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Agosto 2018 - Anno 20 (n° 237) Mensile della Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco Torna ogni anno, nel cuore dell’estate, la Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, la più antica festa mariana. Guardando l’Assunta in cielo comprendiamo meglio che la nostra vita di ogni giorno, pur segnata da prove e difficoltà, scorre come un fiume verso l’oceano divino, verso la pienezza della gioia e della pace. Comprendiamo che il nostro morire non è la fine, ma l’ingresso nella vita che non conosce la morte. Il nostro tramontare all’orizzonte di questo mondo è un risorgere all’aurora del mondo nuovo, del giorno eterno. Davanti al triste spettacolo di tanta falsa gioia e contemporaneamente di tanto angosciato dolore che dilaga nel mondo, dobbiamo imparare da Lei a diventare noi segni di speranza e di consolazione, dobbiamo annunciare con la vita nostra la risurrezione di Cristo. L’Assunzione di Maria è un mistero grande che riguarda ciascuno di noi, riguarda il nostro futuro. Maria, infatti, ci precede nella strada sulla quale sono incamminati coloro che, mediante il Battesimo, hanno legato la loro vita a Gesù, come Maria legò a Lui la propria vita. La festa dell’Assunta ci fa guardare al cielo, preannuncia i “cieli nuovi e la terra nuova”, con la vittoria di Cristo risorto sulla morte e la sconfitta definitiva del maligno. Pertanto, l’esultanza dell’umile fanciulla di Galilea, espressa nel cantico del Magnificat, diventa il canto dell’umanità intera, che si compiace nel vedere il Signore chinarsi su tutti gli uomini e tutte le donne, umili creature, e assumerli con sé nel cielo. FERRAGOSTO, GUARDANDO IL CIELO

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  • Agosto 2018 - Anno 20 (n° 237)

    Mensile della Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco

    Torna ogni anno, nel cuore dell’estate, la Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, la più antica festa mariana.

    Guardando l’Assunta in cielo comprendiamo meglio che la nostra vita di ogni giorno, pur segnata da prove e difficoltà, scorre come un fiume verso l’oceano divino, verso la pienezza della gioia e della pace. Comprendiamo che il nostro morire non è la fine, ma l’ingresso nella vita che non conosce la morte. Il nostro tramontare all’orizzonte di questo mondo è un risorgere all’aurora del mondo nuovo, del giorno eterno.

    Davanti al triste spettacolo di tanta falsa gioia e contemporaneamente di tanto angosciato dolore che dilaga nel mondo, dobbiamo imparare da Lei a diventare noi segni di speranza e di consolazione, dobbiamo annunciare con la vita nostra la risurrezione di Cristo.

    L’Assunzione di Maria è un mistero grande che riguarda ciascuno di noi, riguarda il nostro futuro. Maria, infatti, ci precede nella strada sulla quale sono incamminati coloro che, mediante il Battesimo, hanno legato la loro vita a Gesù, come Maria legò a Lui la propria vita. La festa dell’Assunta ci fa guardare al cielo, preannuncia i “cieli nuovi e la terra nuova”, con la vittoria di Cristo

    risorto sulla morte e la sconfitta definitiva del maligno. Pertanto, l’esultanza dell’umile fanciulla di Galilea, espressa nel cantico del Magnificat, diventa il canto dell’umanità intera, che si compiace nel vedere il Signore chinarsi su tutti gli uomini e tutte le donne, umili creature, e assumerli con sé nel cielo.

    F ER R A GOS TO , GUA R DA N D O I L C I EL O

  • Il Signore si china sugli umili, per alzarli, come proclama il cantico del Magnificat. Questo canto di Maria ci porta anche a pensare a tante situazioni dolorose attuali, in particolare alle donne sopraffatte dal peso della vita e dal dramma della violenza, alle donne schiave della prepotenza dei potenti, alle bambine costrette a lavori disumani, alle donne obbligate ad arrendersi alla cupidigia degli uomini. Possa giungere quanto prima per loro l’inizio di una vita di pace, di giustizia, di amore, in attesa del giorno in cui finalmente si sentiranno afferrate da mani che non le umiliano, ma con tenerezza le sollevano e le conducono sulla strada della vita, fino al cielo. Maria, una fanciulla, una donna che ha sofferto tanto nella sua vita, ci fa pensare a queste donne che soffrono tanto. Chiediamo al Signore che Lui stesso le conduca per mano e le porti sulla strada della vita, liberandole da queste schiavitù.

    Chiediamo a Maria di farci il dono della sua fede, quella fede che ci fa vivere già in questa dimensione tra finito e infinito, quella fede che trasforma anche il sentimento del tempo e del trascorrere della nostra esistenza, quella fede nella quale sentiamo intimamente che la nostra vita non è risucchiata dal passato, ma attratta verso il futuro, verso Dio, là dove Cristo ci ha preceduto e dietro a Lui, Maria. Ci rivolgiamo con fiducia a Maria, dolce Regina del cielo, e le chiediamo: «Donaci giorni di pace, veglia sul nostro cammino, fa che vediamo il tuo Figlio, pieni della gioia del Cielo»

    Don Giuseppe

    LA QUESTIONE DELLA

    MORTE DELLA B. V. MARIA

    La Chiesa professa che Maria è, con Gesù, l’unica persona in tutta la storia dell’umanità a essere ufficialmente riconosciuta assunta in cielo (quindi in corpo e anima) già ora, prima della seconda venuta del Cristo. Ciò è possibile perché Maria, secondo la Chiesa, è l’unica persona a essere preservata dalla macchia del peccato originale che ha coinvolto l’intera umanità. Per questo, la tradizione dell’Assunzione e il dogma che, poi, ne è scaturito, sono in stretta connessione logica con i corrispettivi inerenti all’Immacolata Concezione, benché la tradizione di questa è successiva nel tempo rispetto a quella dell’Assunzione, e anche più elaborata e discussa teologicamente.

    Pio XII, nella definizione dogmatica dell’Assunzione, ha deliberatamente evitato di pronunciarsi sulla questione se Maria sia prima morta, per poi risorgere, oppure sia stata assunta immediatamente senza passare attraverso la morte. Il fatto che il Papa non si sia pronunciato è degno di nota, poiché molti pensavano che l’Assunzione andasse necessariamente intesa come un’anticipata risurrezione, in modo da implicare necessariamente la morte. Ed erano state fatte pressioni sul Sommo Pontefice perché nella definizione dogmatica facesse riferimento anche alla morte, cosa che egli non ha fatto.

    La questione della morte o non morte di Maria rimane dunque lasciata alla libera ricerca dei teologi, anche se bisogna riconoscere che l’opinione dei mortalisti, per chiamarla così, è di gran lunga più diffusa di quella degli immortalisti. La Vergine Santissima, l’Immacolata, - afferma Paolo VI nella Solemne Professione di fede del 30 giugno 1968 - “associata ai misteri dell’Incarnazione e della Redenzione con un vincolo stretto e indissolubile, al termine della sua vita

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  • terrena, è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste e configurata a suo Figlio risorto, anticipando la sorte futura di tutti i giusti”. Anche papa Giovanni Paolo II, nella sua catechesi del 25 giugno 1997, pur senza l’intenzione di chiudere il dibattito, ha detto: “È possibile che Maria di Nazaret abbia sperimentato nella carne il dramma della morte? Riflettendo sul destino di Maria e sul suo rapporto con il suo divin Figlio, sembra legittimo rispondere positivamente, dal momento che Cristo è morto, sarebbe difficile sostenere il contrario per la Madre”. La possibilità della morte naturale, o dormizione, di Maria, è presentata come di un fatto comunemente ammesso.

    La tesi della morte naturale di Maria è presente nella tradizionale almeno dal IV secolo in poi; dal medioevo è stata sostenuta specialmente dai teologi della Scuola francescana, e, oggi, appartiene al Magistero della Chiesa. L’argomento più forte dei mortalisti sembra essere quello che la Beata Vergine doveva essere configurata a Cristo nella sua morte e risurrezione, per poter essere così il modello universale dei redenti. Intorno a questa delicata e complessa questione, si distingue il pensiero del “Maestro più qualificato della scuola francescana”, Giovanni Duns Scoto (1266-1308), per la sua sottigliezza, concretezza e fedeltà nell’interpretare la Parola rivelata. Difatti, in sintonia con la sua visione globale del mistero di Cristo, egli instaura una forma di perfetta analogia: come Cristo è morto ed è risorto, così anche Maria è morta ed è stata assunta in cielo. E trova il fondamento biblico nel commento al passo del Genesi: sei polvere e in polvere ritornerai (Gn 3, 19), il cui “valore - scrive - è così generale che non ammette eccezione, neppure per Cristo e Maria”. Questo pensiero del Cantore dell’Immacolata diventa ancora più chiaro alla luce della sottile e delicata differenza che egli, solo, introduce tra “legge naturale” e “legge morale”. La morte appartiene alla “legge

    naturale”, che, di per sé, non ammette eccezioni di sorta; il peccato originale, invece, alla “legge morale”, che sopporta l’eccezione, come di fatto è avvenuto nella storia della salvezza, proprio per la Vergine Maria. In questo modo, si comprende meglio anche la differenza dell’universalità del peccato con l’universalità della morte. Di per sé, la morte è una conseguenza del peccato, cioè è un demerito o una punizione; in Cristo e Maria, invece, la morte risponde alla legge naturale e non alla legge morale, dal momento che essi sono esenti dal peccato d’origine e attuale, e, quindi, “per privazione dell’abbondanza di gloria di per sé nel corpo”. La morte, perciò, secondo Duns Scoto più che al peccato, anche se con esso è una punizione, appartiene alla legge di natura materiale del corpo che è mortale intrinsecamente e metafisicamente, perché è un composto. Allora anche Maria è passata attraverso il dolce sonno della morte alla beata assunzione in cielo, come suo Figlio, anche se con modalità differenti, proprio in forza dei meriti de condigno che Cristo ha acquistato per gli altri.

    G. Pelizza SdB

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  • PELLEGRINAGGIO

    MACERATA LORETO

    9/10 giugno 2018

    Personalmente amo camminare e anche qui a Torri attraverso questa salutare passione ho avuto modo di incontrare e conoscere molte persone. Uscire e guardare la natura che mi circonda è possibilità di preghiera e contemplazione delle meraviglie che il Signore dona. Quando si parla di pellegrinaggio subito si pensa alla meta che è principalmente un santuario ma non è da dimenticare l’importanza del cammino che porta ad esso. Cammino che richiede perseveranza e regala momenti di interiorità. Anni fa, grazie alla mia propensione al cammino, sono stata invitata all'evento annuale del pellegrinaggio da Macerata a Loreto organizzato da Comunione e Liberazione. In queste esperienze ho goduto di quanto ricevuto così che a mia volta ho raccontato, invitato e ripartecipato a questo avvenimento. Nel giugno del 2018 si è festeggiato il 40 esimo pellegrinaggio al quale hanno partecipano tantissime persone di diverse età: adolescenti, giovani, famiglie, religiosi e anziani. È stato un'occasione che ha dato voce al bisogno che vive in me di sentirmi popolo in cammino e che mi ha portato a vivere la preghiera iniziale e la messa allo stadio come ricarica di energia per vivere al meglio il cammino nella notte accompagnato dalla recita del Rosario intervallato dal canto, dall'ascolto delle testimonianze toccanti che ci hanno permesso di riflettere sul valore della vita e sull'essenza dell'essere e vivere da cristiani. Edificante il vedere tanta gente che durante tutta la notte è lungo la strada e ti aspetta per farsi prossimo con acqua e panini, questo mi ha aiutato a riconoscere e incontrare concretamente il Mistero diventato uomo nella carne

    della Vergine Maria che abbiamo potuto adorare all'esterno di parecchie chiese. Durante il cammino nella notte mi ha sostenuto nella fatica il tornare al messaggio in diretta telefonica di Papa Francesco. Mi ha fatto sentire giovane come ha detto il Papa vedere giovani coraggiosi che si mettono in cammino lungo tutta una notte perché questo è bello ed è un buon segnale perché la vita è un cammino e nella vita non si può restare fermi. Un giovane non può essere fermo perché se un giovane è fermo va' in pensione a vent'anni e questo è una cosa brutta. La gioventù è per giocarla, per scommettere, per andare avanti e dare frutti. Risuonavano in me l’invito del Papa ad andate avanti sempre guardando l'orizzonte, l’importanza di camminare ogni giorno perché ogni passo in più è fecondità di vita! Questo augurio mi ha sostenuta e incoraggiata e sento importante donarlo a mia volta: camminiamo ogni giorno verso la felicità nella concretezza dell'amare Dio amando gli altri. Interiormente mi ripetevo: voglio camminare con la gioia della vita, ogni giorno, un passo dopo l’altro, migliore del giorno prima... e con questi desideri in cuore sono giunta ai piedi della Madonna di Loreto portando con me tutti i volti che ho incontrato durante il cammino e tutti quelli che porto in cuore. Alla Vergine ho chiesto per ciascuno un cuore di bambino sempre attento ad intercettare i segni di Colui che non si stanca mai di venire a cercarci. Ed infine condivido con voi quello che ho sentito e visto con i miei occhi quando siamo arrivati: la gioia è prevalsa sulla stanchezza, l'evidenza sullo scetticismo, la bellezza sulla paura. Non è stata solo l'attesa dell'alba di un nuovo giorno, ma negli occhi di tutti e nel cuore di tutti, l'alba della vita che Gesù Cristo Risorto ci comunica quotidianamente. Un grazie sentito e vivo a chi ha saputo camminare e pregare con me!

    sr Silvia

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  • EDITH STEIN,

    DALL'ATEISMO AL

    MARTIRIO AD AUSCHWITZ

    Santa Teresa Benedetta della Croce fu secondo San Giovanni Paolo II «una personalità che porta nella sua intensa vita una sintesi drammatica del ventesimo secolo». Tedesca di famiglia ebrea, a 14 anni abbandona l’ebraismo e diviene atea. Studia filosofia con Husserl. Nel 1921 si converte al cattolicesimo e nel 1933 entra al Carmelo di Colonia. Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla Gestapo e deportata nel campo di sterminio dove muore nella camera a gas. Papa Wojtyla nel 1999 l’ha proclamata compatrona d’Europa. Edith Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, il 12 ottobre 1891, da una famiglia ebrea di ceppo tedesco. Allevata nei valori della religione israelitica, a 14 anni abbandona la fede dei padri divenendo atea. Studia filosofia a Gottinga, diventando discepola di Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomenologica. Ha fama di brillante

    filosofa. Nel 1921 si converte al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo nel 1922. Insegna per otto anni a Speyer (dal 1923 al 1931). Nel 1932 viene chiamata a insegnare all’Istituto pedagogico di Münster, in Westfalia, ma la sua attività viene sospesa dopo circa un anno a causa delle leggi razziali. Nel 1933, assecondando un desiderio lungamente accarezzato, entra come postulante al Carmelo di Colonia. Assume il nome religioso di suor Teresa Benedetta della Croce. Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla Gestapo e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove il 9 agosto muore nella camera a gas. Nel 1987 viene proclamata Beata, è canonizzata da San Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998. Nel 1999 viene dichiarata, con S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena, compatrona dell’Europa.

    da atea a monaca carmelitana e martire

    Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la sua vicenda è balzata via via all’attenzione della comunità internazionale, rivelando la sua grande statura, non solo filosofica ma anche religiosa, e il suo originale cammino di santità: era stata una filosofa della scuola fenomenologica di Husserl, una femminista ante litteram, teologa e mistica, autrice di opere di profonda spiritualità, ebrea e agnostica, monaca e martire; “una personalità – ha detto di lei Giovanni Paolo II – che porta nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro tempo ”.

    la spiritualità mariana C’è in realtà un “filo mariano” che si dipana in tutta l’esperienza umana e spirituale di questa martire carmelitana. A cominciare da una data precisa, il 1917. Per Edith è l’anno chiave del suo processo di conversione. L’anno del passo lento di Dio. Mentre lei, ebrea agnostica e intellettuale in crisi, brancola nel buio, non risolvendosi ancora a “decidere per Dio”, a molti chilometri dall’università di Friburgo

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  • SONO TORNATE AL PADRE

    FAUSTA

    GIANNINA

    dov’è assistente alla cattedra di Husserl, nella Città Eterna, il francescano polacco Massimiliano Kolbe con un manipolo di confratelli fondava la Milizia dell’Immacolata. Quello stesso 1917 è pure l’anno delle apparizioni della Madonna ai pastorelli di Fatima. Un filo mariano intreccia misteriosamente le vite dei singoli esseri umani stendendo la sua trama segreta sul mondo.

    l'influenza (decisiva) di santa Teresa d’Avila

    Decisiva per la conversione della Stein al cattolicesimo fu la vita di santa Teresa d’Avila letta in una notte d’estate. Era il 1921, Edith era sola nella casa di campagna di alcuni amici, i coniugi Conrad-Martius, che si erano assentati brevemente lasciandole le chiavi della biblioteca. Era già notte inoltrata, ma lei non riusciva a dormire. Racconta: "Presi casualmente un libro dalla biblioteca; portava il titolo "Vita di santa Teresa narrata da lei stessa". Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo finché non ebbi finito. Quando lo richiusi, mi dissi: questa è la verità". Aveva cercato a lungo la verità e l’aveva trovata nel mistero della Croce; aveva scoperto che la verità non è un’idea, un concetto, ma una persona, anzi la Persona per eccellenza. Così la giovane filosofa ebrea, la brillante assistente di Husserl, nel gennaio del 1922 riceveva il Battesimo nella Chiesa cattolica. Edith poi, una volta convertita al cattolicesimo, è attratta fin da subito dal Carmelo, un Ordine contemplativo sorto nel XII secolo in Palestina, vero “giardino” di vita cristiana (la parola karmel significa difatti “giardino”) tutto orientato verso la devozione specifica a Maria, come segno di obbedienza assoluta a Dio. Il 21 aprile 1938 suor Teresa Benedetta della Croce emette la professione perpetua. Fino al 1938 gli ebrei potevano ancora espatriare, in America perlopiù o in Palestina, poi invece – dopo l’incendio di tutte le sinagoghe nelle città tedesche nella notte fra il 9 e il 10 novembre, passata alla storia come "la notte dei cristalli" –

    occorrevano inviti, permessi, tutte le carte in regola; era molto difficile andare via. In Germania era già cominciata la caccia aperta al giudeo. La presenza di Edith al Carmelo di Colonia rappresenta un pericolo per l’intera comunità: nei libri della famigerata polizia hitleriana, infatti, suor Teresa Benedetta è registrata come "non ariana". Le sue superiori decidono allora di farla espatriare in Olanda, a Echt, dove le carmelitane avevano un convento. Prima di lasciare precipitosamente la Germania, il 31 dicembre del 1938, nel cuore della notte, suor Teresa chiede di fermarsi qualche minuto nella chiesa “Maria della Pace”, per inginocchiarsi ai piedi della Vergine e domandare la sua materna protezione nell’avventurosa fuga verso il Carmelo di Echt.

    la deportazione e la morte nel campo nazista di Auschwitz

    L’anno 1942 segnò l’inizio delle deportazioni di massa verso l’est, attuate in modo sistematico per dare compimento a quella che era stata definita come la Endlösung, ovvero la "soluzione finale" del problema ebraico. Neppure l’Olanda è più sicura per Edith. Il pomeriggio del 2 agosto due agenti della Gestapo bussarono al portone del Carmelo di Echt per prelevare suor Stein insieme alla sorella Rosa. Destinazione: il campo di smistamento di Westerbork, nel nord dell’Olanda. Da qui, il 7 agosto venne trasferita con altri prigionieri nel campo di sterminio di Auschwitz- Birkenau. Il 9 agosto, con gli altri deportati, fra cui anche la sorella Rosa, varcò la soglia della camera a gas, suggellando la propria vita col martirio: non aveva ancora compiuto cinquantuno anni.

    Teresa

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  • IL SEMINARIO MAGGIORE LA MISSIONE: La grande missione che il Seminario Maggiore adempie è quella di formare futuri presbiteri dediti alla Chiesa Diocesana e aperti al servizio missionario.

    COSA SI FA: Il Seminario Maggiore contempla un itinerario formativo di sei anni, nel quale i seminaristi teologi, guidati dagli educatori, sono formati ad una vita spirituale intensa, in una dimensione comunitaria che caratterizzerà tutta la loro vita presbiterale.

    Molto importante nella formazione dei futuri presbiteri è anche lo studio della teologia presso lo Studio Teologico San Zeno, con la Biblioteca del Seminario, e la formazione pastorale, che vede i giovani impegnati in varie parrocchie della Diocesi.

    LA COMUNITÀ: La Comunità del Seminario Maggiore accoglie quei giovani che, terminato l’iter del Seminario Minore o della Casa San Giovanni Battista, esprimono una loro scelta convinta di seguire il Signore Gesù nella prospettiva del presbiterato diocesano.

    IL SEMINARIO MINORE LO SCOPO: L’esperienza del Seminario minore si prefigge di formare uomini credenti in Cristo, capaci di relazioni autentiche con i fratelli, amanti della vita buona del vangelo, con una apertura al senso vocazionale della vita che potrà portare a scelte vocazionali verso il presbiterato o la vita matrimoniale.

    IL CUORE: LA VITA NELLO SPIRITO: L’esperienza del seminario minore è centrata sulla figura di Gesù Cristo, vero uomo e vero dio, che diventa il modello di riferimento per ogni seminarista. La crescita nella fede segue il principio della “gradualità” che permette di rendere la buona notizia comprensibile e vivibile per i ragazzi, gli adolescenti e i giovani del seminario. Cuore della vita in Dio è l’eucarestia a cui si aggiungono la parola di Dio e il sacramento della riconciliazione. L’accompagnamento spirituale cerca di aiutare il seminarista a crescere in tutte le dimensioni della vita umana e spirituale.

    GLI ELEMENTI EDUCATIVI E CARATTERIZZANTI: Tra gli aspetti specifici della

    vita del Seminario vi sono:

    la VITA DI COMUNITA', costruita attorno a Dio Padre in cui si coglie l’identità di figli e quindi di fratelli, permettendo ai seminaristi di condividere qualsiasi cosa e di crescere nelle relazioni umane e nella fraternità;

    l’EDUCAZIONE AL SERVIZIO, alla generosità, al dono di sé, avendo come maestro il Signore Gesù che non esita a mettersi ai piedi delle persone per servirli;

    l’APERTURA VOCAZIONALE ovvero i seminaristi sono aiutati a stare con Gesù per cogliere il sogno che Dio ha per la loro vita e per rispondere alla sua iniziativa d’amore; guidati dalla meditazione della Parola di Dio e accompagnati dal padre spirituale possono così giungere a un discernimento vocazionale;

    lo STUDIO ASSISTITO, avendo l’attenzione che la formazione culturale della persona non limiti le altre dimensioni (spirituale, fraterna, di servizio, di gioco), ma sia garantita la crescita integrale del seminarista.

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  • CHE COSA È “CASA SAN GIOVANNI BATTISTA” È la casa per vocazioni adulte della diocesi di Verona.

    “Maestro, dove dimori?”, così rispondono i discepoli del Battista quando Gesù voltandosi, chiede loro: “Che cosa cercate?”. Mi sembra che l’anno di Casa San Giovanni Battista, possa essere sintetizzato proprio nella richiesta che questi discepoli pongono a Gesù. “Maestro dove dimori?” Quasi a dire: “Maestro dove abiti quotidianamente, dove ti possiamo trovare, dove possiamo fermarci con te?”.

    L’anno di Casa San Giovanni è un cammino dove cercare radicalmente il Signore che abita nel profondo di noi stessi, nell’uomo interiore, perché è solo nell’uomo interiore che è possibile discernere la verità profonda dell’intuizione che un giovane ha avvertito e che lo ha condotto a chiedere di poter vivere l’anno propedeutico alla camino del Seminario Maggiore. Casa San Giovanni è dunque un cammino di sequela del Signore, dove cercare il luogo in noi dove lui dimora e con lui stare fino alle “quattro del pomeriggio” (Gv 1,39) per verificare se la chiamata che può dare pienamente senso al proprio essere figli è quella del presbiterato o meno. Certamente non è un percorso generico dove interrogarsi in senso ampio sulla propria vocazione, per questo aspetto ci sono altri percorsi. Il giovane che chiede di entrare in Casa San Giovanni ha già con sé la sensazione che il Signore lo chiami alla vocazione del prete diocesano e chiede alla Chiesa, nella persona degli educatori scelti dal Vescovo, di aiutarlo a discernere la verità di quella sua sensazione.

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    I dieci nuovi sacerdoti di quest’anno

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  • PROFILI DEI NUOVI SACERDOTI Don Marco Accordini, 25 anni, diplomato geometra, di Pescantina. In servizio presso la parrocchia di Santa Lucia Extra. Don Fabio Bejato, 35 anni, già agente di viaggio, di Santa Lucia Extra. In servizio presso la parrocchia di Pescantina. Don Pietro Busti, 24 anni, maturità classica, di Tregnago. In servizio presso la parrocchia di Sommacampagna. Don Jacopo Campagnari, 30 anni, laureato in fisica, di San Zeno di Montagna. In servizio presso la parrocchia di Isola della Scala. Don Gianluca Cassin, 44 anni, ragioniere e perito commerciale, ha lavorato come impiegato in magazzino per una ditta di materiale di saldatura e medicale, di Santa Teresa di Gesù Bambino. In servizio presso la parrocchia di San Giovanni Battista in Cadidavid. Don Simone Lanza, 38 anni, dirigente di comunità, ha lavorato come tipografo, operaio metalmeccanico e giardiniere, di Cerea. In servizio presso la parrocchia di Zevio. Don Giuseppe Liotta, 34 anni, ragioniere laureato in scienze dell'educazione, ha lavorato come educatore in una casa famiglia e come impiegato presso la Ricoh, di Santi Angeli Custodi. In servizio presso la parrocchia di Gesù Divino Lavoratore. Don Daniele Leonelli, 42 anni, tecnico delle industrie meccaniche, ha lavorato come operaio e autista di bus, di Canneto sull’Oglio (Mantova). In servizio presso la parrocchia di Valeggio sul Mincio. Padre Giacomo Facchini della Congregazione dell'Oratorio dal 2014, 29 anni, diplomato alla scuola alberghiera, di Borgosatollo (Brescia). In servizio presso la parrocchia di Santa Maria Maddalena al Forte Procolo. Padre Jonas Idalicio de Oliveira della Comunità Regina Pacis dal 2002, 33 anni, maturità scientifica, di Teofilàndia (Brasile). In servizio presso la parrocchia di San Pancrazio al Porto.

    IN OGNI COSA

    RENDETE GRAZIE Pensieri e sentimenti di un

    presbitero novello

    È la fine, è l'inizio. Così sono tutti quei momenti unici nella nostra vita, nei quali possiamo toccare con mano il mischiarsi della risultanza umana col dono di grazia, che compie un tracciato passato e apre un orizzonte nuovo e luminoso. Sono giorni nei quali lo Spirito ci stupisce nella bella e geniale sintesi dei nostri cammini, del nostro cammino percorso fino ad oggi. Passo giusto dopo passo falso, passo ferito dopo passo guarito, tutta la nostra umanità è stata attraversata e raccolta da quel Soffio che il 19 Maggio ci rende preti. Per questo siamo grati, per questo stiamo imparando la bellezza nel rendere grazie in ogni cosa, del fare Eucaristia in ogni cosa... Perché lo Spirito del Risorto ha penetrato di Vita tutta la nostra storia, tutta la Terra. E così tutta la Terra attende impaziente di diventare Comunione tra Dio e uomo, tra uomo e uomo, tra padre e figlio, tra fratello e sorella. In questi giorni non possiamo non riconoscere come questo passo sia stato reso possibile da tutti quegli incontri vissuti nella nostra vita, che ci hanno permesso di tessere i lineamenti sfumati di un volto bello di Chiesa: un volto umano, al quale desideriamo appartenere, nel quale respiriamo la libertà del donarsi per amore. Non per ultimi i fratelli e gli educatori del seminario, che nella fragile concretezza quotidiana hanno impresso una direzione forte a questa strada, facendoci scoprire un po' di più chi siamo e l'uomo che il Signore ha visto in ciascuno di noi. Il 19 maggio è la festa della Chiesa, benedetta dal riaffermarsi di un Dio che non smette di prendersi cura e di donarsi all'uomo. Un Dio che non smette di affascinare come Pastore bello che conosce e chiama le sue pecore, ciascuna per nome.

    don Pietro Busti (VI teologia)

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  • 10 AGOSTO

    SAN LORENZO

    La sua vita come diacono della Chiesa di Roma

    Lorenzo nacque a Osca (Huesca), città della Spagna, nella prima metà del III secolo. Venuto a Roma, centro della cristianità, si distinse per la sua pietà, carità verso i poveri e l’integrità di costumi. Grazie alle sue doti, Papa Sisto II lo nominò Diacono della Chiesa, meglio capo dei diaconi. Doveva sovrintendere all’amministrazione dei beni, accettare le offerte e custodirle, provvedere ai bisognosi, agli orfani e alle vedove. Per queste mansioni Lorenzo fu uno dei personaggi più noti della prima cristianità di Roma ed uno dei martiri più venerati, tanto che la sua memoria fu ricordata da molte chiese e cappelle costruite in suo onore nel corso dei secoli. Lorenzo fu catturato dai soldati dell’Imperatore Valeriano il 6 agosto del 258 nelle catacombe di San Callisto assieme al Papa Sisto II ed altri diaconi. Mentre il Pontefice e gli altri diaconi subirono subito il martirio, Lorenzo fu risparmiato per farsi consegnare i tesori della chiesa. Si narra che all’Imperatore Valeriano, che gli imponeva la consegna dei tesori della Chiesa, Lorenzo abbia portato davanti numerosi poveri ed ammalati ed abbia detto “Ecco i tesori della chiesa”. In seguito Lorenzo fu dato in custodia al centurione Ippolito, che lo rinchiuse in un sotterraneo del suo palazzo; in questo luogo buio, umido e angusto si trovava imprigionato anche un certo Lucillo, privo di vista. Lorenzo confortò il compagno di prigionia, lo incoraggiò, lo catechizzò alla dottrina di Cristo e, servendosi di una polla d’acqua che sgorgava dal suolo, lo battezzò. Dopo il Battesimo Lucillo riebbe la vista. Il centurione Ippolito visitava spesso i suoi carcerati; avendo constatato il fatto, colpito dalla serenità e mansuetudine

    dei prigionieri, e illuminato dalla grazia di Dio, si fece Cristiano ricevendo il battesimo da Lorenzo. Lorenzo fu bruciato vivo sulla graticola, in luogo poco lontano dalla prigione; il suo corpo fu portato al Campo Verano, nelle catacombe di Santa Ciriaca.

    La controversa questione del martirio

    Il Martirio di san Lorenzo è datato dal martirologio romano il 10 agosto del 258 dopo Cristo. A ricordare questi avvenimenti furono erette a Roma tre chiese: San Lorenzo in Fonte (luogo della prigionia), San Lorenzo in Panisperna (luogo del martirio) e San Lorenzo al Verano (luogo della sua sepoltura). Secondo la devozione e la pietà popolare San Lorenzo fu bruciato sopra una graticola, la Leggenda Aurea del beato Jacopo da Varazze, ne ha in modo significativo sigillato la pietas popolare con la narrazione dei suoi ultimi momenti. Secondo la moderna storiografia tuttavia in base a studi concernenti l’epoca, viene considerata leggendaria questa tradizione, infatti l’imperatore Valeriano non ordinò torture, tanto che appare più veritiero ritenere che Lorenzo sia stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri. A suffragare la tradizione della graticola resta l’ininterrotta trasmissione ab immemorabili che è come già detto parte ancora prima del grande Sant’Ambrogio che ne riteneva come notizia certa.

    Don Luca (da santi e beati)

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  • 16 AGOSTO

    SAN ROCCO

    Le fonti su di lui sono poco precise e rese più oscure dalla leggenda. In pellegrinaggio diretto a Roma dopo aver donato tutti sui beni ai poveri, si sarebbe fermato ad Acquapendente, dedicandosi all'assistenza degli ammalati di peste e facendo guarigioni miracolose che diffusero la sua fama. Peregrinando per l'Italia centrale si dedicò ad opere di carità e di assistenza promuovendo continue conversioni. Sarebbe morto in prigione, dopo essere stato arrestato presso Angera da alcuni soldati perché sospettato di spionaggio. Invocato nelle campagne contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali, il suo culto si diffuse straordinariamente nell'Italia del Nord, legato in particolare al suo ruolo di protettore contro la peste. Gregorio XIII introdusse il nome di Rocco nel Martirologio Romano, sotto il pontificato di Urbano VIII la Congregazione dei Riti accordò un Ufficio e una Messa propri per le chiese costruite in onore del santo. Infine, nel 1694, Innocenzo XII prescrisse ai Francescani di celebrare la festa con rito doppio maggiore, forte della citazione fatta nel 1547 da Paolo IV nella Bolla “Cum a nobis” di San Roco quale membro del Terz'Ordine di San Francesco. Di questo Santo, che fu uno dei più illustri del secolo XIV uno dei più cari a tutta la cristianità, si hanno poche notizie. Oriundo di Montpellier (Francia), della sua giovinezza si narrano cose meravigliose. Ventenne, rimasto privo del padre e della madre, distribuì parte dei suoi beni ai poveri e parte li donò ad uno zio paterno. Quindi, vestitosi da pellegrino, si avviò elemosinando alla volta di Roma, per visitare il centro del Cristianesimo, sede della verità e della civiltà, e per vedere il Pastore

    Supremo dei popoli e delle nazioni, il Papa. Nell'attraversare le contrade della nostra bella Italia, seppe che la peste faceva strage in parecchie parti della penisola. Ed ecco S. Rocco nel genovesato, in Toscana, a Cesena, a Rimini e specialmente ad Acquapendente farsi consolatore dei poveri ammalati e compiere opere di cristiana carità. Fu salutato ovunque quale salvatore, ed in Roma il suo nome risuonò in benedizione. Ma egli schivava la lode e per evitarla, poco dopo aver compiuto la visita alle tombe degli Apostoli, lasciò la Città Eterna e si portò a Piacenza, dove infieriva allora il morbo fatale. Qui il suo apostolato ebbe modo di manifestarsi in tutta la sua generosità e pienezza. Ma infine anch'egli fu attaccato dalla peste: per non essere di peso a nessuno si ritirò in un antro fuori della città, dove, consumato da febbre, soffrì dolori indicibili. La Divina Provvidenza però (come già un giorno al grande Anacoreta della Tebaide), quotidianamente gli inviava un pane per mezzo di un cane. Guarito per grazia di Dio e per l'aiuto datogli da un pio signore, che sulle orme del cane aveva rintracciato il povero sofferente, Rocco lasciò Piacenza e si ritirò in Francia. Quivi, creduto una spia, connivente lo stesso suo zio, a cui aveva lasciato parte dei suoi beni, fu messo in prigione. Passò quindi i suoi ultimi anni sconosciuto. La sua morte avvenne il 16 agosto 1327, S. Rocco era passato a ricevere il premio delle sue fatiche e delle sue opere buone. Si seppe la storia della sua santa vita da uno scritto da lui lasciato all'edificazione dei posteri, ma più di tutto la sua santità ci fu resa nota dagli innumerevoli miracoli che la Provvidenza operò sulla sua tomba gloriosa. La devozione a S. Rocco è universale ed è invocato contro le malattie contagiose.

    Franco

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  • 14 AGOSTO

    SAN MASSIMILIANO KOLBE

    Polacco, entra nell'ordine dei francescani svolgendo un intenso apostolato missionario in Europa e in Asia. Nel 1941 è deportato ad Auschwitz dove è destinato ai lavori più umilianti, come il trasporto dei cadaveri al crematorio. Qui offre la sua vita di sacerdote in cambio di quella di un padre di famiglia, suo compagno di prigionia. Muore pronunciando “Ave Maria” il 14 agosto dopo due settimane di torture. Con il suo martirio, ha detto Giovanni Paolo II, egli ha riportato «la vittoria mediante l’amore e la fede, in un luogo costruito per la negazione della fede in Dio e nell’uomo». Se non è il primo è senz’altro fra i primi ad essere stato beatificato e poi canonizzato fra le vittime dei campi di concentramento nazisti. Giovanni Paolo II ha detto che con il suo martirio egli ha riportato «la vittoria mediante l’amore e la fede, in un luogo costruito per la negazione della fede in Dio e nell’uomo». E nell’omelia della Messa di canonizzazione spiegò: «Massimiliano non morì, ma “diede la vita... per il fratello”. V’era in questa morte, terribile dal punto di vista umano, tutta la definitiva grandezza dell’atto umano e della scelta umana: egli da sé si offrì alla morte per amore. E in questa sua morte umana c’era la trasparente testimonianza data a Cristo: la testimonianza data in Cristo alla dignità

    dell’uomo, alla santità della sua vita e alla forza salvifica della morte, nella quale si manifesta la potenza dell’amore».

    anche i fratelli entrano

    nell’ordine francescano

    Massimiliano Kolbe nacque il 7 gennaio 1894 a Zdunska-Wola in Polonia, da genitori ferventi cristiani; il suo nome al battesimo fu quello di Raimondo. Papà Giulio, operaio tessile era un patriota che non sopportava la divisione della Polonia di allora in tre parti, dominate da Russia, Germania ed Austria; dei cinque figli avuti, rimasero in vita ai Kolbe solo tre, Francesco, Raimondo e Giuseppe.

    fonda la “Milizia dell’Immacolata”

    Raimondo divenuto Massimiliano, dopo il noviziato fu inviato a Roma, dove restò sei anni, laureandosi in filosofia all’Università Gregoriana e in teologia al Collegio Serafico, venendo ordinato sacerdote il 28 aprile 1918. Nel suo soggiorno romano avvennero due fatti particolari, uno riguardo la sua salute, un giorno mentre giocava a palla in aperta campagna, cominciò a perdere sangue dalla bocca, fu l’inizio di una malattia che con alti e bassi l’accompagnò per tutta la vita. Poi in quei tempi influenzati dal Modernismo e forieri di totalitarismi sia di destra che di sinistra, che avanzavano a grandi passi, mentre l’Europa si avviava ad un secondo conflitto mondiale, Massimiliano Kolbe non ancora sacerdote, fondava con il permesso dei superiori la “Milizia dell’Immacolata”, associazione religiosa per la conversione di tutti gli uomini per mezzo di Maria. Ritornato in Polonia a Cracovia, pur essendo laureato a pieni voti, a causa della malferma salute, era praticamente inutilizzabile nell’insegnamento o nella predicazione, non potendo parlare a lungo; per cui con i permessi dei

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  • superiori e del vescovo, si dedicò a quella sua invenzione di devozione mariana, la “Milizia dell’Immacolata”, raccogliendo numerose adesioni fra i religiosi del suo Ordine, professori e studenti dell’Università, professionisti e contadini.

    la deportazione, la libertà

    e la nuova cattura

    Ma ormai la Seconda Guerra Mondiale era alle porte e padre Kolbe, presagiva la sua fine e quella della sua Opera, preparando per questo i suoi confratelli; infatti dopo l’invasione del 1° settembre 1939, i nazisti ordinarono lo scioglimento di Niepokalanow; a tutti i religiosi che partivano spargendosi per il mondo, egli raccomandava “Non dimenticate l’amore”, rimasero circa 40 frati, che trasformarono la ‘Città’ in un luogo di accoglienza per feriti, ammalati e profughi. Il 19 settembre 1939, i tedeschi prelevarono padre Kolbe e gli altri frati, portandoli in un campo di concentramento, da dove furono inaspettatamente liberati l’8 dicembre; ritornati a Niepokalanow, ripresero la loro attività di assistenza per circa 3500 rifugiati di cui 1500 erano ebrei, ma durò solo qualche mese, poi i rifugiati furono dispersi o catturati e lo stesso Kolbe, dopo un rifiuto di prendere la cittadinanza tedesca per salvarsi, visto l’origine del suo cognome, il 17 febbraio 1941 insieme a quattro frati, venne imprigionato. Dopo aver subito maltrattamenti dalle guardie del carcere, indossò un abito civile, perché il saio francescano li adirava moltissimo. Il 28

    maggio fu trasferito nel campo di sterminio ad Auschwitz. I suoi quattro confratelli l’avevano preceduto un mese prima; fu messo insieme agli ebrei perché sacerdote, con il numero 16670 e addetto ai lavori più umilianti come il trasporto dei cadaveri al crematorio.

    si offrì di morire al posto

    di un padre di famiglia

    La sua dignità di sacerdote e uomo retto primeggiava fra i prigionieri, un testimone disse: “Kolbe era un principe in mezzo a noi”. Alla fine di luglio fu trasferito al Blocco 14, dove i prigionieri erano addetti alla mietitura nei campi; uno di loro riuscì a fuggire e secondo l’inesorabile legge del campo, dieci prigionieri vennero destinati al bunker della morte. Padre Kolbe si offrì in cambio di uno dei prescelti, un padre di famiglia, suo compagno di prigionia. La disperazione che s’impadronì di quei poveri disgraziati, venne attenuata e trasformata in preghiera comune, guidata da padre Kolbe e un po’ alla volta essi si rassegnarono alla loro sorte; morirono man mano e le loro voci oranti si ridussero ad un sussurro; dopo 14 giorni non tutti erano morti, rimanevano solo quattro ancora in vita, fra cui padre Massimiliano, allora le SS decisero, che giacché la cosa andava troppo per le lunghe, di abbreviare la loro fine con una iniezione di acido fenico; il francescano martire volontario, tese il braccio dicendo “Ave Maria”, furono le sue ultime parole, era il 14 agosto 1941. Le sue ceneri si mescolarono insieme a quelle di tanti altri condannati, nel forno crematorio; così finiva la vita terrena di una delle più belle figure del francescanesimo della Chiesa polacca. Il suo fulgido martirio gli ha aperto la strada della beatificazione, avvenuta il 17 ottobre 1971 con papa Paolo VI. Il 10 ottobre 1982 è stato proclamato santo da papa Giovanni Paolo II, suo concittadino.

    Da famiglia cristiana

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  • NOVENA DELL’ASSUNTA 6 – 14 AGOSTO

    NEI GIORNI FERIALI

    ore 10.00 S. Messa e Novena ore 18.00 S. Messa e Novena

    LA FIACCOLATA DELL’ASSUNTA

    Martedì 14 Agosto, vigilia dell’Assunta, alle ore 21.00

    - PARTENZA DALLA CHIESA PARROCCHIALE

    - CELEBRAZIONE DELLA S. MESSA AL CAMPO IN LOCALITÀ COI

    - RITORNO ALLA CHIESA PARROCCHIALE

    STAZIONE CON

    CELEBRAZIONE

    DELLA S. MESSA

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  • APPUNTAMENTI AGOSTO 2018

    OGNI DOMENICA ore 10.00: S. MESSA DELLE FAMIGLIE.

    ore 18.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CANTO DEL VESPERO.

    OGNI LUNEDÌ ore 11.00-12.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CONFESSIONI.

    OGNI GIOVEDÌ ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA.

    OGNI SABATO ore 18.00 - 19.00: TEMPO PER LE CONFESSIONI.

    5 AGOSTO GIORNATA DEL SEMINARIO

    6 – 14 AGOSTO ORARIO NOVENA DELL’ASSUNTA GIORNI FERIALI ore 10.00 S. Messa e Novena - ore 18.00 S. Messa e Novena

    MERCOLEDÌ 8 ore 20.30: INCONTRO DI PREGHIERA IN ONORE DI S. ANTONIO

    MARTEDÌ 14 VIGILIA DELL’ASSUNTA

    ore 21.00: PROCESSIONE FIACCOLATA E S. MESSA.

    MERCOLEDÌ 15 AGOSTO

    SOLENNITÀ DELL’ASSUNTA

    SANTE MESSE FESTIVE ore 7.00–8.30–10.00-11.15 - 19.00

    VESPERO SOLENNE ore 17.00

    GIOVEDÌ 16 S. ROCCO

    A PAI ore 10.00 S. MESSA E PROCESSIONE

    GIOVEDÌ 23 ore 20.30 S. MESSA A CRERO.

    C E LEB R A ZIO N E D E LL A L IT UR GI A PARROCCHIA DI TORRI

    SANTE MESSE FESTIVE

    SABATO ore 17.00 – 19.00

    DOMENICA ore 7.00 - 8.30 – 10.00 – 11.15 – 19.00

    SANTE MESSE FERIALI ORE 10.00 - 18.00

    HEILIGER GOTTESDIENST

    AN FESTTAGEN

    Am Samstag 17.00 - 19.00 uhr

    Am Sonntag 7.00 - 8.30 - 10.00 - 11.15 - 19.00 uhr

    AM WERKTAGEN 10.00 - 18.00 uhr

    MASSES

    FESTIVE MASSES

    Saturday 5.00 pm - 7.00 pm

    Sunday 7.00 am - 8.30 am - 10.00 am - 11.15 am - 7.00 pm

    WEEK MASSES 10.00 am - 6.00 pm

    PARROCCHIA DI PAI

    ORARIO FESTIVO

    Sabato S. Messa ore 20.00 Domenica S. Messa ore 10.00

    HEILIGER GOTTESDIENST

    AN FESTTAGEN

    Am Samstag 20.00 uhr Am Sonntag 10.00 uhr

    MASSES

    FESTIVE MASSES

    Saturday 8.00 pm Sunday 10.00 am

    Bollettino di informazione Parrocchiale stampato in proprio La Redazione: Don Giuseppe Cacciatori – Daniela Pippa – Anna Menapace – Rosanna Zanolli.

    Collaborazione fotografica: Mario Girardi Impaginato e stampato da: Daniela Pippa

    PIA PRATICA DEI PRIMI 5 SABATI DEL MESE: da Giugno a Ottobre ogni primo sabato del mese alle ore 10.00 S. Messa in onore del Cuore Immacolato di Maria