Fausto Tentorio martire per la giustizia di Giorgio Bernardelli (estratto)

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GIORGIO BERNARDELLI Prefazione del card. GIANFRANCO RAVASI Fausto Tentorio martire per la giustizia

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Nel mondo di oggi non ci sono solo i martiri uccisi dalla violenza fondamentalista. A un missionario può capitare di morire anche in un Paese cattolicissimo e per un altro motivo: la difesa dei diritti degli ultimi. È la storia di padre Fausto Tentorio, missionario del Pime, ucciso nelle Filippine il 17 ottobre 2011 a causa del suo impegno a fianco dei manobo, la locale popolazione tribale. Martire per la giustizia, ma – nello stesso tempo – martire di una periferia dimenticata del mondo di oggi, dove in nome della sete di materie prime dell’economia globale si continua a uccidere chi, schierandosi dalla parte dei poveri, “crea problemi”. Questo libro racconta la storia di padre Fausto e le tante opere che ha lasciato dietro di sé nell’Arakan Valley. Il sogno di un missionario che ha dato la vita per nutrire la sua gente.

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«I vostri sogni sono i miei sogni,

le vostre battaglie per la libertà

sono le mie battaglie per la libertà,

voi ed io siamo compagni

nella costruzione del Regno di Dio»

GIORGIO BERNARDELLI

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Prefazione del card.GIANFRANCO RAVASI

Fausto Tentoriomartire per la giustizia

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Giorgio Bernardelli

FAUSTO TENTORIOmartire per la giustizia

Prefazione del card. Gianfranco Ravasi

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© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015

Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)

www.edizionisanpaolo.it

Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.

Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)

ISBN 978-88-215-9556-1

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Prefazione

Domenica 21 settembre 2014: in una luminosa mattinata

ero in Brianza, a Santa Maria Hoè, il luogo di nascita di

mia madre e l’orizzonte più caro dei ricordi estivi della mia

infanzia, adolescenza e giovinezza. In quel giorno ero stato

invitato a celebrare il centenario della parrocchia che aveva

come sede la splendida chiesa appartenente in passato ai

Servi di Maria, dedicata all’Addolorata e a sant’Antonio

abate. Al termine della messa solenne, tutta la comunità si

era raccolta nell’ampia piazza antistante che da quel giorno

si sarebbe trasformata in “Piazza padre Fausto Tentorio”.

In quei momenti, mentre si snodavano i discorsi comme-

morativi e le testimonianze, circondati come eravamo dalle

colline verdeggianti della Brianza, avvolti dal sole del pri-

mo autunno, davanti a me passavano in dissolvenza tante

immagini intense e irrevocabili di mezzo secolo prima.

E il volto di padre Fausto era ancora per me quello esile

ma vivace di allora, come lo era il suo corpo di ragazzino

che ogni mattina, dopo la messa dell’alba, era di fronte a

me, seduto sui gradini dell’antico coro monastico ad ascol-

tarmi. Ero in quegli anni studente di teologia a Roma e poi

giovane sacerdote, e d’estate ritornavo in vacanza con la

mia famiglia nella nostra casa materna: in quegli istanti il

suo viso era fi sso su di me, più di quello degli altri chie-

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richetti, compreso suo fratello Felice. Ho solo un ricordo

preciso di quanto dicevo a quei ragazzi: nei giorni in cui

si celebravano le memorie liturgiche dei martiri leggevo

loro il racconto della “passione” di quei santi, traducendola

dalle letture latine del Mattutino del Breviario Ambrosiano.

Mai avrei pensato che in fi ligrana a quelle narrazioni spesso

truci e impressionanti potessero emergere il volto e la storia

di quel ragazzino che mi stava allora di fronte.

Questi pensieri e memorie, in quella domenica di settem-

bre, si associavano ad altri ricordi, in particolare a quando

avevo ritrovato – sia pure per un arco di anni limitato –

il giovane Fausto come alunno tra i banchi del Seminario

Teologico milanese dove insegnavo la Sacra Scrittura. Da lì

egli sarebbe passato a quel futuro missionario che avrebbe

costituito la sostanza più autentica della sua esistenza e che

ora è il cuore delle pagine che seguiranno. Ebbene, ogni

prefazione ha sempre due coordinate implicite o esplicite

che si incrociano tra loro. C’è una dimensione “soggettiva”,

personale che lega chi scrive l’introduzione alla persona

dell’autore del libro o al tema che egli sviluppa. E c’è un

aspetto più “oggettivo” che riguarda la qualità, lo stile, le

caratteristiche dell’opera.

La prima coordinata ha per me pochi altri tratti oltre a

quelli che ho già evocato, perché la mia vita si sviluppò

poi lungo percorsi diversi rispetto a quelli di padre Fausto.

Proprio per questo erano rimasti nel nostro rapporto solo

contatti indiretti attraverso notizie che mi giungevano da

conoscenti comuni, oppure in eventi particolari come la sua

ordinazione sacerdotale nel giugno 1977, o incroci occasio-

nali che le mie sorelle avevano con lui durante i suoi rari

ritorni a Santa Maria Hoè dalle Filippine. Era scontato per

me immaginare la sua totale e assoluta donazione in quel

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ministero di fede e di amore in una terra così lontana dalle

sue radici: fi n da piccolo brillava in lui una luminosità nello

sguardo nel quale idealmente s’affacciavano la sua genero-

sità e la sua passione per un ideale.

Una frase, spesso evocata, del suo testamento potrebbe

infatti essere quasi il motto simbolico della sua esisten-

za umana e sacerdotale: «I vostri sogni sono i miei sogni,

le vostre battaglie per la libertà sono le mie battaglie per

la libertà, voi e io siamo compagni nella costruzione del

regno di Dio». E il suggello di questa pienezza di donazio-

ne a Dio e ai “fratelli più piccoli” è stato in quel 17 ottobre

2011 che corrisponde a un’altra mia memoria particolare

di padre Fausto. La sera dell’indomani – che era anche il

giorno del mio compleanno – la notizia del suo martirio

mi giunse proprio da un vescovo missionario mio amico

che, telefonandomi per gli auguri, mi comunicava questo

evento drammatico.

È proprio da qui che si dirama il secondo fi lo, quello più

“oggettivo”, di questa mia semplice prefazione. In realtà,

la biografi a che ora i lettori seguiranno è di una tale traspa-

renza e intensità da non esigere nessuna guida di lettura o

commento. Giorgio Bernardelli, che è un noto giornalista

che scrive per il quotidiano Avvenire oltre che per le riviste

del Pime, ha offerto a padre Fausto il dono migliore: ha

spogliato il suo racconto dalla retorica che spesso accompa-

gna le agiografi e, ha lasciato parlare i fatti e i testimoni, ha

disegnato un ritratto che non sconfi na nell’icona aureolata,

ha identifi cato la matrice profonda degli ideali, dell’opera e

del sacrifi cio di padre Fausto, ossia quel Regno di Dio che

era anche il cuore della predicazione e dell’azione di Cristo.

Basterà, dunque, ascoltare la sua voce narrante per incon-

trare una fi gura che merita le parole del monaco Zosima nel

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celebre romanzo I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij:

«L’umanità non riconosce i suoi profeti e li massacra; ma

gli uomini amano i loro martiri e venerano coloro che han-

no torturato». La testa mozzata di Giovanni Battista parla

dal vassoio ancor più forte di quando era sul suo collo. Ha

ragione il proverbio orientale che afferma: «Il giusto, come

il legno di sandalo, profuma l’ascia che lo colpisce». La

potenza del martire, che è vittima, è paradossalmente più

alta di quella del suo carnefi ce perché il suo sangue feconda

la storia e continua a gridare la verità anche al suo stesso

assassino. La spada recide i corpi, ma le idee e l’amore sono

indistruttibili, e la stessa mano omicida porterà con sé una

stimmata che la santità del martire vi ha lasciato. La croce

di Cristo piantata nella storia ne è la gloriosa dimostrazio-

ne, come lo è la bara di padre Fausto «costruita col legno di

mogano che ho piantato qui in Arakan», per usare le parole

del suo testamento.

Proprio per questo egli continua a testimoniare indiretta-

mente la sua carità sia attraverso la Fondazione a lui dedica-

ta, sia attraverso l’associazione Non dimentichiamo padre Fausto che ha sede proprio in quel paese di Santa Maria

Hoè da cui è sbocciata la vita di Fausto Tentorio e dal qua-

le anch’io sono partito con questa mia testimonianza, che

ho posto in premessa all’appassionato e dolce ritratto che

Giorgio Bernardelli ha disegnato con le sue parole. “Ricor-

dare”, come è noto, è un vocabolo che contiene il termine

latino cor/cordis, “cuore”: è quindi un “riportare al cuore”

e non soltanto una pallida commemorazione nostalgica.

Padre Fausto, anche attraverso l’associazione a lui intitolata

e questo racconto biografi co, continuerà a vivere nel cuore

di chi l’ha incontrato e amato e di chi lo conoscerà proprio

attraverso queste pagine.

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Egli, però, continua a vivere soprattutto in unione a quel

Signore che ha tanto amato e seguito. È per questo che vorrei

concludere col bellissimo dialogo che un fi losofo cristiano

dell’Ottocento, il danese Søren Kierkegaard, ha immagina-

to, nel suo Diario, tra Dio e il suo “testimone” (non dimen-

tichiamo che la parola di origine greca “martire” signifi ca

appunto “testimone”): «Quando il testimone della verità

arriva alla morte, dice a Dio: Grazie anche delle sofferen-

ze che mi hai dato. Grazie a te, infi nito amore! Ma Dio gli

risponderà: Grazie a te, amico mio, per l’uso prezioso che ho

potuto fare di te!».

Card. Gianfranco Ravasi

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Introduzione

PADRE FAUSTO, LA TERRA E IL REGNO

È lunedì mattina nella parrocchia dell’Arakan: la por-

ta si apre e padre Fausto si dirige verso la tettoia sotto la

quale è parcheggiata la sua auto. Dalle sue montagne lo

aspettano sessanta chilometri di strada fangosa per scen-

dere a Kidapawan, dove i preti della diocesi si ritroveran-

no quella mattina per l’incontro con il vescovo. Non può

sapere, il missionario, che nella penombra ad attenderlo c’è

già appostato un killer, pronto a scaricargli contro un intero

caricatore, prima di fuggire via su una moto guidata da un

complice. Non può sapere che quell’ora, messa in conto

ormai già da parecchio tempo, è arrivata davvero; perché le

pallottole stavolta metteranno fi ne al suo impegno quotidia-

no con i poveri, per la costruzione del Regno di Dio in una

terra sfi gurata dagli egoismi degli uomini.

Il 17 ottobre 2011 tante persone in Italia l’hanno scoper-

ta così la storia di padre Fausto Tentorio, missionario del

Pime, ucciso nella tormentata Mindanao, la grande isola

del sud delle Filippine. Con una notizia improvvisa, per

un giorno rimbalzata da un tg all’altro e accompagnata

dalle immagini di un Paese lontano, come sempre succede

quando a morire è un missionario italiano. Un altro volto

di quella nuova stagione di martirio che – oggi – vede i

cristiani in tante regioni del mondo tornare a pagare con la

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vita la propria fedeltà al Vangelo. In questo caso un prete

cinquantanovenne, giunto nelle Filippine tanti anni prima

dalla Brianza; un uomo che amava ascoltare più che par-

lare, ma che, se c’era da stare dalla parte dei deboli, non si

tirava indietro. Un uomo che per tutti, nell’incantevole valle

dell’Arakan, era diventato Father Pops, il missionario che

con la moto si arrampicava fi no ai villaggi più lontani per

stare accanto ai manobo, la popolazione tribale originaria

di quella terra.

Ma chi era davvero padre Fausto? Per quale ragione è

stato ucciso a Mindanao? E perché, anche in un Paese catto-

licissimo come sono le Filippine, oggi si continua a morire

per il Vangelo? Sono le domande più profonde che questa

storia porta con sé. Domande forse anche un po’ scomode,

se si accetta di non liquidarle con l’emozione del momento

o qualche parola di circostanza. Perché quello di padre Ten-

torio è un martirio che parla del tema della giustizia: pone

in tutta la sua drammaticità la questione concreta dell’impe-

gno per i poveri nel mondo di oggi e ricorda che stare dalla

parte degli ultimi non è uno slogan, ma una disponibilità a

donare la vita, fi no in fondo.

A portare alla morte questo missionario italiano non è

stata infatti – in senso stretto – una motivazione religiosa.

È morto per il suo impegno in difesa dei diritti dei tribali,

i primi abitanti di Mindanao, le popolazioni ormai relegate

nelle aree più periferiche dell’isola, dove provano a difen-

dere le loro ultime foreste. Restando comunque nel mirino

di chi vorrebbe mettere le mani sul legname pregiato, sui

minerali del sottosuolo, sui fi umi, sulle terre fertili di questo

paradiso che rischia di essere perduto, un pezzo alla volta.

Martire, dunque, sì. Il diciannovesimo della storia del

Pontifi cio Istituto Missioni Estere. Ma padre Fausto Ten-

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torio è comunque l’icona di un martirio un po’ controcor-

rente; un martirio, in un certo senso, “di periferia”. Per-

ché la morte di padre Tentorio ha a che fare con temi poco

frequentati abitualmente nei nostri martirologi: questioni

legate ad alberi tagliati illegalmente, titoli di proprietà della

terra strappati con l’inganno a gente che non ne conosceva

nemmeno il valore, modelli di agricoltura comunitaria da

contrapporre a grandi piantagioni o multinazionali minera-

rie. Piccole storie di resistenza a quel mercato globale che,

in nome della corsa alle materie prime, riduce oggi interi

gruppi etnici al rango di “scarti” da eliminare.

Martire della giustizia e della salvaguardia del creato,

dunque. Con una storia per alcuni aspetti simile a quella

di suor Dorothy Stang, l’irmã Dorote come era chiamata

in Brasile questa religiosa americana delle suore di Nostra

Signora di Namur. Lei venne colpita a morte il 13 febbraio

2005 in Amazzonia per il suo impegno a fi anco dei contadini

poveri minacciati dalle imprese del legname e dai latifondi-

sti che non si fanno scrupoli a uccidere chi dà più importan-

za ai diritti umani che ai loro interessi. Solo che dell’Amaz-

zonia, della sua foresta, degli appetiti di questi affaristi e

della lotta delle popolazioni indigene, sono in tanti a parlare.

La sua salvaguardia è una grande questione globale. Inve-

ce della Mindanao in cui viveva padre Fausto Tentorio non

parla nessuno: è un Far West dove succedono esattamente

le stesse cose; ma in un contesto più piccolo e molto più

lontano dagli occhi del mondo. Anche se poi alcune delle

banane che troviamo al supermercato vengono proprio da lì;

e la sede della grande multinazionale, che a Tampakan vuole

costruire un’immensa miniera di oro e rame a cielo aperto

sulle terre dove da secoli vivono i b’laan, sta in Svizzera, a

poche centinaia di chilometri da casa nostra.

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Ecco allora questo libro con cui vogliamo provare a

rompere questo silenzio, raccontando per esteso la storia

di padre Fausto Tentorio, martire consapevole per la difesa

della terra. Con un racconto che è anche un viaggio dentro

una grande periferia, com’è appunto per il mondo di oggi

l’isola di Mindanao nelle Filippine: senza un planisfero

davanti ben pochi di noi sarebbero in grado di dire qualco-

sa sulla regione dove padre Tentorio è stato ucciso. Eppure

è un luogo quanto mai signifi cativo per i missionari italiani

– e per il Pontifi cio Istituto Missioni Estere in particolare.

Lo dimostra più di ogni altra parola una fotografi a scatta-

ta nel 1984 che ritrae il gruppo dei quattordici missionari

del Pime presenti allora nella regione; in trent’anni tre di

quei sacerdoti sono stati uccisi e altri due hanno vissuto

l’esperienza durissima del rapimento. Nel caso dell’assas-

sinio di padre Salvatore Carzedda nel 1992 e dei sequestri

di padre Luciano Benedetti e padre Giancarlo Bossi, si può

parlare di vittime della violenza dei movimenti islamisti.

Perché Mindanao è la regione delle Filippine dove la pre-

senza musulmana è più radicata e dove la grande emigra-

zione dei coloni dalle isole del nord – a lungo incoraggiata

dalle autorità di Manila – ha creato una polveriera che solo

recentemente un diffi cile processo di pace sta provando a

ricomporre.

Ma quello della violenza delle milizie di Abu Sayyaf

e degli altri gruppi fondamentalisti islamici non è l’unico

volto del martirio oggi a Mindanao. Molto più prosaica-

mente rispetto ai proclami del califfato islamico e delle sue

succursali, nelle Filippine tuttora si uccide anche in nome

della corsa al controllo della terra da coltivare o da sventra-

re con ambiziosissimi progetti minerari. E proprio la morte

di padre Fausto Tentorio – e prima ancora quella del suo

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confratello e amico padre Tullio Favali, ucciso nel 1985 –

stanno lì a dimostrarlo.

Due morti che sfatano anche qualche idea forse un po’

troppo barricadera sulla persecuzione contro i cristiani nel

mondo di oggi. Perché è vero, esiste la violenza intollerante

degli “altri” contro di “noi” e soprattutto in alcune zone del

pianeta è un fenomeno in crescita preoccupante. Ma que-

sto non ci può far dimenticare che ci sono anche altri posti

come Mindanao, dove a preti, suore, laici, può capitare di

venire uccisi da persone che magari si dichiarano cristiane,

salvo poi calpestare e insanguinare la parola di giustizia che

il Vangelo di Gesù inequivocabilmente annuncia.

Pur non esistendo ancora una verità giudiziaria, tutto

lascia pensare che nel caso di padre Fausto – il 17 ottobre

2011 – le cose siano andate proprio così. Con un’ulteriore

postilla interessante: se gli assassini probabilmente erano

cristiani, i tribali che Tentorio difendeva, mettendo consape-

volmente a rischio la sua stessa vita, nella stragrande mag-

gioranza dei casi cristiani non lo erano. Sono infatti popo-

lazioni in gran parte rimaste legate ai loro culti tradizionali

e la loro “conversione”, come vedremo, non era affatto la

prima preoccupazione di padre Fausto. A lui stava molto più

a cuore che potessero sopravvivere. E che potessero incon-

trare attraverso di lui, a Mindanao, dei cristiani che non

cercassero di ingannarli o di depredarli. Martire, dunque,

della condivisione gratuita della vita con gli ultimi; martire

del Regno (parola chiave nella spiritualità di padre Fausto)

che rende presente Cristo anche fuori dai confi ni uffi cia-

li dell’accampamento: esiste un martirio più periferico nel

mondo di oggi, così segnato dalla questione delle identità?

È proprio papa Francesco a insegnarci che i poveri e le

periferie sono un Vangelo prezioso per tutti noi. E proprio

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da questo genere di storie, allora, può valere la pena di ripar-

tire per ritrovare il senso più profondo della testimonianza

cristiana. Ed è il motivo per cui, anche a qualche anno di

distanza ormai dalla sua morte, vale la pena di ripercorrere

dal principio la storia di padre Fausto. Una storia che in

fondo non è affatto solo sua: «I vostri sogni sono i miei sogni, le vostre battaglie per la libertà sono le mie battaglie per la libertà, voi e io siamo compagni nella costruzione del Regno di Dio», spiegherà nel suo testamento con una

frase scritta apposta in cebuano, perché tutti a Mindanao

potessero comprenderla. Non erano parole di circostanza,

ma il riassunto di una vita. Perché – lo vedremo – il mis-

sionario venuto dall’Italia aveva cominciato a morire molto

tempo prima di quell’appuntamento con il killer. E d’altra

parte il suo martirio non è fi nito il 17 ottobre 2011; va avan-

ti nei sogni e nelle battaglie di quanti nelle Filippine di oggi

lottano per la giustizia nel suo nome. Continuando anche a

morire, esattamente come è successo a lui.

Questo libro, dunque, vuole essere un’occasione per fa-

re memoria di tutto questo. Ed è un messaggio che, insie-

me al Pime e alla famiglia Tentorio, rilanciamo proprio

in quest’anno 2015 che per Milano è segnato dall’even-

to dell’Expo. La storia di padre Fausto, nato e cresciuto

nell’arcidiocesi ambrosiana, arriva sugli scaffali proprio

mentre la sua terra d’origine si propone al mondo con un

programma ambizioso come lo slogan «Nutrire il pianeta,

energia per la vita». Un’affermazione importante. E sono

fortunatamente molte le voci che in questi mesi stanno cer-

cando di cogliere l’occasione dell’Expo 2015 per ricordare

lo scandalo della fame, che vede ancora oggi nel mondo

oltre 800 milioni di persone (un abitante ogni nove del pia-

neta) restare senza il necessario per vivere.

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C’è però sempre un grosso rischio di fronte a queste

cifre: fermarsi agli slogan, alle dichiarazioni di principio,

tanto belle quanto a buon mercato. Lo ha ricordato anche

con una certa durezza papa Francesco in un video-mes-

saggio inviato nel febbraio 2015 proprio agli organizzatori

dell’Expo: «Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti

sofi smi come quello della fame – ha commentato –; e pochi

argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati,

dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla

corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica».

Se si vuole andare oltre i sofi smi e provare a capire che

cosa può voler dire davvero oggi “nutrire il pianeta” occor-

re invece fare i conti proprio con storie come quella di

Fausto Tentorio. Perché, nella sua frontiera dell’Arakan, di

persone che non avevano di che nutrirsi lui concretamente

ne ha conosciute tante. E, con la sua vita e la sua morte,

ha insegnato che la lotta alla fame non è mai qualcosa di

gratuito. Lavorare per il diritto alla terra e l’autosuffi cienza

alimentare, in molte situazioni del mondo di oggi, signifi ca

ancora opporsi a interessi e poteri che schiacciano chi è in

condizione più debole. Con quel meccanismo che, con una

chiarezza straordinaria, papa Francesco mette a nudo quan-

do denuncia la “cultura dello scarto”, che rende interi grup-

pi di persone qualcosa di sacrifi cabile in nome del profi tto.

Prima ancora che il mondo scoprisse il successore di

Pietro venuto dalle villas miserias dell’Argentina, padre

Tentorio quest’idea l’aveva già capita molto bene. Era esat-

tamente questa la molla che l’aveva portato a scegliere di

spendere senza riserve la sua vita di missionario dalla parte

di chi in Arakan era stato spogliato di tutto. Ma aveva anche

capito che questo avrebbe comportato un prezzo: vivere da

tribale con i tribali non era poesia, era la scelta coraggiosa

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di chi accetta di assumersi un rischio. Di chi non ha paura

di patire la fame insieme a loro, di lottare insieme a loro.

Perché solo chi è disposto a donare la vita – alla fi ne – la

gente è in grado di nutrirla davvero.

Nutrirla prima di tutto rispettando la terra. Un altro fi lo

rosso che ricollega in maniera molto forte la vicenda di

padre Tentorio all’attualità ecclesiale di oggi è l’enciclica

sulla salvaguardia del creato che papa Francesco si appresta

a pubblicare. Per la prima volta la Chiesa pone specifi ca-

mente il tema ecologico al centro del suo documento più

rilevante da un punto di vista magisteriale. Ma anche su que-

sto la vita del missionario brianzolo è stata in qualche modo

un segno; con i suoi gesti, infatti, padre Fausto ha sempre

mostrato il legame inscindibile che esiste tra il rispetto delle

leggi della natura e l’attenzione agli uomini che la abitano.

Ricordando che anche il disboscamento delle grandi foreste,

oggi, è un modo per uccidere in nome del dio denaro.

Difendere la terra perché possa nutrire tutti: alla fi ne

era questo nelle Filippine il sogno di padre Fausto. Portato

avanti attraverso un metodo chiaro: la scommessa sull’edu-

cazione delle nuove generazioni dei manobo, l’etnia tribale

delle montagne dell’Arakan che aveva imparato ad amare e

servire. Con loro, passo dopo passo, il missionario italiano

aveva scelto l’azzardo del Regno.

«Più gli anni passano e più diventa diffi cile fare o pren-

dere decisioni radicali... – confessava Tentorio in una bel-

la lettera del 1995 –. Presente e futuro sono nelle nostre

mani proprio perché siamo esperti del passato: sappiamo

già come andrà a fi nire o che cosa ci capiterà. Vogliamo

che tutto sia calcolato, tutto ben preparato, i vantaggi e gli

svantaggi ben equilibrati: non si fa un passo se non si è

sicuri che il piede appoggi sulla terra ferma».

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«Tutto questo è positivo – precisava subito – ma potreb-

be uccidere la gioia dello stupore, la sfi da dell’imprevedi-

bile. Il rischio c’è, ma è proprio questo fattore “rischio”

a dare “sapore” alle scelte. Il rischio del Regno, il rischio

della missione, il rischio del matrimonio: tutta la nostra vita

è un rischio se la poniamo al servizio del Regno. Rischiare

è non essere più padroni di se stessi: vuol dire limitare le

proprie libertà, vuol dire accettare liberamente che qualcun

altro interferisca nella nostra vita, con tutte le conseguenze

che questo può comportare».

«Non c’è amore senza rischio», diceva padre Fausto.

Alla fi ne sarebbe stato proprio questo a portarlo al tragico

epilogo del 17 ottobre 2011. E a rendere la storia di un prete

vestito come un manobo una pagina di Vangelo vivo, tutta

da raccontare.

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Page 20: Fausto Tentorio martire per la giustizia di Giorgio Bernardelli (estratto)

INDICE

Prefazione del card. Gianfranco Ravasi pag. 5

Introduzione. Padre Fausto, la Terra e il Regno » 11

Ringraziamenti » 20

I. Il missionario di Santa Maria Hoè » 21

II. Gli anni di Columbio » 30

III. Tullio prima di Fausto » 41

IV. Destinazione Arakan » 50

V. Una rete per i tribali » 66

VI. «I vostri sogni sono i miei sogni» » 76

VII. Quel che resta di Pops » 95

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