Figlio di una cagna

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Bruno Previtali, thriller. Martina, il suo matrimonio con Valerio e la misteriosa scomparsa del loro unico figlio, Riccardo, sulla quale grava la responsabilità della protagonista, che non sopportava la malattia (epilessia grave) del figlio. Ma a un certo punto anche lei scompare senza lasciare traccia. La storia scorre tra Bergamo, Milano e Cecina e attraversa momenti drammatici e sentimentali: il difficile rapporto di Martina con suo padre e quello più “facile” con i genitori di Valerio. La malattia del figlio sconquassa anche il rapporto coniugale tra Martina e Valerio, che incolpa la moglie di essere in qualche modo responsabile della sparizione di Riccardo. Ma il finale sarà destabilizzante anche per lui, oppresso da sensi di colpa per non aver fatto nulla per evitare la tragedia.

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In uscita il 30/10/2015 (14,00 euro)

Versione ebook in uscita tra fine novembre e inizio dicembre 2015

(3,99 euro)

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BRUNO PREVITALI

FIGLIO DI UNA CAGNA

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FIGLIO DI UNA CAGNA Copyright © 2015 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-6307-926-5 Copertina: Immagine Shutterstock.com

Prima edizione Ottobre 2015

Stampato da Logo srl

Borgoricco – Padova

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FIGLIO DI UNA CAGNA

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A Cecina splendeva il sole.

Martina percorreva le strade verso un’altura che si levava a poche centinaia di metri dalla casa degli zii. Era circondata da alberi, alcuni dall’aspetto austero, altri più giovani e lussureggianti. L’ambiente era invitante e distensivo. Appariva il luogo più idoneo per rigenerarsi nel corpo e nello spirito. I passi di Martina divennero più rapidi. Si affrettò attraverso le abetaie oscure come una foresta e raggiunse la cima dell’altura. La brezza l’accarezzava. Negli occhi la solitudine e nel cuore la pace di quel luogo isolato. Si sedette su un masso che sembrava essere stato messo lì apposta, posò lo zainetto per terra e, chiudendo gli occhi, offrì il viso al calore del sole. Dentro gli occhi chiusi trovò tutto quello che si era da poco lasciata alle spalle. Adesso che il mondo le si era riaperto davanti, voleva guardarlo con i suoi occhi limpidi e liberi. Lontana dai luoghi del suo fallimento, più vicina al cielo e al sole, Martina chiuse a chiave in un cassettino della mente le ostinate ansie e buttò la chiave. Si sentì più sicura di sé. Quando fece ritorno a casa, la zia Irene l’accolse con: «Hai il volto infuocato, Martina. Non hai messo la crema protettiva?»

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«Sì, l’ho messa, ma non subito, purtroppo m’è venuto in mente un po’ tardi.» «Ho una crema idratante per le scottature, te la vado a prendere» e così dicendo Irene corse. Gliela spalmò delicatamente sul volto. La brezza diffondeva nell’aria gli aromi e gli odori caratteristici delle località di mare. Martina ne approfittò per andare ancora in spiaggia a Marina di Cecina. Quella vacanza era capitata in un momento particolare della sua vita, era diventata la sua destinazione preferita. Oramai andava solamente là e il suo corpo sembrava essersi rivestito di pelle di luna. L’abbronzatura la rendeva ancora più bella. Quel tardo pomeriggio, quando andò a prendere l’auto per tornare a casa, la trovò serrata tra altre, così incastrata che Martina non sapeva proprio come uscire. Era chiusa da ogni lato, sembrava quasi che qualcuno l’avesse fatto apposta per impedirle di uscire dal parcheggio. Dubitava fortemente di potercela fare a uscire, ma ciò nonostante salì in auto, quasi che volesse sfidare se stessa e la sorte. Mise in moto e cominciò a manovrare con delicatezza su frizione, acceleratore e freni. Non riusciva a spostarsi che di pochissimi centimetri, non riusciva a fare manovre, non riusciva a fare niente e, intanto, continuava a mordersi il labbro inferiore per l’ansia e la rabbia, fino a farlo sanguinare. Avvertì il sapore del sangue e, in uno scatto di nervosismo, il piede sinistro le scivolò sulla frizione. La sua auto andò a sbattere con violenza contro quella parcheggiata davanti. Più nervosa che mai, Martina scese per andare a controllare i danni. Constatò che i paraurti erano schiacciati. Si guardò attorno per vedere se qualcuno la stesse osservando, ma non c’era nessuno che si preoccupasse di lei.

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Ognuno tirava dritto per la propria strada. Guardò l’orologio. Si passò nervosamente le mani tra i capelli e si sistemò i calzoncini corti di jeans che lasciavano scoperte le belle gambe abbronzate. Risalì in auto per tentare di nuovo di uscire da quella imbarazzante situazione. Ma era impossibile. Se non ci fosse questa maledetta Mercedes qui davanti, pensava. Non sapeva più cosa fare. Quando i suoi occhi si posarono di nuovo sul danno che aveva arrecato proprio a quell’auto. Prese dallo zaino carta e penna e cominciò a scrivere un biglietto da mettere sotto il tergicristalli della Mercedes. Non aveva ancora terminato di scrivere, quando percepì che qualcuno si era avvicinato e la stava guardando. Martina alzò lo sguardo e vide un giovanotto che stava controllando il paraurti della Mercedes. Pensò che fosse il proprietario. Scese dalla sua auto e gli domandò: «È tua?» «Sì, cos’hai combinato?» l’apostrofò lui subito duro e arrabbiato per l’ammaccatura che aveva visto sul paraurti. «Guarda come mi avete chiusa dentro?!» si lamentò Martina per giustificarsi. «Non è una buona ragione per rovinare la mia auto!» le rispose malamente lui. «Cosa potevo fare?» «Aspettare!» «Aspettare chi?» «Che arrivasse qualcuno per spostarsi!» «Adesso sei arrivato tu, spostati!» le uscì inaspettatamente da bocca a Martina, molto risentita e alterata. Quello la squadrò da capo a piedi e poi l’apostrofò con lo stesso tono: «Tu devi essere fuori di testa! Se non fossi arrivato, saresti scappata senza lasciare i tuoi dati! Tira fuori una constatazione amichevole! E cerca di farla essere tale!»

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«Non sarei affatto scappata! Stavo scrivendo i miei dati per metterli sotto il tuo tergicristallo! Eccoli!» sillabò lei sbattendogli il biglietto sotto il naso. Martina cercò di controllare il suo risentimento. Andò in auto a cercare la constatazione amichevole, ma non la trovò. Scese dicendo: «Non ce l’ho.» Il ragazzo andò a cercarla nella sua, e, trovatala, cominciò a compilarla nella parte di sua competenza. In attesa, Martina si era appoggiata alla sua auto, le mani conserte, stizzita per l’accaduto. Attendeva. Fingeva di non guardare cosa stesse facendo quello, ma con la coda dell’occhio lo controllava. Lui, dopo aver compilato la sua parte, chiese la patente a Martina per compilare anche la parte che competeva a lei. Lei gliela diede con stizza, senza guardarlo. «Martina, bel nome», esclamò con molto meno astio di prima, poi aggiunse: «Ah, sei nata a Bergamo.» Lei, molto fredda e distaccata, non rispose. «Sei qui in vacanza?» «Sì, dai miei zii.» «Anch’io sono qui in vacanza, ma in hotel, sono di Milano, siamo abbastanza vicini… Valerio, piacere», aggiunse infine allungando la mano destra per chiedere quella di Martina. Lei, sorpresa, attese un attimo, ma poi gliela strinse sussurrando il suo nome con un tono di voce pacato. Valerio smise di compilare la constatazione amichevole, preferì, almeno per quei momenti, parlare un po’ con Martina. «Ti fermi per molto?» le domandò. «Finché mi va.» «Io invece dovrò rientrare presto per lavoro.» «Io non ho quel problema.» «Sei in cerca di lavoro?» le domandò lui a costo di apparire curioso e invadente.

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«Ci penserò quando rientrerò dalle vacanze. Tu che lavoro fai?» «Lavoro nella Concessionaria di auto Mercedes di mio padre.» Martina finalmente allentò la tensione che aveva accumulato e, abbozzando un impercettibile sorriso, guardò l’auto. «Adesso capisco perché giri con una Mercedes!» osservò. «È quella di rappresentanza», completò l’informazione lui. «Ah, avete anche questo genere di privilegi!» commentò Martina. Spiegazzando il modulo di constatazione amichevole che teneva ancora in mano, Valerio disse: «Beh, trattiamo Mercedes, non una marca qualsiasi.» Martina aveva in mente solo quel modulo. «Che fai?» Valerio cercò di stirare il modulo, ma rimase ugualmente spiegazzato. Allora lo strappò in quattro pezzi e andò a buttarlo in un cestino poco distante, sotto gli occhi sorpresi di Martina. «Ne hai un altro?» Sorridendole, Valerio: «Per niente», e andò ad appoggiarsi anche lui all’auto, accanto a lei. Incredula, Martina si fece seria, lo guardò negli occhi, li vide sinceri, abbozzò un sorriso. «Vuoi dire che non lo compiliamo più?» «No!» le rispose deciso lui. Martina fu pervasa dalla contentezza. «Te ne sono grata, anche perché l’auto non è mia», ostentando finalmente un volto più sereno. «Immagino sia dei tuoi zii», proseguì Valerio. «Esatto, ed ero in difficoltà per questo.» «Qualche difficoltà l’avrai comunque per giustificare l’ammaccatura della tua.» «Già, cercherò di fare del mio meglio. Ho commesso una stupidata.» «Capita», cercò di incoraggiarla lui.

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Martina lo guardò ancora negli occhi, mentre lui la guardava più che altro dalla cintola in giù e gli occhi riflettevano i suoi pensieri come uno specchio. Le disse: «Sei bella, abbronzata, a che bagno vai?» «Proprio questo di fronte», gli rispose lei indicandoglielo. «Posso farti compagnia d’ora in poi? Se non c’è nessun altro, ben intesi», le domandò lui cercando di mascherare il leggero imbarazzo che l’aveva fatto arrossire. Martina ostentò la sua femminilità. Quel ragazzo cominciava a piacerle. Lo rassicurò: «Non sono impegnata e avrei intenzione di rimanere tale ancora per un po’.» Valerio fu parzialmente tranquillizzato e osò qualcosa di più: «Non intendevo altro che per amicizia.» «Allora sì», gli concesse Martina. Valerio ringraziò, le diede appuntamento per il giorno successivo e poi aggiunse: «Aspetta che esco, così riesci a fare manovra.» Rientrata a casa, Martina trovò gli zii in apprensione per lei. «Come mai così tardi?» le domandò lo zio Mario. «Ho avuto un contrattempo, un piccolo incidente…» «Incidente?!» esclamò lui subito preoccupato. «Ti ho ammaccato l’auto, zio», gli confessò lei con fare dispiaciuto. «Cosa hai fatto?» le domandò lui, uscendo poi per andare a vedere, seguito dalla moglie e da Martina stessa. Mario, constatata l’ammaccatura sul paraurti anteriore, osservò: «È poca roba, m’hai fatto prendere uno spavento.» «Mi dispiace», si scusò Martina. La zia Irene cercò di sdrammatizzare: «Vorrà dire che dovrai lavare i piatti un mese intero per riparare ai danni.»

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Martina la guardò, la vide sorridente e percepì di essere stata perdonata. «Questo significa che dovrò rimanere qui ancora per un mese?» «Esatto!» confermò la zia. «Glielo dici tu a papà?» «Sì, ci penso io a quello!» Intanto lo zio Mario cercava qualcosa nell’auto. Uscì a mani vuote chiedendo a Martina: «Non avete compilato il modulo per la constatazione amichevole?» «No zio», gli rispose lei, «quello non ha voluto.» «E come facciamo a prendere i soldi dall’assicurazione?» si lamentò lui. «È stata colpa mia zio», gli disse Martina. Mario si passò le mani sulla faccia. «Ah!» poi si accovacciò davanti all’ammaccatura per guardarla meglio e più da vicino. «E quello, come fa a prendere i soldi dall’assicurazione?» «Ha rinunciato.» Mario si tirò su, la guardò incredulo, poi chiese spiegazioni. Martina: «È un bel ragazzo, e anche di famiglia bene», ammise candidamente. Mario sorrise. «Questo spiega tutto.» «È stato lui a stracciare il modulo, l’aveva quasi completato.» Irene intervenne per dare le sue spiegazioni. «Sarà rimasto fulminato da te!» Martina sorrise orgogliosa. «Credo di sì», confermò. Mario fece eco a tutt’e due: «Se son rose, fioriranno, guarda te il caso, alle volte.» Irene aggiunse: «Spero che un giorno tu possa ringraziare il cielo per questo incidente.» Ridendo, Martina: «Sarebbe la cosa più straordinaria ma anche più impossibile che mi possa succedere.»

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Mario, tranquillo: «Mai dire mai! Te lo auguro di cuore, anche se per un incidente.» Tutto finì con un abbraccio a tre. Valerio proseguiva a passi veloci sul lungomare. Guardò l’orologio e vide che era un po’ in ritardo all’appuntamento con Martina al bar del lido che lei frequentava. Era ansioso di arrivare in fretta da lei. Non si accorgeva delle persone che incrociava. I suoi pensieri, i suoi occhi, i suoi sentimenti erano tutti per Martina. Non pensava a un’avventura come altre volte prima, ma pensava invece a qualcosa di più e di diverso. Era rimasto stregato dalla naturalezza e dalla semplicità di Martina. «Ciao, scusa il ritardo», le disse appena arrivato al bar del lido. «Figurati», lo perdonò lei regalandogli un sorriso solare. «Cosa prendiamo?» chiese Valerio. «Io prendo cappuccino e brioche.» «Io sono abituato a prendere succhi di frutta, ma voglio farti compagnia.» «Vuoi dire che intendi seguirmi e condividere le mie abitudini?» «Sì, e spero che tu me lo consenta.» Martina aveva capito. Mentre faceva colazione, si sentiva addosso i suoi occhi, che sembravano volerle estorcere qualcosa. Le piaceva essere accarezzata dal suo sguardo, essere desiderata dal suo cuore in trepidazione, essere corteggiata da Valerio. Non voleva interrompere quel corteggiamento che sentiva sincero e profondo. E che lei si sentiva di accettare con gioia. Con la stessa sincerità di cuore, si sentiva di ricambiare i sentimenti che leggeva negli occhi di Valerio, tuttavia non voleva cedere facilmente, voleva studiarlo bene ed essere sicura. Finita la colazione, Valerio andò al banco per pagare. Poi tornò al tavolino. «Cosa facciamo?»

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Martina, raccogliendo il suo borsone: «Andiamo in spiaggia.» Lui la seguì e assieme presero l’ombrellone in prima fila che era assegnato a Martina. Prima di sdraiarsi al sole, lei gli chiese: «Ti va di fare una passeggiata?» «Certo», le rispose Valerio scattando in piedi come una molla. Con i suoi boxer neri e il corpo scolpito era un bel giovanotto. Ma ancora più bella e sensuale appariva Martina nel suo bikini bianco che ne esaltava l’abbronzatura. Lui non riusciva a staccare gli occhi e i pensieri da lei. Fatti pochi passi, Martina lo prese per mano senza chiederglielo né guardarlo. Valerio percepì chiara la risposta alle sue tacite domande e ne fu felice. Il calore racchiuso in quella stretta non esprimeva compiutamente tutti i sentimenti che si accavallavano nel cuore, ma era comunque il nodo che era stato allacciato. Avanzavano lentamente sulla sabbia bagnata, a testa bassa, ognuno immerso nei propri pensieri. Formavano una bella coppia ed era bello vederli passeggiare teneramente stretti per mano. Non si curavano di niente, né vedevano nessuno intorno a loro. Sembravano soli pur nella moltitudine che affollava la spiaggia. Il silenzio parlava ai loro cuori. Quella giornata si ripeté uguale eppur diversa per qualche giorno. Stavano vivendo momenti magici. Giorno dopo giorno, con quei passi mano nella mano, a Valerio sembrava di essersi già fidanzato. Sentiva che neppure Martina cercava soltanto un’avventura e si fece coraggio. Le si parò davanti costringendola a fermarsi, le strinse anche l’altra mano e disse: «Sono bastati pochi giorni per innamorarmi», mentre gli occhi gli s’inumidivano per l’emozione.

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Martina gli sorrise, il suo viso era raggiante per quella dichiarazione d’amore che non faceva altro che ribadire quanto aveva già capito. «Non dire altro Valerio», gli fece eco con voce tremula, «lasciamo che il tempo maturi questo meraviglioso sentimento.» Valerio era felicissimo. Martina gli aveva appena confessato di condividere le sue stesse sensazioni e ora lui poteva sperare, sognare. Ma quel bel tempo si stava tremendamente accorciando e Valerio sarebbe dovuto tornare a Milano. Quel pensiero si insinuò nella sua mente come una martellata su un prezioso vaso di cristallo. «Il mio tempo sta finendo, dopodomani dovrò tornare a casa», si rammaricò. Martina gli strinse le mani e lo guardò negli occhi. «Il tempo è infinito.» Valerio comprese tutto quello che lei gli voleva dire e la sua felicità riprese l’intensità che per un attimo si era affievolita per il timore di dover interrompere quel rapporto appena allacciato. «Posso dirtelo ancora?» Martina sorrise e annuì. «Ti amo, ti amo, ti amo», ripeté Valerio con gli occhi lucidi e la voce tremante. Martina lo tirò a sé e lo baciò per la prima volta sulle labbra. Valerio avrebbe voluto rimanere appiccicato a quelle labbra il più a lungo possibile, ma lei lo respinse dolcemente dicendo: «Questa è la mia risposta.» La mattina successiva Valerio tornò a casa, a Milano, pieno di sogni e di speranze. Martina invece si era seduta alla toilette della sua camera da letto. Un velo di tristezza era comparso sul suo volto, fino al giorno

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prima sorridente e solare. Si guardò allo specchio, si passò le mani sul viso come a voler scostare quel velo, ma esso vi rimase accostato come se fosse stato incollato dalla partenza di Valerio, pur sapendo che si sarebbero comunque rivisti. Mentre si stava spazzolando i capelli, sentì bussare alla porta. «Vieni», rispose lei. Chiedendo “posso?” entrò la zia Irene. «Ciao zia.» «Che faccia scura, Martina», esclamò lei sospirando. «Tormenti d’amore?» si permise poi confidenzialmente. «È partito stamattina», le confidò triste Martina. «Ma vi vedrete ancora, no?» «Ci siamo innamorati come due ragazzini. Valerio mi piace.» Le sue gote divennero un po’ più rosse. Si staccò dallo specchio, la bocca contratta in un dolce sorriso. Si spogliò del babydoll rosso che indossava per la notte e che le fasciava il corpo con la leggiadria della Primavera del Botticelli, e vestì i più profani indumenti da spiaggia. Sospirò profondamente e, prima di uscire, abbracciò la zia. Prese poi l’auto e andò al mare. Si rattristò quando vide che la sdraio di Valerio era vuota. Le sembrava di essere sola pur tra tutta quella gente che la circondava. Guardò il mare increspato da una brezza leggera, poi tolse gli hot pants di jeans e la canotta, rimanendo in costume. Si mise gli occhiali da sole e partì per la solita passeggiata. Ma da quella volta non stringeva più la mano di Valerio, bensì soltanto il suo cellulare. Guardava i piedi avanzare lenti nella sabbia bagnata, mentre i pensieri erano tutti sulla strada per Milano. Poco dopo squillò il telefonino. Quando vide che era Valerio, i suoi occhi si illuminarono. «Ciao, sei già arrivato?» gli chiese. «Sì, ho trovato poco traffico. Come va lì?» «Male», le uscì spontaneamente da bocca.

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«Perché?» le domandò subito preoccupato Valerio. Martina ebbe un attimo di esitazione, ma si riprese subito. «Perché non ci sei tu.» «Vorrei tornare giù.» «Io invece vorrei venire su.» «Avevi detto che le tue vacanze le facevi durare il tempo che volevi tu. Quindi.» Martina comprese l’invito implicito in quelle parole. «Vuoi che venga a casa anch’io?» gli domandò. «Sì, ma non vorrei per questo rovinarti le vacanze.» «No Valerio, non sentirti in colpa, ho voglia di venire a casa.» «Sei un amore», le professò di nuovo lui. «Se non per stasera, domani sarò a casa», decise Martina. «Fammi sapere quando arrivi», la invitò lui. «Va bene, ci sentiamo», concluse lei. «Ciao amore», chiuse anche Valerio. Martina fece dietro-front e tornò al suo ombrellone con passo deciso. Si rimise gli hot pants e la canotta, raccolse le sue cose e tornò a casa dagli zii. «Cosa è successo?» le domandò subito preoccupata e accigliata la zia Irene. «Niente zia», la tranquillizzò Martina. Così dicendo si diresse verso la sua stanza, seguita come un’ombra dalla zia. «Scusami Martina, non vorrei essere invadente, ma mi vuoi spiegare?» le domandò di nuovo la zia Irene. Martina capì che si stava comportando in modo poco rispettoso e si affrettò a riprendersi: «Scusa zia… torno a casa…» Timorosa di aver provocato lei quella decisione della nipote con qualcosa che non doveva fare o dire, Irene volle sapere: «Spero che non sia per colpa mia.» Martina si girò verso di lei. «No zia, tu non c’entri per niente.»

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Irene tirò un grosso respiro di sollievo. «Torni a casa per lui?» Martina la guardò di nuovo negli occhi e accennò più volte che sì. «Ah, l’amore!» commentò Irene, ora più serena. «Sai zia, rimarrei volentieri, se non ci fosse lui, ma ora che c’è, preferisco stargli vicino.» «Eh, ti capisco.» Martina andò ad abbracciarla forte. L’abitazione di Valerio era nella prima periferia di Milano. Una villa immersa nel verde e circondata da piante di alto fusto. All’interno della recinzione, una siepe alta e spessa la nascondeva alla vista. Se non ci fosse stata la struttura abitativa, poteva sembrare un parco o un boschetto piuttosto che la periferia di una grande metropoli. La struttura era bassa e semplice, costituita soltanto da un piano terreno e da quello interrato, circondata da un lungo portico formato da archi bassi, con il soffitto di legno sotto il quale si aprivano le porte. I pilastri di mattoni rosso vermiglio erano ricoperti di edera. Le tegole del tetto erano opache e scure con striature di color verde marcio che assomigliavano a muschio, il che donava un tocco di naturale ed ecologico alquanto fuori luogo e fuori tempo in una città moderna. Il lungo viale lastricato con pietra grezza assomigliava a un’antica strada romana. Martina lo percorse tenendo lo sguardo verso terra per non inciampare nelle larghe fessure. Le porte di casa erano tutte chiuse. Quella principale, in fondo al viale, era l’unica che aveva un secondo campanello oltre a quello del cancello d’ingresso. Ma prima che lei lo suonasse la porta si spalancò come d’incanto e apparve Valerio, raggiante in volto. Si buttarono una nelle braccia dell’altro senza dire una parola. Per loro, in quei momenti intensi e cercati, parlavano i cuori e i gesti.

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«È una villa splendida», esclamò Martina dopo essersi staccata quasi a forza dalla stretta con cui lui la teneva avvinghiata. «Te la farò vedere dopo, adesso entra, ti aspettavo con ansia.» Martina entrò in casa guardandosi in giro con curiosità e discrezione. La cura e la bellezza che aveva visto fuori, dentro erano ancora più accentuate. Un bel segno distintivo. Lui, intanto, la stava squadrando dai piedi salendo pian piano fino ai suoi occhi, e, quando li incrociò, le sorrise. Dentro, nel più profondo, si sentiva sciogliere come neve al sole. Più la guardava, più si compiaceva per tanta bellezza e naturalezza, e l’ammirava. Si scosse dal torpore, perché l’aveva lì davanti ai suoi occhi. «Vieni, siediti, abbiamo tante cose da dirci», la invitò. Martina si sedette sul divano di pelle nera. Posò la borsa per terra e scosse la testa per scomporsi un po’ i capelli. Filtrati dai rami degli alberi del giardino, i raggi del sole disegnavano spazi di luce e strani disegni sul pavimento, quasi che volessero reggere il confronto con la sua bellezza o, invece, soltanto vellutarla ed esaltarla. Non voleva rivelarglielo, ma dentro anche lei sentiva di amarlo davvero. Era un sentimento profondo e sincero che cercava di tenere, per quel che le era possibile, ancora gelosamente privato. Incantato, con il cuore palpitante di felicità, Valerio le si era accomodato accanto. Improvvisamente, apparve la madre di lui. Bibiana era una donna che teneva molto alla cura della propria persona e della casa, e si vedeva, anche per il fatto che dimostrava meno dei suoi anni. Con portamento signorile e con fare amichevole si avvicinò. Si presentò a Martina. «Adesso capisco perché l’hai stregato.» Martina si compiacque. Mentre Valerio, rivolto alla madre, esclamò: «Visto?»

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Martina si compiacque più di prima, ma cercò di frenare. «Mi auguro che non sia soltanto un abbaglio.» «Conosco mio figlio e ti posso dire che quello che è tornato dalle vacanze non è più lui, qualcosa l’ha cambiato, per fortuna in meglio, e credo che sia stato proprio l’incontro con te. Se penso a come è avvenuto, mi viene da ridere.» Martina guardò Valerio negli occhi, poi si rivolse alla signora Bibiana. «Lo stesso vale per me.» «Ora scusatemi, ma devo proprio andare», terminò con rammarico. «Papà dov’è?» le chiese Valerio mentre sua madre stava andando. «È sceso in garage per prendere l’auto.» «Ah, eccolo!» esclamò Valerio vedendolo arrivare. Vittorio entrò in casa. Era in giacca e cravatta e ostentava autorità e serietà. «Ciao», disse a tutti, andandosi a presentare, nel contempo, a Martina. Poi continuò: «Valerio mi ha detto un gran bene di te.» «Andiamo che è tardi», disse la signora Bibiana rivolgendosi al marito. Vittorio, guardando l’orologio: «Avremo tempo per conoscerci», disse rivolto a Martina, quasi a scusare la sua fretta. Poi se ne andò con la moglie. Rimasti soli, Martina disse a Valerio: «Troppo gentili i tuoi nei miei confronti. Sono andati in concessionaria?» «Sì, e dovrei andare anch’io, ma ci andrò dopo», sottolineando con un tono di voce più forte le ultime parole. «Dopo che?» Valerio la baciò sulle labbra stringendola forte. «Dopo!» Martina, fattasi subito seria: «Adesso quindi.» Ma non riuscì a rimanere seria come avrebbe voluto e scoppiarono a ridere come ragazzini dispettosi. «Vai a casa o vieni con me?» le domandò lui.

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«È meglio che vada a casa.» «Hai qualcosa di urgente da fare?» «No, soltanto che mi sembra prematuro e invadente.» «Per niente», si affrettò a tranquillizzarla lui. «Cosa diranno i tuoi? Ma soprattutto, cosa penseranno?» chiese Martina. «Le loro risposte sono nelle parole che ti hanno detto poco fa.» Martina fece un cenno d’intesa e prese la sua borsa. «Andiamo allora.» Si accomodò sulla Mercedes di Valerio. Era la sua prima volta. L’auto salì la rampa che dal garage portava sul vialetto, si arrestò giusto il tempo per permettere a Valerio di chiudere il garage col telecomando e poi ripartì per uscire. Le foglie della siepe formavano un fitto schermo che non lasciava filtrare lo sguardo. Come Valerio, anche Martina guardava verso il cancello, che lui aveva già azionato col telecomando per aprirlo. L’auto indugiò un attimo sul cordolo di collegamento tra il marciapiede e la strada, Valerio guardò a destra e a sinistra prima di dare gas e immettersi sulla carreggiata. Martina stava comodamente sprofondata nel sedile in pelle di color rosso amaranto come su una poltrona di casa. Le sembrava di essere una principessa in giro con il suo autista personale sull’auto di rappresentanza del nobile casato. Il pieno rigoglio estivo del giardino di casa di Valerio era scomparso in fretta alla vista per lasciare il posto a qualche vecchio albero che sembrava stanco di vivere tanto era soffocato dal cemento e dal traffico. Lo smog cominciava a bruciare la gola. Più l’auto avanzava più aumentava il cemento e diminuiva il verde. Un viavai frenetico e chiassoso, regolato da semafori che costringevano a fermarsi e ripartire ogni poche decine di metri.

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Viali lunghissimi che sembravano gallerie senza volte, racchiusi tra file di palazzi per lo più anneriti dal tempo e dallo smog. Sopravvissuti al loro tempo, i tram su ferrovia passavano con gran rumore di ferraglia. Auto parcheggiate su ogni lembo di terra disponibile. Non c’era spazio non sfruttato. Un’infinità di insegne, cartelli, tabelloni pubblicitari che era impossibile leggere tutti. Colpi di clacson che facevano voltare la testa. Più ci si avvicinava al centro città, più si vedevano edifici storici accostati a quelli più moderni, creando un contrasto brutto a vedersi. L’omogeneità non è la prerogativa delle metropoli, constatava Martina. «Ci fermiamo per prendere un caffè?» «Sarebbe la mia prima volta in centro a Milano», esclamò contenta e divertita Martina. Valerio cercò un posto libero per parcheggiare. Poi, mano nella mano, andarono al bar da lui abitualmente frequentato. «Buongiorno Valerio», lo salutò amichevolmente, infatti, il barman vedendolo entrare. «Ciao, siamo in due oggi», gli rese il saluto lui. «Vedo. E permettimi, che compagnia.» Martina sorrise. Le era subito diventato simpatico quel giovanotto. Mentre Valerio ironizzò: «Non farti venire brutti pensieri.» Il barman sorrise. La confidenza con Valerio era tale che si permise ancora: «No, anzi, sono dei pensieri bellissimi.» Per un attimo Martina ebbe uno scatto civettuolo, ma si riprese subito. Mentre Valerio, invece: «Lasciamo perdere. Facci un caffè.» Il barman si affrettò a farlo. Porgendo a Martina il suo, le chiese: «Liscio?» «Un goccio di latte per cortesia», rispose lei aprendo bocca per la prima volta.

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Preso il bricco, lui glielo versò. «Sei un po’ in ritardo oggi», disse poi a Valerio. Lui ironico: «Tu preferiresti andare a lavorare?» indicando, con un leggero movimento del capo, Martina. «Assolutamente no!» concordò lui guardandola. «Ecco giustificato il mio ritardo.» «Come ti capisco!» ancora molto ironico il barman. «D’ora in poi sarà sempre così?» «Solo quando ci sarà anche lei.» Il barman, soddisfatta la sua curiosità, invece incalzò: «Mi auguro che la sua presenza diventi fissa il più presto possibile.» Martina si gongolava sempre più, ma non aveva ancora la confidenza necessaria per intromettersi in quel divertente scambio di battute. Così rimase in silenzio ad ascoltare, ma senza perdersi nulla di quello che le avveniva intorno. «Me lo auguro ancora di più io», gli fece seguito Valerio guardando negli occhi Martina. L’espressione delle loro facce era eloquente. Risalirono in auto e raggiunsero la concessionaria Mercedes di famiglia. Vittorio e Bibiana rimasero un po’ sorpresi per la presenza di Martina, ma non affatto scontenti. Anzi, l’accolsero con cortesia, segno che lei li aveva conquistati non soltanto con la sua bellezza fisica, ma soprattutto per le qualità e le virtù che lei sembrava possedere. Scherzando, ma non troppo, Vittorio disse a Valerio: «Per oggi prenditi pure tutto il tempo che ti occorre per farle vedere l’azienda.» «Se c’è qualcosa di urgente da sbrigare, dimmelo», lo invitò lui. «Anche se ci fosse, ci arrangeremo», lo tranquillizzò suo padre.

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«Andiamo, ti faccio vedere l’azienda», disse allora Valerio a Martina. Alla fine, positivamente impressionata, lei commentò: «Gran bella azienda! Non pensavo fosse così grande e così ben organizzata.» Valerio le ricordò: «Stiamo parlando della signora Mercedes!» Martina si rispolverò le poche cognizioni in merito al settore auto e non trovò motivo per non concordare. «Non me ne intendo molto di automobili, ma se devo giudicare da quello che ho visto e mi hai detto, e soprattutto dall’auto con la quale mi hai accompagnata qui, beh, allora devo ammettere che, almeno per ora, sono le migliori che ho visto in circolazione.» Valerio sorrise e, da intenditore, aggiunse: «Escluse ovviamente le fuoriserie, tipo Ferrari, Porsche, Maserati, Jaguar e compagnia bella, anche se oggi noi non siamo più tanto lontani. La Mercedes ha raggiunto un livello che può competere ormai con questi prestigiosi marchi.» Martina si limitò a prendere atto. Non aveva elementi né conoscenze per sostenere un dibattito sull’argomento. Verso sera, Martina tornò dai suoi a Bergamo. Ma quella che era tornata a casa non era più la Martina che era andata in vacanza a Cecina per riprendersi dal fallimento del matrimonio e dalla disgrazia che l’aveva colpita quasi due anni addietro. Anche casa sua le appariva diversa, sotto un’altra prospettiva, eppure nulla era cambiato. Lo zerbino davanti alla porta d’ingresso, la cassapanca di legno intarsiato vicino al corridoio, l’orologio a pendolo che diffondeva il suo ritmo metallico sempre uguale… erano sempre al loro posto.

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In quel momento apparve sua madre. «Ciao Martina, tutto bene?» «Bene», rispose lei abbracciandola. «Mi sembrava d’aver capito che volessi rimanere più a lungo, ma poi la zia Irene mi ha detto che hai preferito tornare a casa.» Martina si giustificò con la prima cosa che le venne in mente. «Mi annoiavo, là da sola.» Cecilia non aveva motivo per non crederle. «Dov’è papà?» le chiese Martina. «Nel suo nascondiglio.» «Vado a salutarlo.» Bussò alla porta del suo studio ed entrò. Quando lui la vide, esclamò entusiasta: «Oooh, Martina!» e accorse per abbracciarla. La tenne stretta a lungo, carezzandola sulla schiena. «Finalmente sei tornata. Siediti.» «Sono stanca, papà», cominciò a mettere le mani avanti lei. «Non mi racconti niente?» «Scusami, ma sono troppo stanca stasera», si giustificò lei corrugando la fronte. Gregorio non sopportava di vederla stanca e triste. «Vai pure, cara, ci sarà tutto il tempo per raccontarmi.» Ne seguì l’uscita dal suo studio con sguardo affettuoso. Martina poi bussò e sbirciò dentro la stanza del fratello Dario dicendo affettuosamente: «Ciao rompi.» Lui le rispose a tono: «Sei già tornata?! Sono uno sfigato! Non potevi rimanere ancora là per qualche anno?!» «Di’ la verità! Ti sono mancata, vero?» continuò a sfotterlo lei. «Talmente tanto che ho consumato tutte i miei soldi a comprare fazzoletti per piangere!» «Posso contribuire a sostenerne le spese?!» «Grazie sorellina! Comincia a lasciare qualcosa subito!» «Li ho in borsa», continuò a prenderlo in giro Martina.

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«Vai a prenderla.» Martina sorrise, poi chiuse la porta e andò via scuotendo la testa. «Ti ho messo la posta sulla scrivania», le disse sua madre vedendola ripassare. «Grazie», le fece eco Martina. «Vado, sono stanca.» Prese la borsa e la valigia e andò in camera sua, chiudendo dietro di sé la porta. Non vedeva l’ora di cambiarsi e di mettersi in pantofole. Se non fosse stato per la posta sulla scrivania e la messa in ordine, la stanza le sarebbe apparsa identica a come l’aveva lasciata. Era il nido in cui era cresciuta e che aveva ritrovato, che ora le sembrava ancora più intimo e accogliente e, soprattutto, più protettivo della sua privacy. Ora c’era Valerio e Martina sentiva maggior bisogno di privacy di quanto non ne avesse avuto prima. Si mise a suo agio. Passò la posta, curiosa, ma non trovò niente di interessante. Per lo più era pubblicità che solitamente buttava senza neppure guardare. Andò in bagno, accese la luce sullo specchio che, impietosa, illuminò un viso stanco e degli occhi spenti, bisognosi di riposo. Si fece la toilette, poi si rispecchiò. Ma il suo viso era rimasto opaco. “Ho proprio bisogno di riposo” si disse. Versò in un fazzoletto di carta un po’ di sali profumati e poi tornò in camera sua; li pose sul comodino come faceva frequentemente; si coricò e sprofondò nel mondo dei sogni. Arrivò settembre. Le vacanze volgevano al termine per tutti e, per Martina, era il momento di cominciare a ripensare il suo futuro. La situazione per lei non era più quella di prima. Qualcosa era radicalmente cambiato: aveva incontrato Valerio. Uscì per fare un giro in centro città e per riscaldarsi i pensieri. La tiepida brezza di settembre l’accarezzava dolcemente così come lei i suoi pensieri liberi. Sembrava una puledra liberata dalla

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cavezza. Perfino la sua città le appariva diversa, eppure era ancora quella di prima. Con le stradine tra antichi palazzi, con i viali tra edifici moderni, con l’incessante rumore del traffico, con lo smog che bruciava la gola. Con i lussuosi uffici del centro. Con una moltitudine di persone in giacca e cravatta che sembrava correre più che camminare, reggendo tutti una valigetta in pelle e tutti con l’aria da funzionario di multinazionale. Avanti e indietro, tanti per un senso e altrettanti per l’altro, chi andava a destra e chi a sinistra, ma tutti, prima di sera, sarebbero tornati indietro nella direzione contraria. Era la vita della città che Martina sembrava vedere per la prima volta. Uffici, bar, ristoranti, edicole, tabacchi, magazzini, negozi di ogni genere, qualche luogo di culto, fontane… Qualche gruppetto sul marciapiede che rallentava la corsa frenetica degli affaristi, qualcuno che passeggiava tranquillamente fumando una sigaretta, qualcun altro che si scambiava opinioni e litigi davanti ai bar senza trovare mai un accordo. Martina non capiva perché mai avessero da parlare tanto e con tanta foga, perché mai discutessero per ore a causa di un arbitro che non aveva fischiato, per i gestori telefonici che fregavano meno di altri o per il costo troppo alto dei carburanti su cui lo Stato ci marciava… Gente che non faceva niente tutto il giorno e che evidentemente occupava il proprio tempo a osservare la gente che andava avanti e indietro e a perdersi in oziose conversazioni che non conducevano mai da nessuna parte. Si sedette sui bordi di una fontana dal cui monumento centrale zampillava acqua da più punti. Martina toccava l’acqua con le dita di una mano, mentre guardava la gente che le passava davanti, a lei completamente sconosciuta. Si sentiva sola, pur in mezzo a tanti. Il suo pensiero corse lontano, fino a Valerio. Il calore di quel contatto lo sentiva quasi fisicamente. A lui parlava, sorrideva, spiegava con

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un tono di voce tranquillo e sereno, come se lui fosse lì, come se stringesse la sua mano. Era innamorata, Martina. Teneva le gambe accavallate e dondolava un piede come se seguisse il ritmo di una canzone d’amore. Aveva gli occhi aperti, fissi nel vuoto, ma pieni di Valerio. Teneva la bocca socchiusa, come immobilizzata sulle frasi d’amore che aveva in mente per lui. Le teneva al caldo nel suo cuore in attesa dell’occasione di proferirgliele. Assopita nell’abbraccio morbido dei suoi pensieri, cullava i suoi nuovi sogni di ragazza innamorata. Era uscita da quel pezzo di vita che l’aveva tenuta prigioniera e ora si sentiva come un gabbiano librato in aria. Sognava, sperava, correva incontro al futuro senza paure, non la spaventava più nulla. Avvertiva dentro di sé un nuovo entusiasmo, un’energia esplosiva, un’atmosfera carica di positività. Si sentiva risucchiata in un piacevole vortice di vitalità e di spiritualità. I pensieri correvano e già assaporavano il desiderio, seppur discreto e non ancora esprimibile, di consolidare la relazione appena nata con una convivenza più stabile. La fantasia di Martina era lanciata al galoppo sfrenato e si arrestò soltanto quando un passante la urtò nel piede della gamba accavallata. Si scosse, Martina, e si accorse di essere ancora seduta sul bordo della fontana del centro. Davanti ai suoi occhi il solito viavai di gente. Guardò l’orologio e vide che si era fatto tardi. Era ora di rientrare a casa. Si alzò, ma la gamba accavallata la sentì intorpidita. Sostò per qualche istante in attesa che la circolazione si ristabilisse e poi si avviò verso casa. «Ah, eccoti. Stavo per chiamarti», l’accolse la madre un po’ in apprensione per il suo ritardo. «Scusa, ma era una così bella giornata che, una volta seduta alla fontana, non sono più riuscita ad alzarmi.» Fine anteprima.Continua...