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FATTORI LATENTI DI RISCHIO PER UTENTI DEBOLI ED EDUCAZIONE AL LORO RICONOSCIMENTO Alfonso Micucci 1 , Roberto Breda 2 Abstract Il costante impegno nell’analisi degli incidenti stradali, condotta per incarico di organi giudiziari, di privati cittadini, di legali e di compagnie assicurative, ha consentito di comprendere quali sono le problematiche più comuni legate alla mobilità dell’utenza debole. Nelle presente memoria vengono discussi alcuni sinistri tipici che coinvolgono pedoni e ciclisti in aree periferiche, tra cui investimenti dovuti a scarsa visibilità, della persona e/o del veicolo, oppure ad organizzazioni infelici della circolazione. Particolari approfondimenti vengono condotti relativamente alla presenza di idonei spazi per il moto in sicurezza dei pedoni, alla visibilità in rapporto alle eventuali condizioni di rifrangenza ed ai conflitti negli attraversamenti pedonali e ciclabili. Dalla disamina dei casi indicati scaturiscono indicazioni utili per un miglioramento della sicurezza, che necessariamente deve essere incardinata sulla sensibilizzazione dei fattori di rischio individuale, nonché su una gestione della circolazione che limiti il rischio stesso. In linea generale un incidente stradale evolve attraverso tre stati sequenziali, come illustrato nel diagramma seguente: la formazione del pericolo, la collisione e lo sviluppo della vis-levisa. Concorrono alla formazione del pericolo prioritariamente la condotta di guida dei protagonisti, correlabile alle rispettive condizioni psicofisiche, lo stato dell’infrastruttura, le condizioni di visibilità e le condizioni di traffico, intese come quantità e composizione. Generatosi il pericolo, le probabilità di verificazione della collisione dipendono dalla capacità reattiva dei conducenti, ancora subordinata alle condizioni psicofisiche, i quali sono chiamati a porre in essere delle manovre di salvataggio. L’efficacia di queste è condizionata dalla presenza e dalle condizioni di funzionamento dei sistemi di sicurezza attiva di cui i veicoli sono eventualmente equipaggiati. Qualora le manovre di salvataggio risultino inefficaci e si verifichi una collisione, si ha che gli effetti di questa possono essere mitigati dalle condizioni dell’infrastruttura, che può essere allestita con presidi di sicurezza atti ad assorbire stati di moto veicolare anomalo, nonché dalla presenza e dalle condizioni di funzionamento dei sistemi di sicurezza passiva di cui i veicoli sono equipaggiati. Relativamente alla guida, è ben noto che stati psicofisici non idonei alla circolazione stradale, ad esempio giacché alterati per assunzione di alcool (che può comportare incremento del tempo di percezione e reazione fino al 500%) o di altre sostanze 1 Università degli Studi di Bologna – Dipartimento DISTART / Trasporti – Viale Risorgimento, 2 – 40136 BOLOGNA – BO, Tel. 328-5937889, Fax 051-97931186, e-mail: [email protected] 2 Sorisole (BG), via Donizetti, 14 – tel. 340.0627776, fax 035.4129071, e-mail [email protected] ,

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FATTORI LATENTI DI RISCHIO PER UTENTI DEBOLI ED EDUCAZIONE AL LORO RICONOSCIMENTO

Alfonso Micucci1, Roberto Breda2

Abstract Il costante impegno nell’analisi degli incidenti stradali, condotta per incarico di organi giudiziari, di privati cittadini, di legali e di compagnie assicurative, ha consentito di comprendere quali sono le problematiche più comuni legate alla mobilità dell’utenza debole. Nelle presente memoria vengono discussi alcuni sinistri tipici che coinvolgono pedoni e ciclisti in aree periferiche, tra cui investimenti dovuti a scarsa visibilità, della persona e/o del veicolo, oppure ad organizzazioni infelici della circolazione. Particolari approfondimenti vengono condotti relativamente alla presenza di idonei spazi per il moto in sicurezza dei pedoni, alla visibilità in rapporto alle eventuali condizioni di rifrangenza ed ai conflitti negli attraversamenti pedonali e ciclabili. Dalla disamina dei casi indicati scaturiscono indicazioni utili per un miglioramento della sicurezza, che necessariamente deve essere incardinata sulla sensibilizzazione dei fattori di rischio individuale, nonché su una gestione della circolazione che limiti il rischio stesso. In linea generale un incidente stradale evolve attraverso tre stati sequenziali, come illustrato nel diagramma seguente: la formazione del pericolo, la collisione e lo sviluppo della vis-levisa. Concorrono alla formazione del pericolo prioritariamente la condotta di guida dei protagonisti, correlabile alle rispettive condizioni psicofisiche, lo stato dell’infrastruttura, le condizioni di visibilità e le condizioni di traffico, intese come quantità e composizione. Generatosi il pericolo, le probabilità di verificazione della collisione dipendono dalla capacità reattiva dei conducenti, ancora subordinata alle condizioni psicofisiche, i quali sono chiamati a porre in essere delle manovre di salvataggio. L’efficacia di queste è condizionata dalla presenza e dalle condizioni di funzionamento dei sistemi di sicurezza attiva di cui i veicoli sono eventualmente equipaggiati. Qualora le manovre di salvataggio risultino inefficaci e si verifichi una collisione, si ha che gli effetti di questa possono essere mitigati dalle condizioni dell’infrastruttura, che può essere allestita con presidi di sicurezza atti ad assorbire stati di moto veicolare anomalo, nonché dalla presenza e dalle condizioni di funzionamento dei sistemi di sicurezza passiva di cui i veicoli sono equipaggiati. Relativamente alla guida, è ben noto che stati psicofisici non idonei alla circolazione stradale, ad esempio giacché alterati per assunzione di alcool (che può comportare incremento del tempo di percezione e reazione fino al 500%) o di altre sostanze

1 Università degli Studi di Bologna – Dipartimento DISTART / Trasporti – Viale Risorgimento,

2 – 40136 BOLOGNA – BO, Tel. 328-5937889, Fax 051-97931186, e-mail:

[email protected] 2 Sorisole (BG), via Donizetti, 14 – tel. 340.0627776, fax 035.4129071, e-mail [email protected],

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psicotrope, oppure anche giacché con attenzione all’ambiente circostante limitata a causa del contestuale impegno in ulteriori attività, tra cui conversazione al telefonino (che può comportare incremento del tempo di percezione e reazione fino al 250%), possono alimentare una condotta in cui si annidano negligenza (omissione del compimento di un’azione doverosa), imprudenza (inosservanza di un divieto assoluto di agire o di un divieto di agire secondo determinate modalità) o imperizia (negligenza o imprudenza in attività che richiedono l’impiego di particolari abilità o cognizioni, come nello specifico caso della guida dei veicoli a motore).

Condizioni

infrastruttura

Condizioni

visibilità

Condizioni di traffico:

quantità e composizione

Condotta di

guida

PERICOLO

Stato psicofisico

del conducente

Sistemi per la sicurezza

attiva del veicolo

COLLISIONE

Condizioni

Infrastruttura

Sistemi per la sicurezza

passiva del veicolo

VIS LESIVA

Figura 1: Diagramma delle relazioni che intervengo in un incidente stradale

In taluni casi anche un livello di attenzione solo leggermente inferiore alla massima, o più semplicemente la mancata cognizione dei possibili fattori di rischio presenti, può portare al palesamento di pericoli latenti, già insiti nelle condizioni dell’infrastruttura, della visibilità o del traffico. L’infrastruttura, infatti, può presentare situazioni di rischio latente, dovute a mediocre stato di manutenzione o a progettazione non ottimale della geometria, come nel caso

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della rotatoria di figura 2. In essa la gestione della precedenza è asimmetrica: tutti i rami di accesso sono soggetti ad obbligo di cessione del diritto di priorità al flusso veicolare presente nell’anello centrale, con unica eccezione di un ramo, peraltro secondario ed interessato da un flusso di entità modesta. In tal caso nel conducente che percorra l’anello centrale insorge l’aspettativa di precedenza anche in corrispondenza della sezione a monte del ramo privilegiato, con conseguente formazione di un pericolo, che diviene tanto più elevato quanto intenso è il flusso circolante sull’anello giacché all’aumentare di questo diminuiscono le possibilità di visione tempestiva della segnaletica.

Figura 2: Esempio di intersezione a rotatoria con gestione della precedenza

asimmetrica. L’aspettativa di precedenza di chi percorre l’anello centrale può tradursi in una collisione ai danni di chi si avvalga della priorità di immissione dal

ramo secondario.

Figura 3: Esempio di intersezione tra pista ciclabile e carreggiata di via prioritaria

con potenziale situazione di rischio per i ciclisti. Parimenti, situazioni di pericolo possono annidarsi in ambienti in cui la segnaletica stradale sia incongrua o faccia affidamento a norme del Codice della Strada poco conosciute dall’utente medio, come nel caso di figura 3, inerente una intersezione tra pista ciclabile insistente su controviale e carreggiata di una via prioritaria. Ivi, l’assenza di

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un segnale di termine della pista e la contemporanea presenza di un attraversamento ciclabile posto immediatamente al fianco di un attraversamento pedonale, induce i ciclisti non a conoscenza dell’obbligo sancito dall’art. 145/8 C.d.S. di arrestarsi e cedere la precedenza ai veicoli circolanti su strada, ad intraprendere l’attraversamento in velocità. In realtà una tale manovra andrebbe sempre e comunque evitata, giacché stante l’apprezzabile velocità propria il tempo di preavviso concesso ai conducenti provenienti dalle direzioni ortogonali (in 1 s a 13 km/h si può traguardare una corsia di 3,6 m) risulta in genere essere limitato ed inferiore al tempo di psicotecnico (per un normotipo dell’ordine di 1,5 s).

Figura 4: Zona d’ombra nell’intorno della cabina di guida di un mezzo industriale.

Il transito all’interno di essa di un ciclista o di un pedone convinto di essere debitamente avvistato, può tradursi in un investimento.

Figura 5: Problemi di visibilità in ambito urbano. La presenza di una intersezione

sulla destra non è percettibile. Immettendosi da questa nella carreggiata principale si incontrano notevoli problemi di visibilità dovuti alla presenza della auto in sosta. Anche nelle condizioni di visibilità, sia ambientale che relativa tra posizioni occupate dai protagonisti, si possono celare situazioni di rischio ben note ma normalmente impreviste o sottovalutate dai soggetti deboli. Tra questi, singolare ricorrenza si ha nei cruenti episodi in cui sono coinvolti dei mezzi industriali, i quali presentano una vasta zona

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d’ombra nell’intorno della cabina di guida, che impedisce al conducente di percepire la presenza di pedoni e ciclisti intenti a fiancheggiare o passare innanzi il veicolo pesante, mentre questo è in procinto di mutare direzione o stato di moto (cfr. fig. 4). Analoghi problemi di visibilità sono alla base di molteplici sinistri che avvengono in aree ad alta densità insediativa (cfr. fig. 5), ove la sosta di vettura può rendere disagevole l’apprezzamento di confluenze laterali o, da queste, la presenza di autovettura provenienti in direzione concorrente, nonché nei sinistri in zone scarsamente illuminate e che vedono coinvolti velocipedi del tutto sprovvisti di dispositivi di illuminazione e di catarifrangenti, ovvero pedoni abbigliati con abiti scuri scarsamente riflettenti (cfr. fig. 6).

Figura 6: Difficoltà di visione notturna di pedoni abbigliati con abiti scuri.

La disamina di dettaglio della dinamica di numerosi sinistri stradali che vedono simultaneamente coinvolti utenti ‘forti’ ed utenti ‘deboli’, e l’approfondimento delle condizioni di evitabilità che si rende necessario ai fini della valutazione controfattuale della vicenda e della conseguente individuazione della sussistenza di un profilo di colpa in capo a taluni di essi, mostra che in linea generale gli utenti ‘deboli’ hanno molte più ‘chance’ di evitare la collisione rispetto agli utenti ‘forti’. In parecchi casi, infatti, si è riscontrato che l’evento sarebbe stato comodamente evitato a fronte dell’adozione di basilari misure di prudenza, quali a mero titolo di esempio non esaustivo l’attivazione nel velocipede dei dispositivi per le segnalazioni visive e l’impiego da parte del pedone di elementi riflettenti, o comunque chiari. In tale contesto, l’obiettivo di ridurre la sinistrosità stradale può essere efficacemente conseguito sviluppando, parallelamente ad interventi tesi ad una eliminazione dei rischi latenti insiti nella circolazione stradale, anche azioni di sensibilizzazione dell’utenza ‘debole’ nei confronti dei rischi in parola, sulla necessità di riconoscerli e di porre in essere azioni di prevenzione, anche in forme non attualmente codificate. Per inciso, tali abilità, una volta conseguite, vengono mantenute anche allorquando lo status dei soggetti evolva da utente ‘debole’ ad utente ‘forte’. Al riguardo, varie evidenze sperimentali mostrano che tecniche di sensibilizzazione basate sull’impiego di immagini cruente nelle quali vengono mostrati gli esiti dei sinistri stradali sono inefficaci, giacché l’uditore tende a rimuovere velocemente quanto visionato ritenendolo non pertinente alla propria esistenza, alla stregua del fumatore posto dinanzi ad immagini di polmoni gravemente danneggiati da forme tumorali.

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Per contro, una certa permanenza dell’effetto di sensibilizzazione è stato riscontrato a fronte di una esposizione dettagliata delle fasi pre-collisione, con illustrazione grafica delle manovre compiute dai conducenti e delle situazioni in questi si sono trovati, grazie alla tendenza degli uditori ad immedesimarsi nei vari personaggi narrati. Tale “tecnica educativa” è stata sviluppata sulla scia di un impulso ricevuto durante un corso tenuto anni fa ad un gruppo di futuri analisti ricostruttori cinematici, allorquando uno di essi riferì che la lezione precedente gli aveva probabilmente salvato la vita, in quanto successivamente si era trattenuto dal fare un passo in più nell’iniziare l’attraversamento di una strada, accorgendosi di “rivivere la situazione di un pedone investito” di cui era stato esposta una ricostruzione dettagliata, come nella seguente sequenza di immagini, tratte da un noto filmato educativo di investimento di pedone.

Figura 7: Sequenza di investimento di pedone.

Nei primi due fotogrammi si nota il pedone che muove letteralmente due passi entro la strada. Il secondo di questi è “fatale”: come mostra il terzo fotogramma egli viene colpito alla gamba protesa in avanti nel camminare, tanto da rimanere addirittura appoggiato all’altra e in piedi per 2/10 di secondo (fotogramma 3), prima di essere caricato e colpito violentemente dal parabrezza, con le conseguenze che si vedono nei fotogrammi successivi. Il produttore del video successivamente enfatizza la circostanza che a fronte di un’andatura dell’autovettura maggiormente moderata, il suo conducente sarebbe stato in grado di arrestarsi completamente prima di giungere all’impatto. V’è tuttavia da osservare che per evitare l’investimento sarebbe bastato che il pedone avesse desistito dal compiere quel passo in più. Prima ancora, evidentemente, avrebbe dovuto guardare nella direzione da cui è sopraggiunta la vettura, e non nella direzione opposta, come mostra la successiva serie di fotogrammi attinenti alla fase precedente. Nel primo di questi si apprezza il pedone che cammina sul marciapiedi e si volta indietro, 10 metri prima di raggiungere il punto in cui attraverserà la strada; quando raggiunge il punto ove ha deciso di attraversare, rallenta (fotogramma 3) per lasciar passare la

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vettura scura che aveva visto arrivare dalla sua destra; nel fotogramma 4 si vede che egli lascia passare l’auto scura, poi riprende ad attraversare seguendola con lo sguardo (fotogramma 5); egli però non si volta indietro a vedere se dietro l’auto scura ce ne fossero altre, prima di riprendere l’attraversamento della strada, ma fa due passi senza più guardare a destra (fotogramma 6): due passi, due secondi, e arriva la vettura chiara che lo investe (in due secondi infatti il conducente dell’auto chiara fa in tempo a decidere di frenare, nell’intervallo psicotecnico di un secondo / un secondo e mezzo, e poi frena, perché si vede la polvere sollevata dalla ruota anteriore destra in frenata, nei fotogrammi della figura precedente).

Figura 8: Sequenza ante-investimento.

Che cosa poteva salvare il pedone? 1) un diverso automatismo di attraversamento della strada; egli era abituato a passare con molta sottovalutazione del rischio, come una cosa facile e poco pericolosa (“un’occhiata e via”); il veicolo viene concepito come un oggetto pericoloso quanto un altro pedone da scansare sul marciapiedi, con un minimo scarto come il torero con il toro; se invece il pedone avesse altra consapevolezza generale del rischio stradale, si fermerebbe prima di attraversare, guarderebbe bene e inoltre si accerterebbe che l’automobilista lo abbia visto (perché anche il conducente può essere distratto per qualche secondo, o ubriaco, o potrebbe non frenare adeguatamente, ecc.), magari segnalando col braccio la propria intenzione di passare; 2) nel rischio, comunque, che un pedone (anche bravo, che attraversa sempre nel modo corretto) cada in una momentanea distrazione, è necessario che, nell’istante del pericolo, abbia memorizzato una “sicurezza mentale interna”, un messaggio di pericolo che, come nel caso dell’allievo del corso, gli ricordi il pericolo; una immagine presente nel suo campo percettivo può attivare uno “script” presente in memoria, che gli ricorda di non avanzare quel passo di troppo. Nel corso di anni di lavoro e nei corsi eseguiti a Vigili Urbani, periti e gente comune, si è sperimentato che il racconto dettagliato di eventi lesivi gravi provoca la formazione nella memoria delle persone, di “anticorpi” mnemonici, in grado di attivarsi in frazioni di

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secondo e ricordare automaticamente al soggetto che deve far intervenire una reazione adeguata al rischio percepito e ricordato. Un metodo educativo consiste quindi nel far memorizzare alle persone il maggior numero di “anticorpi”, di “situazioni a rischio”, che attivino in tempo reale, al momento opportuno, le difese di cui il nostro sistema percettivo e mnemonico è capace. Pertanto, l’analista ricostruttore cinematico è in grado di intervenire, in collaborazione con lo psicologo, per elaborare strategie educative molto gradite dall’utente, che automaticamente aumentano sia la sua percezione generale del “pericolo su strada”, sia del maggior numero possibile di situazioni pericolose da memorizzare ed evitare. Il supporto dello psicologo diventa fondamentale quando gli utenti da educare sono persone emotivamente deboli, come scolari, studenti, ecc.; devono essere evitate immagini troppo forti (sangue, ecc.); la realtà deve essere mostrata nella sua crudezza (nel caso di soggetti di età basse, anche il collegamento al significato della vita e della sua possibile perdita deve essere evidentemente mediata e introdotta gradualmente), ma non è “il sangue” a produrre l’effetto positivo, bensì la descrizione della dinamica alla moviola, dell’evento. Ricerche e sperimentazioni maggiormente recenti ed ancora in corso, consentono di aggiungere che se anche il pedone si era distratto e si è accorto solo nell’ultima frazione di secondo (come nel nostro caso, dove l’immagine precedente l’investimento fa notare il pedone che, troppo tardi, gira il capo in direzione dell’auto bianca che arriva in frenata), potrebbe salvargli la vita il fatto di protendere le mani a protezione del capo (che nel caso in esame egli non fa, avendo in mano le scatole della pizza appena acquistata) e l’irrigidimento muscolare dei muscoli cervicali. Emblematico è l’esempio dei fotogrammi seguenti, in cui un ciclomotorista investito attutisce gli effetti della collisione per mezzo delle braccia e successivamente si rialza pressoché illeso. Anche in tal caso, una tale modalità di gestione della fase d’urto può essere stimolata attraverso interventi formativi mirati.

Figura 9: Sequenza di collisione motociclo-autovettura.