Federico Chabod - Storia Dell'Idea d'Europa

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Storia Dell'Idea d'Europa

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Federico Chabod, Storia dell'idea d'Europa.

'animo si volge, nostalgicamente, verso quei belli, splendidi tempi in cui l'Europa era una terra cristiana, in cui un'unica Cristianit abitava

a cura di Ernesto Sestan e Armando Saitta. Copyright 1961 Gius. Laterza e Figli, Roma-Bari. Nella "Economica Laterza" Prima edizione 1995. Come e quando i nostri avi hanno acquistato coscienza di essere europei? Uno dei pi grandi storici italiani ripercorre la storia di questa consapevolezza quale si venuta svolgendo all'interno di una tradizione di pensiero che parte dai Greci per arrivare alla fine dell'Ottocento. Un libro nato dalla fede in alcuni valori supremi, morali e spirituali, che sono creazione della nostra civilt europea. Federico Chabod (Aosta, 1901 - Roma, 1960), per i nostri tipi autore anche di Storia della politica estera italiana (1965), L'idea di nazione (1967), Lezioni di metodo storico (1969). Prefazione Anche questo volumetto, come l'altro su :L'idea di nazione (1) racchiude un corso universitario di Federico Chabod: quello sulla Storia di Europa, da lui professato la prima volta alla Facolt di Lettere di Milano nel 1943-44 (come parte di un corso pi ampio, abbracciante l'idea di nazione) e successivamente, per due volte, presso la Facolt di Lettere di Roma (anni accademici 1947-48 e 1958-59). Allo stesso argomento Chabod aveva dedicato pure la sua prolusione romana del gennaio 1947, poi data alle stampe; tema, dunque, - poteva egli ben dire, ad apertura del corso del 1958-59 - che mi particolarmente caro, e che desta in me una profonda risonanza, morale e spirituale: dalla fede in alcuni valori supremi, morali (1) Cfr' :L'idea di nazione, Bari, Laterza, 1967. e spirituali, che sono creazione della nostra civilt europea, nato infatti l'impulso a ripercorrere storicamente l'iter di questa civilt, e, anzitutto, a rispondere al quesito, come e quando i nostri avi abbiano acquistato coscienza di essere europei. Questa dichiarazione, che forse pu sorprendere sotto la penna di un uomo schivo del parlar di s quale era Federico Chabod, va ricollocata in quella che era la particolare atmosfera di impegno che egli creava attorno a s dalla cattedra, con quel suo tono pedagogico solenne e al tempo stesso caldo di fermenti e suscitatore di energie. Ci permettiamo, anzi, di dire che proprio la pubblicazione di questi corsi universitari consentir, a chi non ha avuto la ventura di essere suo ascoltatore, di cogliere uno Chabod non certo diverso da quello che le opere scritte per essere pubblicate ci hanno fatto conoscere, ma indubbiamente con delle inflessioni pi vivaci, meno preoccupato di tener al secondo posto la propria critica personale per dar la prevalenza all'esecuzione, in piena onest, del precetto dell'audietur altera pars, qui invece pi pronto nel rapido guizzar di una frase, nel balenar di un giudizio a dare il posto di proscenio alle proprie intuizioni. Persiste anche in questo corso universitario quella estrema sensibilit che fu propria di Chabod nel voler salvaguardare ad ogni costo la pulizia del lavoro storiografico dalle commistioni con le passioni della politica: se nel saggio su Croce storico del 1952 aveva rivolto l'attenzione verso i pericoli di commistione provenienti da sinistra, qui lo sguardo si volge preoccupato verso destra, verso chi eventualmente vorr confondere una seria ricerca storiografica sull'idea di Europa con i calcoli, i progetti e - perch no? - la civetteria di un europeismo oggi di moda; ma in queste pagine vi sono pure dei pensieri che denotano tutt'altre preoccupazioni: Vien da pensare che l'umanit non possa procedere se non per via polemica, e che l'alterare proporzioni e misure sia necessario all'uomo che lotta per affermare un proprio ideale. Anche il momento metodologico - ed era cosa ben naturale - balza in primo piano in queste lezioni: nella fattispecie, per l'idea di Europa, ricordiamo il canone che il momento della "contrapposizione" [] sempre decisivo in simile processo di delineazione da parte degli europei dei propri caratteri e, con questo, ricordiamo pure il canone, che potrebbe forse esser detto di storia integrale: Non perdiamo mai di vista simili connessioni del nostro problema particolare con l'insieme della vita spirituale europea, ch, altrimenti, sfuggirebbero tanti aspetti del nostro problema e altri sarebbero fraintesi. Non il caso di insistere sulla grande fecondit dell'uno e dell'altro di questi due criteri storiografici, tanto essa risulta evidente; ricordiamo soltanto che essi giustificano in pieno quanto stato scritto di recente: Sulla traccia dell'idea d'Europa, il mondo ellenistico e il mondo romano, la respublica christiana, l'Umanesimo, il Rinascimento, la Riforma con la diaspora dei fuorusciti italiani. L'Occidente delle invenzioni e delle scoperte, il Settecento e la Rivoluzione, il Romanticismo e il nazismo erano per lui altrettanti momenti di riflessione e di illuminazione (G' Falco, :L'idea d'Europa, in :Federico Chabod nella cultura e nella vita contemporanea, in Rivista storica italiana, Lxxii, 1960, p' 741). Lo studioso di Chabod storico dell'idea di Europa dovr affrontare la questione della genesi delle sue riflessioni sull'argomento: il primo corso, quello milanese, si svolse nel 1943-44 e tale data di per s, accanto al fatto che l'idea d'Europa faceva parte di un corso sull'idea di nazione, pi che illuminante: erano gli anni tragici nei quali i barbari dell'anti-Europa, ancora restii a percepire lo scricchiolare dei loro vasti e frettolosi imperi, si erano tramutati in assertori di una nuova Europa sotto i segni della svastica e del littorio; il richiamo di Chabod al quando i nostri avi si erano sentiti europei, al momento rousseauiano-mazziniano della nazione, sprizzava come autoctona contrapposizione alla Neue Ordnung. Ma Chabod, certamente, non aveva atteso il 1943 per meditare sull'argomento (lavoratore tenace quanto metodico, in ogni sua pagina versava il dossier di un numero rilevante di letture, di schede e di appunti, costituito in anni di assidua ricerca), e forse si nel vero congetturando che il primo stimolo sorse per opposizione polemica a certe ouvertures della politica culturale e della propaganda ufficiale dell'ra del Bottai. Non certo senza significato che, nella redazione del corso milanese del 1943-44, data alle stampe a cura di Bianca Maria Cremonesi, Chabod abbia iniziato l'introduzione con queste parole, che non torneranno pi nelle edizioni romane del 1947-48 e 1958-59: In questi ultimi anni stato, ed , un gran parlare di Europa e di civilt europea, di anti-Europa e di forze avverse alla civilt europea, ecc'. Appelli, articoli di giornali e di riviste, discussioni e polemiche: insomma, il nome Europa stato con insolita frequenza tirato in ballo, a torto e a ragione, per dritto e per rovescio. Ma se ci fermiamo ad analizzare un po' da vicino che cosa s'intenda per Europa, ci accorgiamo subito dell'enorme confusione che regna nella mente di coloro che pur ne parlano e scrivono con tanta foga e insistenza. Quale sia il valore esatto di tal termine, rimane nascosto: e si potrebbe proprio ripetere il che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa. Ci si serve, cio, di un concetto del tutto indefinito, vago, confuso: anzi, dobbiamo constatare che si tratta generalmente di parole sonore e vuote, senza nessun concetto dietro. Come si sia venuto formando, e attraverso a quali lunghe fasi; che cosa s'intenda propriamente quando ci si riferisce al concetto di Europa, questo oscuro. Questo ci sforzeremo di chiarire nel nostro corso; questo e, ad un tempo, la funzione storica che il concetto ha gi avuto nel passato, il suo divenire da semplice concetto, idea, il suo trasformarsi, cio, da pura nozione in aspirazione e volont, da mero acquisto dell'intelletto in fattore sentimentale e volitivo, da conoscenza in valore. La nostra sar dunque non la storia d'Europa, secondo viene comunemente intesa, come storia di accadimenti politici e militari ed economici; non la storia di una successione cronologica di eventi, e nemmeno la storia della civilt e della cultura fiorite in Europa, bens la storia dei pensieri sull'Europa. una storia ancora assai mal nota. Ripetiamo: tutti ne parlano, ma quasi nessuno si chiede il valore della parola che pronunzia. E ci, non solo nel campo dei giornalisti. Anche se passiamo nel campo degli storici, degli studiosi, dobbiamo infatti notare la limitatissima attenzione sin qui dedicata all'approfondimento dell'idea di Europa. Scarse sono cos le pubblicazioni in merito. vero che nel 1932 (14-20 novembre) la Reale Accademia d'Italia dedic uno dei convegni Volta proprio al tema Europa: e poteva essere un'ottima occasione per affrontare in pieno il problema. Ma i contingenti motivi politici ebbero assoluta prevalenza sui motivi scientifici; e il convegno, a cui parteciparono certo studiosi di valore e seri ma anche politici e politicanti di mediocre e mediocrissima levatura, si trasform per la pi parte in una discussione politica sul presente e sull'avvenire dell'Europa (v' il volume degli Atti, Roma, 1933). Scientificamente, quindi, nulla usc da quella riunione. Pi presso a noi, nel 1942, l'Istituto Nazionale di Cultura Fascista fece discutere, prima in riunioni dei locali Gruppi Scientifici, poi in un convegno nazionale a Roma, la Idea dell'Europa (se ne pu vedere il resoconto stenografato, in bozze di stampa riservate). Ma anche qui la discussione fu, sostanzialmente, accentrata sul presente e sull'avvenire; fu, cio, discussione politica, con profezie e piani e vagheggiamenti per il futuro. Per quel che riguarda la storia dell'idea di Europa, gli accenni fatti nel convegno sono quasi tutti di una grande genericit e banalit; ed errata poi la tesi di C' Morandi, che cerc s di delineare brevemente quella storia, ma non seppe risalire oltre i primi decenni dell'Ottocento. Questi due tentativi, fatti per iniziativa ufficiale nell'ultimo decennio in Italia, sono quindi da considerare del tutto falliti. C' invece qualche buono studio straniero, su alcuni momenti di quello sviluppo storico (pp' 9-10). Chi scorra il resoconto stenografato del convegno del 1942, si accorger di leggiervi della fondamentale esattezza del giudizio di Chabob, anche se qualche contributo scientifico non sia stato del tutto assente (il dissenso con Morandi dissenso di due storici su un terreno storiografico; vorremmo anche rilevare che la distinzione tra concetto e idea di Europa fu uno dei cardini del convegno, dal discorso di apertura del Pellizzi all'intervento di Ugo Spirito); poteva quindi ben dire Chabod nelle redazioni successive del suo corso: Sino a non molti anni fa, il tema di cui trattiamo era, si pu dire, ignorato, e di rivendicare la qualit di essere tra i primi al proprio lavoro e a quello del compianto amico Carlo Morandi. Tra i primi e tra i pi fruttuosi, possiamo aggiungere noi. Non che sia stata del tutto inesistente un'eredit dal convegno Volta e da quello successivo del 1942: non sono mancati in questi ultimi anni ritorni eruditi ad antiche posizioni; ma - e siamo certi che non l'amicizia a farci velo - la via regia in Italia per gli studi sull'idea di Europa, quelli della Annoni, di Visconti e di tanti altri, ancora, non passata di l; passata attraverso i nomi di Chabod e di Morandi, attraverso il loro stesso amichevole contendere circa il carattere e l'origine prevalentemente settecentesca o prevalentemente ottocentesca dell'idea di Europa. Ristampiamo qui la terza ed ultima redazione, quella del corso dell'anno accademico 1958-59, esistente in dispense ciclostilate. la redazione pi ampia di tutte, che assorbe in s letteralmente con l'aggiunta di qualche ulteriore particolare la redazione dell'anno accademico 1947-48 (esistente sotto il titolo generale di :Lezioni di storia moderna, in manoscritto calligrafico litografato presso le Edizioni Studium Urbis di Roma); la prima redazione, quella della parte Ii del corso milanese del 1943-44 (a stampa, a cura di Bianca Maria Cremonesi; Varese-Milano, Istituto Editoriale Cisalpino, 1944), da considerare soltanto come un primo abbozzo, poi notevolmente ampliato. Abbiamo gi riportato sopra la pagina significativa dell'introduzione di questa prima redazione; quest'ultima, dopo l'attuale rigo 21 di p' 65, Ii vol' Braille, cio dopo l'esame dell'idea di Europa in Voltaire, volgeva rapidamente a termine in appena sette pagine, che riportiamo qui in appendice, ritenendo che esse, se sul piano della concreta ricostruzione storica sono ampiamente superate dai capitoli V e Vi della redazione definitiva, conservano tuttavia tutto un loro valore, non foss'altro che di reazione immediata dell'autore ad alcune letture fatte in quel particolare clima che fu degli anni 1943-1944. Ernesto Sestan Armando Saitta Premessa Riprendo oggi un tema su cui mi sono gi intrattenuto nel passato: una prima volta, al corso tenuto presso la Facolt di Lettere dell'Universit di Milano, fra l'autunno del 1943 e la primavera del 1944, che toccava parimenti dell'idea di Europa e di quella di nazione; e successivamente, nella prolusione pronunziata presso la Facolt di Lettere dell'Universit di Roma, (1) nel gennaio 1947, e nel corso - questa volta specifico, e pi ampio, sulla sola idea di Europa - tenuto nell'anno accademico 1947-1948. Tema, dunque, che mi particolarmente caro, e che desta in me una profonda risonanza, morale e spirituale: dalla fede in alcuni valori supremi, morali e spirituali, che sono creazione della nostra (1) Pubblicata, sotto il titolo :L'idea di Europa, nella Rassegna d'Italia, aprile e maggio 1947. Continuazione dell'articolo suddetto pu essere considerato l'altro mio articolo :Nazione ed Europa nel pensiero dell'Ottocento, in Quaderni Aci (dell'Associazione Culturale Italiana), n' 6, Torino, 1951. civilt europea, nato, infatti, l'impulso a ripercorrere storicamente l'iter di questa civilt, e, anzitutto, a rispondere al quesito, come e quando i nostri avi abbiano acquistato coscienza di essere europei. Problema storiografico strettamente allacciato, dunque, con i problemi del presente, sgorgante anzi direi dai problemi del presente: come sempre accade per i veri e grandi problemi che la storiografia man mano si pone. Cos si spiega, anche, l'ormai ricco stuolo di articoli e volumi dedicati, nell'ultimo decennio, alla storia della nostra idea. Sino a non molti anni fa, il tema di cui trattiamo era, si pu dire, pressoch ignorato. Ed curioso constatare che i primi lavori specifici toccassero il problema Europa non gi nei tempi pi vicini a noi, come pur sembrerebbe logico, bens in quelli pi lontani. Il primo, utile studio da ricordare, quello di R' Wallach, apparso a Lipsia-Berlino nel 1928, riguardava :Das abendlndische Gemeinschaftsbewusstsein im Mittelalter. Non era, dunque, nemmeno propriamente l'Europa il soggetto, anche se una ricerca del genere di quella di Wallach sia essenziale ai fini pur della storia dell'idea di Europa. Segu, nel 1931, il notevole scritto di W' Fritzemeyer, Christenheit und Europa, Monaco-Berlino, 1931. E nel 1933 l'assai importante articolo di A' Momigliano, :L'Europa come concetto politico presso Isocrate e gli Isocratei, nella Rivista di filologia e d'istruzione classica, Lxi, pp' 477-78. Poi, silenzio: sino, appunto, agli anni della guerra e del dopoguerra. I miei studi, e quelli del compianto amico Carlo Morandi (:L'idea dell'unit politica d'Europa nel Xix e Xx secolo, Milano, 1945) sono cos fra i primi. Oggi, invece, come ho gi avvertito, assai pi fitta la congerie di scritti sul tema. Rammentando solo i pi importanti: H' Gollwitzer, :Europabild und Europagedanke. Beitrge zur deutschen Geistesgeschichte des 18' und 19' Jahrhunderts, Monaco, 1951, che, per quanto dedicato specificamente al pensiero tedesco del Sette e dell'Ottocento, merita attenzione anche sul piano generale (i capp' I e Ii sono poi di carattere generale; e cos osservazioni generali inquadrano anche le successive analisi). Del Gollwitzer si veda pure l'art' :Zur Wortgeschichte und Sinndeutung von Europa, in Speculum, Monaco, 1951, pp' 161-71. Essenziale, D' Hay, :Europe. The Emergence of an Idea, Edinburgo, 1957. Pure dello Hay si veda l'articolo :Sur un problme de terminologie historique. Europe et Chrtient, in Diogne, Parigi, n' 17, gennaio 1957, pp' 50-62. C' Curcio si era gi occupato del problema nel volume Nazione, Europa, Umanit, Milano, 1950. Nel giugno 1957 egli faceva uscire, a Roma, il primo numero di una rivista Europa. Finalmente, nel 1958, ha pubblicato un'opera in due volumi: :Europa. Storia di un'idea, Firenze, Vallecchi. questa, indubbiamente, la trattazione pi completa che si abbia oggi sull'argomento: dalla Grecia antica ai giorni nostri. Assai meno importante, invece, il profilo di P' Brezzi, :Realt e mito dell'Europa. Roma, s' a' (ma 1954). Lavori particolari, su momenti determinanti, non mancano certo pi: mi limito a segnalare i due che concernono l'Italia. Di D' Visconti, :La concezione unitaria dell'Europa nel Risorgimento, Milano, 1948, e quello, uscito or ora, di A' Annoni, :L'Europa nel pensiero italiano del Settecento, Milano, 1958. Connesso col nostro tema, il saggio di A' Saitta, :Dalla Res Publica Christiana agli Stati Uniti di Europa, Roma, 1948. Da veder pure le discussioni svoltesi a Magonza, in un apposito congresso, nel marzo 1955, in: :Europa. Erbe und Aufgabe. Internationaler Gelehrtenkongress, Mainz, 1955, ed' da M' Gohring, Wiesbaden, 1956; e lo scritto di A' Saitta, :L'idea di Europa dal 1815 al 1870, in Movimento Operaio, a' Viii, n' 4, luglio-agosto 1956, pp' 403-45. Come vedete dunque, fiorire di scritti, in vari paesi, attorno a questo tema, strettamente allacciato alle aspirazioni, alle speranze, alle preoccupazioni dei nostri giorni. Esempio tipico del come l'impulso primo, e vitale, alla ricerca storica derivi sempre da ansie e affetti e timori del presente, da problemi ben vivi in tutti e per tutti. Il che non significa - sia ben chiaro - che poi nell'immergerci nel passato, nel ricostruirne la fisionomia sempre mutevole a seconda delle epoche, nel ricrearlo storiograficamente, ci si debba lasciar guidare dai nostri pensieri e affetti e ansie di oggi. L'impulso alla ricerca sempre, e non pu non essere, soggettivo: donde il continuo riaffacciarsi di problemi storici apparentemente identici, ma ai quali le generazioni che si susseguono chiedono risposte diverse. Cos, nella Rivoluzione francese si cercato, prima, nell'Ottocento, la risposta al grave problema della libert, dei rapporti fra autorit e libert, ch'era anche il problema concreto, preciso attorno a cui lottavano gli uomini del 1830 e del 1848. Poi, si in essa cercata la risposta al problema dei rapporti fra classi sociali, movimenti operai, condizioni dei contadini, rapporti campagna-citt: in conformit dei nuovi problemi che si imponevano fra '800 e '900. Come s' detto nella parte metodologica (2) a proposito del ben specifico problema della storia dei prezzi, ogni storico degno di questo nome si pone interrogativi che nascono dalla sua coscienza, dal suo animo, dal suo spirito; e nel volgersi a considerare un determinato evento storico egli lo fa per chiedere al passato certe risposte, diverse da quelle che al passato chiede, magari (2) [qui non riprodotta.] contemporaneamente, un altro studioso. Per questo, l'una dopo l'altra tutte le generazioni riprendono l'esame di alcuni grandi periodi storici, di certi eventi o personalit del passato, che hanno inciso con particolar forza sui destini dell'umanit. Per questo, nessun problema storico mai chiuso, o risolto! Pensate un po', chi ardisse dichiarare che ormai del trapasso dal mondo classico greco-romano a quello medievale, dei Comuni, del Rinascimento, della Riforma ecc' non s'ha pi da parlare perch ogni dubbio dissolto, e la verit integrale, totale risplende ai nostri occhi! Questo , dunque, l'eterno momento soggettivo della ricerca storica: mancando il quale, non avremo pi storia, ma cronaca. Una mera ricerca erudita, che non direbbe pi nulla a nessuno. Ma, una volta voltosi a studiare un determinato evento, prescelto per la affinit con l'animo suo, lo storico deve poi far getto, lontano da s, di ogni preoccupazione, di ogni motivo che non sia la sola ricerca della verit. Intanto: cercar di ricostruire i fatti, i pensieri, i sentimenti di et trascorse, con indagine accuratissima, paziente, minuta, evitando con il massimo scrupolo di imprestare a generazioni lontane le nostre idee, i nostri punti di vista, facendo ogni sforzo per vivere con quelle generazioni, per ricreare in noi il loro modo di sentire, di pensare e di agire, sulla base di un esame filologicamente attentissimo di tutte le testimonianze che ci rimangono. Il momento filologico qui diviene essenziale: e filologia significa rispetto assoluto dei testi, che non devono esser sollecitati ad esprimere ci che non intendevano esprimere! Siamo, ora, nel momento oggettivo della ricerca: dalla maggiore o minore conoscenza delle fonti, perizia filologica, accuratezza di ricostruzione, congiunta con la maggiore o minore acutezza di introspezione, capacit di presentazione stilistica e di taglio della materia, di inquadramento dei vari fatti in una linea prospettica che stacchi i primi dai secondi piani, l'una e l'altra qualit messe al servizio di un rigido, intransigente amore della verit, dipende il maggiore o minor valore dell'opera di uno storico. I due momenti, quello che ho chiamato soggettivo e quello oggettivo, il politico-morale-filosofico - se vogliamo cos definirlo - e il filologico-erudito, condizionano entrambi - e in indissolubile armonia - il successo dell'opera. Senza interessi vivi e profondi, connaturati con la personalit di uno storico, non v'ha sapienza filologica che basti; e, viceversa, senza perizia filologica, e lunga fatica erudita, nessun interesse vivo sar mai in grado di andar oltre lo stadio dell'opera di parte, del pam- phlet, dello scritto polemico. E l'uno e l'altro pregio, poi, sarebbero inutili se mancasse - ripeto - l'amore della verit: quell'amore per cui lo storico non esita a ripudiare un suo primitivo modo di vedere, un giudizio iniziale, quando il controllo dei testi gli dimostra che egli si era sbagliato; per cui, anche quando per esempio si tratti di riconoscere cose non piacevoli e non belle, errori o colpe nella storia della propria, non dir parte politica, ma, ben pi, patria o religione, lo storico degno di questo nome le riconosce. Nessun ideale, per alto che sia, pu a questo punto intromettersi, pesare nella ricerca e nella valutazione dello storico, influenzare unilateralmente il suo giudizio, indurlo a parteggiare con animo fazioso. Perci, e anzitutto, evitare le trasposizioni di sentimenti e pensieri dell'oggi nella ricostruzione storica dello ieri: come invece successo e succede sovente. Questo desidero dire, proprio prima di accingermi a trattare il tema prescelto, perch si tratta di un tema in cui sarebbe facilissimo andar in cerca di precursori e di precorrimenti delle nostre idee, scoprire piani europeistici in uomini del passato che non si sono mai sognati l'europeismo. Pochi giorni fa, trovandomi a Colonia per un colloquio su Carlo V, ho avuto modo di ascoltare assai assennate considerazioni contro ogni tendenza a far di Carlo V un precursore dell'europeismo odierno. L'idea unitaria di Carlo V non ha nulla, assolutamente nulla a che vedere con i pensieri europeistici. Gli esempi si potrebbero moltiplicare: ma basti l'accenno. Tornando, dopo parecchio tempo e dopo una cos copiosa fioritura di stud, sull'argomento, devo dire di non aver nulla da modificare alle linee generali della mia trattazione d'un tempo. Potrei, naturalmente, aggiungere molti elementi nuovi, arricchire il quadro - e qua e l lo far -; ma l'impostazione e le linee di svolgimento restano per me, oggi, quelle che erano vari anni or sono. Contro lo spirito della Rivoluzione francese, il conservatore Burke aveva esaltato, nelle Riflessioni famose, lo spirito dell'antica cavalleria: lo spirito, cio, che aveva improntato di s l'Europa moderna, costituendo la nota distintiva di tutte le sue forme di governo, segnando in esse una notevole superiorit rispetto agli Stati del mondo asiatico e sin di fronte a quelli ch'erano fioriti nel periodo pi felice del mondo antico. Due princpi avevano dato vita alle tradizioni e alla civilt e agli alti valori del mondo europeo: lo spirito proprio dei gentiluomini e lo spirito proprio della religione: l'uno e l'altro, ora, minacciati paurosamente dalla trivialit, dalla stupidit, dalla ferocia dei rivoluzionari che sovvertivano sentimenti, costumi, idee morali. (3) Alcuni anni pi tardi, nel 1796, Burke riprendeva la sua polemica, sempre per inneggiare ai valori della civilt europea, a quel sistema di vita e d'educazione pi o meno uguale in tutta questa parte del mondo, che addolc, fuse ed armonizz il colore dell'insieme, creando una somiglianza di consuetudini sociali e di forme di vita, per cui nessun europeo potrebbe essere completamente esule in alcuna parte di Europa. (4) Burke, dunque, aveva chiara (3) :Riflessioni sulla Rivoluzione francese, trad' it' a cura di V' Beonio Brocchieri, Bologna, 1930, pp' 165 sgg'. (4) :Letters on the Regicide Peace, cit' in Chr' Dawson, :Il giudizio delle nazioni, trad' it', Milano, 1946, p' 73. coscienza di quel che voleva dire Europa ed europeo, anche se la sua fosse quasi angoscia di veder tramontare, sotto la furia delle forze rivoluzionarie scatenate, e l'uno e l'altra. Ma risaliva molto in su, nel tempo, una simile coscienza di europeo? O non era proprio una gran conquista spirituale di epoche recenti, assai vicine al Burke, che quella coscienza avevano chiaramente modellata, traendola dall'indistinto fluttuare d'idee e di sentimenti di et pi antiche? Con ci si pone il problema di come sia sorto il concetto istesso d'Europa. Non dal punto di vista geografico, ben inteso; non riguardo alla Europa fisica: s riguardo all'Europa politica, all'Europa culturale e morale, all'Europa che noi abbiamo sentita distinta dalle altre parti del globo per certe determinate caratteristiche del modo di pensare e di agire, dei sistemi filosofici e politici, di tradizioni memorie speranze; all'Europa come individualit storica e morale. Quel che a noi interessa il concetto di Europa dal punto di vista culturale e morale; dell'Europa che forma un quid a s, distinta dalle altre parti del globo, proprio soprattutto per certe determinate caratteristiche del suo modo di pensare e di sentire, dei suoi sistemi filosofici e politici; dell'Europa, come individualit storica, che ha una sua tradizione, che pu fare appello a tutta una serie di nomi, di fatti, di pensieri che le hanno dato, nei secoli, una impronta incancellabile. Quando noi diciamo Europa, oggi, intendiamo alludere non soltanto ad una certa estensione di terre, bagnate da certi mari, solcate da certe catene montuose, sottoposte ad un certo clima ecc'; intendiamo, assai pi, alludere ad una certa forma di civilt, ad un modo di essere che contraddistingue di primo acchito l'Europeo dall'uomo di altri continenti. L'Europeo assai pi che il bianco (uomini di razza bianca abitano, oggi, anche altre parti del mondo, che pur appaiono dotate di alcune, almeno, caratteristiche diverse): , anzitutto, soprattutto, un certo abito civile, un certo modo di pensare e di sentire, a lui proprio e diverso, ben diverso, da tradizioni memorie e speranze di Indiani, Cinesi, Giapponesi, Etiopi ecc'. Anche qui, insomma, quel che importa il fattore spirito, volont; l'elemento morale che predomina di gran lunga su quello fisico. Non si vuole con ci negare che il fatto di avere, per millenni, abitato queste terre, fisicamente conformate in certo modo, abbia influito sullo sviluppo di tale forma mentis. Si vuole, si deve per affermare recisamente, che quel che importa la forma mentis, e che essa pu essere s, in parte il risultato dell'acclimatamento in determinato ambiente geografico, ma soprattutto opera della storia, cio della volont degli uomini, la quale ha, nei secoli, impresso il suo durevole suggello sulle generazioni, che si sono susseguite e si susseguono nel continente chiamato Europa. l'eredit dei padri, antica ormai di millenni, che noi rechiamo in noi, sin dal nostro nascere; e che a nostra volta arricchiamo e facciamo sempre pi complessa con la nostra esperienza, i nostri pensieri, i nostri affetti, per tramandarla ai figli e ai nipoti. Ora, il problema che poniamo precisamente il seguente: quando gli uomini abitanti in terra europea cominciarono a pensare se stessi e con s la propria terra, come un qualcosa di essenzialmente diverso, per costumi, sentimenti, pensieri, dagli uomini abitanti in altre terre al di l del Mediterraneo, sulla costa africana, per esempio, o al di l dell'Egeo e del Mar Nero in terra asiatica? Quando, cio, il nome Europa cominci a designare non solo un complesso geografico, s anche un complesso storico; non solo un determinato fattore fisico, s anche un determinato fattore morale, politico, religioso, artistico della vita dell'umanit? E quali furono le caratteristiche con cui l'Europa si discopr, moralmente, ai suoi figli; quali, cio, i lineamenti morali che le furono attribuiti, come propr di essa e di essa sola? Questo il problema, sostanzialmente diverso, dunque, da quell'altro, assai pi familiare agli storici, di ricercare quali siano state le basi dell'unit culturale europea e di analizzare la nascita dell'Europa, come di un organismo dotato di certi lineamenti propr, religiosi, politici, economici, morali. Dalla ricerca dei fatti passiamo alla ricerca della coscienza di tali fatti; quel che cerchiamo quando siffatte caratteristiche siano state consapevolmente avvertite per tali dagli Europei; che , ripetiamo, tutt'altro problema, a quella guisa in cui tutt'altro problema dalla pratica dei politici, assai simile da che mondo mondo, la consapevolezza dottrinaria che la politica la politica, e va giudicata in base a criter politici. Ancora una volta, l'essenziale l'acquisto della piena coscienza di s: momento, certo, assai tardo e difficile da raggiungere, eppur necessario, poich nella storia ha posto solo ci che ha coscienza di s. (5) Tanto vero, che se delle basi, diremo di fatto, della civilt europea si pu parlare sin dal mondo antico e ancor pi dal trionfo del cristianesimo e della civilt cristiana e cio dal Medioevo, di una precisa e chiara coscienza europea non si pu discorrere se non nell'et moderna. (5) A' Omodeo, :La cultura francese nell'et della Restaurazione, Milano, 1946, p' 91. Capitolo primo Coscienza europea significa infatti differenziazione dell'Europa, come entit politica e morale, da altre entit, cio, nel caso nostro, da altri continenti o gruppi di nazioni; il concetto di Europa deve formarsi per contrapposizione, in quanto c' qualcosa che non Europa, ed acquista le sue caratteristiche e si precisa nei suoi elementi, almeno inizialmente, proprio attraverso un confronto con questa non-Europa. La coscienza europea, al pari della coscienza nazionale, per dirla con Carlo Cattaneo, come l'io degli ideologi che si accorge di s nell'urto col non io; (1) il fondamento polemico essenziale. Ora la prima contrapposizione tra l'Europa e qualcosa che Europa non (precisamente l'Asia, (2) destinata a rimaner sempre, fino agli ultimi decenni del sec' Xviii, quando anche l'America verr contrapposta all'Europa, il termine di confronto) opera del pensiero greco. Tra l'et delle guerre persiane e l'et di Alessandro Magno si forma, per la prima volta, il senso di un'Europa opposta all'Asia, per costumi, e, soprattutto, per organizzazione politica; una Europa che rappresenta lo spirito di libert, contro il dispotismo asiatico. (3) Certo, quest'Europa ancora assai limitata, come ambito geografico; spesso, si identifica ancora con la sola Grecia, come in Isocrate; e anche (1) :Considerazioni sulle cose d'Italia nel 1848, ed' Spellanzon, Torino, 1942, p' 7. (2) Sull'origine dei nomi cfr' H'Th' Bossert, Asia, Istanbul, 1946, pp' 2 sgg', ma soprattutto S' Mazzarino, :Fra Oriente ed Occidente, Firenze, 1947, pp' 43 sgg'. (3) Sul concetto greco di tiranno, che solo dall'et delle guerre persiane diviene caratteristico dell'Asia, cfr' acute osservazioni in S' Mazzarino, :Fra Oriente ed Occidente, p' 199, e, per il contrasto Asia-Europa, pp' 65 sgg'. quando abbraccia pi ampia estensione, si pu dire che i suoi contorni rimangono assai imprecisi e che, comunque, quando si parla di Europa, moralmente e politicamente, si pensa al massimo ai popoli e alle regioni in rapporti costanti col mondo greco, permeati della civilt greca, e quindi all'Italia e alle coste mediterranee della Gallia e della Spagna. (4) vero che Erodoto si meraviglia quando vede che molti fanno l'Asia di dimensioni uguali all'Europa; (5) ma anche vero che egli dichiara che il punto pi lontano dell'Occidente il mare Adriatico, (6) e che il piano di Serse , secondo lui, di fare avanzare contro l'Ellade un esercito attraverso l'Europa, percorrendo tutta l'Europa onde, vincitore, il Sole non veda terra alcuna che confini con l'impero persiano, universale e limitato soltanto dal mare: (7) onde tutta l'Europa si riduce alla Tracia e alla Macedonia. Da questi ultimi passi soprattutto emerge che, se pure dal punto di vista geografico, fisico, Erodoto vede gi un'Europa che giunge (4) Cfr' A' Momigliano, :L'Europa come concetto politico presso Isocrate e gli Isocratei, in Rivista di filologia e d'istruzione classica, Lxi (1933), p' 479. (5) Le Istorie, Iv, 36, 43, 46 (nella recente trad' di P' Sgroi, Napoli, 1947 I, pp' 337, 339, 341). (6) Le Istorie, Iv, 33 (I, p' 335). (7) Le Istorie, Vii, 8, 10, 54 (Ii, pp' 145, 146, 149, 174). fino alle foci del Po e alle isole Ebridi ad occidente, fino alla Siberia a nord, concretamente il suo interesse politico si rinserra in un'Europa assai pi piccola, tra Egeo ed Adriatico. C' tutta una parte, grandissima, che gi conglobata nell'Europa fisica, ma non affatto nell'Europa diciamo morale; che non Asia geograficamente, ma anche diversissima dai costumi e modo di vivere e civilt dell'Ellade, cio dell'Europa vera: ed la Scizia, il cui popolo ha trovato, a propria difesa, un sistema efficacissimo, ma non tale da riscuotere, per il resto (e cio per la valutazione propriamente civile), l'ammirazione dello storico greco: infatti quella gente non ha costruito n mura n citt, trasporta con s la propria casa, ed tutta costituita di arcieri a cavallo. Vive non dell'aratura ma del bestiame, ed ha le sue case su carri. (8) Cio, popolazioni nomadi, che non conoscono le citt, vale a dire non conoscono proprio quel che caratterizza i Greci. Poco pi tardi, anche Ippocrate tratter specificamente della stirpe (8) Le Istorie, Iv, 37 (I, p' 342). degli Sciti che in Europa: vi fisicamente, non ancora culturalmente. (9) Precisazione geografica e precisazione culturale-morale-politica non combaciano ancora: geografi ed etnografi parlano di un'Europa gi assai pi vasta di quel che possa ammettere la coscienza morale dei Greci, che non vede ancora nulla di comune fra s e, per es', proprio quegli Sciti lontani. E forse proprio questo dissidio fra concezioni geografiche e concezioni morali-culturali che spiega come Aristotele possa distinguere non solo Europa da Asia, ma altres Grecia da Europa (che s'identifica dunque con la Scizia e, in genere, i paesi nordici): (9) per arwn udtwn tpwn (:De are aquis locis), ed' Heiberg, Lipsia, 1927, 12, 16, e cfr' anche 23. Quest'opera non attribuibile con certezza ad Ippocrate; per indubbiamente del V secolo, del periodo tra il 460 e il 420 a'C' (Secondo F' Heinimann, Nomos und Physis, Basilea, 1945, nn' 13-41, 170-209, sarebbe di un medico che scriveva poco prima del 430 a'C'). Infatti i popoli :nei paesi freddi e nell'Europa, sono pieni d'animo, ma difettosi d'intelligenza e di capacit artistica: perci vivono costantemente nell'indipendenza, ma non hanno un governo ben formato e non sono in grado di dominare sui vicini. I popoli asiatici d'altra parte sono intelligenti e industri, ma privi di animo e perci vivono abitualmente in sudditanza e in servit. La stirpe ellenica invece, collocata in una regione, media tra questi per posizione geografica, partecipa del carattere degli uni e degli altri, essendo coraggiosa ed intelligente: perci vive continuamente in libert, con governi possibilmente perfetti, con la capacit di dominare su tutti, qualora fosse riunita in un solo Stato. (10) Questa diversit fra le considerazioni di carattere fisico-etnografico e quelle di carattere morale-culturale-politico spiega dunque l'oscillar di valore del termine Europa, ora assunto in un senso, ora nell'altro. Ma quando appunto ci si fermi sul terreno politico-culturale-morale certo che l'Europa non abbraccia mai, al massimo, oltre la Grecia, che l'Italia (10) Politica, Vii, 1327 b (trad' it' di V' Costanzi, Bari, 1918, p' 230). e le coste mediterranee di Gallia e Spagna, e cio la zona di colonizzazione greca. Ma quali sono, dunque, i criteri di valutazione politico-culturale-morale per definire questa Europa assai pi ristretta dell'Europa degli etnografi? Gi lo abbiamo accennato: criterio fondamentale di differenziazione quello della libert politica, ellenica, contrapposta alla tirannide asiatica; e la libert significa partecipazione di tutti alla vita pubblica (onde si hanno cittadini, non sudditi) e vivere secondo le leggi, non secondo l'arbitrio di un despota. Gi in Eschilo, la forza di Atene consiste nell'aver un vallo di cittadini, che combattono per la patria: (11) gi in lui troviamo l'affermazione Chi assoluti signori a s buongrado@ comprar vorrebbe?@ (12) E la gran possa dell'Asia, uscita tutta con Serse contro la Grecia, cade a terra, con grave crollo, nell'urto contro i cittadini soldati. Identica contrapposizione in Erodoto; i Lacedemoni sono i pi valorosi uomini del mondo perch sono liberi, ma non del tutto. C' un padrone su di loro, la Legge: che essi temono molto pi ancora che i tuoi non temano te; ed certo che ne eseguono il comando, il quale sempre lo stesso: divieto di sfuggire a qualsiasi numero di uomini in battaglia, e ordine di rimanere al (11) I Persiani (racconto del Nunzio). (12) Le Supplici, (Pelasgo e il Coro). proprio posto per vincere o morire. (13) A questa differenza fondamentale, altre se n'aggiungono: di costumi, onde le Danaidi appaiono subito a Pelasgo straniere, perch avvolte in peregrini abbigliamenti e in barbari veli (Le Supplici); e, pi strettamente dipendente dalla diversa organizzazione politica, di capacit militare, cos che i Persiani, non inferiori per coraggio e robustezza fisica, vengono sopraffatti dagli Spartani perch armati alla leggera e :sprovvisti inoltre di scienza militare e impari agli avversari per abilit. (14) (13) Istorie, Vii, 104 (Ii, p' 189). (14) Istorie, Ix, 61 (Ii, p' 360). Ma la nota fondamentale quella politica, che riappare anche nel testo ippocrateo, fra gli Europei che sono autonomi, cio si reggono secondo le leggi e sono padroni di s, e gli Asiatici, che appaiono inferiori, proprio perch non sono sui iuris ma sotto il dominio di un re o despota: (15) donde, militarmente, gli Europei sono migliori combattenti, pi animosi, proprio perch combattono per s e non per un padrone. E nuovamente in Aristotele, per il quale, come s' visto, gli Asiatici vivono abitualmente in sudditanza e in servit, mentre i Greci vivono continuamente in libert. Teniamo ben presente questa (15) Istorie, 16 e 23. distinzione, destinata ad influire nei secoli: ch da allora all'idea di Europa si associer quella di libert, all'idea dell'Asia quella di servit. Onde, nuovamente, quando il conflitto Oriente-Occidente si riaprir bruscamente, in piena et romana, concretizzandosi nell'urto fra Augusto da una parte, Antonio e Cleopatra dall'altra, al cantore della vittoria di Anzio, ad Orazio, esultante per la sconfitta dell'orientale Cleopatra, invano illusasi di poter abbattere la potenza del Campidoglio, l'Oriente apparir nuovamente terra di turpe schiavit, di eunuchi proni al volere di un despota. (16) Certo dunque che fra V e Iv secolo a'C' sorge una coscienza europea (od (16) Odi, I, 37. occidentale) contro una asiatica (od orientale). (17) E se all'inizio essa sorge diremo come coscienza di difesa, pi tardi acquista anche carattere di offesa, espansionistico. Tipico, a riguardo, quel che succede dopo la pace di Antalcida. Isocrate contrappone l'Europa all'Asia, come l'Elleno al barbaro. Nell'Elena (scritta poco prima del 380 a'C') la contrapposizione proiettata nel passato, nella guerra di Troia, vista appunto come lotta fra Europa e Asia; nel Panegirico (finito nel 380) la rivendicazione del diritto dell'Europa, sempre minacciata dagli Asiatici, a partecipare alle ricchezze dell'Asia, e trasferire la prosperit dall'Asia all'Europa. Scopo (17) Cfr' anche le due iscrizioni di Cipro, nel 449448, e di Xantos, post' 412-1 (Historische Griechische Epigramme, ed' V' Gaertingen, Bonn, 1926, nn' 49 e 56). del Panegirico persuadere i Greci ad accettare l'egemonia di Atene per una nuova guerra contro la Persia. Parecchi anni pi tardi, Isocrate torna sulla questione, questa volta per allo scopo di invitare Filippo re di Macedonia a scegliere, come linea di condotta politica, una politica asiatica, a preferenza di quella europea: nel senso che Filippo dovrebbe distruggere, con una spedizione in Asia, l'ingiusta superiorit economica dell'Asia sull'Europa, dei barbari sui Greci (nel Filippo, del 346). , insomma, il programma che sar poi svolto da Alessandro Magno. La contrapposizione Europa-Asia ripresa da due allievi di Isocrate, Eforo e Teopompo. Soprattutto importante la posizione di Teopompo, il quale per diverge sostanzialmente dal maestro, perch sostiene che Filippo, anzich una politica asiatica, deve seguire una politica europea (nel Filippo, 346) - proprio il punto di vista opposto a quello di Isocrate. C' un'Europa, che per Teopompo abbraccia una sfera pi vasta della Grecia; Filippo l'uomo pi grande che la Grecia abbia mai avuto; suo compito dev'essere quello di costituire un grande Stato europeo contrapposto al grande Stato persiano di Asia. (18) Senonch, una simile contrapposizione di continenti era (18) Per tutto questo cfr' A' Momigliano, loc' cit', pp' 477 sgg'. destinata ad aver breve vita; ch proprio la conquista di Alessandro, creando l'ecumene ellenistica, rendeva impossibile ogni ulteriore sviluppo del concetto appena nato; e, pi tardi, a sua volta, l'ecumene romana, anch'essa largamente intercontinentale, una sola contrapposizione poteva lasciare sussistere, e non quella di Europeo-non Europeo, s quella di Romano-barbaro. E fu, poi, la cristianit medievale, dove pure la contrapposizione fu di cristiano e pagano, affiancatasi, talora assorbendola in s, talora invece rimanendone ben distinta, alla pi antica di Romano e barbaro. Respublica christiana, christianitas, Ecclesia: questo il concetto in cui s'inquadran tutti i valori, spirituali e morali. Mondo civile (cio prima ellenistico poi ellenistico-romano) contrapposto a mondo di barbarie; mondo cristiano, in opposizione a mondo pagano: ma nell'una come nell'altra di queste visioni unitarie l'Europa non ha ancora acquistato una sua propria fisionomia morale. Come ha osservato Denys Hay, il termine christianitas fa parte, nel sec' Xii, del vocabolario abituale: il termine Europa non gli fa concorrenza, perch non usato se non in senso geografico. (19) Anche il ricorrere di Europa nella terminologia dell'et di Carlomagno - notato dallo Ullmann, (20) avviene sempre con riferimento geografico: Carlomagno rex pater Europae, (19) :Sur un problme de terminologie historique: Europe et Chrtient cit', pp' 3 sgg'. E cfr' Europe, The Emergence of an Idea, pp' 22 sgg'. (20) W' Ullmann, :The Growth of Papal Government in the Middle Ages. A Study in the ideological relation of clerical to lawpower, London, 1955, p' 95, nn' 3 e 4, e soprattutto pp' 105 sgg'. Europae venerandus apex; ma il contenuto morale, direi (modernamente) ideologico, di questa Europa la ecclesia romana, il regnum sanctae ecclesiae, sono i Romani, in contrapposizione ai Greci, a Bisanzio, che tagliata fuori. Cristianit occidentale=Europa, sottoposta politicamente a Carlomagno; cristianit orientale=Bisanzio, sottoposta all'imperatore di Costantinopoli. Contrapposizione, questa, come vedremo, tipica - e non certo solo dell'et carolingia. Anche l'Europa menzionata da papa Callisto Ii all'imperatore Enrico V, nel 1122, all'indomani del Concordato di Worms, sempre un puro concetto geografico: quantum diutina ecclesie imperiique discordia Europe fidelibus intulerit detrimentum. (21) I fedeli, i cristiani che abitano in Europa: il contenuto morale-ideologico dato da fidelibus, e non da Europa. Caratteristico, anche, che il termine europeo, europeensis, rimanga ignoto: e costituisce un'eccezione la frase di un cronista del secolo Viii, Isidoro Pacensis, che, nel descrivere la battaglia di Poitiers (o di Tours) del 732, quando (21) Cit' da F' Calasso, :I glossatori e la teoria della sovranit, 3a ed', Milano, 1957, p' 9. Il Calasso modernizza troppo, a mio parere, quando trova importante questo concetto di un'Europa, nel 1122. Carlo Martello ferma l'avanzata degli Arabi in Europa, cos si esprime: prospiciunt Europeenses Arabum tentoria ordinata. (22) Suggestivo quadro senza dubbio: ma, comunque, del tutto isolato, perch, come ha giustamente osservato lo Hay, il termine europeo, europaeus, entra nell'uso solo nel sec' Xv, con Enea Silvio Piccolomini. (23) Boccaccio aveva coniato il termine europico: ma destinato alle maggiori fortune fu l'europaeus di Enea Silvio. (22) Cfr' D' Hay, Europe, p' 25. (23) D' Hay, Europe, pp' 86 sgg'; e gi :Sur un problme de terminologie historique, cit', p' 4. Si potrebbe, a questo punto, chiedersi se e come questa nuova misura di valore (credente, non credente) si associ o sovrapponga alla misura di valore precedente (Romano, barbaro), se e come cio il criterio religioso accolga in s quello civile, culturale-morale-politico, ch'era stato il criterio del mondo romano. In altri termini: il non credente equivale anche al barbaro, oppure no? L'argomento non ancora stato studiato a fondo; cos come sul concetto di barbarie, non abbiamo ancora un'indagine esauriente. Vi sono tuttavia due tesi in antitesi. Per E' Sestan, autore dell'articolo Barbari nell'Enciclopedia Italiana (Vi, pp' 123-24), il vecchio concetto di barbarie si fonde con il nuovo di fede cristiana, nel senso che il non cristiano anche il barbaro. Per R' De Mattei, invece, una simile equivalenza non sussiste: anche dopo il trionfo del cristianesimo, barbaro continua a mantenere l'antico valore di non Romano, e la contrapposizione duplice, di barbaro e non Romano, e di cristiano e pagano, senza che questa seconda assorbisca in s la prima. Barbarie rimane sempre, anche per gli scrittori del Medioevo, sinonimo di rozzezza, incoltura, incivilt, sinonimo di non Romano, non latino. (24) Talora, ammette il De Mattei, il concetto di barbaro viene anche accresciuto del connotato di (24) :Sul concetto di barbaro e barbarie nel Medioevo, in :Studi di storia e diritto in onore di Enrico Besta, Milano, 1939, Iv, pp' 485 sgg'. inappartenenza alla comunit cristiana; pur se tal caso si riscontri, di carattere suppletivo e non essenziale, e comunque non frequente o centrale. Anche quando, insomma, :religio cum moribus congruit, per servirsi dell'espressione di Lattanzio, anche quando cio, la pecca di barbarie si aggiunge alla pecca di empiet, l'una cosa rimane distinta dall'altra (loc' cit', p' 502). E quindi, non c' nessun bisogno di attendere il Rinascimento dove, com' notissimo, il sentimento nazionale degli umanisti italiani contrappone al gentil sangue latino (cio agli Italiani) i barbari (cio gli oltramontani): e pensate anche solo alla canzone petrarchesca Italia mia. Alcuni dei testi addotti da De Mattei, a sostegno delle sue affermazioni, sono in effetti persuasivi, altri lo sono invece meno; e qualche commento non per nulla persuasivo, come quello sulla formula del diploma di Ottone Iii, di distinguere nettamente non solummodo :christianis sed etiam barbaricis regionibus. Ma nel complesso, si pu ritenere giusta la sua tesi: che cio, anche nell'alto Medioevo permaneva l'antica contrapposizione Romani-barbari, e che distinta da essa fosse la nuova contrapposizione cristiani-pagani, anche se poi, generalmente, le due si affiancassero, almeno nel senso che il paganus fosse anche, di necessit, barbarus (questo mi sembra fuori dubbio: invece ci pu essere un barbarus che christianus). Che poi barbaro non significhi solamente forestiero, straniero, senza significato spregiativo, come sostiene il Dopsch, (25) e abbia invece spesso, se non sempre, significato spregiativo (com'era gi successo con i Greci tra il V e il Iv secolo) dimostrano ad evidenza alcuni passi: soprattutto quello, notissimo, in cui Paolo Orosio espone il programma di governo di Ataulfo, il quale avrebbe voluto dapprima far tutto con i soli Germani, ma poi per multa experientia si convinse neques Gothos ullo modo parere legibus posse propter affrenatam barbariem; (26) dove, nuovamente, il barbaro non capace di (25) W:irtschaftliche und Soziale Grundlagen der europischen Kulturentwicklung, 2a ed', Vienna, 1823, I, pp' 794 sgg'. (26) :Historiarum adversus paganos libri Vii, Vii, 43, ed' Zangemeister, Vienna, 1882, p' 560. sentire il limite della legge. Ma anche il furor barbaricus, di cui parlano s' Ambrogio e Vittore Vitense, (27) la barbarica cupiditas di Costanzo di Lione (28) - per citare solo alcuni esempi - sono documento abbastanza chiaro di come barbaro equivalesse a senza legge e senza freno, per gli uomini del Iv e del V secolo; e lo conferma la stessa polemica di s' Agostino, nel primo libro del De Civitate Dei, a favore dei barbari, che, nel sacco di Roma del 410, per rispetto al nome di (27) Per s' Ambrogio cfr' qui appresso. Per Vittore Vitense cfr' la :Historia persecutionis Africanae provinciae temporibus Geiserici, ed' Halm, in M'G'H', A'A' Vii, parte 1a (Berlino, 1879), n' 3, e cfr' anche Corippo, :Johannidos seu de bellis libicis libri Viii, v' 28. (28) :Vita Germani episcopi Antissiodorensis, ed' Grusch e Levison in M'G'H', Script' Rer' Meroving', Vii, parte I (Hannover e Lipsia, 1919), pp' 271-72. Cristo, tanta gente risparmiarono e le basiliche degli Apostoli, poich Dio sbigott le menti crudelissime e sanguinosissime, le fren e mirabilmente le temper. (29) Dunque, concetto di christianitas, e non di Europa. (29) Cap' Vii. E infatti tutto il pensiero politico medievale, come gi si detto, poggia sull'idea di cristianit dalla quale precisamente deriva le sue aspirazioni e tendenze unitarie, dell'unit del genere umano sotto un solo capo, nel temporale l'imperatore, nello spirituale il pontefice. L'uno e l'altro potere non sono che i due volti di un essere bifronte, i due fianchi di uno stesso corpo. L'Ecclesia unica, abbraccia tutto, spirito e corpo, religione e politica: solo a fini pratici, alcune mansioni sono esercitate da un certo genere di uomini (i chierici), altre da altri (i laici). Senonch, ci si deve ora chiedere: e quali sono i limiti materiali, geografici della christianitas, dell'Ecclesia? Teoricamente, ovvio, essi abbracciano l'universo, tutto quanto l'humanum genus, senza eccezioni; ma in concreto, sin dove si estendono? Quando un s' Bonaventura o un Dante parlano della necessit della ordinatio ad unum dell'universo, quali paesi, quali popoli si presentano, concretamente, alla loro immaginazione, qual la forma determinata con cui ai loro occhi appare la tanto vagheggiata christianitas? In altri termini, quali sono i paesi che fanno parte delle conoscenze comuni, che costituiscono per cos dire lo sfondo territoriale dei pensieri sul mondo? L'ecumene romana, aveva abbracciato, di suolo europeo, ancora Mezzogiorno ed Occidente, quest'ultimo ormai pi chiaramente e fortemente collegato con il centro della civilt, Italia e Grecia, dopo la conquista romana della Gallia. Fuori dell'orbita civile era restata tutta l'Europa centrale, oltre il Reno: qui abitano barbare nazioni, dir sul finir del Iv secolo Ammiano Marcellino; (30) e contro di esse s' Ambrogio, gran patriota romano, esalta i confini, il :bonum mare quo barbaricus furor clauditur, il Danubio e il Reno che costituiscono la muraglia difensiva dell'impero romano, cio del mondo civile, (31) contro il furore dei barbari. (32) L'Europa l'Occidente e il Mezzogiorno romano; ed ora, lamenta Claudiano, Geticis Europa catervis@ ludibrio praedaeque datur@ (33) Di qui la Romania, di l la barbaries: ancora nel Vi secolo lo constata Venanzio Fortunato. (34) Le (30) R' De Mattei, loc' cit', p' 12. (31) Roma e Italia sono, per gli stessi barbari, sede della civilt: ipsam civilitatis sedem dir Teodorico in una lettera del 509 (Cassiodoro, Variae, ed' Mommsen, M'G'H', A'A' Xii, I, 37). (32) Cfr' J'R' Palanque, :Saint Ambroise et l'Empire romain, Parigi, 1933, p' 334 (in genere pp' 330 sgg). (33) In Rufinum (ed' Birt, in M'G'H', A'A' X), 1. Ii, vv' 36-37. (34) Opera poetica (ed' Leo, in M'G'H', A'A', Iv, 1), I, I, Ii (De Chariberctho rege), v' 7, e cfr' anche Appendice, Ii, vv' 81-82. stesse fonti germaniche contrappongono ai Romani i barbari, nel senso di Germani: questa volta, s'intende, senza pi il senso spregiativo che era stato sempre connesso con il termine. Ora invece questo mondo, sin qui escluso dalle concezioni degli uomini civili, vi penetra, ne diviene partecipe e presto anzi parte integrante: e non soltanto per virt della forza, quanto anche e forse pi per la ormai trionfante concezione cristiana, di cui s'era reso felice interprete sin dall'inizio del V secolo, Paolo Orosio quando aveva affermato che se per la propagazione della fede cristiana era necessario che l'impero romano venisse invaso, onde la Chiesa di Cristo accogliesse nel suo grembo tutti i popoli, :etsi cum labefactione nostri, ebbene si doveva ringraziare ed esaltare la misericordia di Dio. Ora, Dante afferma bene che Romanorum gloriosa potestas nec metis Ytaliae nec tricornis Europe margine coarctatur (Epistolae, Vii, 11). Ma poi, in realt, quand'egli pensa all'azione dell'imperatore, ai problemi politici del suo tempo quel che egli vede l'Europa fisica in cui veramente e propriamente si condensa l'humanum genus. Europa: il termine appare pi di una volta in Dante. Quale ne sia l'esatta estensione geografica, non chiaro: una precisa individuazione c' solo per il settore Mediterraneo-Egeo-Mar Nero, con l'accenno a Costantinopoli ne lo stremo d'Europa.@ (Paradiso, Vi, 5; cfr' Monarchia, Ii, Viii, 7) Le regioni nordiche sembrerebbero, tutte, comprese pure nel continente, nel senso che ad esse pure si volge il pensiero del poeta: cos almeno sembra potersi argomentare dal passo del De Vulgari Eloquentia in cui si parla dei principali idiomi dell'Europa: et affentium hoc alii meridionalem, alii septentrionalem regionem in Europa sibi sortiti sunt; et tertii, quos nunc Graecos vocamus, partim Europe, partim Asie occuparunt (I, Viii, 2). Del tutto incerti, invece, i limiti verso est (Russia): gli accenni agli Sciti sono scarsi (Monarchia, I, Xiv, 6; Iii, 2), ma ad un certo punto sembra che essi siano esclusi dalla vera e propria Europa; e cio quando si parla di Vesogi re d'Egitto, il quale quamvis meridiem atque septentrionem in Asia exagitaverit, nunquam tamen dimidiam partem orbis obtimit: qui ymo a Scithis est aversus (Monarchia, Ii, Viii, 5). Qui gli Sciti sembrerebbero dunque compresi nell'Asia; e tale interpretazione pare confermata dall'accenno subito seguente a Ciro, re dei Persiani: qui, Babilone destructa imperioque Babilonis ad Persas translato, nec adhuc partes occidentales expertus, sub Tamiride regina Scitharum vitam simul et intentionem [di fondare una monarchia universale] deposuit. La Scizia qui distinta dalla parte occidentale, cio dall'Europa. Che l'Europa equivalga a pars occidentis risulta anche da un passo quasi immediatamente precedente su Nino, re degli Assiri, aspirante anche lui alla monarchia universale qui, quamvis imperium mundi armis temptaverit et Asiam totam sibi subegerit, non tamen occidentales mundi partes eis unquam subiecte fuerunt. Quindi nella mente di Dante l'Europa , almeno verso Oriente, assai pi limitata di quello che noi siamo soliti raffigurarci, e, sostanzialmente, il gran blocco delle nazioni centro-occidentali, che egli ha costantemente sott'occhio nelle sue meditazioni e preoccupazioni, il blocco nel cui centro sta l'Italia Europa regione nobilissima (Monarchia, Ii, Iii, 17), l'Italia, giardino de lo imperio (Purgatorio, Vi, 105). Dico il blocco delle nazioni centro-occidentali, escludendo dunque la penisola balcanica che pur manifestamente da Dante compresa nell'Europa geografica (cfr' qui sopra lo stremo d'Europa) perch l'Europa fisica non pi una unit morale-religiosa, nonch politica; perch, dunque, il concetto civile non corrisponde a quello geografico. Una parte notevole del continente infatti, non ottempera all'autorit della Chiesa, sfugge ad essa come le sfuggono Asia ed Africa. Et quod etiam ab adsensu omnium vel prevalentium non habuerit quis dubitat, cum non modo Asiani et Africani omnes, quin etiam maior pars Europam colentium hoc abhorreat? (Monarchia, Iii, Xiv, 7). Non solo non v' concretamente unit di tutto il genere umano, ripartito nei tre continenti classici, Europa, Asia, Africa, ma nemmeno l'Europa fisica costituisce una unit morale. Il genere umano che all'atto concreto, vive nelle meditazioni di questi uomini, ispira i loro progetti, vive nel loro pensiero e nella loro poesia, linfa vitale del loro spirito, assai ristretto geograficamente ed etnicamente: , ripetiamo, il blocco dell'Europa centro-sudoccidentale, o, per riprendere un'espressione cara a Leopoldo Ranke, il blocco dei popoli romano-germanici. E i Greci, direte voi? E tutto l'Oriente europeo, gi culla della civilt, poi trapassata in Occidente, poi romana ed ora cristiana-medievale; e la terra da cui pure sono usciti i grandi sapienti e i grandi poeti, raccolti nel Limbo dantesco a rappresentare l'altezza dell'umano pensiero - anche se privo della grazia divina -, le figure degli eroi dell'umanit che Dante evoca appunto come coloro che sorreggono alla base anche i successivi voli dell'ingegno umano? Ecco: i Greci attuali, l'Oriente europeo dei tempi di Dante, geograficamente compreso nell'Europa, stan uscendo dalla sfera morale dell'Europa. Mentre Germania, Inghilterra, sono gli acquisti recenti, sono le accessioni medievali al mondo culturale gi classico, al mondo cristiano romano, quello che era stato il primo nucleo, la cellula germinatrice di tale mondo, se ne stacca, ormai, anzi, se n'era gi staccata nei secoli precedenti. L'inizio di questo processo di separazione Occidente ed Oriente risale gi al Basso Impero romano. (35) , si pu dire, dal Iv secolo che le sorti cominciano a divergere: politicamente il fatto palese, documentato dalla rivalit fra gli imperatori dell'una e dell'altra parte, le gelosie, i sospetti che possono persino far vedere con compiacimento, all'uno dei due, le difficolt in cui l'altro viene cacciato da qualche popolo germanico, (35) Cfr' per quanto segue, R' Wallach, :Das abendlndische Gemeinschaftsbewusstsein im Mittelalter, Lipsia-Berlino, 1928; e, anche, S' Mazzarino, Stilicone, Roma, 1942, passim e soprattutto pp' 317 sgg', 330 sgg'. premente alle frontiere o gi trascorso oltre il limes, nell'interno dell'impero. Alla rivalit politica si aggiunge la rivalit religiosa, la contesa pro e contro la primazia di Roma. E non solo una lotta di primato: vescovi occidentali, e papi tra cui Gregorio Magno, lamentano le tendenze eretiche degli orientali, che costituiscono infatti la parte pi irrequieta e dogmaticamente instabile e malsicura del mondo cristiano. Non solo: ma l'Occidente ha uno dei suoi piloni d'appoggio, culturalmente e moralmente, ancor sempre nella tradizione di Roma; giacch, cos come gli studi recenti han dimostrato, inconsistente quel che per tanto tempo si credette, che cio il culto di Roma rinascesse solo con l'Umanesimo. Con l'Umanesimo, con il Rinascimento, si avr un nuovo modo di sentire, di interpretare Roma e la tradizione classica: le conseguenze ne saranno grandi assai (cfr' Chabod, Il Rinascimento, in :Problemi e orientamenti storiografici, Como, 1942). Ma il ricordo di Roma, e non solo della Roma cristiana, della Roma di Pietro e Paolo, s anche della Roma dei Cesari e di Virgilio e Cicerone, vivo assai nell'alto Medioevo, continua ad essere un punto di riferimento obbligato per pensatori, scrittori, ecc', come per le dottrine politiche. L'idea, cos importante per il Medioevo, della translatio imperii basta a dimostrarlo. Nulla di tutto questo a Bisanzio, che si scorda sempre pi della tradizione romana e sempre pi si afferma greca, quasi rivendicando la grecit preesistente alla conquista romana del mondo mediterraneo. Il contrasto viene sempre pi nettamente sentito, col tempo; ce ne offre testimonianza perspicua, nel sec' X, Liutprando da Cremona, con la sua :Relatio de Legatione Costantinopolitana (968). (36) Qui, certo, traspare ancora, in un momento, una differenza di altra natura, nell'Occidente stesso, fra Germani cio e Romani: ed quando Niceforo Foca inveisce contro Liutprando ed i suoi, dicendogli voi non siete (36) :Scriptores Rerum Germanicarum in usum scolarum, 3a ed', 1915. Romani, siete Longobardi. Al che Liutprando ribatte che noi, cio Longobardi, Sassoni, ecc', i Germani in genere, abbiamo in tanto sdegno i Romani che quando siamo in collera, per offendere i nostri nemici, ci basta chiamarli Romano, comprendendo in esso, cio nell'appellativo Romano tutta l'ignobilit, la timidezza, l'avidit, la lussuria, la menzogna; in una parola, tutti i vizi esistenti; che , ancora, la contrapposizione di una coscienza germanica ad una romana. Ma, in genere, la contrapposizione ben altra: ed fra l'Occidente e l'Oriente. E l'Occidente ha s, nelle parole di Liutprando, impronta germanica per quel ch' struttura politico-militare, ma impronta cattolica, cio romana, per la vita religiosa e morale. Uno dei rimproveri che Liutprando muove a Niceforo (o, almeno asserisce di aver mosso, e a noi qui non importa se la sua narrazione risponda interamente a verit o no, perch quel che ci interessa il modo di vedere di Liutprando), infatti questo: che in Oriente sono nate e prosperate tutte le eresie, mentre noi, cio Occidentali, le abbiamo soffocate. Spesso i papi hanno liberato anche l'Oriente da eresie. La distinzione fra Germani e Romani vien dunque superata da quella fra Occidentali ed Orientali; onde sotto il nome di Franchi appaiono gi talvolta compresi tanto i Latini quanto i Teutoni, come poi sar d'uso generale. (37) Gli uni e gli altri, (37) Cos nel '600 Franchi continua ad equivalere ad Europei centro-occidentali, e la nazione dei Franchi (qui nazione ha lo stesso significato diremo non nazionale in senso moderno, come fino al sec' Xiv la natio anglica dell'Universit di Parigi: cfr' J' Huizinga, :Sviluppo e forme della coscienza nazionale in Europa sino alla fine del secolo decimonono, in Civilt e Storia [trad' it', Modena, 1946, p' 204]) significa la nazione europea cattolica, distinta dalle altre sette nazioni di Gerusalemme (Maroniti, Greci, Armeni, Abissini, Siriani, Cofti, Georgiani); cfr' Pietro Della Valle, Viaggio in Levante, ed' Bianconi, Firenze, 1942, pp' 12, 23, 80, 209 e soprattutto 162 e 167. Occidentali ed Orientali, si presentano ormai con caratteristiche ben delineate in ogni campo: furbi, infidi, traditori, volpi per l'ingegno, Ulissi per lo spergiuro e la menzogna, adulatori gli Orientali; leali, onesti, franchi gli Occidentali (per Liutprando s'intende; per i Bizantini naturalmente vale il contrario); effeminati, molli, inadatti alla guerra i primi, eroi avvezzi alla guerra e alla vittoria i secondi. A queste differenze fondamentali altre se ne aggiungono che riguardano i costumi e la vita quotidiana: dall'armatura pesante dei guerrieri occidentali, di cui si prende giuoco l'imperatore Niceforo, al vino dei Greci, imbevibile per Liutprando perch mescolato con pece, resina e gesso, ai costumi muliebri indossati dagli uomini dell'Oriente e che muovono a sdegno Liutprando. Tutto dunque diverso, fra Occidente e Oriente. Ma se in tale contrasto riappaiono taluni dei motivi gi emersi nel V-IV secolo a'C', v' una differenza fondamentale tra quel lontano periodo e il Medioevo: ed che allora l'Oriente voleva dire l'Asia e l'Occidente la Grecia, cio l'Europa civile; ora, l'Occidente significa le regioni ad ovest dell'Adriatico e il disprezzato Oriente comprende la Grecia. Popoli nuovi, non conosciuti dai Greci del V secolo a'C', compongono il nuovo Occidente, che abbraccia anche l'Europa centrale e si dilatato assai oltre le regioni propriamente mediterranee. Contrapposizione di gran conto, perch allontanava l'Oriente europeo dalla comunit civile a cui, primo, esso aveva dato nutrimento, ed era destinata a continuar per secoli, (38) anzi ad aggravarsi ancora dopo la conquista turca che fin di staccare la Grecia e i Balcani dall'Europa morale, in cui quei popoli cominciarono ad essere riaccolti soltanto nel momento dell'appello all'europeo principio di nazionalit, e cio nel secolo Xix. Oriente ed Occidente: non per nulla il termine Occidente, Abendland, stato pi e pi volte assunto come equivalente d'Europa, soprattutto nella storiografia tedesca, la quale ha pure messo in voga un'altra e consimile espressione, anch'essa come equivalente di Europa, e cio la comunit dei popoli romano-germanici. Siffatta contrapposizione culmina nel campo religioso con lo scisma d'Oriente e la separazione definitiva (38) Vedi nota precedente. della chiesa greca da quella romana, nel campo politico con le Crociate e i progetti e le imprese di conquista di prncipi occidentali in Oriente. I Greci non appaiono nemmeno pi veri cristiani, anzi, un che di mezzo tra cristiani e Saraceni; sono eretici poco meno pericolosi dei Turchi. (39) Essi si contrappongono ai Latini e Franchi: che sono le due denominazioni complessive sotto cui vengono raggruppati gli uomini delle nazioni occidentali. Pensate, appunto, all'impero latino d'Oriente, che segna il trionfo, sia pur breve, della campagna offensiva dell'Occidente contro l'Oriente. L'Occidente, gli Occidentali, i Franchi: ed ecco, talvolta, il nome Europa assunto (39) R' Wallach, op' cit', p' 25. proprio ad indicare gli Occidentali, e i Franchi o Latini ed essi soli. (40) Alla contrapposizione dei termini Franco o Latino contro Greco o Bizantino, corrispondono contrastanti caratteristiche morali, vale a dire, nei cronisti e scrittori dei secoli Xii-Xiii si completa il tipo dell'Occidentale in confronto all'Orientale: e le fonti occidentali dipingono a foschi colori la doppiezza e furberia, la perfidia greca (ricordate il timeo Danaos ecc': e pensate a Ulisse e Diomede nell'inferno dantesco), lo spirito sottile e sofistico dei Greci, che hanno l'animo dei traditori, tratteggiando invece la figura dell'Occidentale come quella del cavaliere coraggioso, leale e fedele (40) R' Wallach, loc' cit'. alla sua parola, tutto onore e cortesia; mentre a loro volta i Greci parlano di avidit di dominio e di assenza di scrupoli degli Occidentali, sulla cui ottusit mentale poi fioriscono ironici commenti. La diversit vien messa in rilievo anche fuori dal puro ambito psicologico: fisicamente, ecco l'apprezzamento della statura imponente dei Franchi. E al di l delle differenze psicologiche e fisiche, ecco, sulle orme di Liutprando, differenze di istituti, di forme di vita: cos i Bizantini considerano come tipici degli Occidentali il feudo, l'armamento e il modo di combattere della cavalleria. (41) E a loro volta i Latini, nel contrasto con i Bizantini, sentono pi viva la (41) R' Wallach, op' cit', p' 30. comunanza di vita, di costumi, di tradizione fra le nazioni dell'Occidente. Insomma, si delineano due mondi, nettamente, profondamente distinti; e tale anche il giudizio dei terzi che osservano le beghe interne del mondo cristiano, vale a dire degli Arabi, i quali pure scoprono, al disotto del cristiano le differenze profonde tra Franchi e Greci. dunque attraverso simili contrasti e grazie ad essi, che si cominciano a precisare i caratteri dell'Europa romano-germanica. E questo va sottolineato, anche per la trattazione ulteriore: noi possiamo seguire lo sviluppo dell'idea di Europa essenzialmente attraverso le polemiche e le discussioni contro altre idee, contro altri continenti; ed sempre lo stesso procedimento attraverso la polemica che, in nome di certi ideali politici e morali, molti scrittori, dal '500 in poi condurranno contro istituti e tendenze di vita dell'Europa del loro tempo, additando a modello, per suffragare i propri ragionamenti, istituti e tendenze di altri continenti idealizzati. Ora, non si tratta ancora propriamente di Europa: come s' gi detto, se talora appare gi il nostro nome, la contrapposizione ancora generalmente fra Latini (o Franchi) e Greci (o Bizantini): ma il procedimento polemico vivo gi ora, il metodo di definizione lo stesso. Dunque, concludendo, ecco come l'Oriente europeo si andato straniando dall'Occidente durante il Medioevo. E nell'Oriente era compresa non solo la penisola balcanica, s anche l'Ungheria e la Rumenia, la prima, rimasta fuori per vero anche dall'orbita della civilt classica; la seconda, gi romana, gi entrata a far parte del nucleo delle nazioni civili, ma poi, dice Enea Silvio Piccolomini, diventata barbara. Anche qui, dunque, come per i Greci, processo di graduale allontanamento dall'Occidente, mentre con processo opposto, nell'unit civile occidentale sono penetrati i Germani, i barbari divenuti compartecipi della vita, delle sorti dei Romani. Questo senso di estraneit dell'Oriente europeo cresce, naturalmente, dopo la conquista turca dei Balcani e di Costantinopoli: ch allora tutta questa parte dell'Europa fisica diviene focolaio di rovina, nido del pi pericoloso nemico che la cristianit abbia mai avuto, punto di partenza per gli ulteriori attacchi contro il ventre della cristianit, cio contro l'Europa centro-occidentale. Nell'estremo momento di vita dell'impero di Oriente, la coscienza occidentale s'era, in parte almeno, scossa dinanzi al pericolo, aveva risentito come un senso di fraternit, di affinit morale e spirituale con quei Greci, con cui tanto s'era litigato, ma che ora stavano per soccombere e poi soccombevano sotto i colpi del Turco: e lo dimostrano le espressioni degli scrittori e i progetti di crociate, le doglianze, il lamento per la caduta della citt ch'era il secondo occhio della Cristianit, il secondo occhio dell'Europa, il baluardo della libert dell'Europa. In quell'ora suprema, nuovamente cristianit ed Europa si erano per cos dire dilatate, avevano ritrovata l'antica estensione geografica, richiudendo in s, con gli Occidentali, anche gli Orientali. Ma l'ora pass; i Turchi conquistarono Costantinopoli, furono padroni di tutto l'Oriente europeo. E allora quest'ultimo cess di fare parte della coscienza cristiana occidentale. Soltanto, mentre scompaiono definitivamente per pi di tre secoli (fino al terzo decennio del secolo Xix), dall'anima dell'Europa i Greci, vi entrano o vi rientrano alcuni altri popoli: quelli cio che, per essere alle frontiere estreme verso il dominio ottomano, e per costituire, pertanto, il baluardo della cristianit contro l'infedele, vengono accolti nella comunit cristiana europea, vengono associati agli Occidentali. Cos succede per l'Ungheria e la Transilvania che divengono una difesa della cristianit proprio contro il dilagare del pericolo turco. Cos per la Polonia stessa, anch'essa baluardo del mondo cristiano verso Oriente, contro i Tartari. un processo di trasformazione interna, di spostamento del concetto, anche solo fisico, di Europa, che assai bene espresso dal Machiavelli: Escono i popoli grossi e sono usciti tutti de' paesi di Scizia E se da cinquecento anni in qua non occorso che alcuni di questi abbiano inondato alcun paese, nato per pi cagioni. La prima, la grande evacuazione che fece quel paese nella declinazione dell'imperio, donde uscirono pi di trenta popolazioni. La seconda, che la Magna e l'Ungheria, donde ancora uscivano di queste genti hanno ora il paese bonificato in modo, che vi possono vivere agiatamente, talch non sono necessitati di mutare luogo. D'altra parte, sendo loro uomini bellicosissimi, sono come un bastione a tenere che gli Sciti, i quali con loro confinano, non presumano di poterli vincere o passarli. E spesse volte occorrono movimenti grandissimi dei Tartari che sono dipoi dagli Ungheri e da quelli di Polonia, sostenuti, e spesso si gloriano, che se non fossero le armi loro, l'Italia e la Chiesa avrebbe molte volte sentito il peso degli eserciti tartari (Discorsi, Ii, 8). La Russia (Scizia) , evidentemente, non Europa; Europa invece sono diventate Germania e Ungheria bonificate, non solo materialmente, s anche moralmente, culturalmente, da barbare fatte civili. Escono i Greci dalla grande comunit e vi entrano altri popoli: come si vede, i limiti anche geografici della comunit, della cristianit oscillano e variano parecchio nei secoli. In Enea Silvio c' l'apprezzamento dei valori culturali europei, fondati sulla tradizione classica, sul culto di Roma e del pensiero antico: egli comincia a intravvedere l'Europa anche come l'insieme dei dotti, degli umanisti intenti a chiosare i grandi testi antichi, come - per dirla con espressione cara al Voltaire assai pi tardi - la repubblica della intelligenza e della cultura. vero che Enea Silvio non giunge ancora ad affermare veramente e pienamente il senso della comunit, che non perviene ad un concetto veramente e propriamente unitario, e che dalla concezione volteriana della repubblica letteraria egli resta dunque ancora lontano. (42) Ma egli pur sempre all'inizio della via che condurr alla concezione volteriana; il suo senso umanistico lo porta gi ad avvertire affinit culturali, motivi di vita morale e spirituale, identit di costumi fra questo e quel popolo dell'Europa fisica: e ci evidente nei suoi giudizi sulla Polonia, ancora arretrata di fronte all'Occidente. Il senso dell'unit culturale, oltre che religiosa, europea, si va man mano rafforzando: lo si avverte gi nell'umanista tedesco Jakobo Wimpfeling (1450-1528) dove l'Europa colta un qualcosa di esistente e di vivo; (43) ma soprattutto in Erasmo da Rotterdam (1466-1536), il principe (42) W' Fritzemeyer, :Christenheit und Europa. Zur Geschichte des europischen Gemeinschaftsgefhls von Dante bis Leibniz, Monaco-Berlino, 1931, pp' 27-28. (43) W' Fritzemeyer, op' cit', p' 45. degli umanisti europei. L'Europa dei letterati, degli uomini uniti nel culto della intelligenza, dei dotti, che apportano luce di civilt l dove altrimenti non sarebbe se non barbarie: un elemento d'importanza fondamentale per la storia del concetto di Europa, dell'Europa morale e civile di cui andiamo cercando l'origine. E nasce ora per influsso dell'Umanesimo, nella piena civilt del Rinascimento. Quando pi tardi il Voltaire parler della rpublique littraire stabilitasi in Europa, nonostante le guerre (:Le sicle de Louis Xiv, cap' Xxxiv) egli non far se non dar formulazioni definitive, precise, ad un modo di sentire che risale, appunto, all'Umanesimo italiano. Al qual riguardo, anzi, occorre notare, anche qui, notevoli trasformazioni interne nel seno dello stesso Umanesimo. Inizialmente gli umanisti italiani sono, diremo con espressione moderna, nazionalisti; il Petrarca battezzava barbari tutti i non Italiani (44) e persino ancora in Enea Silvio non mancano tracce di tale modo di sentire. (45) Il grido Fuori i barbari che echeggia nella penisola nel Cinquecento ed passato alla tradizione che lo ha raccolto sulle labbra del pontefice Giulio Ii, e lo ha risentito, fremente, nella chiusa del Principe del Machiavelli, (44) Cfr' R' De Mattei, loc' cit', pp' 486 sgg'. (45) R' Wallach, op' cit'. bene la ripresa, sul terreno politico, dell'antibarbarismo culturale degli umanisti. Solo che, le cose mutano: inizialmente ristretto all'Italia, l'Umanesimo diviene poi fenomeno europeo (dell'Europa centro-sudoccidentale, ben inteso). come una successione di circoli, concentrici, ma progressivamente maggiori, che va mano a mano dilatandosi, occupando maggior spazio, allontanandosi dal centro iniziale. Succede, anche qui, nel campo culturale, quel che vedremo succedere con il cosiddetto principio dell'equilibrio europeo, che, nato in Italia, vien poi esteso all'Europa centro-occidentale fra '500 e '600, all'Europa nordica ed orientale col '700, e poi travalicher anche gli Oceani e si trasformer in equilibrio mondiale. Processo di sviluppo analogo nei due settori che costituiscono, uniti, l'Europa: il settore politico ed il settore culturale. E dunque, alla fine del '400 e all'inizio del '500 accanto agli umanisti italiani ci sono gli umanisti europei, che spesso sono anche essi animati da orgoglio nazionalistico (cos proprio il Wimpfeling) e reagiscono quindi contro la taccia di barbarie alla loro nazione; e maggiore di tutti , nei primi decenni del '500, proprio un non Italiano: Erasmo; e le discussioni filologiche e la critica dei testi e la cura di uno stile forbito, della eleganza nel dire, non sono pi limitate fra Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Venezia, Padova, Milano, ma sono comuni anche a Parigi, a Oxford, a Londra, a Basilea. E quindi barbaro, prima uguale a non Italiano, diviene, ora, uguale a non Europeo (sempre l'Europeo centro-sudoccidentale) e barbari saranno popoli di altri continenti, siccome dimostreranno le polemiche a proposito degli Indiani d'America. Ecco perch il senso dell'unit spirituale europea pi vivo, assai pi vivo in Erasmo che in Enea Silvio: non solo questione di essere nato pi tardi, ma anche di essere nato in altro paese che non fosse l'Italia. Gran momento, dunque, questo dell'Umanesimo europeo per la storia del nostro concetto. Senonch occorre pure avvertire che cultura , ancora, strettamente connessa con religione; che, cio, l'Europeo ancora il cristiano; che la parola suprema rimane sempre christianitas, respublica christiana, christianus populus, (46) in cui si fonde anche il fattore culturale. una posizione in questo senso antitetica a quella che sar pi tardi la posizione volteriana: quest'ultima infatti valuta i letterati, i filosofi, gli uomini di cultura in genere: la sua rpublique littraire si costituisce :malgr les guerres et malgr les religions diffrents. Il fattore religioso quindi un ostacolo alla formazione di questa comunit spirituale. Per gli umanisti, nessuno escluso, ma soprattutto per gli umanisti non Italiani, in cui la preoccupazione (46) W' Fritzemeyer, op' cit', p' 22. religioso-cristiana sempre fondamentale, il fattore religioso, la credenza nella fede di Cristo e il bisogno di credere, sono invece la base stessa della comunit. Cultura s, ma innestata nella religione; alta vita dello spirito, certo, ma in quanto sgorga da una coscienza cristiana e rampolla sulla fede di Dio. Erasmo , a questo proposito, l'esempio tipico. Ecco perch rimaniamo ancora nella christianitas. Il valore dell'elemento culturale vi , senza dubbio, enormemente accresciuto, di fronte alla christianitas medievale: la cultura , per cos dire, cresciuta di statura, quasi portandosi all'altezza della fede, ma quest'ultima resta pur sempre la primogenita per dirla con parole dantesche, degna di reverentia da parte della cultura. Ecco perch, come gi s' detto, il termine generalmente usato, e con perfetta coerenza, ancora christianitas. Capitolo secondo La prima formulazione dell'Europa come di una comunit che ha caratteri specifici anche fuori dell'ambito geografico, e caratteri puramente terreni, laici, non religiosi, del Machiavelli. E poich del Machiavelli, non potr essere che una formulazione di carattere politico. (1) Il senso della differenza tra i vari continenti , in lui, nettissimo; e, (1) Mantengo l'interpretazione, che ho sempre data, del pensiero del Machiavelli, nonostante le osservazioni in contrario del Curcio (:Europa. Storia di un'idea, cit', I, p' 252, n' 12; e gi prima in altri suoi scritti). Il motivo determinante, per il Curcio, che il passo dell'Arte della guerra, che ho addotto, non basta perch le considerazioni ivi fatte dal Machiavelli valgono per l'et antica, non per il presente, quando queste provincie d'Europa sono sotto pochissimi capi, rispetto allora. E questo l'avevo gi osservato anch'io, anche se, poco dopo, segue un altro passo di ben diverso tono: Nella quale Germania, per essere assai Principati e repubbliche, vi assai virt, e tutto quello che nella presente milizia di buono, dipende dallo esempio di quegli popoli. Coerentemente a tutto il suo modo di giudicare, il Machiavelli esalta i popoli della Magna (Germania vera e propria, Svizzera), e biasima gli Italiani, Francesi, Spagnoli: ma ci non significa che l'Europa non sia ancor oggi diversa dall'Asia, non fosse che per merito della sola Magna! Ma soprattutto, il Curcio ha totalmente trascurato il cap' Iv del Principe, dove la differenza di tipi di Stato categorica, ed affermata per il presente, non meno che per il passato. per quanto si valga anche di qualche esempio non europeo (Mos e Ciro e Dario re di Persia: cfr' Principe, Iv-Vi), in genere egli non si preoccupa se non di problemi europei, e talora avverte chiaramente che il ragionamento mio delle cose della guerra non ha a passare i termini d'Europa. Quando cos sia, io non vi sono obbligato a rendere ragione di quello che si costumato in Asia (Arte della guerra, Ii, ed' Mazzoni e Casella, p' 288). Ma in che consiste la diversit? Essa non soltanto fisica, ma ben pi di istituzioni e di modo di essere e quindi di storia. Voi sapete come degli uomini eccellenti in guerra ne sono stati nominati assai in Europa, pochi in Africa e meno in Asia. Questo nasce perch queste due ultime parti del mondo hanno avuto uno principato o due e poche repubbliche; ma l'Europa solamente ha avuto qualche regno e infinite repubbliche. E il mondo stato pi virtuoso dove sono stati pi Stati che abbiano favorita la virt o per necessit o per altra umana passione (Arte della guerra, Ii, pp' 300, 301). Vero che, attualmente, sembra che anche in Europa si vadano concentrando i poteri: Queste provincie [nazioni] d'Europa sono sotto pochissimi capi, rispetto allora; perch tutta la Francia obedisce a uno re, tutta l'Ispagna a un altro, l'Italia in poche parti (ib', p' 302). Ma anche se pi ridotto di prima il numero degli Stati, la differenza fra vita politica europea e vita politica degli altri continenti pur sempre radicale, tale da caratterizzare due modi di essere permanenti, due forme di reggimento politico: e' principati, de' quali si ha memoria, si truovano governati in dua modi diversi: o per uno principe e tutti li altri servi, e' quali, come ministri per grazia e concessione sua, aiutono governare quello regno; o per uno principe e per baroni, li quali, non per grazia del signore, ma per antiquit di sangue, tengano quel grado Li esempli di queste dua diversit di governi sono, ne' nostri tempi, el Turco et il re di Francia. Tutta la monarchia del Turco governata da uno signore; gli altri sono sua servi; Ma el re di Francia posto in mezzo di una moltitudine antiquata di signori, in quello stato riconosciuti da' loro sudditi e amati da quelli: hanno le loro preeminenzie; non le pu il re torre loro sanza suo periculo (Principe, cap' Iv). Come vedete, la precisazione non potrebbe essere pi netta. L'Europa - questa volta proprio l'Europa -; la christianitas, il Machiavelli l'ha completamente dimenticata, cos come ha totalmente dimenticato l'impero, di medievale e dantesca memoria. L'Europa dunque ha una sua personalit, una individualit basata su un proprio caratteristico modo di organizzazione politica. Organizzazione politica di tipo permanente. Poich, se uno obiettasse che la diversit nei nostri tempi, il Machiavelli risponde, poco appresso nello stesso capitolo: se voi considerrete di qual natura di governi era quello di Dario, lo troverrete simile al regno del Turco Di qui nacquono le spesse ribellioni di Spagna, di Francia e di Grecia da' Romani, per li spessi principati che erano in quegli stati. Gi nell'antichit il contrasto c'era e l'impero turco dell'inizio del secolo Xvi non fa che continuare una tradizione, un tipo di governo, che era gi quello dell'antica monarchia persiana, mentre pure gi nell'antichit, gli Stati occidentali eran assai pi divisi, frazionati, anche all'interno. Dunque non si tratta di una diversit momentanea, legata ad una particolare e transeunte condizione di cose; bens di una vera e propria diversit costituzionale. Asia ed Occidente europeo offrono due tipi diversi di organizzazione politica. Ed una diversit ricca di conseguenze, come che favorisca lo svilupparsi della virt, cio della capacit di fare, dell'energia creatrice: e questo non tanto per il maggior numero degli Stati (elemento puramente quantitativo); bens per la diversa qualit fra Stato europeo e Stato asiatico; in Europa repubblica o monarchia non assoluta, in Asia monarchia assoluta dispotica. Perch qui riposta la vera diversit (il capitolo Iv del Principe decisivo al riguardo, se pur gi non bastasse l'accenno alla virt nell'Arte della guerra): il governo repubblicano d adito alla feconda gara dei partiti (ricordate sempre, quando si parla di Machiavelli e del suo pensiero politico, il capitolo Iv del libro I dei Discorsi, :Che la disunione della plebe e del senato romano fece libera e potente quella repubblica), e sprone alla virt dei singoli: e anche il governo monarchico, in Europa, limitato da leggi, consuetudini, animo delle popolazioni, s da permettere che vi alligni la virt individuale almeno per necessit. Vediamo cos apparire, sullo sfondo, anche nel Machiavelli, qualcosa che arieggia quel senso della libert che vedremo dominante nel Settecento. Certamente si tratta di un'apparizione di tipo molto diverso: il Machiavelli non sogna arcaiche libert, non rimpiange l'et dell'oro, lontana ormai, dei liberi uomini, e soprattutto mentre il Montesquieu e il Voltaire rivendicheranno la libert contro lo Stato, il Machiavelli parte sempre dal punto di vista dello Stato, e considera semmai la libert necessaria proprio per la maggior potenza solidit gloria dello Stato stesso. Negli uni c' la rivolta dell'individuo e del ceto contro l'azione politica del governo centrale; nell'altro c' il desiderio di rendere sempre pi chiara, coerente, decisa, la politica di questo governo. Ma insomma, quali che siano le differenze profondissime fra gli uni e l'altro, c' per anche nel Machiavelli il senso delle diversit fra le nazioni europee e le altre. L'Europa vuol dire molte virt individuali; l'Oriente, l'Asia vogliono dire dispotismo, uno padrone e tutti gli altri servi. E non vi dubbio che il Machiavelli propende per il sistema europeo. Dispotismo orientale: affiorano in questo momento nel pensiero del Machiavelli, vecchie reminiscenze, tutta una lunga tradizione, talora alquanto vaga, ma ininterrotta. Poich certo, per questa contrapposizione fra dispotismo orientale e libert dei popoli siti in Europa si deve risalire su su nei secoli fino all'et delle guerre persiane, della lotta delle citt greche contro la monarchia asiatica, fino, cio, al quinto secolo a'C'. l, fra Maratona e le Termopili e Salamina, che si foggi l'immagine del re orientale come del despota; e da allora l'immagine non si cancell mai pi e venne anzi rafforzata ancora, quando, nel Basso Impero, i Romani e gli Occidentali videro i loro imperatori avvolgersi di forme orientali, porsi su di un piedistallo che li innalzava ad altezze inaccessibili per gli altri mortali trasformando completamente l'antica figura dell'imperator e princeps in quella di un autocrate. proprio dal contrasto con siffatte forme e modi che escir, come vedremo, la celebrazione delle libert germaniche. Oriente, dispotismo, schiavit di tutti di fronte ad uno solo. L'eco di questa tradizione in quei pubblicisti tedeschi dell'et della Riforma che oppongono la libert germanica, il diritto germanico alle costituzioni babilonesi. Cos come l'eco delle lontane polemiche antiasiatiche, l'eco delle discussioni greche, riappare in un altro notevole scrittore spagnuolo, in Juan Luis Vives. Nel :De Europae dissidiis et bello turcico (2) che del 1526, egli riesprime infatti concetti che gi abbiamo rinvenuti e che vedremo ripresi dall'Illuminismo settecentesco: l'Asia imbelle, e imbelle non occasionalmente, per una diremo congiuntura momentanea, ma per natura; mentre la razza che popola l'Europa, come ha dimostrato Aristotele, la pi forte e coraggiosa. Gli Asiatici non sono atti alla guerra. Tant', stata la discordia dell'Europa ad aprire ai Turchi le vie della potenza. (2) Ora in traduzione spagnuola in Obras completas, ed' L' Riber, Madrid, 1948, Ii, pp' 58-59. Anche nel Machiavelli, dunque, l'eco di una tradizione. Solo che il Machiavelli, con il consueto taglio preciso secco e netto trasforma un vago, nebuloso motivo, appena affiorante dal fondo della coscienza tradizionale, in una chiara, ben definita sistemazione concettuale; e anzich limitarsi ad una generica contrapposizione, delinea con pochi, ma sicuri tocchi il carattere dell'Europa. Carattere politico dunque: ora, l'avvenire dar all'Europa anche altri contrassegni, creer una figura assai pi complessa e ricca e varia, abbracciando molti pi motivi di vita e di pensiero di quanto il Machiavelli non si sognasse di vedere. Ma il motivo politico rester d'ora in poi fermo. L'Europa quale uscir dalle meditazioni degli scrittori del '700 e '800 avr sue caratteristiche morali, culturali, economiche, di costumi, ma manterr, sempre, anche e anzitutto caratteristiche