Fisica ed arte: la visione dei colori · Vi siete mai chiesti come funzioni la nostra percezione...

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Fisica ed arte: la visione dei colori Vi siete mai chiesti come funzioni la nostra percezione del colore? Ad esempio perché vediamo il cielo blu ? Perché non verde o fucsia? Tutto comincia con la luce del Sole (quando il sole tramonta il cielo ci appare nero, dunque il Sole c’entra!): la sua luce è composta da lunghezze d’onda che vanno dai 380 nm (cioè milionesimi di millimetro) ai 780 nm, in pratica le onde elettromagnetiche relative ai colori compresi tra il violetto (con lunghezze d’onda molto corte) e il rosso (lunghezze d’onda molto lunghe) passando per tutti i colori dell’arcobaleno. Naturalmente il Sole emette anche raggi Ultravioletti (quelli a sinistra del viola) e Infrarossi (quelli a destra del rosso), ma non sono visibili al nostro occhio. Ci accorgiamo della loro presenza perché gli ultravioletti sono quelli che ci abbronzano (o ci fanno venire un eritema…) mentre gli infrarossi riscaldano. Osservate il grafico: lo spettro solare al di fuori dell’atmosfera ha un picco nella zona dell’azzurro, picco che si riduce drasticamente nel momento in cui la luce solare arriva al livello del mare. Ebbene è successo che le molecole dei gas presenti in atmosfera, troppo piccole per essere intercettate dai raggi ad alta lunghezza d’onda (rosso e arancione) che le “scavalcano” e continuano tranquilli il percorso verso la Terra, tendono a interferire con i raggi a lunghezza d’onda più corta (azzurro e blu) riflettendoli in varie direzioni. I raggi riflessi, quindi, illuminano di blu le particelle presenti in atmosfera. Ed ecco che il cielo ci appare blu!

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Fisica ed arte: la visione dei colori

Vi siete mai chiesti come funzioni la nostra percezione del colore?

Ad esempio perché vediamo il cielo blu? Perché non verde o fucsia?

Tutto comincia con la luce del Sole (quando il sole tramonta il cielo ci appare nero,dunque il Sole c’entra!): la sua luce è composta da lunghezze d’onda che vanno dai380 nm (cioè milionesimi di millimetro) ai 780 nm, in pratica le onde elettromagneticherelative ai colori compresi tra il violetto (con lunghezze d’onda molto corte) e il rosso(lunghezze d’onda molto lunghe) passando per tutti i colori dell’arcobaleno.

Naturalmente il Sole emette anche raggi Ultravioletti (quelli a sinistra del viola) eInfrarossi (quelli a destra del rosso), ma non sono visibili al nostro occhio. Ciaccorgiamo della loro presenza perché gli ultravioletti sono quelli che ci abbronzano (oci fanno venire un eritema…) mentre gli infrarossi riscaldano.

Osservate il grafico: lo spettro solare al di fuori dell’atmosfera ha un picco nella zonadell’azzurro, picco che si riduce drasticamente nel momento in cui la luce solare arrivaal livello del mare. Ebbene è successo che le molecole dei gas presenti in atmosfera,troppo piccole per essere intercettate dai raggi ad alta lunghezza d’onda(rosso e arancione) che le “scavalcano” e continuano tranquilli il percorso verso laTerra, tendono a interferire con i raggi a lunghezza d’onda più corta (azzurro e blu)riflettendoli in varie direzioni.

I raggi riflessi, quindi, illuminano di blu le particelle presenti in atmosfera. Ed ecco cheil cielo ci appare blu!

Il mare è blu per un processo simile ma opposto (solo in parte, infatti, riflette il coloredel cielo).

Le lunghezze d’onda più ampie della luce solare, quelle del rosso e dell’arancione,attraversando la massa d’acqua tendono ad essere assorbite per prime mentrequelle relative all’azzurro vanno molto più in profondità e tendono a conferire al mare ilsuo caratteristico colore.

Chiaramente sia il cielo che il mare hanno tonalità che mutano continuamente percui sostenere che siano blu è decisamente generico.

La dimostrazione ce la fornisce il fotografo inglese Garry Fabian Miller che hadedicato un anno intero, dal 1976 al 1977, per catturare dal tetto della sua casal’orizzonte marino in tutte le sue variazioni.

Che poi, se vogliamo essere pignoli, è improprio pure dire che una cosa è di un certocolore…

Il colore infatti è solo una “sensazione” che si crea nel nostro cervello nel momento incui i fotorecettori della retina sono stimolati dalle onde elettromagnetiche della luceriemessa da un oggetto.

Se noi, infatti, vediamo gli oggetti, è perché questi ricevono un fascio di luce e neriflettono una parte. L’oggetto “bianco” è tale perché riflette tutte le lunghezzed’onda, quello “rosso” perché riflette solo la parte rossa dello spettro mentre l’oggetto“nero” assorbe tutta la luce incidente (e per questo motivo si riscalda…).

Ma non tutte le “luci bianche” hanno lo stesso spettro. Questo significa che la luceriflessa non dipende solo dalla composizione molecolare della superficie, chedetermina quali onde riflettere, ma soprattutto dallo spettro della luce che illuminal’oggetto.

Sembra una cosa complessa ma il realtà ne fate spesso esperienza quando andate inun negozio e portate fuori il golfino per capire “davvero” di che colore sia.

Naturalmente state dando per scontato che il “vero colore” sia quello che vedete allaluce naturale. Ma la luce naturale cambia continuamente composizione spettrale. Nonè standard. Lo spettro del diagramma all’inizio del post è solo teorico.

Per questo esistono metodi scientifici per definire i colori in base a precise coordinatee sulla base di una luce standardizzata.

È molto interessante osservare come questo concetto di fisica sia stato intuito daMonet ed applicato nella celebre serie della cattedrale di Rouen.

Le trentuno tele sono la dimostrazione esemplare di come il colore sia dato dalla luce.Qual è la tinta della pietra della cattedrale? È rossa al tramonto, grigia in un giornonebbioso, dorata sotto il sole splendente!

Eppure, nonostante questa prova visiva della variabilità del colore degli oggetti,siamo comunque portati ad attribuire un colore unico ad ogni materiale a prescinderedalle condizioni di illuminazione.

Questo fenomeno, chiamato costanza percettiva, è dovuto all’intervento del nostrocervello e della nostre esperienze pregresse nell’atto della visione. Nel momento incui noi “sappiamo” che un oggetto – ad esempio un pomodoro – è di un determinatocolore glielo continuiamo ad attribuire in tutte le condizioni di visione, anche quando cigiunge un’impressione visiva differente.

La nostra visione presenta dunque due aspetti contrastanti: da un lato è un fenomenofisiologico di ricezione di uno stimolo visivo (e la rappresentazione di tale immagineretinica è proprio l’obiettivo degli impressionisti), dall’altro è un fenomenopsicologico di rielaborazione dell’immagine percepita (in pratica ri-creiamo una nuovarealtà sia dal punto di vista cromatico che da quello compositivo, come ci insegna lateoria della Gestalt).

Tuttavia, nonostante questa apparente arbitrarietà della nostra percezione dei colori(da un lato dipendono dalla luce, dall’altro il nostro cervello se ne frega e ce li fa vederecome vuole lui…) l’uomo ha elaborato dei criteri oggettivi per distinguere i colori. Sitratta dei sistemi di classificazione cromatica (a ruota o a pagine con campioni).

I primi studi sul colore risalgono alla fine del XVII secolo con la classificazione dei coloridi Boogert. Non ci è pervenuto nulla di più antico e completo.

Si tratta di una catalogazione di quasi 800 pagine con tanto di descrizione analitica diogni tinta rappresentata.

Occorre però attendere il XX secolo perché la colorimetria producesse dei sistemicromatici moderni. Oggi ne esistono tanti ma non ce n’è uno migliore dell’altro: ognunoè stato elaborato per un campo di applicazione ben preciso e, tramiti appositi sistemidi conversione, è possibile passare da un sistema all’altro abbastanza agevolmente.

Nel 1915 Albert Henry Munsell realizza per i suoi studenti un Atlante cromaticosviluppato in forma solida nel quale la chiarezza dei colori (valore) è data dall’assecentrale secondo vari livelli di grigio, la distanza dall’asse centrale indica lasaturazione (croma) mentre ogni “pagina” definisce una tinta.

Nell’Atlante ufficiale i campioni di colore possono venire rimossi per poter poterliconfrontare con le superfici delle quali si vuole identificare il colore.

Del 1925 è lo standard dei colori RAL. Questa classificazione cromatica, utilizzatasoprattutto nel settore delle vernici industriali e dei rivestimenti, contiene circa 2000colori in versioni matte e lucide. Esistono anche tinte speciali metallizzate,ferromicacee, dorate etc.

Nel 1931 è stato elaborato lo Spazio Cromatico CIE per rappresentare i coloripercepibili dall’occhio dell’osservatore medio su un grafico cartesiano x,y (una sezionepiana di una distribuzione solida dei colori).

I numeri lungo il perimetro della zona colorata corrispondono alle lunghezze d’ondadella luce, espresse in nanometri. Questo sistema è in uso nel campoilluminotecnico.

In Svezia, Norvegia e Spagna si utilizza il sistema NCS (Natural Color System), unaclassificazione creata negli anni ’50 dall’Istituto Scandinavo del Colore che somiglia alMunsell per la sua struttura solida e per la distribuzione dei colori nelle tre direzioni(alto-basso, interno-esterno e semipiano).

Si basa su sei colori principali considerati come “primari” e attraverso questi nedefinisce circa 10 milioni.

Un sistema più recente e di larga diffusione è il Pantone. Standard in campo grafico èstato elaborato da un’azienda statunitense negli stessi anni del sistema NCS.

Oggi, più che una semplice mazzetta di campioni è uno stile di vita, una gammacromatica con qualsiasi tipo di finitura che coinvolge designer, artisti, grafici eillustratori di tutto il mondo. Sfogliare una mazzetta Pantone è piuttostoimpressionante: ci si stupisce che possano esistere così tante variazioni di colore… enon abbiamo nemmeno nomi sufficienti per definirli tutti!

Per fortuna ogni colore ha un codice univoco che potrà definire una certa tonalità siaqui che in Giappone.

La cosa più divertente è scoprire che, attraverso i colori Pantone è stato campionato ditutto: dal cibo ai paesaggi, dagli oggetti di uso comune alle bevande…

Molto divertente è l’esperimento Choctone dello studio Cazapix, una palette divarianti cromatiche dove la C sta per cioccolata, la N per nocciole, la H per miele e la Gper uvetta.

Una palette culinaria ispirata ai Pantone è quella di Griotte, in cui frutta e stoviglie siintonano delicatamente.

Meno goloso ma più interessante dal punto di vista antropologico è il progettoHumanae dell’artista brasiliana Angélica Dass: un inventario di tutti i colori della pellepresenti sul pianeta (naturalmente è un work in progress).

Ogni campione è un ritratto stagliato sul fondo colorato con il Pantone di quellacarnagione. L’obiettivo? Farci scoprire che il mondo non si divide in bianchi, gialli eneri ma che le sfumature sono continue ed impercettibili e le differenze diventano unasplendida e calda tavolozza umana!

Tim Fraser Brown ha provato, invece, a rifare “Il bar delle Folies-Bergère” di Manetscomponendola in pixel-Pantone.

Ma per i maniaci dei Pantone esiste qualsiasi tipo di gadget. Guardate un po’ questi…imperdibili, vero?

Credo che il pezzo forte sia la mazzetta con tutte le nuance dei completini dellaregina Elisabetta…

E pensare che i colori, in realtà, non esistono!