Filosofia 03 Come Vivere

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T444 CAMBIANO-MORI © 2011, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI Percorsi di antologia Come vivere? La città e le leggi T126 Tucidide: l’esaltazione di Atene Tucidide, Storia della guerra del Peloponneso, 11, 37-41, passim T127 Eraclito: legge cosmica e legge della città Eraclito, Frammenti, 114, 44, 33, 49 T128 Erodoto: la molteplicità di costumi e forme politiche Erodoto, Storie, III, 37-38, 80-82 T129 Protagora: l’uomo misura dei valori Platone, Teeteto, 166d-167d T130 Protagora: la politica e l’educazione Platone, Protagora, 320c-327c T131 Callicle: la natura e la forza Platone, Gorgia, 482e-484c T132 Crizia: l’origine della religione Crizia, Frammenti, 29 T133 Democrito: la nascita della società e della cultura Democrito, Frammenti, 164, 154, 33, 30 T134 Democrito: il conflitto e le leggi Democrito, Frammenti, 245, 248, 249, 251 T135 Archita: il conflitto e il calcolo Archita, Frammenti, 3 T136 Ippocrate: il giuramento Corpus Hippocraticum, Il giuramento di Ippocrate I filosofi tra la città e il cosmo T137 Platone: il filosofo e le leggi della città Platone, Critone, 49e-53a T138 Platone: il filosofo e l’educazione della città Platone, Apologia di Socrate, 30d-32a T139 Platone: la città temperante e giusta Platone, Repubblica, 430e-433d T140 Platone: la parità delle donne Platone, Repubblica, 454c-457a T141 Aristotele: l’uomo e la pòlis Aristotele, Politica, I, 2, 1252b 27 - 1253a 33 T142 Aristotele: la schiavitù Aristotele, Politica, I, 4-5, 1253b 23 - 1255a 3 T143 Aristotele: i cittadini e il ceto medio Aristotele, Politica, III, 5, 1277b 33 - 1278a 34; IV, 11, 11295a 25 - 1296a 18 T144 Aristotele: l’amicizia Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 3-4, 1156a 10 - b 28 T145 Epicuro: la giustizia e le leggi Epicuro, Massime capitali, XXXI-XXXVIII T146 Lucrezio: le origini della cultura Lucrezio, Sulla natura delle cose, V, 1091-1197, passim T147 Cicerone: la socievolezza umana secondo gli stoici Cicerone, Sui termini estremi dei beni e dei mali, III, 62-65 T148 Seneca: il saggio autosufficiente e l’amicizia Seneca, Lettere a Lucilio, 9, 8-22 T149 Marco Aurelio: l’imperatore e il cosmo Marco Aurelio, A se stesso, II, 1; V, 23 e 24; VII, 9 e 59; X, 36 T150 Agostino: le due città Agostino, La Città di Dio, XIV, 28; XV, 2 T151 Agostino: pace terrena e pace celeste Agostino, La Città di Dio, XIX, 17-20 T152 Tommaso d’Aquino: legge eterna, legge naturale e legge divina Tommaso d’Aquino, Summa theologica, I-II, Questione 91, articoli 1-2 e 4 Il bene e il piacere, la virtù e la felicità T153 Platone: il piacere e la terapia dell’anima Platone, Gorgia, 495e-499b; 500a-501c T154 Aristotele: il bene e la felicità Aristotele, Etica Nicomachea, I, 5-6, 1097a 15 - 1098a 20 T155 Aristotele: virtù e medietà Aristotele, Etica Nicomachea, II, 5-6, 1106a 14 - 1107a 6 T156 Epicuro: la terapia filosofica delle paure e la felicità Epicuro, Epistola a Meneceo T157 Diogene Laerzio: il fine dell’uomo secondo gli Stoici Diogene Laerzio, Vite dei filosofia, VII, 85-89 T158 Sesto Empirico: il fine dello scettico Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, II, 25-32 Immagini della vita filosofica T159 Pitagora: le regole di vita Porfirio, Vita di Pitagora, 18-19 Giamblico, Vita di Pitagora, 82-85 T160 Democrito: la quiete e la patria del saggio Democrito, Frammenti, 3, 244-247 T161 Senofonte: povertà e autosufficienza Senofonte, Memorabili, I, 6, 1-9 T162 Senofonte: la conoscenza di se stessi Senofonte, Memorabili, IV, 2, 24-30 T163 Platone: l’amore e la filosofia Platone, Simposio, 203b-205a, 205d-207a T164 Platone: funzioni e limiti della scrittura Platone, Fedro, 274c-277a

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  • T444CAMBIANO-MORI 2011, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI

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    Come vivere?La citt e le leggi

    T126 Tucidide: lesaltazione di Atene Tucidide, Storia della guerra del Peloponneso, 11, 37-41, passimT127 Eraclito: legge cosmica e legge della citt Eraclito, Frammenti, 114, 44, 33, 49T128 Erodoto: la molteplicit di costumi e forme politiche Erodoto, Storie, III, 37-38, 80-82T129 Protagora: luomo misura dei valori Platone, Teeteto, 166d-167dT130 Protagora: la politica e leducazione Platone, Protagora, 320c-327cT131 Callicle: la natura e la forza Platone, Gorgia, 482e-484cT132 Crizia: lorigine della religione Crizia, Frammenti, 29T133 Democrito: la nascita della societ e della cultura Democrito, Frammenti, 164, 154, 33, 30T134 Democrito: il conflitto e le leggi Democrito, Frammenti, 245, 248, 249, 251T135 Archita: il conflitto e il calcolo Archita, Frammenti, 3T136 Ippocrate: il giuramento Corpus Hippocraticum, Il giuramento di Ippocrate

    I filosofi tra la citt e il cosmoT137 Platone: il filosofo e le leggi della citt Platone, Critone, 49e-53aT138 Platone: il filosofo e leducazione della citt Platone, Apologia di Socrate, 30d-32aT139 Platone: la citt temperante e giusta Platone, Repubblica, 430e-433dT140 Platone: la parit delle donne Platone, Repubblica, 454c-457aT141 Aristotele: luomo e la plis Aristotele, Politica, I, 2, 1252b 27 - 1253a 33T142 Aristotele: la schiavit Aristotele, Politica, I, 4-5, 1253b 23 - 1255a 3T143 Aristotele: i cittadini e il ceto medio Aristotele, Politica, III, 5, 1277b 33 - 1278a 34; IV, 11,

    11295a 25 - 1296a 18T144 Aristotele: lamicizia Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 3-4, 1156a 10 - b 28T145 Epicuro: la giustizia e le leggi Epicuro, Massime capitali, XXXI-XXXVIIIT146 Lucrezio: le origini della cultura Lucrezio, Sulla natura delle cose, V, 1091-1197, passimT147 Cicerone: la socievolezza umana secondo gli stoici Cicerone, Sui termini estremi dei beni e

    dei mali, III, 62-65T148 Seneca: il saggio autosufficiente e lamicizia Seneca, Lettere a Lucilio, 9, 8-22T149 Marco Aurelio: limperatore e il cosmo Marco Aurelio, A se stesso, II, 1; V, 23 e 24; VII, 9 e 59;

    X, 36T150 Agostino: le due citt Agostino, La Citt di Dio, XIV, 28; XV, 2T151 Agostino: pace terrena e pace celeste Agostino, La Citt di Dio, XIX, 17-20T152 Tommaso dAquino: legge eterna, legge naturale e legge divina Tommaso dAquino,

    Summa theologica, I-II, Questione 91, articoli 1-2 e 4

    Il bene e il piacere, la virt e la felicitT153 Platone: il piacere e la terapia dellanima Platone, Gorgia, 495e-499b; 500a-501cT154 Aristotele: il bene e la felicit Aristotele, Etica Nicomachea, I, 5-6, 1097a 15 - 1098a 20T155 Aristotele: virt e mediet Aristotele, Etica Nicomachea, II, 5-6, 1106a 14 - 1107a 6T156 Epicuro: la terapia filosofica delle paure e la felicit Epicuro, Epistola a MeneceoT157 Diogene Laerzio: il fine delluomo secondo gli Stoici Diogene Laerzio, Vite dei filosofia, VII,

    85-89T158 Sesto Empirico: il fine dello scettico Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, II, 25-32

    Immagini della vita filosoficaT159 Pitagora: le regole di vita Porfirio, Vita di Pitagora, 18-19 Giamblico, Vita di Pitagora, 82-85T160 Democrito: la quiete e la patria del saggio Democrito, Frammenti, 3, 244-247T161 Senofonte: povert e autosufficienza Senofonte, Memorabili, I, 6, 1-9T162 Senofonte: la conoscenza di se stessi Senofonte, Memorabili, IV, 2, 24-30T163 Platone: lamore e la filosofia Platone, Simposio, 203b-205a, 205d-207aT164 Platone: funzioni e limiti della scrittura Platone, Fedro, 274c-277a

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    T3 CAMBIANO-MORI 2011, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI

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    T165 Platone: lautobiografia Platone, Lettera VII, 324b-326b, 340b-341eT166 Platone: il mito della caverna Platone, Repubblica, 514a-520dT167 Platone: il filosofo e la contemplazione Platone, Teeteto, 173c-176cT168 Aristotele: la vita teoretica Aristotele, Etica Nicomachea, X, 7, 1177a 12 - 1178a 8T169 Epitteto: la libert del sapiente Epitteto, Diatribe, I, 1T170 Galeno: il medico filosofo Galeno, Lottimo medico filosofo, 3-4, I 60-63 K

    Le vie della salvezzaT171 Anonimo: lorfismo e il destino dellanima Anonimo, Frammenti, 17T172 Empedocle: lespiazione e la salvezza Empedocle, Frammenti, 115, 117, 124, 111T173 Senofonte: la religiosit di Socrate Senofonte, Memorabili, I, 1, 1-13T174 Platone: Socrate di fronte alla morte Platone, Apologia di Socrate, 40c-41dT175 Platone: il mito di Er Platone, Repubblica, 614b-615b, 617b-619e, 620d-621dT176 Plotino: il corpo Porfirio, Vita di Plotino, 1-9T177 Plotino: la magia del mondo sensibile Plotino, Enneadi, IV, 4, 229-235T178 Plotino: azione e contemplazione Plotino, Enneadi, III, 8, 36-40T179 Plotino: lestasi Plotino, Enneadi, VI, 9, 72-77T180 Marino: i miracoli di Proclo Marino, Vita di Proclo, 29, 34-35

    La vita umana e il volere di DioT181 Anonimo: la gerarchia umana degli gnostici Anonimo, Trattato tripartito, 118, 14 - 120, 9T182 Agostino: la conversione Agostino, Confessioni, VIII, 8, 19-10, 22; 12, 28-29T183 Anselmo: la libert e la predestinazione Anselmo, La libert di arbitrio, XIV, Anselmo, La

    concordia della prescienza e della predestinazione, Questione IIT184 Bernardo di Chiaravalle: la grazia divina e la libert Bernardo di Chiaravalle, Grazia e libero

    arbitrio, I, 1-2T185 Abelardo: letica dellintenzione Abelardo, Conosci te stesso o EticaT186 Ugo di San Vittore: lamore Ugo di San Vittore, Lessenza dellamoreT187 al-Gazali: gli errori dei filosofi al-Gazali, La salvezza dalla perdizioneT188 Sohravardi: dalla gnosi allannientamento in Dio Sohravardi, Il canto del grifone, parte I,

    cap. 1 e parte II, cap. 1T189 Averro: le vie della verit e la filosofia Averro, Libro della distinzione del discorso o Trattato

    decisivoT190 Maimonide: lingresso nel palazzo del sapere Maimonide, Guida dei perplessi, I, 34 e III, 51T191 Bonaventura: ascesa a Dio e contemplazione mistica Bonaventura da Bagnoregio,

    Itinerario dellanima a Dio, I, 1-4; VII, 3-5T192 Meister Eckhart: il distacco mistico Eckhart, Istruzioni spirituali, 6 Bibliografia

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    Come vivere?

    storia, questa forma di comunit erarappresentata dalla polis, ossia dalla cittautonoma verso lesterno e capace diautogoverno al proprio interno attraversomeccanismi di distribuzione efunzionamento del potere, che potevanovariare da citt a citt, dando luogo adiverse forme di governo (monarchia,aristocrazia, democrazia). Nascono perben presto interrogativi a questoproposito, per esempio se esista unaforma di governo migliore rispetto allealtre e in che senso migliore e per chi.Oppure quale sia il fondamento di validitdelle leggi, sulle quali si regge unacomunit: dato soltanto dal potere dicoloro che le impongono o esistonoanche norme superiori, per esempio,dettate dalla natura, alle quali anche leleggi positive devono uniformarsi? Suquesti interrogativi la riflessione politicasarebbe tornata incessantemente nonsolo nellarco del pensiero antico e incondizioni politiche mutate, conlaffermarsi prima delle monarchieellenistiche e poi dellimpero di Roma, maanche nella riflessione tardo antica emedievale, con lemergere del nuovopotere ecclesiastico.

    Etica e politica nella Greciaantica.In qualche modo, dunque, ogni societ hauna morale, ossia codici di condotta, equalche forma di distribuzione e

    O gni societ si regge su insiemi dicomandi e divieti, ossia di regole enorme condivise, che possonoriguardare le sfere pi diverse della vita,dai rapporti economici a quelli giuridici,dalla vita religiosa ai costumi. Si possonocomunque distinguere due tipifondamentali di norme: quelle chericevono una sanzione, ossia prevedonouna vera e propria pena per coloro che letrasgrediscono, e quelle che non sonoaccompagnate da una sanzione forte diquesto tipo, ma prevedono soltantoforme di disapprovazione oemarginazione per i trasgressori. Il primotipo trova la sua formulazione in leggi,non di rado scritte, ma nonnecessariamente, mentre il secondo siesprime in codici morali nonnecessariamente formulati o espliciti, masovente considerati come ovvi. Ci nonsignifica che a volte non possa essercisovrapposizione tra i due tipi di norme:per esempio lomicidio pu esserecondannato sia sul piano giuridico, siamoralmente. Non di rado tuttavia leregole morali coprono ambiti nei qualinon previsto lintervento della legge. Lapresenza di leggi comporta inoltrelesistenza di un apparato coercitivocapace di imporre pene e quindi dotatodi forza. Ci pu aver luogo allinterno diuna comunit nella quale sia possibileesercitare il potere. Per i Greci, almeno apartire da un certo momento della loro

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    debbano accedere: in varia misura,bambini, donne, schiavi, ma a volte ancheartigiani privi di tempo libero da dedicareal proprio perfezionamento morale, sonoesclusi da esso. Nella polis, priva di estesi apparaticoercitivi di polizia o di autorit religiosecome la chiesa, la riflessione sulla vita eticae politica non pone al centro comeavverr talvolta in epoca moderna lenozioni di dovere o di obbligazione neiriguardi di comandi provenienti daunautorit. Apparendo indiscutibile cheluomo mira a essere felice, il problema piuttosto di individuare le vie, i modi divivere, nei quali pu trovare realizzazionequesta felicit. Proprio lassenza di modellirigidi imposti dallesterno apre lo spazioalla possibilit di costruire modellialternativi di vita. Di qui la vivacit deldissenso e delle confutazioni reciprocheche attraversa la discussione etica deifilosofi antichi, che di volta in volta nonsolo identificano la felicit con fini diversi esi pongono la questione della collocazionedei piaceri o delle passioni allinterno dellavita buona o felice, ma ritengononecessario a tale scopo conoscere lanatura del cosmo, della divinit edelluomo oppure respingono comeinutile una tale conoscenza.

    Il primato della vita filosofica.Tratto comune sembra per essere sesi eccettuano gli scettici la tesi che laforma migliore di vita la vita filosofica,a prescindere dai contenuti specifici che ivari filosofi assegnano a essa. Ma dire che la vita migliore non comporta affattoche tutti gli uomini la seguano o debbanoseguirla: di fatto la vita filosofica non proposta come modello da seguire pertutti gli uomini, ma per coloro cheintendono abbandonare i modi di vitaseguiti dai pi e quindi distinguersi da essi. Anche la vita filosofica per concepitadai filosofi antichi come una vita che nonpu essere condotta da individui isolati in

    organizzazione del potere. Ma non ognisociet sviluppa necessariamente unariflessione sulle caratteristiche della vitamorale e della vita politica. Ci ebbeluogo in Grecia, portando a un certopunto alla costituzione di quelle chefurono chiamate etica, letteralmente ladisciplina che studia il carattere degliindividui che vivono in maniera buona,ossia eccellente, o cattiva e politica, ossiala disciplina che studia le forme delgoverno delle citt e tutto ci che vi connesso. In generale letica elaborata daifilosofi greci pone al centro dellattenzionelagente, chiedendosi quale sia la formadi vita migliore, quali siano leprerogative che fanno di un uomo unuomo eccellente, che nel corso della suavita esprime al meglio ci che fa di lui unvero uomo, in quanto tale felice. In questosenso concetti cardine delletica anticasono quelli di felicit, nella quale siravvisa il fine al quale tutti gli uominitendono, e di virt, che significa appuntoeccellenza di prestazioni in ci chepertiene propriamente alla sfera dellagireumano. Ma per analizzare in che cosaconsistano la felicit e la virt, i filosofiantichi non studiano tanto le proprietche fanno di una singola azione unazionebuona, quanto le caratteristiche che fannodi un uomo luomo migliore. Oggettodindagine pi che il modo in cui tutti gliuomini o la maggior parte degli uominiagiscono o si comportano di fatto, ilmodo in cui si comporta luomo migliorenellarco della sua vita, non soltanto in unasingola azione. Il punto di riferimento dellariflessione etica antica rappresentato ingenerale anche se talvolta emergequalche eccezione da figure esemplari,che possono essere il guerriero, laderentea una setta religiosa, il buon cittadino e,per i filosofi, soprattutto il filosofo stesso olideale al quale egli mira, cio il sapiente.La riflessione etica dei filosofi antichi nonmira dunque a proporre un ideale moraleuniversale, cui tutti gli uomini possano o

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    solitudine. Da una parte essa richiede anziil costituirsi di piccole comunit o scuole,nelle quali i membri non solo condividonoattivit comuni, ma non di rado si sentonocollegati da vincoli di amicizia. Daltraparte, lesistenza di queste comunit ritenuta possibile soltanto entro il tessutodella vita cittadina, con la quale siintrattengono legami, se non altro perricavarne ci che rende possibile lasussistenza. Certo, a volte, determinatiindirizzi filosofici, come quelli dei cirenaicio dei cinici, ritengono preferibile nonradicarsi in una singola citt e condurreuna vita itinerante per le varie citt,attenuando i legami di dipendenza versodi esse, ma ci non porta mai a stabilirsifisicamente fuori delle citt, come avverrcon il monachesimo orientale. Piuttosto lavia duscita dalla citt viene assumendouna specifica curvatura nei primi secolidellImpero, ma riprendendo suggestioni diimpronta gi pitagorica e platonica, comevia duscita dallintero mondo sensibile perritornare nella vera patria, collocata fuoridel mondo sensibile. In questa linea di

    pensiero lobiettivo della vita etica sitrasforma in un obiettivo di salvezza daqualcosa di negativo che la minaccia, inprimo luogo dal corpo e dalla sue passioniche tendono a trascinare lanima verso ilbasso, anzich permetterle di volare versolalto per rendersi simile alla divinit.

    Il Cristianesimo e la vitaultraterrena.Questo punto trover ulterioreaccentuazione quando, con laffermazionedel Cristianesimo, la vera vita sarravvisata nella vita ultraterrena, allaquale il cristiano si prepara gi sulla terracome semplice viator. Ci si accompagnaal rifiuto delle pretese degli antichi filosofidi determinare con le sole forze dellaragione quali siano i contenuti della felicite quindi della vera vita. Questi possonoessere ricavati soltanto dai contenuti dellarivelazione divina, per cui in primaistanza la vita buona pu esserecaratterizzata soltanto dallottemperanzaai comandi di Dio e dallobiettivo dipervenire alla visione di Dio stesso.

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    T126 CAMBIANO-MORI 2011, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI

    La citt e le leggiLa societ rappresentata nei poemi omerici ha al suo vertice re e discendenti difamiglie regali, in antagonismo tra loro, ma che devono collaborare in una guer-ra comune. Lemergere delle citt si accompagna allistituzione di leggi scrittedotate di carattere pubblico, le quali valgono per tutti e sono sottratte allarbitriodi singoli individui, nobili o tiranni. Associando le leggi alla forza, le nuovefigure di legislatori, come ad esempio Licurgo per Sparta e Solone per Atene,superano o disciplinano i conflitti tra gruppi sociali contrapposti. Il risultato leunomia, il buon ordinamento fondato sulla legge e organizzato intorno auno spazio politico nel quale mediante la discussione tra cittadini le contrappo-sizioni trovano una composizione: tale spazio istituzionalizzato nellassemblea.Cos con listituzione dei tribunali, nei quali i verdetti sono pronunciati e diven-tano operanti a maggioranza, la vendetta di sangue da parte dei gruppi familiari superata. Questo evento al centro delle Eumenidi di Eschilo, dove messoin scena Oreste, perseguitato dalle Erinni per aver ucciso la madre Clitennestra,che a sua volta aveva ucciso il marito Agamennone, padre di Oreste stesso.Questi si rifugia in Atene, dove grazie al tribunale istituito per iniziativa diApollo e Atena, la catena delle vendette si interrompe. Di fronte a questa giusti-zia pubblica e neutrale cessa il primato delle nobili famiglie, cessazione gi san-cita in Atene sul finire del VI secolo a.C. dalla riforma di Clistene, che avevariorganizzato la cittadinanza su basi territoriali e non familiari. In questa situa-zione di isonomia, ossia di uguaglianza di fronte alla legge e di uguaglianzaalmeno parziale nella partecipazione politica e nella copertura delle carichepubbliche, assicurata dalla rotazione e dal sorteggio, il tiranno, dotato di pote-re arbitrario fondato soltanto sulla violenza, era visto come lanomalia, una sortadi malattia che poteva appiccarsi alla citt. Su questo sfondo si staglia la cele-brazione della democrazia ateniese, messa in bocca a Pericle da Tucidide.

    T126 Tucidide: lesaltazione di AteneNato ad Atene prima del 454 a.C., Tucidide partecip attivamente alla vita politicaateniese, diventando stratego nel 424-23. Secondo la tradizione antica, fallite leoperazioni militari da lui condotte in Tracia, sarebbe stato costretto allesilio, ma la cosa ancor oggi messa in discussione. Quel che certo che la sua opera, la Storia dellaguerra del Peloponneso, rimase incompiuta, non arrivando alla sconfitta di Atene nel 404 ealla conseguente instaurazione del governo tirannico dei Trenta. Ci fa presumere cheTucidide fosse morto prima della fine del secolo. Nel secondo libro della Storia Tucididefa pronunciare a Pericle lepitaffio per i morti nel corso del primo anno di guerra. Data lacircostanza, il discorso risponde alle esigenze del genere celebrativo e, attraverso lelogiodei caduti per la patria, si passa allelogio della citt che li ha allevati e per la quale essi sisono battuti. Sovente scambiato per una descrizione spassionata e pienamente oggettivadella realt politica e sociale ateniese, in realt esso , al tempo stesso, unidealizzazione eun modello, costruito per incrementare la coesione interna tra i cittadini ateniesi. Maesso rappresenta anche limmagine egemonica che la citt intendeva mostrareallesterno, alle altre citt della Grecia.

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    T126

    Tucidide Storia della guerra del Peloponneso, 11, 37-41, passim

    Il nostro sistema politico non si propone di imitare le leggi di altri popoli: noi non copia-mo nessuno, piuttosto siamo noi a costituire un modello per gli altri. Si chiama democra-zia, poich nellamministrare si qualifica non rispetto ai pochi, ma alla maggioranza. Leleggi regolano le controversie private in modo tale che tutti abbiano un trattamentouguale, ma quanto alla reputazione di ognuno, il prestigio di cui possa godere chi si siaaffermato in qualche campo non lo si raggiunge in base allo stato sociale di origine, main virt del merito; e poi, daltra parte, quanto allimpedimento costituito dalla povert,per nessuno che abbia le capacit di operare nellinteresse dello Stato di ostacolo lamodestia del rango sociale1. La nostra tuttavia una vita libera non soltanto per quantoattiene i rapporti con lo Stato, ma anche relativamente ai rapporti quotidiani, di solitoimprontati a reciproco sospetto: nessuno si scandalizza se un altro si comporta comemeglio gli aggrada, e non per questo lo guarda storto, cosa innocua di per s, ma chepure non manca di causare pena. Ma, se le nostre relazioni private sono caratterizzatedalla tolleranza, nella vita pubblica il timore ci impone di evitare col massimo rigore diagire illegalmente, piuttosto che in ubbidienza ai magistrati in carica e alle leggi; soprat-tutto alle leggi disposte in favore delle vittime di uningiustizia e a quelle che, anche senon sono scritte, per comune consenso minacciano linfamia.

    Nel nostro lavoro abbiamo provveduto a creare un gran numero di momenti di riposoper ricreare lo spirito, da un lato introducendo la consuetudine di gare e riti sacrificaliche celebriamo per tutto lanno, dallaltro coltivando il gusto di splendidi arredi privati,da cui traiamo un quotidiano diletto che rasserena lanimo. La nostra citt cos grandeche da tutta la terra ci arrivano merci di ogni tipo, e avviene che il piacere riservatoci dalgodimento di beni degli altri paesi non ci sia meno familiare del gusto dei prodotti dellanostra terra. [...]

    Amiamo il bello, ma non lo sfarzo, e coltiviamo i piaceri intellettuali, ma senza languori2.La ricchezza ci serve come opportunit per le nostre iniziative, non per fare sfoggio quan-do parliamo. E ammettere la propria povert non vergogna per nessuno: ben pi vergo-gnoso piuttosto non darsi da fare per venirne fuori. La cura degli interessi privati procedeper noi di pari passo con lattivit politica, ed anche se ognuno preso da occupazionidiverse, riusciamo tuttavia ad avere una buona conoscenza degli affari pubblici. Il fatto che noi siamo i soli a considerare coloro che non se ne curano non persone tranquille, ma

    1. Primo punto saliente che ledisuguaglianze economiche non sitraducono in disuguaglianze politiche:luguaglianza politica rimane prerogativadi tutti i cittadini indipendentementedalla loro condizione economica. Il

    secondo contrassegno della democrazia indicato subito dopo nella possibilitdi condurre la vita privata a propriopiacimento, non secondo modelliconformistici imposti.2. In greco philosophomen neu

    malakas. Si tratta cio di un amore delsapere che non va a discapito di unapartecipazione attiva alla vita politica:esso infatti si traduce in unanalisi dellesituazioni e in una capacit di valutare lealternative prima di prendere decisioni.

    Tra i pregi politici, sociali, economici, militari, compaiono anche quelli culturali: Atene presentata come scuola della Grecia. Gli ateniesi filosofano, amano il sapere, ma senzadebolezza, dice Pericle. Ci potrebbe alludere a forme di esercizio della filosofia, le qualicomportavano labbandono delle attivit politiche e militari, che definiscono in primoluogo il cittadino. Chi poteva dedicarsi alla ricerca del sapere nella totale rinuncia a que-ste attivit era il meteco, lo straniero residente nella citt, in quanto di diritto e di fattoescluso dalla vita politica e militare. E chi aveva introdotto la filosofia ad Atene, secondola tradizione antica, era appunto uno straniero, Anassagora.

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    buoni a nulla. E siamo gli stessi a partecipare alle decisioni comuni ovvero a riflettere afondo sugli affari di Stato, poich non pensiamo che il dibattito arrechi danno allazione; ilpericolo risiede piuttosto nel non chiarirsi le idee discutendone, prima di affrontare le azio-ni che si impongono. Giacch anche in questo siamo differenti: sappiamo dar prova dellamassima audacia e nello stesso tempo valutare con distacco quel che stiamo per intrapren-dere; mentre, per tutti gli altri, lignoranza spinge allardimento, la riflessione induce ad esi-tare. Ma sarebbe giusto riconoscere la maggior forza danimo a quelli che, pur conoscendoassai bene sia i pericoli che gli aspetti piacevoli della vita, non per questo si sottraggono alrischio. Anche per nobilt danimo siamo allopposto rispetto ai pi; noi non stringiamo lenostre amicizie per ricavarne vantaggi, siamo noi piuttosto a procurarne [...].

    In sintesi, affermo che la nostra citt nel suo insieme costituisce un ammaestramentoper la Grecia, e, al tempo stesso, che da noi ogni singolo cittadino pu, a mio modo divedere, sviluppare autonomamente la sua personalit nei pi diversi campi con grandegarbo e spigliatezza. E che queste siano non pompose parole di circostanza ma verit difatto, lo prova proprio la potenza della citt, che abbiamo raggiunto grazie a queste qua-lit. Oggi infatti essa lunico Stato che ad ogni verifica risulti superiore alla sua fama,lunico che non susciti nel nemico che labbia attaccata un amaro risentimento nel consi-derare quale sia la causa delle proprie angustie, n scateni il malcontento dei sudditi chesi vedono dominati da signori indegni. Grandi sono i segni della sua potenza, non certopriva di attestazioni, che noi abbiamo affidato allammirazione dei contemporanei e diquelli che verranno, e non abbiamo bisogno di alcun Omero che canti la nostra glorian di chi con le sue parole procurer un diletto immediato, dando per uninterpretazio-ne dei fatti che non potr reggere quando la verit si affermer: con la nostra audaciaabbiamo costretto il mare e la terra interi ad aprirci le loro vie, e ovunque abbiamoinnalzato alle nostre imprese, siano state esse sfortunate o coronate da successo, monu-menti che non periranno. Ed per una tale citt che questi uomini hanno affrontatonobilmente la morte in combattimento, ritenendo che non fosse giusto perderla, ed naturale che ognuno di quelli che restano volentieri per essa affronter ogni travaglio.

    Nelle parole di Pericle lordinamento politico ateniese era presentato comequalcosa di peculiare, che ne garantiva la superiorit su ogni altro. In altri con-testi, nella Ionia, era invece emersa gi da tempo con Eraclito la tesi che unasola sia la legge che governa tutte le cose e che ad essa devono ispirarsi tutte leleggi introdotte dagli uomini nelle singole citt. Ci si accompagnava per inEraclito alla condanna aristocratica del governo della maggioranza.

    T127 Eraclito: legge cosmica e legge della cittIn alcuni frammenti Eraclito parla della legge che domina luniverso e della legge chegoverna le citt, istituendo un parallelo tra esse. Carattere costitutivo della legge diessere comune a tutte le entit che popolano luniverso o a tutti gli individui checostituiscono una citt: in questo senso essa detta unica. Nel caso delle leggi della cittnon rilevante se esse siano lespressione del valore di un solo individuo o dellamaggioranza: la cosa importante sono le qualit che rendono eccellente colui dal qualeemanano le leggi.

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    1. Il termine migliore in greco ristos.

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    Eraclito Frammenti, 114, 44, 33, 49

    necessario che coloro che parlano adoperando la mente si basino su ci che comunea tutti, come la citt sulla legge, ed in modo ancora pi saldo. Tutte le leggi umane infat-ti traggono alimento dallunica legge divina: giacch essa domina tanto quanto vuole ebasta per tutte le cose e ne avanza per di pi (fr. 114).

    necessario che il popolo combatta in difesa della legge come in difesa delle mura(fr. 44).

    Legge anche ubbidire alla volont di uno solo (fr. 33).

    Uno per me diecimila, se il migliore (fr. 49)1.

    Nel V secolo d.C., soprattutto dopo le vittorie conseguite contro i Persiani, sidiffonde la consapevolezza della variet delle credenze, delle leggi e dei costumipresso le varie popolazioni e se ne trae la conseguenza della relativit di esse.A ci si accompagna anche la percezione della relativit delle forme di governo.Entrambi questi punti si trovano icasticamente espressi nelle Storie di Erodoto.

    T128 Erodoto: la molteplicit di costumi e forme politicheErodoto, nato ad Alicarnasso, citt dellAsia minore, partecip nel 444-43 a.C. allafondazione della colonia panellenica di Turii in Italia meridionale, vicino a Crotone,insieme allarchitetto Ippodamo di Mileto e al sofista Protagora di Abdera. Assunse, poi, lacittadinanza di Turii.Le sue Storie, in nove libri, culminano con il racconto delle vittorie dei Greci sui Persiani,ma alla ricerca delle motivazioni che condussero a esse, si aprono a raggiera sulle culturedellEgitto, della Persia, della Scizia. Esse prendono dunque il respiro di una vasta operaetnografica, oltre che storica, dominata dalla consapevolezza della relativit dei nmoi,ossia delle consuetudini, delle tradizioni e delle credenze. E nellambito dei nmoi rientra-no anche le forme di costituzione: democrazia, oligarchia, monarchia.Erodoto riferisce che, dopo la morte di Cambise e la congiura che ha abbattuto il gover-no dei Magi, in Persia si svolse un dibattito nel quale tre interlocutori difendono a turno ipregi di ciascuna delle tre forme. Nel corso del dibattito, il discorso pronunciato daDario a favore del governo monarchico prevale e Dario diventa re dei Persiani. difficile dire se elementi di questa discussione fossero effettivamente emersi in conte-sto persiano; certo essi sintegravano perfettamente nel clima politico e culturale del Vsecolo. Ma la cosa importante che Erodoto con questo resoconto fornisce ai suoi ascol-tatori un arsenale di argomenti a favore e contro ciascuna delle forme di governo. La presadatto dellesistenza della molteplicit rende urgente la necessit dindividuare criteri di pre-feribilit e di scelta, pur nel rispetto dei nmoi prevalenti allinterno di ogni singola cultura.

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    Erodoto Storie, III, 37-38; 80-82

    La molteplicit delle tradizioni

    Cambise molte simili follie compiva contro i Persiani e gli alleati, rimanendo a Menfi eaprendo antiche tombe e esaminando i cadaveri. E infine entr perfino nel tempio diEfesto e derise molto limmagine del dio. [...]

    Da ogni punto di vista dunque per me manifesto che Cambise era in preda a gravefollia, ch altrimenti non avrebbe preso a schernire religioni e costumi. Infatti, se unofacesse a tutti gli uomini una proposta invitandoli a scegliere le usanze migliori di tutte,dopo aver ben considerato ognuno sceglierebbe le proprie: a tal segno ciascuno con-vinto che le sue proprie usanze sono di gran lunga le migliori di tutte.

    Non quindi verisimile che altri fuorch un uomo impazzito metta in ridicolo cosesimili. E che tutti gli uomini sono di questo parere per ci che riguarda le usanze, fra lemolte altre prove da cui si pu congetturarlo c anche questa: Dario durante il suoregno, chiamati i Greci che erano presso di lui, chiese loro a qual prezzo avrebberoacconsentito di cibarsi dei propri padri morti: e quelli gli dichiararono che a nessunprezzo avrebbero fatto ci. Dario allora, chiamati quelli degli Indiani detti Callati i qualidivorano i genitori, chiese, mentre i Greci erano presenti ed apprendevano per mezzo diun interprete i discorsi, a qual prezzo avrebbero accettato di bruciare nel fuoco i lorogenitori defunti: e quelli con alte grida lo invitavano a non dire simili empiet. A talpunto giunge in questi casi la forza della tradizione, e a me sembra che giustamentePindaro abbia detto nei suoi poemi, affermando che il nomos re di tutte le cose.

    La molteplicit delle costituzioni

    Quelli che si erano ribellati ai Magi tennero un consiglio su tutto il complesso delle fac-cende dello stato, e furono pronunciati discorsi incredibili s ad alcuni dei Greci, mapure furono pronunciati. Otane invitava a porre il potere nelle mani di tutti i Persianidicendo questo: A me sembra opportuno che nessuno divenga pi nostro monarca, per-ch non cosa n piacevole n conveniente. Voi sapete infatti linsolenza di Cambise aqual punto giunta, e avete provata anche larroganza del Mago. Come dunque potreb-be essere una cosa perfetta la monarchia, cui lecito far ci che vuole senza dovernerender conto? Perch anche il migliore degli uomini, una volta salito a tale autorit, ilpotere monarchico lo allontanerebbe dal suo solito modo di pensare1. Dai beni presentigli viene infatti larroganza, mentre sin dalle origini innata in lui linvidia. E quando haquesti due vizi ha ogni malvagit, perch molte scelleratezze le compie perch pieno diarroganza, altre per invidia. Eppure un sovrano dovrebbe essere privo di invidia, dalmomento che possiede tutti i beni. Invece egli si comporta verso i cittadini in modo bendifferente, invidioso che i migliori siano in vita, e si compiace dei cittadini peggiori ed prontissimo ad accogliere le calunnie. Ma la cosa pi sconveniente di tutte questa: se

    1. qui enunciata la tesi che il potereassoluto, che la forma monarchica mettenelle mani di un solo individuo,inevitabilmente corrompe, perchallinvidia nei confronti degli altri viene

    ad aggiungersi in tale situazione anchelarroganza, chiamata dai Greci hy`bris.Essa si scatena proprio quando non si costretti a rendere conto ad altri delproprio operato. Nel discorso di Otane

    chiara lidentificazione della figura delmonarca con il tiranno, non vincolato daalcuna legge.

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    2. Il termine greco isonoma,composto di sos, uguale, e nmos,legge. Il termine nmos a sua volta collegabile al verbo nmein,distribuire. In questa prospettiva lademocrazia identificata con lisonomia,intesa come eguale ripartizione diprerogative e compiti.3. In questo passo sono indicati trecontrassegni fondamentali dellademocrazia: a) luso del sorteggio,strumento affidato al caso che non fapreferenze n determina privilegi per ilconferimento delle cariche; b) ilcontrollo delloperato dei magistrati,soggetti a un rendiconto alla scadenzadel loro mandato; c) la totalit dei

    cittadini, costituiti in assemblea, comearbitro ultimo delle decisionifondamentali.4. Il fautore delloligarchia(letteralmente, governo di pochi, daolgoi, pochi, e arch, potere,governo) si allinea al sostenitore dellademocrazia nella critica alla monarchia,ma rifiuta lattribuzione del potere alpopolo (in greco dmos da cuidemocrazia), per il fatto che essoappare privo delle doti intellettualinecessarie per governare e, come iltiranno, in preda alla hy`bris.Lalternativa consiste allora nellaffidare ilpotere ai migliori, agli ristoi, capaci diprendere le decisioni migliori.

    5. Anche Dario, sostenitore della formamonarchica di governo, accetta lecritiche mosse da Megabizo allademocrazia, ma non il suo elogiodelloligarchia. Ai suoi occhi lamonarchia, in quanto governo di unosolo, presenta il vantaggio di non esserein preda ai conflitti che inveceinevitabilmente insorgono tra glioligarchi, per il desiderio di ciascuno dipredominare. Il governo di uno soloconsentirebbe di guidare le faccendepubbliche nel modo migliore e piefficace, soprattutto in situazioni diguerra, nelle quali il monarca, essendouno solo, pu tenere pi facilmentenascosti i suoi piani.

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    qualcuno lo onora moderatamente, si sdegna di non esser onorato abbastanza; se inveceuno lo onora molto si sdegna ritenendolo un adulatore. E la cosa pi grave vengo ora adirla: egli sovverte le patrie usanze e violenta donne e manda a morte senza giudizio. Ilgoverno popolare invece anzi tutto ha il nome pi bello di tutti, luguaglianza dinanzialla legge2, in secondo luogo niente fa di quanto fa il monarca, perch a sorte esercita lemagistrature ed ha un potere soggetto a controllo e presenta tutti i decreti allassembleagenerale3. Io dunque propongo di abbandonare la monarchia e di elevare il popolo alpotere, perch nella massa sta ogni potenza. Questo parere esponeva Otane.

    Megabizo invece esortava a volgersi alloligarchia dicendo cos: Quel che ha dettoOtane per por fine alla tirannide si intenda detto anche da me; ma quanto al fatto che viinvitava a conferire il potere al popolo, egli non ha colto il parere migliore: niente infattic di pi privo di intelligenza, n di pi insolente del volgo buono a nulla4. E certo, cheper fuggire linsolenza di un monarca gli uomini cadano nellinsolenza di una plebagliasfrenata, cosa assolutamente intollerabile. Quello infatti se fa qualcosa la fa a ragionveduta, questa invece non ha neppure capacit di discernimento: e come potrebbe averdiscernimento chi n ha imparato da altri n conosce da s niente di buono, e si gettaalla cieca senza senno nelle cose, simile a torrente impetuoso? Della democrazia faccianodunque uso quelli che vogliono male ai Persiani; noi invece, scelto un gruppo degliuomini migliori, a questi affidiamo il potere; ch fra questi ci saremo anche noi, ed giusto che dagli uomini migliori derivino le migliori deliberazioni.

    Megabizo esponeva dunque questo parere. E per terzo Dario rivelava il suo pareredicendo: A me quel che ha detto Megabizo riguardo al governo democratico mi parelabbia detto giustamente; non giustamente invece quel che riguarda loligarchia5. Ch,offrendocisi tre forme di governo ed essendo tutte a parole ottime, ottima la democraziae loligarchia e la monarchia, io affermo che questultima di molto migliore. Di unuomo solo che sia ottimo niente potrebbe apparire migliore, e valendosi di tale sua sag-gezza egli potrebbe guidare in modo perfetto il popolo, e cos soprattutto potrebberoesser tenuti segreti i provvedimenti contro i nemici. Nelloligarchia invece ai molti cheimpiegano le loro qualit nellamministrazione dello stato sogliono capitare gravi inimici-zie private, perch, volendo ciascuno essere il primo e prevalere con i suoi pareri, ven-gono a grandi inimicizie fra loro, e da queste nascono discordie, e dalle discordie stragi,e dalle stragi si passa alla monarchia, e con ci si dimostra di quanto questo regime il

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    migliore. Daltra parte se il popolo al potere impossibile che non sopravvenga lamalvagit. E sopravvenuta nello stato la malvagit sorgono fra i malvagi non inimicizie,ma salde amicizie, poich quelli che danneggiano gli interessi comuni lo fanno cospiran-do fra loro. E questo succede fino a che uno del popolo, postosi a capo degli altri, li facessare; in conseguenza di ci costui simpone allammirazione del popolo, e cos ammi-rato viene proclamato monarca. E cos anche questo dimostra che la monarchia la cosamigliore. E per dir tutto in una sola parola, donde ci venuta la libert e chi ce lhadata? forse dal popolo o dalloligarchia o non piuttosto da un monarca? Il mio parere dunque che noi, avendo ottenuta la libert per opera di un sol uomo, dobbiamo mante-nere in vigore la stessa forma di governo, e inoltre non dobbiamo abolire le istituzionidei nostri padri, che sono buone, perch non sarebbe certo la cosa migliore.

    T129 Protagora: luomo misura dei valoriLargomento del dialogo platonico intitolato Teeteto, dal nome di uno dei personaggi, :che cos la conoscenza? Un primo tentativo di rispondere a questo problema identificala conoscenza con la sensazione. A questa tesi ricondotta la celebre proposizione diProtagora, secondo cui luomo misura di tutte le cose: infatti ci che un individuopercepisce con i suoi organi di senso vero per lui. Se uno sente fredda laria, laria fredda per lui. Socrate solleva molte difficolt a proposito di questa tesi. In particolare,egli chiede come pu pretendere Protagora di essere pi sapiente di altri e di insegnarequalcosa ad altri, se per ciascuno vero ci che a lui appare. A questo punto introdotta nel dialogo lapologia, ossia la difesa che Protagora, se fosse stato ancora vivo,avrebbe potuto pronunciare contro queste obiezioni. Il nucleo di questa difesa consistein una interpretazione della tesi delluomo-misura al di fuori del problema dellaconoscenza a cui era stato prima legato. Ci di cui ciascuno misura non il vero o ilfalso (dal momento che per ciascuno vero ci che a lui pare), quanto ci che utile odannoso. In questo contesto, Protagora pu allora giustificare la propria attivit comeanaloga a quella del medico o dellagricoltore e integrarla nel processo di educazione eformazione dei cittadini, che lobiettivo primario della citt.

    Platone Teeteto, 166d-167d

    Dalla convinzione della relativit delle opinioni individuali parte Protagora,che arriva a considerare relative anche le leggi istituite dalle singole citt, perognuna delle quali diventa legge ci che essa ritiene utile.

    Io dico che la verit come ho scritto: ciascuno di noi misura delle cose che sono e diquelle che non sono, ma siamo immensamente differenti luno dallaltro proprio perquesto, che per uno appaiono e sono certe cose e per un altro invece altre. E sono benlontano dal negare che esistano sapienza e sapienti, anzi chiamo sapiente proprio coluiche, operando un mutamento, ad uno di noi per il quale certe cose appaiono e sonocattive, le fa apparire ed essere buone. Tu, daltra parte, non incalzare il mio discorsoattaccandoti alle parole; apprendi invece ancora pi chiaramente in questo modo che

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    Secondo Protagora nella presentazione che Platone fa del suo pensiero lenorme e i valori sui quali si fonda una comunit politica, ritenendole utili per ilsuo funzionamento e la sua continuit, sono trasmessi alle nuove generazionidallintera societ attraverso la famiglia, linsegnamento e le leggi stesse. Il risul-tato che tutti i cittadini diventano dotati di un grado almeno minimo di tecni-ca politica, la quale consiste di giustizia e rispetto reciproco. Per chiarire que-sto punto Protagora racconta un mito sullorigine della civilt umana, fondatasulla cooperazione tecnica tra gli individui per sopravvivere contro lostilitdella natura e degli animali e soprattutto sulla tecnica politica, che impediscelinsorgere di conflitti distruttivi tra i membri della comunit stessa.

    cosa voglio dire. Ricordati ad esempio quanto si diceva prima, che per il malato appaio-no e sono amare le cose che mangia, mentre per il sano sono e appaiono il contrario.Non bisogna dunque stimare pi sapiente luno o laltro di questi infatti non sarebbeneppure possibile n bisogna dichiarare ignorante il malato per il fatto che ha tale opi-nione e sapiente, invece, il sano perch ha opinione diversa. Occorre invece operare unmutamento nellaltra direzione, perch una delle due disposizioni migliore. Cos anchenelleducazione bisogna operare un mutamento da una disposizione a quella migliore.Solo che il medico opera mutamenti con farmaci, mentre il sofista lo fa con discorsi. Delresto nessuno mai ha fatto s che qualcuno da unopinione falsa passasse in seguito adavere unopinione vera, perch non possibile opinare n ci che non n cose diver-se da quelle che si subisce, anzi queste sono sempre vere. Credo invece che a colui cheper una cattiva disposizione di anima abbia opinioni congeneri ad essa, unanima inbuone condizioni possa far opinare cose conformi ad essa, che sono appunto le appa-renze che alcuni per inesperienza chiamano vere ed io invece migliori le une delle altre,ma per nulla pi vere. E i sapienti, caro Socrate, sono ben lontano dal chiamarli ranoc-chi, anzi riguardo ai corpi li chiamo medici e riguardo alle piante agricoltori. Io affermo,infatti, che anche costoro, quando qualche pianta si ammala, fanno nascere in essa alposto di sensazioni cattive, sensazioni e disposizioni buone e sane, mentre i sapienti ebuoni retori fanno s che alle citt appaiano giuste le cose buone anzich quelle cattive.Poich le cose che a ciascuna citt paiono giuste e belle, tali anche sono per essa, finchle decreti tali; ma il sapiente al posto di quelle che di volta in volta sono cattive per essine fa apparire ed essere altre buone. In base allo stesso ragionamento anche il sofista,essendo in grado di educare in questo modo quelli che educa, sapiente e merita gran-di compensi da coloro che siano stati educati. E in questo modo alcuni sono pi sapientidi altri e nessuno opina il falso e tu, lo voglia o no, devi rassegnarti ad essere misura,giacch con queste considerazioni la mia tesi salvata.

    T130 Protagora: la politica e leducazioneNel dialogo intitolato Protagora, Platone immagina un incontro tra Socrate e il sofista diAbdera avvenuto nella casa del ricco Callia ad Atene. Protagora dichiara di saperinsegnare laccortezza nel condurre le faccende politiche. Socrate pone allora laquestione del perch gli Ateniesi consentano a tutti di esporre nellAssemblea il loroparere e formulare consigli quando si tratta di questioni di interesse politico generale,

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    mentre quando si tratta di questioni tecniche, come la costruzione di edifici o navi,permettono che a parlare siano soltanto i competenti. Se le cose stanno cos, non sivede che cosa Protagora possa insegnare ai cittadini ateniesi, dal momento che lademocrazia ateniese sembra presupporre che la politica non sia una tecnica esercitatada pochi competenti. Per spiegare questa apparente anomalia, Platone fa pronunciare aProtagora prima un mito, ossia un racconto, e poi un discorso argomentato. difficiledire se la forma del racconto mitico e i passaggi argomentativi fossero effettivamenteimpiegati da Protagora cos come Platone glieli fa esporre, ma tuttavia non daescludere che il nocciolo delle tesi qui riferite, nonostante la rielaborazione platonica,risalga al Protagora storico.

    Platone Protagora, 320c-327c

    Il mito

    Vi fu un tempo in cui esistevano gli dei, ma non ancora razze mortali. Quando anche perqueste giunse il tempo destinato alla generazione, gli dei le plasmarono allinterno dellaterra, mescolando terra fuoco e gli elementi che si combinano col fuoco e con la terra. Im-mediatamente prima di portarle alla luce, incaricarono Prometeo ed Epimeteo1 di ordinar-le e di distribuire ad ognuna le possibilit confacenti. Epimeteo preg Prometeo di lasciargliil compito della distribuzione. Dopo che avr distribuito, disse, tu verrai a controllare.Ottenuto il suo consenso, si mise allopera. Nella distribuzione assegn ad alcuni la forzasenza la velocit; ad altri pi deboli assegn la velocit; dot alcuni di mezzi di difesa e dioffesa; per altri, che aveva provvisti di natura inerme, escogit qualche altra possibilit diconservazione. Agli animali che foggiava piccoli concedeva ali per la fuga o unabitazionesotterranea; a quelli che faceva grandi di corpo, dava modo di conservarsi con la loro gran-dezza. Cos distribu le altre doti in modo che si compensassero2. Escogitandole, aveva laprecauzione che nessuna razza si estinguesse. Dopo che le ebbe dotate in modo che sfug-gissero alla distruzione reciproca, elabor espedienti di difesa contro le intemperie del cie-lo: rivest le razze di fitto pelame e di dure pelli, sufficienti a proteggere dallinverno, macapaci anche di difendere dai calori estivi, e fece in modo che questi rivestimenti costi-tuissero, quando andavano a dormire, coperte proprie e naturali. E calz alcune di zocco-li, altre di pelli spesse e senza sangue. In seguito forn ad ogni specie cibi diversi: ad al-cune lerba della terra, ad altre i frutti degli alberi, ad altre ancora le radici. E ve ne sonoaltre alle quali diede come cibo la carne di altri animali; a queste egli assegn scarsa pro-lificit, alle loro prede, invece, grande prolificit, procurando cos la conservazione dellaspecie. Ma Epimeteo, che non era un gran sapiente, non si accorse di aver consumato le

    1. Prometeo ed Epimeteo sono duefratelli, ben noti alla tradizione mitica. Inparticolare a Prometeo era attribuito ilfurto del fuoco e il dono di esso agliuomini; da ci era scaturita la suapunizione da parte di Zeus. Questotema mitico si trova ampiamente svoltoda Esiodo nella Teogonia e da Eschilo nelPrometeo incatenato. Protagora lo utilizzaper formulare la sua interpretazionepersonale dei rapporti tra attivit

    tecniche e tecnica politica. Entrambi inomi, Prometeo ed Epimeteo, sonoformati a partire dal termine mtis, cheindica lintelligenza capace di cavarselaabilmente nelle faccende della vita, ma ilprefisso pro nel nome Prometeo, indicache questi dotato anche di unacapacit di previsione, di cui il fratello sprovvisto.2. Lunilateralit e diversit delle dotinaturali delle varie specie animali ci

    che impedisce a una di esse di prendereun tale sopravvento sulle altre, dacondurre alla loro distruzione. Ladistribuzione delle doti da parte diEpimeteo non dunque casuale, mapresenta un grado di razionalit. Il suolimite di non aver tenuto contodellanimale uomo, che risulta pertantoinferiore sul piano delle doti naturali atutte le altre specie animali.

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    possibilit in favore degli animali senza ragione: il genere umano rimaneva ancora privodi ordine ed egli non sapeva che fare. Mentre era in difficolt sopraggiunse Prometeo peresaminare la distribuzione e vide che gli altri animali erano forniti di ogni cosa in giustaproporzione, mentre luomo era nudo, scalzo, senza coperte e inerme. Ormai era immi-nente il giorno destinato in cui anche luomo doveva uscire dalla terra alla luce. Preso dal-la difficolt di trovare una via di salvezza per luomo, Prometeo rub labilit tecnica di Efe-sto e Atena insieme col fuoco (perch acquisire o impiegare questa tecnica senza il fuocoera impossibile)3 e ne fece dono alluomo. Con essa luomo ottenne la sapienza per la vi-ta, ma non la sapienza politica. Questa si trovava presso Zeus e a Prometeo non era con-cesso di penetrare nellacropoli, abitazione di Zeus; inoltre le guardie di Zeus lo intimori-vano. Si introdusse invece di nascosto nellofficina comune di Atena ed Efesto, ove essi la-voravano insieme, rub la tecnica di usare il fuoco, propria di Efesto, e laltra, propria diAtena, e ne fece dono alluomo. Da Prometeo quindi provenne alluomo la risorsa neces-saria per vivere; ma in seguito, a quel che si dice, a causa di Epimeteo, egli dovette scon-tare la pena del suo furto.

    Divenuto partecipe di una condizione divina, luomo fu, in primo luogo, a causa dellasua parentela con la divinit, il solo tra gli animali a credere negli dei e ad innalzare adessi altari e statue; in secondo luogo, egli articol ben presto con tecnica voce e parole, einvent abitazioni, vesti, calzature, coperte e gli alimenti che nascono dalla terra. Pur es-sendo cos forniti, in principio gli uomini vivevano dispersi e non esistevano citt; peri-vano quindi uccisi dalle fiere, dato che erano in tutto pi deboli di esse: la tecnica arti-gianale bastava per aiutarli a procacciarsi il cibo, ma era insufficiente nella lotta contro lefiere, perch essi non possedevano ancora la tecnica politica, di cui parte la tecnica diguerra4. Cercavano allora di riunirsi e di salvarsi fondando citt; ma quando si erano riu-niti, commettevano ingiustizie reciproche in quanto non possedevano la tecnica politica,sicch nuovamente si disperdevano e perivano. Zeus, temendo lestinzione totale della no-stra specie, invi Ermes5 a portare agli uomini il rispetto e la giustizia, affinch costituis-sero lordine della citt e fossero vincoli di solidariet e di amicizia. Ermes chiese a Zeusin che modo dovesse dare la giustizia e il rispetto agli uomini: Devo distriburli come lealtre tecniche? Queste sono distribuite in modo che un solo medico, per esempio, bastaper molti profani; allo stesso modo gli altri artigiani. La giustizia e il rispetto devo stabilir-li in questo modo tra gli uomini o devo distribuirli a tutti? A tutti, rispose Zeus, e tuttine partecipino: non esisterebbero citt, se, come avviene per le altre tecniche, soltanto po-chi ne partecipassero6. E stabilisci in mio nome una legge per la quale chi non pu par-

    3. Efesto e Atena, rispettivamenteVulcano e Minerva per i Latini, sonodivinit che presiedono allesercizio delleattivit tecniche. Laccenno al legameinscindibile tra il fuoco e le tecnicheallude verosimilmente in primo luogo allametallurgia. Efesto presentato come undio che lavora i metalli mediante il fuoco.La tecnica capace di usare il fuoco dunque, in primo luogo, una prerogativadivina: il dono di essa rende in tal modogli uomini partecipi di una condizionedivina. Cos, attraverso la tecnica,sistituisce un rapporto privilegiato tra gliuomini e gli di. Anche per questo la

    tecnica diventa un decisivo elemento didifferenziazione tra luomo e gli animali.4. La tecnica di guerra parte dellatecnica politica, in quanto anchessarichiede un grado di associazione traindividui, i quali sono stati sin quidescritti come dispersi e isolati. Cisembra comportare che, mentre illinguaggio, la religione, le tecnicheagricole e artigianali non richiedononecessariamente unassociazione stabiletra individui, questa associazione richiesta per poter esercitare la guerra.5. Ermes il dio che svolge la funzionedi messaggero degli di, di Zeus in

    particolare, per gli uomini.6. questo uno dei punti centrali delmito: la divisione dei mestieri noninclude la politica. Questa non puessere esercitata da alcuni anche peraltri; deve invece essere esercitata datutti. Con questa asserzione Protagoralegittima la pratica della democraziaateniese, per la quale la conduzionedella politica della citt spetta a tutti icittadini. Il contenuto della tecnicapolitica dato dal rispetto (in grecoaids) nei confronti degli altri e quindidella comunit nel suo complesso edalla giustizia (in greco dke).

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    tecipare di rispetto e giustizia sia ucciso come peste della citt. Per questo, Socrate, gliAteniesi, come gli altri uomini, quando si discute sulla virt costruttrice o su qualche altratecnica artigianale, credono che sia compito di pochi dare consigli, e se qualcuno, estra-neo a questi, si mette a darne, non lo tollerano, come tu dici, e a ragione, dico io. Quan-do invece si riuniscono a consiglio sulla virt politica, che deve procedere interamente se-condo giustizia e saggezza, naturale che ammettano a parlare chiunque, poich pro-prio di ognuno partecipare di questa virt; altrimenti non esisterebbero citt. Questa, So-crate, la causa del fatto.

    E affinch tu non creda che io ti inganni dicendoti che realmente tutti gli uomini sonoconvinti che ognuno partecipe della giustizia e di ogni altra virt politica, ti do questal-tra prova. Nelle altre tecniche, come tu dici, se qualcuno afferma di essere, per esempio,un buon suonatore di flauto o esperto in qualsiasi altra tecnica, che egli invece non pos-siede, deriso o biasimato e i suoi familiari accorrono a calmarlo come se fosse un paz-zo. Nel caso, invece, della giustizia e di ogni altra virt politica, anche se sanno che un in-dividuo ingiusto, se costui dichiara apertamente la verit sul proprio conto, avviene ilcontrario: il dire la verit, che in quel caso era considerato saggezza, qui considerato paz-zia. E si afferma che tutti debbono dichiarare di essere giusti, lo siano o no, e chi non fin-ge di esserlo un matto, perch necessario che ognuno partecipi in qualche modo del-la giustizia o non stia tra gli uomini.

    Linsegnabilit della virt

    Ho appena mostrato che gli Ateniesi giustamente ammettono chiunque a dar consigli sul-la virt politica, in quanto ritengono che ognuno ne partecipi. Ma che essa non sia consi-derata effetto n della natura n del caso, bens debba essere insegnata e acquisita con le-sercizio7, prover a dimostrarlo con ci che segue. Per i mali reciproci che gli uomini ri-tengono di avere dalla natura o dal caso, nessuno si irrita, ammonisce, insegna e puniscecoloro che li hanno, affinch cambino, ma ha solo compassione: chi cos stupido da fa-re tentativi del genere nei confronti, per esempio, di chi brutto o piccolo o debole? San-no bene, credo, che quelle doti e le loro contrarie provengono agli uomini dalla natura edal caso; le buone doti, invece, che ritengono provenire agli uomini dallesercizio, dal-lapplicazione e dallistruzione, se qualcuno ne sprovvisto ed ha invece i difetti contrari,suscitano ire, punizioni e ammonimenti contro di lui. Uno di questi lingiustizia e lem-piet e insomma tutto ci che contrario alla virt politica: in questo caso, ognuno si irri-ta e ammonisce, evidentemente perch pensa che essa sia acquisibile con lesercizio e lap-prendimento. Se tu consideri, Socrate, la punizione di quelli che commettono ingiustizia,ci che essa significa, capirai che gli uomini credono che la virt sia acquisibile. Nessuno,infatti, punisce il colpevole dandosi pensiero di ci che ha commesso o a causa di ci cheha commesso, a meno che non si abbandoni irrazionalmente alla vendetta come una be-

    7. La condizione di esistenza della citt ravvisata da Protagora nel possesso daparte di tutti i cittadini della virt (otecnica) politica, ma questo possessonon dipende dalla natura n dovuto alcaso. Se dipendesse da ci, non cisarebbe alcuna garanzia che tutti i

    cittadini abbiano la virt politica. Infatti,le doti naturali possono essere diverse eil caso pu favorire alcuni, ma non altri.Lunico mezzo per assicurare unadistribuzione uniforme, almeno entrouna certa misura, della virt politica atutti i cittadini linsegnamento, ossia

    leducazione impartita dalla famiglia, poidagli insegnanti e, infine, dalla citt stessacon le sue leggi. Lintera societ siconfigura, dunque, come un unicogrande apparato educativo ditrasmissione dei valori sui quali si reggela citt.

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    8. Protagora ha illustrato uno degliargomenti a favore della tesi che la virtsia insegnabile: se essa non fosseinsegnabile, sarebbe del tutto privo disenso punire quanti non lesercitano equindi commettono ingiustizia, perchci non dipenderebbe da loro.9. qui esposto un ragionamento di

    tipo condizionale, consistente nelchiedersi quale sia la condizione senzala quale la citt non potrebbe esistere,ossia di che cosa tutti i cittadini e nonsolo alcuni debbono disporre. Non necessario che tutti posseggano edesercitino tutte le tecniche (agricole,artigianali ecc.), dal momento che

    ciascuna di esse pu essere svolta daun individuo anche a vantaggio di altri. invece necessario che tutti i cittadiniposseggano la virt politica, cio lavirt che consente di vivere associatisenza commettere ingiustiziereciproche.

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    stia. Chi cerca di punire ragionevolmente castiga non a causa dellingiustizia trascorsa, per-ch non potrebbe ristabilire come non avvenuto ci che stato fatto, ma in vista del futu-ro, affinch n il colpevole n chi lo vede punire commettano pi ingiustizia. Chi pensacos, pensa che la virt sia frutto di educazione: punisce solo per prevenire. Di questa opi-nione sono tutti quelli che puniscono privatamente e pubblicamente. Tutti, non esclusi cer-to gli Ateniesi tuoi concittadini, castigano e puniscono quelli che ritengono colpevoli; sic-ch, in base a questo ragionamento, anche gli Ateniesi fanno parte di quelli che conside-rano la virt acquisibile e insegnabile8. Mi pare, Socrate, di averti dimostrato a sufficienzache a buon diritto i tuoi concittadini ammettono a dar consigli su questioni politiche unfabbro o un calzolaio e ritengono che la virt si possa insegnare e acquisire.

    Resta ancora da spiegare la difficolt, che hai sollevato a proposito degli uomini valen-ti, cio perch mai essi insegnano ai loro figli le cose che richiedono maestri e li rendonosapienti in esse, e non riescono invece a renderli migliori di nessuno in quella virt in cuiessi eccellono. Su questo punto, Socrate, non ti racconter pi un mito, ma ti far un ra-gionamento. Rifletti cos: esiste o non esiste qualcosa di unico, di cui tutti i cittadini devo-no partecipare necessariamente, perch sia possibile lesistenza di una citt? Qui o da nes-sunaltra parte la soluzione della difficolt che hai sollevato9. Se questa cosa unica esistee non la tecnica costruttrice n quella del fabbro o del vasaio, ma la giustizia, la tempe-ranza, la santit e insomma quella che io chiamo virt propria delluomo; se di essa tuttidebbono partecipare e, qualunque cosa vogliano apprendere o fare, devono operare inconformit di essa e senza di essa non fare nulla; se chi non ne partecipe deve essereistruito e punito, sia bambino uomo o donna, finch la punizione non lo migliori, e chinon presta obbedienza neppure se punito ed istruito deve essere cacciato dalle citt comeincurabile o essere ucciso; se cos e, essendo cos naturalmente, gli uomini valenti in-segnano ai figli il resto, ma non questo, guarda come sono strani questi uomini valenti.Che essi ritengano privatamente e pubblicamente insegnabile la politica, lo abbiamo di-mostrato; ma pur potendo essere insegnata ed esercitata, essi insegnano ai figli il resto, lacui ignoranza non comporta la pena di morte, mentre la virt che pu portare i figli, chenon lhanno appresa e non sono stati indirizzati ad essa, verso la pena di morte, lesilio e,inoltre, la confisca dei beni e insomma la rovina della casa, questa non linsegnano e nonsi preoccupano di procurarla. Bisogna crederlo, Socrate?

    Leducazione permanente

    Fin dallinfanzia e per tutta la vita si sottoposti ad insegnamenti e ammonimenti. Appe-na il bambino comincia ad afferrare le parole, la nutrice, la madre, il pedagogo e lo stes-so padre fanno a gara, intorno a lui, per migliorarlo il pi possibile, prendendo occasioneda ogni fatto e parola per ammaestrarlo e indicargli: questo giusto, quello ingiusto, que-

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    10. Allusione al segreto professionale,che proprio delle tecniche.Nellambito di queste vige la

    competizione e il segreto funzionale aessa. La giustizia, invece, non una virtcompetitiva, ma cooperativa. Per

    ciascuno pi utile che tutti, e nonsoltanto alcuni, abbiano ed esercitino lagiustizia.

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    sto bello e questo brutto, questo santo e quello empio, fa questo, non fare quel-lo. E se obbedisce volentieri, bene; altrimenti raddrizzato con minacce e percosse, comese fosse un legno storto e curvo. In seguito li mandano dai maestri ed esigono che sia cu-rata molto pi la condotta dei bambini che il loro perfezionamento nelle lettere e nel suo-nar la cetra. I maestri allora provvedono a questo e, quando i bambini hanno imparato lelettere e incominciano a comprendere le parole scritte, come prima quelle pronunziate,pongono loro sui banchi, affinch li leggano, i poemi di buoni poeti e li costringono adimpararli, perch in essi vi sono molti insegnamenti, molte descrizioni e lodi ed elogi divalenti personaggi antichi, affinch il bambino si senta spronato ad imitarli ed aspiri a di-ventare come loro. I maestri di cetra, a loro volta, provvedono anchessi che i bambini sia-no regolati e non commettano nulla di male: non appena i loro scolari hanno imparato asuonare la cetra, insegnano i poemi di altri buoni poeti lirici, facendoli loro suonare sullacetra e costringono i ritmi e le armonie ad adattarsi alle anime dei bambini, affinch que-sti diventino pi miti, pi armonici e ordinati e, in tal modo, valenti nel parlare e nellagi-re: tutta la vita delluomo, infatti, ha bisogno di ritmo e di armonia. In seguito, li mandanoancora dal maestro di ginnastica, affinch i loro corpi siano migliorati e possano cos pre-star servizio al loro pensiero, gi reso migliore, ed essi non siano costretti a comportarsivilmente, nelle guerre e in altre attivit, per la debolezza dei loro corpi. Fanno questo quel-li che ne hanno maggior possibilit, e questi sono i pi ricchi: i loro figli cominciano adandare a scuola pi presto degli altri e la lasciano pi tardi degli altri. Non appena gli stu-di presso i maestri sono terminati, la citt li obbliga ad apprendere le leggi e a conforma-re ad esse la propria vita, affinch non agiscano a caso, secondo il proprio capriccio; an-zi, come i maestri di grammatica tracciano le lettere con lo stilo sulla tavoletta per queibambini che non sanno ancora scrivere e, data loro la tavoletta, li costringono a scrivereseguendo la traccia delle lettere, cos anche la citt, tracciando le leggi, scoperte da legi-slatori buoni e antichi, li obbliga a conformarsi ad esse, nel comandare come nellobbedi-re, e punisce chi le trasgredisce: e il nome dato a questa punizione, qui da voi e anche inaltri luoghi, raddrizzare, in quanto la pena raddrizza. Dal momento che si ha cos gran-de cura della virt in privato e in pubblico, come puoi stupirti, Socrate, e dubitare che lavirt sia insegnabile? Anzi, dovresti ben pi stupirti, se non lo fosse.

    Perch allora da buoni padri provengono sovente figli inetti? Impara anche questo. Nonc motivo di stupirsi, se vero quello che dicevo prima, cio che nessuno deve essereprofano della virt, perch la citt possa esistere. Se cos come dico e lo fuor dognidubbio rifletti a tua scelta su qualsiasi altra occupazione e disciplina. Se una citt potes-se esistere soltanto a condizione che tutti fossimo suonatori di flauto, ognuno secondo lapropria capacit, tutti insegnerebbero pubblicamente e privatamente larte del flauto e sicolpirebbe chi non suona bene il flauto e non si rifiuterebbe di insegnarne la tecnica, pro-prio come ora nessuno rifiuta n nasconde linsegnamento della giustizia e delle leggi (ilche avviene, invece, a proposito degli altri ritrovati tecnici)10, perch la giustizia reciprocae la virt ci sono utili, credo, e quindi ognuno di buon animo comunica e insegna agli al-tri la giustizia e la legalit. Se dunque anche in questo caso noi avessimo ogni premura egenerosit nellinsegnarci reciprocamente a suonare il flauto, credi, Socrate, che i figli deibuoni flautisti diverrebbero suonatori migliori dei figli dei mediocri? Io credo di no. Un fi-

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    glio nato con ottime disposizioni naturali a suonare il flauto, diverrebbe illustre, di chiun-que fosse figlio; chi nascesse invece privo di doti naturali, resterebbe senza fama. E spes-so da un buon flautista potrebbe nascerne uno inetto, e spesso da uno inetto uno valen-te. Tutti comunque, in confronto ai profani e agli incompetenti, sarebbero sufficientemen-te abili nel suonare il flauto.

    Nella prospettiva di Protagora la legge, ossia il nmos positivo vigente nellecitt, garantisce la sicurezza dei singoli e il rispetto reciproco. Ma nello stesso pe-riodo in cui egli opera si percepisce anche nettamente la possibilit che le leggipositive non sempre siano giuste. NellAntigone di Sofocle, rappresentata in Ate-ne nel 440 a.C., Antigone considera appunto ingiusto il divieto del tiranno Creon-te di seppellire il fratello Polinice che si era ribellato contro di lui. Alle leggi del-la citt Antigone contrappone leggi divine non scritte, ma immutabili, come quel-la che impone di seppellire i defunti. Esiste dunque un piano divino che pu con-trastare con quello politico e naturalmente il primato va al primo. Altri preferi-scono invece contrapporre alle leggi positive, anzich quelle divine, le leggi dinatura, identificate talvolta con la legge del pi forte, forse ammaestrati anchedalle esperienze dellimperialismo ateniese. celebre lepisodio della contesa tragli Ateniesi e gli abitanti di Melo, posti di fronte allalternativa di essere asservitio essere distrutti dalla preponderante forza degli Ateniesi. In questa contesa fa lasua comparsa largomento che lunica legge quella della forza. Una posizioneanaloga messa in bocca a Callicle da Platone nel Gorgia.

    T131 Callicle: la natura e la forzaNel Gorgia Platone mette in scena una discussione tra Socrate e Gorgia prima e poi traSocrate e Polo. In essa, Socrate ha indotto i suoi interlocutori ad ammettere che meglio subire anzich commettere ingiustizia, perch lingiustizia una malattia checorrompe lanima. A questo punto interviene lultimo interlocutore del dialogo acontestare questa conclusione, la quale va contro ci che si ritiene comunemente:Callicle per non il portavoce dellopinione corrente, egli non si limita a capovolgere latesi socratica, sostenendo che meglio commettere anzich subire ingiustizia. Eglipiuttosto radicalizza questa posizione, mostrando che chi pi forte e i pi forti sonopochi legittimato sul piano della natura a dominare i pi deboli, che sono molti. Ilnmos, le leggi, tentano di contrastare ci, ma cos facendo si pongono in netto contrastocon quanto dettato dalla natura.

    Platone Gorgia, 482e-484c

    Per lo pi la natura e la legge sono contrarie tra loro: se per falso pudore non si ha il co-raggio di dire ci che si pensa, necessariamente ci si contraddice. Tu hai compreso questosapiente accorgimento e te ne servi per ingannare nei discorsi: se qualcuno ti parla sul pia-no della legge, tu lo interroghi su quello della natura; se ti parla delle cose della natura, tulo interroghi su quelle delle legge. Per esempio poco fa, a proposito del commettere in-giustizia e del subirla, mentre Polo parlava del pi brutto secondo la legge, tu hai prose-

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    1. Per giustificare il diritto del pi forteCallicle fa appello, da una parte, aquanto avviene nel mondo animale e,dallaltra, a quello che noi chiamiamodiritto internazionale. Il diritto al quale cisi appella nei rapporti tra gli Stati permuovere una guerra di aggressione

    quello della forza: Callicle fa lesempiodelle spedizioni mosse dai re di Persiacontro la Grecia e contro gli Sciti,abitanti delle zone a sud della Russia.2. Il modello di uomo nel discorso diCallicle il tiranno, che infrange le leggi,stabilite convenzionalmente dai deboli

    per difendersi dalle prevaricazioni deipi forti, e simpadronisce del potere. Inquesta prospettiva Callicle intenderavvisare un precedente in Ercole einterpreta il nmos, di cui parla il poetaPindaro, nel senso di legge di natura.

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    guito il discorso riferendoti alla natura. Per natura pi brutto tutto ci che anche peg-giore, cio il subire ingiustizia, ma per legge lo il commettere ingiustizia. Questa situa-zione, il subire ingiustizia, non neppure da uomo: da schiavo, per il quale megliomorire che vivere e che quando soffre ingiustizie e oltraggi non pu difendere se stesson quelli che gli stanno a cuore. Quelli che stabiliscono le leggi sono, io credo, i deboli ei molti. In riferimento a se stessi e in vista del proprio utile, essi stabiliscono le leggi e di-stribuiscono le lodi e i biasimi. Per spaventare i pi forti, che sono capaci di prevalere, eimpedire loro di prevalere su di essi, dichiarano che brutto e ingiusto il prevalere e cheil commettere ingiustizia consiste appunto nel cercare di avere pi degli altri; dal canto lo-ro, essendo pi deboli, si accontentano delluguaglianza.

    Per questi motivi si dichiara ingiusto e brutto per legge ogni tentativo di prevalere sullamaggioranza: questo lo chiamano commettere ingiustizia. Ma la natura stessa, credo, di-mostra che giusto che il migliore abbia pi del peggiore e il pi potente del meno po-tente. Essa ci mostra che cos ovunque, presso gli animali e gli uomini, in tutte le citt enelle famiglie: si giudica giusto che il migliore comandi sullinferiore ed abbia di pi. Aquale diritto Serse si appell quando fece una spedizione contro lEllade o suo padre con-tro gli Sciti?1 Migliaia di casi simili si potrebbero citare. Costoro, credo, compiono questeazioni in conformit alla natura del giusto e, per Zeus, in conformit alla legge di natura,anche se forse non in conformit alla legge che noi stabiliamo. Noi plasmiamo i migliori ei pi forti tra noi, prendendoli da giovani, come leoncini, e con incantesimi e stregoneriece li asserviamo, dicendo loro che bisogna attenersi alluguaglianza e che questo il bel-lo e il giusto. Ma, credo, se nasce un uomo con una natura dotata, egli si scuoter di dos-so, spezzer e rifiuter tutto ci e, dopo aver calpestato i nostri scritti, i nostri sortilegi, inostri incantesimi e tutte le nostre leggi contrarie alla natura, insorgendo, da nostro schia-vo si mostrer nostro padrone, e qui risplender il diritto della natura2. A me pare che an-che Pindaro dimostri le stesse cose nel canto in cui dice:

    la legge regina di tutti,dei mortali e degli immortali;

    questa legge, egli dice,

    giustificando la violenza,guida con mano sovrana: ne ho la provadalle imprese di Eracle, perch senza pagare...

    Si esprime pressappoco cos (non so il canto a memoria): dice che Eracle si port via ibuoi di Gerione senza pagare e senza averli avuti in dono, convinto che questo fosse il di-ritto naturale, che i buoi e tutti gli altri averi dei pi deboli e degli inferiori appartenesse-ro al migliore e al superiore.

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    1. Lo stato di natura contrassegnatodalla violenza e dai conflitti. Esso dunque una condizione negativa, dallaquale gli uomini devono uscire: solo leleggi permettono questa transizione, ma

    anchesse da sole risultano insufficienti agarantire pienamente una convivenzaordinata.2. La societ pu sopravvivere soltantosulla base di una menzogna (lesistenza

    degli di, capaci di cogliere anche leingiustizie nascoste, che sfuggono agliuomini), presentata come se fosse laverit: la verit autentica mascheratada un racconto fittizio.

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    Nella seconda met del V secolo si diffonde linteresse per i moventi che pos-sono aver indotto gli uomini ad associarsi e a dar vita al mondo delle attivit tec-niche, delle leggi e della stessa religione. Mentre per alcuni, come Prodico diCeo, gli di non sono altro che personaggi divinizzati per le loro invenzioni o en-tit rivelatesi particolarmente utili per gli uomini, per un aristocratico come Cri-zia gli di sono stati inventati da qualche individuo particolarmente scaltro per in-cutere paura agli uomini e quindi come strumento di dominio politico.

    T132 Crizia: lorigine della religioneIn Sesto Empirico e nella tradizione dossografica sono citati alcuni versi (trimetrigiambici) tratti da un dramma satiresco intitolato Sisifo. Mentre nella tradizionedossografica essi sono attribuiti a Euripide, per Sesto sono versi di Crizia, menzionatocome uno dei sostenitori di una forma di ateismo: quasi sicuramente correttalattribuzione di Sesto. La riprovazione morale della figura di Crizia dovette influire sullacircolazione delle sue opere, sicch alcune sue tragedie finirono per conservarsi nelcorpus delle opere di Euripide. I versi sono pronunciati da Sisifo e questo in qualchemodo preserva dallattribuzione immediata delle tesi enunciate in essi allautore dei versistessi. La religione appare qui come unistituzione umana successiva nel tempo allastatuizione di leggi positive: essa consente di esercitare un controllo anche sui possibilireati nascosti e in questo senso diventa garante dellordine sociale. La religione in talsenso interpretata non come un fenomeno collettivo, bens come frutto di iniziativaindividuale, la quale sfrutta il timore degli uomini per i fenomeni atmosferici.

    Crizia Frammenti, 29

    Tempo ci fu, quando disordinata era la vita degli uomini, e ferina, e strumento di violen-za, quando premio alcuno non cera pei buoni, n alcun castigo ai malvagi1. In seguito,parmi che gli uomini leggi punitive sancissero, s che fosse Giustizia assoluta signora [egual-mente di tutti] e avesse ad ancella la Forza; ed era punito chiunque peccasse. Ma poi, giac-ch le leggi distoglievan bens gli uomini dal compiere aperte violenze, ma di nascosto lecompivano, allora, suppongo [dapprima] un qualche uomo ingegnoso e saggio di menteinvent per gli uomini il timor [degli dei], s che uno spauracchio ci fosse ai malvagi an-che per ci che di nascosto facessero o dicessero o pensassero. Laonde introdusse la di-vinit sotto forma di demone, fiorente di vita imperitura, che con la mente ode e vede, econ somma perspicacia sorveglia le azioni umane, mostrando divina natura; il quale de-mone udir tutto quanto si dice tra gli uomini e potr vedere tutto quanto da essi si com-pie. E se anche tu mediti qualche male in silenzio, ci non sfuggir agli dei; ch troppa la loro perspicacia. Facendo di questi discorsi, divulgava il pi gradito degli insegnamen-ti, avvolgendo la verit in un finto racconto2. E affermava gli dei abitare col, dove po-nendoli, sapeva di colpire massimamente gli uomini, l donde sapeva che vengono gli spa-

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    T132T133

    3. Chi parla Sesto Empirico, cheriporta i versi.

    1. Il principio dellaggregazione delsimile col simi le vale sia in ambito fisico,

    sia allinterno del mondo animale. verosimile che per Democrito valesseanche per la formazione delle societumane.2. Limitazione riguarda non soltanto il

    canto, ma la gamma delle tecniche piimportanti; essa presiede alla loroformazione. Di qui si generer la notadottrina, fatta propria anche daAristotele, dellarte (tchne) che imita la

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    venti ai mortali e le consolazioni alla lor misera vita: dalla sfera celeste, dove vedeva es-serci lampi, e orrendi rombi di tuoni, e lo stellato corpo del cielo, opera mirabilmente va-ria del sapiente artefice, il Tempo; l donde savanza fulgida la massa rovente del sole, don-de lumida pioggia sovra la terra scende. Tali spaventi egli agit dinanzi agli occhi degliuomini, e servendosi di essi, costru con la parola, da artista, la divinit, ponendola in unluogo a lei adatto; e spense cos lillegalit con le leggi.

    E poco oltre aggiunge3:Per tal via dunque io penso che in principio qualcuno inducesse i mortali a credere che

    vi sia una stirpe di dei.

    Per Democrito invece la credenza nellesistenza degli di non ha una valenzapolitica, ma trae la sua origine dalla paura provata dagli uomini di fronte allim-ponenza dei fenomeni atmosferici e meteorologici. Egli ritiene che la formazionedelle societ umane consista nellaggregazione del simile con il simile e ravvisanelle leggi gli strumenti per preservare dalla discordia e dai conflitti sociali e for-se in questo senso sembra preferire la democrazia alla tirannide.

    T133 Democrito: la nascita della societ e della culturaAlcuni frammenti di Democrito attestano il suo interesse per il problema delle originidelle istituzioni e della cultura delle societ umane, incluse le tecniche, le leggi e lareligione. Egli ravvisa nel mondo animale una fonte di insegnamenti per gli uomini, cheinventano le tecniche imitando procedure impiegate anche dagli animali. Al tempo stessoconcepisce la societ come il risultato di aggregazioni di elementi simili, analoghe a quelleche intercorrono tra gli atomi.

    Democrito Frammenti, 164, 154, 33, 30

    Anche gli animali si raggruppano coi loro simili, come colombi con colombi, gru con gru,e cos via per tutti gli altri esseri privi di ragione; parimenti accade per gli esseri inanima-ti, come possibile vedere nei semi che vengono passati al vaglio e nei ciottoli sulle spiag-ge; infatti, qui per il vortice prodotto dal vaglio si dispongono separatamente lenticchie conlenticchie, orzo con orzo e frumento con frumento, l per il movimento dellonda i ciotto-li oblunghi vengono spinti nel medesimo luogo degli altri oblunghi, quelli rotondeggiantinel luogo degli altri rotondeggianti, come se la somiglianza avesse il potere di raccogliereinsieme le cose (fr. 164)1.

    Noi siamo stati discepoli delle bestie nelle arti pi importanti: del ragno nel tessere e nelrammendare, della rondine nel costruire le case, degli uccelli canterini, del cigno e dellu-signuolo nel canto, con limitazione (fr. 154)2.

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  • La citt e le leggi 733

    T133T134

    natura T54. In questo frammento diDemocrito la natura rappresentatadagli esseri viventi diversi dalluomo, chetuttavia sono portatori di capacit

    tecniche.3. Per un rapporto analogo tra nmose natura T107.4. Anche qui, come in Crizia T132,

    la religione considerata uninvenzioneumana, ma in Democrito non comparela tesi che essa sia uno strumentoescogitato per impedire le ingiustizie.

    CAMBIANO-MORI 2011, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI

    La natura e leducazione sono assai simili: perch leducazione trasforma luomo e trasfor-mandolo ne costituisce la natura (fr. 33)3.

    Alcuni pochi tra gli uomini sapienti, levando le mani verso lalto, dove noi Greci ora di-ciamo essere laria, [dicono]: Tutto delibera Zeus seco stesso e sa tutto, ed egli dona e to-glie, ed signore su tutte le cose (fr. 30)4.

    T134 Democrito: il conflitto e le leggiPer Democrito la legge uno strumento introdotto dagli uomini per impedire leingiustizie reciproche. Essa pu quindi avere efficacia soltanto se c consenso da partedei cittadini nellobbedire a essa, in caso contrario insorge la stsis, il conflitto civile,rovinoso per tutte le parti in lotta. Se lingiustizia non si generasse tra gli uomini, le leggisarebbero inutili e ciascuno potrebbe vivere in piena libert: la libert , dunque, perDemocrito valore primario e in questo senso preferibile la forma politica chemaggiormente la garantisce, ossia la democrazia.

    Democrito Frammenti, 245, 248, 249, 251

    Le leggi non ci impedirebbero di vivere ciascuno con tutta la propria libert, se gli uomi-ni non si danneggiassero lun laltro; infatti linvidia che suscita la discordia (fr. 245).

    La legge ha lintento di procurare vantaggio allesistenza degli uomini; ma pu procurarlosoltanto quando gli uomini stessi vogliano adattarsi alle condizioni vantaggiose; ed infattila legge mostra la propria efficacia a coloro che accettano di obbedirla (fr. 248).

    La guerra civile dannosa alluna e allaltra delle parti in lotta: perch ugualmente unarovina pei vincitori e pei vinti (fr. 249).

    La povert sotto un governo democratico tanto preferibile al cosiddetto benessere cheoffrono i governi tirannici, quanto da preferirsi la libert alla servit (fr. 251).

    Per un pitagorico come Archita, contemporaneo di Platone, invece il calco-lo lo strumento che permette di risolvere i conflitti, in particolare quello tra ricchie poveri.

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  • Come vivere?734

    T135T136

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    T135 Archita: il conflitto e il calcoloNella prospettiva di Archita, direttamente coinvolto nellattivit di governo della suacitt, il calcolo appare anche lo strumento fondamentale per dirimere i conflitti tra ricchie poveri ed effettuare correttamente le transazioni commerciali. Il calcolo dunque unmezzo privilegiato per raggiungere la concordia tra i cittadini. La scoperta di esso apparedunque ad Archita un momento decisivo nella vicenda degli uomini; ma questa scopertanon stata casuale, frutto di ricerca, che una delle vie fondamentali per pervenirealla conoscenza. Laltra via costituita invece dallapprendimento di ci che ci vienetrasmesso da altri. Una volta scoperto, il calcolo deve essere trasmesso conlinsegnamento. Questa distinzione tra due modi di pervenire alla conoscenza, attraversola scoperta personale o per apprendimento da altri, presente anche nellacontemporanea riflessione platonica.

    Archita Frammenti, 3

    Bisogna che tu, o apprendendo da altri o trovando da te stesso, impari a conoscere le co-se che ancora non conosci. Sapprende da altri e con aiuto altrui, si trova da soli e con lesole proprie forze. Trovare senza cercare difficile e raro, trovare cercando facile e pron-to; ma, se non si conosce, cercare impossibile. La scoperta del calcolo ha fatto cessare lediscordie e ha accresciuto la concordia. Non possibile che ci sia sopraffazione da che es-so stato trovato; c invece parit. Per esso infatti ci accordiamo nelle relazioni daffari.Per mezzo suo i poveri ricevono dai ricchi e i ricchi dnno ai poveri, avendo fiducia e gliuni e gli altri di avere la parte loro. Il calcolo strumento di giudizio e impedisce i torti,trattenendo dalla colpa quelli che sanno contare, col mostrare che la loro colpa non ri-marr celata quando si ricorra ad esso; e impedisce del pari quelli che non sanno contare,mostrando che in esso fanno torto altrui (fr. 3).

    Ma oltre le norme e le leggi che regolano la vita dellintera societ o dei singoliindividui, incominciano a elaborarsi gi tra V e IV secolo a.C. anche codici di com-portamento professionale, il cui documento pi cospicuo per noi rappresenta-to dal cosiddetto giuramento di Ippocrate.

    T136 Ippocrate: il giuramentoSotto il nome di Ippocrate tramandato un breve scritto contenente il giuramentopronunciato dal medico che si avvia alla professione: il primo scritto di eticaprofessionale a noi noto. difficile determinare la data di composizione di esso, coscome non da escludere che sia il risultato di una serie di integrazioni successive.Decisamente arcaico il riferimento alla famiglia come luogo privilegiato di trasmissionedella professione; pi recente sembra, invece, una certa tendenza a rifiutare il ricorso allapratica chirurgica. Nellantichit, infatti, soltanto in et pi tarda la figura del medico siscinde da quella del chirurgo, una separazione che si protrarr sino allepoca moderna.Alcuni interpreti hanno voluto scorgere nel rifiuto della chirurgia la traccia del divieto

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  • I filosofi tra la citt e il cosmo 735

    T136

    1. NellIliade Asclepio un re tessalo,padre dei medici guerrieri Macaone ePodalirio. Verso la fine del VI secolo a.C.la sua figura viene deificata e il suo cultosi diffonde nel mondo greco in templi a

    lui dedicati; celebre quello di Epidauro.Verso il 420 a.C. tale culto entraufficialmente in Atene, pochi anni dopolepidemia di peste che aveva invaso lacitt. Per parecchio tempo i medici si

    chiamarono Asclepiadi, ravvisando inAsclepio il loro capostipite. Igea lapersonificazione della salute e Panaceaquella del rimedio universale, capace diguarire tutto.

    CAMBIANO-MORI 2011, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI

    pitagorico di spargere il sangue di esseri viventi. Cos come di sapore pitagorico anchela promessa di mettere i propri beni in comune con i propri maestri.

    Corpus Hippocraticum Il giuramento di Ippocrate

    Giuro su Apollo medico e su Asclepio e su Igea e su Panacea1, e su gli dei tutti e le dee,chiamandoli a testimoni, di tener fede secondo le mie forze e il mio giudizio a questo giu-ramento e a questo patto scritto. Riterr chi mi ha insegnato questarte pari ai miei stessigenitori, e metter i miei beni in comune con lui, e quando ne abbia bisogno lo ripagherdel mio debito e i suoi discendenti considerer alla stregua di miei fratelli, e insegner lo-ro questarte, se desiderano apprenderla, senza compensi n impegni scritti; trasmetter gliinsegnamenti scritti e verbali e ogni altra parte del sapere ai miei figli cos come ai figli delmio maestro e agli allievi che hanno sottoscritto il patto e giurato secondo luso medico,ma a nessun altro. Mi varr del regime per aiutare i malati secondo le mie forze e il miogiudizio, ma mi asterr dal recar danno e ingiustizia.

    Non dar a nessuno alcun farmaco mortale neppure se richiestone, n mai proporr untale consiglio: ugualmente non dar alle donne pessari per provocare laborto. Preserverpura e santa la mia vita e la mia arte. Non operer neppure chi soffre di mal della pietra,ma lascer il posto ad uomini esperti di questa pratica.

    In quante case entrer, andr per aiutare i malati, astenendomi dal recar volontariamenteingiustizia e danno, e specialmente da ogni atto di libidine sui corpi di donne e uomini, li-beri o schiavi. E quanto vedr e udir esercitando la mia professione, e anche al di fuoridi essa nei miei rapporti con gli uomini, se mai non debba essere divulgato attorno, lo ta-cer ritenendolo alla stregua di un sacro segreto.

    Se dunque terr fede a questo giuramento e non vi verr meno, mi sia dato godere ilmeglio della vita e dellarte, tenuto da tutti e per sempre in onore. Se invece sar tra-sgressore e spergiuro, mi incolga il contrario di ci.

    I filosofi tra la citt e il cosmoSocrate per Platone lesemplare del filosofo e insieme del miglior cittadino,sia perch mostra continua preoccupazione per il miglioramento dei suoi concit-tadini e quindi per il bene stesso della citt, sia perch si dimostra fedele alle leg-gi della citt, rifiutando di fuggire dal carcere dopo la condanna, pur essend