Fate nordiche, francesi e medioevali - Ultimate...

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Fate nordiche, francesi e medioevali

mito e leggende

Thomas Keightley

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Indice

Le Fate Scandinave pag. 5 Gli Elfi – Sir Olof nella danza degli Elfi – La donna Elfo e Sir Olof – Il giovane contadino e gli Elfi – Svend Faelling e la fanciulla Elfo – Le fanciulle Elle – La fanciulla Vae – La fanciulla Elle vicino a Ebeltoft – Hans Puntedler

I Dwarfs (Nani) o Trolls – La moglie Troll – La coppa dell‟altare ad Aagerup – L‟origine del lago di Tiis – Un contadino gioca un Troll – Skotte nel fuoco – La leggenda di Bodedys – La chiesa di Kallundborg – L‟Uomo delle Colline invitato al battesimo – Il Troll trasformato in gatto – Kirsten‟s Hill – La Troll partoriente – Il fabbro della collina – La fanciulla alla danza dei Troll – Il Changeling – La stufa piastrellata che saltò oltre il ruscello – La partenza dei Troll da Vendyssel – Svend Faelling

I Nisses – Il trasloco del Nis – Il Nis pentito – Il Nis ed il ragazzo – Il Nis ladro di cereali – Il Nis e la cavalla – La cvalcata del Nis – I Nisses a Vosborg - Necks, Tritoni e Sirene

Le Fate Nordiche pag. 66 Gli Alfar – I Duergar – Loki ed il Dwarf – Thorston ed il Dwarf – La spada Dwarf Tirfing

Le Fate Francesi pag. 84 La leggenda di Melusina

Le Fate Medioevali pag. 109 La Terra delle Fate – Il Faerie Queen di Spenser

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Le Fate Scandinave Du vare syv og hundrede Trolde, De vera bade grumme og lede, De vilde gjöre Bonden et Gjaesterle, Med hannem baade drikke og aede. Eline Af Villenskov. C‟erano settecento Trolls, erano brutti e foschi; vollero fare una visita al fattore, mangiare e bere con lui. Sotto il nome di Scandinavia sono compresi i regni di Svezia, Danimarca e Norvegia, che un tempo avevano una religione comune ed una lingua comune. La loro religione è tuttora una e le loro lingue differiscono di poco: pensiamo dunque di potere trattare la loro mitologia sulle Fate assieme. Le nostre principali autorità sono la collezione delle tradizioni popolari danesi pubblicata da Mr. Thiele (a), le ballate scelte di Nyerup e Rahbek (b) e le ballate svedesi di Geiger e Afzelius. (c) Siccome la maggior parte delle ballate danesi principale che trattano di Elfi, ecc. sono già state tradotte dal Dr. Jamieson, non le inseriremo qui, mentre tradurremo invece le corrispondenti svedesi, che sono in generale più semplici e spesso contengono tratti aggiuntivi di credenza popolare. Siccome preferiamo la fedeltà alla ripulitura, il lettore non deve offendersi per alcune espressioni antiche o per le rime imperfette. Possiamo tuttavia dire che le nostre rime saranno almeno perfette quanto quelle originali (questo nelle versione inglese, n.d.t.). Queste ballate, nessuna delle quali è posteriore al XV secolo, sono scritte in uno stile estremamente semplice e non si nota in loro il minimo tentativo di ornamento; ricorrono continuamente le stesse idee ed espressioni e le rime sono le più noncuranti che si possano immaginare, spesso una mera

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assonanza di vocali o consonanti; talvolta non possiedono nemmeno questa lieve somiglianza di suono. Anche la Visa o ballata ha il suo Omquaed (d) o carico singolo o doppio che, come un accompagnamento musicale, spesso cade con l‟effetto più felice; talvolta ricorda passate gioie o dolori; talvolta, per la continua menzione di alcuni attributi di una delle stagioni, particolarmente l‟estate, tengono la mente del lettore o degli ascoltatori alle forme della natura esterna. E‟ singolare osservare la forte rassomiglianza tra le ballate scandinave e quelle inglesi e scozzesi, non solamente nella foggia ma nel soggetto. La prima ballata scozzese che citiamo qua per prima ne è un esempio; si incontra in Inghilterra, nelle Faroes, in Danimarca ed in Svezia con differenze molto lievi. Geijger osserva che le due ultime stanze di “William and Margaret” in “Percy‟s Reliques” sono quasi parola per parola uguale alle due della ballata svedese di “Rosa Lilla” (e) ed alla corrispondente danese. Questo potrebbe forse portare alla supposizione che molte di queste ballate siano giunte a noi dal tempo in cui tra questo paese e la Scandinavia vi era una connessione molto stretta. Divideremo gli oggetti di credenza popolare scandinava in quattro classi: 1) gli Elfi; 2) i Dwarfs (Nani) o Trolls, come vengono solitamente chiamati; 2) i Nisses e 4) i Necks, Tritoni e Sirene. (f) NOTE (a) Danske Folkesagn, 4 vols. I2mo. Copenh. 1818-22. (b) Udvalgde Danske Viser fra Middelaldaren, 5 vols. l2mo. Copenh. 1812. (c) Svenska Folk-Visor fran Forntiden, 3 vols. 8vo, Stockholm, 1814-16. Non abbiamo visto l‟ultima collezione di Arvideson chiamata Svenska Fornsangur, in 3 vols. 8vo. (d) Il lettore troverà un bellissimo esempio di un doppio Omquaed nella ballata scozzese della Cruel Sister (la Sorella Crudele): C’erano due sorelle sedute in un pergolato, Binnörie o Binnörie,

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venne un cavaliere per corteggiarle presso i graziosi mulini di Binnörie, e venne il fratello crudele; tre dame giocavano a palla con un ahimè e candida gioia; venne un cavaliere e le giocò tutte mentre la primula fiorisce dolcemente. La seconda e la quarta linea si ripetono in ogni stanza. (e) Questi sono i versi svedesi: Det växte upp Liljor på begge deres graf, Med äran och med dygd-- De växte tilsamman med alla sina blad. J vinnen väl, J vinnen väl både rosor och liljor. Det växte upp Roser ur bäda deras mun, De växte tilsammans i fagreste lund. J vinnen väl, J vinnen väl både rosor och liljor. (f) Alcuni lettori potrebbero volere sapere la corretta pronuncia delle parole danesi e svedesi delle leggende che seguono. Per loro soddisfazione, diamo la seguente informazione. J si pronuncia come la nostra Y; quando giunge tra una consonante ed una vocale, è molto breve, come la y che si esprime ma non si scrive in molte parole inglesi dopo la c e la g; così kjaer si pronuncia molto simile a care: i suoni ö suonano come il tedesco ö o il francese eu; d dopo un‟altra consonante si pronuncia raramente, Trold si pronuncia Troll; aa, che gli Svedesi scrivono å, come in more, tore. Aarhuus si pronuncia Ore-hoos.

Gli Elfi

Säg, kännar du Elfvornas glada slägt? De bygga ved fiodernas rand; De spinna af månsken sin högtidsdrägt, Med liljehvit spelande hand. Stagnelius.

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Dimmi, conosci tu la razza felice e gioiosa degli Elfi? Le rive dei fiumi sono la loro casa; essi tessono il loro abito delle feste con raggi di Luna, con le loro candide e vivaci mani di giglio. Gli Alfar vivono nel ricordo e nelle tradizioni dei contadini scandinavi. In un certo senso, anch‟essi mantengono la loro distinzione tra Bianchi e Neri. I primi, o Buoni Elfi, dimorano in aria, danzano sull‟erba o siedono sulle foglie degli alberi; i secondi, o Elfi Maligni, vengono considerati il popolo sotterraneo, che spesso infligge malattie o danni all‟umanità; per questi vi è un particolare tipo di dottore chiamato Kloka män, (a) che si incontra in tutte le zone del paese. Si crede che gli Elfi abbiano i loro re e celebrino matrimoni e banchetti proprio come gli abitatori sopra la terra. Secondo la tradizione, vi è tra loro una interessante classe intermedia chiamata il Popolo delle Colline (Högfolk), che si crede dimori nelle caverne e nelle piccole colline: quando si mostrano hanno una forma umana bella. La gente comune sembra collegarli ad una profonda sensazione di malinconia, come se deplorassero una speranza di redenzione mezza estinta. (b) Vi sono ora solo pochi anziani che possono dire al loro riguardo qualcosa di diverso dal dolce canto che talvolta si ode nelle notti estive provenire dalle colline, quando si rimane ad ascoltare o, come detto nelle ballate, “si porge l‟orecchio alla Collina degli Elfi” (lägger sit öra till Elfvehögg): ma nessuno deve essere così crudele da distruggere, anche solo con una parola, le loro speranza dei salvezza, perché la loro musica spiritica si muterebbe in pianto e lamento. (c) I Norvegesi chiamano gli Elfi Huldrafolk e la loro musica Huldraslaat: è in chiave minore ed ha un suono tenue e lamentoso. I montanari talvolta la suonano e sostengono di averla imparata ascoltandola dal popolo sotterraneo tra le rocce e le colline. Vi è anche una melodia chiamata melodia del Re Elfo, che molti buoni suonatori di violino conoscono assai bene ma non si azzardano mai a suonare, perché non appena quella musica inizia i vecchi come i giovani ed anche

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gli oggetti inanimati sono costretti a danzare ed il suonatore non riesce a smettere di suonare fin quando non riesce ad eseguire l‟aria al contrario o finchè qualcuno non gli taglia le corde del violino. (d) I piccoli Elfi sotterranei, che si crede dimorino nelle case umane, sono descritti come gioviali e dispettosi ed imitano le azioni degli umani. Si dice che amino la pulizia nella casa e nel luogo e che ricompensino i servitori puliti e onesti. Si dice che un tempo una serva, che aveva abitudini personali di onestà e pulizia, fosse molto amata dagli Elfi, in particolare perché ella aveva cura di portare tutto lo sporco e l‟acqua sporca lontano dalla casa, ed un giorno la invitarono ad un matrimonio. Tutto era condotto nel massimo ordine ed essi le donarono alcune schegge di legno, che ella prese di buon umore e mise in tasca. Ma quando la coppia di sposi giunse, sfortunatamente trovò della paglia sulla propria strada; lo sposo la oltrepassò agilmente, ma la povera sposa cadde faccia a terra. Vedendo ciò, la ragazza non potè trattenersi e scoppiò a ridere e nello stesso istante tutto svanì. Il giorno seguente, con suo grande stupore, ella scoprì che ciò che aveva preso per null‟altro che schegge di legno erano invece molti pezzi di oro puro. (e) Una mungitrice di un posto chiamato Skibshuset (la Casa della Pecora) non fu così fortunata. Una colonia di Elfi aveva preso dimora sotto il pavimento della stalla delle mucche o, più probabilmente, era già lì prima che venisse costruita la stalla. Comunque fosse, lo sporco ed il sudiciume che facevano quegli animali li disturbarono oltre misura ed essi fecero in modo di fare capire alla mungitrice che se non avesse spostato le mucche avrebbe avuto di che pentirsene. Lei diede poco peso alle loro rimostranze e non passò molto tempo che essi la posero sulla cima del covone di fieno ed uccisero tutte le mucche. Si dice che furono visti la stessa notte fuggire in tutta fretta dalla stalla fino al prato e che erano in piccole carrozze; il loro re era nella prima carrozza, che era più maestosa e magnifica delle altre. Da allora hanno sempre vissuto nel prato. (f)

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Gli Elfi adorano danzare nei prati, dove formano quei cerchi di un verde più vivace che da loro vengono chiamati Danze elfiche (Elfdans). Quando i contadini vedono al mattino delle strisce nell‟erba rugiadosa nei boschi e nei prati, dicono che gli Elfi sono stati lì a danzare. Se qualcuno dovesse entrare a mezzanotte dentro al loro cerchio, essi diverrebbero a lui visibili e potrebbero quindi ingannarlo. Non tutti possono vedere gli Elfi ed una persona potrebbe vederli danzare mentre un‟altra potrebbe non percepire nulla. I figli della domenica, come sono chiamati quelli nati in quel giorno, sono noti per possedere la proprietà di vedere gli Elfi e simili creature. Gli Elfi, tuttavia, hanno il potere di concedere questo dono a chiunque vogliano. La gente era solita parlare di libri degli Elfi, che essi donavano a coloro che amavano e che rendeva in grado di prevedere gli eventi futuri. Gli Elfi spesso siedono su piccole pietre di forma circolare chiamate “mulini degli Elfi” (Elf-quärnor); il suono della loro voce si dice sia dolce e morbido come l‟aria. (g) I contadini danesi danno il seguente resoconto del loro EllefoIk o Popolo degli Elle: essi vivono nelle brughiere degli Elle. L‟aspetto del maschio è quello di un uomo anziano con un cappello a bassa corona sul capo; la donna è giovane e l‟espressione del loro volto è graziosa ed attraente, ma dietro è cava come una tinozza. I giovani uomini, in particolare, dovrebbero guardarsi da lei, perché è molto difficile resisterle ed ella ha, in più, uno strumento a corde che, quando lo suona, quasi rapisce il loro cuore. Gli uomini della specie si possono vedere spesso vicino alle brughiere degli Elle mentre si bagnano nei raggi del Sole, ma se qualcuno si avvicina ad uno di loro, lui apre la bocca del tutto e soffia su di loro ed il suo fiato produce malattia e pestilenza. Ma le donne si vedono più frequentemente alla luce lunare; allora esse danzano nei loro cerchi nell‟erba alta con tanta leggerezza e grazia che raramente incontrano un rifiuto quando offrono la mano ad un giovane temerario. E‟ necessario anche sorvegliare il bestiame affinché non pascolino nei luoghi dov‟è stato il popolo di Elle, perché se un animale giunge in un posto dove essi hanno

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sputato o fatto qualcosa di peggio verrà attaccato da una grave malattia che potrà essere curata unicamente dandogli da mangiare una manciata di iberico colto a mezzanotte in punto la notte di san Giovanni. Potrebbe anche accadere che essi vengano danneggiati dal mescolarsi con il bestiame del popolo di Elle, che è molto grande e di colore blu e talvolta si vede leccare la rugiada nei campi su cui vivono. Ma il contadino ha un rimedio semplice contro questo male: deve andare al colle degli Elle quando conduce fuori il suo bestiame e dire: “Voi, piccoli Troll! Posso fare pascolare le mie mucche sulla vostra collina?” E se non gli viene proibito egli può mettersi il cuore in pace. (h) Le ballate e storie che seguono giustificheranno pienamente quanto detto riguardo al tono malinconico collegato con gli Elfi. (i) NOTE (a) Il Popolo Saggio o gli Evocatori. Essi rispondono alle donne fatate irlandesi. (b) Afzelius è del parere che questa nozione in merito al Popolo delle Colline derivi dal tempo dell‟introduzione del cristianesimo nel Nord ed esprime la compassione dei primi convertiti con i propri antenati, che erano morti senza la conoscenza del Redentore e giacevano sepolti in terra pagana ed i cui spiriti infelici erano destinati a vagare per queste regioni inferiori o a lamentarsi all‟interno dei loro tumuli fino al grande giorno della redenzione. (c) “Circa 15 anni or sono”, dice Odman (Bahuslän, pag. 80), “la gente era solita udire fuoriuscire dalla collina sotto Gärun, nei dintorni di Tanum, il suono – perché questo era – dei migliori musici. A chiunque possedesse un volino e desiderasse suonare veniva insegnato in un istante, a patto che promettesse loro la salvezza; ma chiunque non lo faceva poteva udirli dall‟interno della collina fare a pezzi I loro violini, piangendo amaramente.” Vedere Grimm, Deut. Myth. 461. (e) Svenska Folk-Visor, vol. iii. pag. 159. Vi è una leggenda simile in Germania. Un giorno una serva, vedendo uno dei

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piccoli molto affaticato nel portare un singolo chicco di grano, scoppiò a ridere. In collera, lui lo buttò a terra e si rivelò essere di oro purissimo. Ma lui ed i suoi camerati lasciarono la casa, che in breve tempo andò in rovina. - Strack. Beschr. v. Eilsen, pag. 124, ap. Grimm, Introd., etc., pag. 90. (f) Thiele, vol. iv. pag. 22. Vengono chiamati Trolls nell‟originale. Siccome avevano un re, pensiamo debbano essere stati Elfi. I Dwarfs hanno abolito la monarchia da molto tempo. (g) La parte più corposa che precede è stata presa da Afzelius nello Svenska Visor, vol. iii. (h) Thiele, iv. 26. (i) Nella distinzione che abbiamo fatto tra gli Elfi ed i Dwarfs troviamo di essere giustificati dal credo popolare dei Norvegesi - Faye, pag. 49, ap. Grimm, Deutsche Mythologie, pag. 412.

Sir Olof nella danza degli Elfi Sir Olof esce a cavallo la mattina presto e giunge così ad una gioiosa danza elica. La danza procede bene, molto bene nel boschetto. Il padre Elfo raggiunse la sua bianca mano: “Venite, venite, Sir Olof, procedete nella danza con me.” La danza procede bene, molto bene nel boschetto. “Oh, io né voglio né potrei, domani sarà il giorno del mio matrimonio.” La danza procede bene, molto bene nel boschetto. E la madre Elfo raggiunse la sua mano: “Venite, venite, Sir Olof, procedete nella danza con me.” La danza procede bene, molto bene nel boschetto. “Oh, io né voglio né potrei, domani sarà il giorno del mio matrimonio.” La danza procede bene, molto bene nel boschetto. E la sorella Elfo raggiunse la sua mano: “Venite, venite, Sir Olof, procedete nella danza con me.” La danza procede bene, molto bene nel boschetto.

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“Oh, io né voglio né potrei, domani sarà il giorno del mio matrimonio.” La danza procede bene, molto bene nel boschetto. E la sposa parlò ed anche le sue damigelle: “Cosa può significare che le campane suonino in tal modo?” La danza procede bene, molto bene nel boschetto. “E‟ usanza della nostra isola”, essi risposero; “ogni giovane contadino richiama a casa la sua sposa.” La danza procede bene, molto bene nel boschetto. “E la verità io temo di nasconderti, Sir Olof è morto e giace nella sua bara.” La danza procede bene, molto bene nel boschetto. E l‟indomani luminoso era il giorno, nella casa di Sir Olof giacevano tre corpi. La danza procede bene, molto bene nel boschetto. Erano Sir Olof, la sua dolce sposa ed anche la madre di lui, morta di dolore. La danza procede bene, molto bene nel boschetto. (a) NOTE (a) Svenska Visor, iii. 158, come cantata in Upland e nella Terra dei Goti dell‟Est.

La donna Elfo e Sir Olof Sir Olof cavalcava all‟alba, sul cominciare del giorno; il giorno luminoso arrivò, cade la rima. Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. Sir Olof cavalca presso Borgya, irrompe il giorno, cade la rima. Incontra una danza di Elfi gioiosa. Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. Là danzano un Elfo ed una fanciulla Elfo; irrompe il giorno, cade la rima. La figlia del re degli Elfi, con i suoi capelli fluttuanti. Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie.

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La figlia del re degli Elfi gli porse la mano; irrompe il giorno, cade la rima. “Venite qui, Sir Olof, unitevi alla danza con me.” Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. “Non mi unirò alla danza con voi”; irrompe il giorno, cade la rima. “La mia sposa me lo ha proibito.” Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. “Né lo vorrei né lo potrei”; irrompe il giorno, cade la rima. “Domani è il giorno delle mie nozze.” Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. “Non vi unirete a me nella danza?” Irrompe il giorno, cade la rima; “Un male io fisserò su di voi.” Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. Sir Olof voltò il cavallo; irrompe il giorno, cade la rima. Malanno e tormento lo seguirono a casa. Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. Sir Olof cavalcò verso sua madre; irrompe il giorno, cade la rima. Sua madre era fuori davanti a lui. Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. “Benvenuto, benvenuto, mio caro figlio”; irrompe il giorno, cade la rima. “Perché la tua rosea guancia è così pallida?” Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. “Il mio puledro è stato veloce ed io lento”; irrompe il giorno, cade la rima. “Ho sbattuto contro una quercia verde”. Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. “Mia cara sorella, preparate il mio letto”; irrompe il giorno, cade la rima. “Mio caro fratello, portate il mio cavallo al prato”. Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. “Mia cara madre, pettinate i miei capelli”; irrompe il giorno, cade la rima. “Mio caro padre, fatemi una bara”. Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. “Mio caro figlio, non dire questo”; irrompe il giorno, cade la rima. “Domani è il giorno del tuo matrimonio.” Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. “Sia quando accadrà”; irrompe il giorno, cade la rima. “Io non andrò mai dalla mia sposa” Sir Olof giunse a casa quando il bosco era verde di foglie. (a)

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NOTE (a) Svenska Visor, iii. 165, da un manoscritto nella Royal Library. Questa e la precedente sono variazioni della ballata danese di Elveskud, che è stata tradotta dal Dr. Jamieson (Popular Ballads, 1. 219) e da Lewis in Tales of Wonder. Gli editori svedesi hanno fornito una terza variante dalla Terra dei Goti dell‟Est. Una comparazione tra le due ballate e con quella danese metterà in grado il lettore di giudicare in merito alle modifiche che un soggetto subisce in diverse parti di un paese.

Il giovane contadino e gli Elfi Ero un bel giovane contadino ed alla corte dovevo andare. Uscii a cavallo nell‟ora della sera; nel boschetto profumato di rose mi stesi a dormire. Fin da quando la vidi per la prima volta. Mi ero disteso sotto un verde tiglio, i miei occhi cadevano dal sonno; giunsero allora due fanciulle che mi parlarono volentieri. Fin da quando la vidi per la prima volta. Una mi diede un colpetto sulla guancia, l‟altra mi sussurrò all‟orecchio: “Alzati, bel giovane contadino, se vuoi udire parlare d‟amore.” Fin da quando la vidi per la prima volta. Portarono quindi una fanciulla i cui capelli come oro splendevano: “Alzati, bel giovane contadino, se sei incline alla gioia.” Fin da quando la vidi per la prima volta. La terza cominciò a cantare un canto, con buona volontà lo fece; accanto vi era il rapido fiume, che prima era solito fluire. Fin da quando la vidi per la prima volta. Accanto vi era il rapido fiume, che prima era solito fluire, e dietro era coperta dai suoi capelli così marroni ed aveva scordato dove doveva andare. Fin da quando la vidi per la prima volta.

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Mi alzai dal terreno e posai la mano sulla spada; le donne Elfo danzarono in dentro ed in fuori, tutte avevano il modo elfico. Fin da quando la vidi per la prima volta. Se la fortuna non fosse stata così buona con me da far sì che le ali del gallo sbattessero in quel momento, avrei dormito all‟interno della collina quella notte con le donne Elfo. Fin da quando la vidi per la prima volta. NOTE (a) Svenska Visor, iii. pag. 170. Questa è la Elvesböj delle ballate danesi, tradotta da Jamieson (i. 225) e da Lewis. Nella diversa variante svedese, esse sono Hafsfruen, cioè Sirene, che tentano di sedurre giovani uomini al loro amore con l‟offerta di doni preziosi. Una leggenda danese (Thiele, i. 22) riferisce che un pover‟uomo che lavorava vicino a Gillesbjerg, una collina incantata, vi si sdraiò sopra per riposare a metà giornata. Improvvisamente apparve davanti a lui una bella fanciulla con una coppa d‟oro in mano. Gli fece cenno di avvicinarsi ma quando l‟uomo, spaventato, si fece il segno della croce, ella fu costretta a voltarsi e lui vide la sua schiena, che era cava.

Svend Faelling e la fanciulla Elfo Quand‟era un ragazzino, Svend Faelling era a servizio nella legnaia di Sjeller a Framley; accadde una volta che dovette portare un messaggio a Ristrup. Era sera prima che giungesse nei pressi di casa e lui arrivò vicino alla collina di Borum Es, dove vide le fanciulle Elle che danzavano senza posa intorno al suo cavallo. Una delle fanciulle gli porse una coppa da bere, ordinandogli allo stesso tempo di bere. Svend prese la coppa ma aveva dei dubbi sulla natura del contenuto e la svuotò oltre la spalla, dove cadde sulla groppa del cavallo e gli bruciò tutti i peli. Con il corno saldo in mano, diede di sprone al cavallo e fuggì a tutta velocità.

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La fanciulla Elle lo inseguì fin quando giunse al mulino di Trigebrand ed attraversò l‟acqua corrente, oltre la quale lei non poteva seguirlo. Allora lei scongiurò seriamente Svend di ridarle il corno, promettendogli in cambio la forza di dodici uomini. A questa condizione Svend glielo ridiede ed ottenne quanto promesso; ma questo gli creò spesso grandi problemi, perché scoprì che insieme alla forza aveva anche l‟appetito di dodici uomini. (a) NOTE (a) Thiele, ii. 67. Framley è nello Jutlant. Svend (i.e. Swain) Faelling è una figura famosa nella tradizione danese; viene considerato un secondo Holger Danake ed è l‟eroe di due delle Kjempe Viser. In Svezia viene chiamato Sven Färling o Fotling. Grimm ha dimostrato che lui e Sigurd sono la stessa persona, Deutsche Mythologie, pag. 345. Nella Nibelungen Lied (st. 345) Sifret (Sigurd) ottiene la forza di dodici uomini indossando la tarnkappe del Nano Albrich. Un‟altra tradizione dice che egli ottenne la sua forza da un Dwarf (Nano) per averlo aiutato in una battaglia contro un altro Dwarf. Si aggiunge che quando Svend giunse a casa alla sera, dopo la sua avventura con le fanciulle Elle, la gente stava bevendo la propria birra di Yule e lui venne inviato a prenderne della fresca. Svend ci andò senza dire nulla e ritornò con un barile in ogni mano ed uno sopra ogni braccio.

Le fanciulle Elle Ad Aasum, vicino ad Odense, viveva un uomo che una notte, mentre stava tornando a casa da Seden, passò vicino ad una collina che si reggeva su pilastri rossi e sotto vi erano danze e grande festa. L‟uomo si affrettò ad oltrepassare la collina il più velocemente possibile, non azzardandosi mai a gettare lo sguardo da quella parte. Ma quando giunge presso il colle due graziose fanciulle gli andarono incontro, i bellissimi capelli fluenti sulle spalle, ed una di esse aveva una coppa in mano,

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che gli porse affinché lui ne bevesse. L‟altra chiese quindi all‟uomo se volesse ritornare nuovamente; egli allora rise e rispose “Sì”. Ma quando arrivò a casa divenne stranamente malato nella mente, non si dava mai pace e diceva continuamente che aveva promesso di ritornare. E quando lo stavano sorvegliando da presso per evitare che lo facesse, egli perse i sensi e morì poco tempo dopo. (a) NOTE (a) Thiele, iii. 43. Odense è a Funen.

La fanciulla Vae Vi fu un tempo uno sposalizio e grande festa a Oesterhaesinge. La festa continuò fino al mattino e gli ospiti si congedarono con molto rumore e scompiglio. Mentre stavano aggiogando i cavalli alle loro carrozze, prima di andare a casa, si fermarono a parlare dei rispettivi doni nuziali. E mentre parlavano ad alta voce e con la massima noncuranza, arrivò da una brughiera vicina una fanciulla vestita di verde con giunchi intrecciati nei capelli; andò dall‟uomo che parlava più ad alta voce e che si vantava più di tutti del suo dono e gli disse: “Cosa darete alla fanciulla Vae?” L‟uomo, che era alticcio per tutta la birra ed il brandy che aveva bevuto, raccolse velocemente un frustino e rispose: “Dieci colpi del mio frustino”; e nello stesso istante cadde a terra morto. (a) NOTE (a) Thiele, 1. 109. (comunicata). Leggende del genere, come Mr. Thiele ha saputo direttamente dalla bocca dei contadini, vengono da lui chiamate orali; quelle che si è procurato dai suoi amici comunicate. Oesterhaesinge, teatro di questa leggenda, è nell‟isola di Funen.

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La fanciulla Elle vicino ad Ebeltoft Il ragazzo di un contadino stava tenendo delle mucche non lontano da Ebeltoft. Venne da lui una fanciulla molto graziosa e gli chiese se avesse fame o sete. Ma, quando lui comprese che ella faceva molta attenzione a che lui non le vedesse la schiena, immediatamente sospettò che ella fosse una fanciulla degli Elle, perché il popolo degli Elle è cavo dietro. Non volendo per questo prestarle attenzione, tentò di andarsene; quando ella lo capì, gli offrì il seno da succhiare. E così grande fu l‟incanto che accompagnava questa azione che lui non fu in grado di resistere. Ma quando ebbe fatto ciò che lei desiderava, lui non ebbe più alcun potere su se stesso ed ella non ebbe così difficoltà a sedurlo. Il ragazzo stette via per tre giorni, durante i quali suo padre e sua madre tornarono a casa. Si preoccuparono molto, perché erano certi che fosse stato sedotto e portato via. Ma il quarto giorno suo padre lo vide arrivare a casa da lontano e disse alla moglie di mettere sul fuoco una padella di carne al più presto possibile. Il figlio venne quindi alla porta e sedette a tavola senza dire una parola. Anche il padre rimase in silenzio, come se ogni cosa fosse stata come doveva essere. Sua madre pose quindi la carne davanti a lui e suo padre gli disse di mangiare, ma il ragazzo non toccò cibo e disse che sapeva ora dove avrebbe potuto trovare del cibo molto migliore. Il padre montò allora in grande collera, prese una grossa frusta ed ancora una volta gli ordinò di mangiare il suo cibo. Il ragazzo fu quindi obbligato a mangiare e non appena ebbe sentito il sapore della carne la mangiò avidamente; subito cadde in un sonno profondo. Dormì per altrettanti giorni quanti era durato l‟incantesimo, ma in seguito non recuperò mai l‟uso della ragione. (a) NOTE (a) Thiele. i. 118. (comunicata). Ebeltoft è un villaggio nel nord dello Jutland.

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Hans Puntleder Sulle terre di Bubbelgaard a Funen vi sono tre colline che vengono oggi chiamate Colline della Danza dal seguente accaduto. Un ragazzo di nome Hans era a servizio a Bubblegaard ed una sera stava tornando a casa oltre le colline quando vide una di esse innalzata su colonne rosse e sotto grandi danze e molto divertimento. Egli rimase così incantato dalla bellezza e dalla magnificenza di quello che vedeva che non poteva trattenere la curiosità ma era attirato in maniera strana e meravigliosa ad avvicinarsi sempre più, fin quando la più bella tra tutte le belle fanciulle presenti venne fuori e gli diede un bacio. Da quel momento egli perse ogni autocontrollo e divenne così violento da essere solito fare a pezzi tutti gli abiti che gli venivano fatti indossare, tanto che alla fine furono costretti a vestirlo con un abito di puro cuoio, che lui non riusciva a strapparsi di dosso; e da allora venne sempre conosciuto con il nome di Hans Puntedler, cioè “puro cuoio”. (a) Secondo la tradizione danese, i re Elle, sotto la denominazione di “re del promontorio” (Klintekonger), sorvegliano e proteggono tutto il paese. Quando guerra o qualche altra sfortuna minacciano di arrivare nel paese, sul promontorio si possono vedere eserciti completi allineati fermi a difesa del paese. Uno di questi re risiede a Möen, sulla macchia che porta tuttora il nome di Collina del Re (Kongsbjerg). La sua regina è la più bella tra le creature e dimora al Seggio della Regina (Dronningstolen). Quel re è un grande amico del re di Stevns ed entrambi sono nemici di Grap, il re del promontorio di Rűgen, che deve tenersi alla larga e scrutare oltre il mare per vedere se si avvicinano. Un‟altra tradizione, tuttavia, dice che vi è un solo re che governa sulle terre dei promontori di Möen, Stevns e Rűgen. Egli possiede una magnifica carrozza tirata da quattro cavalli neri. Su di essa egli attraversa il mare, da un promontorio

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all‟altro. In quelle occasioni il mare diventa nero ed è molto agitato e si possono udire distintamente lo sbuffare e nitrire dei suoi cavalli. (b) Un tempo si credeva che nessun monarca mortale osasso andare a Stevns, perché il re Elle non gli avrebbe permesso di attraversare il fiume che lo circonda, ma Christian IV lo passò senza opposizione e da allora diversi monarchi danesi sono stati là. A Skjelskör, in Zelanda, regna un altro di questi gelosi sovrani di promontorio di nome Toly (Twelve – Dodicesimo). Egli non tollera che un principe mortale passi il ponte di Kjelskör. Egli avverte anche la sentinella che se si dovesse avventurare in zona deve gridare “dodici in punto al villaggio” e potrebbe accadergli di trovarsi trasportato al villaggio di Borre o presso i mulini a vento. Gli anziani che hanno occhio per queste cose dichiarano che spesso vedono il re Toly rotolarsi sull‟erba alla luce del Sole. La notte di capodanno egli prende dalla forgia di un fabbro o dell‟altro nove nuovi ferri per i suoi cavalli; devono essere sempre lasciati lì pronti per lui e con essi i chiodi necessari a complemento. Il re Elle di Bornholm (c) si lascia occasionalmente sentire mentre suona il piffero e il tamburo, in particolare quando la guerra è vicina; lo si può vedere nei campi con i suoi soldati. Questo re non tollera che un monarca terreno passi più di tre notti sulla sua isola. Nel credo popolare vi è una qualche strana connessione tra gli Elfi e gli alberi. Non solo essi li frequentano, ma hanno un interscambio di forma con loro. Nel cimitero di Store Heddinge (d), in Zelanda, vi sono i resti di un bosco di querce. Questi, dice la gente comune, sono i soldati del re Elle; di giorno sono alberi, di notte valenti guerrieri. Nel bosco di Rugaard, nella stessa isola, vi è un albero che di notte diventa completamente uno del popolo Elle e va in giro tutto vivo. Non vi sono foglie su di esso, tuttavia sarebbe estremamente pericoloso cercare di romperlo o abbatterlo, perché il popolo sotterraneo tiene frequentemente i propri incontri sotto i suoi

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rami. In un altro luogo vi è un sambuco cresciuto in un‟aia che spesso si fa una camminata per il cortile al crepuscolo e sbircia attraverso la finestra i bambini quando sono soli. Furono forse questi sambuchi a dare origine alla nozione. In Danese Hyld o Hyl – una parola non molto lontana da Elle – si dice Elder ed i contadini credono che dentro o sotto il sambuco dimori un essere chiamato Hyldemoer (Elder-mother – Madre Sambuco), o Hyldequinde (Elder-woman – Donna Sambuco) con i suoi spiriti officianti. (e) Se un contadino danese voleva prendere una qualunque parte di un sambuco era solito dire precedentemente per tre volte: “O, Hyldemoer, Hyldemoer! Lasciami prendere un poco del tuo sambuco ed io ti lascerò prendere qualcosa di mio in cambio.” Se non si faceva questo si veniva puniti severamente. Si narra di un uomo che abbattè un sambuco e morì improvvisamente poco tempo dopo. E‟ inoltre imprudente avere una qualunque parte dell‟arredamento fatta di legno di sambuco. Una volta venne messo un bambino in una culla fatta con questo legno, ma arrivò Hyldemoer e lo tirò per le gambe, non dandogli requie fin quando non venne messo a dormire da qualche altra parte. Il vecchio David Monrad riferisce di un pastore che una notte udì tre bambini piangere e, quando indagò sulla causa, gli dissero che qualcuno li aveva succhiati. Avevano trovato i loro capezzoli rigonfi e vennero spostati in un‟altra stanza, dove rimasero tranquilli. Si dice che il motivo fosse stato che quella stanza era stata pavimentata con legno di sambuco. Il tiglio è particolarmente prediletto dagli Elfi e dai loro simili e non è sicuro rimanervi vicino dopo il tramonto. (f) NOTE (a) Thiele, iv. 32. Dalle circostanze parrebbe che questi fossero Elfi e non Dwarfs, ma in queste cose non si può essere mai certi. (b) Möen e Stevns sono in Zealand. Siccome Rügen non appartiene alla monarchia danese, la tradizione precedente è

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probabilmente la più corretta. Tuttavia, l‟ultima potrebbe essere quella originale. (c) Bornbolm è una holm, o piccola isola, adiacente a Zealand. (d) Il re Elle di Stevns ha la propria camera da letto nel muro di questa chiesa. (e) Si tratta evidentemente della Frau Holle dei Germani. (f) I particolari precedenti sono tutti tratti dall‟opera di Mr. Thiele.

I Dwarfs (Nani) o Trolls Ther bygde folk i the bärg, Quinnor och män, för mycken duerf.

Hist. Alex. Mag,. Suedice. Entro le colline dimorava della gente, donne e uomini, molti nani. L‟appellativo più comune dei Nani è Troll o Trold (a), parola che in origine significava uno spirito maligno (b), un mostro gigante, un mago (c) o una persona malvagia ma che ora è stata in buona misura spogliata dei suoi significati negativi, perché i Trolls non vengono considerati generalmente esseri malvagi o nocivi. I Trolls vengono rappresentati come dimoranti all‟interno di colline, terrapieni e collinette e per questo vengono chiamati anche Gente delle Colline (Bjergfolk); talvolta vivono in famiglie singole e talvolta in società. Nelle ballate si dice abbiano dei re, ma questo non appare mai nelle leggende popolari. La loro figura appare essere gradualmente decaduta a livello di contadini in proporzione al numero dei contadini che aveva fede in loro. Vengono considerati estremamente ricchi perché, in occasione delle grandi feste, sulle loro colline innalzano dei pilastri rossi e gente che è per caso passata di lì li ha visti portare avanti e indietro larghe ceste piene di denaro, aprirne i coperchi e gettarli a terra. Le loro dimore nelle colline sono davvero magnifiche, all‟interno. “Essi vivono” disse una

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delle guide di Mr. Arndt “in belle case d‟oro e di cristallo. Mio padre li vide una volta, una notte in cui era aperta la collina durante la notte di San Giovanni. Stavano danzando e bevendo e gli parve che gli facessero segno di andare da loro, ma il suo cavallo sbuffò e lo portò via, che lui volesse o meno. Ve ne è un gran numero nel Guldberg (Collina d’Oro) e vi hanno portato dentro tutto l‟oro e l‟argento che la gente aveva sepolto nella grande guerra russa.” (d) Essi sono cortesi e socievoli; prendono in prestito e prestano liberamente e mantengono comunque una relazione amichevole con l‟umanità. Ma hanno una triste propensione al furto e non solo al furto di provviste, ma anche di donne e bambini. Essi si sposano, hanno figli, cucinano ed allevano proprio come fanno i contadini. Un giorno un contadino ne incontrò nei suoi campi uno con la moglie ed una intera squadra di bambinetti (e); e spesso la gente vedeva i figli dell‟uomo che viveva nella collina di Kund, nello Jutland, che scalavano il colle e si facevano rotolare giù uno dopo l‟altro con scoppi di risa. I Trolls odiano il rumore, probabilmente in ricordo dei tempi in cui Thor era solito lanciare loro dietro il suo martello; così, il suono delle campane delle chiese li ha scacciati da pressoché tutto il paese. La gente di Ebeltoft venne una volta tormentata da loro, che saccheggiarono le loro dispense in maniera inconcepibile; così essi consultarono un uomo molto saggio e pio ed il suo consiglio fu di appendere una campana nel campanile della chiesa. Essi lo fecero e vennero in breve liberati dai Trolls (f). Questi esseri hanno delle capacità davvero straordinarie ed utili; possono, per esempio, diventare invisibili (g) o mutarsi in qualunque forma; possono predire eventi futuri; possono conferire prosperità o il contrario ad una famiglia; possono concedere la forza fisica a qualcuno e, in breve, fare molte cose che sono oltre il potere dell‟uomo. Riguardo alla bellezza personale non ne hanno molta da vantare: i Nani di Ebeltoft sopra citati vennero visti spesso ed avevano delle enormi gobbe sulla schiena e lunghi nasi ad

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uncino. Erano abbigliati con delle giacchette grigie (h) e portavano cappelli rossi a punta. I vecchi della Zelanda dicono che, quando i Trolls erano nel loro paese, erano soliti andare dalla loro collina fino al villaggio di Gudmandstrup attraverso il Prato di Pietra e che la gente che passava di lì era solita incontrare uomini grandi e altri con lunghi abiti neri. Alcuni hanno scioccamente parlato loro e gli hanno augurato la buonasera ma non hanno mai ottenuto altra risposta se non che i Trolls li hanno inseguiti di corsa dicendo Mi! mi! mi! mi! Grazie agli sforzi di Mr. Thiele, che è stato infaticabile nel raccogliere le tradizioni del suo paese nativo, abbiamo ampi resoconti sui Trolls e le leggende che seguono illustreranno pienamente ciò che abbiamo scritto in merito a loro (i). Cominciamo con le ballate svedesi dei Re delle Colline, in quanto hanno la precedenza sulle leggende per dignità ed antichità. NOTE (a) Non vi è etimo di questa parola. Si ritrova sia nella lingua islandese che in quella finlandese; è incerto se questa ultima l‟abbia presa a prestito dalla precedente o ve l‟abbia comunicata. Ihre fa derivare il nome della famosa cascata di Trollhaeta, vicino a Gotenburg, da Troll e da Haute Lapponice, un abisso. Esso risponderebbe anche all‟Irlandese Poul-a-Phooka. Vedere Irlanda (in altro volume, n.d.t.). (b) Nelle righe che seguono, citate nel Heimskringla, parrebbe significare i Dii Manes. Tha gaf hann Trescegg Tröllum, Torf-Einarr drap Scurfo. (Quindi egli diede Trescegg ai Trolls, Turf-Einarr uccise Scurfo.) (c) L‟antica nazione gotica venne chiamata Troll dai loro vicini Vandali (Junii Batavia, c. 27); secondo Sir J. Malcolm, i Tartari chiamano i Cinesi Deevs. Si credeva precedentemente, dice Ihre, che la nobile famiglia dei Troll, in Svezia, derivasse il proprio nome dall‟aver ucciso un Troll, che è probabilmente un Nano.

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(d) Arndt, Reise nach Schweden, vol. III. pag. 8. (e) Come le nostre Fate, I Troll sono talvolta di dimensioni meravigliosamente piccolo: nella ballata danese di Eline af Villenskov leggiamo: Det da meldte den mindste Trold, Han var ikke större end en myre, Her er kommet en Christen mand, Den maa jag visseligen styre. (Venne quindi fuori il Troll più piccolo, non era più grande di un ditale, qui è giunto un cristiano ed io certamente lo saprò trattare.) (f) Thiele, i, 36. (g) Per questo essi devono essere grati al loro cappello. Eske Brok, essendo un giorno nei campi, si imbattè senza saperlo nel cappello di un Nano, che divenne immediatamente visibile e, per recuperarlo, dovette accordargli tutto ciò che chiese. (Thiele iii, 49) Questo cappello risponde al Tarnkappe o Hel-kaplein dei Nani tedeschi, i quali diventando anch‟essi visibili quando viene loro tolto il cappello. (h) Nella ballata danese di Eline af Villenskov l‟eroe viene chiamato Trolden graae, il Trold Grigio, probabilmente a causa del colore del suo abbigliamento. (i) Pensiamo non vi sia bisogno in futuro di fare riferimento al volume ed alla pagina dell‟opera di Mr. Thiele. Coloro che conoscono l‟originale troveranno facilmente queste leggende.

La moglie Troll Il nonno di Reor, che viveva a Fuglekärr (Palude degli Uccelli), nei dintorni di Svartsborg (Castello Nero), viveva vicino ad una collina ed una volta, in piena luce, vide seduta là sopra ad una pietra una graziosa fanciulla. Egli desiderò incontrarla ed a tal scopo buttò dell‟acciaio tra lei ed il colle; al che il padre di lei, da dentro la collina, rise e, aprendo la porta della collina, gli chiese se avrebbe voluto sua figlia. Egli rispose

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affermativamente e, siccome ella era completamente nuda, prese alcuni suoi abiti e la coprì con essi ed in seguito la fece battezzare. Mentre stava andando via, il padre gli disse: “Quando vi sposerete (bröllup) dovrai preparare dodici barili di birra e cuocere moltissimo pane e la carne di quattro buoi e portare tutto al tumulo o colle dove io sarò e, quando verranno concessi i doni sponsali, in base ad essi io darò i miei.” Ed anche questo accadde, perché quando gli altri gli portarono i dono egli sollevò la copertura del carro e vi gettò dentro una borsa di denaro tale che il carro quasi si ruppe, dicendo nel contempo: “Questo è il mio dono!” E disse anche: “Quando vorrai avere la parte di tua moglie (hemmagifta) (a) dovrai venire alla collina con quattro cavalli e prenderla.” Quando, in seguito, egli giunse là a suo piacimento ebbe delle pentole di rame, una più grande dell‟altra in modo che la pentola più larga venne riempita con quelle più piccole. Egli gli diede anche altre cose (b): elmi di quel colore e di una forma larga e spessa che permane tuttora nel paese ed è stata conservata dal personaggio di Tanum. Quest‟uomo, padre di Reor, venne soprannominato I Foglekärsten ed ebbe molti figli con la propria moglie che trasse dalla collina, tra cui il già citato Reor. Anche Olaf Stenson di Stora Rijk, che morì lo scorso anno, era figlio della sorella di Reor. (c) NOTE (a) Questo supponiamo essere il significato di hemmagifta, in quanto hemgift è l‟unica parola che si avvicini ad essa che abbiamo trovato nel nostro dizionario. (b) Brandcreatur, una parola del cui esatto significato non siamo certi. Dubitiamo fortemente che il seguente hielmeta significhi elmi. (c) Grimm (Deut.Mythol. pag. 435) ha tratto questa leggenda dal Bahuslän di Odman che, com‟egli osserva e noi possiamo vedere, la riferisce piuttosto seriamente e con i veri nomi delle persone. Crediamo sia l‟unica leggenda riguardante l‟unione di un uomo con un membro del popolo delle colline.

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La coppa dell’altare ad Aagerup Tra i villaggi di Marup e di Aagerup in Zelansi si dice vi fosse un tempo un grande castello, le cui rovine si possono tuttora vedere vicino alla spiaggia. La tradizione riferisce che tra di esse è celato un vasto tesoro e che là un drago veglia sui tesori di tre re (a). Anche qui capita spesso che la gente vede il popolo sotterraneo, in particolare nei periodi di festa, perché in quei periodi essi danzano e festeggiano con gioia sulla spiaggia. La vigilia di Natale, il servo di un contadino del villaggio di Aagerup andò dal suo padrone a chiedergli di potere prendere il cavallo per andare a vedere l‟incontro dei Trolls. Non solo il contadino gli diede il permesso, ma volle che prendesse il cavallo migliore della stalla; così egli vi montò e cavalcò verso la spiaggia. Quando vi giunse fermò il cavallo e rimase per un poco a guardare la compagnia che era radunata in grande numero. E, mentre cercava di vedere quanto gioiosamente i piccoli nani danzavano, venne a lui un Troll che lo invitò a smontare ed a prendere parte alla loro danza ed al loro divertimento. Arrivò un altro Troll saltellando, prese il suo cavallo per la briglia e lo condusse, mentre l‟uomo ne discese ed andò a danzare gaiamente con loro per l‟intera notte. All‟avvicinarsi del giorno egli li ringraziò di cuore per il divertimento e montò sul suo cavallo per ritornare ad Aagerup. Essi lo invitarono a ritornare la notte di Capodanno, quando avrebbero tenuto una grande festa, ed una fanciulla che aveva una coppa d‟oro in mano lo invitò a bere il bicchiere della staffa. Egli prese la coppa ma, avendo qualche sospetto in merito, fece apparire come se portasse la coppa alla bocca mentre il liquido si versò invece sulla sua spalla, cadendo sulla groppa del cavallo , che perse immediatamente tutto il pelo. Egli diede quindi una pacca ai fianchi del cavallo e fuggì via con la coppa in mano oltre un campo arato. I Troll tutti insieme gli diedero immediatamente la caccia ma, trovando molto difficoltoso oltrepassare i profondi solchi, gridarono senza posa:

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“Cavalca sulla terra e non sull’argilla (b).” Egli, tuttavia, non li ascoltò ma continuò ad andare per il campo arato. Quando però giunse vicino al villaggio fu costretto a viaggiare sulla strada ed i Trolls guadagnavano terreno ad ogni istante. Nella sua ansia pregò Dio e fece il voto che se fosse sfuggito avrebbe donato la coppa alla chiesa. Stava cavalcando proprio vicino al muro del cortile della chiesa ed in tutta fretta fece volare la coppa oltre ad esso affinchè fosse al sicuro. Quindi spinse il cavallo alla massima velocità ed infine giunse al villaggio; e proprio quando erano sul punto di prendere il cavallo egli oltrepassò la porta del contadino e l‟uomo la richiuse sui malvagi dietro di lui. Ora era in salvo, ma i Trolls erano così incolleriti che, prendendo una grossa e pesante pietra, la fecero volare con tale forza contro la porta che ne buttarono giù quattro assi. Ora non rimane traccia di quella casa, ma la pietra giace ancora al centro del villaggio di Aagerup. La coppa venne data alla chiesa ed in cambio l‟uomo ebbe la migliore fattoria delle terre di Eriksholm (c). NOTE (a) “I tesori di tre re” è un modo di dire comune dei contadini danesi quando parlano di tesori. (b) “Rid paa det Bolde, Og ikke paa dot Knolde.” (c) Orale. Questa è una storia comune a molti paesi. La chiesa di Vigersted in Zelanda possiede una coppa ottenuta nella stessa maniera. L‟uomo, in questo caso, prese rifugio nella chiesa e qui venne assediato dai Trolls fino al mattino. Il ponte di Hagbro nello Jutland ha tratto il suo nome da un evento simile. Quando l‟uomo fuggì via con boccale d‟argento che le aveva presentato la bella fanciulla, una vecchia lo inseguì a velocità tale che l‟avrebbe sicuramente preso ma fortunatamente egli giunse ad un corso d‟acqua. L‟inseguitrice, tuttavia, come Nannie con Tam o‟Shanter, prese la zampa

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dietro del cavallo ma riuscì a prendere solo una delle falde della sua scarpa; da questo fatto il ponte venne chiamato Hagbro, cioè da Cock Bridge (Ponte della Falda).

L’origine del lago di Tiis

Un Troll aveva un tempo preso dimora vicino al villaggio di Kund, sulla cui altura ora sorge la chiesa; ma, quando la gente dei dintorni divenne pia e cominciò ad andare costantemente in chiesa, il Troll venne disturbato moltissimo dal quasi incessante suono delle campane del campanile. Di conseguenza, fu costretto infine ad andarsene, perché nulla ha mai contribuito tanto all‟emigrazione del popolo dei Trolls dal paese della crescente pietà della gente e del loro scampanio. E così anche il Troll di Kund lasciò il paese ed andò a Funen, dove visse per qualche tempo in pace e quiete. Accadde ora che un uomo che si era stabilito più tardi nella città di Kund, giungendo a Funen per affari incontrò per strada questo stesso Troll. “Dove vivi?” gli chiese il Troll. Ora, nel Troll non vi era nulla di diverso da un uomo, così egli gli rispose, ed era vero: “Sono della città di Kund.” “Così?” disse il Troll. “Allora non ti conosco; e tuttavia pensavo di conoscere ogni uomo di Kund. Saresti così gentile, comunque,” continuò “da riportare indietro con te una mia lettera a Kund?” L‟uomo disse, naturalmente, che non aveva alcuna obiezione. Il Troll quindi mise la lettera nella sua tasca e gli ordinò di non prenderla fuori assolutamente fino a che non sarebbe giunto nella chiesa di Kund e quindi di buttarla oltre il muro del cortile della chiesa e la persona cui era destinata l‟avrebbe trovata. Il Troll andò quindi via in tutta fretta e con lui anche la lettera uscì completamente dalla mente dell‟uomo. Ma, quando tornò in Zelanda, sedette presso il prato dov‟è oggi il lago di Tiis ed improvvisamente si ricordò della lettera del Troll. Sentì infine un grande desiderio di vederla, così la trasse dalla tasca ed era seduto con la lettera in mano quando improvvisamente

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cominciò a fuoriuscire dal sigillo dell‟acqua. La lettera si aprì da sola e l‟acqua continuò ad uscirne sempre più velocemente; solo con molta difficoltà il poveretto potè salvarsi la vita, perché il maligno Troll aveva rinchiuso un lago intero nella lettera. Il Troll, è chiaro, aveva pensato di vendicarsi della chiesa di Kund distruggendola in questo modo, ma Dio fece in modo che il lago fuoriuscisse nel grande prato dov‟è ora (a). NOTE (a) Orale. Il lago di Tiis è in Zelanda. E‟ credenza generale dei contadini che ora vi siano molti pochi Trolls nel paese, perchè il suono delle campane li ha fatti fuggire tutti, loro che, come il Popolo Silenzioso (Stille Folk) dei Germanici, amano la quiete ed il silenzio. Si dice che un allevatore che aveva trovato un Troll seduto sconsolato su una pietra vicino al lago di Tiis, scambiandolo per un onesto cristiano gli si accostò dicendo: “Beh, dove stai andando, amico?” “Ah!” disse lui in tono triste “Sto andando via dal paese. Non posso più vivere qui, continuano sempre quell‟eterno suonare e risuonare!” “C‟è un‟alta collina” dice Kalm (Resa, &c. pag. 136) “vicino a Borna, in Svezia, in cui un tempo dimorava un Troll. Quando misero su le campane nella chiesa di Botna ed egli le sentì suonare, si dice abbia detto: “Det är så godt i det Botnaberg at bo, Vore ikke den leda Bjälleko.“ “Piacevole sarebbe il dimorare nella collina di Botna, se non fosse per il suono di quella maledetta campana.”

Un contadino gioca un Troll Un contadino sul cui terreno vi era una collinetta decise di non lasciarla senza scopo, così cominciò ad ararla. L‟uomo delle colline che viveva in essa andò da lui e gli chiese come osasse arare sopra al tetto della sua casa. Il contadino gli assicurò che non sapeva che quello fosse il tetto della sua casa ma allo stesso tempo gli fece capire che era ugualmente inutile per

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entrambi lasciare senza utilizzazione quel pezzo di terra. Colse quindi l‟opportunità di fargli una proposta: egli avrebbe arato, seminato e mietuto ogni anno a queste condizioni – che, un anno a testa, l‟uomo della collina avrebbe avuto ciò che cresceva sopra il terreno ed il contadino ciò che cresceva sottoterra, mentre l‟anno seguente il contadino avrebbe avuto ciò che vi era sopra e l‟uomo della collina ciò che vi era sotto. Si accordarono quindi in tal modo, ma l‟abile contadino ebbe cura di piantare carote e mais alternativamente e diede all‟uomo della collina le cime delle carote e le radici del mais quale sua parte, cosa di cui lui fu ben contento. Vissero in tal modo per molto tempo in grande cordialità (a). NOTE (a) Questa storia viene raccontata da Rabelais con il suo caratteristico umore e la sua caratteristica stravaganza. Siccome non vi sono Trolls in Francia, è il diavolo che viene gabbato nella versione francese. Una leggenda simile a questa viene raccontata nel distretto di Lujhman, in Afghanistan (Masson, Narrative, etc., iii, 297), ma là è lo Shaitan (Satana) che gioca i contadini. Queste leggende sono certamente indipendenti tra loro.

Skotte nel fuoco Vicino a Gudmanstrup, nel distretto di Odd, vi è un colle chiamato Hjulehöi (Colle Cavo). Il popolo delle colline che vi dimora è ben conosciuto in tutti i villaggi dei dintorni e nessuno scorderebbe mai di fare il segno della croce sui suoi barili di birra, perché i Trolls hanno l‟abitudine di scivolare giù da Hjulehöi per rubare la birra. Una sera tardi un contadino stava passando accanto al colle quando vide che veniva sollevato su dei pilastri rossi e che al di sotto vi erano musica, danze ed uno splendido banchetto dei Trolls. L‟uomo rimase per molto tempo a guardare la festa ma, mentre era lì, profondamente assorto nella contemplazione di

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ciò che vedeva, improvvisamente la danza si fermò e la musica cessò ed egli udì un Troll gridare con un tono grandemente angosciato: “Skotte è caduto nel fuoco! Venite ad aiutarlo!” La collina quindi si richiuse e tutto il divertimento finì. Nel frattempo, la moglie del contadino era a casa da sola e, mentre era seduta e stava facendo girare la stoppa, non notò un Troll che era entrato dalla finestra nella stanza accanto e stava spillando la birra dal barile nel suo boccale di rame. La porta della stanza era aperta ed il Troll continuava a lanciare occhiate alla donna. Il marito entrò in casa pieno di meraviglia per quanto aveva visto e udito. “Presto, signora” cominciò “ascoltami, ti dirò cosa mi è appena accaduto!” Il Troll raddoppiò la sua attenzione. “Stavo tornando proprio ora da Hjulehöi” continuo “quando vidi là un grande banchetto Troll ma mentre erano tutti nel bel mezzo della loro festa gridarono verso l‟interno del colle: „Skotte è caduto nel fuoco, venite ad aiutarlo!‟” Nell‟udir questo il Troll, che era in piedi vicino al barile di birra, si spaventò tanto che lasciò aperto il rubinetto ed il boccale di birra cadde sul pavimento, quindi si lanciò fuori dalla finestra più veloce che potè. La gente della casa, nell‟udire tutto questo rumore, intuì immediatamente cose‟era accaduto e, quando entrarono, videro la birra che scorreva dappertutto e trovarono il boccale di rame sul pavimento. Lo presero e lo conservarono al posto della birra che era stata spillata; e si dice che lo stesso boccale sia stato visto per molto tempo nei villaggi dei dintorni (a). NOTE (a) Orale. Gudmanstrup è in Zelanda. Ad Ouröe, un‟isoletta vicino alla Zelanda, vi è una collina da cui i Trolls erano soliti scendere per rifornirsi di provviste prese dalle dispense dei contadini. Niel Jensen, che viveva vicino alla collina, scopertili mentre si stavano, pensava, servendo liberamente delle sue provviste, si prese la libertà di chiudere a chiave la porta attraverso cui erano entrati. Ma avrebbe fatto meglio a lasciar perdere, perchè sua figlia divenne cieca e non recuperò la vista

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fino a quando la serratura non venne rimossa. (Resenii Atlas, i, 10) Vi è una storia simile nel Deutsche Sagen di Grimm, i, pag. 55.

La leggenda di Bodedys Vi è una collina chiamata Bodedys vicino alla strada nei dintorni di Lynge, che è vicino a Soröe. Non lontano da lì viveva un vecchio contadino, il cui unico figlio era solito fare lunghi viaggi per lavoro. Suo padre non ebbe sue notizie per lungo tempo e si convinse che il figlio era molto. Questo gli causò molto dolore, com‟era naturale per un vecchio come lui, e così passò del tempo. Una sera, mentre stava andando con un carretto pieno vicino a Bodedys, la collina si aprì ed il Troll che ne uscì volle portarvi dentro il suo carretto. Il pover‟uomo fu di certo grandemente stupito da questo ma, ben sapendo a quanto poco gli sarebbe valso il rifiutare di assecondare la richiesta del Troll, voltò i cavalli e guidò il suo carretto dritto all‟interno della collina. Il Troll cominciò a guardare la sua merce ed infine comprò e pagò onestamente l‟intero carico. Quando ebbe finito di scaricare il suo mezzo e stava per uscire dalla collina, il Troll gli disse: “Se solo manterrai il silenzio su ciò che ti è accaduto, da questo momento baserò ai tuoi interessi; e, se ritornerai qui domani mattina, potrebbe essere che tu trovi tuo figlio.” Il contadino, da principio, non sapeva bene cosa dire di tutto ciò ma, siccome era tuttavia del parere che il Troll fosse in grado di mantenere ciò che aveva promesso, ne fu molto contento e non mancò di andare a Bodedys all‟ora fissata. Sedette là in attesa per molto tempo ed infine si addormentò; svegliandosi dal torpore, meraviglia! Suo figlio giaceva al suo fianco. Padre e figlio trovarono difficile spiegare com‟era accaduto. Il figlio riferì in che modo era stato gettato in prigione ed aveva sofferto grande dolore ed ansia; ma disse che una notte, mentre giaceva sveglio nella sua cella, era giunto a lui un uomo che gli aveva detto: “Ami ancora tuo padre?” E,

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quando ebbe risposto che certamente lo amava, le sue catene caddero ed il muro si aprì. Mentre raccontava questo, mise la mano sul collo e scoprì di avere portato via con sé un pezzo di catena di ferro. Entrambi rimasero muti per qualche tempo, da tanto erano meravigliati; quindi si alzarono ed andarono dritti a Lynge, dove appesero il pezzo di catena dentro alla chiesa in ricordo del magnifico evento che era accaduto. (a) NOTE (a) Questa leggenda è orale.

La chiesa di Kallundborg Quando Esbern Snare era in procinto di costruire una chiesa a Kallundborg, vide chiaramente che i suoi mezzi non erano completamente sufficienti allo scopo. Ma venne da lui un Troll ad offrirgli i propri servigi ed Esbern Snare fece con lui un accordo a queste condizioni: quando la chiesa fosse stata finita, egli sarebbe stato in grado di dire il nome del Troll o, in caso non fosse riuscito, avrebbe dovuto dargli il suo cuore ed i suoi occhi. Il lavoro procedeva speditamente ed il Troll pose la chiesa su pilastri di pietra; ma quando era quasi tutto finito ed alla chiesa mancava solo mezza colonna, Esbern cominciò ad avere paura, perché non conosceva ancora il nome del Troll. Un giorno stava passeggiando tutto solo per i campi, in grande ansietà per il pericolo che stava correndo, quando, stanco e depresso a causa del suo immenso dolore e preoccupazione, si sdraiò sulla rive dell‟Ulshöi per riposarsi un poco. Mentre giaceva lì, udì una donna Troll che, dall‟interno della collina, diceva queste parole: “Riposa, bambino mio! Domani arriva Fin, tuo padre, e ti darà gli occhi ed il cuore di Esbern Snare con cui giocare.” (a) Quando Esbern udì così, recuperò il vigore e tornò alla chiesa. Il Troll stava giungendo proprio in quel momento con la mezza colonna che mancava alla chiesa ma, quando Esbern lo vide, lo

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salutò con il suo nome e lo chiamò “Fin”. Il Troll ne fu così in collera che andò via con la colonna attraverso l‟aria e questo è il motivo per cui quella chiesa ha solo tre colonne e mezza. (b) NOTE (a) Tie stille, barn min!Imorgen kommer Fin, Fa'er din, Og gi'er Esbern Snares öine og hjerte at lege med. (b) Orale. Kallundborg è in Zealand. Mr. Thiele dice di avere visto Quattro colonne nella chiesa. La stessa storia viene narrate in merito alla cattedrale di Lund a Funen, che venne costruita dal Troll Finn su desiderio di san Laurenzio. Di Esbern Snare Holberg dice: “La gente comune racconta storie meravigliose su di lui e su come vinse il diavolo, cosa che, con altre cose, prova che si trattava di un uomo abile.” La storia tedesca di Rumpelstilzchen (Kinder and Haus-Märchen, No. 55) è simile a questa leggenda. MM. Grimm, nella loro nota su questa storia, notano la maniera insolita in cui nelle Mille e Una Notte – o Storie Persiane – la principessa Turandot impara il nome del califfo.

L’Uomo delle Colline invitato al battesimo Il Popolo delle Colline si spaventa molto quando ci sono i tuoni. Per questo, quando vedono avvicinarsi il brutto tempo non perdono tempo e si rifugiano subito al riparo nelle loro colline. Questo terrore è anche la causa del fatto che loro non sono in grado di sopportare il suono di un tamburo, che scambiano per il rombo del tuono. E‟ perciò buona ricetta per scacciarli il battere ogni giorno un tamburo nei pressi delle loro colline: essi faranno immediatamente i bagagli e se ne andranno verso una residenza più tranquilla. Un tempo vi era un contadino che viveva in grande amicizia e unanimità con un Uomo delle Colline la cui collina era sulle sue terre. Un giorno in cui sua moglie stava partorendo, egli pensò con perplessità che non avrebbe potuto evitare di invitare l‟Uomo delle Colline al battesimo, cosa che però gli

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avrebbe però causato una cattiva reputazione presso il prete e l‟altra gente del villaggio. Stava meditando intensamente ma invano su come trarsi d‟impaccio quando gli venne in mente di chiedere consiglio al ragazzo che gli teneva i maiali, che era molto intelligente e lo aveva aiutato spesso in precedenza. Il ragazzo promise di arrangiare la questione con l‟Uomo delle Colline in maniera tale che egli non solo sarebbe rimasto alla larga senza offendersi, ma avrebbe anche fatto un bel dono di battesimo. Quando fu notte, quindi, prese un sacco sulla spalla, andò dall‟Uomo delle Colline, bussò e venne fatto entrare. Consegnò il suo messaggio facendo i complimenti da parte del padrone e chiedendo l‟onore della sua compagnia al battesimo. L‟Uomo delle Colline lo ringraziò e disse: “Penso che sia giusto che io vi dia un dono di battesimo.” A queste parole aprì le sue ceste di denaro, ordinando al ragazzo di tenere il suo sacco mentre l‟Uomo vi versava dentro delle monete. “E‟ abbastanza, ora?” disse quando ne ebbe versate una bella quantità. “Molti danno di più, pochi danno di meno”, rispose il ragazzo. L‟Uomo delle Colline allora ricominciò a riempire il sacco e di nuovo chiese: “E‟ abbastanza, ora?” Il ragazzo sollevò un poco il sacco dal pavimento per capire se sarebbe riuscito a portarne un altro poco, quindi rispose: “E‟ pressapoco quanto dona la maggior parte della gente.” Nell‟udir questo l‟Uomo delle Colline svuotò l‟intera cesta nel sacco e chiese ancora una volta: “E‟ abbastanza, ora?” Il guardiano dei maiali vide che nel sacco vi era ora tanto quanto avrebbe potuto portare al massimo, così rispose: “Nessuno dona di più, la maggior parte della gente dona di meno.” “Vieni, ora,” disse l‟Uomo delle Colline “sentiamo chi altri sarà al battesimo.” “Ah,” disse il ragazzo “avremo molti stranieri e persone importanti. Primi tra tutti avremo tre preti ed un vescovo!” “Hem!” mormorò l‟Uomo delle Colline; “Tuttavia, questi gentiluomini di solito pensano solo al cibo ed alle bevande; non mi noteranno mai. Bene, chi altri?” “Poi abbiamo chiamato san Pietro e san Paolo.” “Hem! Hem! Tuttavia, vi

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sarà un angolino per me accanto alla stufa. Bene, e poi?” “Poi verrà Nostra Signora!” “Hem! Hem! Hem! Tuttavia, ospiti di rango così elevato arrivano tardi e vanno via presto. Ma dimmi, ragazzo mio, che genere di musica avrete?” “Musica!” disse il ragazzo. “Perchè? Avremo dei tamburi.” “Tamburi!” ripetè lui, terrificato. “No, no, grazie, in tal caso rimarrò a casa. Porgi I miei migliori rispetti al tuo padrone ed io lo ringrazio per l‟invito, ma non posso venire. Una volta stavo facendo una passeggiata e della gente ha cominciato a battere un tamburo. Sono scappato a casa ed ero appena arrivato alla porta quando quella gente mi ha lanciato dietro la bacchetta del tamburo e mi ha rotto uno stinco. Sono rimasto zoppo da quella gamba da allora ed in futuro farò bene attenzione ad evitare quel genere di musica.” Così dicendo, aiutò il ragazzo a mettere la sacca sulla schiena, incaricandolo nuovamente di porgere i suoi migliori rispetti al contadino. (a) NOTE (a) Questo fatto è accaduto nello Jutland. La paura del tuono da parte dei Troll pare basarsi sulle storie mitologiche dell‟inimicizia di Thor nei confronti dei Troll.

Il Troll trasformato in gatto A circa un quarto di miglio da Soröe vi è Pedersborg e poco più oltre vi è la città di Lyng. Proprio in mezzo a queste città vi è la collina chiamata Bröndhöi (Collina della Primavera), che si dice sia abitata dal popolo dei Troll. Si dice che un tempo tra questi Troll di Bröndhöi vi fosse un vecchio Troll intrattabile e bisbetico che gli altri soprannominavano Knurremurre (Brontolone) perché era sempre causa di fastidio e trambusto all‟interno della collina. Avendo questo Knurremurre scoperto quello che pensava essere un grado di intimità troppo grande tra la sua giovane moglie ed un giovane Troll della società, prese questo tanto in strino da giurargli vendetta, giurando che avrebbe avuto la vita

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del giovane. Quest‟ultimo pensò quindi che sarebbe stato meglio per lui andarsene dalla collina in attesa di tempi migliori; così si mutò in un nobile gatto maschio color tartarugato ed una mattina se ne andò dalla sua vecchia residenza e giunse alla vicina città di Lyng, dove si stabilì in casa di un onesto pover‟uomo di nome Plat. Qui visse a lungo felice e tranquillo senza nulla che lo disturbasse ed era felice come qualunque micione o Troll amato e che riamava poteva essere. Ogni giorno aveva latte in abbondanza e del buon cibo (groute) (a) da mangiare e passava tutta la giornata a suo piacimento su una calda sedia con i braccioli accanto alla stufa. Una sera Plat venen a casa piuttosto tardi e, quando entrò nella stanza, il gatto era seduto al suo solito posto, mentre con la zampina raschiava il cibo fuori dalla ciotola e leccava con cura la ciotola. “Ascolta, signora,” disse Plat quando entrò dalla porta “ti dirò quello che mi è accaduto per strada. Avevo appena oltrepassato Bröndhöi quando venne fuori un Troll, mi chiamò e disse: „Ascolta, Plat, dì al tuo gatto che Knurremurre è morto.‟” (b) Nell‟istante in cui il gatto udì quelle parole, rovesciò la ciotola per terra, saltò via dalla sedia e si alzò sulle zampe posteriori. Quindi, mentre fuggiva fuori dalla porta, urlò esultante: “Cosa! Knurremurre è morto? Allora posso andare a casa più veloce che posso!” E così dicendo zampettò verso la collina, con meraviglia dell‟onesto Plat; e non perse tempo nel fare le sue avance alla giovane vedova. (c) NOTE (a) Groute, danese Gröd, è un tipo di cibo simile a frumento cotto nel latte fatto di avena decorticata o orzo. Viene bollito e mangiato con latte o burro. (b) Hör du Plat, Siig til din Kat, At Knurremurre er död. (c) La scena di questa storia è la Zealand. Si dice lo stesso di una collina chiamata Onrehöi nella stessa isola. Lo scrittore l‟ha udita in Irlanda, ma si trattava di gatti che si erano rivolti all‟uomo mentre passava nel cimitero dov‟erano radunati.

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Kirsten's Hill Sulle terre di Skjelverod, vicino a Ringsted, vi è una collina chiamata Kirsten‟s Hill (Kirstens Bjerg). In essa viveva un Troll delle colline il cui nome era Skynd e che aveva nel corso del tempo rapito non meno di tre mogli ad un uomo del villaggio di Englerup. Una sera tardi quest‟uomo stava cavalcando verso casa da Ringsted e la sua strada passava vicino alla collina. Quando vi giunse, vide una grande folla di Gente delle colline che vi danzava intorno e tra loro vi era molto divertimento. Ma, guardando un poco più da vicino, chi riconobbe in mezzo a loro se non tutte e tre le sue mogli! Ora, siccome Kirsten, la seconda di loro, era la sua preferita e gli era più cara delle altre, la chiamò per nome. Il Troll Skynd allora andò dall‟uomo e gli chiese perché osasse chiamare Kirsten. L‟uomo gli raccontò brevemente com‟ella fosse stata la sua moglie preferita ed amata e lo supplicò con molte lacrime e molti lamenti di lasciare che lui la riportasse a casa con sé. Il Troll acconsentì a condizione, tuttavia, che lui non le avrebbe mai messo fretta (skynde). Per lungo tempo il marito si attenne strettamente a questa condizione ma un giorno in cui la donna era in soffitta a prendere qualcosa e vi era da molto tempo, egli la chiamò: “Sbrigati, Kirsten, sbrigati (Skynde dig Kirsten)”. Aveva appena pronunciato queste parole che la donna era andata via, costretta a ritornare alla collina che, da allora, fu sempre chiamata Kirsten's Bjerg. (a) NOTE (a) Questa leggenda è stata riferita a voce a Mr. Thiele.

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La Troll partoriente “Nell‟anno 1660, quando io e mia moglie eravamo nella mia fattoria (faboderne), che è ad un quarto di miglio dalla parrocchia di Ragunda, seduti a parlare un poco nel primo pomeriggio, venne alla porta un piccolo uomo che chiese a mia moglie di andare ad aiutare sua moglie, che proprio in quel momento stava partorendo. Il ragazzo era di piccole dimensioni, di carnagione scura e vestito con vecchi abiti grigi. Mia moglie ed io sedemmo per un istante a chiederci di quell‟uomo; perché eravamo consapevoli che si trattava di un Troll ed avevamo sentito dire che costoro, chiamati dai contadini Vettar (Spiriti), erano soliti abitare nelle fattorie quando la gente le lasciava al tempo del raccolto. Ma, quando egli ebbe ripetuto la sua richiesta quattro o cinque volte e noi avemmo pensato a quale male la gente di campagna dice di avere sofferto a volte a causa dei Verra quando è capitato loro di imprecare contro di loro o di mandarli all‟inferno con parole incivili, presi la risoluzione di leggere alcune preghiere su mia moglie e di benedirla, dicendole di andare con lui in nome di Dio. Lei prese con sé in tutta fretta alcuni vecchi panni di lino ed andò con lui, mentre io rimasi seduto là. Quando ritornò, mi disse che quando uscì dalla porta con l‟uomo le parve come se per lungo tempo l‟avessero trasportata nel vento ed era così giunta ad una stanza, ad un lato della quale vi era una piccola stanza oscura in cui la moglie giaceva a letto molto addolorata. Mia moglie andò da lei e, dopo un poco, la aiutò fin quando non mise alla luce il bambino nello stesso modo degli altri esseri umani. L‟uomo allora le offrì del cibo e, quand‟ella rifiutò, la ringraziò e la accompagnò fuori. Venne quindi riportata qui allo stesso modo nel vento e dopo poco era di nuovo alla porta, giusto alle dieci in punto. Nel frattempo, una quantità di pezzi vecchi e ritagli d‟argento vennero posati su uno scaffale del salotto e mia moglie li trovò il giorno seguente quando andò a rigovernare la stanza. Si suppone che siano

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stati lasciati là dai Vettr. Questo è in verità accaduto ed io ne sono testimone scrivendo il mio nome. Ragunda, 12 aprile 1671 Pet. Rahm.” Hülpher, Samlingen om Jämtland. Westeras, 1775. pag. 210 ap. Grimm, Deut. Mythol., pag. 425.

Il fabbro della collina Biörn Martinsson uscì un giorno a caccia con un guardacaccia sulle colline boscose di Ormkulla. Là i due trovarono un fabbro delle colline (bergsmed) addormentato. Biörn disse al guardacaccia di imprigionarlo ma egli rifiutò dicendo: “Prego Iddio di proteggervi! Il fabbro delle colline vi scaglierà già alla base del colle!” Egli era, tuttavia, coraggioso e determinato ed andò per impadronirsi del fabbro dormiente, che emise un grido e lo implorò di lasciarlo andare perché aveva una moglie e sette figli. Disse anche che avrebbe fatto qualunque lavoro metallico che egli avrebbe richiesto; avrebbe solo dovuto lasciare ferro ed acciaio al lato della collina ed avrebbe trovato il lavoro finito nello stesso posto. Biörn gli chiese per chi lavorasse ed egli rispose: “Per i miei compagni.” Quando Biörn non volle lasciarlo andare, egli disse: “Se avessi il mio cappello di nebbia (uddehat) tu non mi porteresti via. Ma se non mi lascerai andare nessuno dei tuoi discendenti otterrà l‟importanza che hai tu, bensì declinerà continuamente”, cosa che certamente accadde. Biörn, tuttavia, non volle lasciarlo andare ma lo portò prigioniero a Bahus. Il terzo giorno, però, egli fuggì dal luogo in cui era rinchiuso. (a) La leggenda che segue si riferisce alla Danimarca. Sulle terre di Nyegaard vi sono tre grandi colline, una delle quali è la dimora di un Troll molto abile come fabbro. Se qualcuno passa su quella collina di notte vedrà il fuoco che esce dalla cime e rientra di lato. Se voleste avere qualche opera eseguita in maniera magistrale, dovreste solo andare alla

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colina e dire ad alta voce cosa volete sia fatto, lasciare là il ferro ed uno scellino d‟argento. Quando ritornerete alla collina la mattina seguente troverete che lo scellino è scomparso ed il pezzo richiesto giace lì finito e pronto all‟uso. (b) NOTE (a) Odmane Bahuslän, ap. Grimm. Deut. Mythol. pag. 426. Odman narra anche di un uomo che un giorno, mentre passeggiava con il suo cane, giunse presso un fabbro delle colline all‟opera che usava una pietra come incudine. Aveva su di sé un cappotto grigio chiaro ed un copricapo di lana nera. Il cane cominciò ad abbaiargli ma egli prese un atteggiamento così minaccioso che entrambi giudicarono consigliabile andarsene. (b) Thiele, iv. 120. In entrambe queste leggende troviamo la tradizione dell‟abilità artistica del Duergar e del Völundr conservata dai contadini; vedi Tales and Popular Fictions, pag. 270.

La fanciulla alla danza dei Troll Una fanciulla appartenente ad un villaggio nell‟isola di Funen uscì una sera nei campi e, mentre stava passando accanto ad una piccola collina, vide che era sollevata su delle colonne rosse e sotto di essa si stava svolgendo un banchetto di Troll. Ella venne invitata ad entrare e tale era la gaiezza e la festività presenti che lei non sentì il passare del tempo. Alla fine, tuttavia, ella partì dopo avere passato, pensava, alcune ore in mezzo al gioioso Popolo delle Colline. Ma quando giunse al villaggio non trovò più il posto che aveva lasciato. Tutto era cambiato e, quando entrò nella casa dove aveva vissuto con la sua famiglia, venne a sapere che suo padre e sua madre erano morti da molto tempo e che la casa era nelle mani di estranei. Ora comprese che per ogni ora che aveva passato tra i Trolls nel mondo esterno era passato un anno. L‟effetto nella sua

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mente fu tale che ella perse la ragione, che non recuperò mai più. (a) NOTE (a) Thiele, iv. 21. Nelle Volksagen di Otmar vi è la leggenda tedesca di Peter Klaus che dormì per ventuno anni nel prato dove si gioca a bocce delle Kyffhäuser, da cui Washington Irving fece il suo Ripp van Winkle. La troviamo anche nelle Highlands scozzesi. E‟ la leggenda irlandese di Clough na Cuddy, così ben narrate da Mr. C. Croker (cui, a proposito, abbiamo contribuito con una canzone latina), nelle note della quale si trovano ulteriori informazioni. I Sette Dormienti appare essere l‟originale.

Il Changeling Vivevano un tempo, vicino al lago di Tiis, due persone sole che erano tristemente tormentate da un changeling dato loro dal popolo sotterraneo al posto del loro vero figlio, che non era stato battezzato in tempo. Questo changeling si comportava in maniera molto strana e insolita, perché quando non c‟era nessuno in giro era molto vigoroso, saltava sui muri come un gatto, sedeva sotto il tetto e urlava e gridava con forza; ma quando qualcuno era nella stanza con lui sedeva sonnecchiando alla fine della tavola. Era capace di mangiare per quattro e non gli importava di ciò che gli veniva messo davanti da mangiare; ma, pur non importandogli la qualità del suo cibo, come quantità non era mai soddisfatto e dava eccessivo disturbo a tutti in casa. Quando per lungo tempo avevano cercato invano la maniera migliore per sbarazzarsi di lui, visto che con lui in casa non si viveva, una furba fanciulla disse che lo avrebbe scacciato dalla casa. Mentre dunque lui era fuori nei campi, lei prese un maiale e lo uccise e ne mise la pelle, i peli e tutto in un budino nero, quindi glielo mise davanti quando tornò a casa. Egli cominciò, come suo uso, a trangugiarlo ma, quando ne ebbe

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mangiato per un po‟, cominciò a rallentare gli sforzi ed infine divenne calmo, con il coltello in mano, e si mise a guardare il budino. Alla fine, dopo essere rimasto così per un po‟, cominciò: “Un budino con della pelle! Ed un budino con dei peli! Un budino con degli occhi! Ed un budino con delle zampe dentro! Bene, tre volte ho visto un giovane bosco presso il lago di Tiis, ma non ho mai visto un budino del genere! Il diavolo stesso potrebbe stare qui ora al mio posto!” Dicendo ciò fuggì e non tornò mai più indietro. (a) Di un altro changeling se ne sbarazzarono nel modo che segue. La madre, sospettando che fosse tale perché rifiutava il cibo e cresceva così male, riscaldò il forno al massimo. La domestica, come da istruzioni, le chiese perché lo facesse. “Per bruciare mio figlio in esso fino alla morte,” fu la risposta. Quando la domanda e la risposta furono pronunciate per tre volte, ella mise il bambino sulla pala da fornaio e lo stava mettendo dentro al forno quando una donna Troll entrò spaventatissima con il vero bambino e prese via il proprio dicendo: “Eccoti il tuo bambino. L‟ho trattato meglio di quanto tu abbia trattato il mio.” Ed invero era grasso e gioioso. NOTE (a) Orale. Vedi The Young Piper e The Brewery of Egg-shells nelle leggende di Fate irlandesi, con le note La stessa storia si trova anche in Germania, dove l‟obiettivo è fare ridere il changeling. La madre rompe un uovo in due e mette a bollire dell‟acqua in ognuna delle metà d‟uovo. Il furfante allora urla: “Beh! Io sono vecchio come il Westerwald, ma non ho mai visto prima qualcuno cucinare nei gusci d‟uovo!” e scoppia a ridere. Nello stesso istante il vero bambino viene restituito. - Kinder and Haus, Märchen, iii. 39. Anche Grose narra la storia nel suo Provincial Glossary. La madre lì rompe una dozzina di uova e pone I gusci davanti al bambino, che dice: “Quando venni a balia avevo sette anni e da allora ne ho vissuti quattro, tuttavia non ho mai visto così tante pentole per il latte.” Vedi

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anche Minstrelsy of the Scottish Border e, sotto, Galles, Bretagna e Francia.

La stufa piastrellata che saltò oltre il ruscello Vicino ad Hellested in Zealand viveva un uomo che ogni tanto si lamentava che veniva continuamente derubato. Tutti i suoi sospetti cadevano sul popolo dei Troll che viveva nella vicina collina di lldshöi (Collina di Fuoco) ed una volta si nascose per cercare di vedere il ladro. Non era molto che aspettava quando vide, come pensava, la sua stufa piastrellata saltare oltre il ruscello. Il buon fattore rimase meravigliato a quella strana vista e gridò: “Hurrà! C‟è un salto per una stufa a piastrelle!” A questa esclamazione il Troll, che stava guadando nell‟acqua con la stufa sulla testa, si spaventò tanto che la gettò giù e scappò via più veloce che potè verso lldshöi. Ma nel luogo dove cadde la stufa il terreno ne prese la forza ed il luogo viene chiamato Krogbek (Ruscello della Trappola) e fu questo che originò il detto comune “Era un salto per una stufa a piastrelle”., “Det var et Spring af em Leerovn!” (a) NOTE (a) Questa leggenda è stata presa da Resenii Atlas, i. 36.

La partenza dei Troll da Vendsyssel Una sera, dopo il tramonto, arrivò al traghetto di Sund uno strano uomo, che impegnò tutti i traghetti presenti epr andare avanti e indietro per tutta la notte tra quel posto e Vendyssel, senza che i conducenti sapessero cosa fosse il loro carico. L‟uomo aveva detto loro che avrebbero dovuto prendere a bordo il loro carico a circa un miglio ad est di Sund, vicino alla taverna al ponte di Lange. All‟ora designata l‟uomo era sul luogo ed i barcaioli, pur non vedendo nulla, percepirono molto chiaramente che le loro imbarcazioni affondavano sempre di più, tanto che vennero

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alla facile conclusione di avere imbarcato un carico molto pesante. I traghetti passarono in questa maniera avanti e indietro per l‟intera notte e, pur facendo ogni viaggio con un carico nuovo, lo strano uomo non li lasciava mai ma rimaneva con loro affinché tutto venisse eseguito secondo le sue direttive. Al sopraggiungere del mattino essi ricevettero il pagamento che avevano concordato, quindi si azzardarono a chiedere cosa avessero trasportato, ma su questo il loro datore di lavoro non diede loro soddisfazione. Accadde però che tra i traghettatori ve ne fosse uno furbo che ne sapeva più degli altri in merito. Saltò a riva, prese dell‟argilla da sotto il suo piede destro e se la mise nel capello; quando lo ebbe messo in testa seppe che tutte le colline di sabbia ad est di Aalborg erano completamente coperte di piccoli Troll, che avevano tutti il loro bel cappello a punta rosso in testa. Da allora non si sono più visti Dwarfs a Vendyssel. (a) NOTE (a) Vendsyssel ed Aalborg sono entrambe nello Jutland del Nord. Questa storia è stata narrata da un traghettatore ai viaggiatori; vedi Mythology of Greece and Italy, pag. 68.

Svend Faelling Svend Faelling era un valoroso campione. Era nato a Faelling e da molto tempo era a servizio nella casa di Aakjaer, Aarhuus, e siccome le strade erano a quel tempo grandemente infestate da Trolls e gente sotterranea, che erano grandi nemici dei cristiani, Svend intraprese l‟incombenza di portalettere. Una volta stava andando per strada quando vide avvicinarglisi il Troll della collina di Jels, nelle terre di Holm. Il Troll andò da lui e gli chiese di essergli amico in una lotta contro il Troll della collina di Borum-es. Quando Svend Faelling ebbe promesso, affermando di sentirli abbastanza forte ed attivo per l‟incontro, il Troll gli diede una pesante sbarra di ferro e gli disse di

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dimostrare la sua forza su quella. Ma tutti gli sforzi di Svend non valsero a sollevarla; allora il Troll gli porse un corno, dicendogli di bere da esso. Non appena egli ebbe bevuto un poco, la sua forza crebbe. Era ora in grado di sollevare la sbarra che, quando ebbe bevuto ancora, divenne ancora più leggera. Ma quando rinnovò la bevuta svuotando il corno divenne in grado di incurvare la sbarra con facilità e seppe allora dal Troll che aveva ora ottenuto la forza di dodici uomini. Promse quindi di prepararsi al combattimento con il Troll di Bergmond. Come segno gli venne detto che avrebbe dovuto incontrare sulla strada un bue nero ed un bue rosso e che sarebbe dovuto piombare con tutta la sua forza sul bue nero ed allontanarlo da quello rosso. Accadde tutto come predetto ed egli, appena il suo lavoro fu finito, scoprì che il bue nero era il Troll della collina di Borum-es ed il bue rosso era lo stesso troll della collina di Jels che, come ricompensa per l‟aiuto da lui fornitogli, gli permise di conservare per suo uso la forza di dodici uomini di cui lo aveva dotato. Questo, tuttavia, a condizione che se mai avesse rivelato il segreto della sua forza sarebbe stato punito con il possesso anche della fame per dodici. La fama della prodigiosa forza di Svend si sparse ben presto nel paese, perch‟egli si distinse in varie situazioni come, per esempio, nel lancio di una fanciulla mungitrice che lo aveva offeso sopra il frontone della casa e simili prodezze. Così, qundo la voce giunse all‟orecchio del suo padrone, chiamò Svend e gli chiese da dove derivasse la sua forza. Svend ricordava le parole del Troll, così gli disse che se gli avesse promesso cibo bastante a soddisfare dodici uomini glielo avrebbe rivelato. Il padrone promise e Svend raccontò la storia; ma le parole del Troll si avverarono, perché da quel giorno in poi Svend mangiò e bevve come dodici uomini. (a) NOTE (a) Secondo quanto venne detto nello Zealand a Mr. Thiele, Svend Faelling deve essere stato di grandezza prodigiosa, perché c‟è una collina vicino a Steenstrup su cui era solito

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sedersi mentre si lavava i piedi e le mani nel mare, a circa un quarto di miglio di distanza. La gente di Holmstrup gli ammannì un pranzo e gli portò grandi contenitori di birra, un po‟ come il buon popolo di Lilliput fece con Gulliver. Questo ci ricorda Holger Danske, che un tempo voleva un nuovo set di abiti. Vennero impiegati dodici sarti: essi posero delle scale sulla sua schiena e sulle spalle, come venne fatto per Gulliver, e gli presero le misure; ma all‟uomo che era più in alto sulla scala di destra capitò di tagliare l‟orecchio di Holger mentre stava tagliando un segno di misura. Holger, dimenticando ciò che era, mise velocemente la mano sulla testa, prese il povero sarto e lo stritolò a morte tra le dita.

I Nisses (a) Og Trolde, Hexer; Nisser i hver Vrase. Finn Magnussen. E streghe, Trolls e Nisses in ogni angolo. Il Nis è lo stesso essere che viene chiamato Kobold (Coboldo) in Germania, Brownie (Brunetto) in Scozia e che incontriamo in vari altri luoghi sotto diversi appellativi. In Danimarca e Sorveglia viene chiamato anche Nisse god-dreng (il buon ragazzo Nissè) ed in Svezia Tomtgubbe (il Vecchio Uomo della Casa) o brevemente Tomte. E‟ evidentemente della famiglia dei Dwarf (Nani), in quanto gli assomiglia come aspetto e, come loro, ha la padronanza del denaro e la stessa antipatia per il rumore e l‟agitazione. E‟ della grandezza di un bambino di un anno ma ha il volto di un vecchio. Il suo abituale vestito è grigio, con un cappello rosso a punta; ma il giorno di san Michele (29 settembre) porta un cappello rotondo come quello dei contadini. Nessuna fattoria va bene senza che vi sia dentro un Nis e per le fanciulle e gli uomini è bene essere nelle sue grazie: possono andare a letto senza pensieri riguardo al proprio lavoro ed al

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mattino le fanciulle troveranno la cucina spazzata e l‟acqua portata in casa e gli uomini troveranno i cavalli nella stalla ben puliti e strigliati e forse una fornitura di cereali rubacchiata per loro dai granai dei vicini. Ma egli li punisce per ogni irregolarità che dovesse verificarsi. I Nisses della Norvegia si dice adorino la luce lunare e d‟inverno si possono vedere saltare per il cortile o guidare slitte. Sono anche abili nella musica e nella danza e si dice che diano istruzioni al violino per un grey sheep, come lo svedese Strömkarl. (b) Anche in ogni chiesa vi è un Nis che bada all‟ordine e punisce coloro che si comportano male. Viene chiamato il Kirkegrim. NOTE (a) Grimm pensa che il Nisse (Deut. Mythol. pag. 472) sia Nicls, Niclsen, cioè Nicolaus, Niclas, un nome comune in Germania e nel Nord che viene contratto anche in Klas, Claas. (b) Wilse ap Grimm, Deut. Mythol., pag. 479, che pensa possa avere confuso il Nis con il Nöck.

Il trasloco del Nis (a)

Si dice sia molto difficile sbarazzarsi di un Nis quando lo si desidera. Un uomo che viveva in una casa in cui un Nis tirava troppo in lungo con i suoi dispetti decise di lasciare la tenuta e lasciare là da solo il Nis. Diversi carri pieni di arredamento ed altri oggetti erano già andati via e l‟uomo stava per prendere via le ultime cose, che consistevano principalmente in mastelle vuote, botti e cose di quel genere. Il carico era completato e l‟uomo aveva appena detto addio alla sua casa ed al Nis, sperando di stare bene nella propria nuova abitazione, quando – per un qualche motivo – salì sul retro del carro e là vide il Nis seduto in una delle mastelle, chiaramente intenzionato a traslocare con lui dovunque egli fosse andato. Il buon uomo rimase sorpreso e sconcertato oltre misura nel vedere che tutto il suo lavoro era stato inutile; ma il Nis cominciò a ridere di cuore, fece spuntare velocemente la testa fuori dalla mastella

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ed urlò al contadino sconvolto: “Ha! Stiamo traslocando, vedi!” (b) NOTE (a) I posti citati nelle storie che seguono sono tutti nello Jutland. Da notare che pare vi siano poche storie di Nis dalla Svezia. (b) Questa storia è attuale in Germania, Inghilterra ed Irlanda. Nella storia tedesca il contadino dà fuoco al suo granaio per bruciarvi dentro il Coboldo. Mentre se ne stava andando, si voltò per vedere le fiamme e, con sua grande mortificazione, vide il Coboldo dietro di lui sul carro che urlava: “Era tempo che ce ne andassimo – era tempo che ce ne andassimo!”

Il Nis pentito Di un Nis che si era stabilito in una casa nello Jutland si dice che ogni sera, dopo che la domestica era andata a letto, fosse solito andare in cucina a prendere il groute che veniva lasciato per lui in una ciotola di legno. Una sera si sedette come al solito a mangiare la sua cena con grande appetito, avvicinò a sé la ciotola e stava appena cominciando – pensava – un delizioso pasto quando scoprì che la domestica aveva dimenticato di mettervi dentro del burro. Andò in collera furiosamente e, preso dall‟entità della sua rabbia, andò nella stalla e spezzò il collo della mucca migliore che vi era dentro. Ma siccome era ancora molto affamato, tornò in cucina per prendere del groute e, quando ne ebbe mangiato un poco, sentì che il burro c‟era, ma che era colato sotto il groute. A quel punto fu così mortificato per l‟ingiustizia che aveva compiuto nei confronti della fanciulla che, per riparare al danno fatto, tornò nella stalla e mise una cesta piena di denaro accanto alla mucca morta, dove la famiglia la trovò la mattina seguente e grazie alla quale divenne ricca.

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Il Nis ed il ragazzo In una casa dello Jutland vi era un Nis; ogni sera prendeva il suo groute ad una ora specifica ed in cambio era solito aiutare sia gli uomini che le domestiche e guardava agli interessi del padrone di casa sotto ogni aspetto. Un giorno venne a vivere a servizio di quella casa un ragazzo malvagio e malizioso e suo grande piacere, quando ne aveva l‟opportunità, era dare al Nis tutto il fastidio che poteva. Una sera tardi, quando tutto era silenzioso, il Nis prese il suo piccolo piatto di legno e stava giusto per mangiare la sua cena quando percepì che il ragazzo aveva messo il burro alla base e lo aveva nascosto nella speranza che egli mangiasse prima il groute e trovasse il burro solo quando lo avesse finito. Cominciò quindi a pensare a come ripagare la “gentilezza” del ragazzo; così, dopo avere ponderato un poco, andò in soffitta, dove l‟uomo ed il ragazzo dormivano assieme nello stesso letto. Quando ebbe tirato via le loro lenzuola ed ebbe visto il ragazzino a fianco dell‟uomo alto, disse: “Corto e lungo non stanno bene assieme;” e con queste parole prese il ragazzo per le gambe e lo trascinò giù fino a dove arrivavano le gambe dell‟uomo. Andò quindi dalla testata del letto e disse di nuovo: “Corto e lungo non stanno bene assieme;” e tirò nuovamente il ragazzo verso l‟alto. Quando, facendo questo, non ebbe successo nel fare il ragazzo alto come l‟uomo, continuò a trascinarlo su e giù per il letto per tutta la notte, fino alla luce piena. Per quel momento egli era stanco, così si sedette sul davanzale della finestra con le gambe penzolanti nel cortile. Ma il cane di casa – perché tutti i cani sono grandi nemici dei Nis –, non appena lo vide, cominciò ad abbaiargli e questo divertì molto il Nis, perché il cane non riusciva a raggiungerlo e lui metteva fuori prima una gamba e poi l‟altra per stuzzicarlo e continuava a dire: “Guarda la mia piccola gamba! Guarda la mia piccola gamba!” Nel frattempo il ragazzo si era svegliato e, silenziosamente, era andato dietro di lui; mentre il Nis non ci

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stava pensando e continuava con il suo “Guarda la mia piccola gamba!”, il ragazzo lo spinse giù dalla finestra verso il cortile ed il cane, gridando allo stesso tempo: “Guardalo tutto, ora!”

Il Nis ladro di cereali A Thyrsting, nello Jutland, viveva un uomo che aveva un Nis nel granaio. Questo Nis era solito accudire il bestiame e di notte rubava il foraggio per loro dai vicini, così che questo contadino aveva il bestiame meglio nutrito e più prospero del paese. Un giorno il ragazzo andò con il Nis a Fugleriis per rubare dei cereali. Il Nis prese quanto pensava di potere portare, ma il ragazzo era più avido e disse: “Oh, prendine ancora; di certo possiamo riposare sia ora che dopo.” “Riposare!” disse il Nis. “Riposo! E cos‟è il riposo?” “Fai come ti dico”, rispose il ragazzo; “prendine ancora e ci riposeremo quando usciremo da qua.” Il Nis allora ne prese ancora ed andarono via. Ma, quando stavano giungendo alle terre di Thyrsting, il Nis fu stanco ed il ragazzo gli disse: “Ora riposiamo qui” ed entrambi sedettero a fianco di una collinetta. “Se avessi saputo” disse il Nis mentre erano seduti “se avessi saputo che il riposo era così bello avrei portato via tutto quello che c‟era nel granaio.” Poco tempo dopo accadde che il ragazzo ed il Nis non furono più amici ed un giorno il Nis era seduto sulla finestra del granaio con le gambe penzolanti nel cortile; il ragazzo corse verso di lui e lo fece cadere all‟indietro nel granaio. Ma il Nis si vendicò la notte stessa perché, quando il ragazzo andò a letto, lui lo portò via da dove dormiva e lo trascinò nudo com‟era in cortile, quindi pose due pezzi di legno di traverso sulla fonte e ve lo mise a giacere sopra aspettandosi che, quando il ragazzo si fosse risvegliato, sarebbe caduto giù per la paura e sarebbe annegato. Rimase però deluso, perché il ragazzo scese senza danni.

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Il Nis e la cavalla Nella città di Tirup viveva un uomo che aveva una bellissima cavalla bianca. Questa cavalla era stata ereditata per molti anni di padre in figlio come eredità di famiglia, perché attaccato ad essa vi era un Nis che portava fortuna al luogo. Questo Nis amava così tanto la cavalla da sopportare a fatica persino che venisse messa a fare un qualunque tipo di lavoro ed era solito andare lui stesso ogni notte a sfamarla con quanto c‟era di meglio; a questo scopo egli solitamente portava cereali in sovrabbondanza, sia battuto che nella paglia, preso dai granai dei vicini. Anche il resto degli animali ne traeva vantaggio ed erano tutti tenuti in condizioni eccellenti. Accadde infine che la fattoria passò nelle mani di un nuovo proprietario, che rifiutò di prestare fede a quello che gli veniva detto sulla cavalla, così la fortuna lasciò velocemente quel luogo ed andò con la cavalla dal suo povero vicino, che l‟aveva comperata. Entro cinque giorni dal suo acquisto, il povero contadino che aveva comprato la cavalla cominciò a scoprire che la sua situazione migliorava gradualmente, mentre le entrate dell‟altro diminuivano ogni giorno a tale velocità da rendere difficile fare incontrare le cime (in italiano “mettere assieme il pranzo con la cena”, n.d.t.). Ora, se l‟uomo che aveva preso la cavalla fosse solo riuscito a stare zitto e si fosse goduto i momenti felici che stavano arrivando per lui ed i suoi figli ed i figli dei suoi figli dopo di lui, sarebbe prosperato sempre più fino ad oggi. Ma, quando egli vide la quantità di cereali che ogni giorno arrivava al suo granaio, non seppe resistere al desiderio di dare un‟occhiata al Nis. Una sera, dunque, si nascose nella stalla al crepuscolo e, non appena venne la mezzanotte, vide come il Nis arrivava dal granaio del vicino portando con sé un sacco pieno di cereali. Fu inevitabile che il Nis vedesse l‟uomo che lo stava guardando; così, con segni evidenti di sofferenza, diede alla cavalla il suo cibo per l‟ultima volta, la pulì e la strigliò come

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meglio potè e, quando ebbe finito, si voltò verso il luogo in cui giaceva l‟uomo e gli disse addio. Da quel giorno in avanti le finanze di entrambi i vicini furono uguali, perché ognuno ora si teneva il suo.

La cavalcata del Nis In una fattoria c‟era un Nis che tormentava sempre le domestiche e giocava loro ogni sorta di scherzo ed esse in cambio progettavano sempre come vendicarsi. Una volta venne alla fattoria un mercante di bestiame dello Jutland e vi rimase per la notte. Tra i suoi animali vi era un bue dello Jutland molto grosso e, quando il Nis lo vide nella stalla, gli venne una enorme voglia di saltargli sopra e cavalcarlo. Montò quindi sul bue ed immediatamente cominciò a tormentarlo in maniera tale che egli fuggì dal recinto e scappò nel cortile con il Nis sulla schiena. Il povero Nis era davvero terrorizzato e cominciò ad urlare disperatamente. Le sue urla svegliarono le domestiche ma, invece di andare in suo aiuto, gli risero in faccia fin quando sembrava che si spezzasse loro il cuore. E quando il bue corse contro un pezzo di legno, tanto che lo sfortunato Nis ne ebbe tutto il cappuccio strappato, le domestiche gridarono e lo chiamarono: “Gamba zoppa, gamba zoppa” e lui se la diede a gambe in condizioni miserevoli. Ma il Nis non se ne dimenticò: la domenica seguente, quando le domestiche stavano andando ad un ballo, egli fece in modo, senza che loro lo sapessero, di annerire completamente i loro volti con la fuliggine, così che quando giunsero al ballo tutti scoppiarono a ridere alla loro vista.

I Nisses a Vosborg Un tempo vi era un numero enorme di Nisses nello Jutland. Quello a Vosborg, in particolare, venivano trattati con tanta generosità che erano attenti e solleciti oltre misura riguardo agli interessi dei loro “padroni”. Ogni mattina trovavano nel

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loro groute dolce una grossa porzione di burro e, in cambio, essi mostravano grande zelo e gratitudine. Durante un inverno particolarmente rigido, una casa in cui vi erano sei vitelli venne ricoperta di neve così tanto che per lo spazio di quattordici giorni nessuno potè entrarvi. Quando la neve se ne andò, la gente pensò naturalmente che i vitelli fossero tutti morti di fame; invece li trovarono in condizioni eccellenti, il posto pulito e le greppie piene di eccellenti cereali, tanto che era chiaro che i Nisses si erano occupati di loro. Ma il Nis, per quanto sia grato quando viene trattato bene, è certo che si vendica quando qualcuno fa qualcosa che lo disturbi e lo danneggi. Un giorno un Nis si stava divertendo correndo sul tetto della stalla delle mucche quando una delle assi cedette e la sua gamba ne fu imprigionata. Quando questo accadde, nella stalla vi era un ragazzo che, quando vide la gamba del Nis penzolare, prese una forca per letame e con essa diede un colpo sulla gamba. Alla sera, quando la gente della casa era seduta intorno alla tavola nella sala, il ragazzo continuava a ridere. Il fattore gli chiese perché ridesse ed il ragazzo rispose: “Oh! Ho dato un colpo tale al Nis, oggi, e gli ho dato una tale graffiata con la mia forca quando ha messo la gamba attraverso il soffitto!” “No,” urlò il Nis da fuori della finestra, “non mi hai dato un colpo ma tre, perché vi erano tre punte nella forca; ma te la farò pagare, ragazzo mio.” La notte seguente, mentre il ragazzo dormiva sodo, arrivò il Nis, lo prese e lo portò fuori in cortile, quindi lo fece volare sopra la casa e fu così veloce ad andare dall‟altra parte dell‟edificio che lo prese prima che cadesse a terra; immediatamente lo scagliò di nuovo e continuò così fin quando il ragazzo non ebbe fatto otto volte avanti e indietro sopra il tetto e la nona volta lo lasciò cadere in una grande pozza d‟acqua, quindi si mise a ridere così forte che tutte le persone del luogo si svegliarono. In Svezia nelle sere d‟estate talvolta si vede il Tomte che trascina lentamente e furtivamente una paglia o una pannocchia di mais. Un contadino, nel vederlo così impegnato, rise e disse: “Che differenza fa per te se porti via questo o

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nulla?” Il Tomte, seccato, lasciò la sua fattoria ed andò pressoil suo vicino; e con lui se ne andò tutta la prosperità da chi lo aveva preso in giro e si trasferì all‟altro contadino. Chiunque tratti l‟industrioso Tomte con rispetto e metteva da parte anche la più piccola paglia diveniva ricco e l‟ordine e la regolarità erano prevalenti nella sua casa. (a) NOTE (a) Afzelius, Sago Häfdar., ii. 169. La mattina di Natale, egli dice, i contadini danno al Tomte il suo salario, cioè un pezzo di panno grigio, tabacco ed una palata di argilla.

Necks, Tritoni e Sirene El Necken mer i flodens vågor quäder, Och ingen Hafsfru bleker sina kläder Pas böljans rygg i milda solars glans. Stagnelius. Il Neck non canta più sulle rive, e la Sirena non sbianca i suoi panni di lino sulle onde del mite raggio solare. E‟ opinione comune nel Nord che tutti i vari esseri del credo popolare furono un tempo vinti in un conflitto con poteri superiori e condannati a rimanere fino al giorno del Giudizio in certe dimore loro assegnate. I Dwarfs, o Troll delle Colline (Berg), vennero designati alle colline; gli Elfi ai boschi ed agli alberi fogliosi; il Popolo delle Colline (Högfolk (a)) a incavi e caverne; Tritoni, Sirene e Necks a mari, laghi e fiumi; l‟Uomo del Fiume (Strömkarl) alle piccole cascate. Sia i preti cattolici che quelli protestanti si sono sforzati di indurre avversione contro questi esseri, ma invano. Si pensa che essi possiedano grandi poteri sull‟uomo e sulla Natura e si crede che, per quanto ora siano infelici, saranno infine salvati o faa förlossning (otterranno la salvezza), come è detto.

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Il Neck (in Danese Nökke (b)) è lo spirito del fiume. Le idee che lo riguardano sono varie. Talvolta viene rappresentato come seduto nelle notti estive sulla superficie dell‟acqua, come un grazioso bambinetto con capelli dorati inanellati ed un cappello rosso in testa; talvolta come sovrastante l‟acqua sotto forma di un bel giovane uomo, ma con la parte inferiore del corpo come quella di un cavallo (c); altre volte come un vecchio con una barba lunga, dalla quale egli strizza fuori l‟acqua quando siede sulla scogliera. In quest‟ultima forma, secondo le saghe islandesi, si è talvolta rivelato Odino. Il Neck è molto severo nei confronti di qualunque domestica altezzosa che risponde in malo modo all‟amore del suo innamorato ma, se dovesse lui stesso innamorarsi di una fanciulla della razza umana, è il corteggiatore più gentile e sollecito. Nonostante egli sia così severo solo con coloro che lo meritano, tuttavia quando la gente del contado si trova sull‟acqua usa certe precauzioni contro il suo potere. I metalli, in particolare l‟acciaio, si crede che “leghino il Neck” (binda Necken); e quando vanno in mare aperto sono soliti mettere un coltello sul fondo della imbarcazione o piantare un chiodo in un giunco. In Sorveglia l‟incantesimo che segue viene considerato efficace contro il Neck: Nyk, nyk, naal i vatn! Jomfru Maria kastet staal i vatn Du sök, äk flyt! Neck, Neck, chiodo in acqua! La Vergine Maria getta acciaio nell‟acqua! Tu affondi, io galleggio! Il Neck è un bravo musicista. Siede sull‟acqua e suona la sua arpa dorata, la cui armonia opera su tutta la Natura. Per imparare da lui la musica una persona deve portargli un agnello nero e promettergli anche la resurrezione e la redenzione.

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La storia che segue viene raccontata in tutte le parti della Svezia. “Due ragazzi stavano giocando vicino ad un fiume che scorreva accanto alla casa del loro padre. Il Neck sorse, sedette sulla superficie dell‟acqua e suonò la sua arpa ma uno dei bambini gli disse: „A cosa serve, Neck, che tu ti sieda qui e suoni? Non verrai mai salvato.‟ Il Neck cominciò allora a piangere amaramente, gettò via l‟arpa e si tuffò sul fondo del fiume. I bambini andarono a casa e raccontarono tutta la storia al loro padre, che era il prete della zona. Egli disse che era sbagliato dire così al Neck e volle che ritornassero immediatamente al fiume per consolarlo con la promessa della salvezza. Così fecero e, quando giunsero al fiume dove il Neck era seduto sull‟acqua piangendo e lamentandosi, gli dissero: „Neck, non soffrire così; nostro padre dice che anche il tuo Redentore vive.‟ Il Neck prese allora la sua arpa e suonò molto dolcemente fino a quando il Sole non fu tramontato.” Questa leggenda si ritrova anche in Danimarca ma in una forma meno condivisibile. Si dice che un prete stava viaggiando una notte verso Roeskilde, in Zealand. La sua strada lo condusse presso una collina in cui vi erano musica, danze e grande allegria. Alcuni Nani ne fuoriuscirono improvvisamente, fermarono il carro e gli chiesero dove stesse andando. Egli rispose che andava al sinodo della chiesa. Gli chiesero se pensava che essi avrebbero potuto essere salvati ed a questo egli rispose che non poteva dare una risposta immediata. Allora lo pregarono di dare loro una risposta l‟anno seguente. Quando l‟anno seguente il prete ripasso e gli posero la stessa domanda, egli rispose: “No, siete tutti dannati.” Non appena ebbe finito di dire queste parole, l‟intera collina apparve in fiamme. In un‟altra forma di questa leggenda un prete dice al Neck: “Questo giunco che tengo in mano farà crescere dei fiori verdi prima che tu ottenga la salvezza.” Il Neck, addolorato, gettò via la sua arpa e pianse ed il prete continuò a viaggiare. Ma ben presto il suo giunco mise fuori foglie e boccioli e lui tornò a

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comunicare la lieta nuova al Neck, che suonò allora gioiosamente la sua arpa per l‟intera notte. (d) NOTE (a) Berg indica una grande altura, una montagna, una collina; Hög un‟altura, una collinetta. I Hög-folk sono Elfi e musici. (b) I contadini danesi del tempo di Wormius descrivevano il Nökke (Nikke) come un mostro con la testa umana che dimora sia nell‟acqua dolce che in quella salata. Quando qualcuno annegava si diceva che Nökken tog ham bort (il Nökke lo aveva portato via) e quando un annegato veniva trovato con il naso rosso si diceva che il Nikke lo aveva succhiato - Nikken har suet ham. - Magnusen, Eddalaere. La Danimarca è un paese senza corsi d‟acqua particolarmente grandi, pertanto nelle Danske Folkesagn non incontriamo leggende sui Nökke e nelle ballate, come The Power of the Harp, quello che in Svezia viene ascritto al Neck in Danimarca viene imputato al Havmand o Tritone. (c) Si crede che il Neck appaia anche sotto forma di un cavallo completo e possa essere fatto lavorare all‟aratro se si usa una particolare briglia. - Kalm's Vestgötha Resa. (d) Afzelius, Sago.bäfdar, ii. 156.

Il potere dell’arpa La piccola Kerstin piange nel pergolato tutto il giorno; Sir Peter nel suo cortile gioca felice. Amore del mio cuore! Dimmi perché soffri? “Soffri per la sella o soffri per la cavalcatura? O soffri perché ti sposo?” Amore del mio cuore, ecc. “Ed io non soffro per la sella o il cavallo; ed io non soffro perché ti sposo.” Amore del mio cuore, ecc. “Molto di più io soffro per i miei bei capelli biondi,

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che nelle onde blu dovranno essere macchiati oggi.” Amore del mio cuore, ecc. “Molto di più io soffro per l‟inondazione del Ringfalla, in cui sono annegate le mie due fiere sorelle.” Amore del mio cuore, ecc. “Mi venne predetto nell‟infanzia che il giorno delle mie nozze sarebbe stato per me pesante.” Amore del mio cuore, ecc. “Ed io farò loro lo zoccolo tondo al cavallo, egli non inciamperà nei suoi quattro ferri d‟oro.” Amore del mio cuore, ecc. “Dodici dei miei cortigiani cavalcheranno davanti a te, dodici dei miei cortigiani ad ogni lato.” Amore del mio cuore, ecc. Ma quando furono giunti al bosco di Ringfalla videro furtivo un cervo maschio con le corna dorate. Amore del mio cuore, ecc. E tutti i cortigiani sono andati dietro al cervo; la piccola Kerstin deve procedere sola. Amore del mio cuore, ecc. E quando sul ponte di Ringfalla ella giunge il suo cavallo inciampa nei suoi quattro ferri d‟oro. Amore del mio cuore, ecc. Quattro ferri d‟oro e trenta chiodi d‟oro E la fanciulla cade nel rapido fiume. Amore del mio cuore, ecc. Sir Peter parlò al suo paggio così: “Devi andare subito a prendere la mia arpa d‟oro.” Amore del mio cuore, ecc. Il primo colpo sulla sua arpa d‟oro egli diede, l‟orribile Neck sedette a ridere sull‟onda. Amore del mio cuore, ecc. La seconda volta egli sfiorò l‟arpa d‟oro, l‟orribile Neck sedette sull‟onda e pianse. Il terzo colpo sull‟arpa d‟oro risuonò, la piccola Kerstin stese il suo candido braccio verso l‟alto. Amore del mio cuore, ecc.

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Egli tolse la corteccia dagli alti alberi; egli prese la piccola Kerstin sulle sue ginocchia. Amore del mio cuore, ecc. Ed il Neck uscì dalle onde ed andò là Ed una fiera fanciulla in ogni braccio portava. Amore del mio cuore, ecc. Dimmi perché soffri? (a) Lo Strömkarl, chiamato in Norvegia Grim o Fosse-Grim (b) (Grim della Cascata) è un genio musicale simile al Neck e, come lui, quando viene propiziato adeguatamente comunica la sua arte. Il sacrificio consiste in un agnello nero (c) che l‟offerente deve presentare con la testa voltata da una parte ed il giovedì sera. Se l‟allievo è povero non arriva oltre all‟accordo degli strumenti; se è grasso lo Strömkarl afferra il seguace per la mano destra e lo fa oscillare avanti e indietro fin quando il sangue scorre dalle punte delle dita. L‟aspirante è allora in grado di suonare in una maniera così prodigiosa che gli alberi danzano e le cascate si fermano alla sua musica. (d) L‟Havmand, o Tritone, viene descritto di forma attraente, con capelli e barba verdi o neri. Dimora o sul fondo del mare o nelle scogliere e nelle colline vicino alla riva del mare e viene considerato un tipo di creatura piuttosto buono e benevolo. (e) La Havfrue, o Sirena, viene rappresentata nella tradizione popolare come talvolta buona ed altre volte come una creatura maligna e traditrice. Il suo aspetto è bello. Talvolta i pescatori la vedono nel luminoso Sole estivo, quando una sottile nebbia aleggia sul mare, seduta sulla superficie dell‟acqua mentre pettina i suoi lunghi capelli dorati con un pettine d‟oro o mentre guida il suo bestiame candido al pascolo sulle rive delle piccole isole. Altre volte ella appare come una bella fanciulla, gelata e tremante per il freddo della notte, accanto ai fuochi che i pescatori hanno acceso nella speranza di adescarli. (f) La sua apparizione presagisce tempesta e sfortuna nella pesca. La gente che è annegata i cui corpi non sono stati ritrovati si crede sia stata portata nelle dimore delle Sirene. Si suppone anche che questi esseri abbiano il potere di

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predire gli eventi futuri. Si dice che una Sirena profetizzò la nascita di Christian IV di Danimarca e En Havfrue op af Vandet steg, Og spaade Herr Sinklar ilde. Sinclar's Visa. Una Sirena emerse dall‟acqua E predisse il male a Sir Sinclair. In tutti i paesi la predizione della sorte è sempre stata considerata un dono della gente del mare. Non c‟è bisogno di citare le profezie di Nereo e Proteo. Una volta una ragazza cadde in potere di una Havfrue e passò quindici anni nella sua dimora sottomarina senza mai vedere il Sole. Alla fine suo fratello andò giù a cercarla ed ebbe successo nel riportarla nel mondo di superficie. La Havfrue attese sette anni il suo ritorno ma quando ella non ritornò lei colpì l‟acqua con il suo bastone, la fece diventare bollente e urlò: Hade jag trott att du varit så falsk, Så skulle jag kreckt dig din tiufvehals! Se solo avessi saputo che saresti stata così falsa, avrei spezzato il tuo collo da ladra. (g) NOTE (a) Come viene cantato in Gothland Ovest e Vermland. (b) Fosse è l‟Inglese del Nord force. (c) O un bambino bianco, Faye, vedi Grimm, Deut. Mythol., pag. 461. (d) Lo Strömkarl ha undici diversi ritmi, solo dieci dei quali possono essere ballati dalla gente; l‟undicesimo appartiene allo spirito della notte, suo ospite. Se qualcuno lo suonasse i tavoli e le sedie, i contenitori e le coppe, i vecchi uomini e le vecchie donne, i ciechi e gli zoppi ed anche i bambini in culla comincerebbero a danzare. - Arndt. ut sup.,

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(e) In Danske Viser and Folkesagn vi sono alcune storie di Tritoni, come Rosmer Havmand e Marstig's Daughter, entrambe tradotte dal Dr. Jamieson, e Agnete and the Merman, che somiglia a Proud Margaret. Era naturale, dice Afzelius, che quello che in Svezia veniva posto in relazione ad un Re delle Colline in Danimarca fosse ascritto ad un Tritone. (f) L‟apparizione della Donna dei Boschio (Skogsfru) o Donna Elfo è ugualmente sfortunata per i cacciatori. Anch‟ella si avvicina al fuoco e cerca di sedurre i giovani uomini. (g) Arvidsson, ii. 320, vedi Grimm, pag. 463.

Il Duca Magnus e la Sirena Il Duca Magnus guardò fuori dalla finestra del castello come il fiume scorreva rapidamente e là vide come sull‟acqua sedeva una donna splendida e adorabile; Duca Magnus, Duca Magnus, promettiti a me, io ti prego ancora liberamente, non dirmi no ma sì, sì! “O, a te darò una nave viaggiante, la migliore che un cavaliere guiderebbe; essa va sull‟acqua come sulla terraferma e attraverso gli ampi campi.” Duca Magnus, ecc. “O, a te darò un grigio destriero, il migliore che un cavaliere cavalcherebbe; essa va sull‟acqua come sulla terraferma e attraverso i vasti boschi.” Duca Magnus, ecc. “O, come potrei promettermi a te? Io non ho mai requie; servo il re e la mia terra natia ma con donna mai mi sono ancora unito.” Duca Magnus, ecc. “A te darò tanto oro

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che durerà più della tua vita; e di perle e pietre preziose manciate, e tutto sarà puro.” Duca Magnus, ecc. “Se tu fossi stata della razza dei cristiani; ma ora sei un vile Troll marino, il mio amore mai potrai conquistare.” Duca Magnus, ecc. “Duca Magnus, Duca Magnus, rifletti bene e non rispondere così altezzoso; perché se non ti prometterai a me sarai per sempre pazzo.” Duca Magnus, ecc. “Io sono il figlio prediletto del re, come potresti conquistarmi? Tu non dimori sulla terra ma nelle acque, che non andranno mai d‟accordo con me.” Duca Magnus, Duca Magnus, promettiti a me, io ti prego ancora liberamente, non dirmi no ma sì, sì! (a) NOTE (a) Questa ballata è dello Småland. Magnus era il figlio più giovane di Gustavus Vass. Morì pazzo ed è noto che la pazzia pervase la famiglia Vass per secoli.

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Le Fate Nordiche

En sång om strålende Valhalla, Om Gudar och Gudinnar alla. Tregner. Un canto sulle luminose dimore del Valhall, (le dimore) delle Dee e degli Dei. L‟antica religione della Scandinavia e probabilmente dell‟intera razza Goto-Germanica consisteva, come tutti gli altri sistemi inventati dall‟uomo (opinione dell‟autore, n.d.t.), in personificazioni dei vari poteri della Natura e delle facoltà mentali. Di questo sistema nella sua pienezza e perfezione non possediamo documentazione. E‟ solo dai poemi dell‟Edda antica o poetica (a), dalle narrazioni dell‟Edda posteriore o in prosa e dalle varie saghe o storie scritte in lingua islandese (b) che possiamo ottenerne una conoscenza. L‟Edda poetica o Edda di Saemund fu, si crede generalmente, raccolta verso la fine dell‟XI o l‟inizio del XII secolo da un Islandese di nome Seamund Hinns Fròda, Il Saggio. Consiste in diversi canti mitologici e storici prodotti dagli antichi Skaldi, o poeti, tutti o in gran parte composti prima dell‟introduzione del cristianesimo nel Nord. Il ritmo di questi venerabili canti è la rima allitterata e spesso presentano bellezze poetiche di alto carattere che colpiscono. (c) L‟Edda in prosa si crede essere stata compilata nel XIII secolo da Snorri Sturleson, il famoso storico norvegese. Si tratta di una storia degli Dei e delle loro gesta che forma i canti dell‟Edda poetica e di altri antichi poemi, di cui diverse stanze sono incorporato in essa. Al di là alla prefazione ed alla conclusione, essa consiste di due parti principali,: la prima è il Gylfaginning (L’Inganno di Gylfa) o Hárs Lygi (Har cioè Odino, La Narrazione di Odino) e la Braga-raedur (La Narrazione di Braga), ognuna delle quali si divide in diverse

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semi-saghe o Storie Illustranti; la seconda viene chiamata Kenningar o lista dei nomi poetici e delle perifrasi. (d) Il Gyfla-ginning narra che Gyfla, re di Svezia, colpito dalla saggezza e dal potere degli Aeser (e), come venivano chiamati Odino ed il suo seguito, viaggiò sotto le spoglie di un vecchio e sotto il nome fittizio di Ganglar fino ad Asgard, residenza principale degli Dei, per indagare sulla profondità della loro saggezza. Consapevoli del suo progetto, gli Aeser con la loro arte magica fecero sorgere davanti a lui uno splendido ed elevato palazzo il cui tetto era formato da scudi d‟oro. All‟entrata egli trovò un uomo che stava lanciando e riprendendo delle spade, sette delle quali erano in aria nel medesimo istante. Quest‟uomo chiede allo straniero il suo nome e lo conduce nel palazzo, dove Ganglar vede molte persone bere e scherzare e tre troni, ognuno posto più in alto dell‟altro. Sui troni sedevano Har (Alto), Jafnar (Ad eguale altezza) e Thridi (Terzo). Ganglar chiede se sia presente qualcuno dotto e saggio. Har risponde che lui non se ne andrebbe sano e salvo se avesse una conoscenza maggiore della loro. (f) Ganglar comincia allora le sue interrogazioni, che comprendono una varietà di soggetti astrusi e si estendono dalla creazione alla fine di tutte le cose. Ad ognuna riceve una risposta soddisfacente. All‟ultima risposta Ganglar ode un forte suono come di sfregamento: l‟illusione magica svanisce improvvisamente ed egli si ritrova da solo in una vasta pianura. Il Braga-raedur è il discorso di Braga ad Aegir, il Dio del Mare, al banchetto degli Immortali. Questa parte contiene molte storie di Dei ed antichi eroi, le cui avventure sono state cantate dagli Skaldi, di alta fama ed elevato genio. Nonostante entrambe le Edda siano state compilate da cristiani, pare non esserci motivo di sospettare che i compilatori abbiano falsificato o interpolato la mitologia dei loro antenati (questo credeva all‟epoca il cristianissimo autore di questo libro, mentre nella realtà si sa bene oggi che l‟Edda in prosa è stata pesantemente interpolata con nozioni cristiane ben lontane da quelle originali pagane e dovute unicamente al

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compilatore, Sturluson; n.d.t.) L‟Edda di Seamund può essere considerata come un‟antologia dell‟antica poesia scandinava e l‟autore dell‟Edda in prosa (che è chiaro non abbia sempre compreso il vero significato delle storie che riferiva) la scrisse come un pantheon nordico ed un Gradus ad Parnassum per fornire ai poeti avvenimenti, abbellimenti ed epiteti. Fortunatamente fecero così, altrimenti l‟antica religione dei Goti sarebbe ora avvolta nelle tenebre più impenetrabili. Oltre all‟Edda, molte informazioni ci giungono dalle varie saghe o storie nordiche. Queste saghe talvolta trasmettono reali eventi storici ed altre volte contengono narrazioni romantiche e conservano molto della preziosa tradizione mitica; Ynglinga, Volsunga, Hervarar ed altre saghe forniscono molti tratti importanti della mitologia nordica. Non intendiamo qui cercare di sondare le profondità della mitologia eddica, una materia così oscura e riguardo a cui vi sono molte diverse opinioni nelle opere di coloro che se ne sono occupati. E‟ sufficiente osservare che essa parla delle epoche più remote e che le sue due parti essenziali sono gli Alfar (Alfs o Elfi) ed i Duergar (Dwarfs o Nani), due classi di esseri i cui nomi permangono al giorno d‟oggi in tutte le lingue delle nazioni discese dalla razza Goto-Germanica. “I nostri antenati pagani” dice Thorlacius (g) “credevano, come i Pitagorici, e più si va nell‟antichità e più la credenza era ferma, che l‟intero mondo fosse pieno di spiriti di vario genere cui essi ascrivevano in generale la stessa natura e le stesse proprietà che i Greci davano ai loro Demoni. Si dividevano nei Celesti e nei Terrestri a seconda del luogo in cui dimoravano. I primi erano, secondo le concezioni di quei tempi, di natura buona ed elevata ed erano ben disposti nei confronti degli umani, per cui ricevevano il nome di Alfs o Spiriti Bianchi o Luminosi. I secondi, al contrario, che non venivano classificato per le loro dimore in aria, nel mare e nella terra, non venivano considerati in una luce così favorevole. Si credeva che essi, in particolare quelli della terra, i δαίμονες έπιχθόνιοι dei Greci, cercassero costantemente ed in ogni occasione di tormentare o fare del male all‟umanità e che dimorassero parzialmente sulla

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terra in grandi e fitti boschi, per cui venivano chiamati Skovtrolde (Trolls dei Boschi), o in altri luoghi deserti e solitari, ed in parte dentro e sotto il terreno o nelle rocce e nelle colline; questi ultimi venivano chiamati Bjerg-Trolde (Trolls delle Colline). Ai primi, a causa della loro diversa natura, veniva dato il nome di Dverge (Dwarfs) ed Alve, da cui la parola Ellefolk che esiste ancora in lingua danese. Questi Demoni, particolarmente quelli sotterranei, venivano chiamati Svartálfar, cioè Spiriti Neri e, siccome facevano dei danni, Trolls.” Questo coincide con quanto si trova nella Edda, eccetto che in essa pare esservi qualche base per una distinzione tra i Dwarfs e gli Elfi Oscuri. (i) NOTE (a) Edda significa “nonna”. Alcuni la considerano il femminile di othr, o odr, saggezza. (b) Questa lingua viene chiamata così perchè viene tuttora parlata in Islanda. Il nome corretto sarebbe Norraena Tunga (lingua norrena). Era la lingua comune di tutto il Nord. (c) Vedi Tales and Popular Fictions, cap. ix. (d) Venne pubblicata per la prima volta da Resenius nel 1665. (e) Per Aeser alcuni interndono gli Asiatici, che con Odino portarono le loro arti e la loro religione in Scandinavia, Questa derivazione della parole è tuttavia piuttosto dubbiosa. Pur essendo possibile che la popolazione e la religione della Scandinavia siano venuti in origine dall‟Asia, pare non esserci alcuna ragione per collegarla alla leggenda di Odino. Non è impossibile che il nome dei loro Dei, Aeser, abbia dato origine all‟intera teoria. Da notare che anche gli antichi Etruschi hanno chiamato gli Dei Aesar. (f) Così il lötunn, o Gigante Vafthrudnir a Odino nel Vafthrudninual, strofa vii. (g) Thorlacius, Noget om Thor og hans Hammer, nello Skandinavisk Museum per il 1803. (h) Thorlacius, ut supra, dice che Thor il Tonante veniva considerato particolarmente nemico degli Skovtrolda, contro

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cui usava sempre la sua possente arma. Egli pensa che il Bidental dei Romani ed i riti ad esso connessi paiono supporre una credenza simile e che in quel notissimo passaggio di Orazio Tu parum castis inimica mittes Fulmina lucis le parole parum castis lucis possano significare boschetti o parti di boschi, rifugio di spiriti impuri o Skovtrolds, satyri lascivi et salaces. La parola Trold verrà spiegata più sotto. (i) Gli Alfs Oscuri erano probabilmente diversi dai Duergar, tutta via la lingua dell‟Edda in prosa in alcuni punti porta ad una confusione tra loro. Il seguente passaggio, tuttavia, pare essere decisivo: Náir, Dvergar Ok Döck-A'lfar. Hrafna-Galdr Othins, xxiv. 7. Fantasmi, Dwarfs E Alfs Oscuri. La letteratura scandinava appare unanime nel considerarli la stessa cosa. Grimm, tuttavia, concorda con noi nel vedere il Döck-Alfar distinto dal Duergar. La dimora di quest‟ultimo viene chiamata Svartálfaheimr, il che fa pensare che lo Svartálfar ed il Duergar fossero la stessa cosa. - Deutsche Mythologie, pag. 413, seq.

Gli Alfar Ther ro meth Alfum. Brynhildar Quida. Loro sono con gli Alfs. Nell‟Edda in prosa Ganglar chiede se la città dove dimorano le Nornir (Norne) sia presso la fonte di Urdar sotto il Frassino Yggdrasil (a). Hàr risponde: “Vi sono molte belle città, qui. Là vi è la città chiamata Alf-heim, dove dimora la gente che viene chiamata Liosàlfar (Elfi

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della Luce). Ma i Döckálfar (Elfi Oscuri) dimorano sottoterra e sono diversi da loro come aspetto e sono ancora più diversi nelle azioni. I Liosálfar hanno un aspetto candido più del Sole, mentre i Döckálfar sono più neri della pece.” (b) Le Nornir, le Parcae o Destini della mitologia scandinava sono strettamente collegate agli Alfar. “Molte belle città vi sono nei Cieli” dice Hàr “e la protezione divina è su tutte. Vi è una città sotto il frassino accanto alla fonte e dalle sue sale escono tre fanciulle che sono così chiamate: Urd, Verthandi, Skulld (Passato, Presente, Futuro). Queste fanciulle plasmano la vita dell‟uomo. Noi le chiamiamo Nornir. Ma vi sono molte Nornir; quelle che vanno da ogni bambino che nasce per plasmare la sua vita sono della razza degli Dei; ma altre sono della razza degli Alfs e le terze della razza dei Dwarfs. Come è qui espresso Figli sani io prego le Nornir che diano – la stessa razza esse non hanno, alcune sono della stirpe degli Aeser, alcune sono della stirpe degli Alf, alcune sono figlie di Dualin” (cioè dei Dwarfs). “Allora”, disse Ganglar “se le Nornir dirigono il destino futuro degli uomini lo formano in maniera molto ineguale. Alcuni hanno una vita bella e ricca, ma altri hanno poca ricchezza e poca gloria, alcuni hanno una vita lunga ed altri corta.” “Le buone Nornir di buona discendenza” disse Hàr “formano una bella vita; ma coloro che incontrano la sfortuna è causata dalle Nornir maligne.” Queste Nornir somigliano notevolmente alle classiche Parcae (Parche) ed alle Fate del medioevo. Vengono rappresentate come assistenti alla nascita di personaggi eminenti, che elargiscono doni per il bene o per il male e che predicono il destino futuro di qualcuno che è appena entrato nell‟esistenza. (c) Questo attributo delle Fate potrebbe derivare dal Nord o

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dal Sud, ma certamente queste due zone non hanno prestato l‟una all‟altra questo principio. In merito all‟origine della parola Alf non si trova nulla di soddisfacente. Alcuni pensano che sia affine al latino albus, bianco; altri ad alpes, le Alpi, montagne. Si suppone anche una connessione misteriosa tra essa e la parola Elf o Elv, che nelle lingue nordiche significa acqua, un‟analogia che si pensa corrispondesse a quella tra il latino Nympha e Lympha. Entrambe le relazioni, tuttavia, sono forse più fantasiose che corrette. In merito alla derivazione di Alf, come abbiamo appena osservato, non si sa nulla di certo (d) ed il significato originale di Nympha appare essere quello di una donna appena sposata (e) e quindi di una giovane sposabile. Veniva applicato ai supposti abitanti delle montagne, dei mari e dei corsi d‟acqua in base allo stesso principio per cui le nazioni nordiche davano loro l‟appellativo di uomini e donne, in quanto immaginavano che la loro forma somigliasse a quella umana. Qualunque sia la sua origine, la parola Alf è continuata fino ad oggi in tutte le lingue teutoniche. I Danesi hanno Elv, pl. Elve; gli Svedesi Elf, pl. Elfvar m., Elfvor f; e le parole Elf-dans ed Elf-blaest, insieme ad Olof ed altri nomi propri, derivano da esse. I Tedeschi chiamano l‟incubo Alp e nei loro antichi poemi incontriamo Elbe ed Elbinne, ed Elbisch vi appare nel senso negativo dell‟elvish (elfico) di Chaucer e dei nostri antichi romanzieri; e diversi nomi propri, come as Alprecht, Alphart, Alpinc, Alpwin (f) sono stati formati a partire da quel termine indubitabilmente prima che esso assumesse l‟attuale senso negativo. (g) Tra gli Anglosassoni appare spesso Aelp o Aelpen, con il suo femminile e plurale. Le Oreadi, Naiadi ed Amadriadi dei Greci e dei Romani vengono rese, nel glossario anglosassone, come Munt-alpen, rae-aelpen, e pelb-alpen (h). Aelp è una componente dei nomi propri Aelfred e Aelfric e l‟autore del poema di Judith dice che la sua eroina era Aelp-rcine (Elf-sheen), cioè luminosa o bella come un Elfo. Ma sul carattere e sulle azioni degli Elfi non è stata preservata alcuna tradizione nella letteratura anglosassone. Nella lingua inglese

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Elf, Elves e i loro derivati si ritrovano in ogni periodo, dalla loro prima formazioni fino ad oggi. NOTE (a) Il frassino Yggdrasil è il simbolo dell‟universo, la fonte Urdar è la fonte della luce e del calore che lo rinvigorisce e lo alimenta. Una buona rappresentazione di questo mito viene data nell‟edizione di Mr. Bohn del “Northern Antiquities” di Malet, che raccomando al lettore di consultare. (b) Questo Grimm (ut sup.) lo considera un errore dello scrittore, che ha confuso il Döck e lo Svartálfar. (c) Vedi Tales and Popular Fictions, pag. 274 (d) La analogia tra il Deev ed altre parole simili può portare a supporre che Spirito fosse il significato primario di Alf. (e) Vedi Mythology of Greece and Italy, pag. 248, seconda edizione. (f) Dopo l‟introduzione del cristianesimo Engel, angelo, venne impiegato al posto di Alp in molti nomi propri, come Engelrich, Engelhart, ecc. (g) Vedi la dotta introduzione dei signori Grimm alla loro traduzione di Irish Fairy Legenda e la Deutsche Mythologie di J. Grimm. (h) I signori Grimm suppongono che molto probabilmente queste siano combinazioni formate per tradurre i termini greci e non siano espressione di una credenza in analoghe classi di spiriti.

I Duergar By ek fur jőrth nethan, A ek, undir stein, stath. Alvis-Mal. Io dimoro sotto la terra, io possiedo sotto la pietra il mio sedile.

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Questi esseri minuti che dimorano in rocce e colline e si distinguono per la propria abilità nella metallurgia sembrano essere caratteristici della mitologia Goto-Germanica (a). Forse il più probabile racconto su di essi è che si tratti di personificazioni delle potenze sotterranee della Natura in quanto, si potrebbe ancora osservare, tutte le parti dell‟antica mitologia non sono altro che forze personificate, attributi e qualità morali. L‟Edda descrive così la loro origine: “Allora gli Dei sedettero sui loro scranni e tennero consiglio e richiamarono alla mente come il Duergar fosse divenuto animato nell‟argilla sotto la terra, come vermi nella carne. Il Duergar è stato prima creato ed ha preso vita nella carne di Ymir (b) ed in essa vi erano dei vermi; per volontà degli Dei essi divennero partecipanti alla conoscenza umana ed ebbero le sembianze di uomini, e tuttavia dimorano nel terreno e nelle pietre. Modsogner fu il primo di essi, quindi Dyrin.” I Duergar vengono descritti di bassa statura, con gambe corte e braccia lunghe che raggiungono quasi il terreno quando stanno eretti. (c) Sono abili ed esperti artigiani dell‟oro, argento, ferro e degli altri metalli. Formano molte cose splendide e straordinarie per gli Aeser e per gli eroi mortali e le armi e le armature che provengono dalle loro forge non hanno eguali. Tuttavia i loro doni devono provenire spontaneamente, perché la sfortuna accompagna quelli estorti loro con la violenza. (d) Un‟illustrazione del loro carattere si ritrova nei seguenti racconti tratti dall‟Edda e dalle saghe. La veste famigliare in cui vengono dipinti si spera non dispiacerà ai lettori di buon gusto. Noi forniamo la copia più esatta che possiamo degli originali in tutta la sua rozzezza. Le storie sono antiche, la loro data è sconosciuta e pertanto richiedono rispetto. E‟ tuttavia difficile trattenere un sorriso nel ritrovare termini familiari, quando non quasi comuni, (e) applicati ai grandi poteri superni della Natura, come si vede nella storia dall‟Edda che segue.

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NOTE (a) Alcuni pensano senza motivo che fossero originariamente parte della mitologia finlandese e vennero adottati nel sistema gotico. (b) Il gigante Ysnir è una personificazione del Caos, la materia primaria indigerita. I figli di Börr (altre personificazioni) lo smembrarono. Con le sue membra formarono il mondo: il suo sangue formò il mare; la sua carne la terra; le sue ossa le montagne; rocce e scogliere erano i suoi denti, le mascelle e pezzi rotti di ossa; il suo cranio formò i cieli. (c) Gudmund Andreas in Notis ad Völsupá. (d) Che essi non siano insensibili alla gentilezza verrà mostrato in una delle storie che seguono. (e) Il lettore abituale degli scrittori nordici e tedeschi o anche dei nostri antichi inglesi osserveranno con sorpresa la diminuzione graduale di interesse per molte espressioni ora divenute comuni. Egli si ritrova impercettibilmente a cadere nell‟abitudine di considerare le spine alla luce della loro dignità premeva.

Loki ed il Dwarf

Loki figlio di Laufeiar aveva per scherzo tagliato tutti i capelli a Sif. Quando Thor lo scoprì afferrò Loki ed avrebbe spezzato ogni osso del suo corpo ma lui giurò di fare fare agli Svartàlfar dei capelli d‟oro per Sif, che sarebbero cresciuti come i capelli normali. Loki andò quindi da quei Dwarfs che vengono chiamati figli di Ivallda. Essi prima fecero i capelli, che non appena vennero messi sulla testa crebbero come capelli naturali; quindi la nave Skidbladni (a), che aveva sempre con sé il vento dovunque navigasse; e, terzo, la lancia Gugner, che colpisce sempre in battaglia. Allora Loki scommise la propria testa con il Dwarf Brock che suo fratello Eitri non sarebbe stato in grado di forgiare tre cose di valore come quelle. Essi andarono alla forgia, Eitri pose la

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pelle di maiale (mantice) sul fuoco e disse a suo fratello Brock di soffiare e di non spegnere il fuoco fin quando lui non avesse tirato via le cose che vi aveva messo dentro.

E quando fu andato fuori dalla forgia, mentre Brock stava soffiando, arrivò una mosca che si posò sulla sua mano e lo morse; ma lui soffiò senza fermarsi fin quando il fabbro non prese via l‟opera dal fuoco; ed era un verro e le sue setole erano d‟oro. Mise quindi dell‟oro nel fuoco e lo avvertì di non smettere di soffiare fin quando lui non sarebbe tornato. Andò via, quindi arrivò la mosca che si posò sul suo collo e lo morse più forte di prima; ma lui continuò a soffiare fin quando il fabbro tornò e e prese fuori dal fuoco l‟anello d‟oro chiamato Drupner (b). Allora mise nel fuoco del ferro e gli disse di soffiare e disse che se avesse smesso di soffiare l‟intero lavoro sarebbe stato perduto. La mosca si posò ora tra i suoi occhi e morse così forte che il sangue gli colò negli occhi, così che lui non poteva

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vedere; così posò il mantice e prese la mosca in tutta fretta e le strappò via le ali; ma giunse allora il fabbro e disse che tutto quello che era nel fuoco era stato quasi rovinato. Prese quindi fuori dal fuoco il martello Mjölner (c), diede tutti gli oggetti a suo fratello Brock e gli ordinò di andare con loro ad Asgard e di arbitrare la contesa. Anche Loki produsse i suoi gioielli e presero Odino, Thor E Frey come giudici. Allora Loki diede ad Odino la lancia Gugner ed a Thor i capelli che Sif doveva avere ed a Frey Skidbladni, e narrò le loro virtù come gli erano state raccontate. Brock prese fuori i suoi gioielli e diede ad Odino l‟anello e disse che ogni nona notte esso avrebbe fatto colare da se stesso altri otto anelli del suo stesso valore. A Frey diede il verro e disse che avrebbe corso attraverso l‟aria e l‟acqua, di notte e di giorno, meglio di qualsiasi cavallo e che non vi sarebbe mai stata notte così oscura che la strada da lui percorsa non fosse stata illuminata dal suo fianco. Diede a Thor il martello e disse che non avrebbe mai fallito nel colpire un Troll e che non avrebbe mai mancato alcun bersaglio contro cui lui lo avesse lanciato; e non avrebbe mai potuto volare così lontano da non ritornare da solo alla sua mano; e, quando lui avesse voluto, sarebbe diventato così piccolo da poterselo mettere in tasca. Ma il difetto del martello era il manico troppo corto. Il loro giudizio fu che il martello era il migliore e che il Dwarf aveva vinto la sfida. Allora Loki scongiurò di non perdere la sua testa, ma il Dwarf disse che non poteva essere. “Prendimi, allora” disse Loki; e quando egli andò per prenderlo lui era già lontano, perché Loki possedeva delle scarpe con cui poteva correre attraverso l‟aria e l‟acqua. Il Dwarf pregò perciò Thor di prenderlo e Thor lo fece. Il Dwarf andò quindi per tagliargli la testa, ma Loki disse che avrebbe dovuto prendere solo la testa e non il collo. Il Dwarf prese allora un coltello ed una sferza ed andò per sigillare la sua bocca; ma il coltello non era buono ed il Dwarf desiderò di avere lì il punteruolo del fratello. Non appena lo desiderò, esso apparve e lui cucì assieme le labbra di Loki. (d)

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Gli studiosi di miti nordici spiegano così questa antichissima storia: Sif è la terra e la moglie di Thor, il cielo o l‟atmosfera; i suoi capelli sono gli alberi, i cespugli e le piante che ornano la superficie della terra. Loki è il Dio del Fuoco che si diletta nel fare danni, bene servit, male imperat. Quando, a causa del troppo calore, bruciò i capelli di Sif, il marito lo obbligò ad un calore così temperato da riscaldare lil fango della terra in modo che i prodotti premevi potessero spuntare più belli che mai. Il verro viene dato a Frey, che con la sorella Freya è Dio della fecondità vegetale ed animale, ed il popolo nordico offriva quell‟animale – così come facevano gli Italiani – alla terra. Il fatto che Loki portasse doni fatti dal popolo sotterraneo indica la credenza che i metalli fossero preparati dal fuoco sotterraneo e forse la forgiatura del martello di Thor, il mitico simbolo del tuono, da parte di un demone terrestre su un‟incudine sotterranea può suggerire che la causa naturale del tuono va ricercata nella terra. NOTE (a) Skidbladni, come la tenda di Pari Banou, può espandersi e contrarsi a piacere. Può portare tutti gli Aeser e le loro armi e, quando non è in uso, può disgiungere i suoi pezzi ed essere messa in una borsa. “Una buona nave” dice Ganglar “è Skidblani, ma grande arte deve essere stata usata nel farla.” Gli studiosi del mito dicono che rappresenti le nuvole. (b) i. e. il Dripper. (c) i. e. il Frantumatore o l‟Annientatore, da Myla, frantumare o annientare. (d) Edda Resenii, Daemisaga 59.

Thorston ed il Dwarf Quando venne la primavera, Thorston approntò la su nave e vi mise a bordo ventiquattro uomini. Quando arrivarono a Vinland la trascinarono nella selva ed ogni giorno lui andava sulla riva per divertirsi.

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Un giorno giunse ad una parte aperta del bosco, dove vide una grande roccia ed a poca distanza da essa un Dwarf orribilmente brutto che stava guardando sopra la sua testa con la bocca spalancata; e parve a Thorston che la sua bocca fosse grande da orecchio ad orecchio e che la mascella inferiore arrivasse fino alle sue ginocchia. Thorston gli chiese perché stesse agendo così scioccamente. “Non essere sorpreso, mio buon ragazzo” rispose il Dwarf; “non vedi il grande drago che sta volando lassù? Ha rapito mio figlio ed io credo che Odino stesso abbia mandato quel mostro a quello scopo. Ma io morirò se perderò mio figlio.” Allora Thorston tirò al drago e lo colpì sotto un‟ala, così che cadde morto a terra. Thorston prese il figlio del Dwarf in aria e lo portò a suo padre. Il Dwarf era molto felice, più di quanto si possa dire, e disse: “Io devo ripagarti di un grosso bene, perché tu mi porti mio figlio; ed ora scegli la tua ricompensa in oro ed argento.” “Pensa a tuo figlio”, disse Thorston “io non sono solito prendere ricompense per i miei servigi.” “Non sarebbe giusto che io non ti ricompensassi” disse il Dwarf; “la mia camicia di lana di pecora, che ti darò, pare un dono disprezzabile, ma non sarai mai stanco quando nuoterai né sarai ferito se la indosserai vicino alla tua pelle.” Thorston prese la camicia e se la mise ed era di taglia perfetta, anche se appariva troppo corta per il Dwarf. Il Dwarf allora prese un anello d‟oro dal suo borsello e lo diede a Thorston, dicendogli di averne molta cura e che fin quando avesse avuto quell‟anello non gli sarebbe mai mancato il denaro. Prese quindi una pietra nera e la diede a Thorston dicendo: “Se nasconderai questa pietra nel palmo della mano nessuno ti vedrà. Non ho molte altre cose da offrirti o che possano essere preziose per te; tuttavia, ti darò una pietra del fuoco per il tuo divertimento.” Prese quindi la pietra fuori dal borsello con una punta d‟acciaio. La pietra era triangolare, bianca su un lato e rossa sull‟altro ed intorno aveva un bordo giallo. Il Dwarf disse allora: “Se pungi la pietra con la punta dal lato bianco verrà una tempesta di grandine tale che nessuno sarà in grado di

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guardarla; ma se vuoi fermarla, devi solo pungere la zona gialla e verrà così tanto Sole che tutta la grandine si scioglierà. Ma se dovessi pungere il lato rosso, allora arriverà tanto fuoco, con scintille e crepitio, che nessuno sarà in grado di guardarlo. Grazie a questa punta ed a questa pietra potrai anche ottenere tutto ciò che vuoi, che arriverà da solo quando lo chiamerai. Non posso darti altri regali del genere. “ Thorston allora ringraziò il Dwarf per i doni e ritornò dai suoi uomini; e fu meglio per lui avere fatto quel viaggio che essere rimasto a casa. Thorston's Saga, c. 3, in Kampa Däter.

La spada Dwarf Tirfing Suaforlami, il secondo in successione da Odino, era imparentato con Gardarike (Russia). Un giorno uscì per cacciare e cercò a lungo un cervo ma per tutto il giorno non riuscì a trovarne. Quando il Sole stava tramontando, si trovò immerso così profondamente nella foresta da non sapere dove fosse. Alla sua destra vi era una collina e davanti ad essa vide due Dwarfs; estrasse la spada contro di loro e gli impedì la ritirata mettendosi tra loro e la roccia. Essi gli offrirono un riscatto per le loro vite e lui chiese i loro nomi; uno di loro si chiamava Dyren e l‟altro Dualin. Egli seppe allora che si trattava dei due più abili ed esperti tra tutti i Dwarfs ed impose perciò loro di forgiargli una spada, la migliore che potessero fabbricare; l‟elsa sarebbe stata d‟oro e la cinghia dello stesso metallo. Aggiunse che la spada non avrebbe mai dovuto mancare un colpo e non avrebbe dovuto mai arrugginire; avrebbe dovuto tagliare ferro e pietra, così come una veste; ed in guerra e nel combattimento singolo avrebbe dovuto sempre risultare vittorioso chi l‟avesse sfoderata. Queste erano le condizioni alle quali egli avrebbe risparmiato le loro vite. Il giorno fissato egli tornò ed i Dwarf uscirono a portargli la spada; quando Dualin fu alla porta disse: “Questa spada sarà la rovina per un uomo ogni volta che verrà estratta; e con essa

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verranno commesse tre delle più grandi atrocità. Sarà anche la tua rovina.” Allora Suaforlami colpì il Dwarf così forte che la lama della spada penetrò nella solida roccia. Entrò così in possesso di questa spada, che chiamò Tirfing, e la sguainò in guerra ed in combattimento singolo e con essa fece a pezzi il Gigante Thiasse e prese sua figlia Fridur. Suaforlami venne ucciso poco tempo dopo dal Berserker (a) Andgrim, che divenne quindi padrone della spada. Quando i dodici figli di Andgrim combatterono con Hialmar e Oddur per Ingaborg, la bella figlia di re Inges, Angantyr recava la pericolosa Tirfing; ma tutti i fratelli vennero uccisi nel combattimento e vennero sepolti con le loro armi. Angantyr lasciava un‟unica figlia, Hervor, che quando crebbe si vestì con panni da uomo e prese il nome di Hervardar, unendosi ad una banda di Vikinger, pirati. Sapendo che Tirfing giaceva sepolta con suo padre, ella decise di risvegliare il morto ed ottenne la spada fatata; forse nulla nella poesia nordica eguaglia in interesse e sublimità la descrizione del suo sbarco solitario di sera nell‟isola di Sams, dove suo padre ed i suoi zii giacevano nei tumuli sepolcrali e la sua ascesa notturna alle tombe avvolte dalle fiamme (b) ed il suo ingresso con la forza e l‟ottenimento dal riluttante Angantyr della formidabile Tirfing. Hervor andò quindi alla corte di re Gudmund ed un giorno, mentre stava giocando a tavolette con il re, ad uno dei servi accadde di prendere ed estrarre Tirfing, che splendeva come un raggio di Sole. Ma Tirfing non avrebbe mai dovuto vedere la luce senza essere la rovina di un uomo ed Hervor, per un impulso improvviso, balzò dalla sua sedia, gli strappò di mano la spada e decapitò lo sfortunato uomo. Dopo questo, Hervor ritornò a casa di suo nonno, Jarl Biartmar, dove riprese i panni femminili e si sposò con Haufud, figlio di re Gudmund. Gli diede due figli, Angantyr ed Heidreker, il primo di animo dolce e gentile, il secondo violento e fiero. Haufud non permise ad Heidreker di rimanere alla sua corte e quando se ne andò sua madre, insieme ad altri doni, gli diede Tirfing. Suo fratello lo accompagnò fuori dal castello. Prima che partissero, Heidreker sguainò la sua spada per guardarla

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ed ammirarla ma, non appena i raggi del Sole caddero sulla lama magica, la furia Berserker prese il suo proprietario, che uccise il suo gentile fratello. Dopo questo avvenimento, egli si unì ad un gruppo di Vikinger e divenne così famoso che re Harold, per l‟aiuto prestatogli, gli diede in sposa sua figlia Helga. Ma era destino di Tirfing il commettere crimini ed Harold cadde per mano del genero. Heidreker andò quindi in Russia ed il figlio del re era suo figlio adottivo. Un giorno in cui erano fuori a caccia, Heidreker e suo figlio adottivo rimasero separati dal resto del gruppo ed apparve loro davanti un cinghiale; Heidreker si lanciò contro di lui con la sua lancia ma l‟animale la morse e la spezzò. Allora estrasse Tirfing ed uccise il cinghiale ma, guardandosi intorno, non riuscì a vedere altri che il figlio adottivo e Tirfing poteva dunque essere lorda solo di sangue umano, avendo lui ucciso lo sfortunato giovane. Infine, re Heidreker venne ucciso nel suo letto dai suoi schiavi scozzesi, che gli rubarono Tirfing; ma suo figlio Angantyr, che gli successe, li scoprì e li mise a morte e recuperò la lama magica. In battaglia contro gli Unni fece poi una grande mattanza, ma tra gli uccisi venne trovato suo fratello Laudur. E così termina la storia della spada Dwarf Tirfing. (c) Come Alf, la parola Duergr ha mantenuto un posto nelle lingue teutoniche. Dverg (d) è il termine che si usa ancora nel Nord; i Germani hanno Zwerg e noi Dwarf (e) che non è tuttavia sinonimo di Fata, com‟è Elf. Ihre rifiuta tutti gli etimi proposti per essa come, per esempio, quello di Gudmund Andreae, θέοη έργον, e con grande ragione. Alcuni hanno pensato che per Dwarfs si dovessero intendere i Finnici, gli abitanti originali del paese, che vennero fatto sloggiare verso le montagne dagli Scandinavi e che probabilmente eccellevano nell‟arte di lavorare le miniere e produrre i loro oggetti metallici. Thorlacius, al contrario, pensa che furono Odino ed il suo seguito, che vennero dal paese dei Chalybes, a portare le arti della metallurgia in Scandinavia. Forse il racconto più semplice sull‟origine dei Dwarfs è che, nello spirito delle religioni antiche, i poteri sotterranei della

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Natura dovevano essere personificati; gli autori del sistema, osservando che le persone di bassa statura solitamente eccellevano nelle arti e nell‟ingenuità, colsero l‟occasione di rappresentare le creature che formavano i cristalli e purificavano i metalli entro le viscere della terra di dimensioni minute, cosa che corrispondeva meglio ai poteri ascritti loro di scivolare attraverso le fessure e gli interstizi delle rocce e delle pietre. Osservazioni simili condussero alla rappresentazione dei poteri terribili e selvaggi della Natura bruta sotto la forma di enormi Giganti. NOTE (a) I Berserkers erano guerrieri che erano soliti infiammarsi di tale collera e furia al pensiero del combattimento da mordere i propri scudi, correre attraverso il fuoco, inghiottire carboni ardenti e pazzie del genere. “Se fosse l‟avidità di lotta o la ferocia della loro natura” dice Saxo “a portare loro questa pazzia non è certo.” (b) Le nazioni nordiche credevano che le tombe dei loro eroi emettessero una sorta di fiamma scintillante che era sempre visibile di notte e serviva a proteggere le ceneri dei morti; la chiamavano Hauga Elldr, Fuoco Sepolcrale. Si credeva che circondasse particolarmente quelle tombe che contenevano tesori nascosti. - Bartholin, Contempt. a Dan. Morte, pag. 275. (c) Hervarar Saga, passim. Tirfing Saga sarebbe il nome più appropriato. Nell‟interesse poetico e romantico essa eccelle in tutte le saghe nordiche. (d) In Svedese Dverg contrassegna anche un ragno. (e) Nell‟antica storia metrica svedese di Alexander appare la parola Duerf. Il progeresso nella parola inglese è il seguente: Anglosassone – da cui Dwerke: A maid that is a messingere And a Dwerke me brought here, Her to do socoúr. Lybeaus Disconus infine Dwarf, come nell‟antico Svedese.

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Le Fate Francesi

Porque faut-il s'd mer veiller Que la raison la miteux sensée, Lasse souvent do veiller, Par des contes d'ogre et de fée Ingénieusement bercée, Prenne plaisir à sommelier?

Perrault. La mitologia fatata francese si potrebbe dividere, rispetto alla località, in due parti: quella del nord e quella del sud del paese, la Langue d‟Oil e la Langue d‟Oc. Cominceremo con quest‟ultima. In merito alla sua mitologia Gervase di Tilbury, che risiedeva nel regno di Arles, ci ha lasciato alcuni particolari interessanti ed altre autorità ci rendono in grado di seguirne le

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tracce fino ad oggi. Parlando degli abitanti di Arles, Gervase si esprime così: “Essi affermano comunemente che i Drac assumono forma umana e vanno presto al mercato pubblico senza disturbare alcuno. Costoro, dicono, hanno la loro dimora nelle caverne dei fiumi ed occasionalmente galleggiano lungo i corsi d‟acqua sotto forma di anelli o coppe d‟oro, seducono donne o ragazzi che si bagnano sulle rive del fiume: mentre essi si sforzano di afferrare ciò che vedono, vengono improvvisamente attirati e trascinati verso il basso; e questo accade soprattutto alle donne in allattamento, che vengono rapite dai Drac per nutrire la loro sfortunata prole. Talvolta, dopo che hanno passato sette anni là, esse ritornano al nostro emisfero. Queste donne dicono di avere vissuto con i Drac e le loro mogli in ampi palazzi, nelle caverne e nelle rive dei fiumi. Noi stessi abbiamo visto una di queste donne che venne rapita mentre stava lavando i panni sulle rive del Rhone. Una coppa di legno le galleggiò accanto e lei, essendo caduta nell‟acqua profonda nello sforzo di afferrarla, venne trascinata giù da un Drac e divenne balia di suo figlio sotto l‟acqua. Ritornò senza danni e venne riconosciuta a malapena da suo marito e dai suoi amici dopo un‟assenza durata sette anni. Dopo il suo ritorno ella riferì cose meravigliose, come che i Drac vivevano della gente che trascinavano con sé e si mutavano in forme umane; ed ella disse che un giorno, quando i Drac le diedero da mangiare un pasticcio d‟anguilla, le capitò di posare le dita – che erano unte di grasso – su uno dei suoi occhi e su un lato del volto ed immediatamente venne dotata della vista migliore e più chiara sotto l‟acqua. Quando terminò il terzo anno da quando era tornata alla sua famiglia, un mattino molto presto incontrò il Drac al mercato di Beaucaire. Lo riconobbe e, salutandolo, gli chiese della salute della sua signora e del bambino. A questo il Drac rispose: „Harkye,‟ disse „con quale occhio mi vedete?‟ Ella indicò l‟occhio che aveva toccato con il grasso ed il Drac vi ficcò immediatamente dentro un dito e così non fu più visibile a nessuno.”(a) Riguardo ai Drac Gervase aggiunge inoltre:

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“Vi è anche sulle rive del Rhone, sotto una casa al cancello nord della città di Arles, un grande tonfano del fiume (punto dove un fiume è profondo, n.d.t.)… In questi luoghi profondi, si dice che spesso nelle notti chiare si vedano i Drac sotto forma umana. Alcuni anni or sono, per tre giorni di seguito, furono udite apertamente le seguenti parole nel luogo che ho citato al di fuori dell‟entrata della città, mentre una figura come di un uomo correva lungo la riva: „L‟ora è passata e l‟uomo non arriva.‟ Il terzo giorno, circa alla nona ora, mentre quella figura d‟uomo alzava la voce più del solito un giovane corse semplicemente verso la riva, si tuffò e venne inghiottito dalle acque; e la voce non venne più udita.” La parola Drac deriva apparentemente da Draco, ma siamo propensi a vederne l‟origine nel Nordico Duerg. Dobbiamo ricordare che I Visigoti occuparono a lungo la Provenza e la Langue d‟Oc. Apprendiamo che è tuttora in uso. Fa le Drac in Provenzale significa Fairre le diable (b). Goudelin, un poeta provenzale del XVII secolo, comincia il suo Castel en l’Ayre con queste righe: Belomen qu' yeu faré le Drac Se jamay trobi dins un sac Cinc o siés milante pistolos Espessos como de redolos. Anche il curioso racconto che segue appare nell‟opera di Gervase e si potrebbe considerare appartenente alla Provenza: “I marinai dicono che una volta, mentre una nave stava viaggiando nel Mare Mediterraneo, che noi chiamiamo il nostro mare, venne circondata da un numero immenso di focene (delfini) e quando un giovane energico, uno dell‟equipaggio, ne colpì una con un‟arma ed il resto di esse si fu immerso rapidamente, una tempesta improvvisa e terribile avvolse la nave. Mentre i marinai temevano per le proprie vite, meraviglia! Un essere sotto forma di cavaliere sorse dal mare su un destriero e chiese che, per salvare gli altri, gli venisse consegnata la persona che aveva colpito la focena. I marinai

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erano divisi tra il pericolo che stavano correndo e la loro avversione ad esporre il loro compagno alla morte, cosa che pareva loro molto crudele, e pensarono indegno il pensare alla propria salvezza a spese della vita di un altro. Infine l‟uomo stesso, giudicando meglio che si salvassero tutti al prezzo di uno, siccome essi erano innocenti, e che così tanta gente stava correndo il rischio di essere distrutta a causa della sua follia difendendo lui e diventando così colpevoli, si offrì alla morte che meritava e montò volontariamente sul cavallo dietro al cavaliere, che si mosse sull‟acqua andando per la sua strada come se fosse stata terraferma. In breve raggiunse una lontana regione, dove trovò giacente in un magnifico letto il cavaliere che egli aveva colpito il giorno prima sotto forma di focena. Venne diretto dalla sua guida ad estrarre l‟arma che penzolava dal suo fianco e, quando l‟ebbe fatto, la destra colpevole ebbe aiutato il ferito. Fatto questo, il marinaio venne riportato velocemente alla nave e restituito ai suoi compagni. Da allora i marinai cessarono di cacciare le focene.” (c) Gervase descrive anche il Coboldo, o Spirito della Casa, l‟Esprit Follet o Goblin del Nord della Francia. “Vi sono” egli dice “altri demoni, chiamati comunemente Folletti, che abitano le case della semplice gente contadina e non possono essere tenuti lontani né dall‟acqua né dagli esorcismi; e, siccome non possono essere visti, essi colpiscono la gente che entra dalla porta con pietre, rametti ed utensili domestici. Le loro parole si odono come quelle degli uomini, ma la loro forma non appare. Ricordo di avere incontrato diverse storie meravigliose al loro riguardo nella Vita abbreviata et miraculis beatissimi Antoninii.” (d) Altrove (e) egli parla degli esseri che dice vengono chiamati Lamie le quali, riferisce, sono solite entrare nelle case improvvisamente, depredare il contenuto di brocche e mastelli, pentole ed anfore, prendere fuori dalle culle i bambini, accendere lampade o candele e talvolta opprimere coloro che stanno dormendo. O si è sbagliato Gervase o le Fadas del Sud della Francia venivano considerate come esseri diversi dagli umani. La

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prima è probabilmente la supposizione più veritiera. Egli parla di loro così: “Questo, invero, sappiamo essere provato ogni giorno da uomini oltre ogni sospetto: che abbiamo udito di alcuni che sono stati amanti di fantasmi di questo genere che chiamano Fadas; (f) e quando sposavano altre donne morivano prima di consumare il matrimonio. Abbiamo visto che molti di loro, che vivevano in grande felicità temporale, quando si allontanavano dagli abbracci di queste Fadas o scoprivano il segreto non solo perdevano la loro prosperità temporale ma anche il conforto di una vita spregevole.” (g) “Nella leggenda di San Armentaire, composta circa nel 1800 da Raymond, un gentiluomo di Provenza, leggiamo della Feé Esterelle e delle offerte a lei tributate perché era solita dare da bere a donne sterili delle bevande per renderle fertili e di una pietra chiamata La Lauza de la Fuda, che è la pietra fatata su cui erano solite farle offerte.” (h) Anche al giorno d‟oggi in Provenza e nei distretti adiacenti pare perdurare la credenza nelle Fadas. “La notte del 31 dicembre” dice Du Mege (i) “le Fées (Hadas) entrano nelle dimore dei loro adoratori. Esse portano buona sorte nella loro mano destra e cattiva sorte nella sinistra. E‟ stata posta cura nel preparare per loro un pasto a loro adatto in una stanza pulita e tranquilla. Porte e finestre vengono lasciate aperte; su una tavola viene messa una tovaglia bianca con una pagnotta, un coltello, un bicchiere pieno d‟acqua o vino ed una tazza. Al centro della tavola vi è un lumicino o una candela accesa. E‟ credenza generale che coloro che presentano loro il cibo migliore possano aspettarsi ogni sorta di prosperità per la loro proprietà e la loro famiglia, mentre coloro che si mostrano avari nel loro dovere verso le Fée o che trascurano di fare preparazioni degne di queste divinità possono aspettarsi le più grandi sfortune.” Dal passaggio seguente del Roman de Guillaume au Cout-Nez appare che il numero delle Hadas era tre: Costume avoient le gens, par vérités, Et en Provence et en autres régnez.

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Tables métoient et siéges ordenez, Et sur la table iij blans pains bulétez, Iij poz do vine et iij hé nez de lès Et par encoste iert li enfès posez. (j) Alcuni anni or sono una signora di nome Marie Aycard pubblicò un libro intitolato “Ballades et Chants populaires de la Provence”, due delle quali sembrano basate su leggende popolari. Ella chiama una La Fée aux Cheveux Verts ed in essa narra la storia di un giovane marinaio di Marsiglia che aveva l‟abitudine di remare in mare da solo ogni sera. In una di queste occasioni egli si sentì attratto verso il basso da una forza invisibile e, raggiunto che ebbe il fondo marino, si trovò all‟entrata di uno splendido palazzo, dove venne ricevuto da una fata bellissima con i capelli verdi. Improvvisamente ella gli confessò il suo amore, cui egli rispose come ella desiderava e, dopo avere passato un poco di tempo assieme, ella lo congedò dandogli due pesci, in modo che potesse giustificare la propria assenza dicendo di essere andato a pescare. La stessa forza invisibile lo riportò alla sua barca ed egli raggiunse la sua casa all‟alba. Le dimensioni e la forma di questi pesci, tali che non si erano mai visti, destarono la meraviglia generale, ma egli temeva troppo la fata per rivelare il suo segreto. Un‟attrazione invincibile continuava ad attirarlo al palazzo sottomarino, ma infine egli vide una fanciulla il cui fascino dei suoi occhi eclissava quello della fata. Egli abbandonò la riva del mare ma ogni volta che si avvicinava alla sua signora riceveva un colpo invisibile e veniva continuamente perseguitato da voci minacciose. Alla fine sentì un irresistibile desiderio di andare nuovamente per mare. Quando fu là venne attirato come in precedenza verso il palazzo, ma ora la fata era cambiata e dicendo: “Mi hai tradita – morirai” ella lo fece divorare dai mostri marini. Altri racconti dicono però che ella lo tenne con sé fin quando l‟età non ebbe solcato la sua fronte con le rughe e quindi lo rimandò alla povertà sulla terra. L‟altra leggenda, chiamata Le Lutin, racconta di come sette ragazzini, a dispetto degli avvertimenti della loro vecchia

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nonna, andarono fuori di notte per varie occupazioni. Quando uscirono, un grazioso cavallino nero gli si avvicinò ed essi furono tutti indotti a montare sulla sua schiena. Quando incontrarono qualcuno dei loro compagni di giochi, invitavano anche loro a salire e la schiena del cavallino si allungò tanto che alla fine ebbe su di lui non meno di trenta ragazzi. Corse quindi fino al mare e, immergendosi, li fece tutti annegare. (k) Passando ad Auvergne troviamo nel VI secolo Gregory di Tours, che ci riferisce un evento accaduto durante la sua giovinezza. Un mattino un uomo stava camminando nella foresta, avendo preso tutte le precauzione per fare sì che la colazione che portava con sé fosse stata benedetta prima che uscisse. Giunto al fiume prima che fosse giorno, guidò il suo carretto trainato da buoi nel traghetto (in ponte qui super navem est) e, quando fu quasi a metà strada udì una voce dire: “Giù con lui! Giù con lui! Veloce!” (Merge, merge, ne moreris!), cui un‟altra rispose: “L‟avrei fatto senza che me lo dicessi tu, se qualcosa di santo non me lo avesse impedito; devi sapere che lui è rafforzato dalla benedizione del prete, perciò non posso fargli del male.” (l) Miss Costello (m) udì ad Auvergne la storia di un changeling che la madre, sotto la direzione del Curé, portò al mercato, dove lo frustò per bene fino a quando sua madre, La Fée du Grand Cascade, le riportò il suo vero figlio. Ella riferisce anche a grandi linee una leggenda che chiama La Blonde de la Roche, in cui una giovane signora, istruita dalla sua balia, impara a cambiare forma e così diviene compagna delle Fées, che sono esseri di piccole dimensioni. In seguito, quando si sposa, esse le portano via i suoi figli ma lei si industria per recuperarli. “La Tioul de las Fadas è entro 5 leghe e mezzo da St. Flour, a Pirols, un villaggio dell‟Haute Auvergne. E‟ composto da 6 grandi pietre grezze coperte da una settima, più larga e massiccia delle altre; è lunga 12 piedi e larga 8 piedi e mezzo. La tradizione riferisce che una Fée che amava fare pascolare le sue pecore nel luogo occupato da questo monumento decise di ripararsi dal vento e dalla pioggia. A questo scopo andò lontano, molto lontano (bien loin, bien loin) in cerca di massi

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di granito tali che sei mandrie di buoi non potessero spostarli e diede loro la forma di una piccola casa. Si dice che portò il più grande e pesante di essi sulla cima del suo perno e che il peso la disturbava così poco che continuò a farlo rotolare in tal modo per tutta la strada.” (n) La leggenda che segue è tradizionale nel Périgord: Circondato dalla foresta della regione di La Double, vicino alla strada che porta da Périgueux a Ribérac, vi è un monumento chiamato Roque Brun. Esso consta di quattro enormi rocce poste a due a due in modo da formare un vicolo lungo 10 piedi e largo6. Una quinta roccia, più alta e sottile delle altre, chiude questo spazio ad ovest. Il tutto è coperto da un pesante masso di roccia di almeno 12 piedi per 7 e spesso dai 3 ai 4 piedi. Non può esservi dubbio sul fatto che sia opera dell‟uomo ed è notevole il fatto che la pietra da cui è composto è diversa dal suolo sopra cui sta. (o) La tradizione della regione, tuttavia, dice che molte migliaia di anni fa vi era una Fée che regnava sull‟intero paese ed avendo essa perso il proprio marito in una battaglia combattuta in questo stesso luogo essa decise di seppellirlo lì. Chiamò dunque sei dei suoi paggi e ordinò loro di andare a prendere ognuna di queste pietre e di porle nell‟ordine che tuttora mantengono. Essi obbedirono all‟istante e portarono e sistemarono i grossi massi con la stessa facilità che se fossero stati petali di rosa. Quando la tomba fu completata, la Fata vi salì sopra e, voltatasi verso est, con voce di tuono maledisse per tre volte chiunque da quel momento avesse osato toccare il monumento al suo sposo regale. I contadini ricordano tuttora molti esempi di gente che osò farlo e venne punita. (p) La tradizione fatata del Nord della Francia, o almeno della Normandia, è, come è logico aspettarsi, simile a quella delle altre parti della razza Goto-Germanica. Vi incontriamo le fées o fate ed i lutin, o goblin, che corrispondono ai Coboldi, ai Nisse ed altri simili di quelle nazioni. (q) Le Fée sono fisicamente piccole e graziose; amano danzare di notte e durante le loro danze, che sono effettuate in cerchio, formano i Cercles del Fées, gli anelli fatati. Se qualcuno si

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avvicina alla loro danza, viene irresistibilmente costretto a prendervi parte. Viene ammesso con la più grande cortesia ma, quando il movimento rotatorio aumenta e diventa sempre più veloce, la sua testa viene presa da vertigini ed egli cade a terra esausto. Talvolta le fées si divertono a farlo volare in aria ad una grande altezza e, se non viene ucciso dalla caduta, egli viene ritrovato la mattina seguente pieno di ferite. Queste piccole creature si dice anche infestino le sorgenti solitarie, dove lavano i loro panni che asciugano preferibilmente sulle pietre druidiche, se a portata di mano, e stendono negli incavi di rocce o tumuli, da ciò chiamati Chambres o Grottes del Fées. Ma si dice anche che, come i Lutin, esse scelgano una particolare fattoria che visitano durante la notte e qui, usando i cavalli, le briglie ed utensili di vario genere, si impegnano in vari tipi di lavori di cui, tuttavia, non rimangono tracce al mattino. Essi amano montare e far galoppare i cavalli; si siedono sul loro collo e prendono in mano parti della criniera a formare le briglie. La loro presenza, tuttavia, porta sempre fortuna: il bestiame prospera dove vi sono loro, gli utensili di cui hanno fatto uso se rotti vengono riparati e resi come nuovi. Essi sono inoltre molto gentili e cortesi e si sa che hanno donato dei dolci a coloro che gli sono simpatici. Le Fées della Normandia sono, come le altre, responsabili dello scambio di bambini. Un giorno, mentre una contadina stava portando il suo bambino in braccio incontrò una Fée che stava facendo la stessa cosa e che le propose uno scambio. Ella non accettò, nonostante pensasse che il bambino della Fée fosse nove volte più bello del suo. Alcuni giorni dopo lasciò il bambino in casa per andare a lavorare nei campi; al suo ritorno le parve che fosse cambiato. Consultò immediatamente una vicina la quale, per averne la prova, ruppe una dozzina di uova e ne dispose i gusci davanti al bambino, che immediatamente cominciò a gridare: “Oh! Quanti bei contenitori di crema! Oh! Quanti bei contenitori di crema!” Ora non vi erano più dubbi e la vicina le consigliò di farlo piangere disperatamente allo scopo di attirare la sua vera

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madre. Ed anche questo avvenne; la Fée arrivò implorando loro di darle il bambino e rese quello vero. Vi è un altro tipo di Fée conosciuto in Normandia con il nome di Dames Blanches, le Signore Bianche, che hanno un carattere meno benevolo. Esse si nascondono in luoghi angusti, come burroni, guadi e ponti, dove i passanti non possono evitarle, e qui cercano di attirare la loro attenzione. La Dame Blanche talvolta chiede a colui che incontra in tal modo di unirsi a lei in una danza o di sollevarla sopra ad una tavola. Se egli lo fa, lei gli rende molte cortesie e quindi svanisce. Una di queste signore, chiamata La Dame d‟Aprigny, era solita apparire in un angusto e ventoso burrone che occupava il luogo dell‟attuale Rue Saint Quentin a Bayeaux, dove, con le sue danze, impediva a chiunque di passare. Nel frattempo ella tendeva la mano, invitando il passante ad unirsi a lei, e se egli lo faceva lei lo lasciava dopo uno o due giri; ma se si sottraeva, ella lo afferrava e lo faceva volare in un fosso pieno di spine e di rovi. Un‟altra Dame Blanche stazionava su uno stretto ponte di legno sul Dive, nel distretto di Falaise, chiamato il Pont d‟Angot. Sedeva su di esso e non permetteva a nessuno di passare a meno che non andasse verso di lei in ginocchio; se egli rifiutava, la Fée liberava i lutins, gatti, civette ed altri esseri che, sotto il suo comando, infestavano il luogo e faceva loro tormentare crudelmente il passante. Vicino al villaggio di Puys, mezza lega a nord-est di Dieppe, vi è un altopiano circondato da tutti i lati da grandi trincee, eccetto che sopra il mare, dove le scogliere lo rendono inaccessibile. Viene chiamato La Cité de Limes o La Camp de César o semplicemente Le Catel o Castel.Narra la tradizione che le Fées fossero solite tenere in questo luogo una fiera dove venivano offerti in vendita ogni sorta di articoli magici dalle loro botteghe segrete e, per indurre coloro che la frequentavano a diventare acquirenti impiegavano le maniere e le blandizie più cortesi. Ma nell‟istante in cui qualcuno desiderava acquistare qualcosa ed allungava la mano per prenderla, la perfida Fée lo afferrava e lo gettava giù dal precipizio.

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Questi sono i racconti sulle Fée che esistono tuttora in Normandia. Ad essi potremmo aggiungere che la Dame Abonde o Itabonde, attuale nel Medioevo. William di Auvergne, vescovo di Parigi, che morì nell‟anno 1248, scrive così: “Sunt et aliae ludificationes malignorum spiritorum quas faciunt interdum in nemoribus et locis amoenis, et frondosis arboribus, ubi apparent in similtudine puellarum aut matronarum ornatu muliebri et candido; interdum etiam in stabulis, cum luminaribus cereis, ex quibus apparent distillationes in comis et collis equorum et comae ipsorum diligenter tricatae; et audies eos, qui talia se vidisse fatentur, dicentes veram ceram esse quae de luminaribus hujusmodi stillaverat. De illis vero substantiis quae apparent in domibus quas dominas nocturnas et principem earum vocant Dominam Abundiam pro eo quod domibus, quas frequentant, abundantiam bonorum temporalium praestare putantur non aliter tibi sentiendum est neque aliter quam quemadmodum de illis audivisti. Quapropter eo usque invaluit stultitia hominum et insania vetularum ut vasa vini et receptacula ciborum discooperta relinquant, et omnino nec obstruent neque claudant eis noctibus quibus ad domos suos eas credunt adventuras; ea de causa videlicet ut cibos et potus quasi paratos inveniant, et eos absque difilcultate apparitionis pro beneplacito sumant. (r) Dame Abonde viene menzionata nello stesso secolo anche nel famoso Roman de la Rose come segue: Qui les cinc sens ainsine decoit Par les fantosmes qu'il recoit, Dont maintes gens par br folie Cuident estre par nuit estries (allés) Errans avecques Dame Habonde. Et dient que par tout le monde Si tiers enfant de nacion (naisaance) Sunt de ceste condicion, Qu'ils vont trois fois en la semaine,

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Li cum destinée lea maine (mène), Et par tous ces ostex (hotels) se boutent, Ne cles ne barres ne redoutent. Ains sen entrent par lea fendaces (fentes) Par châtierez et par crevaces. Et se partent des cors les ames Et vont avec lea bonnes dames Par leur forains et par maisons. Et le cuvent par tiex (ces) raisons: Que les diversités veues Ne sont pas en lor liz (lits) venues, Ains (anzi It.) sunt lor ames que laborent Et par le monde ainsinc sen corent. (s) In questi luoghi scopriamo che Habundia è una regina o governatrice di un gruppo di ciò che potremmo chiamare fate che entra nelle case di notte, ivi festeggia, intreccia le criniere dei cavalli, eccetera. Questo ci ricorda della Regina Mab di Shakespeare la quale, nonostante venga paragonata ad Habundia solo da un passaggio in Heywood (t), pensiamo abbia derivato il proprio nome da quello di questa dama francese (u). Chaucer, a questo proposito, compita sempre habundance (abbondanza, n.d.t.) con una h, che potrebbe essere diventata m come fa la n in Nimfe di Humphrey. Il Lutin o Goblin (v) della Normandia differisce poco sotto qualunque aspetto dallo spirito domestico della Scandinavia e della Germania. Egli ama i bambini ed i cavalli e se il proverbio Ou il y a belle fille et bon yin Là aussi hante le lutin non mente, anche le giovani fanciulle. Egli accarezza i bambini e dà loro cose buone da mangiare ma li picchia e li pizzica se sono dispettosi. (w) Si prende grande cura dei cavalli, talvolta li fa galoppare e lutina le loro criniere, intrecciandole in maniera inesplicabile. Invero, egli ama tanto il divertimento che si dice che, quando una volta due giovani ragazze si addormentarono in una stalla, egli glutinò i loro capelli in

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maniera tale che dovettero tagliarli tutti. Talvolta il Lutin prende la forma di un giovane del villaggio e se ne va in giro impettito con grande autocompiacimento. In tali occasioni è necessario chiamarlo Bon Garçon, una cosa che i contadini della Normandia non dimenticano mai di fare. Altre volte appare sotto forma di un cavallo già sellato ed imbrigliato. Se un contadino, stanco del lavoro quotidiano, viene indotto a montarlo per tornare a casa, egli comincia a calciare, a sgroppare, ad impennarsi ed a saltare, gettandolo infine in un acquitrino o in un fosso pieno d‟acqua. Quando assume questa forma viene chiamato Le Cheval Bayard, probabilmente dal famoso destriero del Paladino Rinaldo. La tradizione seguente di “Le Lutin, ou le Fé amoureux” è collegata ai dintorni di Argentan: Un Fé amava una graziosa giovane paysanne ed era solito andare a sedersi ogni sera, mentre lei filava accanto al fuoco, su una sedia di fronte a lei e fissarla in volto. L‟ingrato oggetto di questa rispettosa attenzione, tuttavia, disse tutto a suo marito ed egli, nella sua gelosia, decise di vendicarsi dell‟amoroso Lutin. Riscaldò quindi una cinta di metallo fino a farla diventare bollente e la pose sul sedile che egli era solito occupare, quindi, vestitosi con i panni di sua moglie e sedutosi al suo posto, cominciò a filare come poteva. Il Fé giunse come al solito ed immediatamente percepì il cambiamento. “Dov‟è” disse “La-belle belle di ieri mattina che tende, tende e continua sempre a girare mentre tu giri, giri e non tendi mai?” Egli, tuttavia, andò a sedersi nel suo solito posto ma immediatamente fece un balzo, urlando dal dolore. I suoi compagni, che erano lì vicino, ne chiesero la causa. “Sono bruciato” gridò lui. “Chi ti ha bruciato?” gli gridarono quelli. “Io” rispose, perché questo era il nome che la donna gli aveva detto essere del marito. Allora i suoi compagni lo derisero e se ne andarono. (x) Si dice che il modo migliore per scacciare un Lutin che infesta una casa sia di sparger dei semi di lino nella stanza che frequenta maggiormente. Il suo amore per la pulizia e l‟ordine

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non gli permetterà di lasciarli lì ed in breve si stancherà di raccoglierli e se ne andrà. Un Lutin chiamato il Nain Rouge infesta la costa della Normandia. E‟ a suo modo gentile con i pescatori e spesso dà loro un notevole aiuto, ma punisce coloro che non lo trattano con il debito rispetto. Due pescatori che vivevano vicino a Dieppe stavano andando un giorno a Pollet. Lungo la strada trovarono un ragazzino che sedeva a lato e gli chiesero cosa facesse lì. “Mi sto riposando” rispose lui “perché sto andando a Berneville (un villaggio ad una lega da Pollet). Essi lo invitarono ad unirsi alla compagnia; egli accettò e li divertì molto con i suoi trucchi. Infine, quando giunsero ad un laghetto vicino a Berneville, il dispettoso folletto afferrò uno di loro e lo fece volare come una pallina da volano in aria sopra di esso; ma, con sua grande disdetta, lo vide atterrare sano e salvo dall‟altra parte. “Ringrazia il tuo Santo protettore” gridò con la sua voce incrinata “che ti ha messo in testa di prendere dell‟acqua santa quando questa mattina ti sei alzato. Se non fosse stato per questo, avresti fatto un bel tuffo.” Un gruppo di bambini stava giocando sulla sabbia a Pollet quando il Petit Homme Rouge arrivò. Essi cominciarono a prendersi gioco di lui ed egli cominciò immediatamente a colpirli con delle pietre al punto tale che essi dovettero cercare rifugio in un peschereccio dove, per lo spazio di un‟ora, mentre erano rannicchiati sotto coperta, udirono il fragore delle pietre che cadevano, tanto da pensare che di certo la barca ne sarebbe stata sepolta. Infine il rumore cessò e, quando si avventurarono a sbirciare fuori, non videro nemmeno una pietra. In Normandia vi sono anche degli spiriti chiamati Lubins, che prendono la forma di lupi ed entrano nelle chiese sotto la guida di un capo quasi nero. Sono molto timidi ed al minimo rumore fuggono, gridando “Robert est mort! Robert est mort!” La gente dice di un uomo timoroso “Il a peur de Lubin”. (y) Una credenza in Fées simili a quelle che abbiamo chiamato Fate da Romanzo pare avere avuto molta fama in tutta la Francia del Medioevo.

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Il grande Bertrand Duguesclin sposò una signora chiamata Tiphaine, “extraite do noble lignée”, dice il suo antico biografo, “la quille avoit environ vingt-quatre ans, ne onques n'avoit été mariée et éstoit bonne et sage, et moult experte aux arts d'astronomie; aucuns dis oient qu'elle éstoit faée mais non éstoit, mais éstoit sinsi inspirée et de la Grâce de Dieu.” Uno dei principali articoli dell‟accusa contro l‟eroica e sfortunata Fanciulla di Orlean fu “que souvent alloit à une belle fontaine au pais de Lorraine, laquelle elle nommoit bonne fontaine aux Fées nostre Seigneur, et en icelui lieu tous ceulx de pays quand ils avoient fiebvre ils alloient pour recouvrer garison, et Ia alloit souvent la dite Jehanne la Pucelle, sous un grand arbre qui la fontaine ombroit, et s'apparurent à elle St. Katerine et St. Marguerite.” (z) Le venne anche chiesto “si elle sçait rien de ceux qui vont avec les Fées? ” Di questa Fée la più conosciuta é Melusina, che era sposata al Conte di Lusignan. Verso la fine del XIV secolo, Jean d‟Arras raccolse le tradizioni che la riguardavano e compose ciò che chiamò la sua “Cronaca”. Stephen, un Domenicano della casa di Lusignan, riprese la storia scritta da Jean d‟Arras, diede a questa eroina una consistenza ed uno splendore tali che diverse case nobiliari fecero a gara per dimostrare di discendere da lei. Quelle dei Luxembourg e dei Rohan falsificarono addirittura le loro genealogie a tale scopo e la casa dei Sassenage, nonostante si dichiarasse discendente da un monarca, preferì Melusina e per compiacerli venne inventato che quando ella lasciò Lusignan si ritirò nella grotta dei Sassenage, nel Dauphiny. Quella che segue è una breve sequenza della storia della bella Melusina. (aa) Ange par la figure, et serpent par le reste. De Lille

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La leggenda di Melusina Elinas, re dell‟Albania, per distrarsi dal dolore per la morte di sua moglie si divertiva cacciando. Un giorno, alla caccia, giunse ad una fonte per spegnere la propria sete; non appena le si avvicinò udì la voce di una donna cantare e, giuntovi, trovò là la bella Fata Pressina. Dopo un po‟ di tempo la Fata gli concesse la propria mano a condizione che egli non l‟avrebbe dovuta guardare al tempo del parto. Ella ebbe tre figlie gemelle: Melusina, Melior e Palatina. Nathas, figlio del re avuto da una moglie precedente, si affrettò a comunicare la bella notizia al padre il quale, senza riflettere, corse verso la stanza della regina ed entrò mentre ella stava lavando le figlie. Pressina, vedendolo, gridò che non aveva mantenuto la parola e che ella sarebbe dovuta andare via; e, prendendo le sue tre figlie, scomparve. Si ritirò nell‟Isola Sperduta (1), così chiamata perché solo per caso anche coloro che l‟avevano visitata più volte l‟avevano trovata. Qui allevò le sue figlie, portandole ogni mattina ad un‟alta montagna da cui si poteva vedere l‟Albania e dicendo loro che se non fosse stato perché il loro padre aveva mancato alla sua parola esse sarebbero vissute felicemente in quella terra lontana che vedevano. Quando ebbero 15 anni, Melusina chiese alla madre di cosa in particolare si fosse reso colpevole il loro padre. Informata del fatto, ella concepì l‟idea di vendicarsi. Insieme alle sorelle andò in Albania; là giunte, presero il re e tutte le sue ricchezze e, grazie ad un incantesimo, li rinchiusero all‟interno di un alto monte, chiamato Brandelois. Quando dissero alla madre ciò che avevano fatto ella, per punirle di questa loro azione innaturale, condannò Melusina a divenire ogni sabato un serpente dalla vita in giù fino a quando non avrebbe incontrato un uomo che l‟avrebbe sposata a condizione di non vederla mai il sabato ed avesse mantenuto la sua promessa. Inflisse alle sue due sorelle altre punizioni meno severe, in proporzione alla loro colpa. Melusina andò vagando per il mondo in cerca dell‟uomo che

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l‟avrebbe salvata. Attraversò la Foresta Nera e quella delle Ardenne ed infine giunse alla foresta di Colombiers, nel Poitou, dove tutte le Fate dei dintorni erano giunte prima di lei e le dissero che la stavano attendendo affinché regnasse in quel luogo. Avendo Raymond accidentalmente ucciso il Conte suo zio, scagliando erroneamente la sua lancia, stava girando di notte nella foresta di Colombiers. Arrivò ad una fonte che nasceva ai piedi di un‟alta roccia; questa fonte veniva chiamata dalla gente la Fonte della Sete o la Fonte delle Fate (2) a causa delle molte cose meravigliose che vi erano accadute nei pressi. Quando Raymond giunse alla fonte, vide tre Fate che si stavano divertendo là alla luce della Luna, la principale delle quali era Melusina. La sua bellezza ed i suoi modi amabili conquistarono ben presto il suo amore: ella lo adulò, celò ciò che lui aveva fatto e lo sposò, promettendo lui e giurando che non avrebbe mai desiderato di vederla di sabato. Ella lo avvertì che la rottura del suo giuramento l‟avrebbe privata di lei che amava tanto e sarebbe stato seguito dall‟infelicità di entrambi per tutta la vita. Grazie alla sua grande ricchezza, ella costruì per lui nei dintorni della Fonte della Sete, dove per la prima volta egli l‟aveva vista, il castello di Lusignan. Costruì anche La Rochelle, Cloitre Malliers, Mersent ed altri luoghi. Ma il destino, che voleva Melusina rimanesse sola, era contro di lei. Il matrimonio venne reso infelice dalla deformità dei figli nati da una donna incantata; tuttavia, l‟amore di Raymond per quella bellezza che incantava il cuore e gli occhi non ne rimase scosso. Il destino rinnovò quindi i suoi attacchi. Il cugino di Raymond gli mise il tarlo della gelosia e del sospetto insinuando cattiverie sul motivo del ritiro del sabato della Contessa. Egli si nascose e quindi vide che l‟amabile forma di Melusina terminava nella parte inferiore in un serpente grigio e blu cielo, mescolato al bianco. Ma non fu preso da orrore a quella vista, bensì da infinita angoscia al pensiero che aveva infranto il suo giuramento ed avrebbe così potuto perdere per sempre la sua amata sposa. Questa sfortuna, tuttavia, non sarebbe giunta tanto presto se suo figlio, Geoffroy con il dente

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(3) non avesse bruciato il fratello Freimund, che dimorava nell‟abbazia di Malliers, insieme all‟abate e ad un centinaio di monaci. Il suo afflitto padre, il Conte Raymond, quando la moglie Melusina entrò nella stanza per confortarlo proruppe in parole contro di lei davanti a tutti i cortigiani che la seguivano: “Vai fuori dalla mia vista, tu, pernicioso e odioso serpente! Tu, contaminatrice della mia razza!” La paura di Melusina si era ora avverata ed il male che aveva temuto così a lungo si era ora abbattuto impavidamente su di loro. A questi rimproveri ella si sentì mancare; quando infine si riprese, piena del più profondo dolore, gli disse che ora se ne sarebbe dovuta andare via e, obbedendo al decreto del destino, scomparve dalla terra piena di dolore e sofferenza, come uno spettro, fino al giorno del giudizio; e da allora solo quando qualcuno della sua razza stava per morire a Lusignan ella diveniva visibile. Nell‟andarsene, queste furono le sue parole: “Ma una cosa vi dirò prima di andarmene, che voi e coloro che per più di cento anni vi succederanno saprete che ogni volta che verrò vista sul castello fatato di Lusignan in quello stesso anno il castello avrà un nuovo signore; e, nonostante si possa non percepirmi nell‟aria, tuttavia mi si vedrà presso la Fonte della Sete e così sarà fino a quando il castello rimarrà onorato ed in prosperità – particolarmente il venerdì prima che il signore del castello muoia.” Immediatamente, con pianti ed alti lamenti, ella lasciò il castello di Lusignan (4) e da allora esistette come spettro della notte. Raymond morì da eremita a Monserrat. Il sindaco di Boissieu dice (5) che ella scelse come suo ritiro una delle montagne di Sassenage, vicino a Grenoble, a causa di certi ruscelli che vi erano là ed a cui ella comunicò una virtù che li rese a tutt‟oggi una delle sette meraviglie di Dauphiné. Essi sono due, di grande bellezza, e sono scavati così ammirevolmente nella roccia che è facile comprendere come non siano opera della semplice natura. La virtù che Melusina comunicò loro fu quella di annunciare per mezzo dell‟acqua che contengono l‟abbondanza o la scarsità del raccolto.

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Quando vi dovrà essere un raccolto abbondante, essa cresce oltre gli argini e straripa; in anni medi i ruscelli sono pieni a metà e quando vi saranno raccolti scarsi essi saranno pressoché asciutti. Uno di questi ruscelli è consacrato al grano e l‟altro al vino. In Francia era grande la credenza popolare che ella fosse solita apparire in quella che veniva chiamata la torre di Melusina ogni volta che uno dei signori della razza di Lusignan stava per morire; e, da quando la famiglia si estinse ed il castello passò alla corona, ella venne vista ogni volta che un re di Francia stava per lasciare questa vita. Mézeray ci informa di essere stato rassicurato sulla realtà delle apparizioni di Melusina su questa torre prima della morte di un Lusignan o di un re di Francia da gente di buona reputazione e che non era in alcun modo credulona. Ella appariva in abiti da lutto e continuava per lungo tempo ad emettere i lamenti più strazianti. Il passaggio che segue appare nel Brantôme's Eloge del Duca di Montpensier, che nel 1574 distrusse Lusignan e diverse altre fortezze degli Ugonotti: “Udii, più di quarant‟anni or sono, un vecchio veterano dire che quando l‟Imperatore Carlo V giunse in Francia lo portarono vicino a Lusignan a cacciare cervi, siccome ve ne era grande abbondanza nei bellissimi parchi antichi della Francia; egli non si stancava mai di ammirare e lodare la bellezza, le dimensioni ed il chef d'ceuvre di quella casa costruita, per di più, da una signora di cui si fece narrare diverse storie favolose che sono piuttosto comuni anche tra le buone vecchie che lavavano i panni alla fonte e di cui anche la regina Caterina de‟ Medici, madre del re, chiese ed ascoltò. Alcuni le dissero che talvolta erano soliti vederla arrivare presso la fonte per farvi il bagno sotto forma di una bellissima donna ed in vesti da vedova. Altri dissero che erano soliti vederla, ma molto raramente, il sabato sera (poiché in quello stato ella non permetteva che la vedessero) mentre faceva il bagno, con metà del corpo di una bellissima donna e l‟altra metà terminante in un serpente; altri che ella era solita apparire sulla cima della grande torre in una forma molto bella e come serpente. Alcuni

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dissero che quando stava per abbattersi un grande disastro sul regno o un cambiamento di regnanti o una morte o una sfortuna tra i suoi parenti (di Melusina), che erano le persone più importanti della Francia ed erano re, tre giorni prima ella veniva udita gridare con un grido terribile e spaventoso per tre volte. “Questo viene considerato assolutamente vero. Diverse persone del luogo, che lo hanno udito, ne danno testimonianza e ne tramandano il ricordo di padre in figlio; e dicono che, anche quando vi fu un assedio, molti soldati e uomini d‟onore che erano là lo udirono. Ma fu quando venne dato l‟ordine di buttare giù e distruggere i suoi castelli che ella emise le sue grida ed i suoi lamenti più alti. Questo è assolutamente vero, secondo quanto dicono persone degne d‟onore. Da allora ella non è più stata udita. Alcune vecchie mogli, tuttavia, dicono che ella è apparsa loro ma molto raramente.” Jean d‟Arras dichiara che Serville, che difese il castello di Lusignan per gli Inglesi contro il Duca di Bern, giurò sul uso onore a quel principe “che tre giorni prima della resa della fortezza entrò nella sua stanza, nonostante le porte fossero chiuse, un grosso serpente inanellato di bianco e blu che venne a sbattere la cosa diverse volte contro i piedi del letto dov‟egli stava giacendo con la moglie, che non se ne spaventò punto nonostante il marito se ne spaventasse invece grandemente; e che quand‟egli estrasse la spada il serpente mutò in una donna e gli disse: Come, Serville, voi che avete partecipato a così tanti assedi e battaglie avete paura! Sappiate che io sono la signora di questo castello, che ho costruito, e che dovrete arrendervi molto presto.” Quando ebbe terminato queste parole riassunse la forma di serpente e strisciò via così velocemente che egli non riuscì a percepirlo.” L‟autore aggiunge che il principe gli disse che altra gente degna di fede gli aveva giurato di averla anch‟essi vista nello stesso momento in altri luoghi dei paraggi e nella stessa forma. L‟antico castello di Pirou, sulla costa del Cotentin, nella Bassa Normandia, similmente deve la sua origine alle Fées (6).

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Queste erano figlie di un grande signore della zona, il quale era un famoso mago. Esse costruirono il castello molto tempo prima delle invasioni degli Uomini del Nord e dimorarono lì in pace ed unità. Ma, quando questi pirati cominciarono a fare le loro scorrerie sulla costa, le Fées, temendo la loro violenza, si mutarono in oche selvatiche e così trovarono scampo. Tuttavia, non abbandonarono completamente il loro castello, in quanto gli anziani del luogo affermano che ogni anno, il primo di marzo, uno stormo di oche selvatiche ritorna a prendere possesso dei nidi che avevano costruito per se stesse nei muri. Si dice anche che quando un figlio maschio nasceva nell‟illustre casa dei Pirou, i maschi di queste ogni, mostrando il loro migliore piumaggio grigio, camminavano impettiti in giro per i pavimenti delle corti del castello mentre, se era una bambina, le femmine, con piume più bianche della neve, precedevano i maschi. Se la nuova nata sarebbe divenuta suora, si notava che una di loro non si univa alle altre ma si manteneva da sola in un angolo, mangiando poco e sospirando profondamente. Le tradizioni che seguono sono collegate ai castelli di Argouges e Rânes, in Normandia (7): uno dei signori di Argouges, un giorno in cui era fuori a caccia incontrò un gruppo di venti signore di rara bellezza, tutte sopra a palafreni bianchi come neve. Una di esse pareva essere la regina ed il signore di Argouges se ne innamorò così profondamente e repentinamente da offrirsi subito di sposarla. Questa signora era una fée che in passato aveva protetto segretamente per lungo tempo il Sire d‟Argouges ed aveva anche fatto in modo che egli riportasse la vittoria in un combattimento con un terribile gigante. Siccome amava l‟oggetto delle sue attenzioni, ella accettò volentieri la sua offerta ma con la specifica condizione che egli non avrebbe mai pronunciato in sua presenza il nome della morte. Una condizione così lieve non causò difficoltà; il matrimonio ebbe luogo sotto i più felici auspici e degli amabili bambini coronarono la loro unione. Accadde tuttavia, con il tempo, che un giorno la coppia si stesse preparando a presenziare un

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torneo. La signora ci stava mettendo molto ad effettuare la sua toilette ed il marito la attendeva con impazienza. Alla fine ella fece la sua comparsa. “Bella signora,” disse lui quando la vide “sareste una persona adatta ad essere inviata alla morte per prendersi gioco di lei, perché ci mettete molto a mostrarvi.” (8) Ebbe appena pronunciato la parola fatale quando, emettendo un grido straziante come se fosse stata realmente colpita dalla morte, la fée scomparve, lasciando l‟impronta della sua mano sulla porta. Ella arriva ogni notte vestita di bianco e vaga per il castello emettendo sospiri profondi e continui, tra cui si può udire in tono funereo Morte! Morte! La medesima leggenda, come abbiamo detto, è collegata al castello di Rànes dove, tuttavia, fu sulla cima di una torre che la fèe svanì lasciando, come Melusina, l‟impronta del suo piede sui bastioni, dove può essere ancora vista. Come spiegazione della leggenda precedente M. Pluque osserva che durante l‟assedio di Bayeux da parte di Enrico I, nel 1106, Robert d‟Argouges vinse in singolar tenzone un Germanico di alta statura e che la corona della casa degli Argouges è la Fede, sotto forma di una donna nuda fino alla cintola seduta su una corteccia con il motto, o grido di guerra, A la Fé! ( à la foi!), che la gente pronuncia A la Fée! Queste sono le genuine Fate francesi. Sull‟onda del revival della cultura esse appaiono essere cadute nel dimenticatoio, finchè il loro ricordo viene svegliato dall‟apparizione della traduzione della storie italiane di Straparola, molte delle quali appaiono essere divenute famose tra la gente; ed alla fine del XVII secolo il Contes del Fées di Perrault, Madame d‟Aulnoy ed i loro imitatori e successori hanno dato loro fama in tutta Europa. Queste storie sono troppo ben conosciute ai nostri lettori perché noi facciamo alcuna osservazione in merito. NOTE (a) Otia Imperialia, pag. 987. (b) Come l‟Irlandese Play me Puck. (c) Otia limper. pag. 981; non sembra che la dimora di questi cavalieri-focene fosse sotto l‟acqua.

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(d) Otia Imper. pag. 897. Orthone, lo spirito della casa che secondo Froissart si prendeva cura del Signore di Corasse, in Guascogna, ricorda Hinzelmann in molti punti. (e) Ibid. (f) Hujusmodi larvarum. Egli pone i Fadas con i Silvani e Pan. (g) Pag.989. Parlando del meraviglioso cavallo di Giraldus de Cambreriis, Gervase disse: Si Fadus e'rat e dice Leibnitz, incantatus, ut Fadae, Fatae, Fées. (h) Cambry, Monumens Celtique, pag.342. L‟autore dice che Esterelle, come tutte le Fate, era la Luna. Di questo dubitiamo molto. Egli deriva il suo nome dal Bretone Escler, luminosità, Lauza da Lac’h (l‟Irlandese Orologio), una pietra piatta. (i) Monuments religieux des Voices Tectosages, ap. Mile, Bosquet, Normandie, etc., pag.92. (j) Vedere Leroux de Lincy, ap. Mile, Bosquet, pag.93, che aggiungono “nella Bassa Normandia, nei dintorni di Bayeux, non dimenticano mai di lasciare una tavola per il genio protettore del bambino che sta per nascere.” Vedere la nostra nota su Virg. Buc. IV, 63. In una raccolta di decreti dei Concili fatta da Burchard di Worms, che morì nel 1024, leggiamo quanto segue: “Fecisti, ut quaedam mulieres in quibusdam temporibus anni facere solent, ut in domo tua rnensam praepares et tuos cibos et potum cum tribus cultelluis supra mensam poneres, ut si venissent tres illae sorores quas antiqua posteritas et antiqua stultitia. Parcas nominavit, ibi reficirentur... ut credens illas quas tu dicis esse sorores tibi posse aut hic aut in futuro prodesse? ” Grimm, Deut. Mythol. Anhang, pag. xxxviii, dove viene detto anche che queste Pares possono dare ad un uomo al momento della sua nascita il potere di divenire un lupo mannaro. Tutto ciò non prova tuttavia che essi fossero origine delle Fées. (k) Questo ci ricorda il Neck o il Kelpie più sopra. Pare confermare la nostra teoria sui Visigoti. (l) Greg. Tur. De Glor. Confess. ch. xxxi., ap. Grimm, pag.466. (m) Pilgrimage to Auvergne, ii. pag.294, seq. (n) Cambry, Monuments Celtiques, pag.232.

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(o) Si tratta evidentemente di un cromleach.Ciò che viene detto sulla natura delle pietre è valido anche per Stonehenge. (p) Lettres de Madame S. à sa Fille, Périgueux, 1830, di M. Jouannet of Bordeaux. (q) Vedere Mile, Bosquet, La Normandie Romanesque et Merveilleuse, e le opera citate da questa erudite ed ingegnosa signora. Ciò che segue è così estremamente simile a ciò che abbiamo visto in precedenza della Korrigan dell‟adiacente Britannia (in altro volume, n.d.t.) che speriamo essa abbia avuto cura di non trasferire alcuna delle sue caratteristiche alle sue Fées. (r) Opera i. 1036; Paris, 1674, ap. Grimm, Deut. Mythol. p. 263. (s) Ap. Grimm, ut sup. Douce (Ill, di Shak. i. 382) fu, crediamo, il primo a dirigere l‟attenzione verso Abundia. Egli cita da un‟antica fabliau: Ceste richesse nus abonde, Nos l'avons de par Dame Abonde. (t) Un tipo di quelle che gli Italiani chiamano Fate Fée i Francesi; noi Sybils e le stesse Altre Ninfe Bianche; e coloro che le hanno viste alcune Signore della Notte, di cui Habundia è regina. Hierarchie, viii. pag.507. (u) Mr. Thoms preferisce una derivazione dal Cimrico Mab, ragazzo, bambino. (v) Non vi sono derivazioni soddisfacenti di Lutin, perché non possiamo considerare come fa Grimm che à luct,. Gobelin, Goblin, o Goubelin siano evidentemente la stessa cosa del Folletto Coboldo (da fol, fou) e Farfadet, bensì altri nomi. Sia Gobelin che Lutin erano in uso nell‟XI secolo. Orderic Vitalis, parlando del demone che San Taurino scacciò dal tempio di Diana, dice Hunc vulgus Gobelinum appellat e Wace (Roman de Rou, v. 9715) dice del familiare del vescovo Manger, che scomunicò il Conquistatore, Ne sei s'esteit lutin ou non.

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(w) Le madri minacciano insieme a lui anche i propri bambini. Le gobelin vous mangera, le gobelin vous emportera. Père~ L'ABBE, Etymologie, i. pag. 262. (x) In un‟altra storia francese un uomo, per sconfiggere una Fée, si mise i vestiti della propria moglie e stava cullando il bambino ma, quando entrò, ella disse: “Non, tu ne point la belle d'hier au soir, tu ne files, ni ne vogues, ni ton fuseau ne t'enveloppes” e, per punirlo, mutò alcune mele che stavano arrostendo sul focolare in piselli. Schreiber ap. Grimm, pag.385. (y) Lubin potrebbe essere un‟altra forma di Lutin ed essere collegato con l‟Inglese Lob. E‟ simile che il loup possa avere fornito l‟occasione all‟immaginazione per prendere la forma lupina. (z) Chattier. (aa) Histoire de Mélusine, tirée des Chroniques do Poftou, Paris, l698; Dobenek, Des Deutschen Mittelalter und Volksglauben. (1) i. e. Cephalonia. (2) Viene oggigiorno (1698) chiamata in maniera corrotta La Font de Sée ed ogni anno, nel mese di maggio, nel prato vicino si tiene una fiera in cui i pasticcieri vendono figure di donne bien coiffées chiamate Merlusines. (3) Una zanna di verro proiettata fuori dalla sua bocca. Secondo Brantôme una sua immagine intagliata nella pietra era nel portale della torre di Melusina, che venne distrutta nel 1574. (4) Alla sua partenza ella lasciò l‟impronta del piede sulla roccia di una delle finestre, dove rimase fino a quando il castello venne distrutto. (5) Nel suo poema su Melusina dedicato a Christina di Svezia. (6) M.lle Bosquet, ut sup. pag.100. (7) M.lle. Bosquet, ut sup. pag.98. Il castello di Argouges è vicino a Bayeux, quello di Rànes nei dintorni di Argentan. (8) Questa espressione proverbiale si ritrova in varie lingue. Vedere Grimm, Deut. Mythol., pag.802.

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Le Fate Medioevali Ecco quel che le carte empion di sogni, Lancillotto, Tristano e gli altri erranti, Onde convien che il volgo errante agogni. Petrarca Ci sforzeremo ora di rintracciare la fonte delle storie romantiche e meravigliose dell‟epoca. Senza una debita considerazione della materia, si potrebbe immaginare che le storie di materiali e poteri combinati siano infinite; tuttavia una riflessione, per quanto lieve, ci convincerà che anche qui vi possa essere un plagio, che nella maggioranza dei casi ve ne possa essere il sospetto. Incontriamo le più belle espressioni poetiche e simili della letteratura occidentale quando volgiamo la nostra attenzione all‟Est e colpisce l‟analogia che pervade le storie e le leggende di ogni regione. Esiste un alto grado di probabilità che le lussuose storie dell‟Est siano state prodotte su base europea, giungendo attraverso la Spagna e la Siria. La poesia ed il romanzo del Medioevo sono notoriamente più ricche di dettagli e di inventiva degli sforzi migliori di Grecia e Lazio; l‟isola di Calipso, per esempio, è in bellezza e varietà molto inferiore ai rifugi delle fate del romanzo. Da dove nascono queste differenze? Senza dubbio quando l’antica cavalleria mostrava la pompa dei suoi eroici giochi e cavalieri con i cimieri e dame intessute si radunavano al richiamo in qualche castello fiero con la sala dall’alto arco, grande pompa e splendore saltava all‟occhio del menestrello e del romanziere, tale quale mai i bardi delle semplici repubbliche dei tempi antichi avevano veduto, e questo potrebbe essere la causa della differenza tra la poesia dell‟Europa dell‟antichità e del Medioevo.

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Tuttavia, scopriamo in quest‟ultima un orientalismo che ci potrebbe indurre ad accettare l‟ipotesi che le storie e le usanze dell‟Est siano state trasmesse anticamente all‟Ovest; ed è molto probabile che, insieme ad usi di vita più splendidi, si sia aperta la strada ad un uso più diffuso delle belle storie aperte ai poteri plastici della fantasia. Le storie dell‟Arabia sono state indubitabilmente conosciute in Europa fin dall‟antichità. La storia di Cleomades e Claremonde, scritta nel XIII secolo (a), non solo ricorda ma è proprio la storia del Cavallo Incantato delle Mille e Una Notte. Un‟altra storia della stessa raccolta, le due sorelle che invidiavano la sorella più giovane, si può trovare in Straparola ed è una storia famosa anche in Germania; e, nel Pentamerone ed in altre raccolte di storie pubblicate molto prima dell‟apparizione della traduzione di M. Galland di quelle orientali, si possono riconoscere numerose tracce di origine orientale. Le strade principali per cui sono giunte si possono dimostrare facilmente. La necessità del commercio e dei pellegrinaggi alla Mecca hanno causato un costante interscambio tra i Mori della Spagna ed i loro correligionari dell‟Est; ed i Veneziani, che erano padroni della Candia, perseguirono un estensivo commercio con la Siria e l‟Egitto. E‟ degno di nota che le Notti Piacevoli di Straparola furono pubblicate per la prima volta a Venezia e che Basile, l‟autore del Pentamerone, visse la propria giovinezza in Candia ed in seguito visse molto tempo a Venezia. Infine, i pellegrini erano noti narratori di meraviglie ed ognuno di essi, dopo avere visitato la Terra Santa, era ansioso di immagazzinare nella propria memoria queste ricchezze, la diffusione delle quali procurava loro attenzione ed ospitalità nelle case. Pensiamo perciò che il romanzo europeo possa dovere, se non il nome, alcuni degli attributi e degli atteggiamenti delle sue Fate all‟Asia. Questo particolarmente nel caso delle storie composte o messe in prosa nel XIV, XV e XVI secolo, perché nei secoli precedenti la mitologia fatata è stata introdotta con molta maggiore parsimonia. Ma, accanto ai prototipi classici ed orientali delle sue Fate, il romanzo potrebbe averne avuto uno aggiuntivo dalla mitologia

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originale delle tribù celtiche, di cui una parte era formata da esseri molto simili alle Fate del romanzo. Erano queste le damoiselles che concessero i loro favori a Lanval e Graelent. Questo soggetto sarà tuttavia preso in maggiore considerazione nel capitolo trattante la Britannia (in altro libro, n.d.t.). I romanzi cavallereschi, come ben si sa, si possono dividere in tre categorie principali di storie: quelle di Artù e la sua Tavola Rotonda, quelle di Carlo Magno ed i suoi paladini e quelle di Amadis e Palmerin e dei loro discendenti e parenti. Nella prima categoria, con l‟eccezione di Isaie le Triste, che appare essere un‟opera del XV secolo, le Fate appaiono raramente; la seconda le mostra in tutto il loro splendore e potere; nella terza, le cui storie appartengono tutte alla letteratura spagnola, non appare nemmeno il nome ma l‟incantatrice Urganda Ia Desconecida appare uguale come potere alla Dame du Lac del romanzo di Lancelot du Lac (b). Tra gli avvenimenti dell‟antico e bel romanzo cui abbiamo appena accennato (c) viene narrata la morte di Re Ban, provocata dal dolore alla vista del suo castello preso ed in fiamme grazie al tradimento del suo siniscalco. La sua dolente regina aveva lasciato suo figlio appena nato ai margini di un lago mentre era andata ad addolcire gli ultimi momenti del monarca morente. Al suo ritorno, trovò il bambino tra le braccia di una bella signora. La pregò in maniera commovente di ridarle il figlio orfano ma ella, senza badare alle sue suppliche né pronunciare parola, si mosse verso il lago, dove si tuffò sparendo con il bambino. La signora era la famosa Dame du Lac; il bambino era Lancelot (Lancillotto), da allora detto Du Lac. Il nome della signora era Vivienne ed essa dimorava “en la marche de la petite Bretaigne.” Merlino, il nato da un diavolo, il rinomato incantatore, si innamorò di lei e le insegnò parte della sua arte; e l‟ingratitudine con cui lei lo ripagò è ben conosciuta negli annali del tradimento femminile (d). In conseguenza della conoscenza in tal modo acquisita ella divenne una Fata; l‟autore ci informa che “la damigella che portò Lancelot al lago era una Fata ed a quei tempi tutte le

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donne che avevano a che fare con incantesimi e magie venivano chiamate Fate – e ve ne erano molte, principalmente in Gran Bretagna – ed esse conoscevano il potere e le virtù delle parole, delle pietre e delle erbe, grazie alle quali si mantenevano in gioventù e bellezza ed in grande ricchezza, come dicevano.” (e) Il lago era fatato, un‟illusione nata dall‟arte che il diavolo aveva insegnato a Merlino e Merlino alla signora. Il romanzo dice: “La signora che lo aveva sollevato parlava solo nella foresta e dimorava sulla cima di un colle, che era molto più basso di quello su cui era morto il Re Ban. In questo luogo, dove pareva che il bosco fosse vasto e profondo, la signora possedeva molte belle case e molte ricchezze; e nella pianura sottostante vi era un fiumicello gentile pieno di pesci; e questo luogo era così segreto e nascosto che era difficile da trovare, perché l‟apparenza del lago lo nascondeva affinché non potesse essere percepito.” (f) Quando il suo giovane protégé ebbe terminato la sua educazione da cavaliere, ella lo portò alla corte di Re Artù ed ivi lo presentò; la storia che segue è ben nota. Nel romanzo di Maugis d’Aygremont et de Vivian son Frère, quando Tapinel e la schiava rubarono i due bambini del Duca Bevis di Aygremont il primo vendette alla moglie di Sorgelant il bambino che aveva rapito, il cui nome era Eselarmonde, aveva circa 15 anni ed era “plus belle et plus blanche qu'une fée.” La schiava, essendosi fermata a riposare sotto un biancospino, venne divorata da un leone e da un leopardo, che si uccisero a vicenda lottando per il bambino. “Ed il bambino giaceva sotto il biancospino e piangeva forte quando accadde che passò quella Oriande la Fée che dimorava a Rosefleur con altre quattro Fate e si diresse dritta verso il biancospino; questo perché ogni volta che passava di lì era solita riposarvisi sotto. Ella scese e, udendo il bambino piangere, gli si avvicinò, lo vide e disse: „Per il Dio in cui credo, questo bambino giace qui malamente (mal gist) e questo sarà il suo nome‟ e da allora egli venne sempre chiamato Maugis.”

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Oriande la Fée portò il bambino a casa con sé e le sue damigelle; ed avendolo esaminato ed avendo scoperto grazie ad un anello prezioso che aveva all‟orecchio che era di nobile lignaggio, “ella pregò nostro Signore di degnarsi di farle la grazia di renderle nota la sua origine (nazione).” Quando ebbe finito la sua preghiera inviò suo nipote Espiet, “che era un nano e non era più alto di tre piedi (91,44 cm, n.d.t.) ed aveva i capelli biondi come oro fino e sembrava un bambino di sette anni, nonostante ne avesse più di cento; ed era uno dei più falsi furfanti del mondo e conosceva ogni sorta di incantesimo.” Espiet la informò di chi fosse figlio il bambino ed Oriande, avendo pregato nostro Signore di conservare il bambino, lo prese con sé nel suo castello di Rosefleur, dove lo fece battezzare con il nome di Maugis. Lei e le sue damigelle lo allevarono con grande tenerezza e quando fu abbastanza grande ella lo mise sotto la protezione del proprio fratello Baudris, “che conosceva tutte le arti della magia e della negromanzia ed aveva un centinaio di anni di età”; ed egli insegnò a Maugis ciò che sapeva. Quando Maugis divenne un uomo, la Fata Oriande lo armò ed egli divenne il suo ami; ed ella lo amava “de si grand amour qu'elle doute fort qu'il ne se departe d'avecques elle.” Maugis ebbe poco tempo dopo in sorte di catturare il cavallo fatato Bayard, nell‟isola di Boucaut. Di Bayard si dice che, quando Maugis gli parlò, “Bayard estoit feyé, si entendoit aussi bien Maugis comme s'il (Bayard) eust parlé.” Al suo ritorno dall‟isola, Maugis vinse ed uccise l‟ammiraglio saraceno Anthenor, che era giunto per conquistare le terre ed il castello di Oriande, ed ottenne la spada Flamberge (Floberge) che, insieme a Bayard, in seguito diede al cugino Renaud. A Perceforest Sebille, la Dame du Lac, il cui castello era circondato da un fiume su cui sostava una nebbia così densa che nessuno poteva vedere oltre l‟acqua, nonostante non venisse chiamata in tal modo era evidentemente una Fata. I quindici giorni in cui Alessandro il Grande e Floridas dimorarono con lei per essere curati dalle loro ferite parvero loro una notte sola. Durante quella notte, “la dame demeura

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enceinte du roy dung fils, dont de ce lignage yssit le roi Artus.” (g) Nella stessa storia (h) ci viene detto che “en lysle de Zellande jadis fut demourante une faee qui estoit appellee Morgane.” Questa Morgane era molto intima con “un esprit (di nome Zephir) qui repairait es lieux aquatiques, mais jamais nestoit veux que de nuit.” Zephir aveva l‟abitudine di riportare la giovinezza sul volto di Morgana, “car elle estoit malicieuse et subtille et tousjours avoit moult desire a aucunement sçavoir des enchantemens et des conjurations.” Egli aveva affidato alle sue cure il giovane Passelyon e suo cugino Bennuc per allevarli e Passelyon ebbe una relazione con la giovane Morgane, figlia della Fata. Le varie avventure di questo amabile giovane formano una delle parti più interessanti del romanzo. In Tristan de Leonois (i) il Re Meliadus, padre di Tristan, viene attirato in trappola par mal engin et negromance di una Fata che era innamorata di lui e lo portò via, e da quella prigionia venne rilasciato solo grazie al potere del grande incantatore Merlino. In Parthenopex of Blois (j) la bella Fata Melior, la cui barca magica conduce il cavaliere alla sua isola segreta, è figlia dell‟Imperatore della Grecia. In nessun romanzo le Fate vengono mostrate con maggior piacere che in Sir Launfal, un romanzo metrico composto (k) da Thomas Chestre sotto il regno di Enrico VI. Tuttavia, prima di analizzare questo poema, che verrà seguito da un altro e dalla nostra personale imitazione di questo tipo di versi, ci concederemo di offrire qualche osservazione in merito ad una materia che ci sembra in generale poco compresa e precisamente la struttura del nostro antico verso inglese e la sua corretta modalità di lettura. I nostri antenati, come i loro parenti Goto-Germanici, regolavano i loro versi tramite il numero degli accenti, non tramite le sillabe. Il piede, tuttavia, come lo chiamiamo, poteva consistere in una, due, tre o anche quattro sillabe, a condizione che vi fosse un solo accento marcato fortemente. Inoltre,

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l‟accento di una parola poteva variare, principalmente mettendolo sull‟ultima sillaba come natúre per náture, honoúr per hónour, eccetera. (gli Italiani, a tal proposito, lo rimettevano indietro quando due accenti collidevano, come Il Pástor Fido (l)); essi suonavano anche nel modo in cui i Francesi chiamano la e femminile delle loro parole, come In oldè dayès of the King Artoúr; e pare ben nota la pratica dei copisti di non scrivere sempre questa e, a seconda dell‟abilità del lettore di fornirla (m). Vi era una sola restrizione, cioè che non doveva mai essere posta davanti ad una vocale, tranne dove vi era una pausa. In tal modo la poesia del Medioevo era regolare come quella attuale e Chaucer, letto in maniera corretta, è pieno di armonia. Ma gli scrittori dei nostri antichi poemi, ad eccezione di Tyrwhitt, pare abbiano ignorato o non conosciuto questo principio e soltanto nelle Canterbury Tales il verso viene approntato in maniera corretta. Procederemo ora all‟analisi del romanzo di Sir Launfal. Sir Launfal era uno dei cavalieri di Artù, che lo amava molto e lo fece suo attendente. Ma quando Artù sposò la bella ma fragile Gwennere, figlia di Ryon Re d‟Irlanda, Launfal ed altri virtuosi cavalieri manifestarono la loro scontentezza per il suo arrivo a corte. La Regina ne era consapevole e, al primo ricevimento dato da Re, la Regina diede doni a tutti, oro ed argento, pietre preziose, per mostrare la sua cortesia: ad ogni cavaliere ella diede gioie o anelli ma a Sir Launfal non diede nulla e questo gli dolette molte volte. Launfal, con il pretesto inventato della malattia di suo padre prese congedo dal Re e si ritirò a Karlyoun, dove visse in grande povertà. Avendo ottenuto in prestito un cavallo, un giorno di festa cavalcò in una bella foresta dove, sopraffatto dal caldo, si sedette all‟ombra di un albero a meditare sulle sue misere condizioni. In questa situazione venne attirato

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dall‟avvicinarsi di due belle damigelle splendidamente abbigliate. I loro volti erano bianchi come neve sul colle, la loro cavalcatura (n) era rossa, i loro occhi marroni; non vidi mai alcuno così bello. L’una portava d’oro un bacile, l’altra un panno bianco e fine di seta, che era bello e ricco; le loro vesti erano chiare ed avevano delle strisce di ricco oro – Launfal cominciò a sospirare – esse andarono a lui oltre la calura, egli era cortese ed andò loro incontro e le salutò rispettosamente. Esse lo salutarono cortesemente e lo invitarono ad andare a trovare la loro signora, il cui padiglione era vicino. Sir Launfal accettò l‟invito ed essi andarono verso il padiglione. Nulla poteva superarlo in magnificenza: esso era sormontato da un‟aquila adornata di pietre preziose così ricche che il poeta dichiara, e noi crediamo, che neppure Alessandro o Artù possedevano “gioielli così meravigliosi”. Egli trovò nel padiglione la figlia del Re di Oliroun, Sua Altezza Dama Tryamour; suo padre era il Re delle Fate di Occidente (o), uomo di grande potere. La bellezza di Dama Tryamour era oltre ogni concezione. Dal caldo ella depose le vesti fin quasi all’ombelico, quindi si lasciò scoperta; era bianca come il giglio in maggio o la neve che scende in un giorno d’inverno:

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egli non vide mai alcuno così vivo. La rosa rossa, quand’è in boccio, in confronto a lei era insignificante, oso dirlo per certo. I suoi capelli splendevano come fili d’oro: nessun uomo avrebbe potuto resisterle nel proprio cuore. Quest‟amabile dama concesse il proprio cuore a Sir Launfal a condizione che egli le fosse fedele. Come segno del suo affetto, gli diede una scarsella che sarebbe rimasta sempre piena e molti altri pregevoli doni ed il mattino seguente lo congedò assicurandogli che, ogni qual volta egli avrebbe desiderato vederla, se si fosse ritirato in una stanza da solo ella sarebbe stata immediatamente con lui. Questa informazione fu accompagnata dall‟impegno di una completa segretezza sul loro amore. Il cavaliere tornò a corte e stupì tutti con le sue ricchezze e la sua generosità. Continuò ad essere felice nell‟amore della bella Tryamour fino a quando una sfortunata avventura interruppe la sua felicità. Un giorno la Regina lo vide danzare, con altri cavalieri, davanti alla sua torre e, ispirata da affetto improvviso, fece delle profferte amorose al cavaliere. Queste richieste d‟amore vennero da lui ricevute con una indignata ripulsa, accompagnata dalla dichiarazione, più enfatica che gentile, che il suo cuore era di una dama la cui più brutta delle cui damigelle sorpassava la Regina in bellezza. L‟offesa così recata ebbe la naturale conseguenza di un mutamento radicale nei sentimenti della Regina e, quando Artù ritornò dalla caccia, come la moglie di Potiphar ella accusò Launfal di avere attentato al suo onore. L‟accusa venne creduta e l‟infelice cavaliere venne condannato ad essere arso vivo a meno che non avesse, entro una certa data, mostrato questa bellezza senza pari. Il fatale giorno arrivò; la Regina premeva per affrettare l‟esecuzione della sentenza quando dieci belle damigelle, splendidamente abbigliate su palafreni bianchi, furono viste avanzare verso il palazzo. Esse annunciarono la

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venuta della loro signora, che ben presto apparve e con la sua bellezza giustificò l‟affermazione del cavaliere. Sir Launfal venne immediatamente rimesso in libertà e, montando sul cavallo che la signora gli aveva concesso e che veniva tenuto dal suo scudiero, la seguì fuori dalla città. La signora viaggiò fino a Cardevile, viaggiò fino ad una bella isola, Sua Altezza Oliroun (p); ogni anno in un certo giorno si può udire il cavallo di Launfal e vederlo con gli occhi. Colui che là chiederà giustizia per difendere le sue armi dai nemici in un torneo o in una lotta, non avrà bisogno di andare oltre perché potrà trovare giustizia qui, con Sir Launfal il cavaliere. Così Launfal, senza finzione, quel nobile cavaliere della Tavola Rotonda venne portato nella terra delle Fate; da allora nessun uomo lo vide in questa terra né di lui poté più chiedere la verità senza mentire (q). Nessun romanzo è più importante riguardo al nostro soggetto del bellissimo Huon de Bordeaux (r). Generalmente nota, come dovrebbe essere questa storia, grazie al poema di Wieland ed alla traduzione di Mr. Sotheby, confidiamo che ci si scuserà del fatto che forniremo alcuni passaggi dall‟originale francese, siccome Le petit Roy Oberon pare formare una sorta di connessione tra le Fate del romanzo e gli Efli o i nani delle nazioni teutoniche. Quando arriveremo a parlare della Germania (in altro volume, n.d.t.) sarà nostra cura cercare di mostrare come la parte più antica dello Huon de Bordeaux sia stata tratta dalla storia di Otnit nell‟Heldenbich, dove il Re-nano Elberich esegue per Otnit pressoché gli stessi servizi che

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Oberon fa a Huon e che, in effetti, il nome Oberon non è che una lieve alterazione di Elberich (s). Huon, il nostro lettore deve sapere, incontrò in Siria un vecchio amico della sua famiglia di nome Gerasmes e, nel consultarsi con lui sulla strada verso Babilonia, ne venne informato che vi erano due strade per quella città, una lunga e sicura e l‟altra breve e pericolosa, che passa attraverso un bosco “che è lungo sedici leghe (quasi 89 km, n.d.t.) ma è così pieno di Fate e di cose strane che poche persone passano di là senza perdersi o venire fermate, perché ivi dimora un Re, Oberon la Fata. Egli è alto tre piedi (91,44 cm, n.d.t.); è tutto gobbo ma ha un volto angelico; non vi è uomo mortale che non trarrebbe piacere dal vederlo, da quanto è bello il suo volto. Ora, tu a stento entrerai nel bosco, se hai intenzione di passare per quella via, che lui troverà il modo di parlarti ma se tu gli parlerai sarai perduto per sempre, senza poter mai tornare; né varrà a nulla andare dritto in mezzo al bosco o non seguire sentieri: lo avrai sempre davanti a te e ti sarà impossibile fuggire senza parlargli, perché le sue parole sono così piacevoli a udirsi che nessun uomo può sfuggirgli. E se egli dovesse comprendere che tu non vuoi parlargli, si infurierà con te. Prima che tu abbia lasciato il bosco egli causerà pioggia, vento, grandine su di te e creerà tempeste, tuoni e fulmini così meravigliosi che penserai che il mondo stia finendo. Allora penserai di vedere un grande fiume che scorre davanti a te, meravigliosamente scuro e profondo; ma sappi, sire, che facilmente sarai in grado di attraversarlo senza bagnare le zampe del tuo cavallo, perché esso non è altro che un fantasma ed un incantesimo che il nano ti farà perché desidera averti con lui e, se ti manterrai fermo nel tuo proposito di non parlargli, sarai di certo in grado di sfuggirgli.” (t) Huon per qualche tempo seguì il saggio consiglio di Gerasmes ed evitò Oberon la Fata. Le tempeste di pioggia e tuoni arrivarono come predetto, il corno magico fece danzare tutto ed infine il cavaliere decise di attendere ed avvicinare il nano. “La Fata- nano arrivò cavalcando attraverso il bosco ed era abbigliato con vesti così incredibilmente fini e ricche che

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sarebbe stata una meraviglia a narrarsi da tanta e tanto meravigliosa ricchezza vi era su di esse; perché vi erano così tante pietre preziose che il grande splendore che emanavano era come quello del Sole quando splende al suo massimo. E nel suo pugno egli portava un bell‟arco, così ricco che nessuno avrebbe potuto valutarlo da tanto era bello; e la freccia che portava era di tale sorta che nessun animale al mondo che egli desiderasse avere avrebbe potuto fermarla. Aveva al suo collo un ricco corno, che pendeva da due ricche corde d‟oro fino.” (u) Questo corno era stato fabbricato da quattro fate, che l‟avevano dotato delle sue meravigliose proprietà. Oberon, per fare parlare Huon, lo informò che egli era figlio di Giulio cesare e della signora dell‟Isola Nascosta, in seguito chiamata Cefalonia. Il primo amore di questa signora era stato Florimont d‟Albania, un affascinante giovane principe, ma venne costretta a separarsi da lui, si sposò ed ebbe un figlio di nome Neptanebus, in seguito Re d‟Egitto, che fu padre di Alessandro il Grande, che in seguito lo mise a morte. Settecento anni dopo Cesare, sulla strada per la Tessaglia, venen intrattenuto a Cefalonia dalla signora dell‟isola e la amò, perch‟ella gli disse che lui avrebbe sconfitto Pompei e sarebbe divenuto padre di Oberon. Molti nobili principi e nobili Fate furono presenti alla nascita ma, sfortunatamente, una fata non venne invitata ed il dono che ella fece fu che egli non sarebbe cresciuto oltre il terzo anno ma, pentita, gli fece il dono di essere la più bella tra le opere della natura. Altre Fate gli diedero il dono di penetrare i pensieri degli uomini e di trasportare se stesso ed altri da un luogo all‟altro solo desiderandolo; e la facoltà, con lo stesso mezzo, di far sorgere e rimuovere castelli, palazzi, giardini, banchetti e cose simili. Egli informò quindi il cavaliere che era Re e signore di Mommur e che, quando avesse lasciato questo mondo, era pronto per lui un seggio in Paradiso – perché Oberon, come il suo simile Elberich, era un cristiano sincero. Quando, dopo una serie di avventure, Oberon giunge a Bordeaux in aiuto di Huon e propizia una riconciliazione tra

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lui e Carlo Magno, gli dice che è prossimo il tempo in cui egli dovrà lasciare questo mondo e prendere posto sul seggio preparato per lui in Paradiso, “en faerie ne veux plus demeurer.” Egli gli chiede di apparirgli innanzi entro quattro anni nella sua città di Mommur, dove verrà incoronato come suo successore. Qui la storia vera e propria termina, ma in seguito venne fatta da altri un‟aggiunta di ampiezza considerevole, in cui la storia prosegue. Molti sono i pericoli che Huon incontra prima del periodo fissato da Oberon. Infine, tuttavia, lui e la bella Esclairmonde (la Rezia di Wieland) vanno a Mommur. Qui, nonostante Artù (che, con sua sorella Morgana la Fata ed un vasto seguito arrivano alla corte e si mette in opposizione al volere del monarca, ma viene riportato all‟ordine dalla minaccia di Oberon di mutarlo in un Luyton de Mer (v)), Huan viene incoronato Re di tutte le Fate “tant du pais des Luytons comme des autres choses secretes reservées dire aux hommes.” Artù ottiene il regno di Bouqant e quello che Sybilla ottenne da Oberon e tutte le Fate che erano nella pianura della Tartaria. Il buon Re Oberon diede quindi a Huon le sue ultime istruzioni, raccomandandogli i suoi ufficiali e servitori ed incaricandolo di costruire un‟abbazia di fronte alla città, nel prato che il nano aveva amato, e di seppellirlo là. Quindi, addormentandosi nella morte, un glorioso gruppo di angeli, spargendo profumi al loro passaggio, portarono la sua anima in Paradiso. Isaie le Triste è probabilmente uno dei romanzi più tardi, certamente posteriore a Huon de Bordeaux perché il brillante ma deforme nano Trone, che è un personaggio così importante in esso, è – come abbiamo detto – Oberon, il cui destino lo ha costretto a passare un certo periodo in quella forma. E noi proveremo, come promesso, che Oberon è il bel Re-nano Elberich. In Isaie le signore fatate si avvicinano alle Fate di Perrault e di Madame d‟Aulnoy. Qui, come alla nascita di Oberon e di Ogier le Danois, esse si interessano del neonato e gli concedono dei doni. La descrizione contenuta in questo romanzo della maniera in cui il vecchio eremita le vede

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occupate intorno all‟infante Isaie è molto piacevole. Furono molto probabilmente Fate di questo tipo e non i diminutivi Elfi che Milton aveva in mente quando scrisse queste righe: Buona sorte a te, figlio, perché alla tua nascita le signore fatate hanno danzato sulla terra. La balia assonnata ha giurato che le ha spiate giungere viaggiando verso la stanza dove giacevi e, cantando dolcemente intorno al tuo letto, spargere tutte le loro benedizioni sulla tua testa dormiente. La descrizione del Vergier des Fées in Isaie le Triste e della bella valle in cui era situate potrebbe rivaleggiare in ricchezza e lusso con descrizioni simili di Spenser e dei poeti italiani (x). Confidiamo ora di avere provato abbondantemente la nostra posizione in merito agli Esseri Fatati del romanzo, cioè che furono almeno all‟inizio semplici “mortali umani” con dei poteri sovraumani, nonostante si possa percepire che, con l‟accrescimento della conoscenza orientale in materia, le Fate siano andate sempre più assumendo il carattere di una specie distinta. La nostra posizione acquisterà ulteriore forza quando, nel corso della nostra ricerca, arriveremo alla Francia ed all‟Italia (in altri volumi, n.d.t.). Strettamente collegato con le Fate è il luogo dove dimorano, la regione in cui portano i mortali che amano, “la riva felice della Terra delle Fate.” NOTE (a) In merito ai soggetti citati in questo paragrafo vedere Tales and Popular Fictions, cap. ii. e iii. (b) Nell‟Amadigi di B. Tasso ella è la Fata Urganda. (c) Lancelot viene considerato probabilmente il primo romanzo cavalleresco in prosa. Venne stampato per la prima volta nel 1494. La metrica del romanzo chiamato La Charrette, di cui Lancelot è protagonista, fu cominciata Chrestien de Troyes, che morì nel 1191, e terminata da Geoffrey de Ligny. Potremmo osservare qui che quasi tutti i romanzi cavallereschi

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francesi furono scritti originariamente in versi nel XII e nel XIII secolo principalmente da Chrestien de Troyes e Huon de Villeneuve. I romanzi in prosa furono generalmente fatti sulla loro base nel XV secolo. (d) For while It was in hand, by loving of an elf, For all his wondrous skill was cozened of himself: For walking with his Fay, her to the rock he brought, In which he oft before his nigromancies wrought. And going in thereat, his magics to have shown, She stopt the cavern's mouth with an enchanted stone, Whose cunning strongly crossed, amazed while he did stand, She captive him conveyed unto the Fairy-land. Drayten, Poly-Olb. Song IV. (e) “La damoiseile qui Lancelot ports au lac estoit une fée, et en cellui temps estolent appellées fees toutes celles qui seutremeloient denchantements et de charmes, et moult en estoit pour loss principallement en la Grand Bretaigne, et savoient la force et la vertu dee parolles, des pierres, et des herbes, parquoi eIles estoient en jeunesse, et en beaulte, et en grandes richesses, comment elles divisoient.” (f) “La dame qui le nourissoit ne conversoit que en forest, et estoit au plain de ung tetre plus bas assez que celui ou le roy Ban estoit mort: en ce lieu en ce lieu que il sembloit que le bois fust grant et parfont (profond) avoit la dame moult de belles maisons et moult riches; et au plain dessoubs y avoit une gente petite riviere moult plantureuse de poissons; et estoit ce lieu et cele et secret que bien difficille estoit a homme de le trouver, car Ia semblance du dit lac Ie couvroit si que il ne pouvoit estre apperceu. E più avanti “La damoiselle nestoit mie seulle, mais y avoit grande compaignie de chevaliers et de dames et demoiselles.” (g) Vol. i. cap. 42. (h) Vol. iii. cap. 31. (i) Tristan venne scritto in versi da Chrestien de Troyes. Il romanzo in prosa venne stampato per la prima volta nel 1489. (j) Parthenopex venne scritto in Francia nel XII secolo, secondo Le Grand; nel XIII secondo Roquefort.

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(k) Composto – perchè, per dirla con Ellis, Ritson ed altri, una traduzione sarebbe assurda. Come Ellis, che almeno aveva letto la Fabliaux di Le Grand e Way, abbia potuto dire di Chestre che “sembra abbia fornito una versione fedele e nello spirito di questa storia Bretone” è sorprendente. Infatti non si tratta di una traduzione, ma di un poema sulla avventure di Sir Launfal basato principalmente sul Lais de Lanval e de Graelent, in Marie de France con considerevoli aggiunte dovute all‟inventiva di Chestre o tratte da altre fonti. Questi Lais saranno trattati sotto la Britannia (in altro volume, n.d.t.). (l) Perciò noi stessi diciamo the Pri'ncess Royal, éxtreme need, eccetera. Questa è appunto la causa per cui i Greci pongono l‟accento grave e non acuto su parole accentate nell‟ultima sillaba, per mostrare che esso è facilmente spostabile. (m) Siccome questa pare essere uno degli arti perduti, qui ed altrove sottolineeremo il femminile e ed il cambio dell‟accento. (n) Carnagione rossa. (o) Occient- occidente o océan? I contadini del Gaston chiamano la Baia di Biscay La Mer d' Occient, gli Spagnoli dicono Mar Oceano. (p) E‟ strano veder il poeta inglese che muta l‟Avalon del Lai de Lanval nella ben conosciuta isola di Oléron. E‟ anche piuttosto strano che Mr. Ritson, che ha fatto una nota sull‟ “Oliroun”, non l‟abbia notato. (q) Il Lai termina così : Od (avec) li seat vait en Avalun, Ceo nus recuntent. le Bretun; En une isle que mut eat beaus, La fut ravi Ii dameiseaus, Nul humme nen ot plus parler, Na jeo nan sai avant cunter. In Graelent si dice che il cavallo del cavaliere fosse solito ritornare annualmente al fiume dove perse il proprio padrone. Il resto è di Thomas Chestre, tratto probabilmente dalla ben nota storia di Gervase di Tilbury. (r) Huon, Hue, o Hullin (perch‟egli viene chiamato con questi tre nomi nel romanzo poetico) è, vi possono essere pochi

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dubbi, la stessa persona di Yon Re di Bordeaux nel Quatre Filz Aymon, un‟altra composizione di Huon de Villeneuve, e con Lo Re Ivone, principe o Duca di Guienne in Bojardo ed Ariosto. Vedere l‟Orlando, Inn. l i. c. iv. st. 46; I Cinque Canti, c. v. st. 42. (s) Si pensa che l‟Otait sia stato scritto da Wolfram von Esehembach all‟inizio del XII secolo. E‟ probabilmente molto più antico. Huon de Bordeaux venne, si dice, scritto in versi francesi da Huon do Villeneuve in qualche momento nello stesso secolo. Esso non appare nella lista delle sue opere fornita da Mons. De Roquefort. Alla fine della romanzo in prosa ci viene detto che è stato scritto per desiderio di Charles seigneur du Rochefort e completato il 29 gennaio 1454. (t) “Qui a de long seizes lieues, mais tant est plain de faerie et chose estrange que peu de gens y passent qui n'y soient perdus ou arrestez, pour ce que la dedans demeure un roi, Oberon le fayé. Il n'a que trois pieds de hauteur; il est tout bossu; mais il a un visage angelique; il n'est homme mortel que le voye que plaisir no prengne a le regarder tant a beau visage. Ja si tost ne serez entrez au bois se par Is voulez passer qu'il ne trouve maniere de parler a vous, si ainsi que a luy parliez perdu estus a tousjours sans jamais plus revenir; ne il ne sera en vous, car se par Ie bois passez, soit de long ou de travers, vous le trouverez tousjours au devant de vous, et vous sera impossible que eschappiez nullement que ne parliez a luy, car ses parolles sont tant plaisantes a ouyr qu'il n'est homme mortel qui de luy se puisse eschapper. Et se chose est qu'il voye que nullement ne vueillez parler a luy, il sera moult troublé envers vous. Car avant que du bois soyez parti vous fera pleuvoir, ventrer, gresiller, et faire si tres-mervueilleux orages, tonnerres, et esclairs, que advis vous sera que Ie monde doive finir. Puis vous sera advis que par devant vous verrez une grande riviere courante, noire et parfonde a grand merveilles; mais sachez, sire, que bien y pourrez aller sans mouiller les pieds de vostre cheval, car ce n'est que fantosme et enchantemens que le nain vous fera pour vous cuider avoir avec lui, et se chose est que

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bien tenez propos en vous de non parler a luy, bien pourrez eschapper, etc.” (u) “La Nain Fee s'en vint chevauchant par Ie bois, et estoit vestu d'une robbe si tres-belle et riche, que merveilles sera ce racompter pour la grand et merveilleuse richesse que dessus estoit, car tant y avoit de pierres precieuses, que la grand clarté qu'elles jettoient estoit pareille au soleil quant il luit bien clair. Et avec ce portoit un moult bel arc en son poing, tant riche que on ne le sauroit estimer tant estoit beau. Et la fleche qu'ii portoit estoit do telle sorto et maniere, qu'il n'estoit beste au monde qu'il vousist souhaiter qu'a icelle fleche elle ne s'arrestast. II avoit a son cou un riche cor, lequel estoit pendu a deux riches attaches de fin or.” (v) Questo tipo di trasformazione appare essere stato una punizione usuale nella Terra delle Fate. Potrebbe essere arrivata da Circe ma le Mille e Una Notte è pieno di tali trasformazioni. Per luyton o lutin vedere il capitolo sulla Francia (in altro volume, n.d.t.) (x) Questo romanzo ci è noto solo grazie all‟analisi di Mr. Dunlop.

La Terra delle Fate Là, rinnovata la primavera della vita, di nuovo regna un potente Re e molti paesi belli e profumati, fioriti in rigoglio immortale, in terre dell’Eden sempre ventilate, possiede il grande potere del monarca. T.Warton In tutte le nazioni la miscela di gioia e dolore, di squisita delizia ed intensa miseria nello stato attuale ha portato l‟immaginazione a concepire regioni di una felicità senza dolore destinate al riposo del buono dopo le tribolazioni di questa vita e di regioni dove prevale la felicità, dimora di esseri

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superiori agli umani. L‟immaginazione degli Indù dipinge il loro Swergas come “profuso di felicità” e nel paradiso dei musulmani vengono raccolte tutte le gioie dei sensi. I Persiani profondevano la ricchezza della loro fantasia nella costruzione di Città di Gioielli e d‟Ambra che adornano i regni del Jinnestân; i romantici hanno eretto castelli e palazzi pieni di cavalieri e dame ad Avalon e nella Terra delle Fate, mentre i bardi ellenici, non avvezzi alla pompa ed allo splendore, hanno riempito i Campi Elisi e l‟Isola dei Beati con tiepide brezze e fiori brillanti. Citeremo senza apologia due bellissimi passaggi di Omero e Pindaro in cui i nostri lettori potranno vedere la differenza essenziale tra l‟immaginazione classica e quella romantica. In Omero, Proteo dice a Menelao che, siccome egli ha avuto l‟onore di essere genero di Zeus, non sarebbe morto nella “Argo che nutre i cavalli”. Ma te gli Dei immortali invieranno alla piana degli Elisi e a distanti confini della Terra, dove dimora Radamanto dai bei capelli. Là la vita è più semplice per gli uomini; non vi è neve, né tempesta invernale, né pioggia in alcun istante; ma sempre l’Oceano invia dolci brezze di Zefiro per rinfrescare gli abitanti. Od. iv, 563. Questo passaggio viene imitato da Pindaro e viene collegato con quel nobile tono di moralità così familiare al pensiero orientale e grazie al quale il “Cigno Dirceo” si distingue da tutti i suoi compagni. Essi si affrettano verso il palazzo di Crono, laddove intorno all’Isola dei Beati i venti dell’Oceano spirano e fiori dorati splendono; alcuni sulla terra da alberi splendenti ed altri tipi

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che l’acqua nutre. Di questi ghirlande e bracciali intorno alle braccia essi portano, sotto il retto governo di Radamanto. Ol. ii, 126 Lucrezio ha trasferito questi campi fortunate alle regioni superiori per formare la dimora dei suoi fainéans, Dei, e Virgilio li ha posti, con ulteriore splendore poetico, al centro della terra. Largamente differente da queste calme e pacifiche dimore di guerrieri morti sono le dimore fatate dei menestrelli e dei romanzieri. Ai loro occhi ed a quelli del loro pubblico nulla era bello o buono quanto la pompa e l‟orgoglio della cavalleria e la cavalleria è, in accordo a questo, entrata profondamente nella composizione delle loro immagini di quei regni ideali. Le terre fatate del romanzo si possono dividere in tre tipi: Avalon, posta nell‟oceano come l‟Isola dei Beati; quelle che, come il palazzo di Pan Banou, sono all‟interno della terra; ed infine quelle che, come i domini di Oberon, sono situate “nei boschi tra gli alberi frondosi”. Riguardo al castello ed all‟isola di Avalon (a), dimora di Artù ed Oberon e di Morgue la Fata, la descrizione migliore si ritrova nel romanzo di Ogier le Danois da cui, siccome non conosciamo altre opere che si riferiscano alla parte collegata al presente soggetto, prenderemo alcuni estratti (b). Alla nascita di Ogier parteciparono diverse Fate che gli concessero molti doni. Tra di loro vi era Morgue la Fata, che gli fece il dono di essere suo amante ed amico. Di conseguenza, quando Ogier si fu distinto particolarmente in amore ed in guerra ed ebbe compiuto il suo centesimo anno, l‟affezionata Morgue pensò fosse tempo di trarlo dalle tribolazioni e dai pericoli della vita mortale e di trasportarlo alle gioie ed al riposo del castello di Avalon. Per perseguire il suo disegno, Ogier ed il Re Caraheu vennero sorpresi da una tempesta mentre tornavano da Gerusalemme e le loro imbarcazioni furono separate. Quella in cui era Ogier “galleggiò lungo il

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mare fin quando giunse al castello di magnetite che viene chiamato castello di Avalon e non è lungi da questa sponda del paradiso terrestre, dove vennero rapiti in una fiamma di fuoco Enoch ed Elia; e dove vi era Morgue la Fata, che alla sua nascita gli aveva donato grandi doni, nobili e virtuosi.” (c) L‟imbarcazione si sfracellò contro le rocce; le provviste vennero divise tra l‟equipaggio e si accordarono che ogni uomo, finite le sue provviste, sarebbe stato gettato in mare. Le provviste di Ogier durarono a lungo ed egli rimase solo. Quasi ridotto alla disperazione, udì una voce gridargli dal cielo: “Dio ti ordina, non appena farà notte, di andare al castello che vedrai splendere e di passare da una imbarcazione all‟altra fino a quando arriverai ad un‟isola che troverai. E quando sarai in quell‟isola troverai una stradina e non dovrai spaventarti per nulla di ciò che potrai vedervi. Ed Ogier guardò ma non vide nulla.” (d) Quando giunse la notte, Ogier si raccomandò a Dio e, vedendo il castello di magnetite tutto splendente di luce, passò da una all‟altra delle imbarcazioni che erano lì naufragate e così giunse all‟isola. All‟arrivo egli la scoprì custodita da due fieri leoni. Egli li uccise ed entrò; e, giungendo ad una sala, trovò un cavallo seduto ad una tavola riccamente imbandita. Il cortese animale lo trattò con il massimo rispetto e l‟eroe affamato fece una buona cena. Il cavallo quindi lo spinse a salirgli in groppa e lo portò in una splendida stanza, dove Ogier dormì quella notte. Il nome di questo cavallo era Papillon, “che era un Luiton ed era stato un grande principe ma Re Artù lo aveva battuto ed egli era stato quindi condannato ad essere un cavallo per trecento anni senza proferire parola; ma, dopo i trecento anni, avrebbe avuto la corona di gioia che veniva portata nella Terra delle Fate.” (e) La mattina seguente egli non riuscì a trovare Papillon ma, aprendo la porta, vide un enorme serpente, che uccise, e seguì una stradina che lo condusse ad un frutteto “tant bel et tant plaisant, que cestoit ung petit paradis a veoir.” Egli colse una mela da uno degli alberi e la mangiò ma venne immediatamente colpito da una debolezza così violenta da

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temere che ben presto sarebbe morto. Si preparò quindi al suo destino, rimpiangendo “le bon pays de France, le roi Charlemaigne... et principallement la bonne royne dangleterre, sa bonne espouse et vraie amie, ma dame Clarice, qui tant estoit belle et noble.” In questo stato doloroso, voltandosi verso est percepì “une moult belle dame, toute vestue de blanc, si bien et si richement aornee que cestoit ung grant triumphe que de la veoir.” Ogier, pensando fosse la Vergine Maria, cominciò a dire un Ave, ma la signora gli disse che era Morgue la Fata, che alla sua nascita lo aveva baciato e lo aveva conservato per il suo fedele amore, nonostante lui l‟avesse dimenticata. Pose quindi al suo dito un anello che rimosse ogni infermità ed Ogier, all‟età di cent‟anni, ritornò al vigore ed alla bellezza di trenta. Ella lo condusse quindi al castello di Avalon, dove vi erano suo fratello il Re Artù ed Oberon e Mallonbron, “ung luiton de mer.” “E, quando Morgue si avvicinò al detto castello di Avalon, le Fate uscirono per incontrare Ogier, cantando nel modo più melodioso che egli avesse mai udito; così egli entrò nel castello per rinfrancarsi completamente. Là vide diverse dame fatate adornate e tutte incoronate con corone fatte con il massimo della sontuosità e molto rocche, e dappertutto esse cantavano, danzavano e conducevano una vite gioiosa senza pensare ad alcun male, ma godendo dei piaceri mondani.” (f) Morgue presentò quindi il cavaliere ad Artù e pose sul suo capo una corona ricca e splendida oltre ogni misura, una corona dell‟oblio che induce chi la indossa a dimenticare il suo stato precedente , a dimenticare gioia e dolore, piacere e infelicità; ed Ogier dimenticò all‟istante il suo paese ed i suoi amici. Non ebbe più alcun pensiero nemmeno “ni de la dame Clarice, qui tant estoit belle et noble” né di Guyon suo fratello, né di suo nipote Gauthier “ne de creature vivante”. I suoi giorni da allora passarono in un piacere incessante. “Le signore fatate gli fecero trascorrere un periodo così gioioso che nessuna creatura di questo mondo potrebbe immaginare o pensare, perché udirle cantare così dolcemente gli faceva pensare di essere

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realmente in Paradiso; così il tempo passava giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, in maniera tale che un anno non durava un mese per lui.” (g) Ma Avalon era ancora sulla terra e quindi la sua felicità non era perfetta. Un giorno Artù prese Ogier da parte e lo informò che Capalus, Re dei Luitons, attaccava senza posa il castello delle Fate con il progetto di espellere Re Artù dal suo dominio ed aveva preso l‟abitudine di penetrare nella corte inferiore e chiamare Artù affinché uscisse ad incontrarlo in combattimento. Ogier chiese il permesso di incontrare questo formidabile personaggio, cosa che Artù concesse volentieri. Tuttavia, non appena Capalus incontrò Ogier gli si arrese ed il cavaliere ebbe la soddisfazione di condurlo nel castello e di riconciliarlo con i suoi abitanti. Duecento anni trascorsero in questi piaceri e non parvero ad Ogier più di venti: Carlo Magno e la sua discendenza si erano estinti ed anche la razza di Olgier si era estinta quando i musulmani invasero la Francia e l‟Italia in vaste armate e Morgue non si sentì più in diritto di trattenere Olgier dalla difesa della fede. Di conseguenza, un giorno ella tolse la corona dell‟oblio dal suo capo: immediatamente tutte gli antichi ricordi percorsero la sua mente e lo infiammarono di un ardente desiderio di rivedere il suo paese. La Fata gli diede un tizzone che avrebbe dovuto essere tenuto lontano dal fuoco, perché fino a quando fosse rimasto integro egli sarebbe vissuto. Aggiunse al suo dono il cavallo Papillon ed il suo compagno Benoist. “E, quando furono entrambi montati, tutte le dame del castello vennero a prendere congedo da Olgier per ordine di Re Artù e di Morgue la Fata ed esse suonavano la musica più melodiosa mai udita; quindi, terminata che fu la musica, cantarono con una voce così melodiosa che ad Ogier parve di essere in Paradiso. Nuovamente, quando terminarono esse suonarono i loro strumenti in accordo così dolce da parere più musica divina che mortale.” (h) Il cavaliere prese quindi congedo definitivamente ed una nuvola avvolse lui ed i suoi compagni, innalzandoli e deponendoli quindi presso una bella fonte vicino a Montpellier. Ogier mostrò il suo antico valore,

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abbattè gli infedeli e, alla morte del Re, sul punto di sposarne lui la Regina Morgue apparve e lo riportò ad Avalon. Da allora Ogier non riapparve mai più in questo mondo. Parleremo adesso di una terra fatata del secondo tipo, descritta pienamente e dettagliatamente nel bellissimo romanzo di Orfeo ed Heurodis. Vi sono invero copiosi estratti di questo poema nell‟ Essay on the Fairies of Popular Superstition di Sir Walter Scott e noi non abbiamo scusanti per il fatto di ripetere ciò che si può trovare in un‟opera così universalmente diffusa come Ministero per i Confini Scozzesi, ma è assolutamente necessario al nostro scopo e questa romantica storia raramente riesce sgradita. Orfeo ed Heurodis erano il Re e la Regina di Winchester. Accadde un giorno che la Regina si addormentò sotto un albero dei diavoletti (i) nel frutteto del palazzo, circondata dalle sue dame, ed ebbe un sogno che riferì al Re in tal modo: Mentre giacevo questo pomeriggio a dormire a fianco del frutteto giunsero a me due cavalieri fatati ben vestiti e mi dissero di andare senza indugio a parlare con il loro signore il Re; ed io risposi con parole cortesi che non avrei rifiutato: veloci essi viaggiarono e giunsero quindi dal loro Re con mille e più cavalieri e con cinquanta dame a tutti viaggiavano su cavalli bianchi come neve ed anche le briglie erano bianche. Da quando nacqui non vidi mai cavalieri così splendidi. Il re aveva in capo una corona, non era d’argento né di rosso oro; era tutta di pietra preziosa, splendeva invero come il Sole.

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Giunse a me così in fretta, mi prese e mi fece cavalcare con sé su un bianco palafreno al suo fianco e mi portò al suo paese, al di là di ogni visione. Mi mostrò castelli e torri, prati, fiumi, campi e fiori e le sue foreste sempre ricche e poi mi riportò a casa. Il Re fatato le ordinò, sotto minaccia di una terribile punizione, di attenderlo il mattino seguente sotto lo stesso albero. Suo marito e mille cavalieri stettero armati intorno all‟albero per proteggerla, e tuttavia da in mezzo a loro la Regina venne rapita, presa con un potere fatato; nessun uomo vide mai dove fu portata. Oribo, disperato, abbandonò il suo trono e si rifugiò nel bosco, dove traeva conforto dalla sua arpa, incantando con la sua melodia gli animali selvatici che abitavano il luogo. Spesso, mentre era là poteva vedersi accanto spesso quando vi era caldo il Re delle Fate con il suo seguito che giungeva per dargli la caccia con alte urla e soffi ed anche cani che erano con lui abbaiando. Tuttavia né bestia né uomo vide mai da dove arrivassero; ed altre volte egli poté vederli in tutta fretta. (j) Ben vestiti mille cavalieri, ognuno ben armato, dai volti forti e fieri,

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con molti vessilli in mostra ed ognuno con la propria spada estratta ed egli non vide mai se non uniti. E vide altre cose, cavalieri e dame giunti per danzare apparivano in pittoresche vesti, con calma e dolcemente. Tamburi e trombe oi accompagnavano e tutti i dignitari. Ed un giorno egli gli fu accanto cavalcando per sessanta leghe, gentile e gaio come un uccello sul ramo, né uomo tra loro vi era ed ognuno un falco portava sulla spalla e cavalcava. Di selvaggina fecero buona caccia, anatre selvatiche, aironi e cormorani, gli uccelli che si alzano in volo ogni falco catturava, ogni falco la sua preda uccideva (k). In mezzo alle dame egli riconobbe la sua regina perduta e decise di seguirli e tentare di salvarla. Verso una roccia la muta corse ed egli dietro. Quando furono alla roccia andò avanti per tre miglia o più finchè giunse in un paese fatato luminoso come un giorno d’estate, dolce e piano e tutto verde, con una collina che nessuno aveva mai visto. In mezzo ad essa un castello egli vide, ricco e vero di meravigliosamente alto. Tutti i muri esterni erano chiari e splendevano di cristallo e cento torri là vi erano, baluardi per la battaglia. Pilastri si innalzavano dal fossato,

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ricchi di oro rosso nei loro archi. Gli alari erano tutti dipinti ognuno con un diverso animale. All’interno vi erano vaste stanze tutte di pietre preziose. La peggior colonna a vedersi Era tutta di oro brunito. Tutta quella terra era sempre luminosa perché quando avrebbero dovuto esservi l’oscurità e la notte le ricche pietre si illuminavano ed erano splendenti come nemmeno il Sole; nessun uomo avrebbe potuto dire né pensare in sé quale ricca opera era stata fatta. Orfeo entrò in questo palazzo e chiese dunque al re ed ai suoi ministri di rendergli sua moglie. Essi ritornarono a Winchester e qui regnarono in pace e felicità. Un‟altra prova di questo tipo di Terra Fatata si può trovare in Tommaso il Rimatore, ma confinati nei nostri limiti, dovremo ometterlo e passare all‟ultimo tipo. Sir Thopas venne scritto per ridicolizzare i romanzieri; le sue avventure devono perciò accordarsi alle loro e la terra fatata in esso in effetti ricorda quella in Huon de Bordeaux. Essa possiede però l‟innegabile merito di avere suggerito gli avvenimenti a Spenser e forse di avergli dato l‟idea di una regina regnante nella Terra delle Fate. Sir Thopas è casto come Graelent. Molte fanciulle splendenti sospirarono per lui per amore quando lo vedevano dormire; ma egli era casto e non lascivo e dolce come il succo del rovo che porta la bacca rossa. Era anche un oggetto adatto per l‟amore di una gentile regina elfica. Così Sir Thopas un giorno “andò antro una foresta

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fatata” finchè si stancò e quindi si mise a dormire sull‟erba, dove sognò una regina elfica e si svegliò dichiarando: Una regina elfica io amerò, certo. Tutte le altre donne abbandonerò e da una regina elfica andrò per valli ed anche per colli. Egli decise di andare in cerca di lei. In sella egli montò e lo spronò oltre pietre e valli finchè non ebbe cavalcato tanto da trovare un luogo appartato, il paese delle Fate (m), dove cercò a nord ed a sud e spesso spiò con la sua cavalcatura in molte foreste selvagge; perché in quel paese non vi era nessuno che con lui cavalcasse o andasse, né sposa né bambino. Il “grande gigante” Sire Oliphaunt, tuttavia, lo informa che Qui è la regina delle Fate, con arpa e flauto in sinfonia dimora in questo luogo. A causa della fastidiosità del “mio ospite”, non siamo in grado di sapere come andò a Sir Thopas con la regina delle Fate ed abbiamo probabilmente perduto una copiosa descrizione della Terra delle Fate. Dallo scintillio della stella mattutina della poesia inglese è naturale la transizione al suo splendore meridiano, il regno di Elizabeth, ed ora faremo alcuni accenni al poema di Spenser. NOTE (a) Avalon era forse l‟Isola dei Beati della mitologia celtica e quindi la dimora delle Fate, tramite la Britannica Korrigan. Gli scrittori, tuttavia sembrano essere unanimi nel considerare

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essa e Glanstonbury lo stesso luogo, che si afferma venire chiamata isola in quanto resa tale dall‟ “abbraccio del fiume”. Era chiamata Avalon, ci viene detto, dalla parola britannica Aval, mela, di cui frutteti abbondava e Ynys gwydrin; in Sassone Glaytn-ey, Isola di Vetro; in Latino Glastonia, dalla tonalità verde dell‟acqua che la circonda. (b) Vedere Tales and Popular Fictions, cap.. ix, per una ulteriore narrazione su Olgier. (c) “Tant nagea en mer qu'il arriva pres du chastel daymant quon nomme Ie chastean davallon, qui nest gueres deca paradis terrestre la ou furent ravis en une raye de feu Enoc et Helye, et la ou estoit Morgue la faye, qui a sa naisance lui avoit donne de grands dons, nobles et vertueux.” (d) “Dieu te mande que si tost que sera nuit que tu allies en ung chasteau que tu verras luire, et passe de bateau en bateau tant que tu soies en une isle que tu trouveras. Et quand tu seras en lisle tu trouveras une petite sente, et de chose que tu voies leans ne tesbahis de rien. Et adonc Ogier regarda mais il ne vit rien.” (e) “Lequel estoit luiton, et avoit este ung grant prince; mais le roi Artus le conquist, si fust condampne a estre trois cens ans cheval sans parler ung tout seul mot; mais apres lea trois cens ans, il devoit avoir la couronne de joye do laquelle ils usuient en faerie.” (f) “Et quand Morgue approcha du dit chasteau, les Faes vindrent an devant dogier, chantant le plus melodieusement quon scauroit jamais ouir, si entra dedans in salle pour me deduire totallement. Adonc vist plusieurs dames Faees sournees et toutes courrunnees de couronnes tressomptueusement faictes, et moult riches, et tout jour chantoient, dansoient, et menoient vie treajoyeuse, sans penser a nulle quelconque meschante chose, fors prandre leurs moudains plaisirs.” (g) “Tant de joyeulx passetemps lui faisoient les dames Faees, quil nest creature en ce monde quil le sceust imaginer ne penser, car les ouir si doulcement chanter il lui sembloit proprement quil fut en Paradis, si passoit temps de jour en

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jour, de semaine en semaine, tellement que ung an ne lui duroit pas ung mois.” (h) “Et quand ils furent tous deux montes, toutes les dames du chasteau vindrent a Ia departie dogier, par le commandement du roi Artus et de Morgue la fae, et sonnerent une aubade dinstrumeus, la plus melodieuse chose a ouir que on entendit jamais; puis, l'aubade achevee, chanterent de gorge si melodieusement que cestoit une chose si melodieuse que il sembloit propremont a Ogier quil estoit en Paradis. De rechief, cela fini, ils chanterent avecques les instrumens par si doulce concordance quil sembloit mieulx chose divine que humaine.” (i) L‟albero dei diavoletti è un innesto. Sir W.Scott si chiede se non sia un albero consacrato ai diavoletti o ai diavoli. Un innesto aveva probabilmente la stessa relazione con le Fate che aveva il tiglio in Germania del Nord con i Nani. (j) Te o tao (Dayton, Poly-Olb. xxv) significa attirare, marciare. (k) Beattie probabilmente non sapeva nulla di Orfeo and Heurodis e la Visione Fatata nel Menestrello (un sogno che non sarebbe apparso a nessun menestrello) è stata tratta dal Flower and the Leaf di Dryden e non di Chaucer, in quanto i personaggi di quest‟ultimo non vengono chiamati fate. In nessuno di essi sono Elfi. (l) Günnen, Germ. (m) Il “paese delle Fate”, situato in un “luogo appartato” concorda chiaramente di più con le Fate di Huon de Bordeaux che con Avalon, la regione in cui venne portata Dama Heurodis.

Il Faerie Queene di Spenser Una donna più coraggiosa non viaggiò mai sulla terra eccetto l’immortale Regina delle Fate, le cui virtù dal suo seguito vennero in tal modo scritte che il tempo potrà ricordare la sua grande storia nella sua meravigliosa canzone, la gloria maggiore della Musa. Brown

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Durante il XVI secolo lo studio della letteratura classica, che si apriva ad un nuovo campo dell‟immaginazione e le diede un nuovo impulso, venne perseguita con vigore. Era diffuso dappertutto ed in maniera estensiva un ardore classico. Le composizioni di quell‟epoca imitano incessantemente ed alludono alle bellezze ed agli avvenimenti degli scritti dell‟antica Grecia e dell‟antica Roma. Tuttavia, in mezzo alla diffusione del gusto e della conoscenza classica, il romanzo non aveva punto perso la sua influenza. Le pagine a lettere nere di Lancelot du Lac, Perceforest, Mort d’Arthur e di altri romanzi cavallereschi continuavano ad essere ascoltate con solenne attenzione quando, nelle serate invernali, le famiglie dei buoni vecchi cavalieri o baroni “si radunavano intorno all‟ampio fuoco” per udirle e probabilmente veniva dato credito non piccolo alle meraviglie che vi venivano narrate. Anche la passione per l‟allegoria rimase uguale. Dai fragili fili dell‟Orlando Innamorato e dell‟Orlando Furioso vennero tessuti delle fini ragnatele

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morali ed anche Tasso fu costretto, per obbedire al gusto imperante, ad estrarre una allegoria dal suo divino poema che Fairfaix, quando tradusse il Jerusalem, ebbe cura di conservare. Spenser, quindi, quando desiderò consacrare il suo genio alla celebrazione delle glorie del regno delle fanciulle e dei valorosi guerrieri e dei solenni uomini di stato che lo adornavano, gli diede una palcoscenico; i cavalieri e le dame da cui era popolato divennero attori e la sua corte, le sue maniere ed i suoi usi un aiuto per trasferire là ciò che degli eventi reali potesse essere utile al suo progetto. Non è facile dire positivamente a quale romanzo il poeta debba principalmente la sua Terra delle Fate. Potremmo forse azzardarci a congetturare che la principale autorità da lui seguita fosse Huon de Bordeaux, che era stato tradotto qualche tempo prima da Lord Berners e da cui molto probabilmente Shakespeare trasse il suo Oberon, che venne in tal modo rimosso dai regni del romanzo e riportato tra i suoi veri pari, i nani o gli elfi. Spenser, è evidente, conosceva questo romanzo, perché dice di Sir Guyon: Egli era un Elfo nato di nobile stato e veniva venerato nella sua terra nativa; ben poteva egli giostrare e combattere a piacimento e prendere il cavalierato dalla mano del buon Sir Huon quando con il Re Oberon egli giunse alla Terra delle Fate. B. ii, cap. 1, st. vi. E qui, se dobbiamo farvi attenzione, il poeta commette un anacronismo nel fare di Sir Huon, che uccise il figlio di Carlo Magno, un contemporaneo di Artù. Dove fosse situata “questa piacevole Terra delle Fate” era vano cercare, così come per il regno di Mommur di Oberon, l‟isola di Calypso o il regno di Lilliput. Nonostante essa rappresenti simbolicamente l‟Inghilterra, è distinta da essa, perché Cleopolis supera Troynovant in grandezza e splendore ed Eldin, il primo Re delle Fate, governò l‟India e l‟America. Al curioso il poeta dice:

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Se della Terra delle Fate dovesse ulteriormente chiedere, da certi segni posti in bei luoghi egli potrà trovarla e quindi ammirarla, ma si guardi dall’essere troppo ottuso e statico, perché non la troverà senza avere il fiuto fine di un cane. L‟idea di una regina quale unica regnante della Terra delle Fate fu l‟ovvio risultato dell‟idea di fare “la più bella principessa sotto il cielo” come governante dei “suoi regni nella Terra delle Fate”. Tuttavia vi potrebbero essere sagge autorità alla base di questa impostazione del trono fatato. Alcuni vecchi romanzieri potrebbero aver parlato solo di una regina ed il valoroso Sir Thopas pare non comprendere di stare cercando di avere la moglie di un altro. Il sogno di questo prode campione era evidentemente quello originale di Artù. Perseguendo i miei interessi discesi dalla mia cavalcatura e mi distesi a dormire; la verde erba mi fece da buon giaciglio e cuscino era il mio elmo ben disposto; mentre il dolce umore mi prendeva mi parve essere al mio fianco una fanciulla reale, le sue delicate membra giacevano dolcemente, una creatura così bella non aveva ancora visto il Sole. Grande gioia ed amabili blandizie ella mi fece e per lei mi prese amore così caro, perché di certo amore mi aveva piegato, quando, terminato che fu il tempo, scomparve; ma che fosse un illusione di sogno o fosse vera mai cuore fu così pieno di delizia né uomo vivente mai udì tali parole come quelle che mi diss’ella quella notte ed alla sua partenza disse, lei regina delle alte Fate. Da quel dì in poi sto molto attento a cercarla con fatica e grande impegno e giuro che non riposerò fin quando non la troverò –

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da nove mesi cerco invano, tuttavia non scioglierò il mio giuramento. B. i, cap. 9. st. xiii, xiv, xv. I nomi dati da Spenser a questi esseri è Fays (Feés), Farys o Fairies, Elfes ed Elfins, e queste ultime parole sono state già usate da Chaucer ed in un passaggio è difficile dire quale classe di esseri si intenda. Il racconto di Spenser sull‟origine delle sue Fate è evidentemente pura invenzione, in quanto nulla che almeno gli assomigli si ritrova in alcuno scrittore precedente. Vi è in esso, tuttavia, una lieve e distante analogia con l‟origine degli abitanti del Jinnestan, come narrata dagli Orientali. Secondo il costume di Spenser, essa viene mescolata alle antiche leggende. Prometeo creò un uomo da molte parti derivate da animali; quell’uomo così fatto egli lo chiamò Elfe, veloce (a), il primo autore di tutta la razza eflica che, vagando per il mondo con passo stanco, nei giardini di Adone trovò una buona creatura, che egli giudicò nella sua mente non essere creatura terrena ma o spirito o angelo, l’antenato di tutta la razza delle donne; perciò da egli ed ella,una Fata,in accordo tutte le Fate nacquero e costruirono il loro giusto lignaggio. Da loro un mitico popolo crebbe in breve e potenti re, che tutto il mondo conobbe e cui tutte le nazioni si sottomisero. B. ii, cap. 9, st. lxx, lxxi, lxxii. Sir Walter Scott sottolinea giustamente (nonostante la sua memoria gli abbia giocato qualche brutto scherzo in questa occasione) che “il furto del Cavaliere dalla Croce Rossa mentre era un bambino è l‟unico avvenimento del poema che si avvicini alla figura popolare della Fata.” Non è esattamente

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l‟unico avvenimento ma il solo altro, quello di Arthegal, è un preciso parallelo: Egli conquistò la terra delle Fate pur non essendo Fata di nascita né appartenendo affatto agli Elfi, ma nato da seme terrestre e da false Fate rapito mentre nella culla egli infante giaceva: né altro si sa di lui oggi se non che da un Elfo venne mutato in Fata. B. iii, cap.3, st xxvi. Sir Walter è stato debitamente criticato per questo pericoloso errore dall‟erudito Mr. Todd. Sarebbe piuttosto polemico da parte nostra sottolineare alcun errore. Sfortunatamente, non è privilegio della nostra natura l‟essere liberi da errori ed errate concezioni. Dobbiamo osservare qui che Spenser è stato estremamente poco assennato nella sua scelta delle circostanze grazie alla quali ha cercato di confondere le due classi di Fate. E‟ stato piuttosto incoerente porre la progenie dei soggetti di Gloriane come “un lignaggio di base elfica” o chiamarla “false Fate”, in particolare quando ricordiamo un essere come Belphoebe, la cui intera creazione la mostrò pura e senza macchia da alcun crimine detestabile che è procreato nella melma della carne, nata da una Fata. Il nostro poeta pare avere dimenticato se stesso anche nella Leggenda di Sir Calidore perché, nonostante il cavaliere sia egli stesso una Fata e così dobbiamo supporre fossero tutti gli abitanti originari della Terra degli Elfi, tuttavia al “flusso gentile” che scorreva giù dal Mount Acidule non potè il più rude villico

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avvicinarvisi senza annegare; ma Ninfe e Fate sedevano sulle rive all’ombra dei boschi che coronavano le acque. B. vi, cap. 10, st vii. E un poco oltre, quando Calidore vede le “cento fanciulle nude bianche come il giglio” che danzavano intorno alle Grazie, egli non sa se erano il seguito della regina della bellezza o Ninfe o Fate o uno spettacolo incantato che con i suoi occhi avrebbe potuto immaginare. St xvii. Qui, evidentemente, erano nella mente di Spenser (b) i popolari Elfi che danzano in cerchio sull‟erba. Pensiamo, se non certo almeno molto probabile, che la Terra delle Fate e le Fate di Spenser siano quelle del romanzo, cui il termine Fata appartiene propriamente, e che sia senza giusta ragione che il titolo di questo poema sia stato sbagliato (c). Dopo l‟apparizione del suo Faerie Queene, tutte le distinzioni tra le diverse specie scomparvero rapidamente e Fate divenne il nome stabilito per i popolai Elfi. Qui, allora, ci prenderemo la libertà di lasciare le potenti signore del romanzo e di unirci agli Elfi del credo popolare, rintracciando il loro lignaggio in Duergar, nella mitologia nordica, fino ad incontrarli nel cottage accanto al fuoco con le storie dei loro scherzi e delle loro capriole. NOTE (a) Che significa che Elfe è vivo. (b) Queste Fate così accoppiate alle Ninfe ci ricordano le Fate dei traduttori antichi. Spenser, nello Shepherd's Calendar, tuttavia, le ha unite come nè fantasmi elfici nè civette spaventose volano, ma amichevoli Fate si incontrano con molte Grazie e Ninfe dai piedi leggeri.

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Aeg. 6. (c) “La “Spenser‟s Fairy Queen”, che è uno dei più clamorosi errori di nomi del romanzo o della storia, non ha alcuna caratteristica della nazione fatata.” Gifforf, nota su B.Johnson, vol. ii, pag. 202

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Estratto dal libro dal titolo originale The Fairy Mythology di Thomas Keightley

(1870)

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Copertina: G.Venturi

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