Fausto Tentorio martire per la giustizia di Giorgio Bernardelli (estratto)
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«I vostri sogni sono i miei sogni,
le vostre battaglie per la libertà
sono le mie battaglie per la libertà,
voi ed io siamo compagni
nella costruzione del Regno di Dio»
GIORGIO BERNARDELLI
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Prefazione del card.GIANFRANCO RAVASI
Fausto Tentoriomartire per la giustizia
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Giorgio Bernardelli
FAUSTO TENTORIOmartire per la giustizia
Prefazione del card. Gianfranco Ravasi
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© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015
Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
www.edizionisanpaolo.it
Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.
Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
ISBN 978-88-215-9556-1
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Prefazione
Domenica 21 settembre 2014: in una luminosa mattinata
ero in Brianza, a Santa Maria Hoè, il luogo di nascita di
mia madre e l’orizzonte più caro dei ricordi estivi della mia
infanzia, adolescenza e giovinezza. In quel giorno ero stato
invitato a celebrare il centenario della parrocchia che aveva
come sede la splendida chiesa appartenente in passato ai
Servi di Maria, dedicata all’Addolorata e a sant’Antonio
abate. Al termine della messa solenne, tutta la comunità si
era raccolta nell’ampia piazza antistante che da quel giorno
si sarebbe trasformata in “Piazza padre Fausto Tentorio”.
In quei momenti, mentre si snodavano i discorsi comme-
morativi e le testimonianze, circondati come eravamo dalle
colline verdeggianti della Brianza, avvolti dal sole del pri-
mo autunno, davanti a me passavano in dissolvenza tante
immagini intense e irrevocabili di mezzo secolo prima.
E il volto di padre Fausto era ancora per me quello esile
ma vivace di allora, come lo era il suo corpo di ragazzino
che ogni mattina, dopo la messa dell’alba, era di fronte a
me, seduto sui gradini dell’antico coro monastico ad ascol-
tarmi. Ero in quegli anni studente di teologia a Roma e poi
giovane sacerdote, e d’estate ritornavo in vacanza con la
mia famiglia nella nostra casa materna: in quegli istanti il
suo viso era fi sso su di me, più di quello degli altri chie-
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richetti, compreso suo fratello Felice. Ho solo un ricordo
preciso di quanto dicevo a quei ragazzi: nei giorni in cui
si celebravano le memorie liturgiche dei martiri leggevo
loro il racconto della “passione” di quei santi, traducendola
dalle letture latine del Mattutino del Breviario Ambrosiano.
Mai avrei pensato che in fi ligrana a quelle narrazioni spesso
truci e impressionanti potessero emergere il volto e la storia
di quel ragazzino che mi stava allora di fronte.
Questi pensieri e memorie, in quella domenica di settem-
bre, si associavano ad altri ricordi, in particolare a quando
avevo ritrovato – sia pure per un arco di anni limitato –
il giovane Fausto come alunno tra i banchi del Seminario
Teologico milanese dove insegnavo la Sacra Scrittura. Da lì
egli sarebbe passato a quel futuro missionario che avrebbe
costituito la sostanza più autentica della sua esistenza e che
ora è il cuore delle pagine che seguiranno. Ebbene, ogni
prefazione ha sempre due coordinate implicite o esplicite
che si incrociano tra loro. C’è una dimensione “soggettiva”,
personale che lega chi scrive l’introduzione alla persona
dell’autore del libro o al tema che egli sviluppa. E c’è un
aspetto più “oggettivo” che riguarda la qualità, lo stile, le
caratteristiche dell’opera.
La prima coordinata ha per me pochi altri tratti oltre a
quelli che ho già evocato, perché la mia vita si sviluppò
poi lungo percorsi diversi rispetto a quelli di padre Fausto.
Proprio per questo erano rimasti nel nostro rapporto solo
contatti indiretti attraverso notizie che mi giungevano da
conoscenti comuni, oppure in eventi particolari come la sua
ordinazione sacerdotale nel giugno 1977, o incroci occasio-
nali che le mie sorelle avevano con lui durante i suoi rari
ritorni a Santa Maria Hoè dalle Filippine. Era scontato per
me immaginare la sua totale e assoluta donazione in quel
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ministero di fede e di amore in una terra così lontana dalle
sue radici: fi n da piccolo brillava in lui una luminosità nello
sguardo nel quale idealmente s’affacciavano la sua genero-
sità e la sua passione per un ideale.
Una frase, spesso evocata, del suo testamento potrebbe
infatti essere quasi il motto simbolico della sua esisten-
za umana e sacerdotale: «I vostri sogni sono i miei sogni,
le vostre battaglie per la libertà sono le mie battaglie per
la libertà, voi e io siamo compagni nella costruzione del
regno di Dio». E il suggello di questa pienezza di donazio-
ne a Dio e ai “fratelli più piccoli” è stato in quel 17 ottobre
2011 che corrisponde a un’altra mia memoria particolare
di padre Fausto. La sera dell’indomani – che era anche il
giorno del mio compleanno – la notizia del suo martirio
mi giunse proprio da un vescovo missionario mio amico
che, telefonandomi per gli auguri, mi comunicava questo
evento drammatico.
È proprio da qui che si dirama il secondo fi lo, quello più
“oggettivo”, di questa mia semplice prefazione. In realtà,
la biografi a che ora i lettori seguiranno è di una tale traspa-
renza e intensità da non esigere nessuna guida di lettura o
commento. Giorgio Bernardelli, che è un noto giornalista
che scrive per il quotidiano Avvenire oltre che per le riviste
del Pime, ha offerto a padre Fausto il dono migliore: ha
spogliato il suo racconto dalla retorica che spesso accompa-
gna le agiografi e, ha lasciato parlare i fatti e i testimoni, ha
disegnato un ritratto che non sconfi na nell’icona aureolata,
ha identifi cato la matrice profonda degli ideali, dell’opera e
del sacrifi cio di padre Fausto, ossia quel Regno di Dio che
era anche il cuore della predicazione e dell’azione di Cristo.
Basterà, dunque, ascoltare la sua voce narrante per incon-
trare una fi gura che merita le parole del monaco Zosima nel
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celebre romanzo I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij:
«L’umanità non riconosce i suoi profeti e li massacra; ma
gli uomini amano i loro martiri e venerano coloro che han-
no torturato». La testa mozzata di Giovanni Battista parla
dal vassoio ancor più forte di quando era sul suo collo. Ha
ragione il proverbio orientale che afferma: «Il giusto, come
il legno di sandalo, profuma l’ascia che lo colpisce». La
potenza del martire, che è vittima, è paradossalmente più
alta di quella del suo carnefi ce perché il suo sangue feconda
la storia e continua a gridare la verità anche al suo stesso
assassino. La spada recide i corpi, ma le idee e l’amore sono
indistruttibili, e la stessa mano omicida porterà con sé una
stimmata che la santità del martire vi ha lasciato. La croce
di Cristo piantata nella storia ne è la gloriosa dimostrazio-
ne, come lo è la bara di padre Fausto «costruita col legno di
mogano che ho piantato qui in Arakan», per usare le parole
del suo testamento.
Proprio per questo egli continua a testimoniare indiretta-
mente la sua carità sia attraverso la Fondazione a lui dedica-
ta, sia attraverso l’associazione Non dimentichiamo padre Fausto che ha sede proprio in quel paese di Santa Maria
Hoè da cui è sbocciata la vita di Fausto Tentorio e dal qua-
le anch’io sono partito con questa mia testimonianza, che
ho posto in premessa all’appassionato e dolce ritratto che
Giorgio Bernardelli ha disegnato con le sue parole. “Ricor-
dare”, come è noto, è un vocabolo che contiene il termine
latino cor/cordis, “cuore”: è quindi un “riportare al cuore”
e non soltanto una pallida commemorazione nostalgica.
Padre Fausto, anche attraverso l’associazione a lui intitolata
e questo racconto biografi co, continuerà a vivere nel cuore
di chi l’ha incontrato e amato e di chi lo conoscerà proprio
attraverso queste pagine.
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Egli, però, continua a vivere soprattutto in unione a quel
Signore che ha tanto amato e seguito. È per questo che vorrei
concludere col bellissimo dialogo che un fi losofo cristiano
dell’Ottocento, il danese Søren Kierkegaard, ha immagina-
to, nel suo Diario, tra Dio e il suo “testimone” (non dimen-
tichiamo che la parola di origine greca “martire” signifi ca
appunto “testimone”): «Quando il testimone della verità
arriva alla morte, dice a Dio: Grazie anche delle sofferen-
ze che mi hai dato. Grazie a te, infi nito amore! Ma Dio gli
risponderà: Grazie a te, amico mio, per l’uso prezioso che ho
potuto fare di te!».
Card. Gianfranco Ravasi
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Introduzione
PADRE FAUSTO, LA TERRA E IL REGNO
È lunedì mattina nella parrocchia dell’Arakan: la por-
ta si apre e padre Fausto si dirige verso la tettoia sotto la
quale è parcheggiata la sua auto. Dalle sue montagne lo
aspettano sessanta chilometri di strada fangosa per scen-
dere a Kidapawan, dove i preti della diocesi si ritroveran-
no quella mattina per l’incontro con il vescovo. Non può
sapere, il missionario, che nella penombra ad attenderlo c’è
già appostato un killer, pronto a scaricargli contro un intero
caricatore, prima di fuggire via su una moto guidata da un
complice. Non può sapere che quell’ora, messa in conto
ormai già da parecchio tempo, è arrivata davvero; perché le
pallottole stavolta metteranno fi ne al suo impegno quotidia-
no con i poveri, per la costruzione del Regno di Dio in una
terra sfi gurata dagli egoismi degli uomini.
Il 17 ottobre 2011 tante persone in Italia l’hanno scoper-
ta così la storia di padre Fausto Tentorio, missionario del
Pime, ucciso nella tormentata Mindanao, la grande isola
del sud delle Filippine. Con una notizia improvvisa, per
un giorno rimbalzata da un tg all’altro e accompagnata
dalle immagini di un Paese lontano, come sempre succede
quando a morire è un missionario italiano. Un altro volto
di quella nuova stagione di martirio che – oggi – vede i
cristiani in tante regioni del mondo tornare a pagare con la
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vita la propria fedeltà al Vangelo. In questo caso un prete
cinquantanovenne, giunto nelle Filippine tanti anni prima
dalla Brianza; un uomo che amava ascoltare più che par-
lare, ma che, se c’era da stare dalla parte dei deboli, non si
tirava indietro. Un uomo che per tutti, nell’incantevole valle
dell’Arakan, era diventato Father Pops, il missionario che
con la moto si arrampicava fi no ai villaggi più lontani per
stare accanto ai manobo, la popolazione tribale originaria
di quella terra.
Ma chi era davvero padre Fausto? Per quale ragione è
stato ucciso a Mindanao? E perché, anche in un Paese catto-
licissimo come sono le Filippine, oggi si continua a morire
per il Vangelo? Sono le domande più profonde che questa
storia porta con sé. Domande forse anche un po’ scomode,
se si accetta di non liquidarle con l’emozione del momento
o qualche parola di circostanza. Perché quello di padre Ten-
torio è un martirio che parla del tema della giustizia: pone
in tutta la sua drammaticità la questione concreta dell’impe-
gno per i poveri nel mondo di oggi e ricorda che stare dalla
parte degli ultimi non è uno slogan, ma una disponibilità a
donare la vita, fi no in fondo.
A portare alla morte questo missionario italiano non è
stata infatti – in senso stretto – una motivazione religiosa.
È morto per il suo impegno in difesa dei diritti dei tribali,
i primi abitanti di Mindanao, le popolazioni ormai relegate
nelle aree più periferiche dell’isola, dove provano a difen-
dere le loro ultime foreste. Restando comunque nel mirino
di chi vorrebbe mettere le mani sul legname pregiato, sui
minerali del sottosuolo, sui fi umi, sulle terre fertili di questo
paradiso che rischia di essere perduto, un pezzo alla volta.
Martire, dunque, sì. Il diciannovesimo della storia del
Pontifi cio Istituto Missioni Estere. Ma padre Fausto Ten-
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torio è comunque l’icona di un martirio un po’ controcor-
rente; un martirio, in un certo senso, “di periferia”. Per-
ché la morte di padre Tentorio ha a che fare con temi poco
frequentati abitualmente nei nostri martirologi: questioni
legate ad alberi tagliati illegalmente, titoli di proprietà della
terra strappati con l’inganno a gente che non ne conosceva
nemmeno il valore, modelli di agricoltura comunitaria da
contrapporre a grandi piantagioni o multinazionali minera-
rie. Piccole storie di resistenza a quel mercato globale che,
in nome della corsa alle materie prime, riduce oggi interi
gruppi etnici al rango di “scarti” da eliminare.
Martire della giustizia e della salvaguardia del creato,
dunque. Con una storia per alcuni aspetti simile a quella
di suor Dorothy Stang, l’irmã Dorote come era chiamata
in Brasile questa religiosa americana delle suore di Nostra
Signora di Namur. Lei venne colpita a morte il 13 febbraio
2005 in Amazzonia per il suo impegno a fi anco dei contadini
poveri minacciati dalle imprese del legname e dai latifondi-
sti che non si fanno scrupoli a uccidere chi dà più importan-
za ai diritti umani che ai loro interessi. Solo che dell’Amaz-
zonia, della sua foresta, degli appetiti di questi affaristi e
della lotta delle popolazioni indigene, sono in tanti a parlare.
La sua salvaguardia è una grande questione globale. Inve-
ce della Mindanao in cui viveva padre Fausto Tentorio non
parla nessuno: è un Far West dove succedono esattamente
le stesse cose; ma in un contesto più piccolo e molto più
lontano dagli occhi del mondo. Anche se poi alcune delle
banane che troviamo al supermercato vengono proprio da lì;
e la sede della grande multinazionale, che a Tampakan vuole
costruire un’immensa miniera di oro e rame a cielo aperto
sulle terre dove da secoli vivono i b’laan, sta in Svizzera, a
poche centinaia di chilometri da casa nostra.
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Ecco allora questo libro con cui vogliamo provare a
rompere questo silenzio, raccontando per esteso la storia
di padre Fausto Tentorio, martire consapevole per la difesa
della terra. Con un racconto che è anche un viaggio dentro
una grande periferia, com’è appunto per il mondo di oggi
l’isola di Mindanao nelle Filippine: senza un planisfero
davanti ben pochi di noi sarebbero in grado di dire qualco-
sa sulla regione dove padre Tentorio è stato ucciso. Eppure
è un luogo quanto mai signifi cativo per i missionari italiani
– e per il Pontifi cio Istituto Missioni Estere in particolare.
Lo dimostra più di ogni altra parola una fotografi a scatta-
ta nel 1984 che ritrae il gruppo dei quattordici missionari
del Pime presenti allora nella regione; in trent’anni tre di
quei sacerdoti sono stati uccisi e altri due hanno vissuto
l’esperienza durissima del rapimento. Nel caso dell’assas-
sinio di padre Salvatore Carzedda nel 1992 e dei sequestri
di padre Luciano Benedetti e padre Giancarlo Bossi, si può
parlare di vittime della violenza dei movimenti islamisti.
Perché Mindanao è la regione delle Filippine dove la pre-
senza musulmana è più radicata e dove la grande emigra-
zione dei coloni dalle isole del nord – a lungo incoraggiata
dalle autorità di Manila – ha creato una polveriera che solo
recentemente un diffi cile processo di pace sta provando a
ricomporre.
Ma quello della violenza delle milizie di Abu Sayyaf
e degli altri gruppi fondamentalisti islamici non è l’unico
volto del martirio oggi a Mindanao. Molto più prosaica-
mente rispetto ai proclami del califfato islamico e delle sue
succursali, nelle Filippine tuttora si uccide anche in nome
della corsa al controllo della terra da coltivare o da sventra-
re con ambiziosissimi progetti minerari. E proprio la morte
di padre Fausto Tentorio – e prima ancora quella del suo
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confratello e amico padre Tullio Favali, ucciso nel 1985 –
stanno lì a dimostrarlo.
Due morti che sfatano anche qualche idea forse un po’
troppo barricadera sulla persecuzione contro i cristiani nel
mondo di oggi. Perché è vero, esiste la violenza intollerante
degli “altri” contro di “noi” e soprattutto in alcune zone del
pianeta è un fenomeno in crescita preoccupante. Ma que-
sto non ci può far dimenticare che ci sono anche altri posti
come Mindanao, dove a preti, suore, laici, può capitare di
venire uccisi da persone che magari si dichiarano cristiane,
salvo poi calpestare e insanguinare la parola di giustizia che
il Vangelo di Gesù inequivocabilmente annuncia.
Pur non esistendo ancora una verità giudiziaria, tutto
lascia pensare che nel caso di padre Fausto – il 17 ottobre
2011 – le cose siano andate proprio così. Con un’ulteriore
postilla interessante: se gli assassini probabilmente erano
cristiani, i tribali che Tentorio difendeva, mettendo consape-
volmente a rischio la sua stessa vita, nella stragrande mag-
gioranza dei casi cristiani non lo erano. Sono infatti popo-
lazioni in gran parte rimaste legate ai loro culti tradizionali
e la loro “conversione”, come vedremo, non era affatto la
prima preoccupazione di padre Fausto. A lui stava molto più
a cuore che potessero sopravvivere. E che potessero incon-
trare attraverso di lui, a Mindanao, dei cristiani che non
cercassero di ingannarli o di depredarli. Martire, dunque,
della condivisione gratuita della vita con gli ultimi; martire
del Regno (parola chiave nella spiritualità di padre Fausto)
che rende presente Cristo anche fuori dai confi ni uffi cia-
li dell’accampamento: esiste un martirio più periferico nel
mondo di oggi, così segnato dalla questione delle identità?
È proprio papa Francesco a insegnarci che i poveri e le
periferie sono un Vangelo prezioso per tutti noi. E proprio
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da questo genere di storie, allora, può valere la pena di ripar-
tire per ritrovare il senso più profondo della testimonianza
cristiana. Ed è il motivo per cui, anche a qualche anno di
distanza ormai dalla sua morte, vale la pena di ripercorrere
dal principio la storia di padre Fausto. Una storia che in
fondo non è affatto solo sua: «I vostri sogni sono i miei sogni, le vostre battaglie per la libertà sono le mie battaglie per la libertà, voi e io siamo compagni nella costruzione del Regno di Dio», spiegherà nel suo testamento con una
frase scritta apposta in cebuano, perché tutti a Mindanao
potessero comprenderla. Non erano parole di circostanza,
ma il riassunto di una vita. Perché – lo vedremo – il mis-
sionario venuto dall’Italia aveva cominciato a morire molto
tempo prima di quell’appuntamento con il killer. E d’altra
parte il suo martirio non è fi nito il 17 ottobre 2011; va avan-
ti nei sogni e nelle battaglie di quanti nelle Filippine di oggi
lottano per la giustizia nel suo nome. Continuando anche a
morire, esattamente come è successo a lui.
Questo libro, dunque, vuole essere un’occasione per fa-
re memoria di tutto questo. Ed è un messaggio che, insie-
me al Pime e alla famiglia Tentorio, rilanciamo proprio
in quest’anno 2015 che per Milano è segnato dall’even-
to dell’Expo. La storia di padre Fausto, nato e cresciuto
nell’arcidiocesi ambrosiana, arriva sugli scaffali proprio
mentre la sua terra d’origine si propone al mondo con un
programma ambizioso come lo slogan «Nutrire il pianeta,
energia per la vita». Un’affermazione importante. E sono
fortunatamente molte le voci che in questi mesi stanno cer-
cando di cogliere l’occasione dell’Expo 2015 per ricordare
lo scandalo della fame, che vede ancora oggi nel mondo
oltre 800 milioni di persone (un abitante ogni nove del pia-
neta) restare senza il necessario per vivere.
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C’è però sempre un grosso rischio di fronte a queste
cifre: fermarsi agli slogan, alle dichiarazioni di principio,
tanto belle quanto a buon mercato. Lo ha ricordato anche
con una certa durezza papa Francesco in un video-mes-
saggio inviato nel febbraio 2015 proprio agli organizzatori
dell’Expo: «Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti
sofi smi come quello della fame – ha commentato –; e pochi
argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati,
dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla
corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica».
Se si vuole andare oltre i sofi smi e provare a capire che
cosa può voler dire davvero oggi “nutrire il pianeta” occor-
re invece fare i conti proprio con storie come quella di
Fausto Tentorio. Perché, nella sua frontiera dell’Arakan, di
persone che non avevano di che nutrirsi lui concretamente
ne ha conosciute tante. E, con la sua vita e la sua morte,
ha insegnato che la lotta alla fame non è mai qualcosa di
gratuito. Lavorare per il diritto alla terra e l’autosuffi cienza
alimentare, in molte situazioni del mondo di oggi, signifi ca
ancora opporsi a interessi e poteri che schiacciano chi è in
condizione più debole. Con quel meccanismo che, con una
chiarezza straordinaria, papa Francesco mette a nudo quan-
do denuncia la “cultura dello scarto”, che rende interi grup-
pi di persone qualcosa di sacrifi cabile in nome del profi tto.
Prima ancora che il mondo scoprisse il successore di
Pietro venuto dalle villas miserias dell’Argentina, padre
Tentorio quest’idea l’aveva già capita molto bene. Era esat-
tamente questa la molla che l’aveva portato a scegliere di
spendere senza riserve la sua vita di missionario dalla parte
di chi in Arakan era stato spogliato di tutto. Ma aveva anche
capito che questo avrebbe comportato un prezzo: vivere da
tribale con i tribali non era poesia, era la scelta coraggiosa
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di chi accetta di assumersi un rischio. Di chi non ha paura
di patire la fame insieme a loro, di lottare insieme a loro.
Perché solo chi è disposto a donare la vita – alla fi ne – la
gente è in grado di nutrirla davvero.
Nutrirla prima di tutto rispettando la terra. Un altro fi lo
rosso che ricollega in maniera molto forte la vicenda di
padre Tentorio all’attualità ecclesiale di oggi è l’enciclica
sulla salvaguardia del creato che papa Francesco si appresta
a pubblicare. Per la prima volta la Chiesa pone specifi ca-
mente il tema ecologico al centro del suo documento più
rilevante da un punto di vista magisteriale. Ma anche su que-
sto la vita del missionario brianzolo è stata in qualche modo
un segno; con i suoi gesti, infatti, padre Fausto ha sempre
mostrato il legame inscindibile che esiste tra il rispetto delle
leggi della natura e l’attenzione agli uomini che la abitano.
Ricordando che anche il disboscamento delle grandi foreste,
oggi, è un modo per uccidere in nome del dio denaro.
Difendere la terra perché possa nutrire tutti: alla fi ne
era questo nelle Filippine il sogno di padre Fausto. Portato
avanti attraverso un metodo chiaro: la scommessa sull’edu-
cazione delle nuove generazioni dei manobo, l’etnia tribale
delle montagne dell’Arakan che aveva imparato ad amare e
servire. Con loro, passo dopo passo, il missionario italiano
aveva scelto l’azzardo del Regno.
«Più gli anni passano e più diventa diffi cile fare o pren-
dere decisioni radicali... – confessava Tentorio in una bel-
la lettera del 1995 –. Presente e futuro sono nelle nostre
mani proprio perché siamo esperti del passato: sappiamo
già come andrà a fi nire o che cosa ci capiterà. Vogliamo
che tutto sia calcolato, tutto ben preparato, i vantaggi e gli
svantaggi ben equilibrati: non si fa un passo se non si è
sicuri che il piede appoggi sulla terra ferma».
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«Tutto questo è positivo – precisava subito – ma potreb-
be uccidere la gioia dello stupore, la sfi da dell’imprevedi-
bile. Il rischio c’è, ma è proprio questo fattore “rischio”
a dare “sapore” alle scelte. Il rischio del Regno, il rischio
della missione, il rischio del matrimonio: tutta la nostra vita
è un rischio se la poniamo al servizio del Regno. Rischiare
è non essere più padroni di se stessi: vuol dire limitare le
proprie libertà, vuol dire accettare liberamente che qualcun
altro interferisca nella nostra vita, con tutte le conseguenze
che questo può comportare».
«Non c’è amore senza rischio», diceva padre Fausto.
Alla fi ne sarebbe stato proprio questo a portarlo al tragico
epilogo del 17 ottobre 2011. E a rendere la storia di un prete
vestito come un manobo una pagina di Vangelo vivo, tutta
da raccontare.
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INDICE
Prefazione del card. Gianfranco Ravasi pag. 5
Introduzione. Padre Fausto, la Terra e il Regno » 11
Ringraziamenti » 20
I. Il missionario di Santa Maria Hoè » 21
II. Gli anni di Columbio » 30
III. Tullio prima di Fausto » 41
IV. Destinazione Arakan » 50
V. Una rete per i tribali » 66
VI. «I vostri sogni sono i miei sogni» » 76
VII. Quel che resta di Pops » 95
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