FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE M-PED/01 - Università di Roma ... dell'educazione 2012-13... ·...

52
1 FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE M-PED/01 a.a. 2012-2013 (disciplina semestrale 30 ore 4 CFU) Corso 85 bis - Scienze della formazione primaria Proff. Carmela Di Agresti - Cosimo Costa Obiettivi formativi Gli obiettivi del corso sono: Sensibilizzare alla comprensione dell’agire educativo e alle sue leggi specifiche. Introdurre alla lettura di pagine significative di grandi autori che, vissuti in differenti epoche storiche, hanno affrontato problematiche di rilevante significatività per la comprensione del costruirsi dell’umano nell’uomo. Contenuto del corso Analisi dei dinamismi di sviluppo della soggettività, delle dinamiche dell’agire libero e delle particolari esigenze educative relative alle differenti potenzialità umane; Introduzione alla lettura di pagine significative di grandi autori del mondo classico e del mondo contemporaneo che hanno affrontato i temi di cui sopra; Approccio educativo alla realtà dell’agire interiore Problematiche circa l’inserimento qualificato nella convivenza. Testi per l’esame A. Parte istituzionale Di Agresti Costa, Introduzione metodologica al contenuto e alla metodologia di approccio della Filosofia dell’educazione (sul sito Lumsa) E. Ducci: Antologia di saggi brevi su temi di Filosofia dell’educazione Gli auctores, da E. Ducci, Approdi dell’umano, Roma, Anicia, 1999, pp. 67-79; Postille di filosofia dell’educazione, in “Il quadrante scolastico”, 1995, n. 64, pp. 94-103; La comunicazione da anima ad anima è ancora auspicabile? in AA. VV, (a cura di E. Ducci) Aprire su paideia, Roma, Anicia, 2004, pp. 15-20; B. Temi di approfondimento Pagine scelte da autori classici: Platone, Apologia di Socrate (tutta); La Repubblica (VII libro: Il mito della caverna); Seneca, Lettere a Lucilio, lettere scelte per il primo semestre: 1; 2; 4; 25; 27; 32; 33; 37; 41; 44; 45; 47; 50; 65; 66; 73; 74; 84; 94; 95; 108; 115. F. Ebner, pagine scelta da : PA - Parola e amore. Diario 1916/17 e Aforismi 1931, trad. E.Ducci - P.Rossano, Rusconi, 1998. (a seguire nella presente dispensa) SC. - Schriften, (Scritti), 3 volumi, München, Kösel, 1963. (a seguire nella presente dispensa) Esercitazioni : F. Albanesi: Simposio ( 212d3 /220b7), VII Lettera (brevi tratti) ; C. Costa: G. Deledda, Cosima; G. Nocita: Sofocle: Antigone. (una a scelta dello studente). Descrizione della verifica di profitto Esame finale orale: Per tutti, frequentanti e non frequentanti. Attenzione A disposizione degli studenti interessati c’è un CD con tutte le lezioni del I semestre registrate. Relativamente al CD contattare direttamente La Libreria Caffè Barumba per relativi accordi: Piazza delle Vaschette 15 00193 Roma; Tel. 06/45497439 E-mail: [email protected]

Transcript of FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE M-PED/01 - Università di Roma ... dell'educazione 2012-13... ·...

1

FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE M-PED/01 a.a. 2012-2013

(disciplina semestrale – 30 ore 4 CFU)

Corso 85 bis - Scienze della formazione primaria

Proff. Carmela Di Agresti - Cosimo Costa

Obiettivi formativi

Gli obiettivi del corso sono:

• Sensibilizzare alla comprensione dell’agire educativo e alle sue leggi specifiche.

• Introdurre alla lettura di pagine significative di grandi autori che, vissuti in differenti epoche storiche, hanno

affrontato problematiche di rilevante significatività per la comprensione del costruirsi dell’umano nell’uomo.

Contenuto del corso

• Analisi dei dinamismi di sviluppo della soggettività, delle dinamiche dell’agire libero e delle particolari

esigenze educative relative alle differenti potenzialità umane;

• Introduzione alla lettura di pagine significative di grandi autori del mondo classico e del mondo

contemporaneo che hanno affrontato i temi di cui sopra;

• Approccio educativo alla realtà dell’agire interiore

• Problematiche circa l’inserimento qualificato nella convivenza.

Testi per l’esame

A. Parte istituzionale

Di Agresti – Costa, Introduzione metodologica al contenuto e alla metodologia di approccio della

Filosofia dell’educazione (sul sito Lumsa)

E. Ducci: Antologia di saggi brevi su temi di Filosofia dell’educazione

• Gli auctores, da E. Ducci, Approdi dell’umano, Roma, Anicia, 1999, pp. 67-79;

• Postille di filosofia dell’educazione, in “Il quadrante scolastico”, 1995, n. 64, pp. 94-103;

• La comunicazione da anima ad anima è ancora auspicabile? in AA. VV, (a cura di E.

Ducci) Aprire su paideia, Roma, Anicia, 2004, pp. 15-20;

B. Temi di approfondimento

Pagine scelte da autori classici:

Platone,

Apologia di Socrate (tutta); La Repubblica (VII libro: Il mito della caverna);

Seneca,

Lettere a Lucilio, lettere scelte per il primo semestre:

1; 2; 4; 25; 27; 32; 33; 37; 41; 44; 45; 47; 50; 65; 66; 73; 74; 84; 94; 95; 108; 115.

F. Ebner, pagine scelta da :

PA - Parola e amore. Diario 1916/17 e Aforismi 1931, trad. E.Ducci - P.Rossano, Rusconi,

1998. (a seguire nella presente dispensa)

SC. - Schriften, (Scritti), 3 volumi, München, Kösel, 1963. (a seguire nella presente

dispensa)

Esercitazioni: F. Albanesi: Simposio ( 212d3 /220b7), VII Lettera (brevi tratti) ; C. Costa: G. Deledda,

Cosima; G. Nocita: Sofocle: Antigone. (una a scelta dello studente).

Descrizione della verifica di profitto

Esame finale orale: Per tutti, frequentanti e non frequentanti.

Attenzione

A disposizione degli studenti interessati c’è un CD con tutte le lezioni del I semestre registrate.

Relativamente al CD contattare direttamente La Libreria Caffè Barumba per relativi accordi:

Piazza delle Vaschette 15 – 00193 Roma; Tel. 06/45497439 E-mail: [email protected]

2

INTRODUZIONE METODOLOGICA

Iter di svolgimento del corso

Il corso è suddiviso in due parti: una parte istituzionale e una con tematiche di approfondimento.

1^ parte

- ci fermeremo a riflettere su alcuni elementi relativi ai contenuti essenziali della filosofia

dell’educazione e alla particolare metodologia di approccio richiesta per essere adeguata

all’oggetto su cui si applica;

2^ parte

- analizzeremo, attraverso la guida esperta di grandi scandagliatori dell’umano del passato e

più vicini a noi, i dinamismi profondi che compaginano il costruirsi dell’umano nell’uomo –

le capacità / energie-forze che gli permettono il perfezionamento nel suo divenire

Criteri di scelta dei testi

Perché i classici?

In una cultura come l’odierna in cui l’uomo tende a vivere solo di presente e a confrontarsi

solo con l’utile immediato, il rischio di dimenticare il passato da cui viene e di chiudersi alle

prospettive del futuro, diventa sempre più necessario soffermarsi su pagine tra le più belle e

sofferte che la riflessione umana ci offre per dirci qualcosa sul senso dell’uomo e della sua

educabilità. Sono pagine, queste, che hanno attraversato i secoli e oggi si presentano con una

attualità sconcertante.

Saggi DUCCI

Ci introducono, con originalità e fine sensibilità educativa. alla lettura paideica delle pagine

dei classici. Riconosciuti, da questa autrice, fonti primarie per riflettere sull’uomo e sulla sua

educabilità, ne ha fatto oggetto di appassionata e costante frequentazione.

L’apporto più prezioso riconosciuto a questi autori non sta tanto nelle soluzioni date, ma

nella capacità di far nascere le domande sui problemi, di averli riconosciuti come essenziali

e ineliminabili, con cui ogni singolo o generazione è chiamata a confrontarsi.

La Ducci ha insegnato per più decenni in questo Università, ed ha dato vita ad un modo

originale e tutto suo di intendere la filosofia dell’educazione. Ci ha lasciato una

testimonianza di docente impegnata, mai stanca di apprendere e sempre proiettata verso

orizzonti nuovi per coniugare passato e futuro sul piano culturale, presente e futuro su quello

esistenziale, sempre protesa al meglio per sé e per i suoi studenti, schiva delle mode, attenta

esclusivamente alla crescita delle persone di cui si sentiva responsabile.

Per tutta la vita ha portato avanti un’azione rara, sovente rischiosa (perché non sempre

compresa), ma benefica e impagabile. Attraverso le sue pagine e le sue sollecitazioni in

qualche modo si cerca di farla essere ancora presente in mezzo a noi, non soltanto per la

targa apposta sull’aula in cui il corso si svolge.

Portare ad attingere alle fonti è stato per lei il compito più alto come docente, e lo ha svolto

con rigore e passione; noi vogliamo accogliere questa lezione e proseguire su questa strada.

Il suo obiettivo non era di far diventare i discepoli “ripetenti” delle sue idee – lo avrebbe

considerato un tradimento – ma sollecitare l’impegno per acquisire la capacità di pensare

pensieri propri e non semplicemente ripetere pensieri pensati da altri.

Da lei possiamo attingere un metodo di ricerca che non ci fa fermare sul già acquisito, ma

invoglia a proseguire senza soste nel cammino.

3

Una necessaria premessa

E’ naturale nutrire aspettative, in maniera più o meno cosciente, ogni qualvolta si dà inizio

ad un nuovo percorso di riflessione. Per questo motivo vedo l’opportunità di chiarire quale è

il guadagno che se ne può ricavare nello specifico e a quali condizioni.

a) Il corso non mira a garantire saperi pronti all’uso. Ha a che fare con il problema

dell’educabilità umana, non per prescrivere regole che mettono al sicuro l’efficacia

dell’azione, ma per mettere in luce la bellezza, la possibilità e la necessità di educare, e nello

stesso tempo la faticosità, il limite, la problematicità. Per acquisire la consapevolezza non

basta lo studio ma occorre essere esistenzialmente coinvolti per capire i complessi

dinamismi del divenire umano.

b) L’atteggiamento con cui si ascolta e si devono leggere gli autori proposti richiede

determinate condizioni. Un’utile raccomandazione circa tali atteggiamenti ce la offre

Nietzsche1.

Sull’ascolto l’autore scrive: Il mio desiderio, anzi il mio presupposto è “di stare qui in un rapporto spirituale con ascoltatori, i quali

hanno riflettuto sui problemi dell’educazione e della cultura nella stessa misura in cui hanno

l’intenzione di favorire con i fatti ciò che hanno riconosciuto come giusto. E’ solo da tali ascoltatori che

io riuscirò a farmi comprendere (…) se in genere essi hanno bisogno , non già di essere ammaestrati,

bensì soltanto di essere stimolati a ricordare” p.4

Sulla lettura: “il lettore da cui mi attendo qualcosa deve avere tre qualità:

– dev’essere calmo e leggere senza fretta,

– non deve far intervenire ogni volta la sua persona e la sua ‘cultura’,

– e non ha diritto di attendersi da ultimo – quasi come risultato – dei prospetti” p. 9

“Non aver fretta” “questo libro è destinato a lettori tranquilli, a uomini che ancora non sono trascinati dalla fretta

vertiginosa della nostra epoca, e che ancora non provano un piacere idolatra nell’essere pestati

dalle sue ruote! Costoro peraltro non possono abituarsi a stabilire il valore di ogni cosa in base al

risparmio o alla perdita di tempo; costoro ‘hanno ancora tempo’: a loro è ancora permesso

raccogliere e scegliere , senza dover rimproverare se stessi, le ore buone della giornata e i loro

momenti fecondi e vigorosi, per riflettere sul futuro della nostra cultura. Costoro possono anche

pensare di aver trascorso la loro giornata in un modo veramente profittevole e degno, cioè nella

meditazio generis futuri. Un tale uomo non ha ancora disimparato a pensare quando legge, conosce

ancora il segreto di leggere tra le righe, anzi ha una natura così prodiga, di riflettere ancora su ciò

che ha letto, forse molto tempo dopo di aver deposto il libro. E tutto ciò non per scrivere una

recensione o un altro libro, ma semplicemente per riflettere” . p. 9-10

Non far intervenire sempre la propria cultura “La terza e più importante esigenza consiste infine nel non far intervenire di continuo, alla maniera

dell’uomo moderno, se stesso e la propria cultura, quasi come una sicura misura e un criterio di

tutte le cose. Noi desideriamo piuttosto che egli sia abbastanza colto, da poter valutare assai poco la

propria cultura, anzi da poterla disprezzare. In tal casa egli potrebbe certo abbandonarsi con la

massima fiducia alla guida dell’autore, il quale ardirebbe parlargli fondandosi unicamente sulla

propria ignoranza e sulla coscienza di tale ignoranza. L’autore non pretende di possedere null’altro

se non un sentimento infiammato per l’elemento specifico per la nostra attuale barbarie tedesca, per

ciò che ci differenzia così notevolmente dai barbari di altre epoche, come barbari del

diciannovesimo secolo” 10-11

1 F. Nietzsche, L’avvenire delle nostre scuole, Milano, Adelfhi, 2006.

4

SINTESI ORIENTATIVA DELLA PARTE ISTITUZIONALE

I.

L’UOMO E L’EDUCAZIONE

Antropologie a confronto

Prof.ssa Carmela Di Agresti

1. LA FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE: OGGETTO E METODOLOGIA

2

L’educabilità umana

L’oggetto3

L’educabilità è il potenziale del singolo:

“L’educabilità umana rappresenta il nucleo vivo dell’umano concreto”4

Due specificazioni: nucleo vivo e umano concreto

Compito dell’educazione:

sensibilizzare la comprensione di questo nucleo vivo, colto nel concretarsi dell’uomo;

iniziare al retto uso di tale potenziale presente in lui.

Educabilità e perfettibilità

“Educabilità umana ha lo stesso senso di perfettibilità umana, di tensione viva ad

assimilarsi al Modello, di spinta a diventare quell’io che si è. Non è uno spazio da riempire,

né una serie di comportamenti o di persuasioni da apprendere, bensì un fascio di energie

inesauribili da sviluppare in tutto l’arco del vivere (c’è in noi qualcosa di eterno). E’ il

potenziale affidato a ciascuno di noi. Ci distingue l’uno dall’altro. Di lui non conosciamo né

l’intensità né la misura, ma possiamo concretamente esperire l’una e l’altra. Svilupparlo è

il compito di tutta la vita, compito che va svolto interamente, e non può essere copiato da

altri”. Ivi p. 27

Natura relazionale del potenziale: la sinergia

L’educazione è possibile solo in virtù di tale potenziale educabile. Il potenziale è patrimonio

individuale, e tuttavia, le energie che lo compongono sono per loro natura relazionali e

perciò necessitano di essere aiutate per sprigionare la loro forza interna.

“Le energie interiori hanno una natura relazionale. Non sono destinate

all’autoreferenzialità o ad uno sviluppo solipsistico. Sono energie che per prorompere e

2 Si riportano di seguito gli schemi delle relazioni frontali in aula. Di tali lezioni c’è a disposizione degli studenti

interessati e che ritengono necessario approfondire il contenuto un Cd. 3 Attingo, per tratteggiare l’educabilità umana, alle riflessioni di Edda Ducci che a più riprese è ritornata su questo

concetto centrale intorno a cui si snoda in massima parte il discorso filosofico dell’educativo. 4 E. DUCCI, Educabilità umana e formazione, in AA.VV., Educarsi per educare. La formazione in un mondo che

cambia, Roma, Edizioni Paoline, 2002, (pp. 25-44) p. 25

5

andare verso la giusta direzione esigono la sinergia. La funzione di diventare (movimento

lungo quanto l’intero arco del vivere) quell’ io che siamo non la si può assolvere da soli,

occorre il dinamismo sinergico” Ivi p.32.

Dimensione spirituale dell’educabilità:

Il tema dell’educabilità umana va riportato alla dimensione spirituale nell’uomo > gli

interrogativi e le domande basilari che pone non possono mai essere risolte in maniera

definitiva (in questo ambito ci troviamo fuori della possibilità di dimostrazione scientifica).

Non sono domande inutili e destinate a rimanere senza risposte. Risposte magistrali sono

state offerte dai grandi scandagliatori dell’umano ma esse sono piene di elementi variabili.

Da qui la necessità di permanenti riformulazioni.

La rielaborazione non è fonte di scetticismo o relativismo ma modo di rispondere

responsabilmente al compito esistenziale di incarnare valori perenni dell’umano nel reale

concretarsi storico di ciascuno5.

Educabilità e diritto all’educazione L’educabilità è realtà propria e specifica dell’uomo concreto.

L’espressione piena del potenziale è un diritto umano primario strettamente legato al diritto

di vivere. Della vita ne rappresenta la qualità.

Il diritto all’educazione (ossia all’attuazione dell’educabilità) è universale e incancellabile,

e comporta che per ogni singolo si individui la vocazione personale e siano approntati i

mezzi per realizzarla. Ivi p. 20.

La natura complessa dell’educabilità

L’educabilità ha una struttura composta da molteplici componenti caratterizzanti, distinte,

ma tutti interagenti. Da ciascuna emergono esigenze, e insieme nodi problematici sia in

termini teorici sia pratici tanto nel vivere quanto nell’educare. Essa:

Si presenta impastata di logos > espressione, parola, senso, significato, ragione

è immessa in un tessuto di alogos che racchiude sensi, appetiti, istinti, desideri,

inclinazioni;

ha una naturale propensione al dialogos, con la necessità di apertura al diverso da sé,

mondo personale e mondo oggettivo.

Ognuna di queste componenti presenta un suo dinamismo di sviluppo assai complesso e la

semplificazione riduttiva può comprometterne la reale potenzialità. Da qui la necessità di

approfondire lo spessore problematico per individuare le vie migliori per il loro più giusto

uso.

Percorso conoscitivo – un approccio adeguato

Il principio normativo esige che l’approccio sia adeguato all’oggetto che si vuole conoscere.

L’educabilità ha uno spessore di tale profondità che è impensabile perimetrarlo

oggettivamente e difficile coglierlo in tutte le sue implicazioni:

Essa esprime ciò che rende l’uomo tale – specifico umano;

È ciò che rende qualificata la sua dimensione spirituale in quanta ne riassume le

potenzialità

Segna il profilo del suo diventare in termini individuali e in termini di possibilità di

apertura per stabilire contatti sia con il cosmo in generale sia con il singolo soggetto e

con la pluralità di essi.

5 Cfr. E. DUCCI, Il volto dell’educativo, in AA. VV., Preoccuparsi dell’educativo, (a cura di E. Ducci) Roma, Anicia

2002 (pp. 20-21)

6

Dalla natura e funzione specifica di tale complessa realtà derivano percorsi conoscitivi che

devono essere appropriati a ciò che si vuole conoscere

2. ANTROPOLOGIA E EDUCAZIONE

Un legame indissolubile:

Tra antropologia educazione esiste un legame indissolubile. Solo l’uomo è educabile perché

solo l’uomo possiede un potenziale che lo rende capace di conoscere se stesso e di diventare

ciò che per natura può e deve diventare. L’educabilità è lo specifico umano, ma è l’idea che

l’uomo ha di sé che qualifica l’educabilità; per questo conoscere la natura di tale potenziale

vuol dire interrogarsi su chi è l’uomo e qual è il suo dover essere (la sua destinazione

umana).

L’educazione, quale corrispondente dialettico dell’educabilità, deve portare l’uomo a

sviluppare la capacità potenziale del suo pieno umanarsi. Ciò implica partire da un’idea di

uomo e dal significato da dare alla pienezza della sua umanazione. Per tale ragione il legame

tra le due realtà – idea uomo e educazione - è indissolubile.

Non sempre l’idea di uomo da cui si parte è resa esplicita, tuttavia, anche se solo sottesa,

non può mancare. Può anche verificarsi una incoerenza tra l’idea di uomo che si professa e il

significato che si attribuisce all’educazione e qualche volta l’incoerenza può anche essere

non dannosa. L’esigenza di chiarire il senso dell’educazione costituisce spesso anche il

banco di prova per valutare la tenuta o meno dell’idea uomo.

Idea – uomo e educazione - qualche richiamo

La stretta interdipendenza tra idea uomo e educazione viene esplicitamente affermata da

molti autori, che ne mettono in rilievo aspetti particolari. Mi limito a pochi richiami:

Scrive G. Acone:

“E’ pura illusione ritenere di educare senza avere in testa una concezione generale

dell’uomo, della vita, della società, della storia, della cultura, dei valori, dei significati”6

Identica prospettiva aveva espresso anche E. Stein quando scriveva:

“Ogni azione educativa , tesa a formare l’essere umano, è accompagnata da una

determinata concezione dell’uomo, della sua posizione nel mondo, dei suoi compiti nella

vita, delle possibilità di una sua cura e formazione pratica”7.

G. Corallo, a sua volta, insiste sulla necessità di rendere esplicita l’idea uomo da cui si parte

per non procedere alla cieca nella pratica educativa. Egli scrive:

“I concetti di ‘uomo’ e di ‘educazione’ dell’uomo non possono restare sottintesi in un

discorso pedagogico: devono essere esplicitati e chiariti fin dal suo inizio. Essi sono punti di

partenza per una teoria della pratica educativa: (questa, in loro assenza, procede alla

cieca, e può anche illudersi di progredire, come ogni strada può essere giudicata buona per

chi non sa dove andare)”8

Infine E. Ducci sottolinea che lo spessore che si attribuisce all’educativo deriva dal prezzo

che l’uomo dà a se stesso:. Scrive la Ducci:

“E’ fin troppo scontato che lo spessore e la peculiarità che si attribuiscono all’educativo

(intendendo con esso l’educabilità umana, il suo farsi e i traguardi del suo tendere) sono in

proporzione diretta con il senso dell’uomo in genere e con quanto concerne l’umano. Forse

meno solita è l’ipotesi che esso sia proporzionato direttamente al prezzo che l’uomo si dà.

Quel prezzo che, se alto, pretenderà, per essere mantenuto tale, la giusta distanza dalle

6 G. ACONE, Declino dell’educazione e tramonto d’epoca, Brescia, La Scuola, 1994, p. 15.

7 E. STEIN, La struttura della persona umana, Roma, Città Nuova, 2000, p. 38.

8 G. CORALLO L’educazione come crescita della libertà nell’uomo, in AA. VV. Educazione e libertà in Gino Corallo,

(a cura di G. Zanniello), Roma, Armando, 2005 p. 147.

7

cose, il rifiuto della meschineria dell’ipocrisia e l’impossessarsi di una magnanimità nobile

e smisurata”9

Gli interrogativi comuni alle due realtà

L’antropologia (riflessione sull’uomo) risponde al bisogno dell’uomo di conoscere se stesso

nell’umanità di cui fa parte, nel mondo in cui è inserito, nella storia che lo accoglie.

Gli interessi conoscitivi che accomunano l’antropologia e la teoresi pedagogica riguardano

le domande fondamentali sull’uomo e sul suo divenire (il suo essere, la sua crescita, i

bisogni e i dinamismi umani per soddisfarli, il senso del suo operare nella storia, le sue

risorgenti domande circa il dolore, il male, la morte, il mondo del mistero ecc.).

Si tratta di interrogativi che la riflessione umana da sempre si è posta e che ogni generazione

è tenuta a porsi perche le risposte devono essere cercate sempre dal singolo impegnato

nell’esistere. Sono i cosiddetti problemi maledetti di Dostoevskij che hanno diretta

ripercussione sui problemi educativi.

Possiamo rendere più esplicite le domande di cui si tratta:

- Chi è l’uomo? (non solo cosa sa e può fare l’uomo?)

- Quale la sua natura?

- Ha uno spessore d’essere (densità ontologica) o è esclusivo prodotto del suo

autoporsi?

- Si può ancora parlare di natura umana universale (permanenza nel mutamento) o di

mutevolezza nel suo essere e non soltanto nel suo esistere?

- Quale rapporto tra essenza/specificità con modelli storico-culturali sempre più

relativi e plurali?

- E’ possibile rintracciare costanti (trascendentali) presenti nel variare delle condizioni

storico-geografiche?

La risposta a queste domande si diversifica soprattutto a seconda dell’apertura o del rifiuto

di impattare con la trascendenza, ossia dell’accettazione o meno di qualcuno da cui ci si

riconosce posti.

L’uomo e il suo divenire

La riflessione umana, da quando ne abbiamo testimonianza, ha sempre impiegato paradigmi

di lettura diversi per riflettere sull’uomo e sulla sua destinazione, sul suo modo di costruirsi

e di costruire la realtà del mondo a cui appartiene e da cui gradualmente è venuto a

distanziarsi. Questa costante si è sempre più slargata e approfondita, in particolare

nell’orizzonte culturale contemporaneo che con un’espressione usata e sovente abusata viene

definita della post-modernità o, per quanto qui interessa più il nostro discorso, del post-

umanesimo.

Il post evoca una dimensione temporale, ma non esclusivamente: riguarda la successione nel

tempo, ma anche la trasformazione circa modi di pensare e di sentire, di auto comprendersi

dell’uomo. Relativamente a questo aspetto si pone la domanda: dopo che cosa? Quali sono

le connotazioni proprie, in tutto o in parte, che lo rendono diverso rispetto al passato?

Capire l’orizzonte culturale del nostro tempo significa chiarire alcuni punti essenziali che

riguardano sia l’uomo sia l’educazione.

Chi è l’uomo? enigma o mistero?

Ricominciamo dalla domanda sull’uomo. Il primo interrogativo da porre è “chi è l’uomo” di

cui l’educazione deve occuparsi.

9 E. DUCCI, Educare alla legalità , in Libertà liberata, Roma, Anicia, 1994, p. 18.

8

La domanda situa il nostro riflettere di fronte alla necessità di operare preliminarmente una

opzione fondamentale sull’uomo, opzione che costituisce il punto di partenza qualificante di

tutto il successivo procedere argomentativo.

La Ducci, dopo aver sottolineato che i tratti di cui si compone l’idea uomo sono tanti,

individua una chiave di lettura del problema nella risposta alla domanda se l’uomo va inteso

come enigma o come mistero. Una risposta nobile, come la definisce, anche se raramente

esplicitata.

La sinteticità della formulazione apre subito ad una problematicità di enorme portata che una

seria riflessione sull’educativo non può evitare, problematicità tutta riportata dalla Ducci sul

piano di una sofferta esistenzialità. Scrive l’autrice:

"Ognuno, di fronte alle reazione inattese e impreviste del proprio universo personale, si

domanda se la sua natura è enigmatica - forse qualche scienza prima o poi ne darà la

risoluzione definitiva -, o misteriosa, - va accettata, vissuta e lentamente decifrata, senza

pretendere affatto una soluzione razionale definitiva. L'enigma si risolve, è soltanto

questione di tempo; trovato il bandolo, tutto si dipana. Il mistero è inesauribile, più si scava

più si sente la profondità; le soluzioni possono essere buone, ma sono parziali, non tutte

razionalizzabili, e lasciano sempre aperto l'ipotetico se della giustezza. L'uomo enigma

potrebbe essere risolto dalla chimica…Sull'uomo mistero il discorso non può mai essere

chiuso, anche perché, se l'uomo è tale e ha in sé anche una sola particella di misteriosità,

ogni nuovo esemplare è un mondo nuovo che ripropone il problema con un pizzico di

inedito"10

Un richiamo emblematico

La conoscenza di sé dell’uomo è il compito primario a cui l’uomo deve attendere, ma è

anche il più arduo che l’uomo debba affrontare. Si tratta di una priorità dovuta al fatto che da

tale comprensione deriva il senso e il valore della propria esistenza, ed è compito tutto

personale.

Platone, in un bellissimo passo del Fedro ci testimonia la consapevole importanza che

Socrate attribuisce a questo compito fondamentale.

Il giovane Fedro vorrebbe che Socrate razionalizzasse un vecchio mito. Per Socrate è

ridicolo esaminare cose che gli sono estranee mentre egli avverte di non conoscere ancora

se stesso. Egli considera perdita di tempo parlare di storie leggendarie:

“E io non ho certo tempo per queste occupazioni; ed eccone la ragione mio caro: che non

riesco ancora a conoscere me stesso come vuole il motto delfico. Mi sembra proprio

ridicolo che io, mentre sono ancora all’oscuro di questo, mi ponga ad indagare problemi

che mi stanno fuori. Donde, lasciando perdere queste storie, e pago dell’opinione comune

su di esse, lo ripeto, vado indagando non quelle, ma me stesso, per scoprire se per caso

sono un mostro molto più complicato e fumigante di Tifone, o una creatura più amabile e

semplice, partecipe per natura d’una qualche sorte divina e mansueta”

Fedro, 229e-230a

Una proposta di categorizzazione

La domanda su ‘Chi è l’uomo’ ha interpellato e interpella ogni generazione sebbene con

modalità, intensità e sensibilità diverse. Data l’enorme quantità di paradigmi che la

riflessione umana, nel passato e nel presente, ha elaborato, sarebbe impossibile non dico

approfondire ma anche solo elencare tutti quelli che potrebbero rivelarsi fruttuosi

nell’economia del nostro discorso. Per non ampliare troppo l’analisi e nello stesso tempo per

non sacrificare taluni elementi nodali che ritengo di fondamentale importanza per il tema in

oggetto, mi avvalgo di una proposta di categorizzazione elaborata dalla Ducci

10

E. DUCCI, Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Roma, Anicia, 1999. pp. 30-31

9

(prescindendo per il momento dall’opzione circa il senso dell’uomo che vi è sottesa), di

raccogliere in due macro gruppi molte correnti di pensiero diverse, ciascuna delle quali è

caratterizzato da una prospettiva generale comune e da una molteplicità di aspetti particolari,

riferiti alla struttura dell’essere personale, da cui si evince l’appartenenza all’uno o all’altro

gruppo.

Le differenti antropologie

I due gruppi sono contrassegnati da una diversa idea di uomo come sopra delineata, e quindi

di educazione. Nella formulazione ducciana le due prospettive vengono indicate come

“Idea uomo affermativa” e “Idea uomo ricevente”.

Riformulando le due prospettive in termini di abituale dibattito nella cultura antropologica

contemporanea possiamo sintetizzarli in “Prospettiva antropologica a marcatura

metafisica” e “Prospettiva antropologica a marcatura post-metafisica”.

Idea uomo affermativa Per chiarire la partizioni la Ducci scrive:

“A chi conduce la riflessione sull’umano, con finalità educative, sembra riuscire utile e

fruttuoso rintracciare e seguire due fili che quasi senza interruzione, percorrono tutta la

ricerca fatta sull’uomo nel nostro mondo occidentale.

Il primo conduce a incontrare, nei vari tempi, posizioni diverse, espresse in modi

differentissimi ma accomunate da un'idea affermativa sull'uomo. Lo si vede come sorgente

di energie, punto originario di dinamiche irrepetibili, dotato di un senso e di un valore

proprio, capace di accogliere il diverso da sé senza perdere l'identità anzi crescendo in

essa, bisognoso di ricevere, ma al fine di attuare potenzialità tutte sue. Si tratta per lo più di

un atteggiamento non ingenuo: un sano realismo libera dalla cecità circa gli ostacoli anche

interni che si frappongono, spesso con forza, all'accensione di questo potenziale"

Precisato che all’interno di questo filone si possono rinvenire correnti e Weltanschaungen

diverse, l’autrice precisa quale, a suo parere, è l’elemento unificante:

“Ma una originarietà, anche se di natura e intensità differenti, è sempre attribuita all'uomo.

Si ritiene che l'affermatività dell'uomo segni e signoreggi, con intensità diverse, il suo essere

e il suo ricevere. Così che, nei contesti anche disparati, si tratta pur sempre di un uomo più

o meno inquietante perché più o meno imprevedibile" Ivi p. 23

Aspetti caratterizzanti

Indichiamo in sintesi gli elementi connotanti la prospettiva antropologica suindicata. Dalla

definizione si evince chiaramente che si tratta di una antropologia a marcatura metafisica;

Il principio fondativo della proposta può essere ravvisato nel concetto di “densità

ontologica” che riconosce all’uomo uno spessore d’essere tale da renderlo realtà emergente

su tutto il resto del reale. Il principio fondativo è di natura metessico-creazionista ossia:

l’uomo è chiamato all’esistenza da un atto creativo mediante cui gli vengono partecipati

speciali poteri strutturanti la sua dimensione spirituale la quale conferisce all’uomo la

capacità di entrare in rapporto con chi lo ha creato e con i suoi simili.

All’uomo è data una originarietà, anche si di differente natura e intensità, che ne fanno un

essere unico e irrepetibile pur nel partecipare della comune natura umana. Tale originarietà

sottrae l’uomo alla condizione di essere considerato soltanto un frammento nella totalità

della specie, o ad un apparire necessario nella dialettica di un assoluto; la sua esistenza non

coincide con il fenomeno di essere vincolato allo storico hic et nunc che esaurirebbe la sua

significazione entro le coordinate spazio temporale.

10

Una conferma ma… in chiave critica

Per richiamare una valutazione critica nei confronti di tale prospettiva mi servo di quella di

F. Cambi, autore che si colloca sulla sponda della prospettiva post.metafisica, anche se non

in diretta risposta alla posizione ducciana, ma come generale riserva circa l’impostazione

antropologica a marcatura metafisica.

Cambi riconosce che tali sono le connotazioni suindicate, ma ne fa una diversa lettura

critica, quando scrive:

“Tale connotazione è data da una indicazione di una struttura del soggetto che si fonda e

veicola una struttura dell’Essere, comunque, poi, esso venga inteso: da una univocità

costante di Significato e di Ordine, dal suo vigere come lex della e per lo sviluppo del

soggetto, dal suo porsi come carattere metastorico e regolato da una dinamica interna,

invariante e contrassegnata dalla integrazione / massimizzazione costitutivamente

obbligata e definita. Il soggetto persona è una struttura ontologica, aperta a una dinamica

di completamento del proprio senso, già, però, iscritto in quella struttura”11

.

Le motivazioni delle riserve - Limitazione della libertà

Scrive ancora Cambi, a giustificazione della sua presa di posizione:

“E’ questa una immagine deontologicamente bloccata della persona; il suo senso è già

iscritto nel suo orizzonte costitutivo; la sua visione è, in un certo senso, naturalistica, anche

dove se ne decanta l’identità spirituale. E’ un’immagine che dipende dal Logos metafisico

(fondativo, invariante, totalizzante, ecc. ) e lo incorpora nel suo disegno, spogliando il

soggetto dei caratteri di identità mobile, di crescita empirica, di orientamento creativo, di

autonomia e di costruzione responsabile, di scelta. L’autonomia è qui connessa solo al

riconoscimento di una struttura / senso; la responsabilità e la scelta, all’assunzione di

quella struttura. Così tutto il processo di formazione del soggetto risulta chiarito e

preliminarmente definito, anche se poi fenomenologie del processo possono diversificarsi e

disseminarsi secondo itinerari e frontiere individuali. L’approdo, però, è già pre-garantito e

pre-definito” Ivi, p. 70

Gli assunti di partenza

I rilievi fatti dell’autore mirano a individuare, partendo da una prospettiva decisamente post-

metafisica, quelli che ritiene i limiti della persona in senso metafisico. La elencazione

puntuale delle riserve partono da un assunto presupposto che attribuire all’uomo una

densità ontologica spoglia questi del diritto di autoporsi e di costruirsi in piena autonomia

e responsabilità, sganciato da ogni vincolo che limiterebbe l’una e l’altra.

La caratterizzazione di “una immagine deontologicamente bloccata” dovuta al fatto che “il

suo senso è già iscritto nel suo orizzonte costitutivo” è riportata alla dipendenza da un

principio “fondativo, invariante, totalizzante, ecc.”che per ciò stesso spoglia l’uomo di tutti

gli attributi e manifestazioni in cui l’agire libero può e deve concretizzarsi. In altre parole,

il possesso “di una struttura/senso” della persona e il dovere del suo riconoscimento priva il

soggetto di autonomia e responsabilità e fa si che tutto il suo processo formativo risulti

preliminarmente definito e l’approdo garantito.

Uno snodo problematico essenziale

In entrambe le prospettive, quella metafisica e quella post-metafisica, al centro

dell’attenzione troviamo il problema della libertà e dell’autonoma responsabilità del

soggetto, ma interpretata con due angolature decisamente diverse.

11

F. CAMBI, La persona nel pensiero postmetafisico, in AA. VV: (a cura di G. Flores D’Arcais), Pedagogie

personalistiche e/o pedagogia della persona, Brescia, La Scuola, 1994, (pp. 63- 87) pp. 69-70

11

Per la Ducci l’originarietà e l’irrepetibilità, ritenuta garantita dalla densità ontologica,

costituisce l’affermatività dell’uomo perché lo rende capace di signoreggiare il suo essere e

il suo ricevere – In altre parola di essere “causa sui” e padrone di accogliere e ordinare il

diverso da sé senza perdere l’identità. Per Cambi riconoscere una densità ontologica al

soggetto blocca il suo libero diventare e lo spoglia di tutte le prerogative che gli consentono

di auto-costruirsi in assoluta autonomia e responsabilità.

Da quanto detto si evince che il problema è che cosa significa per l’uomo la libertà. In altre

parole tutto dipende dall’idea di libertà che sta alla base del confronto.

Ma prima di entrare nel cuore di questo specifico tema è necessario prestare un momento

attenzione agli elementi caratterizzanti l’idea uomo nella prospettiva antropologica a

marcatura post-metafisica.

La persona in prospettiva post-metafisica - Dalla critica alla proposta

I presupposti di partenza sono: decostruzione e radicale storicità. L’autore richiama le

posizioni di autori e correnti che si riferiscono al pensiero post-metafisico, attraverso i cui

paradigmi viene dichiarata la fine del soggetto e il tramonto del modello di soggettività di

derivazione greco-cristiano borghese, sostituita da “una nozione funzionale-costruttiva e

niente affatto ontologica”. Egli scrive:

“Oggi, intorno al soggetto, esistono prese di posizione assai critiche che ne sottolineano per

un verso, la fine, per un altro, la radicale storicità e, quindi, la non necessità e la non

invarianza. Così il soggetto viene investito da revisioni che lo decostruiscono, ne svelano i

presupposti e i limiti, ne spezzano la densità e la priorità, per mostrarne, invece, le

dipendenze, i condizionamenti, le oscurità, le contraddizioni e, in particolare, la sua

identità storica, relativa, non univoca” Ivi, pp. 76-77

Nessuno spessore ontologico

Per tutti gli autori del post-metafisico, sottolinea Cambi, “il soggetto non è un prius o un

dato, ma è una costruzione dell’esperienza nel suo dipanarsi nel tempo, quindi non ha né

alcuna permanenza necessaria, né alcuna identità trascendentale . Ed è proprio la

trascendentalità (universalità e necessità) del soggetto che viene revocata in dubbio, se pure

in forme non sempre radicali…” . E ancora:

Il soggetto “non è più una nozione-di-base, un fondamento. Nel tempo del sapere ‘senza

fondamenti’, anche il soggetto, nella sua accezione permanente e stabile, cioè sostanziale,

deve retrocedere , fino a dissolversi”Ivi p. 79.

Soggetto a statuto debole – modello costruzionista

Altra connotazione essenziale di questo modello costruzionista è, come lo si definisce, un

soggetto a statuto debole. Egli scrive:

“Il soggetto metafisico deve essere oltrepassato, poiché storicamente rimosso e

teoreticamente aporetico, per dar vita a un soggetto post-metafisico che, come tale, si pone

oltre e fuori la crisi del soggetto, in quanto accoglie uno statuto debole e una identità

problematica, plurale e non garantita, della soggettività” Ivi, pp. 79-80.

Dalla sostanza al progetto

L’abbandono dell’idea di sostanza fa emergere l’idea di una autonoma progettualità che ha

uno stretto collegamento con i processi educativi. Scrive Cambi:

“Il soggetto va ripensato e visto non come ‘sostanza’ bensì come progetto, come orientatore

di senso e come costruzione, collegandolo così, intimamente, alla nozione di persona, di

assunzione di identità, volontaria e in itinere, connessa alla formazione, all’auto-

formazione, ai processi educativi” Ivi, p. 80 (sottolineature mie).

12

Inoltre, egli sottolinea la differenza di tale prospettiva rispetto a quella metafisica cristiana

quando scrive:

“Tale nozione viene radicalmente problematizzata e ricondotta a un terreno empirico,

storico, pedagogico che le toglie ogni garanzia a-priori e ogni necessità, mentre la vincola

a scelte e strategie, a progetti e intenzioni. Sotto questi due aspetti tale nozione riceve un

impulso all’attualizzazione , nel senso di un suo aggiornamento teorico e di una funzione

nell’attualità culturale.

Una riserva dall’altro fronte: Idea uomo ricevente:

Tale riserva viene espressa, a sua volta, dalla Ducci nel momento in cui definisce la

prospettiva post-metafisica come “idea uomo” ricevente e lo fa in questi termini:

"Il secondo filone (a cui si è fatto cenno precedentemente), conduce a incontrare posizioni

accumunate dall'idea di un uomo ricevente: il suo volto è modellato dal di fuori, come da

fuori lui riceve il suo senso e il suo valore. Anche qui le difformità delle correnti di

appartenenza e delle Weltanschauungen di riferimento scandiscono antropologie diverse;

permane però il senso del ricevere, quasi assenza di propositività, come patrimonio

ontologico-esistenziale dell'uomo. Il potere inquietante, ma non imprevedibile come nel

primo spaccato, passa a ciò che non é l'uomo, ossia all'ideologia, alla tecnica, all'oggettivo

in genere, fino al trattamento chimico"12

Uomo ricevente e educazione

Partendo da questa riserva relativamente alla prospettiva antropologica post-metafisica, la

Ducci esprime anche le sue perplessità circa il senso dell’agire educativo. In merito scrive:

"L'educazione,(in tale prospettiva) non costretta a nessuna attenzione (tanto meno

primaria) all'uomo, può spaziare nei campi sterminati dell'oggettivo e partecipare

all'accelerazione del progresso.

La parola resta all'esterno, appartiene al mondo della convenzionalità, dell'utilizzo e dello

sfruttamento. E questo non muta anche se la si impiega nell'educativo. E' soltanto un mezzo

per avere risultati programmati e precisi; è ridotta (senza residui) a questa funzione”Ivi, p.

24

In questa presa di posizione critica sue mi sembrano i punti messi a fuoco: a) Il prevalere

dell’oggettivo sul soggettivo; b) l’impiego della parola sottoposta alla logica della

convenzionalità, dell’utile, della progettualità di ordine immediato.

Su entrambi questi aspetti si ritornerà in seguito nell’approfondimento degli autori del corso

Idea affermativa di uomo e educazione

Le riserve espresse dalla Ducci sulla concezione antropologica post-metafisica si riflettono

sul modo come viene affrontata la problematica educativa.

Dalla sua ottica, i due punti critici toccati riguardano lo sbilanciamento dell’attenzione alla

dimensione esterna del vivere e la disattenzione ai dinamismi della vita interiore di cui

volutamente o inconsciamente se ne nega l’esistenza e/o l’importanza.

I due aspetti – dimensione interna e dimensione esterna, non sono da considerare alternativi,

ma complementari, non senza una dovuta gerarchizzazione. Crescita armonica del soggetto,

valorizzazione di tutto il potenziale di cui egli è portatore, ricerca del senso e del valore delle

singole energie /forze per la costruzione dell’umano nell’uomo sono considerati temi non

eludibili da una seria riflessione pedagogica.

Idea di uomo affermativa e i compiti dell’educazione

12

E. DUCCI, Approdi dell’umano, p. 24

13

Molti sono i compiti particolari e gravi dell’educazione visti in questa prospettiva. Ma due la

Ducci ritiene meritano particolare menzione: un particolare criterio di giustizia che deve

caratterizzare l’atteggiamento dell’educatore nei confronti dell’educando e il delicato

compito di invogliare all’agire. Scrive la Ducci:

"Alla responsabilità dell'educatore appartiene anche una singolare giustizia, verso il

soggetto che gli sta di fronte, una giustizia che non annulla le differenze ma le impiega

primamente a favore del soggetto stesso.

Alla funzione di educatore appartiene anche il rendere l'altro interessato alla conoscenza e

alla volontà di attuazione e di impiego del proprio potenziale. Sono compiti non

appariscenti, ma incisivi e delicati" Ivi, p. 23.

Il primo ha a che fare con il primato della dignità dell’uomo che non punta ad omologare i

soggetti non riconoscendo le differenze, ma ad usarle per creare vera uguaglianza. Il

secondo chiama in causa il coinvolgimento dell’educatore, mezzo indispensabile per

interessare l’educando a conoscere e a volere coltivare tutto il proprio potenziale per poter

diventare veramente uomo in pienezza

Una particolare rilevanza data alla parola

Nel corso di quest’anno prestiamo una particolare attenzione ad una dei poteri che

contrassegnano lo specifico umano, la parola. Per la Ducci essa una valenza educativa di

grande importanza. L’autrice scrive:

"In questa cornice antropologica il senso per la parola ha modulazioni differenti, arriva

fino a vedere nella parola lo strumento o forse il veicolo primario dell'accensione del

potenziale umano. In proporzione alla forza attribuita alla parola entra in gioco la

dialettica dell'alterità, del rapporto unico che solo può stabilirsi da persona a persona, del

dialogare. La parola intesa come mistero riecheggia l'intendere l'uomo stesso come mistero

sacro e inviolabile; ma anche i livelli meno alti comportano un rispetto grande per la

parola" Ivi, pp. 23-24.

3. UN FLASH SULLE FONTI

Uno sguardo all’indietro

I due macro-paradigmi proposti dalla Ducci e di cui ci siamo avvalsi per una ipotesi di

categorizzazione registrano al proprio interno tanti e diversi percorsi riflessivi che rendono

più o meno radicali le posizioni dell’accettazione o rifiuto di riconoscere all’uomo una

precisa densità ontologica, comunque questa la si possa intendere.

Entrambi sono contrassegnati da una storia plurisecolare, sempre compresenti in ogni epoca

della riflessione umana, ma con forti prevalenze, ora dell’uno, ora dell’altro, nelle diverse

epoche storiche e geografiche.

L’alternanza nel tempo

Non ci sono dubbi che nell’epoca classica è prevalso il primo. Il pensiero di matrice ebraico-

greco-cristiano, partendo da uno statuto forte dell’idea di persona, ho prodotto senso e

valori di lunga durata della cultura occidentale, con apporti specifici offerti da ciascuno di

essi.

Altrettanto certo è che oggi sembra avere prevalenza un approccio a marcatura post-

metafisica, alimentatosi nel pensiero della modernità, anche se di questa ha rotto un

precario equilibrio in esso presente, radicalizzando la fiducia in uno dei due aspetti, quello

nel potere scientifico-tecnologico (il cosiddetto ipermodernismo tecnologico), e revocando

in dubbio l’altro, quello di un metodo conoscitivo d valore universale particolarmente

riferito al versante etico-politico (pensiero debole).

14

Qualche elemento culturale della post-modernità:

La crisi del potere conoscitivo dell’uomo in questi ultimi ambiti ha fatto crollare i miti del

progresso, delle ideologie forti, come pure quello delle pratiche umane su di esse fondate.

Inoltre, ha prodotto un clima di grande incertezza sul futuro, spostando l’attenzione sul

senso del limite del soggetto, sulla sua fragilità, sui dubbi esistenziali, e insistendo nello

svelamento dell’intreccio condizionante dei poteri esercitati dai diversi sistemi (sociale,

politico, economico, linguistico ecc.) considerati fonti primarie di definizione di senso che

incidono sul senso dell’uomo e del suo agire a tutti i livelli.

In questo nuovo atteggiamento teorico-pratico:

- non si cerca più la verità in quanto essa si identifica con ciò che l’uomo

storicamente produce attraverso giochi linguistici i cui significati sono in continuità

costruiti e decostruiti;

- la rinuncia alla ricerca della verità porta a decretare la fine di ogni certezza.

Per capire tale trasformazione che ha pesanti ricadute sulla concezione antropologica

occorre avere presenti i capisaldi del pensiero precedente e la trasformazione dell’idea uomo

che vi è sottesa.

IL PARADIGMA ANTICO – EBRAICO / GRECO / CRISTIANO

Le caratteristiche generali

- Monopolio della teorizzazione filosofica- dualità del reale;

- Matrice: pensiero metafisico – religioso – sapienziale (che resterà peculiare per molti secoli

del pensiero occidentale);

- Prospettiva umanistica teocentrica (soprattutto nel cristianesimo) o almeno a

caratterizzazione etica forte;

- Centralità di una visione dell’homo sapiens che ne specifica l’istanza umanistica;

- La fondazione universalistica dell’idea di soggetto basata sull’antropologia teologica e / o a

forte connotazione etico/politica.

L’antropologia platonica

Sull’antropologia platonica non mi fermo; avrete modo di ricavarla direttamente anche se

solo per alcuni aspetti qualificanti attraverso la lettura dei testi in programma. In sintesi

troviamo:

La centralità della cura dell’anima dichiarata immortale;

il primato della verità come dovere di ricerca perenne da parte dell’uomo.

L’antropologia aristotelica:

La persona in Aristotele ha due connotazioni essenziali:

- L’uomo è ‘animale razionale’ (Politica, I, 2, 1253a 10);

- L’uomo è animale socievole - animale sociale:

Sulla scia di Eraclito l’uomo possiede il Logos che gli permette di oltrepassare la singolarità

dell’esperienza approdando alla koinonia, cioè alla condivisione scaturiente dalla

comunicazione;

- La forza del Logos – ossia di pensiero e parola – consiste nel fatto che può

condividere con altri l’esperienza personale - ciò ne accredita una interpretazione

sociale, cioè ne avvalora la disposizione interpersonale e comunitaria – l’uomo è un

animale sociale (Politica, I, 2, 1253a 1-5);

- La koinonia è declinata in modo ristretto rispetto al cristianesimo – riservata

all’uomo greco ed è connotata dall’ethnos. Da qui l’etnocentrismo ellenistico

comune ad autori di diverso orientamento.

15

L’uomo e la polis

Il bene dell’individuo coincide con il bene della società. Parlando del fine della politica

come scienza architettonica in massimo grado Aristotele scrive:

“Infatti è questa che stabilisce quali scienze è necessario coltivare e quali ciascuna classe

di cittadini deve apprendere, e fino a che punto; e vediamo che anche le più apprezzate

capacità, come, per esempio, la strategia, l’economia, la retorica, sono subordinate ad essa.

E poiché è essa che si serve di tutte le altre scienze e che stabilisce, inoltre, per legge che

cosa si deve fare, e da quali azioni ci si deve astenere, il suo fine abbraccerà i fini delle

altre, cosicché sarà questo il bene per l’uomo. Infatti, se anche il bene è il medesimo per il

singolo e per la città, è manifestamente qualcosa di più grande e di più perfetto perseguire e

salvaguardare quello della città: infatti, ci si può, sì, contentare anche del bene di un solo

individuo, ma è più bello e più divino il bene di un popolo, cioè di intere città. La nostra

ricerca mira appunto a questo, dal momento che è una ricerca ‘politica’” (Etica

Nicomachea, I, 2, 1094b 1-10).

Il riconoscimento della costitutiva dimensione sociale è così forte che conduce quasi

all’assorbimento dell’individuo all’interno della società, fino da sfociare in una specie di un

collettivo più che ad una comunità in senso stretto.

Continuità e discontinuità nel pensiero cristiano:

Tra gli elementi di continuità con il pensiero aristotelico (preso come esemplare in quanto

costituisce la costruzione antropologica forse più matura, sotto alcuni aspetti, dell’antichità)

possiamo cogliere:

- l’anima forma del corpo;

- nesso tra dimensione intellettuale e dimensione emozionale;

Tra gli elementi di discontinuità del pensiero cristiano rispetto a quello aristotelico

troviamo il concetto di socialità cristiana:

- estesa a tutti in quanto riconosce un ethos comune in ragione della comune dignità

creaturale fatta segno dell’amore di Dio;

- enfatizza la relazione come carattere antropologico fondamentale e sottolinea il

profilo singolare dell’individuo, amato per se stesso da Dio;

- il modello non è collettivo ma comunitario > ricalca la comunità trinitaria ,

‘socialità’ delle Divine persone che sono in essenziale comunione senza confondersi

tra loro.

La persona nella inculturazione cristiana

Ad essa si deve lo sviluppo dell’idea di persona che rimarrà prevalente nella cultura

occidentale:

- Integra in chiave relazionale la tradizionale connotazione razionale – all’essere

umano è riconosciuta peculiare l’attitudine a esprimere se stesso nella relazione con

l’alterità - l’uomo trova in Dio il suo interlocutore primario – l’amore non più segno di

indigenza (l’eros greco), ma segno di pienezza; nulla può separare dall’amore di Dio

(Rm, 8. 31-39);

- è la solo creatura a cui viene affidato il proprio simile, o nella forma di prossimo (il

buon samaritano Lc 10, 30-37) o come responsabilità (Dio domanda a Caino dove è

Abele Gn 4, 9);

- a lui è affidato il creato perché lo custodisca (Gn 2,5).

16

Il primato dell’uomo sulle altre realtà create Nella prospettiva cristiana si riconosce alla persona di essere l’interlocutore di Dio, colui

che Dio eleva rispetto al creato a una condizione assolutamente singolare:

- La sua grandezza non sta nella somiglianza con il cosmo ma l’essere fatta, la sua

natura, a immagine del creatore;

- Da qui l’unicità della creatura umana rispetto a tutte le altre non soltanto perché è

l’unica somigliante a Dio ma in considerazione del fatto che da questa affinità

discende che – a differenza dagli animali – solo all’essere umano corrisponde una

identità non strumentale ;

- l’uomo è fine in sé perché non strumentale ad altri. Chi ha il dominio dei propri atti

è libero.

L’uomo fine in sé e la libertà dell’uomo in San Tommaso San Tommaso chiarisce il significato dell’affermazione che l’uomo ha fine in sé e perciò è

libero. Nella Summa contra Gentiles CXII, 1-2) scrive:

“1. La condizione stessa delle nature intellettive di essere padrone dei propri atti, richiede

di essere curate per se stesse da parte della divina provvidenza: mentre la condizione degli

altri esseri che non hanno il dominio dei loro atti, indica che ad essi la cura è rivolta non

per loro, ma perché ordinati ad altri esseri. L’essere infatti che è posto in azione da altri ha

la funzione di strumento: invece ciò che si pone in opera da sé ha la funzione di agente

principale. Ora, lo strumento è voluto non per se stesso, ma per l’uso che ne fa l’agente

principale. Perciò tutta la cura che si ha dello strumento necessariamente ha come fine

l’agente principale: quella invece che si ha verso l’agente principale, o da parte di lui

stesso, o di altri, in quanto è agente principale, è per lui stesso. Perciò le creature

intellettive vengono guidate da Dio come volute per se stesse, mentre le altre creature lo

sono in quanto sono ordinate alle creature dotate di ragione.

2. Chi ha il dominio dei propri atti è libero nell’agire; poiché ‘libero è chi è causa di se

stesso’ (Aristotele, Metaphys. I, c. 2, n. 9): ciò invece che è mosso da una qualche necessità

ad operare, è soggetto alla schiavitù. Ora ogni altra creatura è per natura soggetta a

schiavitù: mentre la sola natura intellettiva è libera” (vedi Summa contra Gentiles CXII, 1-

2, Utet, Torino, 1975, pag. 839).

Una lettura interpretativa del rapporto dell’uomo con il mondo nel pensiero medioevale

Il pensiero medioevale eredita dal mondo greco un’idea di realtà cosmica come regolarità e

normatività nelle cose, interpreta l’ordine della loro struttura, la regolarità del loro agire

leggendovi dentro una ultima unità:

- Il cosmo si offre come un mezzo per interpretare la creazione delle cose operata da Dio

Tutto è visto alla dipendenza del Creatore, e ogni significato del suo vivere viene

trasferito nel suo rapporto con Dio;

- L’uomo è chiamato a operare a servizio dell’uomo e del mondo in obbedienza alla

volontà Dio;

- Il soggetto è riconosciuto come unità dell’esistenza individuale, come titolare degli

atti dello spirito e punto di attribuzione di responsabilità, ma il concetto in se stesso

manifesta qualcosa di non interessato, non si avverte come arbitro protagonista con

aspirazione a forme di autonomia;

L’uomo medioevale e la cultura

R. Guardini tratteggia alcuni aspetti peculiari e anche i limiti dell’uomo medioevale.

- L’uomo medioevale, possedeva una cultura di altissima qualità, anelava alla conoscenza

organizzando un mondo elevato di cognizioni (le Summae), ha creato opere grandiose,

17

ha compiute gesta audaci ed ha elaborato ordine e strutture sociali di validità somma;

tuttavia ha avuto un atteggiamento profondamente diverso rispetto all’uomo moderno.

- Il suo senso dell’agire erà però particolare. Scrive l’autore:

“L’uomo era tutto intento a compiere la sua opera, non a riflettere su di essa, giacché

allora importava ciò che si faceva e non chi faceva. Anche qui tutto cambia, per

qualche aspetto, con l’età moderna”13

Il mutamento dell’autocomprensione di sè dell’uomo

E ancora Guardini a precisare che tale carattere si altera nel tardo Medioevo e soprattutto nel

Rinascimento. Si viene affermando un’esperienza vissuta del soggetto e ogni età seguente ne

resterà influenzata. Egli scrive:

“L’uomo avverte se stesso in modo nuovo, come qualcosa di importante e di interessante.

Soprattutto l’uomo straordinario, geniale, assurge ad un’importanza mai percepita nel

Medioevo”Ivi, pp. 28-29

La presenza di molte personalità di rilievo nell’epoca medievale non basta a giustificare la

vasta impressione determinata dalla sua Humanitas. Il mutamento di disposizione viene così

tratteggiato:

“Solo ora diventa importante davanti a se stesso e agli altri, e davanti al suo tempo.

La personalità diventa la nuova misura dei valori e incide, come si contempla nelle grandi

figure, sull’intera sfera della vita.

Nasce un senso nuovo dell’umano; un interesse per la ricchezza delle sue capacità; un

giudizio nuovo della sua autenticità originalità… La grande personalità, soprattutto, reca

in sé la legge della sua esistenza. Esige di essere compresa per se stessa e giustifica il suo

operato semplicemente con la forza creativa sua propria. Tutto ciò che da lei risulta

genuino ha valore” Ivi p. 29.

IL PARADIGMA DELLA MODERNITÀ

I nuovi concetti

Con la modernità l’uomo percepisce in modo nuovo se stesso e il mondo in cui vive, ed

esprime tale percezione con concetti nuovi tra cui primeggiano quelli di natura, soggetto e

cultura. Tali concetti affiorano a partire dal Rinascimento

- La natura sta a indicare la totalità delle cose, tutto ciò che è, messo a disposizione

dell’uomo come compito, come oggetto che si offre al pensiero e all’azione umana;

significa anche valore, norma valida per il pensiero e per l’azione. Essa esprime

qualcosa di ultimo, di per sé giustificato, qualcosa che porta il carattere misterioso

dell’origine e della fine, del fondamento originario, dell’essenzialmente

impenetrabile.

- Il soggetto, in quanto realtà corporea psichica l’uomo appartiene a tale natura, in

quanto osserva, esplora, conquista e trasforma le sta di fronte. Il soggetto si libera dal

contesto naturale, ciò lo mette in crisi, da qui il compito di riedificarlo, conoscendo,

agendo, producendo. La scoperta della frontalità pone il soggetto nel dovere di

scoprire, significare, agire sulla realtà.

- La cultura rappresenta il mondo dell’azione umana. In merito Guardini scrive:

“Natura e soggetto – termine questo che si deve intendere come includente la

personalità – stanno l’una di fronte all’altro come realtà ultime. L’esistenza è data

come natura e come soggetto, semplicemente. A monte di essi non si può andare.

Frammezzo ad essi sorge il mondo dell’azione umana e dell’opera umana. Queste si

13

R. Guardini, Mondo e persona, Brescia, Morcelliana, 2000, p. 32.

18

fondano su di essi come su due poli, vi trovano le proprie premesse e ne subiscono

l’impronta, ma l’attività umana ha per altro di fronte ad essi una peculiare

indipendenza. E si definisce per mezzo di un terzo concetto, anch’esso tipico dell’età

moderna: ‘la cultura’” Ivi, pp. 31-32.

Pensiero e prospettive della modernità: l’umanesimo antropologico

Fine del monopolio del pensiero filosofico e inizio dell’affermazione /concorrenza

dell’approccio positivo – empirico – ricognitivo, in particolare con l’approccio culturalistico

all’interno del quale prevalgono psicologia, sociologia, etologia;

- Si afferma una concezione scientifico-tecnologica della realtà, della vita, dell’uomo,

dell’essere, elaborata dalle scienze umane di taglio empirico-sperimentale;

- Ne consegue una frattura della coscienza culturale europea nel processo di auto-

comprensione di sé dell’uomo.

- L’universalità del soggetto è fondata sull’idea di progresso, sull’idea di ‘uguale

natura umana” auto-fondata’ e su quella di innovazione scientifica incessante;

- La categoria del progresso assume un’accezione utopico –politica.

Le trasformazioni in chiave culturale Le ricadute sull’atteggiamento / mentalità dell’uomo moderno sono la certezza del crescente

potere di cui il soggetto si sente padrone e atto ad assurgere ad una importanza mai

sperimentata prima; con il potere avverte un senso di responsabilità nei confronti di se stesso

degli altri, del proprio tempo;

- Muta nel contempo il senso che attribuisce all’umano: all’idea di dipendenza dal

Creatore subentra quella dell’autonomia piena nell’essere e nell’agire; si

riconosce protagonista e padrone assoluto della sua opera, trasferisce a sé quel

significato che prima veniva attribuito a Dio, la sua opera perde il carattere di

servizio e diventa “sua creazione”, si sente di poter usare a proprio piacere le cose, di

foggiarle e di disporne come un Dio;

- L’istanza umanistica della modernità – non è più l’uomo sapiens, ma l’uomo faber,

ossia quella dell’uomo che dalla contemplazione passa all’azione, un uomo che ha

scoperto il potere che ha di dominare il mondo, di ricostruirlo e di porlo al suo

servizio. Scienza e tecnica gli forniscono gli strumenti.

Il processo di autonomizzazione

Cade il vincolo iniziale dell’uomo dalla natura e da se stesso per rivendicare la padronanza

assoluta della propria esistenza;

- non si nega Dio, ma è come se non ci fosse: etsi Deus non daretur, ossia se ne può

fare a meno. Il centro di gravità si sposta sull’uomo, il quale si sente

sufficientemente maturo per assumersi la responsabilità di governare

autonomamente le vicende del mondo;

- La valorizzazione dell’autonoma forza creatrice dell’uomo costituisce la matrice del

processo di secolarizzazione e di mondanizzazione che diventerà la nota qualificante

della civiltà occidentale dell’età moderna, con esiti di arricchimento e limiti.

Le conquiste della modernità

Mi servo ancora una volta di Guardini il quale sostiene che a merito della coscienza

moderna, va senza dubbio ascritto l’aver portato l’uomo fuori dal “cortocircuito religioso” e

di avergli dischiuso

“la genuina realtà, ricca di significato e di stimolo all’azione dell’essere finito. L’assoluto

era sentito a tal punto che il finito non era valorizzato in ciò che gli spettava in proprio. I

19

problemi circa l’essenza del mondo venivano in luce solo parzialmente; le risposte erano

date solo in parte” Ivi, p. 36.

Attento alla realtà ultima, l’uomo medioevale era disattento sulla penultima e questa

veniva soffocata dal veemente imporsi dell’altra.

In sintesi, uno degli aspetti più positivi della modernità è il merito di non aver assottigliato la

consistenza del mondo con l’immediato transito nell’Assoluto. E conclude:

“Essa ebbe coscienza che questo mondo è stato posto, in modo insieme grande e terribile,

nelle mani dell’uomo e si dispose a non indebolire il senso di questa responsabilità con il

ricorso alla religione, ma a considerare questo stesso senso come un compito religioso. La

scienza moderna con la sua inesorabilità, la tecnica con la sua esattezza e il suo ardimento,

lo spirito, che è specifico nell’età moderna, della conquista, della pianificazione e

imposizione di una forma al mondo sono progressi autentici” Ivi, pp. 37-38.

I limiti della modernità

Il limite, sempre secondo Guardini, è che insieme alla giusta istanza di operare con

responsabilità e autonomia nella realtà terrena, la modernità, tuttavia, ha distrutto la totalità

dell’esistere. Ciò avviene particolarmente in virtù: di una errata concezione di natura

ridotta a presunta naturalità, di un soggetto che assume la presuntuosa volontà di

autonomia assoluta, di una cultura che si illude circa un operare umano padrone di se

stesso Ivi, cfr. p. 42.

Dall’onnipotenze all’incompiutezza

A monte di tale atteggiamento dell’uomo moderno c’è il rifiuto del concetto di creazione e

così viene a prevalere un’idea di uomo che marca la distanza dalla prospettiva cristiana

giungendo poi a porsi in aperta rottura con essa.

- Ciò muta profondamente la prospettiva antropologica: dall’indifferenza dovuta al

senso di autosufficienza dell’uomo si approda alla negazione di Dio dichiarandone la

morte (Nietzsche) e alla conseguente affermazione della fragilità e incompiutezza

umana.

Entrano in crisi in particolare:

L’idea di persona e il rifiuto del suo spessore ontologico;

Il significato del Logos – dall’assolutizzazione del potere della ragione alla sua

messa in crisi;

Il senso della libertà dell’uomo.

Doppio identikit delle antropologie contemporanee14

Le novità che caratterizzano la proposta antropocentrica dell’età moderna rispetto alla

precedente sono:

- L’estromissione della presenza di Dio dall’attenzione: prima disattenzione e poi

negazione;

- La responsabilità che migra tutta verso l’uomo (autonomia totale);

- La crisi dell’eticità in ragione di un pensiero debole, e la fiducia tutta riposta nella

tecnologia che diventa così autoreferenziale e autogiustificantesi in virtù della sua

funzionalità.

Da qui emerge un grande interrogativo: è legittima questa aspettativa e cosa comporta?

Possibili riserve:

- La tecnica crea processi irreversibili; chi subisce l’interferenza del trattamento

tecnologico subisce una interferenza proprio nel costituirsi della sua persona;

14

Per chi è interessa ad avere una approfondimento di tipo generale e di alcuni aspetti relativi agli autori che saranno

considerati in seguito cfr. G. ACONE, Antropologia dell’educazione, Brescia, Editrice La Scuola, 1997, in particolare

le pp. 15-43.

20

- La tecnica presenta una grande anomalia: da estensione della persona, cioè

sottoposta ai fini di questa, diventa origine della persona, concretamente convertita

da agente a prodotto.

Incrocio di linee evolutive:

Per comprendere il pensiero antropologico contemporaneo occorre cogliere due linee

evolutive distinte e insieme annodate da forti intersezioni fino a renderle strettamente

interdipendenti. Tali linee sono rappresentate da paradigmi a forte rilevanza scientifica per

un verso e quelli a prevalente dominanza filosofica.

- Nella prima troviamo la strada imboccata dalle scienze umane a prevalente taglio

empiriologico-sperimentale di taglio descrittivo; paradigmatici sono: il paradigma

evoluzionista di Darwin, la teoria dell’incompiutezza umana di Gehlen, quella bio-

antropo- evolutiva di Monod e a quella del declino dell’uomo di Lorenz

- Nella seconda linea un richiamo a Nietzsche e d’obbligo, come pure a Sartre e a

Foucault, per indicare soltanto qualche figura sicuramente di primo piano.

Il paradigma evoluzionista – Darwin (1809-1882)

Il paradigma evoluzionista è il punto di avvio dello studio scientifico dell’uomo nell’ottica

moderna e segna una svolta nell’antropologia biologica della modernità; con esso si registra

una scossa all’interno dei paradigmi delle scienze fisiche, biologiche e, conseguentemente,

all’interno delle cosiddette scienze umane;

- D’ora in poi l’uomo diventa oggetto di osservazione e di studio soprattutto dei

caratteri biologici, fisici, organici e ambientali;

- dopo Darwin si studia l’evoluzione della specie umana in continuità quantitativa-

qualitativa rispetto alla vita del pianeta e alla sua evoluzione generale;

- il paradigma, direttamente o indirettamente, è dietro tutte le antropologie di stampo

positivista, ossia dietro gli approcci che puntano su ricognizioni empirico-osservative

- l’evoluzionismo esercita il potere di trasformare i paradigmi di riferimento delle

scienze umane del secolo ventesimo

L’incompiutezza umana e la tecnica – Gehlen (1904-1976)15

Questo autore ci presenta una cifra di lettura radicale del concetto di uomo incompiuto,

carente, non stabilizzato.

L’uomo è un essere che dipende essenzialmente dalla sua azione. La carenza di istinti

specializzati lo obbliga a trasformare con la sua intelligenza qualsivoglia stato di cose da lui

incontrato nella natura. A motivo delle carenze strutturali deve surrogare i mezzi di cui

difetta attraverso la trasformazione del mondo in qualcosa di utile.

In sintesi:

- l’estrema carenza di dispositivi in atto nell’uomo rispetto a tutti gli altri animali lo

dispone come essere attivo, plastico, tecnico, capace di interiorizzare, attraverso

l’intelligenza, la duplicazione della sua stessa tecnicità; plasmabilità, educabilità.

L’intelligenza umana diviene una sorte di doppio interiorizzato del nesso

carenza/tecnica.

- L’uomo per sopravvivere deve inventarsi una sovranatura come ‘protesi’ della sua

natura difettosa e carente, precaria e indifesa. Egli deve alla tecnica la sua

specificità e la sua capacità di vita intelligente (a cominciare dalla sua stessa

sopravvivenza).

15 Cfr. A. GEHLEN, L’uomo, Milano, Feltrinelli, 1990; L’uomo nell’era della tecnica, Milano Sugarco, 1984)

21

- In termini di antropologia pedagogica questa prospettiva potrà essere tradotta in

questo modo: la plasmabilità potenzialmente elevata dell’uomo quale educabilità

costituisce lo specifico della struttura antropologica;

La lettura bio-antropo-evolutiva – Monod (1910-1977)16

La proposta di questo autore si colloca in una linea che vede nell’uomo un punto di

approdo e insieme una tappa intermedia di una lunga evoluzione durata milioni di anni.

Nelle posizioni più radicali, tale linea riconosce nell’intelligenza umana un “risultato

casuale” dell’evoluzione, della selezione e della lotta per la sopravvivenza;

- L’evoluzionismo raggiunge in Monod un momento di significativa radicalità e

coerenza; nella sua prospettiva scompare ogni “luce finalistica” alla presenza

dell’uomo nel cosmo: c’è, ma potrebbe non esserci;

- Con il suo radicale evoluzionismo polemizza non solo con le teorie “umanistiche”

ma anche come quelle materialistiche e materialistiche-dialettiche fortemente

schierate sul versante delle scienze positive.

- Il caso diventa la chiave di lettura di tutto; attraverso il caso viene decifrato il tutto,

uomo compreso, figlio anch’esso di una in perscrutabile necessità. Comparsa e

autocoscienza sono frutto del caso;

- La mutazione antropologica esclude unità e fine, come pure viene esclusa ogni

alleanza tra l’uomo e un qualsiasi Dio, assai improbabile anche quella tra l’uomo e la

natura

Lorenz: sviluppo e declino dell’uomo (1903-1984)17

Questo autore ribadisce sostanzialmente la posizione di Monod, sostiene che ci si avvia

verso la fine dell’identikit dell’uomo e della specie umana così come conosciuta fino ad ora.

Il cammino dell’evoluzione è determinato dal caso, frutto di una modificazione dei

caratteri ereditari grazie a meccanismi di selezione naturale in un determinato ambiente

momentaneamente esistente.

A differenze di Monod, però, egli ritiene che l’uomo va salvato dal suo ineluttabile declino

ed è possibile in virtù dei suoi caratteri specifici che gli consentono di staccarsi dalla

causalità selettiva: egli possiede la capacità di produrre processi soggettivi, valori,

forme, bellezza, in armonia con la natura. L’uomo, come animale culturale, ha la

capacità di modificare culturalmente la sua natura.

Via di salvezza: la tecnica

- Per evitare il declino dell’uomo, secondo Lorenz, bisogna fronteggiare, anche sotto

il profilo educativo, i guasti introdotti dalla modalità di vita prodotta dalla

tecnologia e dalla tecnocrazia;

- Le abitudini di pensiero generate dalla tecnologia si sono fissate in rigide dottrine di

un sistema tecnocratico protetto da una sorta di autoimmunizzazione. La tecnocrazia

crea una società iperorganizzata che esercita sull’individuo un effetto

deresponsabilizzante. Sul piano culturale viene a mancare la pluralità delle influenze

e di scambi reciproci che è il presupposto di ogni creatività;

- Situazione critica in cui vivono i giovani oggi. Se vogliamo affrontare le minacce

che incombono dobbiamo risvegliare nei giovani la sensibilità per i valori, per la

bontà, per la bellezza, sensibilità conculcata dalla mentalità scientista e dal pensiero

tecnomorfo.

16

Cfr. J. MONOD, La necessità e il caso, Milano, Mondadori, 1973 17

K. LORENZ, Il declino dell’uomo, 1983

22

Confronti per concludere

Lorenz, Darwin e Monod condividono la convinzione della casualità della vita e della

specie (con l’unica legge teleonomica della sopravvivenza della specie);

Lorenz e Gehlen sostengono che la specie umana e la relativa evoluzione includono la

crescita culturale e la scienza accumulata quali fattori di demarcazione e di specificità

dell’umano rispetto al resto della vita e del cosmo. Ma mentre Gehlen vede nella

scienza/tecnica la specificità umana capace di rimaneggiare e riscrivere la natura, Lorenz

vede nella scienza / tecnica un processo, sebbene rilevante e necessario, non sufficiente a

salvare l’uomo da un inarrestabile declino se non accompagnato da processi soggettivi

propri solo dell’uomo, capaci di produrre e rimanere fedele a valori di bontà e di bellezza

in armonia con la natura vivente le cui forme sono viste isomorfiche ai valori significati

dall’umanità in quanto tale.

La linea di sviluppo a dominanza filosofica La seconda linea evolutiva di sviluppo delle antropologie della modernità, quella

caratterizzata dall’approccio a dominanza filosofica. Incrocia la prima su un punto nodale

che è quello dell’estromissione prima e della negazione poi di Dio come punto di

riferimento e misura della realtà del mondo e dell’uomo. Questo presupposto segna la linea

di demarcazione tra l’antropologia a curvatura metafisica e quella a curvatura post-

metafisica.

- L’autore che più efficacemente descrive la mutazione antropologica che ne deriva è F.

Nietzsche con la sua dichiarazione della morte di Dio. L’annuncia di tale morte porta a

proclamare il bisogno di elaborare il grande lutto che accompagna un tale evento;

l’uomo che si avverte orfano di Dio muta profondamente l’autocomprensione di sé e

l’idea di che cosa si deve intendere per umanazione.

- Con la crisi dell’idea di DIO entrano contemporaneamente in crisi, o mutano

profondamente senso, concetti come essere, valore, senso, persona, bene, interiorità,

coscienza quale lume di verità, libertà, intenzionalità, tutti concetti che avevano reso

strutturalmente unitaria la problematica antropologica e pedagogica;

- Da questa crisi si dipartono le varie forme di nichilismo,riconosciute come sbocco

inevitabile.

La proclamazione della morte di Dio: Nietzsche (1844-1900)18

Per coglierne la portata mi limito a riportare un passo emblematico:

“Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna fin dal mattino, corse al mercato e

si mise a gridare incessantemente: ‘Cerco Dio! Cerco Dio!E poiché proprio là si trovavano

raccolti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. ‘E’ forse perduto?’, disse

uno. ‘Si è perduto come un bambino? Fece un altro. ‘Oppure sta ben nascosto? Ha paura di

noi? Si è imbarcato? E’ emigrato? – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle

uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: ‘Dove se ne andato Dio? –

gridò – ve lo voglio dire!

L’uomo artefice del deicidio

Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo tutti noi i suoi assassini! Ma come abbiamo

fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette

la spugna per strusciare via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra

dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti

i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i

lati?Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un

18

F. NIETZSCHE, La gaia scienza par. 125).

23

infinito nulla? Non alita su di noi uno spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita

a venire la notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lucerne la mattina? Dello

strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non

fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è

morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di

tutti gli assassini?”

Gli effetti: radicale scissione tra essenza ed esistenza

Le lucide intuizioni nietzschiane colgono in tutta la sua tragica consequenzialità di come la

morte dell’idea di Dio si traduce nella morte dell’idea di uomo.

La concezione della persona di ispirazione cristiana, radicata sulla visione classica,

considera l’uomo come un animale onto-metafisico-storico e non solo come un animale

storico.In tale concezione c’è la preoccupazione di non ridurre la persona ad una astrazione

senza corpo, ma anche a non ridurlo a storicità radicale: la persona è anche cultura e storia,

ma non può essere solo cultura e storia;

Su tale istanza forte del personalismo a istanza metafisica si apre la divaricazione /

separazione nelle antropologie contemporanee. Emblematico il dibattito apertosi a metà del

secolo scorso tra Sartre19

e Maritain20

, espressione il primo della negazione della

dimensione onto-metafisica, sostenitore, il secondo, della ineliminabile compresenza delle

due dimensioni.

L’esistenza precede l’essenza -Non esiste natura umana Sartre (1905-1980)

Sartre afferma il principio cardine dell’esistenzialismo:“prima di esistere concretamente

l’uomo non è nulla”; prima del concreto svolgersi della sua vita non è da nessuna parte e la

sua essenza non si trova in nessun luogo, ovviamente neanche in Dio, dal momento che di

Dio si è recisamente negata l’esistenza”. Scrive Sartre:

“L’esistenzialismo ateo, che io rappresento, è più coerente (rispetto filosofi atei del XVIII

secolo, per i quali “la nozione di Dio viene eliminata, non così però l’idea che l’essenza

precede l’esistenza” Ivi p. 45.

“Se Dio non esiste, esso afferma, c’è almeno un essere in cui l’esistenza precede l’essenza,

un essere che esiste prima di poter essere definito da alcun concetto: quest’essere è

l’uomo, o, come dice Heidegger, la realtà umana. Che significa in questo caso che

l’esistenza precede l’essenza? Significa che l’uomo esiste innanzitutto, si trova, sorge nel

mondo, e che si definisce dopo. L’uomo, secondo la concezione esistenzialistica, non è

definibile in quanto all’inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto.

Così non c’è una natura umana poiché non c’è un Dio che la concepisca. L’uomo è

soltanto, non solo quale si concepisce dopo l’esistenza, ma quale si vuole, e precisamente

quale si concepisce dopo l’esistenza e quale si vuole dopo questo slancio verso l’esistere:

l’uomo non è altro che ciò che si fa. Questo è il principio primo dell’esistenzialismo”Ivi,

pp. 46-47.

La soggettività

“Ed è anche quello che si chiama soggettività e che ci vien rimproverata con questo stesso

termine. Ma che cosa vogliamo dire noi , con questo , se non che l’uomo ha una dignità più

grande che la pietra o il tavolo? Perché noi vogliamo dire che l’uomo in primo luogo esiste,

ossia che egli è in primo luogo ciò che si slancia verso un avvenire e ciò che ha coscienza di

progettarsi verso l’avvenire”Ivi, p. 47.

19

Cfr. J. P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanesimo (1946) Roma, Armando, 2010. 20

Cfr. J. Maritain, Breve trattato dell’esistente e dell’esistenza (1947), Brescia, Morcelliana, 1998.

24

L’uomo come progetto

L’esistenza consiste nel progetto, non avendo l’uomo alle spalle alcuna indicazione che gli

prescriva dove andare e come essere.

L’uomo sartriano sarà esclusivamente ciò che avrà deciso di essere:

“L’uomo è, dapprima, un progetto che vive se stesso soggettivamente, invece di essere

muschio, putridume o cavolfiore; niente esiste prima di questo progetto; niente esiste nel

cielo intellegibile; l’uomo sarà anzitutto quello che ha progettato di essere. Non quello che

vorrò essere. Poiché quello che intendiamo di solito con il verbo ‘volere’ è una decisione

cosciente, posteriore, per la maggior parte di noi, a ciò che noi stessi ci siamo fatti. Io posso

voler aderire ad un partito, scrivere un libro, sposarmi: tutto questo non è che una

manifestazione di una scelta più originaria, più spontanea di ciò che si chiama volontà. Ma

se veramente l’esistenza precede l’essenza , l’uomo è responsabile di quello che è. Così il

primo passo dell’esistenzialismo è di mettere ogni uomo in possesso di quello che egli è e di

far cadere su di lui la responsabilità totale della sua esistenza”Ivi, pp- 47-48.

La superiore dignità dell’uomo rispetto a tutte le altre cose consiste nel fatto che egli ha la

capacità di scrivere il suo futuro.

Libertà e responsabilità: Il tema della libertà è affrontato nella quarta parte di L’essere e il nulla in cui delucida il

rapporto tra libertà e volontà. Riprendendo quelle considerazioni qui egli distingue libertà

come condizione originaria dell’essere umano dalla volontà che segue tale libertà

originaria e di essa è manifestazione. L’uomo non potrebbe volere qualcosa se non fosse

detentore di una libertà primogenia che è fondamento e condizione del suo stesso essere;

La responsabilità grava perciò su ciascun individuo, proprio a motivo della libertà radicale

di cui ognuno è dotato. Si tratta di una responsabilità alla quale nessuno può sfuggire e che

appare, nella filosofia sartriana come del resto un po’ in tutto il pensiero esistenzialista, non

solo e non tanto una ricchezza dell’uomo, quanto piuttosto un duro impegno e quasi una

sorte di condanna cfr. Ivi, nota 25 e 26, p. 48.

Un giudizio di Maritain sulla posizione di Sartre.

Maritain, come si è accennato, prende posizione nei confronti di Sartre e ne critica

l’impostazione di principio. Quella sartriana scrive Maritain, è una

”esistenza finita di soggetti senza essenza, gettate nel caos di apparenze vischiose e

disgregate di un mondo radicalmente irrazionale, da una opzione atea primordiale che

domanda loro di fare o creare da sé, mediante un susseguirsi di scelte assolute che li

impegnano in modo irrevocabile di fronte a situazioni date sempre nuove, certo non la loro

essenza o la loro struttura intellegibile poiché non ce n’è, ma le immagini proiettate nel

tempo, i progetti che falliscono continuamente nel tentativo di dare loro qualcosa che

somiglia ad un volto” p. 12.

L’affermazione che l’esistenza precede l’essenza è ambigua:

“perché potrebbe significare qualche cosa di vero, ciò che l’atto precede la potenza, che la

mia essenza riceve la sua presenza nel mondo dalla mia esistenza e la sua intelligibilità

dall’Esistenza in atto puro, mentre in realtà significa tutt’altra cosa, cioè che l’esistenza

non attua nulla, che io esisto ma non sono nulla, che l’uomo esiste, ma non vi è natura

umana”p. 13.

Rapporto parola/discorso – Foucault (1926-1984) 21

Solo un rapido cenno alla funzione che assolve la parola nell’analisi del discorso di

Foucault.

21

M. FOUCAULT, L’ordine del discorso e altri interventi,Torino, Einaudi, 2004.

25

Il paradigma del linguaggio in F. spiazza la centralità del soggetto e la dinamica di

costruzione del discorso lo sovrasta e lo condiziona.

Il soggetto umanistico, secondo l’autore, e il ruolo assegnato alla coscienza como principio

unificatore di identità è solamente residuo della metafisica che non si giustifica dopo la

dichiarata fine del soggetto.

Tutta l’analisi che Foucault fa del discorso mira ad analizzare le differenti procedure

attraverso cui si realizzano forme di esclusione dei soggetti, di controllo interno ed esterno

del discorso e critica il ruolo della filosofia come risposta e rafforzamento dei giochi di

limitazione e di esclusione dei soggetti parlanti.

La pretesa della filosofia

Essa, attraverso i suoi temi, fa ciò “ proponendo una verità ideale come legge del discorso e

una razionalità immanente come principio del loro svolgimento, e riconfermando altresì

un’etica della conoscenza che non promette la verità se non nel desiderio della verità stessa

e al solo potere di pensarla” p. 23.

Per quanto riguarda i temi della filosofia, e relativamente a quelli che qui a noi interessano

in maniera particolare, egli mette sotto accusa il cosiddetto soggetto fondatore e il concetto

di esperienza originaria. Per superarne i limiti occorrono tre decisioni che mettono in

discussione il presunto primato del discorso filosofico.

Il soggetto fondatore

All’idea di soggetto fondatore Foucault attribuisce la responsabilità di annullare il discorso,

assegnando ad esso “il minor posto possibile tra il pensiero e la parola”, e fa si che esso

“apparisse soltanto come un certo apporto tra pensare e parlare”.

Il soggetto fondatore, che si interessa di cercare il senso delle cose, vanifica la funzione del

discorso in quanto presta ai dati oggettivi un presunto fondamento costruito sull’intuizione.

Scrive in merito F.:

“Il soggetto fondatore … è incaricato di animare direttamente colle sue mire le forme vuote

della lingua; è lui che, attraversando lo spessore o l’inerzia delle cose vuote,riprende,

nell’intuizione, il senso che vi si trova deposto; è lui inoltre che, al di la del tempo, fonda

orizzonti di significati che la storia non dovrà più spiegare, e dove le proposizioni, le

scienze, gli insiemi deduttivi troveranno in fin dei conti il loro fondamento. Nel suo rapporto

con il senso, il soggetto fondatore dispone di segni, di impronte, di tracce, di lettere. Ma non

ha bisogno, per manifestarli, di passare per l’istanza singolare del discorso” 24.

L’esperienza originaria

Un ruolo analogo, sempre secondo F., assolve anche la pretesa di un’esperienza originaria.

Anche qui la critica si appunta sulla pretesa di dover riconoscere significati preesistenti nelle

cose e ridurre il linguaggio a farne soltanto una lettura discreta. Tale presupposto di un

significato già immanente fa si che il linguaggio esplichi l’unica funzione di farlo scoprire.

Scrive F.:

“Esso suppone che, a fior dell’ esperienza, prima ancora che abbia potuto riprendersi nella

forma di cogito significati preliminari, già d detti in certo qual modo, percorressero il

mondo, lo disponessero tutt’intorno a noi e l’aprissero d’acchito a una sorte di primitivo

riconoscimento. Così una primaria complicità col mondo fonderebbe per noi la possibilità

di parlar di esso, in esso, di designarlo e di nominarlo, di giudicarlo e finalmente di

conoscerlo nella forma di verità. Se discorso c’è, che cosa può mai essere, allora, nella sua

legittimità, se non una lettura discreta. Le cose mormorano già un senso che il nostro

linguaggio non ha più che da far sorgere; e questo linguaggio, sin dal suo più rudimentale

progetto, ci parlava già di un essere di cui è una sorte di nervatura” 24-2

26

Le tre decisioni per una soluzione

Dopo aver sottolineato l’apparente trionfo del discorso nella nostra società occidentale che

in sostanza però cela solo timore del suo possibile impiego, Foucault indica tre decisioni da

prendere contro cui il nostro pensiero attualmente si rifiuta di fare. Esse sono:

“rimettere in questione la nostra volontà di verità; restituire al discorso il carattere di

evento, togliere via la sovranità del significante”.

Per esprimere con altri termini le condizione poste da Foucault per ridare il giusto ruolo

fondativo al discorso e al corretto impiego del linguaggio occorre rinunciare all’idea che

esista una verità come criterio valutativo, restituire storicità assoluta al discorso, togliere

sovranità alla parola.

Da queste premesse l’autore passa a definire sia i 4 principi di metodo (del rovesciamento,

della discontinuità, della specificità, dell’esteriorità) sia ale nuove nozione di cui servirsi

per procedere nell’argomentare (sostituire evento al termine creazione; serie a quello di

unità, di regolarità a originalità, di condizione di possibilità a quello di significato).

Una conclusione per avviare una riflessione personale

I termini sotto accusa costituiscono l’apparato categoriale degli autori di cui si tenterà di fare

un approfondimento. Nella nostra riflessione l’attenzione è stata rivolta in particolare alla

densità ontologica del soggetto che fonda l’interiorità e qualifica il processo di

umanazione, e al significato della parola nell’uomo.

Nel clima culturale del post-moderno in cui siamo immersi, e ne respiriamo l’aria, possiamo

leggere le ricadute nel vissuto personale e collettivo della vita quotidiana.

Il ritorno alle fonti di un pensare altro può ancora almeno in parte servirci per riflettere sul

nostro presente?

27

II.

UN PERCORSO DI FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE.

Prof. Cosimo Costa

1. Introduzione

L'educazione è un fatto. Bisogna rendersi conto delle dimensioni e delle caratteristiche del fatto

educativo. Essere consapevoli che tale fatto lo si può leggere da tantissimi punti di vista:

sociologico, psicologico, antropologico, giuridico, economico, filosofico. Inoltre, è giusto e

necessario interrogarsi per capire se esistono elementi che permettono di leggere il fatto educativo

come un intero. Ecco allora affacciarsi interrogativi primari per la definizione di tale fatto: che cos’è

l’educazione da un punto di vista unitario? È ancora un fatto o si palesa qualcosa d’altro, per

esempio un evento morale? E perché? Che cos’è che ci permette di sostenere che stiamo studiando o

vivendo o praticando educazione piuttosto che qualcosa che educazione non è?

1.1 Intenzione

Essere cosciente di assumersi compiti numerosi e gravosi.

La filosofia dell’educazione cerca le scorciatoie, e le cerca con ansia, sapendo che l’anima

non ha tempi morti. Una scorciatoia potrebbe essere individuare uno scandagliatore che l’ha

affrontata, valutata, e ha indicato confutazioni delle idee.

Ne consegue che bisogna:

trovare una verità fontale, per acquisire il pensare giusto.

1.2 Ma perché l’educazione?

Per togliere l’illusione che sia una realtà tutta razionalizzabile.

Per togliere l’illusione che si diventa ciò di cui si ha opinione.

Per far intravedere un mondo che vale tutto lo sforzo che chiede.

Quando l’educazione diventa paideia, in primis c’è la domanda del fondamento: l’educazione è un

bisogno? è un diritto?

Platone ci dice che per avvertire la necessità del fondamento sono necessarie: esperienza e forza

speculativa.

Il fatto educativo dell’uomo è una realtà da vivere personalmente, da esperire nella sua positività e

nella sua tragicità, nella sua concretezza reale esige il fondamento. In questo modo sembra acquisire

una dicibilità convincente ed efficace: muovere qualcosa nel soggetto che riceve la comunicazione.

La risposta va cercata nelle ipotesi propositive?

Prender le mosse da domande nevralgiche rintracciabili in Platone che slargano all’infinito, senza

ingessare l’indagine.

Chi sa cosa rende migliore l’uomo e il cittadino?

Chi lo sa fare?

Chi ha interesse a farlo?

Da chi pensi di andare e cosa intendi diventare ? Di che si nutre l’anima?

Da dove vieni e dove vai?

Platone impara che si deve presupporre e porre nell’uomo la presenza di qualcosa di divino, che può

entrare in contatto con il divino ed esplodere se risvegliato.

1.3 Preoccupazioni

Utilità prospettazioni sistematiche. Se è buona la sensibilità ai nuovi saperi si può coltivare

anche la preoccupazione per la «condizione umana».

28

o A proposito di condizione umana, si osserva un rapporto unico tra filosofia dell’educazione

e filosofia morale. Il problema educativo si impone ed esige una risposta da tutti, perché è il

problema dell’uomo nei confronti di se stesso, del suo stesso essere uomo. Secondo Ducci

viene esaminato, nella realtà attuale, tramite due atteggiamenti; ufficialmente, dove la strada

viene individuata mediante il dialogo tra i vari saperi come la psicologia, sociologia,

politica, cibernetica, tecnologia, ecc…; realmente, dove il percorso viene individuato nella

sola ideologia o nel coraggioso confronto anche con la vita reale, in primis la propria poi

quella degli altri. Su queste brevi premesse, da cosa, nel vivo di una realtà educativa così

turbolenta, si vorrebbe essere sollecitati, sensibilizzati e sostenuti dalla filosofia morale? Ma

in primis, cosa si intende per filosofia morale? Che cosa è la morale? È impatto tra l’agire

del singolo e la tradizione, il costume, il dover essere. Ne deriva un agire, esterno ed interno,

definito da desideri, giudizi, decisioni, modalità di rapportarsi a persone e cose tramite cui

l’uomo intravede una via, un percorso, delle finalità per divenire pienamente umano. E’ la

percezione di tale bisogno che può essere impedita da imposizioni iniziali rigide,

dogmatiche o da un arbitrio incontrastato e che porta con sé rischio, acutezza nel discernere,

accettazione di fatica, dolore, gioia, soddisfacimento. Soltanto quando si avverte il bisogno

detto e nella misura in cui lo si avverte, l’uomo è abilitato a intuire la natura della morale, il

senso del dover essere, il nesso libertà interiore/obbligazione dell’esistenza. Ma perché

agire? È tramite l’agire che nasce la realizzazione del soggetto, il passaggio dalla potenza

all’atto. Ne deriva una filosofia morale come riflessione, speculazione sull’agire, sulle azioni

per essere giuste, orientate al bene, e, quindi, su che cos’è il bene, su qual è la legge (la

norma) da seguire. Quale l’oggetto del suo indagare? Non “come gli esseri sono” ma “come

debbono essere. Buono è l’uomo, quando buone sono le sue azioni tutte, e ben regolate a

tenore dell’onesto e del giusto. Per questo, la morale si occupa della bontà delle intenzioni e

non solo di quella degli effetti, quindi dei risultati delle azioni. Conseguenza, la filosofia

dell’educazione ha con la filosofia morale un rapporto unico: non si dimentichi che è da

poco ad aver operato un distacco da essa22

. Si tratta di un rivisitare lo specifico umano:

l’agire interiore, il suo senso, il potenziale che lo regge, le dinamiche che lo distinguono. In

tutto ciò la filosofia morale le riscopre, indaga la responsabilità del soggetto; la filosofia

dell’educazione ne individua le strade per la loro operatività e ne traccia le direzioni. La

filosofia dell’educazione rappresenta una mediazione insostituibile tra filosofia morale e

realtà educativa globale. Ducci ritrova tra le due filosofie un primo punto comune

inquadrabile nella paideia, e un secondo punto nell’ anthropine sophia (Apologia, 20d).

(Cfr. E. Ducci, Filosofia dell’educazione e filosofia morale in Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia Roma,

1994, pp. 31-39)

La filosofia dell'educazione è un sapere che si prolunga anche nel vivere concreto, non va

pensata soltanto in rapporto agli «esperti» e costretta nel loro linguaggio, né finalizzata alla

sola conoscenza rigorosa, né misurata, bensì indirizzata ad una possibile operatività buona

per chi ha davvero cura dell'umano.

o L’educazione estendendosi a tutto l’arco della vita ha bisogno di un adeguato rigore

scientifico sostanziato da un verace coinvolgimento personale. La teoresi pedagogica

diviene filosofia poietica. Quello poietico fa capire come un approccio solo scientifico

potrebbe presupporre dell’uomo solo dimensioni misurabili, mentre un approccio solo

filosofico - metafisico porterebbe all’evidenza solo un mondo astratto. Il discorso

pedagogico deve andare oltre i singoli aspetti per poter affrontare il problema dell’umanarsi

dell’uomo radicalmente non solo come momento che fonda ma come momento fondante che

22

Fino ai tempi di Gentile la Filosofia dell’Educazione era parte integrante della filosofia morale.

29

si intreccia con il concretizzarsi della situazione. La filosofia poietica è una filosofia che

non si disgiunge da un particolare tipo di esperienza, da un Erlebnis. Esperienza che

comporta un rivivere, un provare a livello di vita. Ducci a tal proposito definisce molto bene

il compito svolto dall’esperienza-vita in tale filosofia poietica. Compito, che così come

vuole l’autrice, deve essere chiarito nel suo momento germinale per individuare più

facilmente le estranee inclusioni. L’enigmaticià uomo si sviluppa sotto una nuovo prospetto:

dimensione misteriosa dell’essere umano sostenuta e convalidata da una personale

esperienza umana. La filosofia dell’educazione non può essere incastrata nell’appartenenza

a una filosofia teoretica o a una sola filosofia pratica, ma deve essere definita come una

filosofia poietica: pensare attento sull’uomo per riconoscere e indicare il cammino del suo

umanarsi, servendosi di una vera esperienza umana.

(Cfr. E. Ducci, Filosofia dell’educazione come Filosofia poietica in L’uomo umano, Anicia Roma, 2008, pp. 16-23)

2. Postille di filosofia dell'educazione

2.1 Sostare sulla denominazione

Filosofia dell'educazione è genitivo oggettivo, quindi «educazione» è oggetto su cui si esercita

l'azione del soggetto, ossia della filosofia. Da tale azione l'oggetto viene lumeggiato in alcune sue

parti che, altrimenti, resterebbero in ombra. Altri «soggetti» simili (sociologia, psicologia, teologia

etc.) lumeggeranno altri parti della medesima realtà senza sovrapporsi. E' però anche inammissibile

che l'uno possa surrogare l'azione dell'altro. Il termine educazione può essere agevolmente sciolto

negli elementi che lo formano, ed è utile farlo. Con esso si indica l'educabilità umana (vedi

paragrafo su Educabilità a cura di Di Agresti), l'educativo, l'azione, la prassi, l'evento, l'esperienza

educativa.

(vedi Postille di filosofia dell’educazione in E. Ducci, Antologia di saggi brevi)

2.2 Il se dell'educazione

Il segreto perché la realtà dell’educativo non sia sommersa o tutta sfigurata, non sta

nell'affermarla dogmaticamente, ma nell'avvertire la forza del «se» - se l'uomo possa e debba

essere educato.

Il «se» mette la realtà dell’educativo in linea (forse al primo posto?) tra i valori dell'umano su

cui l'interrogarsi senza sosta è d'obbligo.

La pagina del Mito della caverna la si può considerare una icona eccezionale che rivela il senso e la

funzione di una filosofia dell'educazione. Ed è in essa che si staglia il «se» dell'educazione.

Il se nel rapporto interpersonale e nella comunicazione.

(vedi Postille di filosofia dell’educazione in E. Ducci, Antologia di saggi brevi)

2.3 La strumentazione soggettiva

Tratti della strumentazione soggettiva:

o Una sensibilità particolarmente sviluppata per la realtà di cui si occupa.

o Avere il senso per l’educativo.

o Avere una sensibilità per la realtà dell’educabilità dell’uomo.

o Una capacità di meraviglia, di stupore. Essere capaci di meraviglia, non pensare mai di

aver conosciuto tutto, essere pronti ad accogliere sempre qualcosa con stupore.

o Il senso per la sproporzione, non rimanere direzionati nel piccolo: l’energia umana ha dei

risvolti incredibili.

o La forza fisica come energia che compie atti sproporzionati, se c’è passione e dinamismo

potente.

30

o Il gusto per il tempo. Un certo istinto per l’ordine: riuscire a comporre, riuscire a

ordinare, riuscire a dare la giusta progressività all’evento, alla cosa.

o Un certo intuito per il vero.

o Un amore appassionato per la libertà propria e dell’altro.

o Un intenso esperire, un intenso soffrire l’umano. Non avere esperienza dell’umano ma

sentire l’umano innanzitutto nell’interiorità di ciascuno.

(Cfr. E. Ducci, Il volto dell’educativo in Preoccuparsi dell’educativo, Anicia Roma, 2002, p.15)

Due esempi di strumentazione soggettiva:

o Teeteto (172 c - 173 c). Socrate illustra a Teodoro una delle differenze che intercorrono

tra la gente educata a servire e gli uomini liberi.

o Crizia (120 e - 121 c). Vi è tratteggiata la decadenza morale dell'Atlantide: pochi segni ne

dicono lo stato ottimale, e altri pochi la rovina; una sola pennellata addita le cause e

un'altra promette l'intervento.

(vedi Postille di filosofia dell’educazione in E. Ducci, Antologia di saggi brevi)

3. Il da anima ad anima

L’istanza è platonica (Fedro)

Interrogativo: l’istanza è ancora valida o è solo un reperto storico? Se si, cosa implica?

3.1 Anthropine sophia

Nell’Apologia Platone fa esprimere a Socrate il senso primitivo del suo insegnare.

Nasce infatti, una distinzione netta tra sapere e sapere. Il termine sapere veicola due realtà molto

diverse, tanto che fanno fatica a stare sotto lo stesso denominatore. Tale spaccatura interessa le

modalità di comunicazione e la natura dei comunicanti.

In questa idea di sapere: confluisce il mondo sconfinato della paideia e della grande iniziazione

porta con sé un’aria di processo e di condanna, di paventata rovina (processo a Socrate).

3.2 Episteme e sophia

Aprono a un Sapere A e a un sapere B.

o La spaccatura.

o Peculiarità di ciascuno dei due relativamente:

- Al contenuto

- Cosa produce

- Quali garanzie

- Chi lo detiene

La durezza della spaccatura riemerge ogni qualvolta la convivenza umana è contesa da forze

contrapposte e si riconosce all’uomo soltanto un senso attribuito.

Il dilemma è: o l’onnicomprensivo sapere A, o la compresenza dei due. Il momento alto è

distinguere tra i due saperi, affermare il diritto di ambedue, privilegiare il sapere B.

Problema eternamente posto e eternamente proteso alla soluzione.

o Autori che ne echeggiano temi e intenti: apporto di ciascuno a che il problema non perda

d’urgenza e non sia privato del dovuto spessore.

- Rischio > che si levi la spaccatura e che un sapere scancelli l’altro, misconoscendo la

eterogeneità dell’animo umano.

3.3 Sapere B e comunicazione

o Tra le tante caratteristiche, una semplice e piana: passare dal plurale al singolare. Non da

uno ad uno (passaggio quantitativo) ma da anima ad anima (l’anima che partecipa).

31

- Il comunicante: come deve essere:

Accusa a Socrate: abile parlatore che rendere deboli le ragioni forti e forti le ragioni deboli. Potere

quasi sovrumano e ciò che ne autorizza l’uso.

Da anima ad anima: non indulge all’individualismo ma si apre alla convivenza tutta, senza

limitazioni, e la salvaguardia dai rischi mortali.

o Proposta inattuale. Non diventerà mai di moda.

(vedi La comunicazione da anima ad anima è ancora possibile?, in E. Ducci, Antologia di saggi brevi)

4. Gli auctores nella dimensione educabile dell'uomo

L’educazione è possibile in quanto l’uomo ha in sé un potenziale per cui è educabile, possibilità,

specificante la natura dell’uomo, si può definire educabilità. L’educabilità è costituita da un

insieme di forze/energie da cui dipende la possibile realizzazione della perfezione umana. La

dimensione educabile dell'uomo è la ragione forte della filosofia dell'educazione, la

giustificazione del suo esserci. Essa merita un approccio di seria deduzione. La conoscenza di

opinioni autorevoli è intesa come salvaguardia per la dirittura delle proprie scoperte.

Gli auctores sono autori, creatori che hanno avuto l’intuizione profonda del vero. Auctores vuol

dire edificare, far crescere, edificare dalle fondamenta. È chiaro che più l’auctores è valido più

rende il problema energetico. Se ben individuati restano guide mai compiutamente segnati dal

tempo.

o La filosofia dell’educazione in Edda Ducci individua la necessità di iniziatori non di

semplici teorici. Gli auctores, quei pensatori e scrittori in genere, appartenenti a campi non

pre-segnati, che hanno la capacità di cogliere l’umano e di comunicare sì da far crescere,

sono le fonti della filosofia dell’educazione.

o Se si instaura con loro un rapporto giusto, essi affinano la sensibilità. Ma non è cosa

semplice né da poco, in campo educativo, individuarli e riferirsi a loro con libertà, in verità e

senza strumentalizzarli.

o La presenza familiare e appropriata di auctores, in una riflessione scritta sull’educativo, non

va determinata dal solo naturale adempimento di una normale richiesta di severità scientifica

di rigore corrispondente. È invece motivata dalla considerazione naturale che non è onesto

parlare dell’educativo, cioè della parte eccellente dell’umano, da soli. Lo esige la nobiltà e

delicatezza dell’oggetto.

o Indubbiamente gli auctores incrementano e salvaguardano la sensibilità per l’educativo nella

misura in cui essi stessi ne sono ricchi.

4.1 Le valenze

È bene fermarsi brevemente a rilevare quelle che si potrebbero indicare come le valenze che

rendono un pensatore, o uno scrittore in genere, atto per l’educativo, capace di armonizzarsi o

essere armonizzato con esso e con le di lui esigenze e movenze. Tali valenze affiancano i parametri

che tradizionalmente consacrano un pensatore, o uno scrittore in genere, quale auctor:

- Arano profondo nel terreno dell’umano.

- Sono primitivi e inattuali.

- Escono e fanno uscire dal quotidiano.

- Non fermano quando li si incontra, né inducono a fare la loro strada, ma invogliano a

cercare liberamente ognuno la sua e a percorrerla.

32

SINTESI ORIENTATIVA PER I TEMI DI APPROFONDIMENTO

PLATONE

Prof. Cosimo Costa

TEMI PER LO STUDIO DELL’APOLOGIA DI SOCRATE

Accuse Antiche: rende forti le ragioni deboli e deboli le ragioni forti 18 b6, 19 b-c; istruisce dietro compenso 19 d-e

Recenti: Socrate corrompe i giovani 23 d; introduce nuove e diverse divinità 24 c

Anthropine sophia: …mi sono procurato questo nome per una certa sapienza… quella che viene

considerata sapienza umana … rischia di essere saggio in questa. L’altra non la conosce 20d-e

Dialogo: ha consacrato il dialogo come modo di pensare e di dire l’educativo;

Educazione: hanno parlato (gli accusatori antichi) in quella età nella quale più facile è essere

convinti 18c

Ignoranza: non presume: quel che non sa, sa di non saperlo 20c – 21b-d

Interesse: non prende soldi dallo svolgimento della missione19d-e

Ironia: sotto la spinta del loro abile parlare, giunsi per un poco a dimenticarmi di me stesso 17a

Legge: alla legge occorre dare ascolto e ci si deve difendere 19a

Maieutica

Metodo: non si rapporta alla massa anonima, ma: da uno a uno

Missione: il “dio” gli impone di render coscienti gli uomini che la sapienza umana sull’uomo è

poca e quasi niente

Morte: non teme la morte ma soltanto di commettere ingiustizia 30b-c

Nutrimento dell’anima

Opinione: le antiche sono più terribili, perché hanno tentato di persuadere e accusare molti di loro

senza dire nulla di vero, fin da quando erano fanciulli

Parola – valore: abuso del potere della parola - intento di persuadere dicendo il falso 17a-d

Presunzione: aveva la fama di essere sapiente per molti altri e in particolar modo per se stesso, ma

in realtà non lo era 21c

Scienza : non disprezza la scienza ma non è interessato 19c-d

Tempo: difficile difendersi in poco tempo 19a

Verbi: si serve dell’interrogare ogni uomo nell’intento di condurlo alla testimonianza interiore:

Interrogare, indagare, confutare, esaminare, incoraggiare, esortare, mostrare, manifestare, far

conoscere, rivelare, risvegliare, far alzare, destare, rinfacciare, rimproverare, far vergognare,

incitare, provocare, persuadere, convincere, indurre.

TEMI PER LO STUDIO DEL MITO DELLA CAVERNA

La condizione pre-educativa dell’uomo.

Il verbo anankazoito 515c6: costringere.

I verbi attivi, di movimento, quattro categorie originarie dell’atto educativo

1. anistasthai: alzarsi

2. periaghein: girare la testa

3. badizein: camminare

4. anablepein: levare lo sguardo

33

SENECA

Prof.ssa Carmela Di Agresti

Profilo biografico e contesto23

Premessa

Uno dei compiti della filosofia dell’educazione è quello di avviare e sostenere con rigore

metodologico il dialogo con quegli autori che hanno colto con profondità l’umano e possono

perciò offrire temi vitali per una riflessione sull’educativo.

La scelta di Seneca sembra rispondere adeguatamente a questa esigenza.

Autore latino più richiesto e più letto. E’ considerato il più illustre rappresentante dello

stoicismo romano dell’età imperiale.

Il suo messaggio si presenta con una sconcertante attualità perché parla dell’uomo

cogliendone l’aspetto della sua profonda natura.

E’ concordemente riconosciuto come profondo conoscitore dell’interiorità umana e

dell’aggrovigliato intreccio delle dinamiche politico-sociali con cui non solo si è

confrontato, ma ne è stato, nel bene e nel male, in buona parte protagonista.

Con Seneca si attua il passaggio da una saggezza dottrinaria ad una umanità che cala nella

quotidianità una saggezza nuova.

Imparare ad accostarlo ci permette di coglier nel vivo sia alcune dinamiche efficaci o

pericolosamente distruttive del soggetto, pertinenti allo sviluppo del potenziale, sia

alcune costanti metastoriche della convivenza umana.

La nostra attenzione, necessariamente perimetrata in ragione del tempo a disposizione, andrà

a individuare elementi significativi dell’uno e dell’altro aspetto.

Profilo biografico

La famiglia

4 a. C. - Nasce a Cordova in Spagna dal retore Lucio Anneo Seneca (55 a.C.- 40 d.C)

65 d. C. - Muore suicida a Roma, per essere stato accusato di aver partecipato alla congiura

di Calpurnio Pisone contro Nerone.

Secondogenito di tre fratelli:

o il maggiore M. Anneo Novato, che da adulto avrebbe assunto il nome di Giunio

Anneane Gallione , in seguito alla sua adozione da parte del retore Giunio Gallione

(proconsole a Corinto di fronte a cui S. Paolo si difende dall’accusa dei giudei e

viene lasciato libero (Atti, 18,12-16).

o Il terzogenito, M. Anneo Mela, che sarebbe divenuto padre del famoso poeta latino

Lucio Anneo Lucano, anche lui morto suicida, a solo 26 anni, a motivo della stessa

congiura.

La formazione

Gli educatori di Seneca lo iniziarono alle meditazioni filosofiche e all’austerità della vita. Tra essi

troviamo:

Il neopitagorico Sozione di Alessandria (l. 106) che lo avvia alla pratica del vegetarianismo,

da cui viene distolto dal padre, preoccupato per la sua salute, ma anche per motivi politici in

23

Per altre informazioni e valutazioni sulla vita e gli scritti di Seneca cfr. Introduzione di L. CANALI, a Lettere a

Lucilio, Milano, Rizzoli, 2010, pp. 5-10; E. BARELLI, Cronologia della vita e i tempi di Seneca, Ivi, pp- 11-41; G.M.

POZZO, voce Seneca in Enciclopedia filosofica del Centro di Studi Filosofici di Gallerate, Firenze, Sansoni, 1967.

34

quanto queste pratiche non erano ben viste da Augusto; Sozione è uno dei maggiori seguaci

della setta dei Sestii;

lo stoico Attalo (l. 108);

lo stoico Papirio Fabiano, che lo avvicina alla setta dei Sestii. Questa setta filosofica,

fondata da Quintio Sestio e da suo figlio medico Sestio Nigro, viene disciolta da Tiberio;

essa proclamava la libertà del sapiente di fronte all’autorità politica, la rinuncia alla vita

pubblica; aveva come norma la vita di comunità e l’esame quotidiano di coscienza a

stimolo del più deciso rigorismo morale.

Tempo di preparazione e prima carica

14 – avvio agli studi filosofici;

14-31 – In Egitto, ospite della sorella della madre Lavinia;

Motivi: sicuramente di salute, che appare molto compromessa, ma forse anche per

ragioni politiche. Tiberio aveva emanato un decreto che scioglie e disperde la setta

dei Sestii e il padre di Seneca aveva timore di una possibile ricaduta sul figlio;

38 – Seneca è nominato questore.

IL CONTESTO POLITICO DEL PERIODO SENECANO

14 - morte di Augusto

14-37 - Regno di Tiberio. Muore a 78 anni dopo 23 anni di regno

Scioglie la setta dei Sestii (19).

37-41 - Regno di Caligola (Gaio Cesare Germanico)

il 24 gennaio del 41 cade in una congiura di palazzo assassinato da Cassio Cherea.

Con lui tramonta il primo tentativo di trasformare il principato in senso teocratico,

tentativo ripreso successivamente da Nerone

Già amante della Sorella Giulia Livilla, figlia minore di Germanico, da lui poi

esiliata nell’isola di Ponza . Nello scandalo è coinvolto Seneca.

Principato di Claudio

41-54 – Regno di Claudio (Tiberio Druso Nerone Germanico)

Nel 41 salva Seneca dalla condanna a morte e lo fa mandare in esilio in Corsica

Nel 41 richiama a Roma Giulia Livilla ma poi, per istigazione di Messalina, moglie

di Claudio, è nuovamente esiliata e fatta uccidere nello stesso anno;.

Nel 48 Messalina congiura contro il marito Claudio e per questa viene messa a

morte per ordine di Claudio;

Nel 49 Claudio sposa Agrippina Minore, già moglie di Enobarbo e madre di

Domizio, il futuro Nerone

Nel 50 Claudio adotta Domizio, figlio tredicenne di Agrippina e gli dà il nome di

Nerone.

Durante il suo regno Claudio:

o Fa costruire gigantesche opere pubbliche (porto di Ostia, prosciugamento del

Fùcino, l’acquedotto che va sotto il suo nome ecc. );

o per sistemare i veterani rafforza il sistema difensivo danubiano con la

costruzione della Strada del Brennero; perseguita e espelle gli ebrei da Roma;

vieta l’uccisione degli schiavi malati;

o Sotto il suo regno sono pronunciate 35 condanne a morte di ssenatori e 300 di

cavalieri, con annessa confisca di beni.

Principato di Nerone

53 - Nerone quindicenne, sposa Ottavia, figlio di Claudio e di Messalina

54-68 - Successione alla morte di Claudio e regna fino al 68; muore suicida;

55 – Fa avvelenare il fratellastro Britannico, quattordicenne, figlio di Claudio e

Messalina;

35

Seneca e Burro fanno parte dei beni di lui – da qui un’accusa di avarizia mossa a

Seneca.

59- Comincia il dissidio con la madre Agrippina, per timore di quest’ultima di perdere

potere;

Nerone la fa uccidere nella villa di Baia. Famose la descrizione che ne fa Tacito

negli annali (XIV, 1-8);

62- Nerone fa assassinare la moglie Ottavia;

sposa Poppea Sabina, già moglie di Otone, il futuro imperatore;

terremoto di Pompei;

morte di Afranio Burro;

Seneca perde ogni influenza su Nerone e chiede di ritirarsi a vita privata;

Tigellino succede a Seneca come Ministro di Nerone.

63 - Poppea dà alla luce una bimba, Claudia Augusta, che muore di pochi mesi;

Incendia di Roma e accusa i cristiani. Per la ricostruzione trasforma roma in un

enorme cantiere.

65 – morte di Poppea Sabina (forse per un calcio del marito mentre era incinta);

Nerone ne ordina la divinizzazione insieme alla figlioletta Claudia Augusta;

Viene denunciata la congiura di CalpurnioPisone; viene coinvolto Seneca;

Suicidi a catene: Seneca, Pisone, a 26 anni il poeta Anneo Lucano, nipote di

Seneca, Petronio, autore di Satyricum;

68 – Suicidio di Nerone.

Profilo di Nerone

Nerone è l’imperatore più controverso del periodo imperiale nella valutazione degli storici.

Sicuramente è stata personalità geniale, attiva, poliedrica, ma altrettanto fortemente

disturbata.

A suo merito andrebbero iscritte molte iniziative di indiscusso valore sociale, ma nello

stesso tempo i più efferati delitti.

Ha collezionato tutte le espressioni più condannabili sul piano umano: Mastricida,

uxoricida, fratricida e non numerabili gli omicidi di ogni specie eseguiti per suo ordine.

EVENTI BIOGRAFICI SALIENTI DI SENECA

Scansione temporale

39 – da quest’anno Seneca entra a far parte del Senato con il rango questorio;

41 – Seneca è mandato in esilio in Corsica e gli viene confiscata la metà dei suoi beni;

49 – Seneca ritorna a Roma per interessamento di Agrippina e ottiene la nomina a Pretore;

50 – Seneca già senatore, diventa precettore di Nerone;

54 – morte di Claudio. Seneca, insieme a Afranio Burro, diventano guida di Nerone fino

al 62:

Burro cura l’istruzione militare, Seneca responsabile dell’arte oratoria;

Seneca è ritenuto responsabile di gran parte della politica dell’imperatore, soprattutto nei

primi cinque anni del principato;

Grandi successi degli scritti di Seneca presso la gioventù romana.

59-62 – Crescono le accuse contro Seneca ritenuto responsabile della morte di Agrippina

62 – Costatando la sua poca influenza su Nerone, dopo la morte di Burro, chiede di ritirarsi a

vita privata.

65 – Coinvolto nella congiura di Pisone Nerone gli ordina di suicidarsi.

L’apporto dell’azione politica di Seneca

Tra gli atti amministrativi più importanti che si attribuiscono in particolare all’influsso di

Seneca troviamo:

La limitazione delle spese suntuarie;

36

La limitazione dei poteri dei questori dell’erario a favore dei meno abbienti, spesso da

quelli perseguitati;

Il trasporto dei cereali a Roma;

La provvigione annua dei senatori spesso in difficoltà;

L’allontanamento delle truppe dagli spettacoli ecc.;

Provvedimenti atti a frenare la venalità degli avvocati.

Un giudizio controverso Il giudizio sull’operato di Seneca non è unanime.Già dai suoi contemporanei gli vennero

mosse accuse:

per aver accumulato molte ricchezze e per essersi arricchito troppo in fretta;

di aver assistito, consentito o addirittura promosso azioni nefande del principe come

quella della condanna di Agrippina, dell’avvelenamento del fratellastro Britannico e

della rovina di altri personaggi di spicco del contesto neroniano.

Scrittura specchio di vita

Seneca “ sperimento su di sé i rovesci della sorte, riemergendone ogni volta con una

‘macchia’ e con un acquisto, un riconoscimento di fragilità, una richiesta di indulgenza,,

un’esasperazione d’amore per la vita, un progressivo aumento della rassegnazione alla

morte” Canali p. 7.

E ancora:

“Seneca non deve compiere nessuno sforzo per impartire la sua sommessa lezione: la sua

personale vicenda è essa stessa una lunga epistola piena di antinomie composta nella sua

muta armonia dell’accettazione del suicidio” ivi p. 9.

Seneca scrittore moralista eclettico

Molti scritti di Seneca, menzionati da autori latini sono andati perduti.

Quelli che ci sono stati tramandati senza incertezza di attribuzione per la maggior parte

sono scritti di carattere prevalentemente morale e religioso; in virtù di ciò Seneca viene

riconosciuto come uno dei più grandi moralisti di tutti i tempi.

L’opera su cui rifletteremo, le Lettera a Lucilio, sono considerate il suo capolavoro.

Scritte nella piena maturità – probabilmente iniziate nel 61 e portate avanti fino al 65,

anno del suo suicidio – si compone di 22 libri di cui quattro sono andati perduti (il 12°, il

13°, il 21° e il 22°).

Nella sue opere si riscontra un deciso eclettismo, intenzionalmente perseguito e

dichiarato.

L’adesione alla dottrina stoica è indubbia. Tuttavia nel suo pensare confluiscono motivi

socratici, platonici, epicurei, cinici, scettici. I riferimenti nelle lettere ne danno chiara

evidenza. Tale caratteristica è una tendenza spiccatamente latina di confrontarsi con più

autori e di non legarsi a nessuna opinione (cfr. Lettera 45).

Seneca scrittore asistematico

L’eclettismo di Seneca si esprime con i caratteri di asistematicità in quanto è assente una

rigorosa impostazione teoretica e uno svolgimento unitario del suo pensiero.

Il suo argomentare si focalizza sulla

“ ferma esortazione ad una esistenza virile, orientata verso il consapevole superamento

delle debolezze proprie dell’umana natura” e ciò “ fa sì che tutta la produzione

filosofica e letteraria di S. acquisti un significato altamente educativo” Pozzo p. 1239

Lo stoicismo

Lo stoicismo si manifesta innanzitutto come nuovo modo di pensare e come dottrina

capace di far esperire al soggetto le energie di cui è capace;

L’educativo è visto come possibilità offerta all’uomo di trovare il suo baricentro

Gli esponenti rappresentativi che influenzano il pensiero di Seneca:

37

- Zenone: il principio cardine: vivere conforme alla natura; connaturalità della natura

dell’uomo con la natura del tutto.

- Panezio: Si concentra sul concetto di Humanitas: L’uomo in funzione sua propria, fine

in se stesso; recupero della singolarità e fa della ratio il fondamento e la giustificazione

di tutto; assente la dimensione religiosa.

- Posidonio: ritorno all’alone religioso, apertura oltre lo spazio e il tempo; ricerca di un

punto fuori; contemplazione dell’armonia cosmica e ricerca di armonizzazione con

l’universo; familiarità con gli dei ed emergenza dell’individualità.

- Comprensione dall’interno di Seneca (cfr. lettera 33; 65).

Alcuni punti qualificanti la sua riflessione

La funzione degli Auctores - come studiare e cosa apprendere dai grandi;

Il valore del tempo;

Il valore primario assegnato allo studio della filosofia;

La filosofia come scienza del bene e del male;

Il potere della ratio per l’autocostruzione dell’uomo;

Il fondamento metafisico della sua etica;

Il profilo del saggio;

Il vincolo della solidarietà sociale e il rifiuto della discriminazione per censo tra gli

uomini;

Il grande valore assegnato all’amicizia, all’equanimità, , alla sollecitudine per ogni

essere umano e la sostituzione dell’odio di classe, della prevaricazione, dell’ira;

Il diritto di ogni uomo di essere aiutato e liberato dai vizi e a consolidarsi nella virtù per

la crescita di una società più giusta;

I rischi dell’ingreggiarsi .

Profilo esistenziale denso e contrastante

“Seneca attinse i vertici del potere e della ricchezza e le depressioni della sventura. Tra

questi opposti livelli acquisì un’inesauribile gamma di esperienze: a pochi intellettuali latini

si adattò forse meglio la massima di Terenzio: Homo sum, humani nihil a me alienum

puto. La sua vita interiore dovette avere la complessità, nei rapporti, nel pensiero, nello

slancio ideale e nella penetrazione psicologica, nella materialità dei sensi, nella

speculazione, nell’intrigo, nel ripensamento, nell’estasi, nell’adulazione, nella dignità, nello

sgomento, nel ‘peccato’ e nella ‘grazia’, di quella d’un S. Agostino senza fede e senza città

di Dio, che quella fede e quella città tentava di reperire nella società e, ripugnandone la

società, nell’intimità della propria coscienza, racchiusa in se stessa per poter ritrovare il

senso della comunione con tutti gli uomini” Canali pp. 7-8.

Valutazione delle lettere “Quel che resta delle epistole senecane non è una somma di regole morali, né un breviario

di solidarietà umana; è una grande opera di poesia nei drappeggi di una cangiante

saggezza, il trascorrere tra tutti i vizi e le sventure degli uomini con la spenta emozione di

chi, compiuti gli stessi errori e sofferto gli stessi dolori, senza perdere indulgenza, né

acquistare rigore, annuncia la vittoria dell’amore per la vita germogliato nella

consuetudine con la morte, della solidarietà con gli uomini senza distinzione di classe,

generata dalla disfatta dell’autoritario disegno concepito da un intellettuale

orgogliosamente classista” Ivi, p. 10.

Lo stile delle lettere e il suo significato.

Lo stile delle Epistole è lo strumento di un’aggrovigliata opera di semplificazione , la

metamorfosi di una mente forte e solitaria in un animo solidale, partecipe della fragilità di

tutti i provvisoriamente vivi: uno strumento o un’arma che penetra senza ferire, o ferisce

senza uccidere, per risanare o elargire dimestichezza con il morbo: agile, tagliente,

mutevole, semplice nella selezione della complicatezza, eloquente nella rinuncia

all’eloquenza come categoria retorica ‘classica’, nell’accettazione di una mera funzione di

38

veicolo di corroborante pessimismo, moderato relativismo, messaggio ritornante, dopo

l’intercettazione, alla fonte sonora che l’ha emesso” Ivi, p. 10.

LETTERE A LUCILIO

Temi da approfondire e testi da studiare

Temi su cui si è invitati a riflettere

La funzione degli Auctores

Ruolo dei Filosofi / valore della filosofia

Dio

Ratio

Virtus

Bellezza interiore – Progressi spirituali

Padronanza di sé

Humanitas

Il tempo / la morte

Educazione

Lettere scelte per il primo semestre

1: L’uso del tempo

2: La lettura che giova

4: Il saggio non teme la morte

25: Diversi modi di Educazione

27: La virtù è fonte di felicità

32: Accelera i tuoi progressi spirituali

33: Devi acquistare un pensiero originario frutto della tua esperienza

37: Il difficile esercizio della virtù

41: La presenza di Dio in noi e nella natura

44: la vera nobiltà

45. Bisogna cercare la verità, ma senza cavillose sottigliezze

47: Anche gli schiavi sono uomini

50: I difetti sono in noi, non nelle cose

65: Il concetto di causa nelle varie scuole filosofiche

66: la virtù, in qualunque condizione di vita, è sempre uguale a se stessa

73: Il saggio obbedisce alle leggi e rispetta l’autorità

74: La virtù ci indica l’unica via di salvezza

84: Nel nostro metodo di studio le api ci possono essere di esempio

94: Nella filosofia sono utili sia gli insegnamenti generali sia i singoli precetti

95: Le norme generali della filosofia sono indispensabili per la felicità

108: L’insegnamento di Attalo

115: Lo spettacolo della virtù è il più bello che si possa immaginare

39

FERDINAND EBNER (1882-1931)

Prof.ssa Carmela Di Agresti

Premessa

Autore che solo nei tempi più recenti è stato conosciuto in Italia, ma a lungo è rimasto

sconosciuto anche in patria, nella sua Austria.

Possibili ragioni: forse la lingua, l’origine, la fede cristiana che ispirò la sua ricerca, il

carattere asistematico del suo pensare e scrivere, a volte indecifrabile, a volte irritante.

CENNI BIOGRAFICI

- Ebner nasce Wiener Neustadt nel 1882 e muore a Gablitz, il 17 ottobre 1931. Molto più grandi

di lui sei tra fratelli e sorelle;

- Il padre è già sessantaduenne – rapporti segnati, soprattutto per avversione di Ebner al modo di

vivere la dimensione religiosa;

- Iniziale ateismo surrogato da diverse inclinazioni coltivate nei primi anni: metafisica, poetica,

musica;

- Malattia di tubercolosi a 18 anni;

- Autodidatta.

Incontro fondamentale e lavoro

- Incontro con Luise Karpischek, di 10 anni più grande, che diventerà il suo tu;

- 1902: consegue l’abilitazione magistrale. Diventa sottomaestro a Waldegg. Inizia la stesura dei

Diari (soggettivi e oggettivi);

- Soffre per la sottovalutazione culturale nel sentire sociale del ruolo dell’insegnante e voglia di

smentire tale precomprensione;

- 1912: senza sua richiesta, è trasferito a Gablitz, cittadina vicina a Vienna; ha così modo di

essere introdotto nell’ambiente universitario;

- 1911/12 inizia la stesura di un gran numero di annotazioni e di aforismi.

La svolta e incontro finale

- 1916: è l’anno della svolta o conversione. Le annotazioni, a partire da tale data, rivestono

grande importanza per la comprensione del suo pensare (cfr. Quaderno blu: Dal Diario

1916/17);

- Dal 1918 inizia la stesura dei Frammenti Pneumatologici, opera che trova difficoltà per la

pubblicazione;

- Atteggiamento critico nei confronti della Chiesa Cattolica (accetta la teologia orante non quella

scientifica);

- 1929: incontro con Hildegard Jone e Josef Humpli, una coppia di artisti, che gli consentono di

guardare l’arte con occhi nuovi. Su loro sollecitazione scrive, nei primi mesi del 1931 gli

Aforismi a cui la stessa Jone dare il titolo Wort und Liebe. Gli aforismi sono l’ultima

fiammata del genio di Ebner;

- Esistenza esteriore priva di elementi rilevanti, vita interiore bruciante, intensa, insonne, segnata

da una non mai interrotta ricerca del tu.

Il congedo dal mondo

- Ebner scrive l’epitaffio per la sua tomba in questi termini:

QUI GIACE / IL RESTO MORTALE / DI UNA VITA UMANA

NELLA CUI GRANDE OSCURITÀ / È BRILLATA

LA LUCE DELLA VITA

E IN QUESTA LUCE / HA COMPRESO

CHE DIO È AMORE

40

DIFFUSIONE DEL PENSIERO EBNERIANO

Ebner, come accennato, è stato a lungo ignorato anche in Patria

Nel 1935, Emil BRENNER scriveva:

“Ferdinand Ebner è un’apparizione che si potrebbe credere non sia più possibile oggi: un

pensatore che fa epoca del quale il mondo non sa nulla neanche dopo la sua morte.

Occorrerà ancora del tempo perché il debito verso di lui venga pagato, e la rivoluzione

copernicana del pensiero che da lui prende inizio sia compresa”24

Il centenario della nascita (1982) ha offerto l’occasione per pagare questo debito.

Nonostante il silenzio su di lui e sulla sua proposta è facile riconoscere che Ebner ha influenzato,

sollecitato filosofi, teologi, pedagogisti del calibro di Guardini, Rahner, Gogarten, Buber, Marcel,

Prohaska, anche se, come afferma la Ducci,

“più che sul pensiero “ufficiale” a Ebner sia stato riservato il compito di agire sul singolo

uomo, sul suo modo di vivere”.25

Gli scritti

Ebner poco riuscì a pubblicare in vita. A parte alcuni saggi brevi scritti per la rivista “Der

Brenner” e qualche saggio giovanile su riviste varie (quasi tutti appartenenti alla fase

poetica dell’autore, attinenti poesia, musica ecc.) va ricordato in particolare La parola e le

realtà spirituali. Frammenti pneumatologici Innsbruck Brenner Verlag 1921, scritto che

ebbe una vicenda complessa, con il rifiuto alla pubblicazione del primo editore, rieditata più

volte dopo la sua morte (l’opera si trova anche in Schriften, come dirò).

La parte più consistente degli scritti è data da

Annotazioni (Notizen), Diari (Tagebücher), Ricordi biografici (Lebenserinnerung)

Epistolario (Briefe).

Moltissimo materiale è ancora oggi inedito.

Pubblicazioni dopo la sua morte

Nel 1935, per iniziativa di Hildegard Jone, venne pubblicato presso l’editrice Pustet, il

primo libro tratto dal suo lascito sotto il titolo di Wort und Liebe (Parola e amore)

Nel 1949 Hildegard Jone pubblicò, presso l’editrice Herder di Vienna, il secondo libro

tratto dal suo lascito sotto il titolo Das Wort is t der Weg (La parola è la via), pagine di

diario che vanno dal 1903 fino al 1931;

Nel 1963 l’editrice Kösel di Monaco manifestò interesse per la pubblicazione degli scritti di

Ebner.

Tale iniziativa portò alla pubblicazione di tre volumi, Schriften, 1963-1965, curati da Franz

Seyr, che rimane tuttora la principale fonte per lo studio del pensiero di Ebner.

Iniziative per la diffusione del pensiero di Ebner

Nel 1950, a Gablitz e Wiener-Neustadt, si tennero alcune manifestazioni in onore di Ebner.

Un simposio di cui furono promotori ex scolari di Ebner, tra cui il sindaco e il segretario

comunale. Parteciparono numerose personalità di vari ambiti disciplinari e rappresentanti

delle istituzioni.

Sull’onda di queste celebrazioni venne fondata la Ferdinad Ebner Gesellschaft , con il

supporto dell’editrice Herder di Vienna. Il progetto era di fare un’edizione completa

dell’opera di Ebner, ma per difficoltà di varia natura uscì solo il primo volume La parola e

le realtà spirituali che apparve nel 1952.

Nel 1981, in occasione del cinquantenario della morte, si tenne un nuovo seminario a

Gablitz a cui parteciparono professori di tutto il mondo. Fu fondato la “Internazionale

24

Stimmen der Freunde – Fur Ferdinand Ebner, Regensburg 1935, p. 12, 25

E. DUCCI, Introduzione a Parola e amore, (1983), p. 8. Per ulteriori informazione sulla vita e il pensiero di Ebner

si può consultare questa introduzione, pp. 7-39.

41

Ferdinand Ebner Gesellschaft”. Tra i promotori del Simposio troviamo vari docenti

universitari, tra cui il professor Kampits, interessati alla pubblicazione degli scritti di Ebner.

La Società e ancora oggi molto attiva e impegnata alla diffusione del pensiero di Ebner.

Nel 1987 avvenne il trasferimento della parte del lascito ebneriano ancora in possesso del

figlio al Brenner Archiv di Innsbruck dove già si trovavano quelle parti che originariamente

appartenevano alla famiglia Karpischek e a Hildegard Jone. Così l’intero lascito è riunito in

un unico luogo dove tutto le pubblicazioni essenziali di Ferdinand Ebner hanno visto la luce

durante la sua vita.

Attualmente il Brenner Archiv, in collaborazione con le università di Salisburgo e di Vienna,

sta lavorando al progetto dell’edizione critica dell’Opera Omnia di Ferdinand Ebner. In

programma c’è la pubblicazione in versione informatica su CdR e, successivamente, in

cartacea.

CONOSCENZA E DIFFUSIONE DEL PENSIERO DI EBNER IN ITALIA

Edda Ducci ha l’indiscusso merito di aver avviato la conoscenza di Ebner in Italia con le

prime traduzioni ad uso degli studenti e numerosi saggi critici. La sua monografia La parola

nell’uomo. Spunti per una filosofia dell’educazione dalla pneumatologia di Ferdinand

Ebner, è uscita presso l’editrice La Scuola nel 1983 ed è stata ripubblicata nel 2005, con il

sottotilo Umanazione e disumanazione nella pneumatologia di Ferdinand Ebner, arricchita

di sei saggi brevi sul pensiero e la figura di Ebner.

Un evento di particolare rilievo per la conoscenza di Ebner in Italia è rappresentato dal

Convegno internazionale organizzato a Trento, 1-3 dicembre, i cui contributi sono raccolti

nel volume La filosofia della parola di Ferdinand Ebner. Al convegno parteciparono

numerosi studiosi italiani e stranieri di differenti aree disciplinari.

Traduzioni italiane degli scritti di Ferdinand Ebner

1983: Parola e amore. Aforismi 1931, (a cura di Edda Ducci e Piero Rossano. Titolo

originale Aus dem Tagebuche 1916-1917, in Schriften, I, 19-73; Aphorismen, in Schriften, I,

909-1013)

1991: La parola e la via (a cura di Edda Ducci e Piero Rossano) Roma, Anicia, 1991. Titolo

originale: Das Wort ist der Weg. Aus den Tagebüchern, Wien, Herder-Verlag, 1949.

1998: La parola e le realtà spirituali, (a cura di Silvano Zucal) Cinisello Balsamo, Edizioni

Paoline, 1999. Titolo originale: Das Wort und die geistigen Realitäten. Pneumatologische

Fragmente, Innsbruck, Brenner 1921;

Frammenti sulla fede, in D. Antiseri -- M. Baldini (a cura di), La rosa è senza perché. Pensieri sulla fede, Città Nuova, Roma 1998, pp. 93-101;

2009: Proviamo a guardare il futuro, (a cura di Nunzio Bombaci), Brescia, Morcelliana,

2009 Titolo originale: Versuch eines Ausblicks in die Zukunft, in Schriften, volume I, pp.

719- 908.

Scritti in italiano su Ferdinand Ebner

Oltre a numerosi saggi brevi e articoli apparsi su singoli temi del pensiero ebneriano,

segnaliamo qui i volumi che ne tracciano il suo percorso biografico e di pensiero e i temi di

maggiore interesse:

DUCCI E., La parola nell’uomo. Umanazione e disumanazione nella pneumatologia di

Ferdinand Ebner, Brescia, La Scuola, 2005 (prima edizione 1983, ampliata con l’aggiunta

di una introduzione e sei saggi)

42

AA, VV., La filosofia della parola in Ferdinand Ebner. Atti del Convegno internazionale

Trento 1-3 dicembre 1998 (a cura di Silvano Zucal e Anita Bertoldi), Brescia, Morcelliana,

1999

BERTOLDI A., Il pensatore della parola. Ferdinand Ebner, filosofo dell’incontro, Roma,

Città Nuova 2003;

SPÖLNIK M., L’incontro è la relazione giusta, Roma, Las, 2004;

ZUCAL S., Ferdinand Ebner. La “nostalgia della parola” Brescia, Morcelliana, 1999.

SVILUPPO DEL PENSIERO DI EBNER E CAMMINO ESISTENZIALE

Aspetti connotativi

Pensatore originale e asistematico.

Non appartiene a nessuna scuola, non pubblica grandi opere

Non rientra in una tipologia prefissata (metafisico, poeta, psicologo teologo).

Difficoltà a far capire il suo messaggio.

Interessi

Tutto il suo pensare gravita sull’uomo, sul significato della sua esistenza.

Lo stile

Lo stile aderisce alla ‘rivoluzione’ del suo pensare, definito pensare concreto (Konkretes

Denken): piano, immediato, disadorno.

Tutto è pensato e scritto per essere vissuto e non per adagiarsi nell’idea, per costruire un

sistema. Il suo dire è un attrito continuo tra compreso e vissuto; il suo vissuto personale

serve da ambiente non da paradigma.

Per cogliere il messaggio ebneriano si richiede nel soggetto la sensibilità per il significato

dell’esistere ed essere disponibile a lasciarsi sensibilizzare.

L’attenzione sull’uomo

Al centro dell’attenzione di Ebner c’è sempre il problema dell’uomo, ma non dell’uomo in

generale, in astratto, bensì dell’uomo visto nella sua singolarità, considerato nel suo

immediato, concreto vivere. L’interrogativo che assilla tutta la sua esistenza è centrato sul

perché dell’esistenza umana, sul suo senso e sul suo valore.

Dalla risposta che verrà data a questo problema rimangono segnati tutti gli altri legami e le

altre relazioni dell’uomo che riguardano:

Il rapporto che l’uomo instaura con se stesso;

Il rapporto che instaura con i suoi simili;

Il rapporto con lo sviluppo della specie;

Il relazionarsi con la cultura e il mondo oggettivo in genere;

Il rapporto con la storia;

Il rapporto con l’Assoluto.

Le idee

La svolta del 1916 è’ una svolta radicale che trasforma il suo modo di pensare: il pensare

incide sul vivere e dal vivere trae vigore per affrontare una singolare realtà, l'esistenza, con

la modalità che essa stessa esige, il vissuto.

I temi centrali nel pensiero ebneriano:

La frantumazione della vita spirituale – la chiusura – e la non rassegnazione

all’insignificanza;

L’interrogativo assillante sul perché dell’esistenza e la scoperta del valore del singolo;

Il tormentato rapporto con il cristianesimo e il deciso rifiuto di un approdo consolatorio;

43

Il pericolo sempre in agguato della Menschenverachtung che porta alla chiusura

solipsistica; L’impatto con il realismo del cristianesimo che gli fa cogliere in tutta la sua portata il

senso dell’esistenza e la categoria del ‘risveglio’.

Sogno e risveglio: lo spirito che sonnecchia nell’uomo e la parola che risveglia;

La cultura che può diventare sonnifero e trasforma la vita reale in vita di rappresentazione;

Il significato della parola nell’uomo.

LA PAROLA

Il potere della parola e la sua origine. La parola capace di instaurare la relazione giusta

che non è mai disgiunta dall’amore. Necessario soffermarsi sul senso segreto e profondo di

avere una natura parlante, ossia l'avere la parola che connota l'essere umano.

Avere la parola significa che l'uomo è interpellato, creato nella parola, si mantiene nell'

essere perché Dio continua a rivolgergli la parola. Dio parla all’uomo e ascolta la parola

dell’uomo.

La vita spirituale nell’uomo è il dialogo tra Dio interpellante e l’uomo che risponde:

nell'attualità del dialogare l'io riconosce il suo vero tu, la parola ritorna alla sua origine -

l'uomo trova Dio quando Dio gli parla.

Parola – Amore > l’incarnazione

Parola creante - Parola fatta carne - seconda creazione che è rinascita.

Gesù che è uditore e facitore della parola, ne manifesta tutto il mistero, ossia la sua reale

attualità, per l’essere originata dallo Spirito.

Le parole di Gesù non vanno comprese oggettivamente. L'uomo deve arrivare fino alle

sorgenti della personalità che le ha pronunciate, solo allora Parola e Amore rivelano la

reciproca, inscindibile appartenenza, l'essere una cosa sola nel loro fondamento spirituale.

Ogni esperire persuade che la realizzazione vera dell'io sta nel trovare il suo tu,

l'interlocutore che rende manifesta la malattia della chiusura e dell'isolamento (=il peccato).

La Parola diventata uomo ha rimosso definitivamente il disprezzo per l'uomo non con la

persuasione ideologica, ma con la realtà viva.

L'incarnazione ha un’ulteriore incidenza: tra Dio e l'uomo c'è l'uomo e nell'uomo sta la

manifestazione privilegiata di Dio.

Trovare il tu nell'uomo è difficile e scomodo, per questo l'imperativo dell'amore del

prossimo giganteggia nel cristianesimo: ce lo ha comunicato Dio stesso e lo ha reso

possibile.

La compiuta realizzazione dell'uomo è un dono dato dall'alto e non uno sviluppo spontaneo

né un risultato della dimensione sociale.

Relazione giusta

La proposta di E. sul rapporto giusto o ingiusto è limitata all’esperienza vissuta. Le analisi

sulle distrofie del rapporto umano tra gli uomini sono miopi e cieche se non ci si appella a

un rapporto commisurato al vero io che ognuno può sperimentare in sé e propone in modo

radicale il positivo, senza declamare dogmi o metodi.

L'io per realizzare il proprio essere ha bisogno di qualcosa di diverso da sé, ma omogeneo a

se stesso: ha bisogno dello spirituale fuori di sé. La chiusura dell'io è la radice d’ogni

rapporto ingiusto (efflorescenza nel sessuale, nel sociale, nell'economico, nel politico.

Gli ostacoli

La relazione giusta è realtà molto difficile, complessa, sofferta perché non esiste scienza,

tecnica, metodo, e neanche una deontologia se non generica: c’è l'io nostalgico che cerca il

suo tu ma anche il rischio che l’io, anziché cercare il tu nell’altro, lo oggettivizzi.

44

Nell'esperienza interiore del tu l'io può superare la paura dell'uomo: la dinamica del rapporto

con l'altro si esplica nell'esperire l'uomo, ossia sapere l'umano mediante l'uomo, conoscere

esistenzialmente in sé e nell'altro il senso della realtà uomo. Solo così nasce l'attenzione

rispettosa che è sempre amorosa: l'altro va incontrato nella corposità che il rapporto umano

comporta.

Il superamento

Le forze negative della muraglia cinese (solipsismo) e del disprezzo per l'uomo non si

possono contrastare con ideologie umanitarie o tecniche del profondo.

Inscindibilità del Tu-Dio e del tu-uomo. La grazia e il venire incontro di Dio all'uomo rende

possibile il giusto rapporto tra uomo e uomo a livello di essere e non di semplice

atteggiamento contingente e provvisorio.

45

ANTOLOGIA EBNERIANA

Testi tratti da:

PA - Parola e amore. Diario 1916/17 e Aforismi 1931, trad. E.Ducci - P.Rossano, Rusconi, 1998.

SC. - Schriften, (Scritti), 3 volumi, München, Kösel, 1963

La parola contenuto della vita spirituale

"Andare dalla parola alla vita , dalla vita alla parola - questo è il senso dell'esistenza

umana. Ogni contenuto spirituale della vita consiste in questo". PA, p. 57

"La 'parola' porta la vita verso lo spirito - lo spirito rende vivente la parola". PA, p. 57

"Il mistero della parola è il mistero dello spirito" PA, p. 58

« ... lo spirituale nell'uomo, creato nella parola, per il fatto che questa è entrata in lui, che

egli perciò ha la parola, è una natura parlante, esiste soltanto in rapporto a qualcosa di

spirituale fuori di lui, l'io esiste soltanto in rapporto al tu - esso esiste nella parola,

nell'attualità della parola e sul fondamento di questa attualità » (5.7.1920) SC. II, 261

Le malattie dello spirito

Vita di rappresentazione

"La vita di rappresentazione dell'uomo è la sfera del suo 'esser fuori di sé'. Lo spirito invece

è una realtà dell'essere in sé' dell'uomo". PA, p. 67

"Il naturale piacere di vivere di ogni essere vivente cerca nell'uomo, nella frantumazione

della sua vita, il suo ultimo rifugio nella vita di rappresentazione. Essa è realmente l'ultima

frontiera della vita naturale". PA, p. 68

"Spesso si leva nell'uomo, nell'oziosità dello spirito, una vivace vita di rappresentazione, e

simula un'attività e una vigilanza dello spirito, il quale in realtà soltanto sonnecchia e sogno

di se stesso". PA, p. 68

L’assenza di tu

"La malattia dello spirito nell'uomo consiste nell'assenza di tu (Dulosigkeit) del suo io". PA,

p. 57

"L'uomo si può ammalare tanto nel guardare verso l'alto quanto nel guardare verso il

basso". PA, p. 61

Menschenverachtung > disprezzo dell’uomo "L'uomo è una continua tentazione di odio per l'uomo - cosicché di fronte alla maggior

parte degli uomini non può esserci che una concezione della vita sprezzante degli uomini e

quasi nichilistica. Non si trova tanto facilmente colui nel quale si possa riconoscere

l'umanità. La maggioranza è la prova che si può esser uomini e si può esistere senza un

contenuto spirituale di vita, senza alcuna sensibilità per i valori spirituali. Questa race

maudite non comprende quando gli vien detto in faccia che è soltanto una razza animale

depravata. No, non lo comprende - e allora, offesa, si appella ai propri 'ideali'. E tuttavia

ogni disprezzo dell'uomo è un terribile errore dello spirito umano". PA, p. 61

46

LA PAROLA

RELAZIONE GIUSTA - AMORE

Origine della parola

"La 'parola' è stata generata dallo spirito. E quindi questa è la vera origine della lingua: lo

spirito di Dio ha parlato all'uomo - e così l'uomo è diventato cosciente del suo io. E l'uomo

ha parlato allo spirito di Dio - e così ha trovato il vero tu del suo io". PA, p. 58

"Come si vuol comprendere la natura della lingua se non si ha nessuna percezione della

realtà della vita spirituale? E come l'uomo vuol comprendere cosa significa spirito, se la

'parola' non è diventata vivente in lui". PA, p. 58

La Parola che crea

« Il Prologo del Vangelo di Giovanni afferma che la parola è il presupposto di ogni essere -

quella che è "premessa" da Dio a ogni essere e posta come fondamento » (5.9.1921) SC. II,

294

« "In principio era la parola" compresa nella pienezza del suo significato: questo non è

altro che la restituzione oggettiva dell'essere nella parola » (3.9.1921) SC. II, 290

"Dio ha creato l'uomo, ciò non significa realmente altro che: gli ha parlato. L'uomo non era

ancora uomo finché Dio non gli ebbe rivolto la parola. Prima non aveva nessuna lingua.

Ma in questo senso Dio non cessa di creare l'uomo". PA, p. 58

L’ io e il tu

"Questo è il primo e l'ultimo problema dell'uomo, l'alfa e l'omega della sua vita spirituale:

di fronte alla molteplice frantumazione della sua vita, arrivare < esistendo > alla relazione

giusta" PA p. 43

"Non si comprende la natura dell'io finché non si capisce che esso esiste soltanto nella

correlazione al tu. Questo esser posto in una relazione al tu, in ultima analisi a Dio,

costituisce precisamente la sua natura. Soltanto la coscienza dell'uomo, non quella

dell'animale, implica un io" PA p. 55

"Solamente quando l'io ha trovato il suo tu - e l'io cerca il suo tu perché esiste veramente

soltanto nella relazione a lui - allora soltanto si attua la vera e giusta "oggettività" nel

rapporto dell'uomo al mondo". PA p. 56

Io –Tu (Dio)

"All'io appartiene Dio. Anche l'esistenza di Dio non si può affermare alla terza persona - un

punto sul quale ogni teologia fa difetto. Può essere affermata soltanto alla seconda persona.

Perché Dio è il tu dell'io, che ha trovato se stesso". PA, p. 56

"Il vero tu dell'io è Dio. Finché all'uomo la verità di questa frase non è diventata contenuto

della vita spirituale, egli è costretto a fraintendere la correlazione fra l'io e il tu nel suo

puro significato sociale". PA, p. 56

"Il Dio che per l'uomo esiste soltanto nella sfera della vita di rappresentazione non è

migliore di qualsiasi feticcio pagano di legno o di pietra". PA, p. 67

47

"Si deve poter credere in Dio anche quando si è abbandonati da ogni potere della vita di

rappresentazione, da quelli immaginativi non meno che da quelli concettuali. Anzi proprio

allora comincia la vera relazione dell'uomo con Dio. Non si può essere 'cercatori di Dio'

soltanto nella fantasia. Chi cerca Dio nella fantasia non lo trova come un essere vivente, ma

soltanto come un idolo senza vita". PA, p. 68

Vita spirituale - uditore e facitore della parola

« Ciò che si esprime nell'uomo, l'io, ha il suo fondamento spirituale nel suo poter essere

interpellato, nel fatto che diventa tu: facitore della parola è l'uomo soltanto in quanto è

stato prima uditore. Mentre la parola parla all'uomo, mentre lo rende un tu, egli diventa

cosciente di se stesso, del suo io». (19.11.1922) SC., II, 302

Parola – vita

«Creato mediante il miracolo della parola, afferrato dal miracolo della parola - così vive

l'uomo. In questo pensiero io ho il mio pensare, in questo pensiero io ho la mia vita e il

sostegno della mia vita » (11.2.1923) SC. II, 1000

Nostalgia del Tu assente

«L'uomo ben di rado è nel suo io veramente a casa. Magari sarebbe anche un abitarvi

tanto poco sicuro. Tutto gli ricorda il tu assente. L'io molto più volentieri si fa di casa nel

mondo. Ma anche nel mondo porta la sua segreta nostalgia del tu. Nessuno è diventato così

duro che questa nostalgia non sonnecchi sempre in lui fino al suo ultimo respiro » 8.1.1918

SC. II,161

La parola che media e rivela

"La parola è il mediatore tra l'io e il tu. La realtà piena e totale dell'io - è l'uomo'. Ma il

vero e proprio tu - è Dio. - Questo è detto nel Prologo del Vangelo di Giovanni". PA, p. 58

« Nella parte più superficiale della coscienza umana ci sono matematica e scienza. Nel

profondo invece - là c'è la 'parola' , la relazione dell'io al tu» (18.6.1919) SC. II, 250

Dio rivela se stesso nella parola, entra in rapporto con l’uomo e l’uomo comprende se stesso

nella sua relazione a Dio

« La parola creante in principio: Io sono e mediante Me tu sei - la creazione dell’uomo

mediante la parola è nello stesso tempo la rivelazione di Dio nella parola (nella parola

l'uomo ha il suo sapere intorno a Dio che costituisce la sua coscienza e che sostiene la sua

vita spirituale) - il senso della parola ebraica Jahvè: la rivelazione di Dio - la radice

spirituale del principio di identità; Dio ha mediante la parola(che nel suo fondamento

spirituale è una sola con l'amore e in ciò è la grazia) la sua relazione all'uomo (per il quale

soltanto vale il principio di identità nella misura in cui comprende se stesso nella sua

relazione a Dio e davanti a Dio) -; l'uomo ha nuovamente mediante la parola, la sua

relazione a Dio (mediante la quale esiste), una relazione nella preghiera: Tu sei e mediante

Te sono io - l'uomo comprende se stesso e la propria esistenza nella sua relazione a Dio:

questo però non soltanto fa si che per lui valga anche il principio di identità, ma questo è

anche la radice spirituale del principio di causalità - Dio è il fondamento dell'essere

spirituale, Dio è la causa prima creatrice di ogni essere» (27.6.1920) SC. II, 520-21

Il potere della parola nell’uomo:

Forza che risana

« Ritorno sempre di nuovo sul pensiero che il mistero (Geheimnis) della vita spirituale

dell'uomo consiste nel mistero (Mysterium) della parola. Non inabita nella parola in sé e

per sé, proprio per la sua origine nello spirito, la forza di risanare l'uomo dalla rottura

48

spirituale della sua vita? La parola incatena la potenza del male. La parola riscatta l'uomo.

Essa lo libera dalla sua prigionia spirituale che lo condanna alla morte dello spirito. Essa

fa saltare la reclusione dell'io e infrange la muraglia cinese, dietro la quale l'io,

chiudendosi davanti al tu - a perdizione però di se stesso - cerca di nascondersi. Questa è

la vita spirituale dell'uomo che la parola - scesa dal cielo per lui - gli giunse, e lui aprì la

sua interiorità alla parola. Questa è la sua vita spirituale che egli accolse la parola nella

sua vita interiore, la parola che di nuovo legò l'io nella sua solitarietà al tu. L'io che nella

propria solitarietà si chiude davanti al tu, si chiude davanti a se stesso, alla propria

interiorità. Che cosa è la ragione dell'uomo in ultima analisi? Nient'altro che l'organo del

suo spirito, con il quale lui afferra, 'ode' [ vernimmt ] la parola. Per questo essa si chiama

ragione (Vernunft). La parola dovette sopraggiungere nella vita dell'uomo, perché l'uomo

non sarebbe stato in grado di giungere alla parola dalla sua vita nella sua frantumazione

spirituale. La parola crea la vita spirituale nell'uomo, la vera vita spirituale che si svolge

sempre tra l'io e il tu. L'intelletto umano, e quand'anche fosse il più penetrante, non può

comprendere come la parola giunge alla vita la vita alla parola; come nella parola l'io si

apre al tu e come in questo aprirsi e manifestarsi al tu l'io trova la parola » (15.11.1917)

II, SC. 241-42

Abitata dal potere spirituale da cui è uscita

«Nella parola inabita un potere (Macht) spirituale che supera gli uomini e le cose. Nella

parola, naturalmente, non nelle parole divenute prive di senso delle formule di scongiuro e

magiche proprie dei tempi di superstizione. Ma forse in questa superstizione della parola

dei tempi passati c'era più rispetto di fronte alla parola e intuizione della vera essenza del

linguaggio che non nelle conoscenze della moderna scienza e psicologia del linguaggio. Il

potere spirituale che inabita nella parola non è sopraggiunto dall'esterno, non ha sortito

dall'esterno il superare uomini e cose; piuttosto la parola è uscita da esso, ed esso è tutto

nella parola, e la parola stessa è questo potere spirituale» (13.7.1918) SC. II, 250

Nella parola la forza di Dio

«Nella parola c'è la forza (Kraft) di Dio, non semplicemente Dio. La forza che ha creato e

crea la vita spirituale nell'uomo, la forza dello spirito» (19.6.1919) SC. II, 252

Parola / amore – un legame indissolubile

«La parola dell'uomo procede dal suo silenzio davanti a Dio. Questa pienezza della vita è

l'amore. Si deve capire la parola partendo dall'amore, altrimenti non la si capisce nella sua

natura profonda. Quelli che riflettono sulla parola devono essere filologi, devono amare la

parola. Ma si deve anche illuminare l'amore con il significato essenziale della parola -

altrimenti alla fine lo si intende, o lo si fraintende, soltanto come amor proprio,autofilia,

cupidigia, avidità e, quando va bene, come l'eros della filosofia di Platone. Il vero amore,

invece è di più, è qualcosa di assolutamente diverso dall'amore platonico. Esso è - come la

parola - la realizzazione del rapporto al tu, del rapporto all'uomo e a Dio» Aforisma, in

PA, p. 137

Rapporto con Dio <> rapporto con l’uomo

"Il regno di Dio, di cui si parla nel Vangelo, non deve in alcun modo ricompensare l'uomo

di ciò che gli manca nel regno di questo mondo. A chi cerca il regno di Dio perché è un

figliastro della natura e di questo mondo, la porta rimane eternamente chiusa. E l'io di colui

che cerca il suo tu in Dio soltanto perché non è capace di trovarlo nell'uomo, si è sbarrata

la strada anche verso Dio". PA, p. 52

49

"L'uomo il cui io ha trovato in Dio il suo tu, trova il suo tu anche in ogni uomo che incontra

sul cammino della sua vita. Gesù deve aver detto: 'Tu hai visto tuo fratello, quindi tu hai

visto il tuo Dio'. Ma l'io di colui che non può trovare il suo tu nell'uomo, non l'ha ancora

trovato neanche in Dio. Quale altro senso avrebbe l'insegnamento del Vangelo sull'amore

del prossimo se non questo? La relazione dell'uomo all'uomo non può e non deve fondarsi

su altro che sulla base spirituale. L'idea non è mai in grado di essere il legame tra l'io e il

tu, tra uomo e uomo. E' in ultima istanza nel rapporto di un uomo con Dio che deve

radicarsi il suo rapporto con l'altro uomo" PA, p. 77

« Il rapporto dell'uomo con Dio è un rapporto personale. Poiché è il rapporto del suo io con

il tu, di ciò che è personale nel suo essere con qualcosa di personale. E Dio non potrebbe

essere il tu nell'uomo se non fosse appunto un Dio personale. Ritenere la personalità di Dio

per antropomorfismo è un errore che deriva dal fatto che si trascura il contenuto spirituale

ed eterno nel personale dell'uomo. Si intende la personalità dell'uomo soltanto nel suo

rapporto con qualcosa di finito, così per es. con la personalità finita di un altro uomo.

L'eterno nel personale di un uomo però viene, per così dire, alla luce soltanto quando

l'uomo si pone personalmente - vale a dire interiormente, nel suo spirito, mediante lo

spirituale del suo essere - in un rapporto con l'infinito, con l'eterno. Con l'eterno anche

nell'altro uomo. Questo può farlo soltanto se il suo rapporto con l'uomo ha il suo

fondamento spirituale nel suo rapporto con Dio » (17.2. 1818) SC. II,43

« L'uomo deve cercare Dio in se stesso. Proprio così. Ma come lo deve cercare?

Sprofondandosi sempre più dentro se stesso per identificarsi alla fine con Dio e divinizzare

se stesso? O non piuttosto cercando nella spiritualità della sua esistenza come essa sia

abilitata ad un rapporto con Dio? Non si tratta di far scomparire l'io nella sua solitudine in

maniera mistica, ma piuttosto di tirarlo fuori da questa solitudine e porlo in un rapporto

con il tu. Questo tu è Dio, questo tu però è anche nell'uomo. La strada dell'uomo a Dio

passa attraverso l'uomo. L'uomo deve cercare Dio non soltanto in se stesso, ma anche

nell'altro uomo » (16.7. 1818) SC. II, 48

Abuso della parola

«Il compito della parola è di essere leva, sollevatrice della nostra vita psichica e spirituale.

Ma che cosa è la parola di un pensatore o di un poeta che non eleva niente, che non muove

niente in noi, ma piuttosto condanna alla "solitarietà dell'io", e perciò pretende soltanto che

ammiriamo la sua perfezione estetica? Nient'altro che abuso della lingua - anche se si

pretende che "serva" ad essa e al suo miracolo. Utilizzare in un'espressione sintattica e

mettere in scena le segrete e spesso meravigliose possibilità significative di una parola, non

lo si può fare per un fine puramente estetico. Si finisce degenerando in un gioco di parole e

in un passatempo verbale. Soltanto nella satira si può permettere il gioco di parole>>

Aforisma, in PA, p. 138

50

SINTESI DELLE LEZIONI DI ESERCITAZIONE TENUTE DA ALBANESI, COSTA, NOCITA

Esercitazione: FIAMMA ALBANESI

TESTI: Platone: “Il discorso di Alcibiade” dal Simposio ( 212d3 /220b7) e VII Lettera (brevi tratti)

“La consuetudine con me gli aveva fatto nascere il desiderio della vita più bella e più

nobile”.

“Dione concepì l’idea che mantenne per tutta òa vita: pensava che i siracusani dovessero

essere liberi e vivere secondo le leggi migliori”.

“ su ciò (paideia) non esiste ne mai ci sarà alcun trattato; perché questa disciplina non è

assolutamente, come le altre, comunicabile, ma dopo molte discussioni su questi problemi e

dopo una lunga convivenza, improvvisamente, come luce che si accende da una scintilla

essa nasce nell’anima e nutre ormai se stessa.” Platone, VII Lettera.

Sono stati letti i testi suddetti secondo una chiave di lettura che interpreta alcune tematiche della

filosofia dell’educazione di Edda Ducci.

In particolare è stato messo in rilievo:

“il linguaggio educativo come risposta alle leggi della libertà e alle leggi necessarie

all’edificazione della persona”.

“Il linguaggio educativo non è inteso a comunicare contenuti, bensì ad avviare la dinamica

interiore, ad accendere un potenziale che dovrà continuare ad ardere per forza propria, a far

si che l’agire interiore sia libero, responsabile e la decisione non condizionata”.

“Il mistero del linguaggio educativo è il nodo centrale dell’azione educativa, ne concerne

l’efficacia e il potere acondizionante, pretende che essa si giochi nel fronteggiarsi reale di

due soggettività vincolate da una sinergia vera e piena.Lontana da lui è la ricerca del potere

persuasivo che si collega ad una retorica raffinata ma vuota, come lo è l’interesse per ogni

movimento di condizionatura, fosse anche sublimato da finalità altissime”.

(E. Ducci, Preoccuparsi dell’educativo)

In seguito alle letture svolte sono emerse riflessioni riguardo:

– Linguaggio educativo come forza emozionante, che si sprigiona dalla figura dell’educatore,

e che mira alla edificazione della persona umana.

– L’ educatore come fonte di energia capace di emozionare.

– Testimonianza di Alcibiade.

– Analisi della figura di Alcibiade nel confronto con Socrate.

51

Esercitazione: COSIMO COSTA

Grazia Deledda e la libertà interiore

Quando ci si è ripiegati una volta a guardare dentro l’anima nostra tutto quello che è esteriore non

interessa più: tutto è scolorito e semplice in confronto a quello che avviene dentro di noi.

Premessa

- Un percorso di libertà interiore

- Attributi e antinomie

- Inadeguatezza della riflessione: additare essere mai liberi

- Intravedibile nel dialogo vita: prova vera nel rapporto interpersonale

- Rende una umanità armonica e avviata alla propria riuscita

Iniziatori

- Immagine del mito platonico: maieuta

- Percorsi di liberazione individuale

- Affrontati con approcci e sensibilità diversi

Figura di Cosima

- Rottura delle norme attraverso scrittura e comportamento sessuale, compiute e considerate

tale perché fatte da una donna

- Spinta ad osservarsi per sentirsi in colpa: impara a individuarsi, al di la del genere, in

quanto persona

- Importanze del momento introspettivo

- Catene da cui liberarsi

- Rapporto ragione-cuore: forza del cuore

- Cambiare restando sul posto, nel ruolo assegnato

- Maggiore determinatezza a cambiare per cause affettive

Interpretazioni

- L’affettività che rende meno condizionabili circa il diverso atteggiamento esistenziale delle

donne

- Grande capacità di guardarsi dentro traendo da sé questo sguardo interiore una forza

liberante

Emancipazione

- Possibile solo attraverso la libertà del popolo

- La libertà come potere interiore

- Se stessi come responsabili della schiavitù

52

Esercitazione: MARIA GABRIELLA NOCITA

L’ Antigone di Sofocle

OBIETTIVO PRINCIPALE: sviluppare la capacità di lettura del testo in chiave filosofico-educativa.

CONTESTUALIZZAZIONE DELLA TRAGEDIA

- Cenni introduttivi su Sofocle e sulla trilogia di cui l’Antigone fa parte.

- Cenni sulle diverse letture dell’Antigone nel passato..

LA LEGGE E LE LEGGI

- Indagare la differenza qualitativa tra la Legge e le leggi.

- La Legge inscritta nella natura dell’uomo fa scoprire ad Antigone “per che cosa è nata”.

- Scegliere di realizzare la propria natura: συµφιλέω → rispondere all’amore, condividere l’amore.

- L’adesione alla Legge mi consente l’agilità verso le leggi.

I LEGAMI

- L’apparente antinomia tra una persona libera interiormente ma piena di legami.

- I legami che vanno oltre la morte.

I DIALOGHI DELL’ANTIGONE IN CHIAVE EDUCATIVA

- Antigone e Ismene.

- Creonte ed Emone .

- Creonte e Antigone.

LA LIBERTÀ INTERIORE

- Cos’è la libertà interiore e come si diventa liberi interiormente?

- Cosa bisogna temere e cosa non bisogna temere?

- Come è congiunto il tema della libertà interiore con quello della capacità di amare.