. Facilitano la vita, risultano spesso determinanti per la sopravvivenza; ma, semplificando la realtà, ci espongono a errori sistematici, e sono il maggior pericolo anche per le scienze forensi. Tra le scorciatoie più note, troviamo quella della rappresentatività, che utilizza stereotipi e somiglianze per classificare oggetti, situazioni e individui. Applicata ai casi di cronaca nera, può condurre alla facile conclusione che il responsabile della morte di una donna è sempre il marito... Ma nelle investigazioni scientifiche un’altra trappola è sempre pronta a scattare: si chiama “bias di conferma”, ed è il meccanismo attraverso cui finiamo per cogliere e valorizzare solo gli elementi che confermano il nostro orientamento. Nell’agosto 2011, gli scienziati forensi Itiel Dror e Greg Hampikian, dopo un processo per violenza sessuale di gruppo, inviarono lo stesso reperto di Dna, che era stato alla base della condanna, a 17 altri centri, non informati (a differenza del laboratorio scelto dalla Corte) delle ragioni dell’esame. Risultato? Soltanto uno confermò l’analisi; 12 affermarono il contrario e 4 risposero che il reperto non era conclusivo.

in un appartamento allo stesso piano di quello degli Evelson. Aveva tentato più volte di suicidarsi; ospite di un ospedale psichiatrico, la sera prima dell’omicidio aveva lasciato l’istituto senza permesso. Un risultato sorprendente, ma parlare di scientificità nel criminal profiling è az-zardato: è impossibile definire con pre-cisione che cosa s’intenda per “risultato positivo” in un profilo criminale; l’iden-tikit si è rivelato del tutto sovrapponibi-le alle caratteristiche del colpevole, una volta identificato? O ha soltanto fornito elementi utili all’indagine, riducendo il numero dei sospettati? Perché, accanto al caso di Francine Evelson, vent’anni dopo ecco uno dei più clamorosi abbagli nella storia dell’investigazione.

... E FALLIMENTO. Silver Spring, Mary-land. James D. Martin ha 55 anni e il sac-chetto della spesa in mano quando crolla a terra, colpito da un proiettile alla testa. È il 2 ottobre 2002, e il giorno dopo, tocca a James Buchanan, 39 anni, giardiniere;

più celebre della storia; il suo nome è John Douglas, e gli si deve uno dei mag-giori successi della sua unità, un caso che è insieme terribile e un esempio eccezio-nale dei processi che portano a elaborare un profilo.

SUCCESSO... New York, anno 1979. Francine, 26 anni, insegnante in un cen-tro per disabili, alle sei e mezzo del mat-tino lascia l’appartamento dei genitori. Alla scuola, dov’è diretta, non arriverà mai. Il suo cadavere sarà ritrovato quel pomeriggio, all’ultimo piano dello sta-bile. Francine è nuda, percossa al volto, morsicata in vari punti del corpo, ferita con un temperino, strangolata con la cin-ghia della borsa. Dopo la morte è stata le-gata mani e piedi e mutilata. Il killer ha poi disposto il corpo in modo che braccia e gambe disegnassero a terra una lettera dell’alfabeto, la stessa del ciondolo che la poverina portava al collo e che è sparito.Dopo un mese l’inchiesta non è avanza-ta di un passo, e viene chiamata in causa l’Fbi e la sua unità specializzata. John Douglas riprende in mano tutti gli ele-menti a disposizione, e inizia a comporre una lista. La vittima è stata aggredita sul pianerottolo di casa, alle sette del matti-no. La ragazza non ha opposto resistenza.

Per ucciderla, l’assassino ha usato oggetti che le appartenevano. Dopo la morte, ha indugiato in atti ritualistici. Il luogo in cui il crimine è stato commes-so fa pensare a un delitto non pianificato, anche in relazione al fatto che il crimina-le non ha portato con sé un’arma. L’assas-sino si trovava alle sette del mattino nello stabile, e a quell’ora i servizi pubblici an-cora non funzionano. Potrebbe aver rag-giunto l’edificio a piedi? In questo caso, abita nelle vicinanze. Ancora: ha avuto tempo a disposizione, e per via dei rituali post mortem è assai im-probabile che abbia una vita di relazione e sessuale matura. Raramente, poi, que-sto tipo di crimine è commesso ai danni di una vittima di etnia diversa da quella dell’assassino. Infine: il colpevole è forse in cura in un centro d’igiene mentale.A quel punto l’agente speciale John Dou-glas ha informazioni sufficienti per un profilo da passare alle unità investigati-ve. Per lui l’assassino di Francine Evelson è maschio, bianco, intorno ai 30 anni, single, abita nello stesso edificio della vittima, non lavora e assume psicofar-maci. Quando la polizia compie l’arresto, si trova davanti a un trentenne, bianco, di nome Carmine Calabro. Attore disoc-cupato, viveva saltuariamente col padre

DOSSIER

96 | Focus Settembre 2015

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I testimoniBUONA FEDE. Nel 1932 Edwin Borchard, docente a Yale, pubblicò Convicting the Innocent, dimostrando che ai testimoni oculari di un delitto si devono i più clamorosi errori giudiziari. La memoria non è una fotocopiatrice e ciascuno dei passaggi di codifica, ritenzione e recupero di informazione è influenzato da suggestioni e pregiudizi. La psicologa Elisabeth Loftus lo ha dimostrato col suo “Weapon Focus Effect”: a gruppi di volontari venivano presentate due scene in un fast-food. Nella prima un uomo si avvicinava alla cassa con un’arma da fuoco; nella seconda aveva in mano un assegno. La registrazione dei movimenti oculari evidenziava che gli osservatori fissavano più la pistola che l’assegno, e che la concentrazione sul particolare comprometteva il ricordo. Nel riconoscere un uomo visto con un’arma in pugno, rispetto a uno disarmato, la precisione scende dal 49% al 33%. E secondo una ricerca dell’Innocent Project (Usa) sulle condanne ribaltate dalla prova del Dna, 7 errori giudiziari su 10 dipendono da testimonianze inaccurate o scorrette (v. riquadro).

poi è la volta di Premkumar Walekear, Sarah Ramos, Lori Ann Lewis-Rivera, e Pascal Charlot. In poco più di tre setti-mane sono dieci le vittime cadute sotto i colpi dell’assassino, e altre tre vengo-no ferite gravemente, raggiunte tutte da un colpo di fucile calibro 223. C’è un serial killer in circolazione e manca un movente. Le vittime non hanno alcun legame tra loro. L’assassino colpisce in-diani e ispanici, ma anche bianchi, gio-vani e vecchi, davanti a un distributore come pure nei parcheggi dei supermer-cati, per la strada e davanti a una scuola. Spara come un cecchino in guerra. L’ul-timo omicidio avviene martedì 22 otto-bre 2002. Entra in gioco la Behavioral Science Unit dell’Fbi, con il suo gruppo di profiler, che tracciano il loro identikit: l’assassino agisce da solo, è bianco, single, di età compresa tra i 20 e i 35 anni, il tipi-co residente del distretto di Washington. Peccato che quando la polizia arriva ad arrestare il cecchino scopre che in realtà i killer sono due, e non c’entrano nulla

con la descrizione degli esperti: si chia-mano John Lee Malvo, 17 anni, di colore, e John Allen Muhammad, 42 anni, afroa-mericano della Louisiana. Si erano cono-sciuti per caso, e avevano ideato un piano che, in un crescendo di omicidi, li avrebbe portati a ricattare il governo americano.

ARTE, NON SCIENZA. Alla fine, c’è chi lo chiama psychological profiling e sottoli-

nea così la ricostruzione psicologica del colpevole, chi mette l’accento sui com-portamenti (behavioral profiling), chi an-cora sottolinea il versante criminologico battezzandolo criminal profiling. Sta di fatto che il profiling, più che una scienza, oggi come oggi è un’arte: a dispetto degli indubbi successi e di quello che si vede nei film e nelle serie tv.Massimo Picozzi

IL MIGLIORE.John Douglas,

consulente dell’Fbi negli anni Settanta, è

uno dei profiler più famosi nella storia.

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Informatori (48 casi)

20 30 40 50 60 70 80

72%47%

27%15%

Le cause degli errori giudiziari

Confessioni false (88)

Indagini sbagliate (154)

Testimoni oculari (235)

I 525 crimini negli Usa giunti a condanna e poi smentiti (in 325 casi dalla prova del Dna). Il totale è superiore a 100% perché le condanne sbagliate possono avere più di una causa.

Settembre 2015 Focus | 97

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Il robopoliziotto è di pattuglia

Dai software che predicono i

crimini ai droni.La tecnologia

promette più sicurezza.

Ma minaccia la nostra privacy?

Il poliziotto ferma il sospetto, punta la pistola, chiede di alzare le mani. Il ragazzo si rifiuta. E, quando infila una mano nella borsa, l’agente lo fredda,

pensando erroneamente che stia per prendere un’arma. Per fortuna l’unico elemento reale è... il poliziotto. La sce-na è una sorta di videogioco: un sistema interattivo dotato di schermo su cui ap-paiono vari scenari, con malviventi e so-spetti interpretati da attori. L’agente va-luta ciò che accade, parla coi personaggi virtuali e decide che cosa fare, se cercare di riportare la calma o sparare. I simulatori interattivi (come il sistema VirTra) sono la versione hi-tech dell’a-bituale addestramento della polizia: una tecnologia per “allenarsi” a reagire in modo appropriato in condizioni diffici-li. Sulle strade, poi, i tutori dell’ordine potranno contare sull’appoggio di robot come Knightscope (in alto). Si muove, legge le targhe delle auto, riconosce i volti e registra comportamenti sospet-

ti, lanciando l’allarme. Per il momento è stato testato per la sicurezza in aziende (v. Focus n. 256), ma è pensato per la sor-veglianza di luoghi anche affollati, come centri commerciali o campus scolastici. Il turno di pattuglia dei “robocop” sem-bra quindi iniziato: la polizia di Dubai ha perfino annunciato che, a partire dal 2017, introdurrà in alcuni luoghi pubblici robot capaci di interagire con i cittadini e collegarsi alla centrale di polizia. Insom-ma, anche se per i cyborg in grado di ar-restare i criminali bisognerà attendere, il futuro della polizia è segnato dall’uso delle nuove tecnologie. Ma quali conse-guenze comporteranno? Serviranno a rendere le nostre città più sicure? E quali saranno i rischi, invece?

RAPINE FUTURE. Una delle tecnologie emergenti sembra davvero uscita dal film Minority Report. Si tratta dei softwa-re predittivi: non anticipano un crimine specifico, ma indicano dove e quando potranno essere commessi dei reati e indirizzano così le forze dell’ordine. Nel campo, l’Italia è all’avanguardia. Un pro-gramma, KeyCrime, è operativo nella Questura di Milano dal 2007. «Studiando le rapine nelle farmacie», spiega l’inven-tore, l’assistente capo della Polizia Mario Venturi, «mi sono reso conto che gran parte dei dati raccolti andavano perduti e che c’era bisogno di uno strumento per compararli». Così è nato un enorme da-tabase che raccoglie ogni informazione sui reati (ieri solo rapine, oggi tutti) con un algoritmo che mette in correlazione elementi come data, luogo, ora, tipo di reato, obiettivo, dati e comportamento del malvivente, eventuali filmati di tele-camere di sicurezza. «A questo punto il software compara il singolo reato con gli 8.000 precedenti, contenuti nell’archi-vio, e propone all’agente eventi poten-zialmente collegati con quello analiz-zato. Così si evidenzia una serialità tra

FILMATI. Un poliziotto di Duluth (Usa) con videocamera

sulla divisa. In alto, il robot-sbirro Knightscope.

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DOSSIER

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CHE COSA CI RACCONTA UN PROIETTILE

SOLCHI. La balistica è la scienza che si occupa del moto di un corpo lanciato nello spazio. In ambito forense, studia le proprietà di un proiettile: analizza i fenomeni che vanno dall’uscita dalla canna, al tragitto verso il bersaglio, all’impatto col corpo della vittima. Partiamo dall’arma da fuoco. La parte interna della canna è chiamata anima e in genere ha una superficie rigata, un insieme di solchi a spirale che imprimono un movimento rotatorio al proiettile permettendogli di mantenere la direzione, con la punta in avanti. Il calibro di un’arma è la misura del diametro interno della canna; il proiettile ha in realtà dimensioni leggermente maggiori, per impedire l’uscita incontrollata dei gas propellenti prodotti dallo scoppio delle polveri. Ciò comporta un fenomeno importante in ambito forense: la produzione di caratteristiche scalfitture, quei solchi e graffi sul proiettile che permettono di risalire all’arma che ha sparato. Inoltre, spesso è possibile stabilire anche la distanza da cui è stato esploso il proiettile. La polvere da sparo esce dalla canna in due forme: gas, che provoca l’affumicatura di cute o indumenti, e particelle incombuste, che producono una specie di tatuaggio sulla pelle. Man mano che la distanza tra l’arma e la vittima aumenta, scompare prima l’affumicatura, poi il tatuaggio. Massimo Picozzi

SIMULATORE.Addestramento della polizia

di Omaha (Usa) con un simulatore VirTra. Si spara con armi ad aria

compressa che simulano quelle vere.

più reati, che permette di “prevedere” i successivi per quanto riguarda il tipo di obiettivo, una zona e un arco temporale, ma anche la pericolosità del criminale», spiega Venturi. «Per esempio, due mesi fa siamo riusciti a catturare alcuni rapi-natori che agivano nelle farmacie armati di fucile a canne mozze, fatto piutto-sto anomalo, aspettandoli nella zona e nell’arco temporale in cui il software ci diceva che avrebbero colpito». Oggi è l’uomo che, servendosi del com-puter, indirizza le ricerche. Ma nella nuova versione del programma (KeyCri-me Cube, che Venturi spera di proporre come software nazionale al ministero del l’Interno), il processo sarà ancora più automatico, per esempio nel ricostruire la serialità tra crimini. «Anche se l’ultima parola sarà dell’uomo», dice Venturi. Non è un dettaglio, dato che programmi simili usati in altri Paesi hanno sca-

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Settembre 2015 Focus | 99

Page 100: Focus Italia - Settembre 2015.pdf

Ci sono sistemi che rilevano gli spari e danno l’allarme. E che identificano i volti delle persone riprese da telecamere

FERMATI O SPARO.Addestramento col simulatore

Ti Training. A destra, Mario Venturi, inventore di un software predittivo. Sotto,

il programma per identikit Faces.

tenato polemiche per il loro “automa­tismo”. È accaduto a Chicago, dove un algoritmo ha creato una lista delle 400 persone potenzialmente più pericolose della città, includendo anche ragazzi con reati minori alle spalle. Inoltre, i soft­ware predittivi in genere individuano “zone calde” della città in cui è più alto il rischio che alcuni reati siano commes­si: la polizia potrebbe seguire analisi che continuano a puntare verso i quartieri più poveri o pieni di minoranze. Senza contare che in futuro i software potrebbero attingere a dati personali, re­periti dai social media, per costruire pro­fili criminali potenziali di ogni cittadino. «La raccolta di dati e i software preditti­vi predispongono un futuro con minore libertà», sostiene Jay Stanley dell’Ame­rican Civil Liberties Union, l’organizza­zione Usa che difende i diritti civili, «e lo stesso vale per le tecnologie sempre più usate, come le reti di videocamere».La privacy, infatti, è l’altra grande que­stione. È in gioco in tutti i casi in cui i cit­tadini potrebbero essere ripresi dalle vi­deocamere dei robot o dalle “body­cam”, che negli Usa sono sempre più spesso agganciate alla divisa o agli occhiali dei

poliziotti per registrare ciò che accade attorno a loro. Se da una parte queste ultime documentano le interazioni tra poliziotti e cittadini (sospetti o no), «bi­sogna stabilire regole per essere sicuri che non vengano usate come strumenti di sorveglianza», spiega Jake Laperru­que, del Centro per la Democrazia e la Tecnologia di Washington. «Vuol dire essere certi che siano accese solo quando è richiesto dal servizio, che l’accesso al vi­deo sia controllato e che l’uso di software di riconoscimento facciale sia limitato». In Italia il Garante della privacy, nell’am­bito della sperimentazione in corso a To­rino, Milano, Roma e Napoli durante le manifestazioni pubbliche, ne ha chiesto l’utilizzo “solo in caso insorga un reale pericolo per la sicurezza”.

CONTROLLATI? E negli Usa un dibattito si è scatenato anche per l’uso di droni da parte delle forze dell’ordine, per sorve­gliare dall’alto le città: i cittadini di Seat­tle, per esempio, si sono ribellati, finché il sindaco ne ha bloccato l’adozione. «Dopo l’11 settembre 2001, negli Usa c’è stata un’escalation dell’uso della tecnologia in funzione di controllo, anche dalle polizie

locali», puntualizza Stanley. Il panorama delle tecnologie per la sicurezza è vario. Si va da ShotSpotter, sistema di sensori (in uso in varie città Usa) che identifica­no la provenienza di uno sparo per invia­re subito una pattuglia sul luogo, a Explo­rer, palla con dentro una videocamera che riprende in diverse direzioni e che gli agenti possono lanciare in un edificio per avere una visuale completa; da Lee­dir, piattaforma e app con cui i cittadini possono inviare foto e video, a NeoFace Watch di Nec, con cui si possono identifi­care le persone riprese dalle telecamere di videosorveglianza.Di fronte a strumenti più intelligenti e pervasivi, che futuro ci attende? «Più tecnologie saranno nelle mani delle for­ze dell’ordine, più sorgeranno domande su come il loro utilizzo dovrà essere limi­tato», spiega Laperruque. Quindi, per porre limiti a eventuali abusi, «c’è biso­gno di nuove leggi», conclude Stanley. Per sentirsi sicuri, non “spiati”. Marco Consoli

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100 | Focus Settembre 2015

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Page 102: Focus Italia - Settembre 2015.pdf

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LOMBARDIABG Bergamo Pianeta Sorriso Dr Maurizio Maggioni 035/213009BG Calcinate S.D.A. Studi Dentistici Associati S.r.l. 035/843016BS Botticino Mattina Studio Dentistico Dott. Lancetti Pietro 030/2693078BS Pompiano Studio Dentistico Dott. Lancetti Pietro 030/9465773CR Gussola Studio Dentistico Dental Team 0375/260969LO Lodi Dr Bonomi Franco e Dr Federico 0371/420776MB Correzzana Studio Ass. Project Dott. R. Mauri Dott.ssa V. Canauz 039/6064153MB Meda Centro Odontoiatrico Brianza C.O.B. 0362/342892MB Verano Brianza Sanimed S.r.l. - Dr Gualtiero Mandelli 0362/991751MI Gorgonzola Centro Dentistico 3D Karic 02/95300572MI Milano Dr. Scalzo Gerlando 02/39211542MI Milano Centro Dentistico Achilli - Russo 02/67072146MI Milano Dental Children Srl Prof. Caprioglio 02/29513674MI Pregnana Milanese S.D.C. S.r.l. Dr Pietro Cacciamani 02/93291209PV Pavia Studio Rao 0382/530730SO Sondrio Dott.ssa Elena Signorelli 0342/200208VA Solbiate Arno Dr Borracci Riccardo 0331/995810

MARCHEAN Jesi Dott.Daniela Batazzi 0731/213185AN Loreto Dottor Gambini Mauro 071/976850AN Senigallia Memè Dr.ssa Lucia - Bambini Prof. Fabrizio 071/7926794 AN Senigallia Studio Benedetti Guarrella 071/7928836AP Castel di Lama Studio Odontoiatrico Dott. Chiavelli Gustavo 0736/813731FM S. Elpidio a Mare Dott. Catini Giovanni 0734/871004PU Fano Studio Dentistico Dr. Roland Malecki 0721/862535PU Pesaro Studio Odontoiatrico Dott. Foglietta e Dott. Spadoni 0721/401372PU Urbino Studio Dentistico Dott Carlo Paci 0722/322436

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Bologna - Centro Odontoiatrico Dr. M. Farneti Dr.ssa E. Bondiwww.centro-odontoiatrico.com - Tel. 051/546398

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VENETOBL Feltre Clinica Feltre 0439/840426PD Albignasego Clinica Sorriso del Bambino 049/690115PD Cartura StudioDentistico Bergamasco e Ruzzon 049/9556159PD Padova Studio Dentistico Dott. Maurizio Mazzuchin 049/8686211PD Padova Dr Finotti Marco 049/723413RO Adria Clinica Odontoiatrica Biscaro Poggio 0426/40014TV Cavaso del Tomba St. Dentistico Associato Dr.ri Novello L. & R. 0423/942070TV Farra di Soligo St. Dentistico Ass.to Dr Rasera C. e Dr.ssa Rasera L 0438/801552VE Mestre Studio Dentistico Dott. Michele D’Amelio 041/958736VI Bassano del Grappa St. Dentistico Associato Dr.ri Novello L. & R. 0424/523734VI Vicenza Caredent Clinica Dentale 0444/303953VI Sandrigo Studio Dentistico Bettega – Bernkopf 0444/658877VR Verona Dott. Soave Sandro 045/534253VR Verona Studio Dentistico Dott.ssa Caterina Comin Chiaramonti 045/8008029

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Storia

Dopo il successo dell’anno scorso,

riparte a settembre il grande casting per

trovare i quattro protagonisti del

canale televisivo di Discovery Italia.

Ami il mondo Focus? Sei un let-tore del magazine, un utente del sito, un telespettattore del canale tv? Allora Mettiti a Fo-

cus! E partecipa alla grande iniziativa che cerca nuovi volti del canale televisivo del gruppo Discovery Italia Focus (Dtt cana-le 56 | Sky canale 418). Iniziativa che alla prima edizione dell’anno scorso ha avu-to un grande successo: più di mille video caricati sul Web e 3,3 milioni di contatti unici durante la messa in onda delle clip dei finalisti e dei vincitori. COME FUNZIONA. Il casting, realizzato in collaborazione con la casa di produ-zione Hangar di Gregorio Paolini, torna per trovare in tutta Italia quattro appas-sionati dotati di spirito divulgativo che vogliano mettersi in gioco per diventare i volti rappresentativi della rete nelle quat-tro aree tematiche di quest’anno: Storia,

Spazio&Scienza, Natura, Come funzio-na. La prima fase di recruiting si aprirà ufficialmente il 1° settembre, quando gli utenti saranno invitati a registrare e a caricare i propri video sul sito del canale Focus: www.focustv.it. Essenziale la sin-tesi: le clip possono durare al massimo 1 minuto durante il quale i candidati de-vono spiegare un argomento scientifico in modo creativo e coinvolgente. Una seconda fase di recruiting prevede an-che eventi sul territorio che saranno co-municati attraverso il sito www.focustv.it. Fra tutti coloro che avranno parteci-pato alle selezioni, verrà individuata una short-list di 12 finalisti, 3 per ogni area tematica, che saranno giudicati dalla redazione secondo criteri di capacità di sintesi, doti comunicative, competen-za tecnica. I 12 finalisti debutteranno a dicembre su Focus Tv per la volata fi-nale. Dopo un mese di sfide, domande a sorpresa, esperimenti scientifici di ogni sorta, verranno proclamati i 4 vincitori.

LA FASE FINALE. I 4 nuovi volti saranno in carica da gennaio 2016 per tutto l’an-no, e saranno protagonisti di un nuovo format in cui racconteranno temi e argo-menti legati alle 4 aree tematiche del ca-nale. Inoltre, daranno volto e voce al for-tunato format “Domanda & Risposta”, entrando così a pieno titolo nella fami-glia di Focus. Cosa aspetti? Accendi la curiosità: Mettiti a Focus!

I VINCITORI DEL 2014

FAN DELLA SCIENZA. Dall’alto verso il basso, i 4 vincitori dell’edizione dell’anno scorso di Mettiti a Focus! Sono Ruben, Antonella, Valerio e Alberto. Fra i prossimi, potresti esserci anche tu!Altre info su www.focustv.it

Chi sarà il nuovo volto di Focus Tv?

Televisione

104 | Focus Settembre 2015

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Spazio&Scienza

Come funziona

NaturaStoria

IN POSA IN TV.Il gufo reale: con

un’apertura alare fino a 2 metri, è la specie

di gufo più grande.

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Settembre 2015 Focus | 105

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VESUVIOIl fuoco sotto

Geologia

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Napoli ci è abituata. È nata ed è cresciuta all’ombra del Vesu-vio. Ma per i partenopei e i loro vicini i pericoli sono due. «In

questa città, dici vulcano e tutti pensano al Vesuvio», osserva Giuseppe De Natale, geo logo dell’Istituto italiano di geofisica e vulcanologia. Questo gigante sovrasta la città e appare in tutte le cartoline; i re-sti di Pompei ed Ercolano poco lontano ricordano di cosa è capace. Ma Napoli sorge su un’area vulcanica molto più estesa, che comprende anche due “fratelli” del Vesuvio. Uno è tran-quillo: è il vulcano di Ischia, che dall’ul-tima eruzione nel 1302 non dà segni di risveglio. Ma il terzo fratello è un’altra storia. Si trova all’altra estremità della città rispetto al Vesuvio ed è un vero ti-tano: un vasto sistema vulcanico che ab-braccia praticamente tutta la baia di Poz-zuoli, da Capo Miseno a Posillipo. Sono i Campi Flegrei. Come se non bastasse, dopo anni di studi i geologi sono arrivati alla conclusione che tutti questi vulcani sono collegati tra loro da un mare di mag-ma seppellito a 10 km di profondità.

SOTTO OSSERVAZIONE. A sorvegliare sulla città sono i geologi dell’Osserva-torio Vesuviano, di cui De Natale è il di-rettore. Il loro quartier generale è in un palazzone dall’apparenza anonima af-facciato su via Diocleziano, un rettilineo trafficato e rumoroso che attraversa la parte occidentale della città, tagliando a metà il quartiere di Bagnoli. È da lì che un giorno potrebbe scattare l’allarme che

Un mare di magma collega

il vulcano più temuto dai

napoletani a un suo “fratello”

ancora più pericoloso: il

sistema dei Campi Flegrei.

CONTROLLI QUOTIDIANI.A sinistra, il Vesuvio. Sotto, il monitoraggio della sua attività.

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costringerebbe a evacuare mezza Napoli. Lì, infatti, i ricercatori sorvegliano 24 ore su 24 la minaccia che incombe sulla città. Sui monitor della sala di controllo com-paiono in tempo reale i dati di sismografi, telecamere a infrarossi e rilevatori Gps, pronti a segnalare il minimo sussulto dei vulcani della zona.

DOPPIO RISCHIO. Assieme, Vesuvio e Campi Flegrei fanno di Napoli la zona a più alto rischio vulcanico d’Europa, forse del mondo: in quale altro luogo si trovano più di 3 milioni di persone con-centrate in poche decine di chilometri, strette tra due vulcani attivi? Solo nelle due zone rosse indicate dalla Protezione civile, quelle che andrebbero evacuate in caso di eruzione, vivono rispettivamen-te 800.000 e 700.000 persone. Eppure il rischio è spesso sottovalutato. «A volte incontro abitanti dei Campi Flegrei che non sanno nemmeno di vivere in area vulcanica», spiega De Natale. «Mi chie-dono “che fa il Vesuvio?”, e io vorrei ri-spondere: “Che ti importa del Vesuvio, se hai un altro vulcano molto più vicino?”». I due giganti sono molto diversi tra loro, esempi da manuale di due grandi fami-glie. Il primo, con la sua forma a cono, è lo “stratovulcano” da libro di testo: alto 1.200 metri, si è formato con la lava fuo-riuscita eruzione dopo eruzione. I Campi Flegrei sono invece una caldera, un po’ la versione “in negativo” di un vulcano. Una depressione anziché una montagna,

in parte sulla terraferma e in parte sotto la baia di Pozzuoli, costellata di solfatare, fonti termali e piccoli crateri. Il motore che tiene in attività entrambi è il magma, roccia fusa che dalle profon-dità della Terra trova, ogni tanto, una via per salire in superficie. Per capire dove sia, i vulcanologi usano la tomografia si-smica, una Tac per vulcani: si provocano piccole esplosioni attorno al cratere (o si sfruttano i terremoti naturali) per poi misurare come si diffondono le vibrazio-ni. Le normali rocce e il magma, infatti, trasmettono le onde sismiche con velo-cità diverse, e un modello matematico permette di interpretare i dati. È proprio grazie a queste ricerche che i vulcanolo-gi hanno compreso che Vesuvio e Cam-pi Flegrei condividono una sola camera magmatica, comune anche a Ischia, tra gli 8 e i 10 km di profondità (v. disegno alle prossime pagine). Un ampio serbato-io collegato forse a una o più camere più piccole, separate, a 4-5 km di profondità.

COME CHAMPAGNE. Da una parte o dall’altra della baia di Napoli, anche il tipo di eruzione sarebbe molto diverso. Per il Vesuvio, il fattore scatenante è il gas intrappolato nel magma. Quando

quest’ultimo trova una via per salire e viene compresso nello stretto condotto che conduce all’esterno, il gas si aggrega in bolle sempre più grandi, finché gene-ra l’esplosione. Come in una bottiglia di champagne che viene aperta, il gas fug-ge portando con sé parte del magma, sparato a grande velocità in minuscoli frammenti che creano una colonna alta decine di chilometri. A un certo punto la colonna collassa, creando i flussi pirocla-stici: valanghe di minerali a centinaia di gradi che, cadendo, cancellano ogni for-ma di vita che incontrano. Furono proprio i flussi piroclastici a in-vestire Pompei ed Ercolano nel 79 dopo Cristo. Un evento descritto così bene da Plinio il Giovane che i vulcanologi di tut-to il mondo classificano quel tipo di eru-zione – la più violenta possibile – come “pliniana”. Ma questo scherzo il Vesuvio lo ha fatto diverse altre volte negli ultimi 20mila anni. Per fortuna, dopo l’eruzio-ne di Pompei, il Vesuvio si è fatto sentire solo con un paio di eruzioni meno violen-te, per poi convertirsi a sequenze di pic-coli scoppi per lo più innocui. L’ultimo botto, del 1944 (v. foto in alto a sinistra), ha chiuso il condotto e inaugurato un pe-riodo di quiete che dura tuttora.

SETTANT’ANNI FA. Il Vesuvio durante l’ultima eruzione, nel 1944: distrusse alcuni villaggi.

L’area di Napoli è la più monitorata del mondo. Perché è la più pericolosa

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IL PIÙ ALTO? È L’ETNA

LAVA FLUIDA. Come Napoli, anche Catania sorge alle pendici di un vulcano, l’Etna (nella foto, l’eruzione del 2013), che forse è meno minaccioso del Vesuvio ma comunque di tutto rispetto. Con i suoi 3.343 metri di altezza, è il vulcano attivo più alto d’Europa. Le sue eruzioni sono frequenti e lunghe, per lo più effusive: la lava non viene sparata in aria, come nel caso del Vesuvio, ma scorre lungo le pendici. Travolgendo tutto quello che trova, ma anche dando il tempo di mettersi in salvo. Ciò non significa che Catania possa dormire sonni tranquilli. Nel 1669, per esempio, il vulcano distrusse la parte esterna della città, con un fiume di lava che fluì per 122 giorni. Nel 1928, la peggiore eruzione del secolo seppellì la cittadina di Mascali, poi ricostruita. Nel 1991, infine, ci fu un’eruzione di 473 giorni: quando la lava minacciò Catania, la Marina usò 7 tonnellate di esplosivo al plastico per creare un canale che ne deviasse il flusso.

PERICOLO DI ESTINZIONE. Nelle caldere come i Campi Flegrei, invece, a provoca-re l’eruzione è il contatto tra magma in ri-salita e acqua imprigionata in sacche tra 1 e 3 km di profondità (quella che alimenta fonti termali e fumarole della zona). Se il magma arriva in una di quelle sacche la fa esplodere: il terreno sopra si frattura, la lava mista a gas erutta con violenza e l’intera area crolla su se stessa. È quello che accadde 39.000 anni fa: mezza Cam-pania fu seppellita sotto una cappa di tufo, ma fumo e ceneri causarono cam-biamenti ambientali e climatici in tutta Europa. «Qualcuno pensa che l’eruzione

LE FAUCI DEL MOSTRO.Un gruppo di persone in cima al Vesuvio. Tutta la pianura circostante è minacciata dal vulcano.

abbia causato l’estinzione dell’uomo di Neanderthal, che avviene più o meno nello stesso periodo», spiega De Natale. «È possibile che, a differenza di Homo sapiens, non sia riuscito ad adattarsi al cambiamento del clima». Poi, per fortuna, il mostro si è calmato. L’unica eruzione in epoca storica risale al 1538, modesta rispetto a quelle che l’a-vevano preceduta, ma che impressionò i napoletani. Il 28 settembre il mare si ritirò di più di 300 metri. Il giorno dopo, il terreno in un punto vicino alla costa iniziò a gonfiarsi, “come quando la pasta cresce”, scrisse un cronista dell’epoca.

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La sera stessa, da quel rigonfiamento iniziarono a uscire fuoco, fumo, cenere. E quando cessarono gli scoppi e il fumo si diradò, i napoletani si ritrovarono una collina alta 133 metri. La chiamarono Monte Nuovo. Presto si abituarono alla sua presenza e dimenticarono di nuovo che i Campi Flegrei sono un vulcano.

MOVIMENTO LENTO. Negli Anni ’70 del secolo scorso, però, a Pozzuoli iniziaro-no a sentire la terra crescere sotto i piedi. Del bradisismo flegreo, un lento movi-mento verticale del terreno che somiglia a un terremoto al rallentatore, abbiamo testimonianza fin dall’era romana. Ma per due volte, tra il 1970 e il 1972 e poi an-cora tra il 1983 e il 1984, il terreno prese a salire di oltre 2,5 mm al giorno. Si pensò a un’eruzione imminente, e fu decisa l’eva-cuazione temporanea di 40mila persone da Pozzuoli nel 1983. «Col senno di poi fu un falso allarme», spiega De Natale. «Eppure aveva tutte le caratteristiche di un precursore di un’eruzione».Individuare fenomeni precursori è lo scopo principale dell’Osservatorio Ve-

Quello sotto Pozzuoli è definito un “supervulcano”. Come lo Yellowstone (Usa)

suviano. «I nostri sono i vulcani meglio monitorati al mondo, ed è giusto che sia così», ribadisce De Natale. «Sono i più ri-schiosi». Per ora il Vesuvio non dà trop-pi pensieri. Dal 1944 dormicchia, giusto qualche fumarola e qualche terremotino che di solito non si sente a Napoli.I Campi Flegrei non dormono, invece. Dal 2005 il suolo ha ricominciato a sali-re, meno che negli Anni ’80 ma abbastan-za da far passare il livello di allerta della Protezione civile da verde (come è per il Vesuvio) a giallo, il livello di attenzione. De Natale sottolinea che un’eruzione come quella di 39.000 anni fa è estrema-mente improbabile, e in un certo senso è un rischio contro cui è inutile preparar-si. Ma anche un’eruzione intermedia, lo scenario su cui sono basati i piani di eva-cuazione (v. riquadro in alto a destra), avrebbe effetti catastrofici.

SPINTE NASCOSTE. Da poco, l’Osserva-torio Vesuviano ha un altro strumento per monitorare i Campi Flegrei. Un poz-zo scavato nell’area di Bagnoli, che ha permesso di misurare composizione chi-

SU E GIÙ.Il tempio di Serapide, a Pozzuoli. Si alza e si abbassa a seconda dei movimenti del terreno.

1,5Il numero di persone che vivono nelle due aree rosse (più a rischio) definite dalla Protezione civile.

mica, temperatura e permeabilità delle rocce fino a 500 metri. Il pozzo ha già dato nuovi elementi per comprendere meglio il bradisismo, che è legato al ri-scaldamento delle falde acquifere rag-giunte ogni tanto dal calore che sale dalla camera magmatica profonda (v. schema a lato). Quando l’acqua torna a raffred-darsi, il suolo scende, e infatti il rigonfia-mento degli Anni ’70 e ’80 è stato seguito da periodi di abbassamento. Il team di De Natale ha però appurato che questo mec-canismo può spiegare solo una parte del sollevamento. Quel che resta (un metro circa dal 1984) sembra dovuto a nuovo magma che dalla camera profonda sale, e spinge verso l’alto. Un altro segnale che là sotto le cose si muovono, eccome. Nicola Nosengo

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VESUVIO

NAPOLI

AREA DEI CAMPI FLEGREI

Infiltrazioni di magma

Punto di contatto

E SE DOVESSE ACCADERE?

DOPPIO PIANO. Tutti sperano che non succeda, ma ci si prepara. La Protezione civile ha predisposto, e recentemente aggiornato, due piani di emergenza in caso di un’eruzione di Vesuvio o Campi Flegrei. Quando i segnali monitorati all’Osservatorio Vesuviano convincessero gli scienziati e le autorità di un’eruzione imminente, scatterebbe l’evacuazione della zona rossa, quella più a rischio.1. VESUVIO. Per il Vesuvio, la zona rossa copre 25 comuni a est di Napoli e 3 quartieri della metropoli. La zona gialla (altri 63 comuni e altri tre quartieri napoletani) copre invece le aree dove arriverebbero grandi quantità di ceneri. Qui non scatterebbe automaticamente l’evacuazione, al massimo potrebbero esserci allontanamenti temporanei. 2. CAMPI FLEGREI. La zona rossa dei Campi Flegrei comprende invece i quartieri più occidentali di Napoli oltre ai comuni della baia di Pozzuoli. Il problema è che qui un’eruzione potrebbe avvenire in teoria in qualunque punto della caldera. Per questo nella zona rossa sono state incluse anche le zone pianeggianti ai piedi della collina di Posillipo, fino a comprendere il quartiere napoletano di Chiaia.

COME UNA PENTOLA SUL FUOCO. La solfatara di Pozzuoli: il vapore è prodotto dal contatto tra magma e acqua sotto terra.

COLLEGAMENTI SOTTERRANEI.

Situata tra il Vesuvio e i Campi Flegrei,

Napoli è come un nano tra due giganti, tra i

quali è stato scoperto un collegamento a

8-10 km di profondità.

Magma sottostante

CondottoInfiltrazioni d’acqua

Solfatare

Magma

Una città tra due fuochi

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Tutti li hanno. Nessuno, o quasi, riesce a custodir-li per sempre. Eppure, la capacità di preservare qualcosa di esclusivamente privato è il fonda-mento delle relazioni sociali: se fossimo sempre sinceri con chiunque, probabilmente scoppiereb-be un conflitto al minuto. Tant’è che i segreti esi-stono a qualsiasi livello: ci sono quelli personali,

ma anche famigliari, aziendali, militari, fino a quelli di Stato. «La classica dinamica è il triangolo», spiega Maurizio Brasini, psicologo e docente di psicoterapia individuale all’Università de L’Aquila. «C’è la persona, o il gruppo, che possiede un segreto, un altro a cui viene svelato, e tutti gli altri che restano esclusi». In questo sistema, dove due elementi sono più vicini di un terzo, si scatenano dinamiche complesse. Chi sa (e tace) è ovviamente in una posizione di forza, che è tanto maggiore quanto più stretta è la cerchia di quelli che sanno.

GIOCHI DI POTERE. «La segretezza è l’arte del controllo. Tutto ciò che io conosco, e tu no, mi consente di tenerti in pugno», chia-risce lo psicologo. Ma questa supremazia ha un prezzo: alza un muro tra le parti. Non si può mai essere davvero intimi con chi lasciamo nell’ombra, ignaro della verità. All’opposto, scambiarsi una confidenza crea un’alleanza, fortifica i legami, suggella amori e amicizie nel segno della fiducia reciproca. Per chi ascolta è una conquista, una lusinga, ma anche una maledizione, se il patto vie-ne meno. Perché gli equilibri possono cambiare, e i segreti diven-tare un boomerang: tanto fanno comodo finché la finzione regge, quanto possono esser distruttivi se vengono scoperti o rivelati inopportunamente. Così, mantenerli o no è una scelta che spesso può mandare in crisi.

48 ore. In media, è il tempo durante il quale riusciamo a mantenere un segreto (se non ci riguarda direttamente).

Confidarli? Rivelarli? La

decisione è difficile, metterla

in atto anche. In tutti i casi,

ecco come si fa.

SEGRETI: CUSTODIRLI

OPPURE...

Comportamento

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BOCCA CHIUSA.

Mantenere un segreto è

anche una forma di

potere.

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Come mantenere un segreto...TECNICHE DA INTERROGATORIO. Se siete determinati a restare muti come pesci, alcuni accorgimenti possono aiutare nell’impresa. «Nelle conversazioni pubbliche conviene evitare del tutto l’argomento. Più dettagli si riferiscono per spiegare un fatto, più è fondato il sospetto che si stia mentendo», osserva Marco Cannavicci, psichiatra militare e criminologo, con pluriennale esperienza nelle Forze speciali della Difesa sulle tecniche di interrogatorio. «Bisogna prepararsi una versione di copertura e restare inamovibili su quella, evitando di aggiungere, togliere o modificare particolari. È importante anche mantenere un tono di voce lento e calmo. Ma quel che conta di più è il linguaggio del corpo: per esempio, evitare lo sguardo diretto, grattarsi il naso, toccarsi la faccia, coprire le mani o assumere una postura ricurva, sono spie di menzogna». Può essere utile anche fissare una scadenza al mantenimento del segreto. Spesso, trascorso un certo lasso di tempo, persino le questioni più serie diventano meno rilevanti. Nel frattempo, è bene tenersi occupati in attività fisiche e mentali, in modo da pensarci il meno possibile.

LO DICO SOLO A TE...I segreti, una volta condivisi, spesso si diffondono in modo esponenziale.

114 | Focus Settembre 2015

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Poi, certo, c’è segreto e segreto. Un conto è tacere sulla scappatella del nostro vici-no di ombrellone, un altro se i traditori siamo noi. Nel primo caso, dice un son-daggio cileno, in media non passano più di 48 ore prima che la lingua si sciolga, complice magari un bicchiere di troppo. Può consolare sapere che, quasi sempre, la confidenza vien fatta a persone, come il partner o la mamma, non direttamente coinvolte nella questione. Ma più gente sa, più aumenta esponenzialmente il ri-schio che il segreto passi di bocca in boc-ca e arrivi, infine, alle orecchie di chi non avrebbe dovuto sentire. Se invece il segreto ci coinvolge profon-damente, allora ci imponiamo di tacere con più convinzione, più a lungo... e con molta più fatica. Celare un’infedeltà, una vita parallela, un diverso orienta-mento sessuale, un problema finanzia-rio, un abuso, richiede infatti uno sforzo continuo per non contraddirsi, il vaglio meticoloso di ciò che si trasmette, la re-pressione di ciò che non deve emergere.

IL PESO DEGLI SCHELETRI. I neuro-ni, in particolare quelli della corteccia prefrontale e del giro del cingolo, sono costretti agli “straordinari” per inibire ogni comportamento impulsivo e poten-zialmente fallace, come spiega il neuro-scienziato David Eagleman, autore di In incognito. La vita segreta della mente (Mondadori). Il paradosso è che più si

cerca di seppellire un pensiero, più il cer-vello deve occuparsene. Così, quello ri-torna a galla con maggior forza di prima. Un circolo vizioso che scatena il rilascio di cortisolo e noradrenalina, gli ormoni dello stress. E poi, c’è la paura costante di esser smascherati. Inevitabile che, se-condo varie ricerche, chi nasconde sche-letri nell’armadio, alla fine, ci rimetta in salute. Ansia, depressione, solitudine, ma anche cefalea, mal di schiena, nau-sea sono i disturbi più frequenti. Persi-no il lavoro ne risente, sostiene Michael Slepian, professore di scienze cognitive della Columbia University: la mente è talmente occupata a non farsi cogliere in fallo che riduce l’attenzione sul resto, fa errori ed è meno efficiente, come un computer “impallato” perché sta elabo-rando troppe operazioni insieme. Ma l’aspetto più sorprendente è che il maci-gno che si tiene dentro appesantisce non solo l’anima, ma anche il fisico. In quat-tro esperimenti, Slepian ha dimostrato che chi custodisce un segreto importante percepisce le salite più ripide, le distanze più lunghe, gli sforzi fisici più pesanti e si offre meno di aiutare gli altri nei la-vori manuali. Come se fosse realmente affaticato dal proprio fardello emotivo. Non stupisce, quindi, che spesso si arrivi a confessare per un motivo molto sem-plice: è liberatorio. Alleggerisce l’animo e aiuta a sentirsi meglio. Se non si è ancora pronti per arrivare a

... E come carpirlo a qualcun altro!DOMANDE A RAFFICA. Come convincere qualcuno a confessare? «Uno dei trucchi più utilizzati negli interrogatori di polizia è fare domande a raffica, senza dare al soggetto il tempo di riflettere troppo prima di rispondere: sotto pressione, è più facile farsi sfuggire la verità», spiega ancora Marco Cannavicci, psichiatra militare e criminologo. Quando il confronto si svolge tra due persone intime, si può anche osservare una pausa dopo che l’altro ha finito di parlare. Il silenzio, in genere, è difficile da sostenere (senza dar segni di irrequietezza o nervosismo) quando si dice il falso. «Un altro tranello psicologico è far credere che sappiamo già la verità, anche se non è vero». Si può inventare, per esempio, che un amico o un familiare ha già “cantato” o dare per accertati eventi che s’immagina siano successi per averne la controprova. Non sempre, ovviamente, se ne esce vittoriosi. «Ci sono alcuni soggetti – circa il 10-15 per cento della popolazione – con una personalità fredda, lucida, distaccata, quasi impermeabile agli altri: loro sono capaci di intrappolare i segreti senza alcun senso di colpa», prosegue Cannavicci. «In ambito forense, per esempio, i soggetti schizoidi o paranoici possono sostenere interrogatori serrati senza mai tradirsi, mentre chi mostra tratti narcisisti, schizo-affettivi o istrionici, messo sotto torchio, prima o poi capitola».

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Più si cerca di seppellire un pensiero, più il cervello deve occuparsene. Una faticaccia

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cente di psicologia della motivazione e delle emozioni all’Università di Padova. «E poi, deve essere una persona capace di ascoltare senza giudicare o emettere sentenze». Mica semplice.

COMING OUT. Confidarsi a volte è solo il primo passo: tante ragioni possono infi-ne spingere a gettare la maschera pro-prio con “chi non doveva sapere”. Certo, la verità non è sempre un balsamo: «Può far sentire l’altro tradito, ferito, umilia-to», dice Moè. Perciò, prima di sciogliere un segreto (scoprite come nel riquadro a fianco), bisogna valutare se il gioco vale la candela. A volte, la sincerità è l’unica strada perseguibile. Sarà difficile, ma nel lungo periodo i vantaggi saranno supe-riori agli inconvenienti (per esempio, dichiarare ai genitori di essere gay: è un diritto sentirsi amati per quello che si è). Se invece la trasparenza rischia di far male senza apportare benefici, forse converrebbe tapparsi la bocca (per esem-pio, nel caso di una cotta passeggera o di un flirt di gioventù: perché scatenare il pandemonio per qualcosa che non ha più importanza?). Sempre che un post su Fa-cebook o un messaggino su WhatsApp non svelino prima il misfatto. Perché in quest’era iperconnessa, ossessionata dalla condivisione, rischiamo di tenerci solo segreti di Pulcinella. Daniela Cipolloni

tanto, meglio quindi cominciare a confi-darsi con qualcuno. Ma con chi? A meno che non si tratti di un prete o di uno psicanalista, per i quali il silenzio è d’obbligo, conviene optare per una per-sona che si conosce da tempo, con cui si ha un legame affettivo consolidato, pre-feribilmente estraneo ai fatti (chi è coin-volto emotivamente con la “parte lesa” si ritroverebbe in una posizione scomoda) e, soprattutto, di cui si è già appurata la lealtà (chi fa gossip su altri, potrebbe ri-servarci lo stesso trattamento). Insom-ma, serve una persona fidata e discreta. E non solo. «Il confidente ideale deve essere empatico, cioè deve possedere la capacità di comprendere le emozioni di chi si sfoga», osserva Angelica Moè, do-

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6 MODI PER GETTARE LA MASCHERA

CORAGGIO! Ci sono sei possibili strategie, secondo un’analisi condotta da Tamara Afifi, del Dipartimento di comunicazione dell’Università della California, per uscire infine allo scoperto. 1. Preparare una sorta di “copione” della confessione e provarla con un amico. 2. Affrontare a viso aperto il diretto interessato, senza tanti giri di parole.3. Rivelare il segreto a qualcuno che, si suppone, andrà a dirlo a chi lo deve sapere. 4. Svelare un pezzetto di segreto per volta, monitorandone via via l’effetto.5. Seminare indizi qua e là, in modo che la persona intuisca da sola la verità.6. Usare vie traverse, come una telefonata, un sms, una mail, magari in incognito, senza “metterci la faccia”.Non è detto comunque che si debba seguire un’unica strategia, si può anche adottare un mix di più tecniche contemporaneamente. Quale che sia la modalità prescelta, è fondamentale prepararsi alla reazione dell’interlocutore, prefigurando tutti i possibili scenari (pianto, rabbia, urla) e le relative contromosse. Si verrà probabilmente travolti di domande e richieste di chiarimento: non ci si può sottrarre. Anzi, sarebbe bene essere umili e sinceri, chiarendo le ragioni per cui prima si è taciuto e poi si è scelta la trasparenza. E, ovviamente, bisogna ricordarsi di chiedere scusa.

Nascondere un segreto a lungo, senza sentirsi in colpa: ce la fanno in pochi

SEPOLTO LAGGIÙ.Un segreto importante mantenuto troppo a lungo può appesantire la vita.

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