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Elfi, Fate e Pooka

folklore, mitologia, leggende e tradizioni fatate del Galles

Wirt Sikes

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Indice

I – Le storie di Fate e l’antica mitologia pag. 6 Le compensazioni della scienza – La credenza sulle Fate esistente

in Galles – La fede della cultura – La credulità dell’ignoranza –

L’antica Terra delle Fate del Galles – Il Re delle Fate – La

leggenda di San Collen e Gwynn ap Nudd – I Verdi prati del

mare – Le Fate al mercato – La terra del mistero

II – Classificazione delle Fate Gallesi pag. 15 Designazione generale - Usanze dei Tylwyth Teg - Gli Ellyllon, o

Elfi - L’uso di Shakespeare del folklore gallese - Rwli Puh e

l’Ellyll - Radici delle storie di famiglia - Gli Ellylldan - I Pooka -

Puck Valley, Breconshire - Dove Shakespeare prese il suo Puck -

Pwca ‘r Tran - La forma comune delle storie sui Pooka -

Coblynau o le Fate delle miniere - I Knockers (Picchiatori) -

Credenze dei minatori - I basilischi e gli spiriti del fuoco - Una

miniera di carbone fatata - I Nani di Cae Caled - Le controparti

dei Coblynau - Il Bwbach, o Fata della Casa - La leggenda del

Bwbach e del predicatore - Bogies ed Hobgoblin - Trasportare i

mortali per aria - Controparti ed originali

III – Le Fate dei laghi pag. 35 Le Gwragedd Annwn o Dame della Terra Elfica - San Patrizio

ed i Gallesi, una leggenda del Lago di Crumlyn - La mucca elfica

di Lyn Barfog - T Fuwch Laethwen Lefrith - La leggenda del

Meddygon Myddfai - La moglie della razza sovrannaturale - I

tre colpi, una leggenda del Carmathenshire - Il formaggio e lo

scopo didattico nel folklore gallese - Il padre della fanciulla

fatata - L’isola incantata nel Lago della Montagna - La leggenda

degli uomini di Ardudwy - L’origine delle Fate d’acqua - La loro

diffusione in molte terre

IV – Le Fate delle montagne pag. 48 Le Gwyllion - La Vecchia della Montagna - La Gwyll della

Montagna Nera - Un esorcismo per mezzo di un coltello - I poteri

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intellettuali occulti delle capre gallesi - la leggenda della capra di

Cadwaladr

V – I changelings (sostituti fatati) pag. 53 Il Plentyn-newid - Il crudele credo dell’ignoranza riguardo ai

Changelings - Maniere di liberare la casa dal bambino fatato -

La leggenda del pasto frugale - La leggenda del luogo della

contesa - Dewi Dal e le Fate - Prevenzione del rapimento di

bambini da parte delle Fate - Fate colte in flagrante dalle madri -

La devozione come esorcismo

VI – Vivere con i Tylwyth Teg pag. 61 La storia di Elidurus - Shui Rhys e le Fate - La parrocchia di

san Dogmell, Pembrokeshire - Danzare con gli Ellyllon - La

leggenda di Rhys e Llewellyn - Morte dovuta all’essersi uniti alla

ree (danza) delle Fate - La leggenda del cespuglio in paradiso -

La foresta del tasso magico - La storia di Twm e Iago - Taffy ap

Sion, una leggenda di Pencader - Le tradizioni di Pant Shon

Shenkin - Tudur di Llangollen, la leggenda di Nany yr Ellyllon -

Polly Williams e gli Elfi Trefethin - Le Fate di Frennifawr -

Storie curiose - Il Padrone dei diavoli - Iago ap Dewi -

L’originale di Rip van Winkle

VII – La musica delle Fate pag. 82 Gli uccelli incantati - La leggenda di Shon ap Shenkin - La

musica dell’arpa nelle storie di Fate gallesi - La leggenda

dell’arpa magica - Canzoni e melodie dei Tylwyth Teg - La

leggenda di Iola ap Hugh - L’origine mistica di una vecchia aria

gallese

VIII – Gli anelli fatati pag. 92 Il Profeta Jones e le sue opere - Le lingue misteriose dei Tylwyth

Teg - Il cavallo nel folklore gallese - Fate equestri - Il bestiame

fatato, pecore, maiali, ecc. - le Fate volanti di Bedwellty - L’ovile

fatato di Cae’r Cefn

IX – La devozione come protezione dalle seduzioni

dei Tylwyth Teg pag. 99 Esorcismi vari - Il canto del gallo - Il nome di Dio - Recintare le

Fate - La vecchia Betty Griffith e la sua barricata Eikhtin -

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Mezzi per sbarazzarsi dei Tylwyth Teg - La Bwbach della

fattoria di Hendrefawr - Il Pwca'r Trwyn's che volteggia in una

caraffa di fermentato

X – Il denaro fatato ed i doni delle Fate in generale

pag.105 La storia di Gitto Bach, o il Piccolo Griffith - La punizione per le

chiacchiere - Le leggende dei pastori di Cwm Llan - Il valore

della gentilezza in termini di denaro - Ianto Llewellyn ed i

Tylwyth Teg - La leggenda di Hafod Lwyddog - Le lezioni

inculcate da queste credenze

XI – L’origine delle Fate Gallesi pag.111 La teoria realistica - La leggenda del Cancello del Barone - Le

Fate Rosse - La Fata Trwyn ed il gentiluomo proscritto - La

teoria dei Druidi che si nascondono - I colori nelle vesti delle Fate

gallesi - La leggenda della donna prolifica - La teoria poetico-

religiosa - Il credo della scienza

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I

Le storie di Fate e l’antica

mitologia

At eve, the primrose path along,

The milkmaid shortens with a song

Her solitary way;

She sees the fairies with their queen

Trip hand-in-hand the circled green,

And hears them raise, at times unseen,

The ear-enchanting lay.

Rev. John Logan: Ode to Spring, 1780

Le compensazioni della scienza – La credenza sulle Fate esistente

in Galles – La fede della cultura – La credulità dell’ignoranza –

L’antica Terra delle Fate del Galles – Il Re delle Fate – La

leggenda di San Collen e Gwynn ap Nudd – I Verdi prati del

mare – Le Fate al mercato – La terra del mistero

In merito alle altre branche del folklore, i punti di vista degli studiosi

differiscono, ma nel regno delle Fate queste differenze si riconciliano

ed i filosofi vanno a braccetto tra loro armoniosamente. E così

dovrebbe essere per quanto riguarda un regno in cui vivono i

deliziosi ricordi del periodo più poetico della vita – l‟infanzia, prima

che lo scetticismo si sia insinuato con il progredire del sapere. La

conoscenza che ha introdotto lo scetticismo è infinitamente più

preziosa della fede che ha rimpiazzato ma, nonostante ciò, vi sono

pochi tra noi che non abbiano provato un velo di dispiacere per

quello che la foi scientifique ha spostato della antica fede nelle Fate.

Vi era qualcosa di così affascinante e peculiare in quella antica

credenza - “un tempo” il mondo era meno pratico della realtà di

quanto lo sia ora, vi erano meno luoghi comuni e si era meno

soggetti alle inesorabili leggi di gravitazione, ottica e simili. Quali

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prose vi si raccoglievano! Che poesie, che sogni, che delizie!

Ma da quando la conoscenza dei nostri anni più maturi distrugge

tutto questo, è con un certo grado di soddisfazione che possiamo

volgerci verso le consolazioni della mitologia fatata. Le amate storie

antiche non sono “vere” ma almeno non sono del tutto illogiche ed

hanno una ragione buona e sufficiente per essere al mondo –

possiamo continuare a rispettarle. L‟arguto che ha osservato che la

causa ultima delle leggende sulle Fate è di “fornire svago alle

persone che spietatamente ne seguono le tracce fino alla loro origine”

(Saturday Review, 20 ottobre 1877) ha espresso una seria verità in

una forma gioviale. Siccome non si può più rimanere in pace nella

propria ignoranza, è un conforto per coloro che amano le leggende

fatate scoprire che non hanno bisogno di spazzarle via come

immondizia; al contrario, esse diventano anche più incantevoli nel

crogiolo della scienza di quanto non lo fossero nella loro figura

antica.

Tra il popolo del Galles la credenza nelle Fate è meno estinta di

quanto osservatori casuali potrebbero essere indotti a credere. Anche

le persone colte che vivono in Galles ed hanno vissuto lì per tutta la

vita possono spesso essere classificati come non più che osservatori

casuali in questo campo. Vi sono alcuni di tali residenti che hanno

posto un‟attenzione particolare al soggetto e si sono formati

un‟opinione sulla ampiezza della credenza tra il popolo ma la

maggior parte della gente colta del Galles ho scoperto che non ha

un‟opinione in merito, se non una vaga sorpresa per il fatto stesso

che una simile questione venga posta.

Pertanto, ancora nell‟anno 1858 un colto scrittore dichiarò su

'Archaeologia Cambrensis che il viaggiatore potrebbe ora passare da

un capo del principato all‟altro senza rimanere scioccato o divertito,

come potrebbe essere, da alcuna delle leggende sulle Fate o storie

popolari che un tempo venivano tramandate normalmente di padre in

figlio. Ma sullo stesso periodico, diciotto anni dopo, Mr. John Walter

Lukis (presidente della Cardiff Naturalists’ Society) asserisce in

merito ai cromlech, ai tumuli ed agli antichi accampamenti nel

Glamorganshire: “Vi sono sempre storie di Fate e storie di fantasmi

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collegate ad essi; alcune, anche se vengono credute completamente

dagli abitanti di quelle località, sono spesso del tipo più assurdo;

infatti, più ridicole sono e più vengono credute.” ('Archaelogia

Cambrensis, 4° sc., vi, 174)

La mia osservazione mi porta a sostenere la testimonianza di

quest‟ultimo. Gli europei colti generalmente pensano che questo tipo

di credenza sia estinta nel proprio paese o almeno nella zona più

vicina a loro. Essi accreditano le credenze del genere che possono

essere rimaste a qualche remota parte del sud se dimorano al nord, o

del nord se dimorano al sud. Ma in particolare essi le accreditano ad

una epoca precedente: in Galles, nell‟ultimo secolo o nel medioevo o

all‟epoca di Re Artù. Il parroco di Merthyr, ormai anziano,

l‟accredita alla propria giovinezza. “Sono abbastanza vecchio per

ricordare”, mi scrisse alla data del 30 gennaio 1877, “che queste

storie venivano credute completamente dalla gente delle campagne

quaranta o cinquanta anni or sono.”

La gente più acculturata ha conservato questa sorta di fede nella

mitologia fatata in ogni epoca, mi pare, eccetto nelle più remote.

Chaucer l‟aveva circa cinque secoli or sono e scrisse (Wyf of Bathes

Tale, Canterbury Tales):

In olde dayes of the Kyng Arthour, ...

Al was this lond fulfilled of fayrie; ...

I speke of many hundrid yer ago;

But now can no man see non elves mo.

“Nei giorni antichi del Re Artù,

questa terra era tutta piena di Fate;

io parlo di molti secoli fa;

ma ora nessuno può più vedere gli Elfi.”

Anche Dryden l‟aveva, due secoli dopo, e delle Fate diceva:

I speak of ancient times, for now the swain

Returning late may pass the woods in vain,

And never hope to see the nightly train.

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“Io parlo dei tempi antichi, perchè ora il pastorello

che ritorna tardi potrebbe attraversare i boschi invano,

e non sperare mai di vedere il corteo notturno.”

In tutte le epoche successive, altri autori hanno scritto lo stesso

genere di cose; non è così ora ma lo è stato recentemente. La verità,

probabilmente, è che se ci si immerge a livello della vita comune,

specialmente nelle borgate rurali, si ritroveranno diffuse le stesse

antiche credenze quasi allo stesso grado in cui sono state diffuse nei

precedenti cinquecento anni. Per immergersi con successo in questo

livello si deve divenire una unità vivente di quella vita, come ho fatto

di volta in volta io in Galles ed in altri posti. Allora si udrà la verità

che si desidera conoscere, o almeno il sentimento che la gente prova

verso di essa. Che la pratica di ogni generazione sia pertanto quella

di relegare la credenza sulle Fate ad una data subito precedente la

propria non si applica, tuttavia, alle credenze in generale in quanto la

loro maggiore o minore diffusione in certe epoche (come per la storia

della stregoneria) è un fatto ben accertato. Attualmente, io limito

strettamente l‟argomento al dominio delle Fate. In questo dominio, la

credenza diffusa in Galles si può dire che sia più forte nei distretti

rurali e minerari, che sia infantile e poetica e che si riferisca a tutto

tranne al luogo in cui risiede colui che ne narra – come nella zona a

fianco, nel paese vicino, nelle montagne lontane o nella terra buia di

Gwerddonau Llion, i verdi prati del mare.

All‟epoca di Artù e prima ancora, la gente del Galles del sud

considerava in Galles del nord come la terre preminente delle Fate.

Nell‟immaginazione popolare, quella terra lontana era la dimora

scelta da giganti, mostri, maghi e da tutte le creature magiche. Da

essa arrivavano le Fate, che andavano a fare visita alle terra assolate

del sud. Il capo filosofo di quella terra incantata era un gigante che

sedeva sulla cima di una montagna a guardare le stelle. Aveva un re

mago chiamato Gwydion che possedeva il potere di mutare se stesso

nelle forme più strane. Il contadino che dimorava sulle rive del

Dyfed (Demetia) lo vedeva a distanza, oltre le onde blu dell‟oceano,

le cime delle montagne ombrose che perforano le nubi e che

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proteggono questa mistica regione con solenne maestà. Da lì

rotolavano su di lui le nubi tempestose dalla casa della tempesta; da

lì fluivano nel cielo invernale le insegne fiammeggianti delle luci del

Nord; da lì sorgeva attraverso l‟illimitata oscurità la strada trapunta

di stelle del re delle Fate. Questi dettagli sono attuali nel

Mabinogion, quelle brillanti storie di magia Gallese così

graziosamente tradotte in inglese da Lady Charlotte Guest (The

Mabinogion, from the Welsh of the Llyfr Coch o Hergest - tradotto

con note da Lady Charlotte Guest - New Edition, Londra, 1877) e si

crede che tutte le storie del Mabinogion in cui sono stati trovati

questi dettagli siano state scritte nel Dyfed. Si trattava della regione

dell‟ovest, ora coperta dalle contee di Pembroke, Carmarthen e

Cardigan.

Più recentemente dell‟epoca predetta, tradizioni particolari hanno

collocato la terra delle Fate nella Valle di Neath, nel

Glamorganshire; vi è in particolare un ripido ed aspro dirupo

chiamato Craig y Ddinas che ha una chiara fama di roccaforte della

tribù fatata (vi sono due colline con questo nome nel Glamorganshire

ed altre in altre zone del Galles). Le sue caverne ed i suoi crepacci

sono state il loro rifugio preferito per molti secoli e su questa roccia

si tenne la corte delle ultime Fate che siano mai apparse in Galles.

Inutile dirlo, vi sono uomini tuttora in vita che ricordano le visite

delle Fate a Craig y Ddinas, anche se affermano che il piccolo

popolo non si è più visto lì. E‟ un‟osservazione comune che i

metodisti lo abbiano cacciato; vi sono invero innumerevoli storie che

mostrano come le Fate fossero animate, quando ancora erano

numerose in Galles, da una cordiale antipatia nei confronti di tutti i

predicatori dissenzienti. In questa antipatia erano compresi anche gli

astemi.

Il sovrano delle Fate ed il loro particolare guardiano e protettore era

un certo Gwyn ap Nudd. Egli governava anche la tribù dei Folletti in

generale. Il suo nome compare spesso negli antichi poemi Gallesi.

Un vecchio bardo del XIV secolo che, portato via dalle Fate, cadde

in una torbiera su una montagna in una notte oscura, la chiamò “il

laghetto dei pesci di Gwyn ap Nudd, un palazzo per i Folletti e la

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loro tribù”. L‟associazione di questa figura leggendaria con la fama

di essere fatata della Valle di Neath apparirà quando diremo che

Nudd in Gallese si pronuncia semplicemente Neath e non altrimenti.

In quanto alla regina delle Fate, essa non sembra esistere tra i Folletti

della Cambria. Gli etimologi locali, tuttavia, pensano che Morgana

derivi da Mor Gwyn, la fanciulla bianca, ed il giusto nome Gallese

Morgan difficilmente si può non collegare, anche se non

necessariamente è significativo.

La leggenda di San Collen in cui appare Gwyn ap Nudd lo

rappresenta come il re di Annwn (l‟aldilà o la terra delle ombre), così

come re delle Fate. (Greal, 8vo, Londra, 1805, pag. 337) Collen

stava scontando un periodo di mortificazione come eremita in una

cella di pietra su una montagna. Un giorno udì due uomini che

parlavano di Gwyn ap Nudd e gli attribuivano una personalità

doppiamente regale. Collen gridò a quegli uomini di andarsene e di

trattenere la lingua, invece di parlare di diavoli. Per questo Collen

venne rimproverato, in quanto al re della terra delle Fate non piacque

quel linguaggio. Il santo venne convocato ad un in contro con il re

sulla cima della collina di sera e, dopo ripetuti rifiuti, finalmente egli

vi andò ma portò con sé una fiasca di acqua santa. “E, quando egli vi

giunse, vide il più bel castello che avesse mai visto ed intorno ad

esso le truppe meglio nominate e moltissimi menestrelli ed ogni

genere di musica di voce e corda e destrieri con dei giovani in

groppa, i più avvenenti del mondo, e fanciulle dall‟aspetto elegante,

vivace, dal passo leggero, di graziose sembianze e nel fiore della

giovinezza; ed ogni magnificenza che si confà alla corte di un

potente sovrano. Ed egli scorse un uomo cortese sulla cima del

castello che lo invitò ad entrare, dicendo che il re lo stava aspettando

per cenare con lui. E Collen entrò nel castello e vi trovò il re seduto

su una sedia d‟oro. Ed egli diede il benvenuto a Collen

onorevolmente e desiderò che mangiasse, assicurandolo che, oltre a

quanto egli aveva visto, avrebbe avuto il meglio di ogni leccornia e

delicatezza che la mente poteva desiderare e gli sarebbe stata servita

ogni bevanda ed ogni liquore che il cuore potesse desiderare; e che

sarebbe stato pronto per lui ogni lusso di cortesia e servizio, di

banchetto e di onorevole divertimento, di rango e di doni ed ogni

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rispetto e benvenuto ad un uomo della sua saggezza.

“Non mangerò le foglie degli alberi”, disse Collen.

“Avete mai visto uomini con un equipaggiamento migliore di questi

in rosso e blu?” chiese il re.

“Il loro equipaggiamento è abbastanza buono,” disse Collen “per

quello che è.”

“Di che genere di equipaggiamento si tratta?” disse il re.

Allora Collen disse: “Il rosso da una parte significa incendio ed il blu

dall‟altra significa gelo.”

E, così detto, Collen tirò fuori la sua fiasca e gettò l‟acqua santa sulle

loro teste ed essi svanirono alla sua vista, così che non vi fu né

castello né truppe, né uomini né fanciulle, né musica né canto, né

cavalcature né giovani, né banchetto né l‟apparenza di alcuna cosa di

alcun genere se non i verdi poggi.”

Una terza forma di credenza popolare nel Galles riguardante la

collocazione della terra delle Fate corrisponde all‟Avalon delle

leggende arturiane. I verdi prati del mare, chiamati nelle triadi

Gwerddonau Lion, sono le

Green fairy islands, reposing,

In sunlight and beauty on Ocean's calm breast.

Parry, Welsh Melodies

“Verdi isole fatate, che riposano

Alla luce del Sole e nella bellezza del calmo seno dell‟oceano.”

In merito a queste isole sopravvivono molte straordinarie credenze.

Si credeva che fossero la dimora delle anime di certi Druidi che, non

abbastanza santi per entrare nel paradiso dei cristiani, non erano

tuttavia abbastanza malvagi da essere condannati alle torture degli

inferi e così veniva accordato loro un posto in questa romantica sorta

di purgatorio paradisiaco. Nel V secolo il re inglese Gavran

intraprese un viaggio alla ricerca di questa isole incantate; salpò con

la sua famiglia verso acque sconosciute e non se ne seppe mai più

nulla. Questo viaggio viene commemorato nelle triadi come una

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delle Tre Perdite per Scomparsa - le altre due sono quella di Merlino

e quella di Madog. Merlino salpò in una nave di vetro, Madog salpò

in cerca dell‟America e non ritornò mai più, così scomparvero

entrambi per sempre.

Nel Pembrokeshire e nel Carmartenshire del sud si ritrovano tracce

di questa credenza. Vi sono dei marinai di quella romantica costa che

parlano ancora dei verdi prati dell‟incanto che giacciono nel canale

irlandese verso ovest del Pembrokeshire. Talvolta essi sono visibili

agli occhi dei mortali per un breve istante, quindi svaniscono

improvvisamente. Vi sono tradizioni che narrano di marinai che,

nella prima parte del secolo attuale, sarebbero realmente sbarcati

sulle isole fatate non sapendo che lo fossero, ritornarono alle loro

imbarcazioni e si riempirono di meraviglia nel vedere le isole

scomparire dalla loro vista pur non immergendosi nel mare né

galleggiando via sulle acque. Si dice che le Fate che abitano queste

isole andassero regolarmente ai mercati di Milford Haven e di

Laugharne. Facevano i loro acquisti senza parlare, lasciavano il

denaro e se ne andavano, lasciando sempre la somma esatta richiesta,

che essi sembravano conoscere senza chiedere il prezzo di nulla.

Talvolta erano invisibili ma spesso venivano viste da coloro che

avevano la vista acuta. A Milford Haven vi era un particolare

macellaio cui le Fate concedevano la frequentazione invece di

distribuire indiscriminatamente i loro favori. La gente di Milford

Haven poteva vedere le verdi isole fatate distintamente a breve

distanza dalla terra; e la credenza generale era che esse fossero

densamente abitate da Fate. Si diceva anche che queste ultime

andassero avanti e indietro tra le isole e la riva tramite una galleria

sotterranea situata sotto il mare.

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Quel promontorio isolato che forma la contea di Pembroke veniva

considerato una terra di mistero dal resto del Galles da ben prima che

vi si insediassero i Fiamminghi nel 1113. Si credeva che un velo

segreto coprisse questo promontorio cinto da mare; gli abitanti

parlavano un gergo incomprensibile che non era né Inglese né

Francese né Gallese e dalla sua oscurità nebbiosa giungevano storie

meravigliose e racconti di miracoli incredibili. Il mito ed il

cristianesimo parlavano assieme da questo strano paese e non si

poteva dire quale dei due fosse più sbalorditivo, se il pagano o il

prete.

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II

Classificazione delle Fate Gallesi

Designazione generale - Usanze dei Tylwyth Teg - Gli Ellyllon, o

Elfi - L’uso di Shakespeare del folklore gallese - Rwli Puh e

l’Ellyll - Radici delle storie di famiglia - Gli Ellylldan - I Pooka -

Puck Valley, Breconshire - Dove Shakespeare prese il suo Puck -

Pwca ‘r Tran - La forma comune delle storie sui Pooka -

Coblynau o le Fate delle miniere - I Knockers (Picchiatori) -

Credenze dei minatori - I basilischi e gli spiriti del fuoco - Una

miniera di carbone fatata - I Nani di Cae Caled - Le controparti

dei Coblynau - Il Bwbach, o Fata della Casa - La leggenda del

Bwbach e del predicatore - Bogies ed Hobgoblin - Trasportare i

mortali per aria - Controparti ed originali

Essendo le Fate creature dell‟immaginazione, non è possibile

classificarle con regole fisse ed immutabili. Nelle scienze esatte vi

sono leggi che non variano mai o, se variano, la loro stessa

eccentricità è governata da regole precise. Anche nel senso più

ampio, la mitologia comparativa deve sminuire se stessa

modestamente per essere tollerata nella severa compagnia delle

scienze. Nel presentare i suoi soggetti, pertanto, lo scrittore deve in

questo contesto trattenersi allo scopo di dare una sistemazione

ordinata. Assicurare il massimo della sistematicità, allo scopo di

aiutare lo studioso che impiega l‟opera come riferimento e paragone,

con il minimo di monotonia per il lettore generico, è forse il limite di

una ambizione ragionevole. Keightley (Fairy Mithology, Edizioni

Bolm, 78) divide in quattro classi gli elementi scandinavi della

credenza popolare per quanto riguarda le Fate:

1. gli Elfi;

2. i Nani (Dwarfs) o Troll;

3. i Nis (plurale Nisses); e

4. i Necks, i Tritoni e le Sirene.

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Quanto sia interamente arbitraria questa divisione è facile per uno

studioso di folklore scandinavo intuirlo. Tuttavia, è una divisione

soddisfacente quanto un‟altra. Le Fate del Galles si possono dividere

in cinque classi, se non si considera troppo insistente l‟analogia.

Abbiamo così:

1. gli Ellyllon, o Elfi;

2. i Coblynau, o Fate delle miniere;

3. i Bwbachod, o Fate delle case;

4. le Gwragged Annwn, o Fate dei laghi e dei corsi d‟acqua; e

5. i Gwyllion, o Fate delle montagne.

Il nome gallese moderno per le Fate è y Tylwyth Teg, il popolo fatato

o la famiglia fatata. Talvolta questo nome viene allungato in y

Tylwyth Teg yn y Coed, la famiglia fatata del bosco o Tylwyth Teg y

Mwn, il popolo fatato della miniera. Vengono visti danzare nelle

notti di Luna piena sull‟erba vellutata, vestiti con abiti aerei e

fluttuanti di colore blu, verde, bianco o scarlatto - i dettagli in merito

al colore non si ritrovano comunemente nei racconti di Fate, penso.

Si dice che esse concedano benedizioni a quei mortali che scelgono

per essere in tal modo favoriti e quindi vengono chiamate Bendith y

Mamau, o benedizione della loro madre - come a dire buoni bambini

piccoli che è un piacere conoscere. Chiamare con epiteti aspri le Fate

significa invocare nella loro collera; parlare di loro con espressioni

lusinghiere significa propiziarsi i loro buoni uffici. Lo studioso di

mitologia fatata percepisce in questo modo di parlare propiziatorio

un fatto dal profondo significato. Questa usanza si può rintracciare in

innumerevoli terre fin dall‟inizio della storia umana tra le vette

nuvolose dell‟Asia centrale. I Greci parlano delle Furie come le

Eumenidi, o “le graziose”; gli abitanti delle montagne scozzesi citati

da Sir Walter Scott per scoprirli li chiamano “le forche gentili”, i

Daiaki non chiamano con un nome il vaiolo ma lo chiamano “il

capo”, i Lapponi chiamano l‟orso “il vecchio uomo con la pelliccia”;

ad Ammam la tigre viene chiamata “nonno” e si pensa che il motto

“parla solo bene dei morti” provenga in origine dalla nozione di

propiziarsi i fantasmi dei morti (John Fiske, Myths and Myth-maser,

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22) i quali, nell‟abbandonare le loro spoglie mortali, vengono dotati

di nuovi poteri per fare del male ai loro conoscenti in vita.

Gli Ellyllon sono i piccoli Elfi che vivono nei boschi e nelle valli e

corrispondono abbastanza agli Elfi inglesi. Il nome inglese (Elf,

plurale Elves) probabilmente deriva dal Gallese el, spirito, o elf,

elemento; c‟è un intero gruppo di parole di questa classe nella lingua

gallese che esprime tutte le varietà del fluire, volare, spiritualità,

diavoleria, angelicità e “follettismo”. Ellyllon (plurale di Ellyll) è

anche indubbiamente imparentato all‟ebraico Elilim, avendo in

comune con esso origine e significato (Pughe, Welsh Dictionary,

Denbigh, 1866). Il poeta Davydd ab Gwilym, in un divertente

racconto dei suoi guai nella nebbia nell‟anno 1340, dice:

Yr ydoedd ym mhob gobant

Ellyllon mingeimion gant.

“Vi era in ogni cavità

un centinaio di Elfi dalla bocca storta.”

Le cavità sono tuttora i luoghi in cui i contadini che fanno tardi a

tornare a casa dal mercato o dalla fiera cercano gli Ellyllon senza

trovarli. Nel folklore gallese si specifica che il loro cibo consiste nel

burro fatato ed in vettovaglie fatate, ymenyn tylwyth teg e bwyd

ellyllon, essendo quest‟ultimo un fungo velenoso ed il primo una

sostanza somigliante a burro che si trova a grande profondità nei

crepacci di pietra calcarea, affondate nel minerale di piombo. I loro

guanti, menyg ellyllon, sono i fiori della digitale, le foglie della quale

sono ben note come forte sedativo. La loro regina - perché, anche se

non vi è una regina delle Fate nel senso in cui Gwynn ap Nudd è re

delle Fate ma vi è una regina degli Elfi - non è altri che la Fata di cui

parla lo shakespeariano Mercutio, che giunge

in una forma non più grande di una pietra di agata

al dito indice di un vecchio

(Romeo e Giulietta, Atto II, scena 4)

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Si dovrebbe notare l‟uso estensivo e particolarmente fedele che

Shakespeare fa del folklore gallese. Keightley, nel suo Fairy

Mithology, giudica aspramente il bardo per il suo inaccurato delle

credenze inglesi sulle Fate, ma questo rimprovero non si applica per

quanto riguarda il Galles. Dai suoi informatori gallesi Shakespeare

ha avuto Mab, che è semplicemente la parola cimrica che indica un

bambino piccolo e la radice di innumerevoli parole che significano

puerile, infantile, amore per i bambini (mabgar), gattino (mabgath),

blaterare (mabiaith) e simili, il più notevole dei quali è in questa

connessione mabinogi, il singolare di Mabinogion, le storie

romantiche di magia raccontate ai giovani nelle epoche antiche.

Nello Huntsman‟s Rest Inn a Peterstone-super.Ely, vicino a Cardiff,

sedeva una sera un gruppo di gente umile; ebbi l‟occasione di

fermarmici a riposare vicino al camino dopo una lunga camminata

attraverso stradine verdi di campagna. Gli uomini stavano bevendo i

loro boccali di birra e fumando le loro lunghe pipe di argilla e

parlavano dei loro cani e dei loro cavalli, del raccolto, di tempi

difficili e della prospettiva di miglioramento data dall‟emigrazione in

America. Su quest‟ultimo argomento ero in grado di rendermi

interessante, pertanto facemmo facilmente conoscenza e amicizia.

Portai la conversazione nel dominio del folklore e questo libro è più

ricco di illustrazioni su varie pagine in conseguenza di questo. Tra le

altre storie, mi venne raccontata questa:

In una certa fattoria del Glamorganshire viveva Rowli Pugh, che era

universalmente noto per la sua sfortuna. Nulla di quello su cui

metteva le mani prosperava; i suoi raccolti crescevano scarsi,

nonostante quelli dei vicini fossero buoni; il suo tetto faceva acqua

nonostante tutte le sue riparazioni; i suoi muri rimanevano umidi

laddove quelli di tutti gli altri erano asciutti e, soprattutto, sua moglie

era così fragile da non potere fare alcun lavoro. La sua sorte gli

sembrò infine così dura che egli decise di vedere tutto e sloggiare,

non importa a quale prezzo, e cercare di migliorare in un altro paese -

non andando in America, perché in quei giorni non vi era nessuna

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America. Beh, e se anche ci fosse stata il povero Gallese non lo

sapeva. Così un giorno, mentre Rowli sedeva vicino alla sua villetta

sul muretto meditando sulla sua triste sorte, venne avvicinato da un

piccolo uomo che gli chiese che problema avesse. Rowli si guardò

attorno sorpreso ma, prima che potesse rispondere, l‟Ellyll gli disse

con un sogghigno:

“Qui, qui, trattieni la lingua. So di te molto di più di quanto tu abbia

mai sognato di sapere. Tu sei nei guai e stai per andartene. Ma puoi

rimanere, ora che ho parlato con te. Solo fai in modo che la tua

buona moglie lasci ardere la candela quando va a letto e non dire

altro in merito.”

Detto questo, l‟Ellyll diede un colpo di tallone e scomparve.

Naturalmente, il contadino fece quanto richiesto e da quel giorno

prosperò. Ogni notte Catti Jones, sua moglie (fino a poco tempo fa le

donne gallesi conservavano il cognome da nubile anche dopo il

matrimonio), poneva fuori la candela, spazzava il focolare ed andava

a letto; ed ogni notte le Fate venivano e facevano i mestieri al suo

posto: cucinavano, preparavano la birra, lavavano e cucivano,

talvolta fornendo persino il proprio materiale ed usando i propri

strumenti di lavoro. Il padrone di casa aveva ora sempre biancheria

pulita e vestiva bene, aveva buon pane e buona birra. Si sentiva un

uomo nuovo e lavorava come tale. Tutto prosperava come non aveva

mai fatto prima. I suoi raccolti erano buoni, i granai puliti, il

bestiame lisciato, i maiali i più grassi della zona.

Questo stato di cose andò avanti per tre anni. Una notte Catti Jones si

mise in testa di dare una sbirciata alla famiglia fatata che faceva tutto

il lavoro al suo posto; la curiosità ebbe la meglio sulla prudenza - ella

si alzò mentre Rowli Pugh stava russando e sbirciò attraverso una

fessura nella porta. Loro erano là, una allegra compagnia di Ellyllon;

stavano lavorando come matti e ridevano e danzavano altrettanto

pazzamente mentre lavoravano. Catti era così divertita che non seppe

trattenersi e scoppiò a ridere; ed al suono della sua voce gli Ellyllon

si dispersero come nebbia davanti al vento, lasciando la stanza vuota.

Non tornarono mai più ma il contadino ora era ricco e la sua

malasorte non tornò mai più a tormentarlo.

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La somiglianza di questa storia alle molte incontrate verrà

certamente notata dallo studioso di folklore comparato. Egli

osserverà anche che sconfina nel dominio di un‟altra classe di cui fa

parte la mia classifica - quella dei Bwbach, le Fate della casa. Questa

è la pietra su cui si inciampa sempre in questo campo di ricerca

scientifica. L‟idea di Mr. Baring-Gould che tutte le storie famigliari

siano riconducibili ad una radice primeva (allo stesso modo o in

maniera simile al potere rintracciare le radici delle parole), pur molto

ingegnosamente illustrata da lui, si ritrova costantemente in difficoltà

del tipo menzionato. Egli incontra l‟ostacolo che giace sulla strada di

tutti coloro che percorrono questa via. Le sue radici si intersecano

talvolta inestricabilmente tra loro. Ma uno sforzo in questa direzione

è indispensabile e noi dobbiamo fare del nostro meglio con il

materiale che abbiamo. Storie della classe delle Witchelmänner

(Kinder und Hausmärchen) di Grimm vengono richiamate alla

memoria dalla leggenda di Rowli Pugh qui narrata. Gli Hausmänner

tedeschi sono Elfi di tipo domestico, talvolta malevoli e talvolta utili,

ma solitamente in cerca di qualche ricompensa materiale per il loro

lavoro. Così anche il folletto inglese citato da Milton in “L‟Allegro”,

che sgobba

per guadagnarsi la sua ciotola di panna debitamente datagli

L‟Ellylldan è una specie di Elfo che corrisponde esattamente

all‟Inglese Will-o‟-the-wisp, allo Scandinavo Lyktgubhe ed al

Bretone Sand Yan y Tad. La parola gallese dan significa “fuoco” ma

anche “esca”; la parola composta suggerisce un fuoco elfico che

attrae come un‟esca. Il Bretone Sand Yan y Tad (St. John e padre -

Keightley, Fairy Mythology, 441) è un doppio fuoco fatuo (ignis

fatuus), una Fata che sulla punta delle dita ha cinque luci che girano

in cerchio come una ruota.

Come tutti i folletti di questa classe, l‟Ellylldan veniva naturalmente

visto danzare nei terreni paludosi, dentro cui conduceva i viaggiatori

che si attardavano; ma, come un illustre residente del Galles ha

argutamente detto, “il povero Elfo ora fa la fame ed il suo respiro gli

viene tolto; la sua luce viene spenta per sempre dal contadino che,

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per migliorare, ha drenato la palude. E, invece della vegetazione

puzzolente in disfacimento in autunno, dove i tarabusi ed i

beccaccini si deliziavano a nascondersi, raccolti di grano e patate vi

crescono. (On, W. O, Stanley, M.P., in Notes and Queries).

Un racconto poetico scritto da una figura moderna, chiamata Iola il

Bardo, è così condensata:

“Una notte, quando la Luna era calata, mentre sedevo sulla cima di

una collina passò di lì l‟Ellylldan. Lo seguii nella valle.

Attraversammo sciabordii di acqua sopra cui occhieggiavano le cime

dei giunchi di palude e dove le lucertole giacciono silenziosamente

sulla superficie, guardandoci con sguardo immobile. Le rane

sedevano gracidando e dilatando i fianchi ma cessarono quando

elevarono uno sguardo malinconico sull‟Ellylldan. Gli uccelli

selvatici, che dormivano con la testa sotto le ali, emisero un basso

schiamazzo mentre ci avvicinavamo. Un tarabuso si destò ed emise

un grido nell‟aria. Io percepivo le tracce delle anguille e delle

sanguisughe spuntare in giro, mentre procedevo a stento attraverso

gli specchi d‟acqua. Su una pietra melmosa sedeva un rospo,

succhiando veleno dall‟aria notturna. L‟Ellylldan ardeva

coraggiosamente nei vapori soporiferi. Si innalzava spensieratamente

sopra i cespugli che si piegavano nel pantano. Quando esitavo o mi

fermavo, egli mi aspettava ma si rimpiccioliva gradualmente fino a

divenire una macchietta percepibile a stento. Ma, non appena

avanzavo nuovamente, lui cresceva improvvisamente e splendeva

come prima. Un pipistrello cominciò a volarci intorno, battendo le ali

pesantemente. Le civette ci guardavano in silenzio con i loro grandi

occhi. Le lumache ed i serpenti strisciavano intorno a noi. I leggeri

fili della tela di un ragno luccicavano alla luce dell‟Ellylldan.

Improvvisamente egli si allontanò da me velocemente e lontano si

unì ad un cerchio di suoi pari, che danzavano lentamente in cerchio

in una danza di folletti, cosa che mi fece dormire.” (The Vale of

Glamorgan, Londra, 1839)

Pwca, o Pooka, è semplicemente un altro nome dell‟Ellylldan, così

come il nostro Puck è un altro nome per indicare il “ll-o‟-the-wisp;

ma in entrambi i casi il termine più corto ha un sapore più poetico ed

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un‟ampiezza maggiore. Il nome Puck veniva originariamente

applicato all‟intera razza delle Fate inglesi e pochi tra gli

appartenenti a quel reame godono tuttora di una più vasta popolarità

del Puck, nonostante i suoi attributi maligni. Parte di questa

popolarità è dovuta ai poeti, specialmente a Shakespeare. Ho fatto

cenno alla conoscenza accurata che il bardo aveva del folklore

gallese; la materia è indubbiamente di un interesse unico, se si

guarda l‟inaccuratezza di cui è stato accusato in merito alla terra

delle Fate inglesi. Vi è una tradizione gallese secondo la quale

Shakespeare ricevette la propria conoscenza delle Fate della Cambria

dal suo amico Richard Price, figlio di Sir John Price del priorato di

Brecon. Si è anche sostenuto che Cwm Pwca, o la Valle del Pwca,

parte di una romantica valletta nel Clydach, Breconshire, sia il luogo

originale del “Midsummer Night‟s Dream” - una fantasia lieve ed

aerea come lo stesso Puck.

Secondo una lettera scritta dal poeta Campbell a Mrs. Fletcher nel

1833 e pubblicata nella sua autobiografia, si pensava che

Shakespeare fosse andato a vedere di persona questa magica valle.

“Non più tardi di ieri”, scrisse Campbell, “ho scoperto la probabilità

- quasi una certezza - che Shakespeare sia andato a trovare degli

amici in quella stessa città (Brecon, in Galles) dove è nata Mrs.

Siddons e che là abbia trovato, in una vicina valletta chiamata “la

Valle della Fata Puck” il principale impianto del suo „Midsummer

Night‟s Dream‟.”

Comunque sia, Cwm Pwca - e nell‟epoca silvana prima che le opere

in ferro di Frere e Powell vi fossero innalzate sii dice sia stata - tanto

piena di folletti quanto la testa di un metodista lo è di pietà. Ed in

Galles vi sono altri luoghi che hanno nomi simili, dove i vecchi

abitanti si ricordano gli scherzi maligni dei Pwca. La gamma della

fantasia popolare in Galles viene espressa fedelmente nelle parole

che Shakespeare mette in bocca al Puck:

I'll follow you, I'll lead you about a round,

Through bog, through bush, through brake through brier,

Sometime a horse I'll be, sometime a hound,

A hog, a headless bear, sometime a fire;

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And neigh, and bark, and grunt, and roar, and burn,

Like horse, hound, hog, bear, fire, at every turn

(Midsummer Night's Dream, atto III., scena 3)

“Ti seguirò, ti porterò in giro,

attraverso la palude, attraverso il cespuglio, attraverso la boscaglia,

attraverso lo spineto,

talvolta un cavallo sarò, talvolta un cane,

un maiale, un orso senza testa, talvolta un fuoco;

e nitrirò, ed abbaierò, e grugnirò, e ruggirò, e brucerò,

come cavallo, cane, maiale, orso, fuoco ad ogni giro.”

Le varie storie in cui mi sono imbattuto recano in sé questi dettagli

pressoché invariabilmente.

Nel suo giusto carattere, tuttavia, Pwca ha un aspetto elfico

abbastanza grottesco. Si narra che un contadino gallese a cui fu

chiesto di dare un‟idea dell‟aspetto del Pwca disegnò con un pezzo di

carbone l‟immagine che segue.

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Una serva che badava al bestiame alla fattoria di Trwyn, vicino ad

Abergwyddon, era solita portare cibo a “Padron Pwca”, come

chiamava l‟Elfo. Una ciotola di latte fresco ed un pezzo di pane

bianco erano i componenti del pasto del folletto e venivano posti in

un certo luogo dove lui li prendeva. Una notte la fanciulla, mossa da

uno spirito di malizia, bevve il latte e mangiò la maggior parte del

pane, lasciando per Padron Pwca solo acqua e croste. La mattina

seguente ella vide che l‟esigente folletto aveva lasciato il cibo

intonso. Non molto tempo dopo, mentre la ragazza stava

attraversando il luogo solitario dove finora aveva lasciato al Pwca il

suo cibo, venne presa sotto il braccio da mani di carne (che tuttavia

non poteva vedere) e soggetta ad una punizione del tipo più

mortificante. Simultaneamente, le sue orecchie udirono in un buon

Gallese un avvertimento a non ripetere la sua offesa, altrimenti

avrebbe subito un trattamento peggiore. Questa storia “si crede

completamente ancora oggi”. (ArchaeoIogia Cambrensis, 4th Se.,

vi., 175 - 1875)

Sono andato a vedere il teatro di questa storia, una fattoria vicino ad

Abergwyddon (ora chiamata Abercarne) ed ho sentito molto parlare

delle imprese di quel particolare Pwca, cui farò ancora riferimento. Il

fatto più singolare di questa storia è che, nonostante sia trascorso

almeno un secolo - ed alcuni dicono diversi secoli - dalla faccenda in

questione, non troverete un solo contadino gallese dei dintorni che

non conosca tutto su Pwca'r Trwyn.

La forma più comune delle storie sui Pwca è quella che ho incontrato

in diverse località; essa varia nei dettagli del racconto così poco che i

racconti stessi potrebbero essere intercambiabili tra loro alterando

solo i nomi dei luoghi.

Questa forma presenta un contadino che sta ritornando a casa dal

lavoro o da una fiera, quando vede una luce che viaggia davanti a lui.

Guardando più da vicino, egli intravede che viene portata da una

piccola figura tetra, che ha in mano una lanterna o una candela sulla

testa alla distanza di un braccio.

Egli segue la figura per diverse miglia quando, improvvisamente, si

ritrova sul ciglio di un terribile precipizio. Da molto più in basso

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sente giungere al suo orecchio il suono di un torrente impetuoso.

Nello stesso momento, il piccolo folletto con la lanterna balza

dall‟altra parte della voragine, atterrando sul lato opposto; alza

nuovamente la luce sulla testa, emette una risata breve e malevola,

spegne la candela e scompare sulla collina di fronte, lasciando

l‟attonito contadino ritornare a casa come può.

Sotto il titolo generale di Coblynau io classifico le Fate che

frequentano le miniere, le cave e le zone sotterranee del Galles,

corrispondenti agli gnomi cabalistici. La parola “colon” ha il doppio

significato di “picchiatore” e “spirito” o “spirito maligno”; e non

potrebbe essere l‟originale di “goblin” (folletto)? Questo nome viene

applicato dai minatori gallesi alle piccole Fate che dimorano nelle

miniere ed indicano, grazie ad un picchiettare o ad un bussare

caratteristico, le vene ricche di minerale. Questa credenza si estende

in alcune zone tanto da includere l‟indicazione in generale di tesori

sotterranei, in caverne e luoghi segreti sulle montagne. I Coblynau

vengono descritti come alti circa 45 centimetri e molto brutti a

vedersi, ma di carattere estremamente buono e cari amici dei

minatori. I loro abiti sono una grottesca imitazione delle divise dei

minatori ed essi portano dei piccoli martelli, picconi e lampade.

Lavorano alacremente, caricando il minerale in dei secchi, passando

velocemente tra le aste, usando piccoli argani e martellando come

matti ma non realizzando praticamente nulla. Sono noti per gettare

pietre ai minatori quando si arrabbiano perché questo ultimi parlano

di loro con leggerezza; ma le pietre non fanno male. Tuttavia, tutti i

minatori intelligenti evitano di provocarli, perché la loro presenza

porta fortuna.

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I minatori non sono probabilmente più superstiziosi di altri uomini di

eguale intelligenza; ho udito alcuni tra loro respingere con

indignazione l‟idea che essi siano in alcun modo superstiziosi ma

questo vorrebbe semplicemente dire elevarli al di sopra della nostra

comune umanità. Vi sono abbastanza testimonianze per sostenere le

mie conclusioni nell‟accreditare una buona dose di credulità alla

categoria dei minatori. Poco tempo fa, l‟Oswestry Advertiser riportò

il fatto che a Cefn “una donna viene utilizzata come messaggero in

una delle miniere di carbone ed ogni mattina presto, quando

comincia i suoi doveri, ella incontra moltissimi minatori che vanno al

lavoro. Alcuni di essi, ci è stato assicurato con serietà, considerano di

cattivo presagio incontrare una donna come prima cosa al mattino e,

non avendo avuto successo nel rimuoverla dal suo impiego con altri

mezzi, essi hanno atteso il principale ed hanno dichiarato che

sarebbero rimasti a casa fin quando la donna non fosse stata

licenziata.” Questo accadde nel 1874. Nel giugno 1878 il South

Wales Daily News riportò una superstizione dei cavapietre di

Penrhyn, dove alcune migliaia di uomini rifiutarono di lavorare il

giorno dell‟Ascensione. “Il loro rifiuto non era dovuto ad alcun

sentimento di riverenza ma ad una antica e ben diffusa superstizione

che permaneva da anni in quella zona e cioè che se il lavoro avesse

continuato il giorno dell‟Ascensione sarebbe certamente seguito un

incidente. Alcuni anni or sono, i principali convinsero gli uomini a

sfondare questa superstizione e vi furono incidenti ogni anno - un

caso non improbabile, visto il tipo di lavoro e la natura pericolosa

dell‟occupazione di quegli uomini. Quest‟anno, tuttavia, tutti gli

uomini hanno rifiutato di lavorare.” Questi sono esempi che

riguardano un numero considerevole di lavoratori delle miniere e li

cito in quanto sono molto più significativi di quanto non sarebbero

casi individuali.

E di questi ultimi ne ho incontrati molti. Mi dispiacerebbe che

qualche lettore concludesse da tutto ciò che i minatori gallesi non

siano tra le persone più intelligenti al mondo. Sono semplicemente

oltre il comune. Pertanto le loro superstizioni, come quelle del resto

di noi, devono essere giudicate come una “cosa a se stante”, da non

confondere con l‟intelligenza o l‟educazione ma coesistente con esse.

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L‟assoluta libertà dalla superstizione può aversi solo con un grado di

cultura scientifica non ancora raggiunto da uomo mortale.

Difficilmente stupirà sapere che il minatore è superstizioso, passando

la sua vita in una zona oscura e tenebrosa, diverse braccia sotto la

verde superficie della terra, circondato da muri su cui fioche lampade

spargono una luce irregolare. Non sorprende che l‟immaginazione (e

quella gallese è particolarmente vivida) evochi i volti e le forme di

gnomi e Coblynau, di fantasmi e uomini fatati. Quando essi odono il

misterioso bussare che sanno non essere prodotto da essere umano e

quando, esaminando il luogo in cui viene udito il suono, vi trovano

indicazioni preziose di minerale, anche l‟incredulità più ostinata

viene talvolta scossa. La scienza sostiene che il rumore potrebbe

essere prodotto dall‟azione dell‟acqua sulle pietre lisce in crepe e

buche nel calcare della montagna e suggerisce veramente la presenza

di metalli.

Nei tempi andati, un tal Priestley catturò ed imbottigliò quel demone

che esiste sotto forma di gas acido carbonico; quando il minatore

venne colpito a morte da un nemico invisibile nelle viscere profonde

della terra, fu naturale che i suoi attoniti compagni ascrivessero il

misterioso colpo ad un nemico sovrannaturale. Quando l‟operaio

venne assalito da quello che oggi chiamiamo grisou, che gettò lui ed

i suoi compagni a destra ed a sinistra sulle rocce scure scottando,

bruciando ed uccidendo, coloro che sopravvissero non erano inclini a

porre in discussione l‟esistenza del demone della miniera e da qui

nacque la superstizione - ora probabilmente pressoché estinta - dei

basilischi nelle miniere, che distruggevano con il loro terribile

sguardo. Quando giunse la spiegazione, che la cosa che aveva ucciso

il minatore era ciò che aveva respirato, non quello che aveva visto, e

quando la chimica tolse il grisou dal regno delle Fate, il basilisco ed

il demone del fuoco non ebbero più una gamba su cui reggersi. La

spiegazione dei Knockers è più recente e meno tangibile e

convincente.

Ai Coblynau l‟immaginario popolare dà sempre la forma di nani;

dovunque vengano visti o uditi, si crede siano fuggiti dalle miniere o

dalle regioni segrete sui monti. Le loro case sono nascoste alla vista

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dei mortali. Quando li si è incontrati, sia nelle miniere che sui monti,

è perché si erano allontanati dalle loro speciali dimore, che sono

spettrali come loro. Vi è almeno un racconto tuttora esistente su un

loro territorio segreto rivelato ad occhi mortali. Si trova in un

volumetto (di cui potrei dire molto altro) stampato a Newport,

Monmouthshire, nel 1813 (A Relation of Apparitions of Spirits in the

County of Monmouth and the Principality of Wales del Rev. Edmund

Jones of the Tranch, Newport, 1813). In esso si riferisce che un tal

William Evans, di Hafodafel, mentre attraversava al mattino presto la

Beacon Mountain oltrepassò una miniera di carbone fatata dove le

Fate erano impegnate a lavorare. Alcune stavano tagliando il

carbone, altre lo portavano e ne riempivano i sacchi, alcune ancora

alzavano quei pesi sulle groppe di cavalli e così via, ma tutto nel

silenzio più totale. Egli pensò che si trattasse di “una cosa

straordinariamente sovrannaturale” e ne rimase molto impressionato,

perché sapeva bene che in realtà in quel luogo non vi era alcuna

miniera di carbone. Egli era una persona di indubbia veridicità ed

inoltre “un grande uomo nel mondo - al di sopra della menzogna”.

Che i Coblynau talvolta vagassero lontani da casa viene testimoniato

dallo stesso cronista ma, in queste occasioni, essi erano in vacanza.

Egbert Williams, “un pio giovane gentiluomo del Denbingshire, a

quell‟epoca a scuola” stava un giorno giocando in un campo

chiamato Cae Caled, nei dintorni di Bodfari, con tre ragazze, una

delle quali era sua sorella. Accanto alla scaletta oltre Lanelwyd

House essi videro una compagnia di quindici o sedici Coblynau

impegnati in una folle danza. Essi erano al centro del campo, a circa

70 iarde dagli spettatori, e danzavano in una maniera simile ai

danzatori di Morris ma con ferocia e rapidità nei movimenti. Erano

vestiti di rosso come i soldati inglesi ed al collo indossavano

fazzoletti rossi macchiati di giallo. E lo strano era che erano grandi

quasi come uomini comuni, tuttavia avevano un indubitabile aspetto

da nani ed uno non poteva chiamarli in altro modo che nani. Uno di

loro lasciò la compagnia e corse verso il gruppo accanto alla scaletta,

che ne fu spaventato e tutti i suoi componenti scapparono impauriti

oltre la scaletta. Barbara Jones scappò per prima, quindi sua sorella e,

mentre Egbert Williams stava aiutando sua sorella a salire, videro il

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Coblyn vicino a loro ed a stento non svennero quando la sua mano

pelosa si posò sulla scaletta. Egli vi rimase appoggiato, guardandoli

mentre fuggivano con un‟espressione feroce sul volto color del rame

ed uno sguardo fiero. I giovani corsero a Lanelwyd House e

chiamarono fuori gli adulti ma, per quanto si affrettassero

velocemente verso il campo, i nani erano già scomparsi.

Nella maggior parte dei paesi che possiedono miniere si trovano

controparti dei Coblynau. In Germania i Wichtlein (piccoli Wights -

Esserini) sono piccoli uomini anziani con una lunga barba alti tre

quarti di un braccio ed abitano le miniere delle terre del sud. I Boemi

chiamano i Wichtlein con il nome di Haus-schmiedlein, piccoli

fabbri della casa, in quanto talvolta essi fanno un rumore come se

stessero svolgendo un duro lavoro su un‟incudine. Essi non sono

così popolari come in Galles, tuttavia, in quanto predicono sfortuna o

morte. Essi annunciano il destino di un minatore bussando

distintamente tre volte e, quando un male minore sta per accadergli,

si sentono scavare, martellare ed imitare altri tipi di lavoro.

“Anche in Germania i Koboldi sono per i minatori più molesti che

altro, in quanto si divertono a frustrarli ed a rendere il loro duro

lavoro infruttuoso. Talvolta sono puramente maligni, particolarmente

se ignorati o insultati, ma talvolta sono anche indulgenti nei confronti

di individui che prendono sotto la loro protezione. Quando perciò un

minatore trova una ricca vena di minerale, se ne conclude che non è

stato perché lui possedesse maggiori abilità, laboriosità o fortuna dei

suoi compagni di lavoro ma perché gli spiriti della miniera lo hanno

diretto al tesoro.” (Scott, Demonology and Witchcraft, 121)

L‟intimo collegamento tra le Fate delle miniere e la razza dei nani si

ritrova costantemente nella mitologia fatata; ed il collegamento dei

nani con le montagne è egualmente universale. “Dio”, dice la

prefazione del Heldenbuch, “ha dato origine ai nani perché la terra e

le montagne erano completamente sprecate ed incolte e vi erano

grandi quantità di argento ed oro e pietre preziose e perle immobili

nelle montagne.” Fin dai tempi più antichi e nei paesi più antichi fino

al giorno d‟oggi ed al nuovo mondo chiamato America, le tradizioni

sono rimaste le stesse. L‟antica credenza norvegese che aveva reso i

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nani l‟impianto attuale delle saghe nordiche ha la sua eco nelle

Catskill Mountains con il rombare del tuono tra i dirupi dove i nani

di Hendrik Hudson giocano a birilli.

Il Bwbach o Boobach è il folletto dal buon carattere che aiuta

l‟ordinata fanciulla gallese che conquista il suo favore grazie ad un

certo tipo di comportamento raccomandato da una lunga tradizione.

La fanciulla, spazzata la cucina, fa un bel fuoco come ultima cosa

prima di andare a letto e, avendo posto la zangola piena di panna sul

pavimento sbiancato della cucina con una bacinella di panna fresca

per il Bwbach sulla mensola, va a letto ad attendere l‟evento. Al

mattino ella trova (se è fortunata) che il Bwbach ha svuotato la

ciotola di panna e moltiplicato il contenuto della zangola così bene

che la fanciulla non ha altro da fare che dare uno o due colpetti per

raggrumare il burro per bene. Come l‟Ellyll, a cui somiglia

fortemente, il Bwbach non approva i dissidenti ed i loro modi di fare

e particolarmente forte è la sua avversione nei confronti degli astemi

totali.

Nel Cardiganshire vi era un Bwbach che apparteneva ad una certa

magione, il quale prese a detestare fortemente un predicatore battista

che era ospite della casa e che amava molto più le preghiere che una

buona birra. Ora, il Bwbach aveva un debole nei confronti delle

persone che sedevano intorno al focolare con le loro tazze di cwrw

da e le loro pipe e prese a tormentare il predicatore. Una notte spinse

via lo sgabello da sotto i gomiti del buon uomo mentre era

inginocchiato a pregare, così che cadde sulla faccia. Un‟altra volta

interruppe le devozioni facendo stridere gli alari del fuoco sul

pavimento e faceva continuamente ululare i cani durante le preghiere

o spaventava il ragazzo di fattoria sogghignando verso di lui

attraverso la finestra o facendo venire un colpo alla lavorante. Infine,

ebbe l‟audacia di attaccare il predicatore mentre stava attraversando

il campo. Il ministro raccontò la storia in questo modo:

“Stavo leggendo con impegno il mio innario mentre camminavo

quando improvvisamente provai paura e le mie gambe cominciarono

a tremare. Un‟ombra strisciava verso di me da dietro e, quando mi

voltai, ero io stesso! La mia persona, i miei abiti ed anche il mio

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stesso innario. Lo guardai in faccia per un istante e caddi subito

svenuto a terra.” E là, ancora svenuto, venne ritrovato. Questo

incontro si dimostrò troppo per il buon uomo, che lo considerò un

avvertimento ad andarsene dalla zona. Pertanto montò sul suo

cavallo il giorno seguente e se ne andò. Un ragazzo dei dintorni, la

cui veridicità era, come quella di tutti i ragazzi, fuor di dubbio, disse

in seguito che vide il Bwbach saltare dietro al predicatore sulla

schiena del cavallo. Ed il cavallo andò come un fulmine, con gli

occhi come palle di fuoco, ed il predicatore si guardò dietro da sopra

la spalla e vide il Bwbach che ghignava da un orecchio all‟altro.

La stessa confusione nei contorni che esiste tra il nostro Bogie e

l‟Hobgoblin dà al Bwbach un carattere duplice, come Fata casalinga

e come fantasma terrificante. Finire nelle sue grinfie in certe

circostanze non è una questione da poco, perché egli ha il potere di

gettare la gente per aria. I suoi servigi sono richiesti a questo scopo

dai fantasmi in ambasce che non riescono a riposare a causa del

tesoro nascosto che vogliono venga trovato; e, se riescono a fare in

modo che un mortale li aiuti a rimuovere il tesoro, impiegano il

Bwbach per trasportare il mortale per aria.

Questa Fata viene rappresentata in Francia come gobelin. Le madri

minacciano i bambini con questa figura: “Le gobelin vous mangera,

le gobelin vous emportera.'“ (Père l'Abbé, Etymologie, 262).

Nell‟inglese hobgoblin abbiamo una parola apparentemente

derivante dal gallese hob, “saltare”, e coblyn, un folletto, che fa

venire in mente un folletto saltellante e suggerisce il Pwca (che con il

Bwbach viene anch‟egli talvolta confuso nell‟immaginario popolare)

ma che dovrebbe in inglese semplicemente significare il folletto della

mensola (hob) o la Fata della casa. Nel suo aspetto di spauracchio il

Bwbach, come il Bogie inglese, si crede essere identico allo slavo

“Bog” ed al “Baga” delle iscrizioni cuneiformi, entrambi i quali sono

nomi dell‟Essere Supremo, secondo il professor Fiske. “La forma

ancestrale di questi epiteti” di ritrova “nell‟antico ariano Bhaga, che

riappare immutato nel sanscrito dei Veda ed ha lasciato un ricordo di

sé nel soprannome dello Zeus frigio Bagaios.” Pare che in origine

abbia denotato sia il Sole senza nubi che il cielo di mezzogiorno

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illuminato dai raggi solari.

“…Così, lo stesso nome che dal poeta vedico ai persiani al tempo di

Serse ed ai moderni russi suggerisce la suprema maestà della

Divinità, in inglese viene associato ad un brutto e ridicolo spiritello

maligno, molto simile al grottesco Diavolo del Nord a cui l‟abitante

del sud era incapace di pensare senza ridere.” (Fiske, Myths and

Myth-maser, 105)

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III

Le Fate dei laghi

Le Gwragedd Annwn o Dame della Terra Elfica - San Patrizio

ed i Gallesi, una leggenda del Lago di Crumlyn - La mucca elfica

di Lyn Barfog - T Fuwch Laethwen Lefrith - La leggenda del

Meddygon Myddfai - La moglie della razza sovrannaturale - I

tre colpi, una leggenda del Carmathenshire - Il formaggio e lo

scopo didattico nel folklore gallese - Il padre della fanciulla

fatata - L’isola incantata nel Lago della Montagna - La leggenda

degli uomini di Ardudwy - L’origine delle Fate d’acqua - La loro

diffusione in molte terre

Le Gwragedd Annwn (letteralmente, mogli del mondo inferiore)

sono le dame elfiche che dimorano sotto le acque. Non trovo

somiglianze tra questa Fata gallese e la nostra familiare sirena al di là

della dimora acquatica e dei modi di fare talvolta affascinanti. Le

Gwragedd Annwn non hanno aspetto di pesce né dimorano nel mare.

Esse dimorano nei laghi e nei fiumi, ma particolarmente nei selvaggi

e solitari laghi sulle alture delle montagne. Questi luoghi romantici

sono circondati da innumerevoli superstizioni, di cui parleremo oltre.

Nel regno delle Fate, esse fungono da canali di comunicazione tra

questo mondo e quello inferiore dell‟annwn, il dominio ombroso

presieduto da Gwyn ap Nudd, il re delle Fate. Questo regno

subacqueo è abitato da quei figli del mistero chiamati Plant Annwn e

tra gli abitanti delle montagne del Galles è attualmente diffusa la

credenza che le

Gwragedd Annwn facciano occasionalmente visita a questo nostro

mondo superiore. (Archaeologia Cambrensis, 2nd

Se., iv., 253)

L‟unico riferimento a sirene gallesi di cui ho letto o sentito parlare è

contenuto nel resoconto di Drayton della Battaglia di Agincourt. In

esso è menzionata, tra gli emblemi araldici delle contee del Galles:

Come Cardigan, quello tra loro che venne in seguito,

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Giunse con una sirena seduta su una roccia.

Vi è in Cymru Fu una storia di sirene ma la figura di sirena è

apparentemente un abbellimento moderno di un fatto accaduto

realmente e qui senza valore.

Il Lago di Crumlyn, vicino al pittoresco villaggio di Briton Ferry, è

uno dei molti in Galles ad essere rifugio per le dame elfiche. Si crede

anche che una grande città giaccia in quel luogo e che le Gwragedd

Annwn abbiano mutati i muri sommersi per usarli come

sovrastruttura dei loro palazzi fatati. Alcuni affermano di avere visto

le torri di bellissimi castelli ergere le loro merlature al di sopra della

superficie delle acque scure e talvolta si odono suonare campane

elfiche da queste torri. Il perché le dame elfiche vennero in origine a

dimorare in quel luogo si spiega così:

Molto, ay, molto tempo fa davvero, san Patrizio giunse dall‟Irlanda

per fare visita a san David del Galles, giusto per dire Sut yr y'ch

chwi? (come va?). E, mentre i due stavano passeggiando vicino a

questo lago conversando di argomenti religiosi in maniera

amichevole, alcuni Gallesi che si erano accertati che lui fosse san

Patrizio, infuriati con lui per avere lasciato la Cambria per Erin,

cominciarono ad insultarlo in lingua gallese, la sua lingua nativa.

Naturalmente, un insulto del genere non poteva rimanere impunito e

san Patrizio fece sì che essi venissero mutati in pesci; tuttavia,

essendo alcuni di loro femmine, vennero invece convertite in Fate. Si

dice anche che il Sole, a causa di questa insolenza rivolta ad un tale

sant‟uomo, non spandesse mai i suoi raggi apportatori di vita sulle

acque scure di questo pittoresco lago eccetto che una settimana

all‟anno. Questa leggenda e questi dettagli magici sono egualmente

accreditati a molti altri laghi, tra cui Llyn Barfog, vicino ad

Aberdovey, la città le cui “campane” sono state celebrate in una

canzone immortale.

Llyn Barfog è teatro della famosa discesa della mucca elfica sulla

terra dalle mandrie del Gwragedd Annwn. Questa è la leggenda

sull‟origine del bestiame nero del Galles, come riferitami nel

Carmartenshire:

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Nei tempi antichi vi era un gruppo di dame elfiche che erano solite

stazionare nei paraggi di Llyn Barfog, un lago tra le colline subito

dietro Aberdovey. Era loro abitudine fare la loro apparizione al

crepuscolo, vestite tutte di verde ed accompagnate dai loro cani

bianchi come il latte. Oltre ai loro cani, le dame verdi di Llyn Barfog

avevano la peculiarità di possedere mandrie di bellissime mucche

bianco latte, chiamate Gwartheg y Llyn, o mucche del lago. Un

giorno, un anziano contadino che viveva vicino a Dyssyrnant ebbe la

buona sorte di catturare una di queste mucche mistiche, che si era

innamorata del bue del suo branco. Da quel giorno la fortuna del

contadino fu fatta. Vitelli, latte, burro e formaggio come venivano

dalla mucca bianco latte non si erano mai visti prima in Galles, né si

vedranno mai più. La fama di Fuwch Gyfeiliorn (che era il nome che

avevano dato alla mucca) si sparse in tutta la contea. Il contadino,

che era stato povero, divenne ricco, padrone di grandi mandrie come

i patriarchi antichi. Ma un giorno si mise nella sua sciocca testa

l‟idea che la mucca elfica stesse invecchiando e che lui avrebbe fatto

meglio ad ingrassarla per il mercato. Il suo malvagio proposito andò

magnificamente bene. Mai, da che le bistecche di mucca sono state

inventate, venne vista una mucca così grassa come divenne quella.

Giunse il giorno dell‟uccisione ed i vicini arrivarono da tutti i luoghi

per vedere con i propri occhi l‟assassinio di questa bestia enorme. Il

contadino aveva già contato i guadagni che gli sarebbero derivati

dalla sua vendita ed il macellaio aveva già snudato il rosso braccio

destro. La mucca venne impastoiata, senza pietà per i suoi muggiti di

dolore ed i suoi occhi supplicanti; il macellaio alzò la sua mazza e la

colpì brutalmente in mezzo agli occhi quando, meraviglia! Un grido

risuonò nell‟aria, risvegliando gli echi delle colline, mentre l‟arma

del macellaio attraversava la testa fatata della mucca elfica ed andava

a colpire oltre nove tra gli uomini vicini, mentre il macellaio stesso

vorticava freneticamente cercando di afferrare qualcosa di solido.

L‟attonita assemblea vide quindi una dama verde in piedi sopra un

picco sopra il lago che gridava a voce alta:

Dere di felen Emion,

Cyrn Cyfeiliorn-braith y Llyn,

A'r foci Dodin,

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Codwch, dewch adre.

“Vieni, gialla Anvil, allontana le corna,

Macchiata del lago,

E del Dodlin senza corna,

Alzati, vieni a casa.”

Al che non solo la mucca elfica si alzò ed andò a casa, ma tutta le sua

progenie fino alla terza ed alla quarta generazione andò a casa con

lei, scomparendo nell‟aria sopra le cime delle colline e non tornando

mai più. Di tutte le mandrie del contadino rimase solo una mucca e

venne mutata da color bianco latte a nero corvo. A quel punto il

contadino, disperato, si annegò nel lago delle dame verdi e la mucca

nera divenne la progenitrice della razza tuttora esistente dei bovini

neri gallesi.

Questa leggenda appare in una forma leggermente diversa nel

“Manoscritto di Iola” come tradotto da Taliesin Williams, di Merthyr

(Llandovery, pubblicato per la Welsh MSS. Society, 1848):

“La mucca bianco latte dava latte a sufficienza a chiunque lo

desiderasse e, per quanto spesso o a prescindere da quante persone

venisse munta, il latte non le mancava mai. Tutte le persone che

bevevano del suo latte venivano guarite da ogni malattia; da sciocchi

divenivano saggi e da cattivi divenivano felici. Questa mucca andava

in giro per il mondo e, dovunque apparisse, riempiva di latte tutti i

contenitori che si riuscivano a trovare, lasciando dietro di sé dei

vitelli per tutti coloro che erano saggi e felici. Fu da lei che ebbero

origine tutte le mucche da latte del mondo. Dopo avere attraversato

tutta l‟isola di Britannia a beneficio e benedizione della contea e dei

suoi abitanti, ella raggiunse la Valle di Towy dove, tentati dal suo

bell‟aspetto e dalla sua condizione superiore, i nativi cercarono di

ucciderla e mangiarla. Tuttavia, mentre stavano procedendo verso il

loro scopo, ella svanì dalle loro mani e non venne mai più vista. Sul

luogo rimane ancora una casa chiamata Y Fuwch Laethwen Lefrith

(la mucca da latte bianco latte).

La leggenda delle Meddygon Myddfai introduce nuovamente il

bestiame elfico alla nostra attenzione ma lo mescola ad un‟altra

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interessantissima forma di questa credenza, e precisamente quella

della moglie di razza sovrannaturale. Il suo nome ci fornisce una sua

ulteriore caratteristica, in quanto Meddygon significa medici, e la

leggenda sostiene di fornire l‟origine di certi dottori che erano noti

nel XIII secolo.

La leggenda riferisce che un contadino dei dintorni di Myddfai,

Carmarthenshire, avendo comprato alcuni agnelli in una fiera vicina

li portò a pascolare vicino a Llyn y Fan Fach, sulle Black Mountains.

Ogni volta che andava a vedere questi agnelli, gli apparivano tre

bellissime damigelle dal lago, sulle cui rive spesso facevano delle

passeggiate. Talvolta egli corse loro dietro e cercò di catturarle ma

fallì sempre: le incantevoli ninfe scappavano davanti a lui e,

raggiunto il lago, lo schernivano con queste parole:

Cras dy fara,

Anhawdd ein dala

che, a renderle letteralmente, significano:

“cuoci il tuo pane,

sarà difficile catturarci“

ma che, tradotte più poeticamente, potrebbero significare:

“Mortale che mangi pane cotto,

Non è per te il letto fatato!”

Un giorno, giunse a riva dal lago galleggiando un pezzo di pane

umido. Il contadino lo raccolse e lo divorò con avidità. Il giorno

seguente, con suo grande piacere, egli ebbe successo nella sua caccia

e catturò le ninfe sulla riva. Dopo avere parlato a lungo con loro, egli

raccolse il coraggio e propose ad una di loro di sposarlo. Ella

acconsentì ad accettarlo a condizione che lui fosse stato in grado di

distinguerlo dalle sue sorelle il giorno seguente. Questa era una

nuova, grossa difficoltà per il giovane contadino, in quanto le

fanciulle erano così simili tra loro per forma e caratteristiche che a

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malapena egli vedeva differenze tra loro. Tuttavia, egli aveva notato

una piccola singolarità nella reggetta dei sandali della prescelta

grazie a cui la riconobbe il giorno seguente. Tenendo fede alla

propria parola, la Gwraig immediatamente lasciò il lago ed andò con

lui nella sua fattoria. Prima di andarsene, ella convocò a sua scorta

sette mucche, due buoi ed un toro. Ella pattuì che sarebbe rimasta

con il contadino solo fin quando egli non l‟avrebbe colpita tre volte

senza motivo. Per alcuni anni dimorarono assieme ed ella gli partorì

tre figli, che furono i famosi Meddygon Myddfai. Un giorno, mentre

si stavano preparando per andare ad una fiera nei dintorni, il

contadino volle che lei andasse a prendere il suo cavallo. Ella disse

che sarebbe andata ma, mettendoci un po‟, lui le disse ironicamente:

“Dos, dos, dos”, cioè “Vai, vai, vai” ed allo stesso tempo le diede tre

leggeri buffetti col guanto nel braccio.

I colpi erano leggeri, ma erano colpi. I termini del contratto di

matrimonio erano rotti e la dama se ne andò, convocando con sé le

sue sette mucche, i due buoi ed il toro. In quel momento i buoi

stavano arando il campo ma obbedirono immediatamente alla sua

chiamata e trascinarono l‟aratro con sé al lago. Il solco dal campo

che stavano arando al margine del lago si può vedere ancora oggi in

diverse parti della contea. Dopo la sua partenza, la Gwraig Annwn

una volta incontrò i propri tre figli nella valle ora chiamata Cwm

Meddygon e diede loro una scatola magica contenente rimedi di

magnifico potere, grazie ai quali essi divennero famosi. I loro nomi

erano Cadogan, Gruffydd ed Emion ed il nome del contadino era

Rhiwallon. Rhiwallon ed i suoi figli furono i medici di Rhys Gryg,

signore di Dynevor e figlio dell‟ultimo principe nativo del Galles.

Essi vissero intorno al 1230 e, morendo, lasciarono un compendio

della loro pratica medica. “Una copia delle loro opere è nella Welsh

School Library in Gray's Inn Lane.“ (Cambro Briton, ii., 315).

In una forma più raffinata ed elaborata, questa leggenda omette

completamente le caratteristiche mediche ma le sostituisce con una

quantità di dettagli così peculiarmente gallesi che non posso

esimermi dal presentarli. Questa versione riferisce che il contadino

innamorato ha sentito parlare della fanciulla del lago, che remava in

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giro per il lago su una imbarcazione d‟oro con un remo d‟oro. I suoi

capelli erano lunghi e gialli ed il suo volto era pallido e melanconico.

Nel suo desiderio di vedere questa meravigliosa bellezza, il

contadino andò sulla riva del lago la vigilia di capodanno ed attese in

silenzio l‟arrivo della prima ora dell‟anno nuovo. Essa venne ed

invero vi fu anche la fanciulla sulla sua barca d‟oro che remava

gentilmente avanti e indietro per il lago. Affascinato, egli rimase ore

intere a contemplarla, fin quando le stelle scomparvero in cielo, la

Luna si immerse dietro le rocce e la fredda alba grigia sorse; allora,

l‟amabile Gwraig cominciò a svanire dalla vista. Folle di passione e

con il pensiero che l‟avrebbe persa per sempre, egli gridò forte alla

visione che si ritirava: “Rimani! Rimani! Diventa mia moglie!” Ma

la Gwraig si limitò ad emettere un debole grido e scomparve. Notte

dopo notte il giovano contadino andò sulle rive del lago ma la

Gwraig non tornò più. Egli cominciò a trascurarsi; la sua corporatura

un tempo robusta smagrì ed egli divenne esangue; il suo volto era

una mappa di malinconia e disperazione. Un giorno egli andò a

consultare un indovino che dimorava sulla montagna e questo

austero personaggio gli consigliò di assediare il cuore della

damigella con doni di pane e formaggio. Questo consiglio si

attanagliava molto al suo modo gallese di pensare ed il contadino si

mise assiduamente a gettare il suo pane nelle acque, accompagnato

da formaggio. Egli cominciò alla vigilia di Midsummer (21 o 22

giugno, a seconda dell‟andamento astronomico, n.d.t.) ad andare al

lago e gettarvi dentro un grosso formaggio ed una pagnotta. Notte

dopo notte, continuò a gettare in acqua pagnotte e formaggi ma nulla

appariva in risposta ai suoi sacrifici. Le sue speranze furono tuttavia

esaudite all‟avvicinarsi della successiva vigilia di capodanno. La

grande notte era finalmente arrivata. Vestito al suo meglio ed armato

di sette pagnotte bianche e del suo formaggio più grande e più bello,

egli andò nuovamente al lago.

Là attese fino a mezzanotte, quindi fece cadere solennemente e

lentamente le sette pagnotte nell‟acqua e con un sospiro mandò il

formaggio a fare loro compagnia. La sua costanza venne infine

ricompensata. La magica skiff (imbarcazione) apparve e la bella

Gwraig la guidò fino a lui; scese a riva e lo accettò come suo marito.

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Il patto summenzionato per quanto riguarda i colpi venne fatto ed

essa portò il suo bestiame in dote. Un giorno, dopo quattro anni che

erano sposati, vennero invitati ad un battesimo. Nel bel mezzo della

cerimonia, la Gwraig scoppiò in lacrime. Suo marito la guardò

arrabbiato e le chiese perché si stesse rendendo così ridicola. Ella

rispose: “Quel povero bambino sta entrando in un mondo di peccato

e dolore; davanti a lui vi è l‟infelicità. Perché dovrei rallegrarmene?”

Egli la scostò con stizza. “Ti avverto, marito,” disse la Gwraig, “mi

hai colpita una volta.”

Dopo un po‟ di tempo, vennero invitati al funerale del bambino che

avevano visto battezzare. Ora la Gwraig rise, cantò e danzò. La

collera del marito sorse nuovamente e nuovamente egli le chiese

perché si stesse rendendo così ridicola. Ella rispose: “Quel caro

bambino è sfuggito all‟infelicità che lo attendeva e se ne è andato per

stare bene ed essere felice per sempre. Perché dovrei provare

dolore?” Nuovamente, egli la spinse via da sé e nuovamente lei lo

avvertì - l‟aveva colpita per la seconda volta.

Ben presto furono invitati ad un matrimonio; la sposa era giovane e

bella, lo sposo un vecchio decrepito spilorcio, vacillante e senza

denti. Nel bel mezzo della festa di matrimonio, la Gwraig annun

scoppiò in lacrime e, alla domanda del marito sul perché si stesse

rendendo nuovamente ridicola, rispose: “Invero si è sposata l‟età per

avidità e non per amore - l‟estate e l‟inverno non possono andare

d‟accordo - è un patto diabolico.” Il marito, furioso, la spinse via per

la terza ed ultima volta. Ella lo guardò con tenero amore e

rimprovero e disse: “I tre colpi sono stati dati - addio, marito!” Egli

non la vide mai più né vide più alcun capo del bestiame che lei aveva

portato con sé in dote.

Nel suo impiego del mito per fare una predica e nella sua

introduzione del formaggio, questa versione della leggenda è

davvero molto gallese. La diffusione del formaggio nel folklore della

Cambria è sorprendente; si incontra in ogni tipo di compagnia fatata,

si incontra persino nel Mabinogion, insieme alle forme più

romantiche di bellezza note nella storia. Ed ancora una volta

vediamo l‟accurata conoscenza di Shakespeare dei folletti della

Cambria. “Il cielo mi protegga da quella Fata gallese” dice Falstaff,

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“che non mi trasformi in un pezzo di formaggio” (Merry Wives of

Windsor, Atto V, Scena 5). Il pane si ritrova figura attiva nel folklore

di ogni paese, specialmente come sacrificio agli Dei dell‟acqua, ma il

formaggio è, per quel che ne so, così onorato solo in Cambria.

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Ancora una volta appare questa leggenda, questa volta con una

caratteristica che non ho incontrato altrove nella terra fatata - l‟arguto

padre della damigella fatata.

Il figlio di un contadino della fattoria Drws Coed stava cercando, in

una giornata nebbiosa, una delle pecore del padre quando si imbattè

in un prato paludoso, in cui vide una piccola signora sopra un rialzo.

Ella aveva capelli gialli, occhi blu e guance di rosa. Egli le si

avvicinò e le chiese il permesso di chiacchierare; al che lei sorrise

dolcemente e gli disse: “Idolo delle mie speranze, sei giunto,

finalmente!” Cominciarono da allora a tenersi compagnia e ad

incontrarsi ogni giorno qua e là lungo i campi della fattoria. Le

intenzioni del ragazzo erano onorevoli - era suo desiderio che la

fanciulla lo sposasse. Talvolta egli si assentava per alcuni giorni e

nessuno sapeva dove andava ed i suoi amici sussurravano che fosse

stato stregato. Intorno al Lago di Torba (Llyn y Dywarchen) vi era

un boschetto e sotto uno degli alberi di questo boschetto un giorno la

Fata promise di essere sua. Ora era necessario il consenso di suo

padre; si accordarono dunque per incontrarsi una notte di Luna piena

nel bosco. Padre e figlia non apparvero fin quando la Luna non

scomparve oltre la collina. Quindi arrivarono. Il padre fatato diede

immediatamente il proprio consenso alle nozze, a condizione che lui

non colpisse mai la fanciulla con del ferro. “Se mai tu toccherai la

sua carne con del ferro, ella non sarà più con te ma ritornerà dai suoi.

I due si sposarono; erano una bella coppia. Grandi somme di denaro

furono da lei portate in dote la notte prima del matrimonio a Dnvs

Coed. Il giovane pastore divenne ricco, ebbe diversi bei bambini e

furono tutti molto felici. Dopo alcuni anni, un giorno erano fuori a

cavallo quando il cavallo di lei sprofondò in un profondo pantano e,

con l‟aiuto del marito, per la fretta di rimontare ella venne colpita al

ginocchio dalla staffa della sella. Immediatamente si udirono delle

voci cantare sul ciglio della collina ed ella scomparve, lasciandosi

dietro i figli. Lei e sua madre escogitarono un piano grazie al quale

ella avrebbe potuto vedere il suo amato ma non le era permesso di

camminare sulla terra con l‟uomo ed essi galleggiavano su un grosso

blocco di torba sul lago; e su questa torba ella rimaneva per diverse

ore alla volta conversando con suo marito. Questo continuò sino alla

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morte di lui. (Cymry Fu, 476)

Uno scopo didattico appare anche nella leggenda che segue la quale,

variando poco come fraseologia, è diffusa nei dintorni di una dozzina

di diversi laghi di montagna.

In altri tempi, prima che i Cimri si riconciliassero con i loro nemici

Sassoni, ogni mattina di capodanno veniva ritrovata aperta una porta

nella roccia presso il lago. Quelli tra i mortali che avevano la

curiosità e la risolutezza di entrare in questa porta, venivano condotti

attraverso un passaggio segreto ad una piccola isola al centro del

lago. Lì trovavano un giardino incantevole, pieno dei frutti e dei fiori

migliori ed abitato dalle Gwragedd Annwn, la cui bellezza era

eguagliata solo dalla cortesia ed affabilità che dimostravano a coloro

che piacevano loro. Esse raccoglievano i frutti ed i fiori per ogni loro

ospite, svelavano loro molti segreti del futuro e li invitavano a restare

per tutto il tempo che avessero voluto. “Ma” dicevano “l‟isola è

segreta e nulla dei suoi prodotti deve essere portato via.” Se gli ospiti

ascoltavano l‟avvertimento, tutto andava bene; ma un giorno apparve

tra i visitatori un malvagio gallese che, pensando di trarne qualche

aiuto magico, si intascò un fiore che gli era stato donato e stava per

lasciare il giardino con il suo trofeo. Ma il furto non gli portò alcun

bene: non appena ebbe toccato il suolo profano, il fiore svanì ed egli

perse i sensi. Tuttavia, le Gwragedd Annwn non si accorsero in quel

momento di questo abuso della loro ospitalità. Esse accomiatarono il

loro ospite con la solita cortesia e la porta venne chiusa come

sempre. Ma il loro risentimento era amaro perché, anche se le Fate

del lago ed il loro giardino incantato indubbiamente occupano quel

luogo ancora oggi, la porta che conduceva all‟isola non venne mai

più riaperta.

In tutte queste leggende lo studioso di folklore comparato rinviene

tracce dell‟antica mitologia, per quanto dettagli più tardi vi si siano

sovrapposti. Le fanciulle dell‟acqua di ogni terra indubbiamente in

origine erano le nuvole che fluttuano in cielo o le nebbie delle

montagne. Da queste sono nate alcune creazioni belle ed

immaginarie che abbondano nel folklore indo-europeo, la più

familiare delle quali sono le Ondine, Melusina, Nausicaa e la classica

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Musa. In Galles, come in altre terre, il mito possiede molte forme. La

dispersione delle nubi oscure dalle montagne grazie ai raggi del Sole

nascente o alle brezze mattutine si ritrova nella leggenda degli

Uomini di Ardudwy. Questi uomini fecero una razzia delle donne

della Valle di Clwyd e vennero perseguitati ed uccisi dai padri e dai

fratelli di queste ultime. Le fanciulle si gettarono a quel punto nel

lago, che da allora venne chiamato il Lago delle Fanciulle, o Llyn y

Morwynion. In un‟altra leggenda, la nebbia del fiume sopra il

Cynwal è lo spirito di una traditrice che morì molto tempo fa nel

lago. Essa aveva cospirato con i pirati nativi del mare del Nord (le

tempeste oceaniche) per derubare il suo signore cambriano dei suoi

domini. Ella venne sconfitta con l‟aiuto di un potente incantatore (il

Sole) e fuggì fino al lago, accompagnata dalle sue dame, che

annegarono là con lei. (Arch. Camb., 4th Se., vii., 251)

Pur se la credenza nelle sirene pare assente nel Galles, vi sono

tuttavia storie fatate di fanciulle che richiamano i mortali nelle loro

dimore sotto l‟acqua, come i Dracae facevano con donne e bambini e

come le Ninfe del Lurley facevano con i giovani uomini in età da

matrimonio. Ma si crede che diverse famiglie gallesi discendano

dalle Gwragedd Annwn, come nel caso dei Meddygon Myddfai. Il

familiare nome gallese di Morgan si pensa talvolta che significhi

“nato dal mare”. Certamente môr in Gallese significa “mare” e gân

una nascita. E‟ anche curioso che in Bassa Bretagna una sirena venga

chiamata “Mary Morgan”. Ma la classe di storie in cui un mortale

sposa una fanciulla d‟acqua è vasta e, mentre i dettagli locali variano

a seconda della zona, l‟idea generale è così simile in terre molto

lontane tra loro da indicare una origine comune in tempi preistorici.

In Galles, dove i laghi di montagna sono numerosi, tenebrosi, solitari

e tuttavia amabili, dove molti di essi mostrano tracce di essere stati

abitati in tempi antichi da una razza di abitatori dei laghi, i cui

villaggi sostenuti da pali sono svaniti molto tempo fa e dove il pane

ed il formaggio sono classici come la birra e le candele, questi

particolari sono siti nella leggenda. Nelle isole Faroe, dove la foca è

una creatura familiare e tuttavia sempre misteriosa, con i suoi occhi

simili a quelli umani e la sua pelle lucida, la moglie di razza

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sovrannaturale è una foca trasformata. Ella viene a riva ogni nona

notte, sveste la sua pelle, la lascia sulla riva e danza con le sue

compagne fatate. Un mortale ruba la sua pelle di foca e, quando il

giorno arriva e le sue compagne ritornano nelle loro dimore in mare,

la obbliga a rimanere e ad essere sua moglie. Un dato giorno lui la

offende, lei recupera la sua pelle e si immerge in mare. In Cina

questa credenza appare nella leggenda di Lew-chewan, citata dal Dr.

Dennys (Folk-Lore of China, 99), dove si narra di come una Fata

sotto forma di bellissima donna venga trovata a fare il bagno nella

fonte di un uomo. Egli la convince a sposarlo e lei rimane con lui per

nove anni alla fine dei quali, nonostante l‟affetto che nutre per i loro

due bambini, ella “fluisce verso l‟alto in una nuvola” e scompare.

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IV

Le Fate delle montagne

Le Gwyllion - La Vecchia della Montagna - La Gwyll della

Montagna Nera - Un esorcismo per mezzo di un coltello - I poteri

intellettuali occulti delle capre gallesi - la leggenda della capra di

Cadwaladr

Le Gwyllion sono Fate femmina dalle caratteristiche spaventose che

infestano le strade solitarie delle montagne gallesi e fanno smarrire i

viaggiatori notturni. Esse partecipano in qualche modo dell‟aspetto

della Hecate della mitologia greca, che cavalcava la tempesta ed era

una megera di aspetto orrendo. La parola gallese gwyll viene usata

variamente per significare oscurità, ombra, tristezza, megera, strega,

Fata e folletto ma viene applicata particolarmente a queste Fate

montane dalle abitudini tristi e dannose, al contrario degli Ellyllon

delle foreste e delle radure, che sono perlopiù benevole. La Gwyllion

ha una personalità più distinta sotto un altro nome - come l‟Ellyllon

sotto forma del maligno Puck - e la Vecchia della Montagna è un

prototipo di tutto il suo genere. Ella viene descritta con molta

accuratezza dal Profeta Jones nella forma in cui ha infestato la

Lanhyddel Mountain nel Monmouthshire. Aveva le sembianze di una

povera vecchia donna con un cappello oblungo con quattro angoli,

abiti color della cenere, il grembiule gettato sulla spalla, con una

pentola o un contenitore di legno in mano simile a quello che la

povera gente porta per andare a prendere il latte, sempre in

movimento davanti allo spettatore e talvolta gridando “Wow up!”

(questa è una forma inglese di un grido gallese di angoscia - “Wwb!”

o “Ww-bwb!”, che si pronuncia Wooboob). Coloro che hanno visto

questa apparizione, sia di notte che in una giornata nebbiosa, è certo

che sono destinati a perdere la strada, per quanto possa essere loro

familiare. Talvolta hanno udito il suo grido “Wow up!” quando non

la vedevano. Talvolta, quando uscivano di notte a prendere del

carbone, dell‟acqua, ecc., coloro che abitano vicino a quella

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montagna udivano il grido molto vicino a loro ed immediatamente

dopo lo sentivano lontano, come se provenisse dalla montagna

opposta, nei dintorni di Aberystruth. La tradizione popolare di questo

distretto dice che la Vecchia delle Montagna era lo spirito di una tal

Juan White, una pazza che visse da quelle parti e che si credeva

essere una strega e questo perché quelle montagne non erano

infestate in tal modo fino alla morte di Juan Gite (“Juan - Shui -

White è una vecchia conoscenza della mia infanzia”, mi scrive un

amico nato 30 anni or sono in Monmouthshire. “Noi ragazzi

credevano che un cottage in rovina sulla collina Lasgarn vicino a

Pontypool fosse stato la sua casa e là ella appariva a mezzanotte, con

la testa sotto il braccio.”).

Quando la gente sbagliava strada e la vedeva davanti a sé, era solita

scattare in avanti e cercare di prenderla, credendo che fosse una

donna in carne ed ossa che poteva metterli sulla buona strada; ma

non riusciva mai nessuno a prenderla e lei, da parte sua, non si

guardava mai indietro, così che nessun uomo ha mai visto il suo

volto. Ella è stata vista anche sulla Black Mountain nel Breconshire.

Robert Williams di Langattock, Crickhowel, “un uomo concreto e di

indubbia veridicità”, narra questa storia: una notte, mentre stava

passando sopra una parte dekka Black Mountain, vide la Vecchia ed

allo stesso tempo si rese conto di avere sbagliato strada. Non sapendo

che lei era uno spettro, la chiamò per attirare la sua attenzione ma,

non ricevendo risposta, pensò che fosse sorda. Allora affrettò il

passo, pensando di arrivarle vicino, ma più veloce correva più si

trovava dietro di lei; questo lo meravigliò molto, non capendone la

ragione. In quel momento si ritrovò a cadere in una marcita, cosa che

accrebbe la sua irritazione, quindi udì la Vecchia ridere di lui con

una risata strana, sconcertante, crepitante. Questo gli fece pensare

che potesse trattarsi di una Gwyll e, quando estrasse il coltello e la

Vecchia svanì, ne fu certo - perché i fantasmi e le Fate gallesi hanno

paura dei coltelli.

Un altro racconto riferisce che John ap John, di Cwm Celyn, uscì una

mattina prima dell‟alba per andare alla fiera di Caerleon. Mentre

stava risalendo la Milfre Mountain, udì un grido dietro di lui come se

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provenisse da Bryn Mawr, che fa parte della Black Mountain nel

Breconshire. Poco dopo udì il grido alla sua sinistra, a Bwlch y

Llwyn, più vicino a lui; questo lo spaventò molto e cominciò a

sospettare che non si trattasse di una voce umana. Si era già chiesto,

invero, cosa qualcuno potesse fare a quell‟ora del mattino, urlando

sul fianco della montagna. Continuando a salire, udì il grido proprio

davanti a sé, nei campi Gilfach, a destra, ed ora fu certo che fosse la

Vecchia della Montagna che cercava di condurlo fuori strada. In quel

momento, udì dietro di lui il suono di una carrozza e con esso il grido

particolare della Vecchia delle Montagna: “Wow up!”. Sapendo

molto bene che nessuna carrozza avrebbe potuto passare per quella

strada e continuando a sentire il suono che si avvicinava sempre più,

egli venne preso dal terrore e, scappando fuori dalla strada, si gettò a

terra e nascose il volto nell‟erica, aspettando che il fantasma

passasse. Quando non udì più nulla, si alzò e, nel sentire gli uccelli

cantare nel momento in cui irrompeva il giorno e nel vedere anche

alcune pecore di fronte a sé, la sua paura svanì. E questo, disse il

Profeta Jones, “non era un uomo profano, immorale” ma “un uomo

onesto, pacifico ed intelligente ed una persona inoltre avvenente.”

L‟esorcismo del coltello pare essere una nozione gallese, nonostante

sia una credenza antica grandemente diffusa in tutta Europa che il

donare o ricevere da un amico un coltello o un paio di forbici tagli

l‟amicizia. Ho incontrato questa credenza in America: una volta, un

amico editore di Indianapolis mi diede un coltellino tascabile molto

grazioso, da cui rifiutò di separarsi eccetto che al prezzo di un

centesimo, moneta corrente del regno, asserendo che saremmo

divenuti nemici senza questa precauzione. Anche in Cina vengono

associati incantesimi speciali ai coltelli. In Galles, secondo Jones, le

Gwyllion spesso facevano visita alle case degli abitanti di

Aberystruth, in particolare quando c‟era brutto tempo, e gli abitanti

davano loro il benvenuto - non che le sopportassero per amore ma

per paura del male che le Gwyllion potevano infliggere se offese;

fornivano loro acqua pulita e si accertavano in modo particolare che

nessun coltello o altro oggetto tagliente fosse nell‟angolo vicino al

fuoco dove le Fate si sarebbero sedute. “Perché per avere omesso

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questa premura molti sono stati da loro danneggiati.”

Mentre era desiderabile esorcizzarle quando si era all‟aria aperta, non

veniva reputato prudente mostrare uno spirito inospitale verso alcun

membro del mondo fatato. I casi di esorcismi coronati da successo

grazie al coltello sono molti e nulla nel regno delle Fate è meglio

documentato. Vi fu un certo Evan Thomas che, viaggiando di notte

sulla Bedwellty Mountain verso la valle di Ebwy Fawr, dove era la

sua casa e dimora, si vide circondato dalle Gwyllion ad ogni lato ed

alcune di esse gli danzarono attorno in una maniera fantastica. Egli

udì anche il suono di un corno tromba fendere l‟aria e pareva che vi

fossero dei cacciatori invisibili che cavalcavano lì vicino. Egli

cominciò a spaventarsi ma ricordò di avere sentito dire che chiunque

vedesse le Gwyllion avrebbe potuto farle fuggire sguainando un

coltello. Così estrasse il suo coltello e le Fate svanirono

immediatamente. Ora, Evan Thomas era “un vecchio gentiluomo di

tale impeccabile veridicità che” in un‟occasione “confessò una verità

contraria ai suoi interessi”, da cui avrebbe “probabilmente sofferto

una perdita” e, nonostante “alcuni avessero cercato di convincerlo a

non farlo, egli insistette tuttavia a dire la verità, a spese proprie”.

Nel riportare queste nozioni alla loro origine potremmo trovare una

loro connessione con la spada di Artù Excalibur? Se così fosse, ecco

che tocchiamo ancora una volta il mondo primevo. Jones dice che la

Vecchia della Montagna è stata (almeno nel sud del Galles) fatta a

pezzi fin dal 1800 circa dalla luce del vangelo - in effetti, ella ora

infesta le miniere - o dalle parole formali del predicatore “il carbon

fossile ed i buchi nella terra.”

Tra le tradizioni sull‟origine delle Gwyllion, una le associa alle

capre. In Galles, le capre sono particolarmente stimate per i loro

supposti poteri intellettuali occulti. Si crede che esse siano in

buonissimi rapporti con le Tylwyth Teg e che possiedano una

conoscenza maggiore di quanto le loro sembianze indichino. Una

delle caratteristiche delle Tylwyth Teg è che ogni notte pettinano le

barbe delle capre per renderle carine per la domenica. La loro

associazione con le Gwyllion si riferisce alla leggenda della capra di

Cadwaladr:

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Cadwaladr aveva una capra molto graziosa di nome Jenny, che

amava molto e che sembrava ricambiare il suo affetto. Un giorno,

tuttavia, come se il diavolo la possedesse, ella fuggì tra le colline con

Cadwaladr che le andava dietro gridando, mezzo impazzito per la

rabbia ed il terrore. Alla fine, il suo sangue gallese si riscaldò tanto,

siccome la capra continuava a sfuggirgli, che egli le gettò dietro una

pietra, che la colpì gettandola in un precipizio, dove ella cadde

belando verso il suo destino. Cadwaladr arrivò ai piedi del crepaccio:

la capra stava morendo ma non era ancora morta e leccò la sua mano.

Questo colpì tanto il pover‟uomo che egli scoppiò in lacrime e

sedette sul terreno, prendendo tra le braccia la testa della capra. La

Luna si alzò ed egli era ancora seduto là. In un attimo, egli vide che

la capra si era trasformata in una bellissima giovane donna, i cui

occhi marroni, la testa posata sulle braccia di lui, lo guardavano in

maniera conturbante. “Ah, Cadwaladr,” disse la donna “ti ho infine

trovato?” Ora, Cadwaladr aveva una moglie, a casa, ed era molto

sconcertato da questa singolare circostanza. Ma quando la capra - yn

Word la fanciulla - si alzò e mise la sua babbuccia nera alla fine di

un raggio di Luna, gli porse la mano, lui la prese ed andò con lei. La

mano, anche se pareva così bella a vedersi, al tocco pareva come uno

zoccolo. Ben presto furono sulla cima della montagna più alta del

Galles e furono circondati da una compagnia vaporosa di capre con

corna indistinte. Esse emisero un belato ultraterreno. Una di esse, che

pareva essere il re, aveva una voce che risuonava al di sopra del

chiasso delle campane del castello di Carmarthen quando tanto

tempo prima suonavano più forte di tutte le altre campane della città.

Questi si precipitò verso Cadwaladr e lo colpì allo stomaco,

mandandolo a terra oltre un crepaccio come lui aveva fatto con la sua

povera capretta. Quando rinvenne dopo la caduta, il Sole del mattino

splendeva su di lui e gli uccelli cantavano sulla sua testa. Ma lui non

vide mai più nella sua vita né la sua capra né la Fata in cui si era

mutata.

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V

I Changelings (sostituti fatati)

Il Plentyn-newid - Il crudele credo dell’ignoranza riguardo ai

Changelings - Maniere di liberare la casa dal bambino fatato -

La leggenda del pasto frugale - La leggenda del luogo della

contesa - Dewi Dal e le Fate - Prevenzione del rapimento di

bambini da parte delle Fate - Fate colte in flagrante dalle madri -

La devozione come esorcismo

Le Tylwyth Teg hanno una nefasta ammirazione per i bei bambini.

Da qui nasce l‟abbondante folklore riguardo a bambini che sarebbero

stati rapiti dalle loro culle ed al loro posto sarebbe stato lasciato da

esse un plentyn-newid (“bambino scambio”, l‟equivalente del nostro

Changeling). Il plentyn-newid ha inizialmente l‟esatto sembiante del

bambino rapito ma il suo aspetto si altera rapidamente. Diventa

brutto nel volto, striminzito nella forma, di brutto carattere, piagnone

e generalmente tremendo. Esso morde e colpisce e diviene un terrore

per la povera madre. Talvolta è un idiota ma possiede una scaltrezza

sovrannaturale non solo impossibile per un bambino mortale ma che

non appartiene nemmeno alle teste dei vecchi, eccetto che tra le Fate.

Il verace Profeta Jones testimonia di un caso in cui lui stesso vide il

plentyn-newid - un idiota lasciato al posto di uno dei figli di Edmund

John William, della Church Valley, Monmouthshire. Dice Jones: “Lo

vidi io stesso. C‟era qualcosa di diabolico nel suo aspetto” ma

particolarmente nei suoi movimenti. Egli “emetteva suoni strillanti

molto spiacevoli” che usava per spaventare fortemente gli estranei,

altrimenti era inoffensivo. Aveva una “carnagione scura,

abbronzata”. Visse più a lungo di quanto solitamente vivevano i

bambini in Galles a quell‟epoca (un non del tutto piacevole accenno

alla dura sorte cui tali bambini erano soggetti a causa dei loro restii

genitori), che raggiungevano l‟età di dieci o dodici anni. Ma il credo

dell‟ignoranza è dappertutto crudele, per quanto riguarda i

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Changelings, e ci ricorda le prove dei processi alle streghe. Con la

pretesa di provare se un bambino sgradevole sia un Changeling o

meno, esso viene tenuto su un badile sopra il fuoco o viene bagnato

in una soluzione di digitale, che lo uccide; un caso in cui venne

applicata questa prova si dice sia accaduto realmente nel

Carnarvonshire nel 1857. Non vi è nulla di particolarmente gallese in

questo e non vi è quindi bisogno di soffermarvici. Al di là del fatto

che l‟infanticidio, come l‟assassinio, non ha paese, simili pratiche nei

confronti dei Changelings erano diffusi nella maggior parte delle

terre europee, sia di testare la qualità sgradevole dei bambini o, è

stato ammesso, di scacciarli e così costringere le Fate a restituire il

bambino da loro rapito. In Danimarca, la madre riscalda il forno e vi

pone il Changeling sopra, fingendo di stare per metterlo dentro;

oppure lo colpisce fortemente con una verga; oppure lo getta

nell‟acqua. In Svezia si usano metodi similari. In Irlanda si usa il

badile caldo. Riguardo ad un Changeling di cui Martin Lutero parla

nel suo “Colloquia Mensalia”, il grande riformatore dichiarò al

Principe di Anhalt che se lui fosse stato il principe di quel paese

avrebbe “al riguardo rischiato l‟homicidium e lo avrebbe gettato nel

fiume Moldaw.” Egli ammoniva la gente a pregare devotamente Dio

di portare via il diavolo, cosa che “veniva fatta di conseguenza; ed il

secondo anno seguente il Changeling morì.” E‟ molto improbabile

che il bambino venisse nutrito molto bene durante i due anni in cui

questo pio procedimento veniva eseguito. Il suo appetito vorace da

affamato viene invero indicato nella descrizione di Lutero: esso

“mangiava tanto quanto due trebbiatrici, rideva ed era allegro quando

qualche male accadeva nella casa, ma piangeva ed era triste quando

tutto andava bene.”

Una storia che in Galles viene narrata sotto varie forme, conserva la

tradizione di un pasto eccessivamente frugale che venne impiegato

come mezzo per bandire un plentyn-newid. M. Villemarqué udì

questa storia mentre era nel Glamorganshire e la trovò essere identica

ad una leggenda bretone in cui il Changeling pronuncia una triade

come segue:

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Gwcljz vi ken guelet iar wenn,

Gwcljz mez ken gwelet gwezen.

Gweljz mez ha gweliz gwial,

Gweliz derven e Koat Brezal,

Biskoaz na weliz kemend all.

Nella storia di Glamorgan il Changeling venne udito sussurrare a se

stesso con una voce screpolata: “Ho visto la ghianda prima di vedere

la quercia; ho visto l‟uovo prima di vedere la gallina bianca; non ho

mai visto qualcosa come questo.” M. Villemarqué considerò degno

di nota che queste parole in Gallese formano una triade rimata

pressoché uguale a quella della ballata bretone, così:

Gweliz mez ken gwelet derven,

Gweliz vi ken gwelet iar wenn,

Erioez ne wiliz evelhenn

(Keightley, Fairy Mythology)

Da questo egli concluse che la storia e la rima sono più vecchie del

VII secolo, epoca della separazione dei Britanni del Galles e

dell‟Armorica. E questa è la storia.

Una madre a cui era stato rapito il bambino ed al cui posto era stato

lasciato un Changeling, venne consigliata dalla vergine Maria di

preparare un pasto per dieci servi della fattoria in un guscio d‟uovo,

cosa che avrebbe fatto parlare il Changeling. Ella fece quanto

consigliato ed il Changeling chiese cosa stesse facendo. Lei glielo

disse e lui esclamò: “Un pasto per dieci, cara madre, in un guscio

d‟uovo?” Quindi pronunciò l‟esclamazione scritta sopra. (“Ho visto

la ghianda, ecc.”) E la madre rispose: “Tu hai visto troppe cose,

figlio mio, avrai una bastonata.” Detto questo, lei andò per

picchiarlo, il bambino cominciò a vociare e la Fata venne a portarlo

via, lasciando il bambino rapito a dormire dolcemente nella culla. Il

bambino si svegliò e disse: “Ah, madre, ho dormito molto tempo!”

Ho incontrato questa storia molto spesso tra i Gallesi ed essa si

mantiene sempre nel complesso simile a quella di M. Villemarqué.

Quella che segue è una versione pressoché letterale come riferita nel

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Radnorshire (una contea contigua al Montgomeryshire) e che, come

la maggior parte di queste storie, è caratterizzata dalla tendenza non

primitiva a dare nomi di località:

“Nei dintorni di Trefeglwys, vicino a Llanidloea, nella contea di

Montgomery, vi è una piccola capanna da pastori chiamata

comunemente “il Luogo della Contesa” per la contesa straordinaria

che vi si è svolta. Gli abitanti del cottage erano una donna e sua

moglie; essi ebbero due gemelli, che la donna allevava con grande

attenzione e tenerezza. Alcuni mesi dopo, affari improrogabili

chiamarono la moglie nella casa di una delle sue più vicine

confinanti; pur sapendo che non avrebbe dovuto allontanarsi di

molto, ella non aveva piacere di lasciare da soli i suoi figli nella culla

neppure per un minuto e c‟erano così tante storie di folletti, o

Tylwyth Teg, che giravano nel vicinato. Tuttavia, ella andò e ritornò

prima che potè;” ma, sulla via del ritorno, “ella rimase terrificata nel

vedere, anche se era mezzogiorno, alcuni dei vecchi Elfi dalla

sottoveste blu.” Ella si affrettò verso casa con grande apprensione ma

tutto era come lo aveva lasciato, così che la sua mente ne fu molto

sollevata. “Ma, passato qualche tempo, quella brava gente cominciò

a domandarsi il perché i gemelli non crescessero per nulla e

continuassero ad essere dei piccoli nani. L‟uomo pensò che non si

trattasse dei suoi figli; la donna disse che dovevano essere i loro figli

e su questo sorse la grande contesa tra loro che diede il nome al

luogo. Una sera, quando la donna aveva il cuore molto pesante, si

decise ad andare a consultare un mago che le era stato assicurato

sapere tutto… Ora, ben presto vi sarebbe stato il raccolto di segale e

di avena, così il saggio le disse: “Quando preparerai la cena per i

raccoglitori, svuota il guscio di un uovo di gallina e fallo bollire

ripieno di lenticchie, portalo fuori dalla porta come se volessi

servirlo per cena ai raccoglitori ed ascolta cosa diranno i gemelli; se

udrai i bambini parlare di cose superiori alla comprensione dei

bambini, ritorna in casa, prendili e gettali tra le onde del Llyn Ebyr,

che è molto vicino a te; ma se non senti nulla di notevole non fare

loro alcun male.” E, quando giunse il giorno del raccolto, la donna

fece come le era stato consigliato; quando uscì dalla porta per

ascoltare, udì uno dei bambini dire all‟altro:

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Gwelais fesen cyn gweled derwen;

Gweiais wy cyn gweled iâr

Erioed ni welais ferwi bwyd i fedel

Mewn plisgyn wy iár!

“Ghiande conobbi prima della quercia;

Un uovo prima di una gallina;

Mai un guscio di uovo di gallina bollito

(Fu) abbastanza per i raccoglitori!”

“Nel sentire questo, la madre ritornò in casa, prese i due bambini e li

gettò nel Llyn ed improvvisamente i folletti nelle loro gonne blu

vennero a salvare i loro nani e la madre riebbe nuovamente i suoi

figli; e così la contesa tra lei ed il marito terminò.” (Cambrian

Quarterly, ii., 86)

Questo tipo di storia non è sempre confinata al caso del plentyn-

newid, come ho detto. Si applica alla Fata casalinga quando

quest‟ultima, come quella dell‟esempio che segue, pare abbia portato

una quantità di amici e conoscenti estremamente rumorosi a dividere

il suo rifugio.

Dewi Dal era un contadino la cui casa era traboccante di Fate, tanto

che non poteva dormire di notte dal rumore che facevano. Dewi

consultò un saggio di Taiar, che consigliò a sua moglie di fare certe

cose, cosa che lei fece accuratamente come segue: era l‟inizio del

raccolto di avena quando Cae Mawr, o il grande campo, che veniva

mietuto da quindici uomini in un giorno, era pronto per i raccoglitori.

“Preparerò il cibo per i quindici uomini mieteranno Cae Mawr

domani”, disse Eurwallt, la moglie, ad alta voce. “Sì, fallo”, rispose

Devi, anche lui ad alta voce in maniera che le Fate potessero sentire

“e vedi che il cibo sia sostanzioso e sufficiente per il duro lavoro che

li attende.” Ed Eurwallt disse: “I quindici uomini non avranno

motivo di lamentarsi di questo. Saranno nutriti secondo i nostri

mezzi.” Quando venne il pomeriggio, Eurwallt preparò il cibo per il

giorno seguente per i mietitori. Procuratasi un passero, lo fasciò

come un pollo e lo arrostì al fuoco della cucina. Quindi mise un poco

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di sale in un guscio d‟uovo e mise il passero ed il sale, con un

piccolo pezzo di pane, sulla tavola, pronto per sostentare i quindici

uomini nella mietitura di Cae Mawr. Quando le Fate videro le misere

provviste preparate per così tanti uomini, dissero: “Andiamocene

velocemente da questo luogo perché, ahimè, i mezzi dei nostri ospiti

sono esauriti. Chi si è mai ridotto prima d‟ora a dovere servire un

passero come pasto quotidiano per quindici uomini?” Ed essi se ne

andarono quella notte stessa e Dewi Dal e la sua famiglia vissero da

allora in pace e nel benessere. (Rev. T. R. Lloyd (Estyn) in The

Principality)

Le Fate gallesi sono state sorprese diverse volte nell‟atto di rapire un

bambino ed in questi casi, se la madre era sufficientemente energica

nelle sue obiezioni, sono state costrette ad abbandonare il loro

proposito.

Dazzy Walter, moglie di Abel Walter di Ebwy Fawr, una notte in cui

il marito era assente si svegliò nel suo letto e scoprì che il suo

bambino non era al suo fianco. Spaventatissima, si mise a cercarlo e

lo acchiappò con le mani sopra le tavole che erano sopra al letto,

dove le Fate erano riuscite a portarlo. E Jennet Francis, della stessa

valle di Ebwy Fawr, una notte era a letto e sentì che le stavano

portando via il bambino nato da poco dalle braccia; ella urlò e si

aggrappò al bambino e, come disse lei stessa, “Dio ed io fummo

troppo forti per loro”. Suo figlio crebbe e divenne un famoso

predicatore del vangelo.

Vi sono esorcismi speciali e misure preventive per interferire con le

Fate nella loro ricerca di bambini piccoli. Il più importante di essi in

Cambria è un‟abitudine generale alla devozione. Qualunque

esclamazione devota ha il valore di un esorcismo ma non servirà

come preventivo. A questo scopo dovete mettere un coltello nella

culla del bambino quando lo lasciate da solo o dovete lasciare un

paio di tenaglie (o una pinza) da una parte all‟altra della culla. (n.d.t.

altamente pericoloso, sconsiglio vivamente entrambe le pratiche, in

particolare il coltello!!!!)

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Jennet Francis lotta con le Fate per il suo bambino

Ma la migliore prevenzione è il battesimo: solitamente sono i

bambini non battezzati ad essere rapiti. Così in Friesland, Germania,

viene considerato una protezione contro le Fate che trafficano in

Changelings il lasciare una bibbia sotto il cuscino del bambino. In

Turingia viene considerato un preventivo infallibile appendere le

brache del padre contro il muro. Difficilmente si potrebbe

immaginare qualcosa di più futile come materia per la

considerazione di studiosi seri ma è precisamente in questi banali o

apparentemente tali dettagli che lo studioso di folklore comparato

trova gli indizi più straordinari. Tale credenza da sola non

suggerirebbe nulla ma si ritrova anche in Scozia (Henderson, Notes

on the Folk-Lore of the Northern Counties) ed in altri paesi,

compresa la Cina, dove un paio di pantaloni del padre del bambino

vengono messi sulla struttura del letto in maniera tale che la vita

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penzoli verso il basso o sia comunque più in basso delle gambe. Sui

pantaloni viene attaccato un pezzo di carta rossa con su scritte

quattro parole che intimano a tutte le influenze sfavorevoli di entrare

nei pantaloni invece di affliggere il bambino. (Vedi Doolittle, Social

Life of the Chinese)

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VI

Vivere con i Tylwyth Teg

La storia di Elidurus - Shui Rhys e le Fate - La parrocchia di

san Dogmell, Pembrokeshire - Danzare con gli Ellyllon - La

leggenda di Rhys e Llewellyn - Morte dovuta all’essersi uniti alla

ree (danza) delle Fate - La leggenda del cespuglio in paradiso -

La foresta del tasso magico - La storia di Twm e Iago - Taffy ap

Sion, una leggenda di Pencader - Le tradizioni di Pant Shon

Shenkin - Tudur di Llangollen, la leggenda di Nany yr Ellyllon -

Polly Williams e gli Elfi Trefethin - Le Fate di Frennifawr -

Storie curiose - Il Padrone dei diavoli - Iago ap Dewi -

L’originale di Rip van Winkle

Strettamente affine al soggetto dei changelings è quello degli adulti o

dei bambini cresciuti portati via per vivere con i Tylwyth Teg. In

questo campo le tradizioni gallesi sono innumerevoli e non risalgono

solo agli ultimi uno o due secoli ma precisamente al medioevo. Tra i

folletti inglesi sono note quelle Fate che sono state rese immortali

nella storia di Elidurus. Questa storia venne scritta in latino da

Giraldus Cambrensis (come egli chiamava se stesso, in linea con la

moda pignola di quell‟epoca), un Gallese nato a Pembroke Castle e

fervente ammiratore di tutto ciò che era gallese, se stesso compreso.

Egli era senza dubbio un uomo di genio e di profonda erudizione.

Nel 1188 fece un viaggio in giro per il Galles, nell‟interesse della

crociata e poi in contemplazione, ed in seguito scrisse il suo libro -

un affascinante affresco di usi e costumi del Galles nel XII secolo.

Il luogo in cui si svolge questa storia è quella Valle id Neath cià

citata come famoso centro di vita fatata. Elidurus, quando aveva 12

anni, “per evitare la severità del suo precettore” scappò da scuola “e

si nascose sotto la riva cava di un fiume. Dopo avere digiunato in

questa situazione per due giorni, “due piccoli uomini di statura

minuscola gli apparvero” e dissero: “Se verrai con noi, ti condurremo

in un paese pieno di delizie e divertimenti.” Assentendo, Elidurus

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venne fuori e “seguì le sue guide attraverso una via dapprima

sotterranea e buia fino ad un paese bellissimo ma oscuro e non

illuminato dalla piena luce solare.” Tutti i giorni in quel paese “erano

nuvolosi e le notti estremamente buie”. Il ragazzo venne portato

davanti al re di quello strano piccolo popolo e gli venne presentato

alla presenza della sua Corte. Esaminato Elidurus a lungo, il re lo

mandò dal proprio figlio, un ragazzino. Gli uomini di quel paese,

anche se avevano una statura minuscola, erano ben proporzionati,

avevano una bella carnagione e lunghi capelli. “Avevano cavalli e

cani levrieri adatti alla loro taglia. Non mangiavano né carne né

pesce ma vivevano di una dieta basata sul latte, cucinato con lo

zafferano. Ogni volta che essi ritornavano dal nostro emisfero,

biasimavano la nostra ambizione, le nostre infedeltà e la nostra

incostanza; e, anche se non avevano alcuna forma di adorazione

pubblica, pare che amassero ed onorassero strettamente la verità. Il

ragazzo ritornò frequentemente nel nostro emisfero, talvolta per la

via da cui ne era uscito e talvolta per altre strade; dapprima in

compagnia ed in seguito da solo; e si fece riconoscere solo da sua

madre, a cui descrisse ciò che aveva visto. Avendole ella chiesto di

portarle un dono d‟oro, di cui tale paese abbondava, mentre giocava

con il figlio del re egli rubò una palla d‟oro con cui era solito

svagarsi e la portò in tutta fretta alla madre, ma non senza

conseguenze: non appena entrò nella casa di suo padre, inciampò

sulla soglia, la palla cadde “e due pigmei la afferrarono, andandosene

e mostrando al ragazzo tutti i segni di disprezzo e derisione.”

Nonostante per un anno intero ci avesse provato, il ragazzo non

riuscì mai più a ritrovare le tracce del passaggio sotterraneo. Si era

abituato al linguaggio dei suoi ospiti, che era molto simile all‟idioma

greco. Quando chiedevano dell‟acqua, essi dicevano Udor forum;

quando volevano del sale, dicevano Halgein udorum (vedi la

traduzione di Sir R. C. Hoare di Giraldus).

Molto simile a questa leggenda medioevale nello spirito, pur

differendo grandemente nel dettaglio, è la storia moderna di Shui

Rhys, narratami da un contadino del Cardiganshire.

Shui era una bellissima ragazza di 17 anni, alta e bella, con una pelle

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come l‟avorio, capelli neri e ricci ed occhi di uno scuro velluto.

Nonostante la sua bellezza, era solo la figlia di un povero contadino e

tra i suoi doveri vi era quello di condurre le mucche alla mungitura.

A lavoro finito, ella era solita bighellonare tristemente, raccogliere

fiori lungo la strada o dare la caccia alle farfalle, oppure divertirsi in

ogni maniera conveniente che la fortuna le offriva. Spesso veniva

rimproverata per questo suo bighellonare e la gente diceva che la

madre di Shui era troppo dura con la ragazza e che non era una cosa

buona che la madre avesse una lingua così amara. Dopotutto, la

ragazza non faceva nulla di male, dicevano. Ma quando una sera

Shui non ritornò a casa fino all‟ora di dormire, lasciando a se stesse

le mucche, dama Rhys le diede un incarico come non le aveva mai

dato prima.

“Ysgwaetheroedd, mami”, disse Shui, “non potevo farci nulla perché

sono stati i Tylwyth Teg.” La dama rimase sbalordita nell‟udire

questo ma non potè rispondere, perché sapeva bene che i Tylwyth

Teg erano stati visti spesso nei boschi di Cardigan. Shui era in un

primo tempo restia a parlare di quelle Fate, ma infine confessò che

erano piccoli uomini in cappotti verdi che avevano danzato intorno a

lei e fatto musica con le loro piccole arpe; e le avevano parlato in un

linguaggio troppo bello per essere ripetuto; invero, ella non era stata

in grado di capire le parole, anche se sapeva bene cosa volevano dirle

le Fate. In seguito, molte volte Shui fece tardi ma ora nessuno la

rimproverava per paura di offendere le Fate. Alla fine, una notte Shui

non tornò più a casa. Allarmati, la cercarono nei boschi ma non ne

trovarono traccia ed ella non venne mai più vista a Cardigan. Sua

madre cercò nei campi di Teir-nos Ysprydion durante le tre notti

dell‟anno in cui è certo che i Folletti siano in giro ma Shui non

ritornò mai più. Un giorno si sparse la voce nel vicinato che Shui

Rhys era stata vista in una grande città in una terra straniera - forse

Parigi o Londra, chissà? Ma questa storia non intaccò minimamente

la triste credenza che le Fate l‟avessero portata via, in quei ben noti

centri di pigrizia e piacere peccaminoso così come in qualunque altro

posto.

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Un vecchio che morì nella parrocchia di san Dogmell,

Pembrokeshire, poco tempo fa (nel 1860) ed aveva circa 100 anni,

era solito dire che l‟intero vicinato era considerato “fou”. Per gli

uomini era una esperienza comune rimanere là per tutta la notte

all‟aperto e, dopo meravigliose avventure e vagabondaggi

inenarrabili, che parevano loro interminabili, scoprire poi all‟alba che

erano vicino alle proprie case. In un caso, un uomo che era stato

portato fuori strada ebbe la fortuna di avere con lui un certo numero

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di steli di luppolo e, mentre stava vagando sotto l‟influsso del

fantasma che lo stava illudendo, fu abbastanza furbo da lasciare

cadere a terra gli steli uno ad uno, così da potere il giorno seguente

rintracciare i suoi vagabondaggi. Quando venne la luce e cominciò a

cercare gli steli di luppolo, scoprì che erano sparsi per miglia di

campagna. Un‟altra volta, un pescatore di san Dogmell stava

tornando a casa da un matrimonio a Moelgrove ed era molto buio; le

Fate lo portarono fuori strada ma dopo poche ore egli ebbe la fortuna

(che Sir John Franklin avrebbe potuto invidiargli) di “scoprire il Polo

Nord” e grazie a questo punto di segnalazione fu in grado di pilotare

la sua imbarcazione vacillante al porto sicuro della sua stessa soglia.

Si dice persino, con molta serietà, che un severo e dignitoso prete,

non più negli anni verdi della vita ma molto anziano, una notte venne

costretto ad unirsi alla magica danza di san Dogmell ed a danzare

fino quasi all‟alba. Su questo racconto mancano dettagli specifici ma

non vi è dubbio che siano stati gli Ellyllon a condurre tutta questa

gente fuori strada ed a mettere nelle loro teste un cappello di oblio

che ha impedito loro di raccontare chiaramente le loro avventure.

La danza e la musica giocano un ruolo importante nelle storie di

questo tipo. Le Fate gallesi molto spesso danzano assieme quando

vengono viste. Cercano di coinvolgere i mortali a danzare con loro e,

quando qualcuno lo fa, è più che probabile che non ritornerà dai suoi

amici per lungo tempo. Edmund William Rees, di Aberystruth, venne

portato via in tal modo dalle Fate e ritornò alla fine dell‟anno con un

aspetto orribile. Ma non riuscì a fornire un racconto molto chiaro di

quello che gli era capitato, disse solo che aveva danzato. Questa è

una cosa comune in questi casi: o essi non erano in grado o non

osavano parlare delle proprie esperienze.

Due servi di fattoria di nome Rhys e Llewellyn stavano tornando a

casa dal lavoro una sera al tramonto quando Rhys urlò che aveva

udito la musica fatata. Llewellyn non sentiva niente ma Rhys disse

che era una melodia a cui aveva danzato un centinaio di volte e lo

avrebbe fatto anche ora. “Vai avanti”, disse, “ed io ti raggiungerò.”

Llewellyn obiettò ma Rhys smise di ascoltarlo, balzò via e lasciò che

Llewellyn tornasse a casa da solo, cosa che fece credendo che Rhys

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si fosse semplicemente allontanato a far baldoria e sarebbe ritornato

a casa ubriaco prima dell‟alba. Ma l‟alba arrivò e Rhys no. Invano

vennero fatte delle ricerche ma nessuna traccia fu trovata. Il tempo

passò, i giorni divennero mesi ed alla fine i sospetti caddero su

Llwewllyn e si pensò che avesse ucciso Rhys. Venne quindi messo in

prigione. Un contadino venne a conoscenza di questa storia e,

sospettando cosa fosse accaduto, propose che lui ed una compagnia

di vicini andassero con il povero Llewellyn nel punto in cui aveva

visto per l‟ultima volta Rhys. Arrivati nel luogo, “Hush”, gridò

Llewellyn, “sento della musica! Sento la dolce musica delle arpe!”

Tutti ascoltarono ma non udirono nulla. “Metti il tuo piede sul mio,

David,” disse Llewellyn ad uno della compagnia; il suo piede era sul

ciglio esterno di un anello fatato mentre parlava. David mise il suo

piede sopra e tutti, uno dopo l‟altro, fecero lo stesso; ed udirono

quindi il suono di molte arpe e videro all‟interno di un cerchio di

circa venti piedi moltissime piccole persone che danzavano in

cerchio. E là era Rhys, che danzava come un pazzo! Mentre egli si

avvicinava roteando, Llewellyn lo afferrò e lo trasse fuori dal

cerchio. “Dove sono i cavalli? Dove sono i cavalli?” urlò Rhys in

maniera eccitata. “Cavalli, proprio!” lo derise Llewellyn,

grandemente disgustato; “Wfft! Vai a casa. Cavalli!” Ma Rhys disse

che voleva danzare ancora e che era lì da soli cinque minuti.

Llewellyn disse: “Sei rimasto lì abbastanza a lungo da farmi quasi

impiccare, comunque.” Finalmente lo portarono a casa ma egli non

fu mai più lo stesso uomo e dopo poco tempo morì.

Nella grande maggioranza di queste storie, il protagonista muore

immediatamente dopo il rilascio dalla schiavitù delle Fate - in alcuni

casi con una subitaneità ed una completezza di oblio tanto terribili

quanto spaventose. La storia che segue, ben nota in Carmarthenshire,

presenta con molta forza questo dettaglio.

Vi era un certo contadino che, uscendo presto una mattina per andare

a portare i suoi cavalli al pascolo, udì suonare delle arpe.

Guardandosi attentamente in giro alla ricerca della fonte di quella

musica, vide una compagnia di Tylwyth Teg che saltellava

allegramente in un “corelw”. Decidendo di unirsi alla loro danza e di

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coltivare la loro conoscenza, il contadino entrò nel cerchio fatato.

Mai uomo portò risoluzione a compimento tanto a fondo perché, una

volta cominciata la ree, egli non fu in grado di fermarsi per diversi

anni. Ed anche allora egli non avrebbe potuto essere liberato se un

giorno non fosse passato per caso un uomo presso quel luogo

solitario, così vicino al cerchio da vedere il contadino che danzava.

“Duw catto ni!” gridò l‟uomo. “Dio ci salvi! Ma questo è un tipo

allegro. Hai, holo! Uomo, in nome del cielo, cosa fai così

vivacemente?” Questa domanda, in cui era stato pronunciato il nome

del cielo, spezzò l‟incantesimo che era sul contadino, che parlò come

in sogno: “O dyn!” gridò. “Che ne è stato dei cavalli?” Quindi uscì

dal cerchio fatato ed istantaneamente si sgretolò e la sua polvere si

mescolò alla terra.

Una storia simile si racconta in Carnarvon ma senza la danza fatata

ed una figura pia sostituita, cosa che aiuta ad indicare l‟antichità di

questo tipo di leggenda, dimostrando che si trattava di una adozione

monacale di una storia precedente.

Vicino a Clynog, nel Carnarvonshire, vi è un luogo chiamato Llwyn

y Nef (il Cespuglio del Paradiso) che ebbe il suo nome in questo

modo: a Clynog viveva un monaco dalla vita molto devota che

desiderava essere portato in paradiso. Una sera, mentre camminava

presso la riva del fiume fuori dal monastero, si sedette sotto ad un

albero verde e cadde in un profondo languore, che divenne sonno ed

egli dormì per migliaia di anni. Alla fine udì una voce che lo

chiamava: “Dormiente, svegliati ed alzati!” Egli si svegliò. Tutto gli

pareva estraneo eccetto il vecchio monastero, che guardava ancora

verso il fiume. Andò al monastero e venne accolto; chiese un letto

per riposarsi e lo ottenne. La mattina seguente, quando i fratelli lo

cercarono, non trovarono nel letto altro che una manciata di ceneri.

(Cymru Fu, 188)

E così, nella storia monacale dei cinque santi che dormono nella

caverna di Caio riappare la leggenda dei guerrieri dormienti di Artù

sotto Craig-y-Ddinas.

In Mathavarn, vicino a Llanwrin ed al Cantref di Cyfeillioc, è attuale

una tradizione riguardante un certo bosco chiamato Ffridd yr Yen (la

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Foresta del Tasso), che viene chiamato in tal modo a causa di un

tasso magico che cresce esattamente al centro della foresta. Sotto

quell‟albero vi è un cerchio fatato chiamato “Il Luogo di Danza del

Folletto”. Vi sono diversi cerchi fatati nella Foresta del Tasso ma

quello sotto al tasso al centro ha una leggenda che vi è connessa:

molti anni or sono due servi di fattoria, i cui nomi erano Twm e Iago,

uscirono un giorno per andare a lavorare nella Foresta del Tasso. Nel

primo pomeriggio il paese venne ricoperto da una nebbia talmente

densa che i giovani pensarono che il Sole stesse tramontando e si

prepararono a tornare a casa. Quando però giunsero al tasso al centro

della foresta, improvvisamente trovarono tutto luminoso intorno a

loro. Pensarono quindi che fosse troppo presto per andare a casa e

decisero di sdraiarsi sotto il tasso e fare un pisolino. Dopo un poco,

Twm si svegliò e scoprì che il suo compagno era scomparso. Ne fu

molto sorpreso ma concluse che Iago era andato al villaggio per una

commissione di cui stavano parlando prima di addormentarsi. Così

Twm andò a casa ed a tutte le domande che riguardavano Iago

rispondeva: “E‟ andato dal calzolaio al villaggio.”

Ma, il mattino seguente, Iago era ancora assente e Twm venne

interrogato severamente su quanto era accaduto al suo compagno.

Allora egli confessò che si erano addormentati sotto il tasso dove vi

era il cerchio fatato e da quel momento non aveva più visto Iago. Lo

cercarono per tutta la foresta e nell‟intera contea per molti giorni;

infine, Twm andò da un gwr cyfarwydd (un mago), cosa comune a

quei tempi, dice la leggenda. Il mago gli diede questo consiglio: “Vai

nello stesso luogo in cui tu ed il tuo amico avete dormito. Vai là

esattamente un anno dopo la scomparsa del ragazzo. Che sia lo stesso

giorno dell‟anno e lo stesso tempo ma fai attenzione a non entrare nel

cerchio fatato. Rimani al confine del cerchio verde che hai visto là ed

il ragazzo verrà fuori a danzare con molti dei Folletti. Quando lo

vedrai così vicino a te da poterlo afferrare, strappalo con forza fuori

dal cerchio più velocemente che puoi.”

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Queste istruzioni vennero seguite; Iago apparve, danzando nel

cerchio con i Tylwyth Teg, e venne prontamente trascinato fuori.

“Duw! Duw!” gridò Tom. “Come sembri pallido ed esangue! E non

hai fame?” “No,” disse il ragazzo, “e, se ne avessi, non ho forse qui

nella mia borsa degli attrezzi i resti del pasto che ho mangiato prima

di addormentarmi?” Ma, quando guardò nella borsa, il cibo non

c‟era. “Beh, dev‟essere ora di andare a casa”, disse con un sospiro,

perché egli non sapeva che era trascorso un anno. Sembrava uno

scheletro e, non appena ebbe gustato del cibo, egli marcì.

Taffy ap Sion, il figlio del ciabattino che viveva vicino a Pencader,

nel Carmerthenshire, era un ragazzo che molti anni or sono entrò nel

cerchio fatato sulla montagna vicina e, avendo danzato alcuni minuti,

o così credeva, tentò di uscirne. Rimase quindi meravigliato nello

scoprire che il paesaggio che gli era così familiare gli era ora

estraneo. Vi erano strade e case che non aveva mai visto ed al posto

dell‟umile cottage del padre vi era ora una bella fattoria di pietra.

Davanti a lui vi erano campi amorevolmente coltivati invece della

nuda montagna cui era abituato. “Ah,” pensò “questo è un qualche

trucco delle Fate per illudere i miei occhi. Non sono passati dieci

minuti da quando sono entrato in quel cerchio ed ora che ne sono

uscito hanno costruito a mio padre una nuova casa! Bene, spero solo

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che sia vera; comunque, andrò a vedere.! Così si incamminò per una

strada che conosceva d‟istinto ed all‟improvviso andò a sbattere

contro una barriera molto solida. Si sfregò gli occhi, sentì

nuovamente la barriera di siepe, prese tra le dita una spina e gridò:

“Wbwb! Non è comunque una siepe fatata né, dall‟età delle spine, è

cresciuta nel giro di pochi minuti.” Così, egli vi salì sopra e vi

camminò. “Io sono nato qui,” disse mentre entrava nell‟aia,

guardandosi follemente intorno, “e non vi è una sola cosa che io

riconosca!” La sua meraviglia fu completa quando gli corse incontro

un enorme cane, che abbaiava furiosamente. “Chi è questo cane? Vai

via, brutto cattivo! Non sai che io sono il padrone, qui? O almeno,

quando la madre è del posto, perché il padre non conta.” Ma il cane

abbaiò solo più furiosamente. “Di certo” mormorò Taffy tra sé e sé

“ho perso la strada e sto vagando in qualche luogo dei dintorni a me

sconosciuto; ma no, ecco là il Careg Hir!” e rimase a guardare la

pietra eretta che portava quel nome e che tuttora è sulla montagna a

sud di Pencader e si crede sia stata posta lì in tempi antichi per

commemorare una vittoria. Mentre Taffy era fermo a guardare la

Long Stone, udì dei passi provenire da dietro di lui e, voltatosi, vide

l‟occupante della fattoria, che era uscito per vedere come mai il suo

cane stesse abbaiando. Il povero Taffy era così logoro e pallido da

conquistare il cuore gallese del contadino, che lo prese subito in

simpatia. “Chi sei, pover‟uomo?” gli chiese. E Taffy rispose: “Io so

chi sono, ma non so chi sono ora. Ero il figlio del ciabattino che

viveva in questo posto questa mattina, perché quella roccia, anche se

è cambiata un poco, la conosco troppo bene!” “Povero ragazzo”,

disse il contadino, “hai perso la testa. Questa casa è stata costruita dal

mio bisnonno, riparata da mio nonno e quella parte là, che sembra

costruita da poco, venne fatta tre anni or sono a mie spese. Devi

essere sconvolto o avere perduto la strada; ma entra e rinfrescati con

un poco di cibo e di riposo.” Taffy si era quasi convinto di avere

dormito troppo e di avere smarrito la strada ma, guardando indietro,

vide la roccia già citata ed esclamò: “Un‟ora fa ero su quella roccia

che stavo derubando il nido di un falco.” “Dove sei stato dopo?”

Taffy narrò la sua avventura. “Ah,” disse il contadino “ora capisco

cos‟è successo - sei stato con le Fate. Per favore, chi era tuo padre?”

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“Sion Evan y Crydd di Glanrhyd”, fu la risposta. “Non ne ho mai

sentito parlare,” disse il contadino, scuotendo la testa, “né ho mai

sentito parlare di un posto come Glanrhyd; ma non importa, dopo che

avrai mangiato qualcosa andremo da Catti Shon, a Pencader, che sarà

probabilmente in grado di dirci qualcosa.” Ciò detto, fece cenno a

Taffy di seguirlo e se ne andò; udendo, però, il suono dei passi dietro

di lui farsi sempre più debole, si voltò e vide con orrore il povero

ragazzo sbriciolarsi in un istante in un ditale di cenere nera. Il

contadino, pur terrificato da questa visione, mantenne calma

sufficiente per andare a trovare la vecchia Catti di cui aveva parlato,

che viveva a Pencader, lì vicino. La trovò accoccolata sopra un fuoco

di fascine, cercando di riscaldare le sue vecchie ossa. “E come va,

oggi, Catti Shon?” chiese il contadino. “Ah,” disse la vecchia Catti,

“sto meravigliosamente bene, contadino, considerato quanto sono

vecchia.” “Sì, sì, sei molto vecchia. Ora, siccome sei così vecchia,

lascia che ti chieda: ricordi qualcosa su Sion y Crydd o Glanrhyd?

Sai se c‟è mai stato qualcuno con quel nome?” “Sion Glanrhyd? Oh!

Ricordo vagamente di avere sentito dire da mio nonno, il vecchio

Evan Penferdir, che il figlio di Sion si era perso una mattina ed in

seguito non se ne è più sentito parlare, così venne detto che era stato

preso dalle Fate. La capanna di suo padre era da qualche parte vicino

alla tua casa.” “C‟erano molte Fate a quel tempo?” chiese il

contadino. “Oh, sì; venivano viste spesso su quella collina e mi

dissero che in seguito videro Pant Shon Shenkin mangiare un budino

di gusci d‟uovo che aveva rubato da una fattoria della zona.” “Dir

anwyl fi!” gridò il contadino; “me caro! Ora ricordo - le ho viste

anch‟io!”

Pant Suon - Sion e Shon sono la stessa parola, proprio come i nostri

Smith e Smyth. Dove vi sono così pochi nomi personali come in

Galles, anche se io non cambierei una sola lettera per rendere i

protagonisti di una storia più distinti, questo accade forse per

incoraggiare eccentricità di pronuncia. Shenkin, dobbiamo

sottolineare, era un posto famoso per le Fate del Carmarthenshire. Le

tradizioni locali in merito sono numerose. Tra le più strane, vi è

quella di una donna che catturò una volta una Fata sulla montagna

vicino a Pant Shon Shenkin ed essa rimase a lungo in sua custodia,

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mantenendo sempre la stessa altezza e dimensione, ma alla fine

riuscì a fuggire.

Un‟altra curiosa tradizione dice che tanto tempo fa, un lunedì di

Pasqua, quando i parrocchiani di Pencarreg e Caio si erano incontrati

per giocare a football, videro una numerosa compagnia di Tylwyth

Teg che danzava. Essendo così tanti, i giovani non ne furono affatto

intimiditi ma avanzarono tutti insieme verso la sparuta tribù che,

sentendoli, si trasferirono in un altro luogo. I giovani li seguirono ed

il piccolo popolo apparve improvvisamente danzando nel primo

posto. Al vedere questo, gli uomini si divisero e li circondarono, ma

essi divennero immediatamente invisibili e non vennero mai più visti

in quel luogo.

L‟ignoranza di quello che accadeva nel cerchio fatato non è una

caratteristica invariabile delle leggende come quelle che abbiamo

osservato. Nella storia di Tudur di Llangollen, conservata da diversi

antichi scrittori gallesi, le esperienze del protagonista vengono rese

con dettagli molto vivaci. Il luogo in cui si svolge questa storia è una

valletta vicino a Llangollen, sul fianco della montagna a mezza

strada dalle rovine di Dinas Bran Castle, la cui valletta viene

chiamata Nant yr Ellyllon. Essa deve il suo nome, secondo la

tradizione, a questa circostanza:

un giovane uomo di nome Tudur ap Einion Gloff era solito un tempo

pascolare le pecore del suo padrone in quella valletta. Una notte

d‟estate, quando Tudur si stava preparando a ritornare in pianura con

il suo seguito lanoso, apparve improvvisamente, arroccato su una

roccia vicino a lui, “un piccolo uomo con calzoni color muschio ed

un violino sotto il braccio. Era il più minuscolo esemplare di umano

immaginabile. Il suo cappotto era fatto di foglie di betulla e sulla

testa indossava un elmetto consistente in un fiore di ginestra, mentre

i piedi erano incassati in scarpe fatte con ali di coleottero. Lui faceva

muovere le dita sopra lo strumento e la musica fece drizzare i capelli

a Tudur.” “Nos da‟ch‟, nos da‟ch‟”, disse il piccolo uomo, che

significa “Buonanotte, buonanotte a te” in Inglese. “Ac i chwithau”,

rispose Tudur, che in Inglese significa “Lo stesso a te”. Quindi il

piccolo uomo continuò: “Tu ami molto danzare, Tudur, e se ti

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fermerai un poco vedrai alcuni tra i migliori danzatori del Galles ed

io sono il musicista.” Disse Tudur: “Allora dov‟è la tua arpa? Un

Gallese non può danzare senza un‟arpa.” “Oh”, disse il piccolo

uomo, “posso fare della musica migliore per danzare sul mio

violino.” “Chiami violino quel cucchiaio di legno con le corde che

hai in mano?” chiese Tudur, perché non aveva mai visto prima uno

strumento del genere. Ed ora Tudur guardò attraverso la bruma e

vide centinaia di piccoli spiritelli che stavano convergendo verso il

luogo in cui lui era da tutte le parti della montagna. Alcuni erano

vestiti in bianco ed altri in blu, altri in rosa ed altri portavano in

mano delle lucciole come fonte di luce. E procedevano così

lievemente che non un filo d‟erba né un fiore veniva schiacciato dal

loro peso ed ognuno di loro faceva una riverenza o un inchino a

Tudur mentre passava e Tudur si toglieva il cappello e si inchinava

verso di loro in risposta. In un attimo, il piccolo menestrello fece

scorrere l‟archetto sulle corde del suo strumento e la musica prodotta

era così incantevole che Tudur rimase pietrificato sul posto. Al suono

della dolce melodia, i Tylwyth Teg si disposero in gruppi e

cominciarono a danzare. Ora, di tutte le danze che Tudur aveva mai

visto nessuna poteva essere paragonata a quella che si svolse in quel

momento. Egli non poteva evitare di tenere il tempo di quell‟allegra

musica con le mani ed i piedi ma non osò unirsi alla danza “perché

pensò dentro di sé che danzare su una montagna di notte in una

strana compagnia al suono del violino magari del diavolo poteva non

essere la via più diretta verso il paradiso.” Ma alla fine scoprì che

non c‟era modo di resistere a questa musica stregante e si unì allo

spettacolo dei saltellanti Ellyllon.” “Evviva, dunque”, urlò Tudur

mentre lanciava il cappello in aria sotto l‟impulso della piacevole

eccitazione. “Continua a suonare, vecchio diavolo; zolfo e acqua, se

vuoi!” Non appena ebbe pronunciate queste parole, tutto subì un

cambiamento. Il cappello di ginestra svanì dalla testa del menestrello

ed al suo posto si ramificarono un paio di corna da capra. Il suo volto

divenne nero come fuliggine, una lunga coda crebbe dal cappotto

frondoso, mentre piedi fessi rimpiazzavano le scarpe di ali di

coleottero. Il cuore di Tudur era pesante ma i suoi tacchi erano

leggeri. Nel petto aveva l‟orrore ma l‟impeto del movimento era nei

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suoi piedi. Le Fate mutarono in una varietà di forme. Alcune

divennero capre, altre divennero cani, altre assunsero la forma di

volpi ed altre quella di gatti. Era la squadra più strana che avesse mai

circondato essere umano. La danza divenne infine così furiosa che

Tudur non fu più in grado di comprendere distintamente le forme

della danza. Essi gli giravano intorno con tale velocità da sembrare

quasi una ruota di fuoco. E Tudur continuava a danzare. Non riusciva

a fermarsi, il violino del diavolo era troppo per lui, mentre la figura

con le corna di capra continuava a suonare con incessante vigore e

Tudur continuava a volteggiare e girare su se stesso nonostante non

volesse.

Il giorno seguente, il padrone di Tudur salì sulla montagna in cerca

del pastore perduto e delle sue pecore. Trovò le pecore ai piedi del

Fron, ma grande fu la sua meraviglia quando, salendo ancora, vide

Tudur girare su se stesso come un pazzo al centro della conca ora

nota come Nant yr Ellyllon. Alcune devote parole del padrone

spezzarono l‟incantesimo ed egli riportò Tudur a casa sua a

Llangollen, dove narrò le sue avventure con grande gusto per molti

anni a seguire. (Rev.T.R.Lloyd (Estyn) in The Principality)

Polly Williams, una brava donna nata nella parrocchia di Trefethin e

che viveva allo Ship Inn, Pontypool, Monmouthshire, era solita dire

che quand‟era bambina danzava con i Tylwyth Teg. La prima volta

fu quando stava tornando un giorno a casa da scuola. Vide le Fate

che danzavano in un luogo piacevole ed asciutto sotto un albero e,

pensando che fossero bambini come lei, andò da loro ed essi la

indussero a danzare con loro. Ella li portò in un fienile vuoto e

danzarono là assieme. Dopo questo, durante un periodo di tre o

quattro anni ella li incontrò spesso e danzò con loro mentre andava a

scuola o ne tornava. Non fu mai in grado di udire il suono dei loro

piedi e, avendo saputo che si trattava di Fate, si tolse anch‟ella i suoi

ffollachau (zoccoli) in modo che anche lei potesse non fare rumore,

temendo che il suono degli zoccoli non fosse loro gradito. Essi erano

tutti vestiti con vesti blu e verdi e, sebbene così piccoli, ella poteva

vedere dai loro volti maturi che non erano bambini. Una volta in cui

andò a casa a piedi nudi dopo aver danzato con le Fate, venne

sgridata per essere andata a scuola in quelle condizioni; ma lei

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rimase zitta in merito alle Fate per paura di avere dei guai e non parlò

mai di loro fin quando non fu adulta. Dopo tre o quattro anni,

tuttavia, ella smise di andare a danzare con loro e questo dispiacque

loro. Essi cercarono di persuaderla a tornare con loro e, siccome ella

non tornava, la ferirono lussandole “una delle membra con cui

camminava” (Jones, Apparitions) che, come eufemismo per indicare

le gambe, sorpassa qualunque accusa di pudicizia fatta agli

americani.

Contrasta fortemente con questo racconto di un testimone moderno

la vivace descrizione della vita delle Fate contenuta nella leggenda

delle Fate di Frennifawr.

A circa dieci miglia a sud di Cardigan vi è la montagna del

Pembrokeshire chiamata Frennifawr, che è il luogo in cui si svolge

questa storia. Il garzone di un pastore stava facendo pascolare le sue

pecore sulle piccole montagne chiamate Frennifach per guardare la

nebbia - perché se la nebbia su quelle montagne riposa sul lato del

Pembrokeshire vi sarà bel tempo, se sul lato del Cardiganshire

tempesta - quando vide i Tylwyth Teg con l‟aspetto di piccoli soldati

che danzavano in un cerchio. Si incamminò verso la scena di questa

baldoria e ben presto si avvicinò all‟anello dove, in allegra

compagnia di maschi e femmine, stavano danzando al suono

dell‟arpa. Egli non aveva mai visto persone così belle né così

incantevolmente allegre. Con volti sorridenti essi lo invitarono ad

unirsi a loro mentre si chinavano all‟indietro quasi cadendo,

volteggiando in cerchio con le mani unite tra loro. Coloro che

stavano danzando non deviavano mai dal perfetto circolo ma alcuni

si arrampicavano sul vecchio cromlech ed altri si davano la caccia

con sorprendente velocità e il più grande giubilo. Altri ancora

cavalcavano dei piccoli cavalli bianchi dalle forme bellissime; questi

cavalieri erano piccole dame ed i loro abiti erano indescrivibilmente

eleganti, sorpassavano il Sole in radianza ed erano di vari colori,

alcuni di un bianco luminoso ed altri dello scarlatto più vivace. I

maschi portavano dei cappelli a tricorno e le dame un copricapo

fantastico che ondeggiava al vento. Tutto questo avveniva in

silenzio, perché il pastore non potè udire le arpe, nonostante le

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vedesse. Si avvicinò dunque al circolo ed infine si azzardò a mettere

piede nel magico anello. Nel medesimo istante in cui lo fece, le sue

orecchie furono incantate con la musica più melodiosa che avesse

mai udito. Mosso dal trasporto che questa seducente armonia

produceva in lui, entrò pienamente nel cerchio. Non appena vi fu

dentro, si trovò in un palazzo scintillante di oro e perle. Ogni sorta di

bellezza lo circondava ed ogni varietà di piacere gli venne offerta.

Egli ebbe la libertà di andare dove voleva ed ogni suo movimento era

seguito da giovani donne dalle amabili sembianze. E nessuna lingua

poteva narrare le gioie del festeggiamento che erano in lui. Invece

del tatws-a-llaeth (patate e burro) cui era abituato fino ad allora,

ecco che vi erano uccelli e carni di ogni specie, serviti su piatti

d‟argento. Invece del cwrw fatto in casa, l‟unica bevanda inebriante

che avesse mai assaggiato nella vita reale, qui vi erano vini rossi e

bianchi dal sapore meraviglioso, serviti in calici d‟oro riccamente

incastonati di gemme. Le cameriere erano bellissime vergini e vi era

abbondanza di tutto. Vi era una sola restrizione alla sua libertà: non

doveva vere per nessun motivo da una certa fonte nel giardino, in cui

nuotavano pesci di ogni colore, compresi pesci di colore oro.

Ogni giorno gli venivano offerte nuove gioie per il suo divertimento,

nuove scene di bellezza gli venivano svelate, nuovi volti si

presentavano, se possibile ancora più amabili di quelli fino ad allora

incontrati. Tutto veniva fatto per compiacerlo ma, un giorno, tutta la

sua felicità svanì in un istante. Possedendo ogni gioia che un mortale

possa desiderare, egli desiderò l‟unica cosa proibita - come Eva nel

giardino, come Fatima nel castello; la curiosità lo rovinò. Egli

immerse la mano nella fonte e tutti i pesci scomparvero

istantaneamente. Portò l‟acqua alla bocca: un grido confuso percorse

il giardino. Bevve: il palazzo e tutto il resto svanirono dalla sua vista

ed egli rimase tremante all‟aria della notte, solo sulla montagna,

nello stesso luogo dove era per la prima volta entrato nel cerchio.

(Cambrian Superstitions, 148 - si tratta di una piccola raccolta di

storie gallesi stampata a Tipton nel 1831 ed ora rara; il suo autore fu

W. Howells, un ragazzo di diciannove anni, e la sua opera venne

pescata a poco prezzo dall‟Arcidiacono Beynon grazie ad un giornale

di Carmarthen nel 1830. Il suo Inglese richiede un rimaneggiamento

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ma il suo materiale è prezioso.)

Probabilmente non sono necessari commenti sulla somiglianza tra

queste storie e le più note leggende di altre terre; ogni lettore che

abbia familiarità con questa materia del folklore la riconoscerà. Per

coloro che non hanno, invece, questa familiarità, basti dire che

questa somiglianza esiste ed offre una ulteriore testimonianza della

origine comune di tali storie in un passato remoto. La leggenda or

ora riportata personifica la caratteristica di curiosità che è familiare

nella storia di Barbablu ma ha le sue radici nella storia di Psiche. Ad

essa era vietato vedere il proprio sposo Eros, Dio dell‟amore; ella

disobbedì all‟ingiunzione ed il bellissimo palazzo in cui aveva

dimorato con lui svanì in un istante, lasciandola sola in un luogo

desolato.

Molto tempo dopo la storia di Psiche, tuttavia, ecco arrivare la

leggenda che impersona l‟originale mito ariano. La goccia d‟olio che

cade sulla spalla del principe dormiente e lo sveglia, rivelando la

curiosità di Psiche e distruggendo la sua felicità, ha un parallelo tra i

Gallesi con l‟unzione magica della leggenda del Padrone dei Diavoli.

Possiamo premettere che questa leggenda è nota anche in Francia e

Germania, dove differisce un poco nei dettagli rispetto a quella qui

fornita:

Una rispettabile giovane del Galles della classe lavoratrice, che

viveva con i genitori, un giorno andò ad una fiera. Là venne

“avvicinata da un gentiluomo dall‟aspetto molto nobile tutto vestito

di nero, che le chiese se ella avrebbe voluto fare la bambinaia e

prendersi cura dei figli di lui. Ella rispose che non aveva obiezioni

quando l‟uomo le promise una forte ricompensa e disse che l‟avrebbe

portata a casa con sé ma che lei avrebbe dovuto acconsentire ad

essere bendata prima dell‟inizio del viaggio. Fatto questo, la donna

montò dietro di lui su una cavalcatura nera come il carbone e

partirono a grande velocità. Dopo del tempo smontarono ed il suo

nuovo padrone la prese per mano e la condusse, sempre bendata, per

una distanza considerevole. Il fazzoletto venne quindi tolto ed ella

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vide più lusso di quanto ne avesse mai visto prima: un palazzo

bellissimo illuminato da più luci di quanto potesse contare e

numerosi bambini piccoli belli come angeli ed anche molte dame e

gentiluomini dall‟aspetto nobile. Il padrone affidò i bambini alle sue

cure e le diede una scatola contenente un unguento che ella avrebbe

dovuto porre sui loro occhi. Allo stesso tempo, le diede l‟ordine di

lavare sempre le mani immediatamente dopo avere usato l‟unguento

e di fare particolarmente attenzione a non lasciare mai che anche solo

un poco di esso toccasse i suoi occhi. Queste ingiunzioni vennero

seguite alla lettera ed ella fu per qualche tempo molto felice.

Tuttavia, talvolta pensava che fosse strano che essi vivessero sempre

alla luce delle candele e si domandava anche se le dame ed i

gentiluomini così fini che vivevano in quel palazzo, per quanto bello

fosse, non desiderassero mai lasciarlo.

Una mattina, mentre metteva l‟unguento sugli occhi dei bambini, le

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venne prurito ad un occhio e, dimenticando gli ordini del padrone, se

ne toccò un angolo con il dito sporco di unguento. Immediatamente,

con la visione dell‟angolo di quell‟occhio ella si vide circondata da

spaventose fiamme, le dame ed i gentiluomini apparivano come

diavoli ed i bambini sembravano i più orribili demoliteti dell‟inferno.

Nonostante con le altre parti dei suoi occhi ella vedesse tutta la

bellezza ed il lusso di prima, non potè impedirsi di essere molto

spaventata; avendo però grande presenza di spirito, non fece capire a

nessuno il suo allarme. Colse tuttavia la prima occasione per

chiedere al suo padrone il permesso di andarsene a trovare i suoi

amici. Egli disse che l‟avrebbe portata ma avrebbe dovuto consentire

nuovamente ad essere bendata. Venne dunque posto un fazzoletto sui

suoi occhi ed ella montò nuovamente dietro al suo padrone e venne

riportata in breve vicino alla sua casa. Si credeva che ella sarebbe

rimasta là tranquilla e che non avrebbe assolutamente voluto

ritornare a casa sua; molti anni dopo, ad una fiera, ella vide un uomo

rubare qualcosa da una bancarella e, con l‟angolo di un occhio, vide

il suo vecchio padrone premere il proprio gomito. Senza pensarci,

disse: “Come state, padrone?” Come stanno i bambini?” Egli disse:

“Come fai a vedermi?” Ella rispose: “Con l‟angolo del mio occhio

sinistro.” Da quel momento ella divenne cieca dall‟occhio sinistro e

visse molti anni con solo il destro.” (Camb. Sup., 349) Una storia più

antica mantiene questo dettaglio mitico nella storia di Taliesin. Gli

occhi di Gwion Bach vengono aperti da una goccia che cade sul suo

dito dal calderone di Caridwen, dito che egli si mette in bocca.

Una tradizione del Carmarthenshire cita tra coloro che sono vissuti

per un periodo tra i Tylwyth Teg niente meno che il traduttore in

Gallese del libro di Buna “Pilgrim‟s Progress”. Egli veniva chiamato

Iago ap Dewi e viveva nella parrocchia di Llanllawddog. Rimase

assente dalla zona per un lungo periodo e tra i contadini si credeva

che Iago “fosse uscito dal letto una notte per guardare il cielo

stellato, come era solito fare (essendo l‟astrologia uno dei suoi studi

preferiti), e, mentre era così intento, le Fate (che erano solite

ritrovarsi in un bosco vicino), che passavano di lì, se lo portarono via

ed egli dimorò con loro per sette anni. Al suo ritorno gli venne

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chiesto da molti dove fosse stato ma egli evitò sempre di dare loro

risposta.”

Il vasto campo di interesse aperto dalle storie di questo genere è

affascinante per gli studiosi di mitologia fatata. L‟intero mondo

appare essere teatro di queste storie ed i raccoglitori del folklore di

molte terre hanno preteso di avere scoperto “l‟originale” su cui si

basa la storia di Rip van Winkle. E‟ grazie al genio americano, cui

non posso evitare di alludere, che di tutte queste leggende nessuna

abbia raggiunto una fama tale come quella che Washington Irving ha

dato alla nostra letteratura e Joseph Jefferson al nostro periodo. E‟

più che probabile che Irving abbia tratto la sua ispirazione da Grimm

e che i Catskills siano in debito con le Hartz Mountains della

Germania per la loro fama romantica. Ma infinite sono le leggende in

cui appare questo insospettato intervallo temporale tra le creature

sovrannaturali ed il ritorno a casa per trovare tutto mutato. In Grecia

è Epimenide il poeta che, alla ricerca di una pecora smarrita, vaga in

una caverna, dove si addormenta per quarantasette anni. Le leggende

gaeliche e teutoniche sono ben note. Ma ancor più grande è la nostra

meraviglia alla vitalità di questo mito quando lo ritroviamo in Cina

ed in Giappone.

Nel racconto giapponese, un giovane uomo pescava nella sua barca

sull‟oceano quando venne invitato dalla Dea del mare nella sua

dimora sotto le onde. Dopo tre giorni, egli esprime il desiderio di

vedere la sua vecchia madre ed il suo vecchio padre. Alla partenza,

ella gli dona un cofanetto d‟oro ed una chiave ma lo avverte di non

aprirlo mai. Al villaggio dove viveva, egli scopre che tutto è mutato e

non riesce a trovare traccia dei suoi genitori fin quando una vecchia

ricorda di avere sentito i loro nomi. Egli trova le loro tombe vecchie

di cento anni. Pensando che tre giorni non potessero avere prodotto

un tale cambiamento e di essere sotto un incantesimo, egli apre il

cofanetto. Ne fuoriesce un vapore bianco e, sotto il suo influsso, il

giovane cade a terra. I suoi capelli diventano grigi, la sua figura

perde la giovinezza ed in pochi istanti egli muore di vecchiaia. La

leggenda cinese parla di come due amici, che stavano camminando

tra i burroni delle loro montagne native alla ricerca di erbe

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medicinali, giungono ad un ponte fatato dove due fanciulle di una

bellezza ultraterrena sono di guardia. Esse li invitano alla terra fatata

che vi è dall‟altra parte del ponte e, accettato l‟invito, essi si

innamorano delle fanciulle e passano quello che pare loro un breve

ma felice periodo con il popolo fatato. Alla fine, essi desiderano

rivedere le loro case terrene e viene loro permesso di ritornarvi, ma

scoprono che sono vissute e morte sette generazioni durante la loro

apparentemente breve assenza e che loro stessi sono divenuti

centenari. (Dennys, Folk-Lore of China, 98) In Cina, come altrove,

questa leggenda prende diverse forme.

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VII

La musica delle Fate

Gli uccelli incantati - La leggenda di Shon ap Shenkin - La

musica dell’arpa nelle storie di Fate gallesi - La leggenda

dell’arpa magica - Canzoni e melodie dei Tylwyth Teg - La

leggenda di Iola ap Hugh - L’origine mistica di una vecchia aria

gallese

In quei rari casi dove non è la danza a trattenere la vittima dei

Tylwyth Teg nel suo fascino fatale, il seduttore è la musica. Vi è una

classe di storie tuttora comuni in Galles in cui vengono preservate

meravigliose vestigia della mitologia primeva. Nel vasto terreno

mediano tra il nostro periodo e le epoche preistoriche, incontriamo

più di una volta l‟amabile leggenda degli Uccelli di Rhiannon, che

cantavano così dolcemente che i guerrieri si fermavano ad ascoltarli

incantati per otto anni. Questa leggenda appare nel Mabinogi di

“Branwen, figlia di Llyr” ed è una storia medioevale; ma gli autori

medioevali dei Mabinogion come li conosciamo lavorarono su

materiale più antico - narrando nuovamente le vecchie storie che

erano state tramandate da secoli innumerevoli di padre in figlio per

tradizione. I poeti della Cambria di un‟epoca antica fanno spesso

allusione agli uccelli di Rhiannon - essi sono citati nelle Triadi. Nel

Mabinogi, il periodo in cui i guerrieri stettero in ascolto è sette anni.

Solo sette uomini sfuggirono ad una certa battaglia con gli Irlandesi e

venne loro ordinato dal loro capo morente di tagliare la sua testa e di

portarla a Londra e seppellirla con il volto verso la Francia. Varie

furono le avventure che essi incontrarono nell‟adempimento del loro

dovere. Ad Harlech si fermarono a riposare e sedettero a mangiare e

bere. “E là giunsero tre uccelli e cominciarono a cantare loro una

certa canzone e tutte le canzoni che essi avevano mai udito erano

sgradevoli, se comparate ad essa; e gli uccelli sembravano loro

essere a grande distanza da loro, oltre il mare, tuttavia apparivano

distinti come se fossero vicini; e questo pranzo durò per sette anni.”

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(Lady Charlotte Guest, Mabinogion, 381) Questa incantevole

fantasia riappare nella storia locale di Shon ap Shenkin, che mi venne

narrata dalla moglie di un contadino vicino al luogo in cui si svolge

la leggenda. Pant Shon Shenkin è già stato citato come un centro

famoso per le Fate del Carmarthenshire. La storia di Taffy ap Sion e

questa di Shon ap Shenkin erano probabilmente una storia sola in un

qualche periodo della loro carriera, anche se ora sono due storie

separate.

Shon ap Shenkin era un giovane che viveva vicino a Pant Shon

Shenkin. Una bella mattina d‟estate, mentre stava andando nel

campo, udì un uccellino cantare in maniera incantevole su un albero

vicino alla sua strada. Attirato dalla melodia, egli sedette sotto

all‟albero fin quando la musica cessò; allora si alzò e lo guardò.

Quale fu la sua sorpresa vedendo che l‟albero, che era verde e pieno

di vita quando lui si era seduto, era ora secco e senza corteccia!

Pieno di stupore, ritornò alla fattoria che aveva lasciato, come

credeva, pochi minuti prima ma anch‟essa era mutata, era

invecchiata e coperta di edera. Sulla porta vi era un vecchio che non

aveva mai visto prima; egli gli chiese allora cosa volesse lì. “Cosa

voglio qui?” disse il vecchio, diventando rosso di rabbia. “Bella

domanda. Chi sei tu per osare insultarmi nella mia casa? “Nella tua

casa? Com‟è possibile? Dove sono mio padre e mia madre, che ho

lasciato qui pochi minuti fa, mentre ascoltavo la musica incantevole

sotto quell‟albero che, quando mi sono alzato, era secco e senza

foglie?” “Sotto l‟albero - musica! Come ti chiami?” “Shon ap

Shenkin.” “Alas, povero Suon e sei davvero tu!” gridò il vecchio.

“Ho spesso sentito parlare di te da mio nonno, tuo padre, ed a lungo

si è lamentato della tua assenza. Sono state fatte ricerche infruttuose

ma la vecchia Catti Maddock di Brechfa ha detto che eri sotto il

potere delle fate e che non saresti stato rilasciato fino a quando

l‟ultima linfa di quel sicomoro non si sarebbe essiccata.

Abbracciami, mio caro zio, perché tu sei mio zio - abbraccia tuo

nipote!” Detto questo, l‟uomo stese le braccia ma, prima che i due

potessero abbracciarsi, il povero Shon ap Shenkin si sbriciolò in

polvere sull‟uscio di casa.

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Le Fate gallesi suonano l‟arpa in una maniera sconosciuta in quelle

parti del mondo dove l‟arpa è meno popolare tra la gente. Quando si

ode distintamente uno strumento durante le cymmoedd delle Fate,

solitamente si tratta di un‟arpa. Talvolta è un violino ma, a vedere da

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vicino, si scoprirà che è un mortale catturato che lo suona - i Tylwyth

Teg preferiscono l‟arpa. Essi suonano la tromba in occasioni

particolarmente importanti e sono noti un caso o due in cui è stato

udito il suono delle cornamuse; ma non c‟è dubbio che il suonatore

era qualche Fata di passaggio dalla Scozia o da altrove oltre il

confine. Sulla cima del Craig-y-Ddinas, migliaia di Fate bianche

danzano alla musica di molte arpe. Nella zona chiamata Cwm

Pergwm, nella Valle di Neath, i Tylwyth Teg suonano dietro alla

cascata e, quando si allontanano oltre le montagne, il suono delle

loro arpe viene udito allontanarsi con essi. La storia che è

l‟equivalente della Cambria della storia del Flauto Magico,

sostituisce un‟arpa al meno familiare (per i Gallesi) strumento. Per

come mi è stata narrata, la storia dice così:

Una compagnia di Fate che frequentava Cader Idris aveva l‟abitudine

di andare di cottage in cottage in quella parte del Galles alla ricerca

di informazioni sul grado di benevolenza posseduto dai proprietari di

quelle stesse case. Coloro che davano alle Fate uno sgradevole

benvenuto erano soggetti a cattiva sorte per il resto delle loro vite ma

coloro che erano buoni con il piccolo popolo divenivano i beneficiari

del loro favore. Il vecchio Morgan ap Rhys sedeva una notte in un

angolo vicino al camino godendosi la sua pipa e la sua pinta di cwnv

da. Avendo la buona birra addolcito il suo animo, egli era di umore

più allegro di quanto fosse per lui naturale quando sentì dei colpetti

alla porta, che raggiunsero a malapena le sue orecchie attraverso il

fumo della sua pipa ed il rumore della sua stessa voce - perché nella

sua allegria Morgan stava cantando una canzone da baldoria, anche

se non sapeva cantare meglio di un haw - che è la parola gallese per

indicare un asino. Ma Morgan non si prese la briga di alzarsi al

bussare; i suoi modi non erano dei più raffinati - egli pensava che

fosse abbastanza educato per un uomo ospitale abbaiare in Gallese:

“Gwaed dyn a'i gilydd! Perché non entrate, visto che siete venuti fino

alla porta?” Il benvenuto non era molto educato ma fu sufficiente. La

porta si aprì e tre viaggiatori dall‟aspetto esausto entrarono. Ora, si

trattava di Fate da Cader Idris, travestite in questo modo allo scopo

di osservare, e Morgan non sospettò mai che fossero altro che quello

che apparivano. “Buon signore,” disse uno dei viaggiatori “siamo

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esausti ma tutto ciò che cerchiamo è un boccone di cibo da mettere

nella nostra borsa e ce ne andremo per la nostra strada.” “Waw,

ragazzi! E‟ tutto ciò che volete? Bene, là, guardate, ci sono il pane ed

il formaggio ed il coltello tra loro; potete tagliarne quanto volete e

riempire lo stomaco così come le vostre borse, perché non si dica

mai che Morgan ap Rhys ha negato pane e formaggio a qualcuno.” I

viaggiatori fecero dunque da soli, mentre Morgano continuava a bere

e fumare ed a cantare a modo suo, un modo veramente molto grezzo.

Quando furono sul punto di andarsene, i viaggiatori fatati andarono

da Morgan e gli dissero: “Siccome sei stato così generoso, ti

dimostreremo che ti siamo grati. E‟ in nostro potere il concederti un

desiderio, pertanto dicci cosa potresti volere.” “Ho, ho!” disse

Morgan “Davvero? Ah, vedo che vi state prendendo gioco di me.

Wela, wela, il desiderio del mio cuore è di avere un‟arpa che suoni

sotto le mie dita, non importa quanto male io la colpisca; un‟arpa che

suoni melodie vivaci, guardate; niente musica malinconica, per me!”

Non appena ebbe parlato, con sua meraviglia vide per terra davanti a

lui una splendida arpa e si ritrovò da solo. “Waw!” gridò Morgan,

“Se ne sono già andati.” Quindi, guardando dietro di sé vide che non

avevano preso il pane e formaggio che avevano tagliato; dopotutto,

“Forse erano le Fate”, mormorò, ma sedette serenamente a

tracannare la sua birra ed a guardare l‟arpa. Dietro di lui vi era un

suono di passi e sua moglie entrò dalla porta con alcuni amici.

Morgan si sentiva molto allegro e pensò che avrebbe portato un po‟

di risate tra loro mostrando la sua abilità su quell‟arpa. Così

cominciò a suonare - oh, che melodia pazza e saltellante, era!

“Waw!” disse Morgan. “Questa sì che è un‟arpa! Holo! Che vi

prende a tutti?” Perché per quanto veloce egli suonava, altrettanto

velocemente i suoi vicini danzavano, ogni uomo, donna e bambino

saltellava come se fosse pazzo. Alcuni di loro si aggrapparono al

tetto del cottage fin quando le loro teste sbatterono le une contro le

altre nel girare, picchiando contro l‟arredamento; e, mentre Morgan

continuava spensieratamente a suonare, cominciarono a pregarlo di

smettere prima che i sobbalzi li facessero andare in pezzi. Ma

Morgan trovava la scena troppo divertente per volersi fermare;

inoltre, era deliziato dalla sua improvvisa abilità come musicista e

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fece vibrare le corde e rise fin quando gli fecero male le mascelle e le

lacrime scivolarono sulle sue guance, tanto ridicoli erano i suoi

amici. Stanco, infine si fermò ed i danzatori caddero esausti sul

pavimento, sulle sedie, sui tavoli, dichiarando che il diavolo stesso

era nell‟arpa. “Conosco una melodia che ne vale due di quelle”, disse

Morgan riprendendo l‟arpa in mano. A questa vista, tutta la

compagnia svanì dalla casa fuggendo, lasciando Morgan a rotolarsi

dalle risate sulla sua sedia. Dopo quella volta, ogni volta che Morgan

diventava un po‟ alticcio prendeva l‟arpa ed obbligava tutti quelli che

gli erano intorno a danzare; di conseguenza, si fece una cattiva fama

e nessuno volle più avvicinarlo. Ma tutte le loro precauzioni non

impedirono ai vicini di essere catturati ogni tanto, quando Morgan si

vendicava facendoli danzare fin quando le loro gambe non si

spezzavano o non veniva fatto loro qualche altro danno. Anche gli

zoppi e gli invalidi erano costretti a danzare ogni volta che udivano

la musica di questo diabolico telyn. In breve, Morgan abusò tanto del

suo dono fatato che una notte il buon popolo venne a riprenderselo

ed egli non lo vide mai più. La conseguenza fu che egli divenne

scontroso e bevve fino a morirne - un avvertimento a tutti coloro che

accettano dalle Fate favori che non meritano.

La musica dei Tylwyth Teg è stata descritta in varie maniere dalle

persone che l‟hanno udita ma, come regola, con molta vaghezza

come una dolce ed intangibile armonia, che ricorda l‟esperienza di

Caliban:

L‟isola è piena di rumori,

Suoni e dolci arie che donano piacere e non fanno del male.

Talvolta mille strumenti vibranti

Ronzeranno verso le mie orecchie.

(Tempest, Atto III, Sc. 2)

Un tal Morgan Gwilym, che vide le Fate alla cascata di Cylepsta ed

udì la loro musica che si allontanava, fu in grado di ricordare solo

l‟ultima strofa, che disse suonava all‟incirca così:

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Edmund Daniel, dell‟Arail, “un uomo onesto ed una persona che

diceva costantemente la verità”, disse al Profeta Jones che spesso

vedeva le Fate dopo il tramonto incrociando il Cefn Bach dalla Valle

della Chiesa verso Hafodafel mentre saltavano e colpivano l‟aria e

facevano una via serpentina in aria, in questa forma:

Le Fate vennero udite e viste da molte persone in quei paraggi e

talvolta da diverse persone assieme. Esse apparivano più

frequentemente di notte che di giorno ed al mattino ed alla sera più

spesso che al pomeriggio. Molti udirono la loro musica e dissero di

essa che era bassa e piacevole ma che aveva questa caratteristica:

nessuno poteva impararne la melodia. In parti più favorevoli del

Principato, venivano udite distintamente le parole della canzone e,

sotto il nome di Cân y Tylwyth Teg , vengono conservate come

segue:

Dowch, dowch, gyfeillon mân,

O blith marwolion byd,

Dowch, dowch, a dowch yn Iân.

Partowch partowch eich pibau cân,

Gan ddawnsio dowch i gyd,

Mae yn hyfryd heno i hwn.

Si è riluttanti a tradurre nel puro Inglese questa canzone di Folletti

che, nel suo Gallese nativo, è quasi impressionante come “Fi Fo

Fum”. Basti dire che la canzone è un invito ai piccoli tra i morti della

terra ad andare con la musica e la danza alle delizie della baldoria

notturna.

Nella leggenda di Iola ap Hugh, la cui storia è la più nota in Galles,

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viene mostrata l‟origine fatata di quella famosa melodia 'Ffarwel

Ned Pugh. E‟ una leggenda che suggerisce quella del Flauto

Incantato in un‟altra forma, essendo qui lo strumento un violino e la

vittima un suonatore sotto il controllo delle fate.

Nel Galles del Nord vi è una famosa caverna che si dice raggiunga

dall‟apertura sul lato della collina sotto il Morda, il Ceiriog ed un

migliaio di altri corsi d‟acqua, sotto molte leghe di montagna, paludi

e brughiera, sotto le quasi insondabili fonti che, pur se ora sono

intasate, un tempo rifornivano Sychart, la fortezza di Glyndwrdwy,

per tutta la strada fino al Chirk Castle. La tradizione dice che

chiunque a cinque passi dalla sua apertura sarebbe stato attirato in

essa e si sarebbe perduto. Che i contadini che abitavano vicino ad

essa avessero un solenne rispetto per questa tradizione era provato

dal fatto che tutto intorno a quel pericoloso buco “l‟erba cresceva

spessa e lussureggiante come nelle zone selvagge dell‟America o in

alcune piane incontaminate delle Alpi.” Sia gli uomini che gli

animali temevano il luogo: “Una volpe, con un intero branco di cani

da caccia alle sue calcagna”, una volta si voltò nell‟avvicinarsi ad

essa “con il pelo tutto ritto come gelata dal terrore” e corse nel bel

mezzo del branco “come se qualunque cosa sulla terra - persino la

morte terrena - fosse un sollievo ai suoi turbamenti sovrannaturali.”

Ed i cani a caccia di questa volpe evitarono di acchiapparla a causa

dell‟odoro di fosforo e del lucore del suo mantello.

Per di più, “Elias ap Evan, che una bella notte camminava traballante

sull‟orlo dello spazio proibito, fu così spaventato da ciò che vide ed

udì da arrivare a casa perfettamente sobrio, “l‟unico intervallo di

sobrietà che mattino, pomeriggio o sera Elias abbia mai avuto da

venti anni a quella parte.” né dopo quell‟esperienza - riguardo alla

quale egli era solito scuotere la testa solennemente, come se potesse

narrare storie meravigliose se solo avesse osato - Elias potè

ubriacarsi nuovamente, né lo fece fino alla fine dei suoi giorni. Come

disse lui stesso, “la sua ombra camminava costantemente davanti a

lui, improvvisamente girava intorno a lui come un pointer fa tra le

paludi e le pietre.”

Un nebbioso Halloween, Iola ap Hugh, il suonatore di violino, decise

di risolvere i misteri dell‟Ogof, o Caverna, munendosi di “una

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immensa quantità di pane e formaggio e sette libbre di candele” e si

avventurò all‟interno. Non ritornò mai ma molto, molto tempo dopo,

al crepuscolo di un altro Halloween, un vecchio pastore che stava

passando presso - come la chiamò lui - “quella terra vortice di

diavoli”, udì un‟improvvisa debole melodia che danzava tra le rocce

sopra la caverna. Mentre ascoltava, la musica gradualmente “si fuse

in qualcosa di simile ad una melodia ed egli pensò che fosse una

melodia che il pastore non aveva mai udito prima”. Pareva che fosse

suonata da demoliteti che saltellavano, da tanto duro era il ritmo, così

ripetuto nei suoi lamenti discordanti. Ora apparve alla bocca

dell‟Ogof una figura ben nota al contadino, che se ne ricordava. Era a

malapena visibile ma era Iola ap Hugh, potè vedere

improvvisamente. Stava saltellando come un pazzo alla musica del

suo stesso violino, con una lanterna appesa al petto.

“Improvvisamente la Luna splendette in pieno sulla bocca gialla

della caverna ed il pastore vide il povero Iola per un solo istante - ma

lo vide distintamente ed orribilmente. Il suo volto era pallido come il

marmo ed i suoi occhi guardavano in maniera fissa e mortale. Le sue

braccia parevano tenere l‟archetto del violino in movimento senza

alcuna volontà da parte del loro padrone. Il pastore lo vide per un

istante all‟imboccatura della caverna e poi, sempre saltellando e

suonando il violino, svanì come un‟ombra dalla sua vista; ma il

vecchio venne udito dire che sembrava che fosse scivolato nella

caverna in una maniera diversa dal passo di un uomo vivente e

padrone della sua volontà; “egli veniva trascinato dentro come il

fumo su per il camino o la nebbia all‟alba.” Passarono gli anni e

“tutte le speranze ed i dolori collegati al povero Iola non solo

svanirono ma furono pressoché dimenticati; il vecchio pastore aveva

vissuto a lungo in una zona ad una considerevole distanza tra le

colline.

Una fredda domenica pomeriggio di dicembre, lui ed i vicini di

panca in chiesa stavano tremando di freddo nelle loro sedie mentre il

sacrestano stava cominciando ad accendere le luci nella chiesa

quando, improvvisamente, uno strano scoppio di musica cominciò da

sotto alla navata laterale, gettando l‟intera congregazione in

confusione, quindi passò debolmente lungo la parte più lontana della

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chiesa e svanì gradualmente fin quando fu impossibile distinguerlo

dal vento che stava sfrecciando e gemendo in mezzo a quasi tutti i

pilastri della vecchia chiesa.” Il pastore riconobbe immediatamente

quella musica per quella che Iola aveva suonato all‟imboccatura

dell‟Ogof.

Il prete della parrocchia, un conoscitore della musica, la tirò giù dal

violino del vecchio ed ancora oggi, se andate alla caverna ad

Halloween e ponete l‟orecchio all‟apertura, potete udire la melodia

“Ffarwel Ned Pugh” tanto distintamente quanto potete udire le onde

del mare rimbombare in una conchiglia.

“E si dice che in certe notti degli anni bisestili una stella sia ferma

davanti alla parte più lontana della caverna e permetta di vedere tutto

quello che vi è dentro e di vedere Iola ed i suoi altri compagni.”

(Camb. Quarterly, i., 45)

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VIII

Gli anelli fatati

Il Profeta Jones e le sue opere - Le lingue misteriose dei Tylwyth

Teg - Il cavallo nel folklore gallese - Fate equestri - Il bestiame

fatato, pecore, maiali, ecc. - le Fate volanti di Bedwellty - L’ovile

fatato di Cae’r Cefn

I cerchi nell‟erba nei campi verdi, che vengono chiamati

comunemente anelli fatati, sono numerosi in Galles ed anche ai

giorni nostri si ritiene che sia un bene tenersene alla larga. I contadini

non credono più che le Fate possano essere viste danzare in quei

luoghi, né che il cappello dell‟invisibilità cadrà sulla testa di uno che

entri nel cerchio, ma credono che le Fate, in tempi non troppo remoti,

abbiano fatto questi cerchi con il calpestio dei loro piedi e che

probabilmente qualche sfortuna colpirà la persona che facesse

intrusione in questo terreno proibito.

Un vecchio di Peterstone-super-Ely mi raccontò che rammentava

bene che quando era bambino sua madre lo avvertiva di tenersi alla

larga dagli anelli fatati. Questo consiglio fece un‟impressione tanto

profonda nella sua mente che in tutta la vita egli non entrò mai in uno

di questi anelli. Inoltre, in risposta ad una domanda, egli disse che

non aveva mai neanche camminato sotto ad una scala, perché portava

sfortuna camminare sotto ad una scala. Questo tipo di superstizione è

molto diffusa e si incontra in tutto il mondo e gli anelli fatati

sembrano fare parte di questa classe ancor oggi, per quanto riguarda

il Galles.

Nelle precedenti pagine abbiamo accennato al Profeta Jones e,

siccome in un‟opera che parla del folklore gallese questo

personaggio viene imperativamente citato, ne parlerò ora, prima di

citare le sue osservazione in merito ai cerchi fatati. Edmund Jones,

“del Tranch”, era un ministro dissidente famoso nel Monmouthshire

nei primi anni del presente secolo per la sua fervente devozione e la

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sua grande credulità in merito alle Fate ed ai Folletti tutti. Per molti

anni fu pastore della congregazione dei Protestanti Dissidenti alla

Cappella di Ebenezer, vicino a Pontypool, e visse in un luogo

chiamato “The Tranch”, lì vicino. Scrisse e pubblicò due libri: uno

era “Account of the Parish of Aberystruth”, stampato a Trevecca;

l‟altro una “Relation of the Apparitions of Spirits in the Country of

Monmouth and the Principality of Wales”, stampato a Newport. A

questi libri hanno fatto riferimento la maggior parte degli scrittori di

folklore che hanno tentato di narrare le credenze gallesi durante

l‟ultimo mezzo secolo ma queste opere sono estremamente rare e gli

scrittori che ne hanno tratto delle citazioni le hanno generalmente

prese di seconda mano. Keightley (Fairy Mythology, 412), citando da

“Apparitions”, sbaglia il nome dell‟autore - “Edward Jones del

Tiarch” - ed accredita la pubblicazione alla “ultima metà del XVIII

secolo”, mentre venne pubblicato nel 1813. Le citazioni di Keightley

sono tratte da Croker, che a sua volta non aveva mai visto il libro ma

ne aveva sentito parlare da un amico gallese. Non si trova nella

biblioteca del British Museum ed io so che ve ne sono solo poche

copie in Galles - una la vidi a Swansea. L‟autore di questi curiosi

volumi venne chiamato il Profeta Jones a causa del dono della

profezia che possedeva, secondo quanto riferitomi da un Gallese del

Monmouthshire. Secondo le parole del mio informatore, egli era

famoso nel distretto perché prediceva le cose. Per esempio, se gli

veniva chiesto di tenere una predica in qualche anniversario o in una

riunione trimestrale ed egli rispondeva: “Quel giorno non posso: la

pioggia scenderà a torrenti e non vi sarà alcuna congregazione”, si

poteva essere certi che sarebbe accaduto come predetto. Egli dava ai

bisognosi anche il suo ultimo obolo e diceva a sua moglie: “Dio

invierà un messaggero con cibo e vesti alle nove di domani”. E così

era.

Egli era un credente assoluto nelle Fate gallesi ed era pieno di

disprezzo verso coloro che osavano mettere in questione la loro

realtà. Per lui questi fantasmi erano parte integrante della fede

cristiana e coloro che non credevano in essi erano denunciati come

Sadducei ed infedeli.

Riguardo agli anelli fatati, Jones sosteneva che la Bibbia vi facesse

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allusione in Matteo xii, 43: “Le Fate danzano in circoli in luoghi

asciutti, e la scrittura dice che gli spiriti maligni camminano nei

luoghi asciutti.” La loro preferenza per le querce, ed in particolare

per le querce femmina, in parte è dovuta al fatto che questo albero ha

rami che si espandono maggiormente di altri e forniscono un‟ombra

maggiore ed in parte “all‟uso superstizioso che ai tempi dei Druidi si

faceva di esso. In passato, era pericoloso abbattere una quercia

femmina in un posto asciutto. Si diceva che nel fare questo alcuni

perdessero la vita a causa di uno strano dolore che non aveva

rimedio, come fece uno dei miei antenati; ma ora che gli uomini

possiedono maggiore conoscenza e fede, questo effetto non accade.”

William Jenkins fu per lungo tempo maestro di scuola alla chiesa di

Trefethin, nel Monmouthshire, e, tornando a casa una sera tardi,

come faceva sempre, spesso vide le Fate sotto una quercia a due o tre

campi di distanza dalla chiesa. Egli le vedeva più spesso di venerdì

sera che nelle altre sere. Una volta egli esaminò il terreno vicino a

questa quercia e vi trovò un cerchio rossastro laddove le Fate

danzavano, “come spesso si vedono sotto le querce femmina,

chiamate Brenhin-Bren.” Esse apparivano più spesso ad un numero

dispari di persone, come uno, tre, cinque, ecc. e più spesso agli

uomini che alle donne. Thomas William Edmund, di Hafodafel, “un

onesto e pio uomo che spesso le vide”, dichiarò che quando esse

apparivano vi era uno di loro più grande che li precedeva. Vennero

anche udite parlare tra loro in un modo rumoroso e rapido ma

nessuno era in grado di distinguere le parole. Pareva, tuttavia, una

razza molto polemica, a tal punto che vi era in alcune parti del Galles

un detto di questo genere: Ni chytunant hwy mwy na Bendith eu

Mammau, “non si metteranno più d‟accordo di quanto non lo

facciano le Fate”.

Questa osservazione in merito alla lingua misteriosa usata dalle Fate

ricorda ancora la storia medioevale di Elidurus. L‟esempio delle

parole fatate in essa fornita da Giraldus il dotto rettore di Llanarmon

(Rev. Peter Roberts, Cambrian Popular Antiquities, 195 - 1815)

pensa sia “un misto di Irlandese e Gallese. La lettera u, con cui

comincia ognuna delle parole, è probabilmente null‟altro che la

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rappresentazione di un suono indistinto come la e muta del Francese

e che coloro il cui linguaggio e le cui maniere sono volgari spesso

iniziano le parole indifferentemente come prefisso. Se, dunque, esse

vengono lette dor dorum ed halgein dorum, dor ed halgein sono

quasi (o, come viene pronunciato, door) ed halen, le parole gallesi

per indicare rispettivamente acqua e sale. Dorum è perciò

equivalente a “dammi” e l‟espressione irlandese per “dammi” è

thorum, quella gallese dyro i Mi. L‟ordine delle parole, tuttavia, è

capovolto. L‟ordine dovrebbe essere thorum dor e thorum halen in

Irlandese, mentre in Gallese dyro i mi ddwr e dyro i mi halen ma

forse è stato capovolto intenzionalmente dal narratore per rendere la

sua storia maggiormente meravigliosa.” (Supra, pag. 67)

Il cavallo ha un ruolo molto attivo nelle storie di Fate del Galles. Non

solo il suo scheletro serve a Mary Lwyds (vedi l‟indice) e simili, ma

il suo spirito volteggia. Le Fate gallesi sembrano amare molto

cavalcare.

Una vecchia della Valle di Neath disse a Mrs. Williams, che lo

raccontò a Thomas Keithley, di avere visto le Fate a centinaia ed esse

montavano piccoli cavalli bianchi non più grandi di cani e e

cavalcavano fianco a fianco in file di quattro. Questo accadde verso

il crepuscolo e le Fate equestri le passarono abbastanza vicino, a

circa un quarto di miglio di distanza. Un‟altra vecchia affermò che

suo padre aveva visto spesso le Fate cavalcare nell‟aria su piccoli

cavalli bianchi ma non le aveva mai viste scendere a terra. Egli aveva

udito la loro musica nell‟aria mentre galoppavano. Tra i contadini di

Glamorgan vi è una tradizione che narra di una battaglia fatata

combattuta sulla montagna tra Merthyr ed Aberdare in cui i

minuscoli combattenti erano a cavallo. Parevano esservi due eserciti,

uno dei quali montava cavalli bianco latte e l‟altro cavalli nero

lucido. Essi cavalcavano gli uni verso gli altri con la massima furia e

si vedevano le loro spade splendere nell‟aria come tante lame di

coltelli. Quella battaglia venne vinta dall‟esercito con i cavalli

bianchi, che scacciò dal campo la forza con i cavalli neri. L‟intera

scena scomparve quindi in una lieve nebbiolina.

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Nelle zone rurali del Galles alle Fate viene accreditata una varietà

completa di animali utili ed il folklore gallese, sia moderno che

medioevale, abbonda di storie riguardanti bovini, pecore, cavalli,

polli, capre ed altre figure caratteristiche della vita rurale. Come la

meravigliosa giumenta di Ternyon, che partoriva un puledro ogni

primo maggio ma che le veniva sempre portato via; nessuno sapeva

da dove arrivassero i Ychain Banog, i potenti buoi, che attiravano il

mostro acquatico fuori dal lago incantato e con i loro muggito

fendono in due la roccia; le pecore di san Melangell, che all‟inizio

erano lepri, e fuggivano spaventate sotto le vesti del santo; il

bestiame fatato che appartiene alle Gwraig Annwn; la pecora fatata

di Cefn Rhychdir, che emerse dalla terra e svanì nel cielo; anche il

suino fatato che i raccoglitori di fieno di Bedwellty videro volare in

aria. Ad alcune di queste tradizioni abbiamo già accennato, di altre

parleremo ancora.

Le pecore di montagna gallese corrono come cervi e saltano da un

dirupo all‟altro come capre selvatiche ed i maiali gallesi sono più

famosi nelle storie romantiche della Cambria di qualunque altro

animale ivi citato. Per questo la storia narrata dal Rev. Roger Rogers,

della parrocchia di Bedwelty, suona molto meno assurda in Galles

che altrove. In essa si parla di una visione molto importante e strana

avuta dalle due figlie di Lewis Thomas Jenkin, descritte come

virtuose e brave giovani donne, il cui padre era benestante; e quanto

videro le ragazze fu visto non solo da loro, ma anche dai due

servitori, un uomo ed una donna, e da due vicini - Elizabeth David ed

Edmund Roger. Tutte queste sei persone stavano un certo giorno

raccogliendo il fieno in un campo chiamato Y Weirglodd Fawr

Dafolog quando videro chiaramente una compagnia di Fate uscire

dalla terra sotto forma di un gregge di pecore; esse si trovavano a

circa un quarto di miglio di distanza, su una collina chiamata Cefn

Rhychdir. Ben presto, il gregge fatato fu fuori dalla vista, perché

svanì nell‟aria. Più tardi, quello stesso giorno, essi videro

nuovamente quella compagnia di Fate ma, mentre a due dei

raccoglitori esse apparivano come pecore, ad altri apparivano come

levrieri, ad altri ancora come suini e ad altri, infine, come bambini

nudi. In merito, il Rev. Roger osserva:

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“I figli dell‟infedeltà sono molto irragionevoli a non credere alle

testimonianze di così tanti testimoni.” (Jones, Apparitions, 24)

Le pecore gallesi si dice siano gli unici animali che mangiano l‟erba

che cresce all‟interno degli anelli fatati; tutte le altre creature la

evitano, ma le pecore la mangiano avidamente e da qui la superiorità

della carne di pecora gallese su quella del resto del mondo. Il Profeta

Jones parla dell‟ovile delle Fate, da lui stesso visto - una circostanza

a cui deve essere dato il giusto peso, come potrà capire il lettore

giudizioso, perché a Mr. Jones non era dato di vedere solitamente i

Folletti. Egli crede in essi con tutto il cuore ma solitamente sono

amici o conoscenti che li vedono. Per questo questa eccezione si fa

notare acutamente. Egli ci narra così nella sua storia:

“Se qualcuno pensasse che io sia troppo credulo in queste relazioni e

parli di cose di cui non ho io stesso esperienza, devo fare notare che

questo qualcuno è in errore. Perché quando ero un bambino, mentre

stavo camminando con mia zia al mattino presto, dopo l‟alba, da

Hafodafel verso la casa di mio padre a Pen-y-Llwyn, alla fine del

campo superiore di Cae‟r Cefn… vidi l‟apparenza di un ovile con la

porta verso sud… e dentro una compagnia di molte persone. Alcune

erano sedute ed alcune entravano ed uscivano, chinando la testa nel

passare sotto il ramo sopra la porta… Ricordo bene tra loro la figura

di una bella donna con un alto cappello a corona ed una giacchetta

rossa, che aveva un aspetto migliore degli altri e che pensai essi

onorassero. Conservo tuttora un‟idea abbastanza chiara del suo volto

bianco e della sua forma ben fatta. Gli uomini indossavano cravatte

bianche… Mi meravigliai che mia zia, che camminava davanti a me,

non stesse guardando verso di loro, anche se ci stavamo avvicinando

tanto. In quanto a me, ero restio a parlare fin quando li

oltrepassammo di un poco e quindi dissi a mia zia quello che avevo

visto ed ella si meravigliò e disse che avevo sognato… Non c‟era

alcun ovile in quel posto. Ci sono invero le rovine di un qualche tipo

di piccolo edificio, molto probabilmente un ovile, ma così vecchie

che le pietre sono state inghiottite e quasi completamente incrostate

di terra ed erba.”

Questa storia è stata a lungo considerata una pietra miliare per i

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credenti dei fantasmi della Cambria ma dobbiamo dire qualcosa di

dubitativo in merito. Ammesso che il Reverendo Edmund Jones, il

ministro dissidente, era un onesto gentiluomo che desiderava dire la

verità, è tuttavia possibile che Padron Neddy Jones, il ragazzo,

potesse tirare un arco lungo come un altro ragazzo e che abbia

probabilmente visto un gruppo di zingari (o magari nulla) con cui ha

abbellito la sua storia di eccitata meraviglia, come sono soliti fare i

ragazzi. A raccontare una storia di fantasia tante volte, si finisce per

crederci - si tratta di un ben noto fenomeno mentale.

L‟unico altro esempio fornito dal Profeta Jones come proveniente

dalla sua esperienza personale è più vago del precedente nei suoi

particolari ed accadde quando egli era presumibilmente cresciuto ed

era nell‟età della discrezione. Pare che si smarrì a causa della

Vecchia della Montagna, su Llanhiddel Bryn, vicino a Pontypool -

zona che conosceva perfettamente e che è non più di un miglio e

mezzo di lunghezza e circa mezzo miglio di larghezza. Ma, come

risultato del suo smarrimento, egli giunse ad una casa dove non era

mai stato prima e, profondamente toccato da questa sconcertante

esperienza, “mi offrii di andare a pregare, cosa che essi

accettarono… Avevo circa ventitre anni ed avevo cominciato a

predicare l‟immortale vangelo. Essi sembravano ammirare il fatto

che una persona tanto giovane fosse così cordialmente disposta,

essendo a quel tempo pochi i giovani uomini della mia età religiosi.

Molto bene venne in quella casa e vi continua tuttora… Così la

vecchia megera non ricavò nulla dall‟avermi portato fuori strada

quella volta.”

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99

IX

La devozione come protezione

dalle seduzioni dei Tylwyth Teg

Esorcismi vari - Il canto del gallo - Il nome di Dio - Recintare le

Fate - La vecchia Betty Griffith e la sua barricata Eikhtin -

Mezzi per sbarazzarsi dei Tylwyth Teg - La Bwbach della

fattoria di Hendrefawr - Il Pwca'r Trwyn's che volteggia in una

caraffa di fermentato

L‟estrema devozione delle sue passeggiate e conversazioni

quotidiane potrebbe essere vista come una spiegazione sul motivo

per cui il Profeta Jones vide così pochi Folletti con i suoi occhi e, di

conseguenza, la maggior parte delle sue storie di Fate sono state a lui

riferite da altre persone, come lui stesso sostiene. Il valore di una

abitudine generale alla devozione come mezzo per sbarazzarsi delle

Fate è già stato menzionato. Gli esorcismi più mondani, come la

presentazione di un coltello dal manico nero o il voltare al contrario

il proprio cappotto sono giudicati triviali dal Profeta ma lo studioso

di folklore comparato non li considera non importanti.

Gli esorcismi maggiormente spirituali non sono, tuttavia, meno

interessanti degli altri. Primo tra essi vi è la pronuncia del nome di

Dio ma viene citato con rispetto anche il canto di un gallo, in

collegamento con la storia del nostro Salvatore. Jones fornisce molti

racconti che terminano come il seguente:

Rees John Rosser, nato ad Hendy, nella parrocchia di Llanhiddel,

“un giovane molto religioso, andò una mattina molto presto a nutrire

i buoi in un fienile chiamato Ysgubor y Lian e, nutritili, si distese sul

fieno a riposare. Mentre giaceva in quel posto, udì una musica

avvicinarsi e, all‟improvviso, una grande compagnia di Fate entrò nel

fienile. Indossavano vestiti a righe, alcuni di colori più allegri di altri

ma tutti molti allegri; e tutti danzarono alla musica. Egli rimase

sdraiato più in silenzio che potè, pensando che non lo vedessero, ma

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venne notato da uno di essi, una donna, che gli portò un cuscino a

righe con quattro nappe, una ad ogni angolo, e lo mise sotto la testa

di lui. Dopo un po‟ il gallo cantò alla casa di Blaen y Cwm, molto

vicina, ed essi apparvero sorpresi e dispiaciuti; il cuscino venne

velocemente tolto da sotto la sua testa e le Fate svanirono.” “Gli

spiriti dell‟oscurità non amano il canto del gallo, perché esso è

foriero dell‟avvicinarsi del giorno, perch‟essi amano l‟oscurità più

della luce… Ed è stato osservato diverse volte che queste Fate non

possono sopportare di udire il nome di Dio.” Un moderno

predicatore gallese (le cui opinioni contrastano decisamente con

quelle di Jones) osserva: “Il gallo è meravigliosamente ben versato

nelle circostanze dei figli di Adamo; la sua voce squillante all‟alba è

un‟intimazione sufficiente ad ogni spirito, Folletto, fantasma, Elfo,

Bwci ed apparizione a volare nel loro paese di illusione per salvare la

vita, prima che la luce del giorno mostri che essi sono un vuoto nulla

e porti loro vergogna e discredito.” (Rev. Robert Ellis, in Manion

Hynafiaethol, Treherbert, 1873) Shakespeare presenta questa

credenza in Amleto:

Ber. Stava per parlare quando il gallo cantò.

Hor. Ed allora cominciò come una cosa colpevole su una citazione di

paura.

(Amleto, Atto I, Sc. I)

Ma l‟opinione che gli spiriti volino via al canto del gallo è

antichissima. Viene citata dal poeta cristiano Prudenzio (IV secolo)

come tradizione di credenza comune. (Brad, Popular Antiquities, ii.,

31)

Per quanto riguarda il nome di Dio come esorcismo, ancora oggi

incontriamo questa superstizione, vivente ai nostri giorni, ed in ogni

terra dove il moderno “spiritismo” trova seguaci. Il danno prodotto

alle “sedute spiritiche” dagli “spiriti negativi” è ben noto a coloro

che hanno fatto attenzione a questa matteria. Il fu Mr. FitzHugh

Ludlow una volta mi raccontò, con drammatico fervore, il risultato

dei suoi tentativi di esorcizzare uno spirito negativo che possedeva

una “medium” cercando di fare pronunciare alla donna il nome di

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Cristo. Ella si impappinava e balbettava ogni volta che ci provava

nella maniera più imbarazzante ed infine emerse dalla trance con il

nome santo non pronunciato - lo spirito cattivo se ne era andato.

Questo accadde a New York nel 1867. Come molti altri che

affermano la propria scettici in merito allo spiritismo, Mr. Ludlow

rimase fortemente impressionato da questo fenomeno.

Gli studenti di folklore comparato classificano tutte le manifestazioni

di questo genere sotto un comune denominatore, sia che ci si riferisca

alle Fate o a medium spirituali. Essi attribuiscono alla stessa fonte

l‟origine delle nozioni della propiziazione delle Fate con nomi

eufemistici. Nell‟uso di nomi come Jehovah, l‟Onnipotente, l‟Essere

Supremo, ecc. per il terribile e vendicativo Dio della teologia

ebraica, essendo in origine un tentativo di evitare di pronunciare il

nome di Dio, è facile vedere il collegamento con il potere esorcistico

di quel nume su tutti gli spiriti maligni, come si crede generalmente

siano le Fate. Si crede anche che qui venga presentata la fonte prima

di quell‟orrore del linguaggio profano che prevale tra le genti

puritane dell‟Inghilterra e dell‟America. Similmente, anche il nome

del diavolo viene presentato con eufemismi, alcuni dei quali - come

il Vecchio Ragazzo - non sono tali da offendere le orecchie del

personaggio e, fino a tempi recenti, la parola “diavolo” veniva

considerata offensiva quanto la parola Dio, se usata in maniera

profana.

Una protezione popolare dall‟invasione delle Fate è l‟eithin, o il

ginestrone spinoso, comune in Galles. Si crede che le Fate non

possano penetrare una barriera o una siepe composta da questo

arbusto spinoso. Un racconto che illustra questa credenza, piuttosto

curioso nei suoi dettagli, venne fornito nel 1871 da un importante

residente di Anglesea (Hon. W.O. Stanley in Notes and Queries):

“Un giorno, circa 30 anni or sono, Mrs. Stanley andò in una delle

case vecchie a fare visita ad una anziana donna che andava spesso a

trovare. Era una misera casupola così insolitamente scura quando

aprì la porta che ella chiamò la vecchia Betty Griffith ma, non

ricevendo risposta, entrò nella stanza. Una piccola finestra con un

pannello di vetro nel lato più lontano dava una flebile luce. Alcune

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102

braci accese nella graticola davano uno sprazzo di luce, cosa che le

permise di vedere il luogo dove solitamente stava il letto, in un

recesso. Con sua sorpresa, ella lo vide interamente circondato da una

barricata di spesso ginestrone, così strettamente impacchettato ed

ammucchiato da non lasciare vedere il letto. Nuovamente chiamò

Betty Griffith e non giunse alcuna risposta. Si guardò attorno nella

misera stanzetta ma l‟unico sintomo di vita era una pianta dell‟Ebreo

Errante (Saxifraga tricolor), chiamata in quel modo dalla povera

gente e chiaramente destinata ad ingentilire le finestre. Era piantata

in un vaso o una teiera rotta sulla finestra ed arrampicava i suoi

lunghi viticci intorno a sé, con qua e là una nuova pianta formata che

sembrava trarre sostentamento dalla sola aria. Mentre ella era in

piedi, colpita dalla miserabile povertà della dimora, da dietro al

ginestrone giunse un debole sospiro. La donna si avvicinò e disse:

“Betty, dove siete?” Betty riconobbe immediatamente la sua voce e

si azzardò ad allontanarsi dal muro. Mrs. Stanley fece quindi una

piccola apertura nella barricata di ginestrone, che punse tristemente

le sue dita; vide Betty sul suo letto e le chiese: “Non state bene? Siete

raffreddata, da essere così chiusa?” “Raffreddata! No, non è

raffreddore, Mrs. Stanley; sono i Tylwyth Teg - non mi vogliono

lasciare mai in pace, siedono là facendomi le boccacce e cercando di

avvicinarsi a me.” “Davvero! Oh, come mi piacerebbe vederli,

Betty.” “Vi piacerebbe vederli? Oh, non dite così.” “Oh, ma Betty,

devono essere così carini e buoni.” “Buoni? Non sono buoni.” La

vecchia divenne quindi nervosa e Mrs. Stanley comprese che avrebbe

dovuto sentire altro da lei riguardo alle Fate, così disse: “Bene, andrò

fuori; non verranno mai se io sono qui.” La vecchia Betty replicò con

voce acuta: “No, non andatevene. Non dovete lasciarmi. Vi

racconterò tutto di loro. Ah, loro vengono e mi tormentano

tristemente. Se sono in piedi, loro siedono sulla tavola, fanno

diventare il mio latte acido e versano il mio the; poi non li lasciano in

pace nel mio letto ma vengono tutti intorno a me e mi prendono in

giro.” “Ma, Betty, ditemi, per così tutto questo ginestrone?

Dev‟essere stato un bell‟affanno per voi fare tutto così vicino.” “Non

è forse per tenerli alla larga? Loro non possono penetrarlo, li punge

malamente ed io posso avere un po‟ di riposo.” Così ella rimise a

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posto il ginestrone e lasciò la vecchia Betty Griffith felice nel suo

artificio per sbarazzarsi del Tylwyth Teg.”

Un mezzo molto comune per sbarazzarsi delle Fate è quello di

cambiare il luogo di residenza; il popolo fatato non dimorerà in una

casa che passa in mani nuove.

Si narra una storia su un contadino del Merionethshire che,

tormentato oltre ogni sopportazione da un Beach maligno, decise con

riluttanza di andarsene ma, consultata prima una saggia donna a

Dolgelly, venne consigliato di fare un finto trasloco, che avrebbe

avuto lo stesso effetto; doveva solo mettere in giro la voce che era in

procinto di trasferirsi oltre il confine, in Inghilterra, e quindi radunare

il suo bestiame ed i suoi beni ed andare a fare un giro di una giornate

intorno all‟Arenig. La Fata se ne sarebbe certamente andata dalla

casa quando se ne fosse andato il contadino ed in particolare se ne

sarebbe andata da una terra ed una casa il cui proprietario, nato

Cymro, aveva confessato il suo intento di andarsene nella terra

straniera dei Sais. Così, egli sarebbe potuto ritornare alla sua casa

per un‟altra strada per scoprire che l‟odioso Bwbach se ne era

andato. Il contadino fece quanto consigliatogli e si preparò al

viaggio, conducendo davanti a sé i bovini e le pecore e portando il

carro in cui era ammassato il suo arredamento, mentre sua moglie ed

i bambini arrancavano dietro. Quando raggiunsero Rhyd-y-Fen, un

guado così chiamato per questa leggenda, incontrarono un vicino che

esclamò: “Holo, Dewi, ci stai lasciando?” Prima che il contadino

potesse rispondere, si udì un grido acuto dall‟interno della zangola

sul carretto. “Sì, sì, stiamo andando via da Hendrefawr ad Eingl-dud,

dove abbiamo una nuova casa.” Era stato il Bwbach a parlare. Stava

traslocando con i beni della casa ed il piccolo piano del contadino per

sbarazzarsi di lui si rivelò un completo fallimento. Il buon uomo

sospirò mentre voltava i cavalli e ritornava a Hendrefawr per la

stessa strada da cui era venuto.

Il famoso Pwca della Trwyn Farm, nella parrocchia di

Mynyddyslwyn, giunse qui dalla sua prima dimora a Pantygasseg in

una brocca di fermentato. Una dei servi della fattoria portò la brocca

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a Panygasseg e si stava servendo del fermentato contenutovi quando

udì il Pwca dire: “Il Pwca ora va via in questa brocca di fermentato e

non ritornerà mai più.” E non venne mai più udito a Pantygasseg.

Un‟altra storia parla di una serva che lasciò cadere una palla di filato

oltre il ciglio della collina la cui base è bagnata dalle due peschiere

tra Hafod-yr-Ynys e Pontypool ed il Pwca disse: “Andrò in questa

palla ed andrò al Tran e non ritornerò mai più.” E la palla venne vista

rotolare giù per il fianco della collina ed attraversare la valle,

scalando la collina dall‟altra parte e rotolando vivacemente sulla

cima della montagna verso la sua nuova dimora.

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X

Il denaro fatato ed i doni delle

Fate in generale

La storia di Gitto Bach, o il Piccolo Griffith - La punizione per le

chiacchiere - Le leggende dei pastori di Cwm Llan - Il valore

della gentilezza in termini di denaro - Ianto Llewellyn ed i

Tylwyth Teg - La leggenda di Hafod Lwyddog - Le lezioni

inculcate da queste credenze

“Questo è oro delle Fate, ragazzo, e proverà esserlo”, dice il vecchio

pastore in “Winter‟s Tale”, aggiungendo saggiamente: “Tienilo,

tienitelo vicino; casa, casa, la prossima via. Siamo fortunati, ragazzo,

ed essere tali richiede null‟altro che la segretezza.” (Winter’s Tale,

Atto III, Sc. 3)

Qui abbiamo sintetizzata la credenza tradizionale dei contadini

gallesi. Il denaro delle Fate è buono quanto qualunque altro fin

quando la sua fonte viene mantenuta nel più profondo segreto; se chi

lo trova riferisce i particolari della sua buona sorte, esso svanirà.

Talvolta, specialmente nei casi in cui il denaro è stato speso, il

cattivo risultato delle chiacchiere consiste nel non essere più favoriti

dalla sorte. La stessa legge governa i doni fatati di ogni genere.

Una leggenda del Breconshire racconta della generosità dei Tylwyth

Teg nel donare ai contadini delle pagnotte, che il mattino seguente si

mutavano in funghi velenosi; era necessario mangiare il pane

nell‟oscurità ed in silenzio per evitare questa trasformazione. La

storia di Gitto Bach, famosa in Galles, ne è un pittoresco esempio.

Gitto Bach (il piccolo Griffith), figlio di un piccolo contadino del

Glamorganshire, era solito fare delle passeggiate sulla cima della

montagna per badare alle pecore del padre. Al suo ritorno, egli

mostrava ai suoi fratelli e sorelle dei pezzi di carta insolitamente

bianca, come sommità, con stampate sopra delle lettere, che egli

diceva essergli stati dati dai bambini piccoli con cui giocava sulla

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montagna. Un giorno non fece ritorno. Per due anni non se ne seppe

più nulla. Nel frattempo, talvolta altri bambini trovavano pezzetti di

carta simili sulle montagne. Una mattina, quando la madre di Gitto

aprì la porta, ecco che lo vide lì seduto pigramente, vestito

esattamente come quando lo aveva visto per l‟ultima volta due anni

prima. Aveva sotto il braccio un piccolo fagotto. “Dove diavolo sei

stato per tutto questo tempo?” chiese la madre. “Perché? Sono andato

via solo ieri!” rispose Gitto. “Guarda che bei vestiti mi hanno dato i

bambini sulla montagna per avere danzato con loro alla musica delle

loro arpe.” Ed aprì l‟involto e mostrò un bellissimo abito; e, guarda,

era solo carta, come il denaro fatato.

Solitamente, però, in Galles si tratta solo di una perdita del favore

fatato che segue al chiacchierare. Una leggenda si collega ad un

ponte nell‟Anglesea e parla di un ragazzo che vedeva spesso le Fate

in quel luogo ed aveva tratto profitto dalla loro generosità. Ogni

mattina, mentre andava a portare al pascolo le mucche di suo padre,

egli le vedeva e dopo che se ne erano andate trovava sempre una

moneta su una certa pietra di Cymmunod Bridge. Avendo così il

ragazzo sempre del denaro, il padre si insospettì ed un giorno di

Sabbath chiese al ragazzo in quale maniera lo ottenesse. Oh, i padri

ficcanaso! Naturalmente, il povero ragazzo confessò che era grazie

alle Fate e, naturalmente, nonostante egli spesso andasse in seguito

nel campo, non trovò mai più alcun denaro sul ponte, né vide più gli

offesi Tylwyth Teg. Divulgando il suo segreto, il loro favore fu

perduto.

Jones narra una storia simile riguardo ad una giovane donna di nome

Anne William Francis, della parrocchia di Bassalleg, che, passando

di notte in un boschetto vicino a casa sua, udì della musica piacevole

e vide una compagnia di Fate che danzava sull‟erba. Ella vi mise un

secchio d‟acqua, pensando di fare loro piacere. La volta dopo in cui

andò là, le diedero uno scellino “e così fu per diverse notti, fin

quando ella ebbe ventuno scellini.” Ma accadde che sua madre trovò

il denaro e le chiese dove l‟avesse preso, temendo che lo avesse

rubato. Dapprima la ragazza non glielo disse ma, quando la madre

“divenne molto severa con lei” e la minacciò di picchiarla, ella

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confessò di avere ricevuto il denaro dalle Fate. Dopo di che, esse non

gliene diedero mai più. Il Profeta aggiunge: “Ho sentito parlare di

altri posti dove la gente ha avuto del denaro dalle Fate, talvolta

monete d‟argento da sei pence ma più comunemente monete di rame.

Siccome essi non posso fare il denaro, deve certamente trattarsi di

denaro perduto o nascosto da persone.”

Nella leggenda dei due pastori di Cwm Llan e della loro esperienza

con le Fate, il primo ha a che vedere con la caratteristica della

segretezza, mentre il secondo riproduce la nota lezione riguardante il

valore monetario della gentilezza. La prima leggenda narra così:

Una mattina un pastore, che era alla ricerca delle sue pecore sul

fianco del Nant y Bettws, dopo avere attraversato il Cwm Llan, vide

molte piccole persone che cantavano e danzavano ed alcune delle

damigelle più graziose su cui mai egli avesse posato gli occhi che

stavano preparando una festa. Egli andò da loro e prese parte al pasto

e pensò che non aveva mai assaggiato qualcosa uguale a quei piatti.

Quando venne il crepuscolo, essi montarono le loro tende ed il

pastore non aveva mai visto prima cose belle come quelle che

avevano in quel luogo. Gli venne fornito un morbido letto di piume e

lenzuola del lino più fine ed egli si ritirò, sentendosi come un

principe. Ma, al mattino, meraviglia! Il suo letto non era altro che un

cespuglio di giunchi di palude ed il cuscino una zolla di muschio.

Egli trovò tuttavia nelle sue scarpe alcuni pezzi d‟argento e, in

seguito, per molto tempo continuò a trovare una volta alla settimana

un pezzo d‟argento posto tra due pietre vicino al luogo dove aveva

giaciuto. Un giorno, egli divulgò il suo segreto ad un altro e la

moneta settimanale non venne mai più posta in quel luogo.

C‟era un altro pastore vicino a Cwm Llan che, avendo sentito degli

strani rumori in un crepaccio, andato a vedere di che si trattasse vi

scoprì una singolare creatura che piangeva amaramente. Egli la tirò

fuori e vide trattarsi di un bambino Fata ma, mentre lo stava

guardando con compassione, due uomini di mezza età si

avvicinarono e lo ringraziarono cortesemente per la sua gentilezza e,

lasciandolo, gli donarono una verga come ricordo della circostanza.

L‟anno seguente, ogni pecora che possedeva diede alla luce due

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agnellini. Esse continuarono a partorire così durante gli anni a

venire; una notte molto oscura e tempestosa, essendo rimasto nel

villaggio fino a molto tardi, nell‟attraversare il fiume che viene giù

da Cwm Llan vi fu una grande esondazione, che spazzò tutto quello

che trovava sul suo flusso ed egli perse la sua verga nel fiume e non

la vide più. La mattina, scoprì che quasi tutte le sue pecore ed i suoi

agnelli, come la sua verga, erano stati spazzati via dall‟esondazione.

La sua ricchezza si era allontanata da lui allo stesso modo in cui era

giunta - con la verga che aveva ricevuto dai guardiani del bambino

fatato.

Un Gallese del Pembrokeshire mi raccontò la storia che segue come

tradizione ben nota in quella parte del Galles. Ianto Llewellyn era un

uomo che viveva nei dintorni di Llanfihangel non più di cinquanta o

ottanta anni or sono ed aveva una preziosa ragione per credere nelle

Fate. Egli era solito tenere il fuoco di carbone acceso tutta la notte

per pura gentilezza di cuore, in caso i Tylwyth Teg dovessero avere

freddo. Che essi entrassero nella sua cucina ogni notte, lo sapeva

bene; spesso li udiva. Una notte in cui erano lì come al solito, Ianto

giaceva sveglio e li sentì dire: “Vorrei avere un poco di buon pane e

formaggio in questa notte fredda ma il pover‟uomo ne ha ancora solo

un boccone e, anche se è vero che per noi sarebbe un buon pasto, per

lui non è che un boccone e se lo prendessimo lui patirebbe la fame.”

Nell‟udire questo, Ianto gridò con tutto il fiato: “Prendete tutto

quello che ho nella madia e benvenuto a voi!” Quindi si voltò e si

mise a dormire. La mattina seguente, quando scese in cucina, guardò

nella madia per vedere se per caso vi fosse rimasta una crosta. Aveva

appena aperto l‟anta della madia quando gridò: “'O'r anwyl! Cos‟è

questo?” Perché ivi era il miglior formaggio che avesse mai visto in

vita sua, con due pagnotte di pane sopra. “Lwc dda i ti!” gridò Ianto,

facendo cenni con la mano verso il bosco dove sapeva che vivevano

le Fate; “Buona fortuna a voi! Che possiate non avere mai fame o

essere senza soldi!” E, non appena queste parole furono uscite dalla

sua bocca, vide - cosa pensate? - uno scellino sulla mensola! Ma

quello era lo scellino fortunato. Ogni mattina, da quel giorno, quando

Ianto si alzava vi era sulla mensola uno scellino; un altro, sapete,

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perché egli aveva speso il primo in birra e tabacco da accompagnare

al suo pane e formaggio. Bene, dopo questo, nessun uomo dei

dintorni era meglio fornito di denaro di Ianto Llewellyn, anche se

non aveva mai lavorato. Egli ne aveva abbastanza per mantenere

anche sua moglie nel benessere e nell‟agiatezza e gli venne dato il

nome di Ianto il Fortunato. E fortunato avrebbe potuto essere fino al

giorno della sua morte se non fosse stato per la curiosità della donna.

Betsi, sua moglie, era determinata a sapere da dove arrivasse tutto

quel denaro e non dava pace al pover‟uomo. “Wel, naw wfft!”

gridava. “Nove vergogne su di te, perché tieni un cattivo segreto nei

confronti della tua stessa cara moglie!” “Ma lo sai, Betsi, che se te lo

dicessi non avrei mai più denaro.” “Ah,” diss‟ella, “allora sono le

Fate!” “Drato!” disse lui - e significa “piantala di infastidirmi” - “sì,

sono le Fate!” E ficcò le mani nelle tasche dei suoi pantaloni alla

zuava e lasciò la casa. Aveva sette scellini in tasca fino a quel

momento e cercò di sentirli con le dita ma scoprì che erano

scomparsi. Al loro posto, vi erano alcuni pezzi di carta buoni solo per

accendere la pipa. E da quel giorno le Fate non gli portarono più

denaro.

La lezione della generosità viene insegnata con forza e semplicità

nella leggenda di Hafod Lwyddog e la necessità della segretezza

viene pressoché abbandonata. Di nuovo un pastore, che abitava a

Cwm Doli e che ogni estate andava a vivere in una capanna vicino al

Green Lake (Llyn Glas) insieme al suo gregge. Una mattina, al

risveglio vide una graziosa damigella vestire un bambino vicino a

lui. Ella aveva ben poco in cui avvolgere il bambino, così lui le gettò

una delle sue vecchie camicie e le disse di avvolgervi il bambino.

Ella lo ringraziò e se ne andò. Da quella volta, ogni notte il pastore

trovò un pezzo di argento in un vecchio zoccolo nella sua capanna.

Per molti anni questa fortuna continuò e Meirig il pastore divenne

immensamente ricco. Sposò un‟amabile ragazza ed andò a vivere ad

Hafod Lwyddog. Tutto quello che intraprendeva prosperava - e da

qui il nome Hafod Lwyddog, perché Lwydd significa prosperità. Le

Fate fecero visita ogni notte all‟Hafod. Nessuna strega o spirito

maligno poteva fare del male alla sua gente, perché Bendith y

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Mammau venne versata sulla famiglia e su tutti i loro discendenti.

(Cymru Fu, 472)

Naturalmente si è portati a pensare che alimentando la credenza in

storie come queste e come quelle che narreremo oltre, i delinquenti

potrebbero sfruttare questa credenza per tacere sui loro misfatti. Ma,

d‟altra parte, le virtù di ospitalità e generosità erano senza dubbio

altrettanto alimentate. Se qualcuno veniva favorito dalle Fate in tal

modo, la spiegazione immediata era che egli aveva fatto qualcosa di

buono per loro, generalmente senza sospettare di chi si trattasse. La

virtù della pulizia veniva in tal modo incoraggiata nelle giovani

fanciulle e nei servi; la credenza che una Fata avrebbe lasciato del

denaro solo su una mensola tenuta pulita potrebbe tendere a

null‟altro. Altra condizione per compiacere i Tylwyth Teg era che il

focolare fosse accuratamente spazzato ed i secchi lasciati pieni

d‟acqua. Allora le Fate sarebbero arrivate a mezzanotte, avrebbero

continuato la loro baldoria fino all‟alba, cantando il noto motivo di

“Toriad y Dydd” o “L‟Alba”, lasciato un pezzo di denaro sulla

mensola e sarebbero scomparse. Ed ecco una precauzione contro il

fuoco nel focolare spazzato e la provvista di secchi pieni d‟acqua.

Che la ricompensa promessa non arrivasse sempre non era prova che

non sarebbe mai arrivata e così veniva incoraggiata anche la virtù

della perseveranza. Le credenze di questo genere sono largamente

prevalenti tra le genti del nord. Nel folklore danese, il denaro fatato

dato a maleducati si muta talvolta in ciottoli e talvolta diventa

bollente e brucia le loro dita, così che essi lo lasciano cadere ed il

denaro affonda nel terreno.

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XI

L’origine delle Fate gallesi

La teoria realistica - La leggenda del Cancello del Barone - Le

Fate Rosse - La Fata Trwyn ed il gentiluomo proscritto - La

teoria dei Druidi che si nascondono - I colori nelle vesti delle Fate

gallesi - La leggenda della donna prolifica - La teoria poetico-

religiosa - Il credo della scienza

Riguardo all‟origine dei Tylwyth Teg, vi sono due spiegazioni

popolari - una di carattere poetico-religioso e l‟altra pratica e

realistica. Entrambe sono egualmente lontane dalla verità, essendo

stata scoperta l‟origine delle Fate nella mitologia primeva; ma,

essendo il mio scopo quello di evitare l‟allargarsi in direzioni

generalmente note allo studioso, devo solo presentare l‟aspetto locale

di questa, così come delle altre caratteristiche del mio soggetto.

La teoria realistica sull‟origine dei Tylwyth Teg deve essere citata

con rispetto, perché tra i suoi sostenitori vi sono stati uomini di

cultura e buon senso. Questa teoria presume che le prime Fate

fossero uomini e donne mortali fatti di carne e sangue e che le

credenze successive siano una mera eco di storie che un tempo

parlavano di creature reali. A quasi sostegno di questa teoria, vi è una

tradizione ben autenticata che parla di una razza di esseri che, a metà

del XVI secolo, abitavano il bosco del Great Dark Wood (Coed y

Dugoed Mawr), nel Merionethshire, e venivano chiamate le Fate

Rosse. Vivevano in rifugi nel terreno, avevano fieri capelli rossi e

lunghe braccia forti e rubavano di notte pecore e bovini. Vi sono dei

cottage nella parrocchia di Cemmaes, vicino al bosco del Great Dark

Wood, con falci nei camini, che venivano messe lì per tenere alla

larga queste terribili creature.

Una vigilia di Natale, un coraggioso cavaliere di nome Barone

Owen, a capo di una compagnia di guerrieri, assalì le Fate Rosse e le

trovò di carne e sangue. Il Barone ne appese un centinaio ma

risparmiò le donne, una delle quali lo scongiurò con forza di

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risparmiare la vita di suo figlio. Il Barone rifiutò ed ella si aprì il

petto e urlò: “Questo petto ha nutrito altri figli oltre a lui, che

laveranno ora le loro mani nel tuo sangue, Barone Owen!” Non

molto tempo dopo, il Barone cadde in un agguato in un certo luogo

ad opera dei figli della “donna fatata, che lavarono le loro mani nel

suo caldo sangue fumante, a compimento della minaccia della

madre.” Ed a tutt‟oggi quel luogo porta il nome di Llidiart y Barwn

(Cancello del Barone); qualunque contadino della zona potrà

raccontarvi la storia, come uno ha fatto con me. Naturalmente, non vi

sono basi migliori per le figure delle Fate in essa citate delle fantasie

della mente ignorante ma la leggenda in sé è - nella sua forma -

molto vicino alla storia. Gli esseri in questione erano una banda di

fuorilegge, che avevano naturalmente interesse ad alimentare la

credenza nei loro poteri sovrannaturali.

Il cosiddetto Pwca'r Trwyn che infestava la fattoria nei dintorni di

Mynyddyslwyn viene talvolta citato come un altro caso in cui una

Fata era probabilmente di carne e sangue e, se questo fosse vero, non

proverebbe comunque nulla se non l‟adozione di un‟antica credenza

da parte di un nobiluomo gallese proscritto. Dice la tradizione che

questa Fata avesse un nome e che questo nome era “yr Arglwydd

Hywel”, che in Inglese significa “Lord Howell”. E si pensa che

questo Lord, in una battaglia contro le forze del re inglese, ebbe la

peggio e fosse stato costretto a nascondersi; che i suoi inquilini a

Pantygasseg ed alla Trwyn Farm, amando il loro signore, lo abbiano

aiutato a nascondersi ed a spargere la voce che egli era una Fata della

casa, un Bwbach. Si dice che generalmente egli parlasse dalla sua

stanza in questa fattoria con voce gentile che giungeva tra le tavole

nella stanza comune sotto. Un giorno, i servi stavano paragonando

tra loro le loro mani in quanto a grandezza e bianchezza quando

udirono la Fata dire: “La mano del Pwca è la più bella e la più

piccola.” I servi chiesero se la Fata voleva mostrare la sua mano ed

immediatamente venne spostata una tavola dal soffitto ed apparve

una mano, piccola, graziosa e dalla bella forma, con un grande anello

d‟oro al piccolo dito.

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Curiosamente interessante è l‟ipotesi circa l‟origine realistica dei

Tylwyth Teg che venne proposta alla fine del secolo scorso da

diversi scrittori, tra cui il Rev. Peter Roberts, autore del Collectanea

Cambrica. Questa ipotesi afferma che in antico le Fate erano Druidi

che si nascondevano dai propri nemici o, se non loro, altre persone

che avevano un simile motivo per vivere nascoste in luoghi

sotterranei ed avventurarsi all‟esterno solo di notte. “Alcuni nativi

sconfitti”, pensava il Dr. Guthrie, mentre Mr. Roberts immaginava

“siccome gli Irlandesi erano frequentemente sbarcati con intenzioni

ostili in Galles,” era “ben possibile che alcuni piccoli corpi di quella

nazione lasciati indietro o incapaci di ritornare e timorosi di essere

scoperti si fossero nascosti nelle caverne durante il giorno ed

avessero inviato fuori i loro bambini di notte, vestiti in maniera

fantastica, per prendere cibo e fare esercizio e così si siano salvati.”

Ma vi furono delle obiezioni a queste teorie e la teoria dei Druidi fu

la preferita. Dice Mr. Roberts: “Le usanze delle Fate apparivano

evidentemente troppo sistematiche e troppo generali per essere quelle

di un reparto accidentale afflitto. Sono quelle di una consistente e

regolare politica istituita per evitare di essere scoperti ed ispirare

paura del loro potere ed un‟alta opinione della loro benevolenza. Di

conseguenza, la tradizione nota che il tentare di scoprirli significava

incorrere in distruzione certa. “Essi sono Fate”, dice Falstaff: “colui

che le guarda morirà.” Esse non dovevano essere ostacolate nel loro

andare e venire; una ciotola di latte doveva essere lasciata sul

focolare per loro di notte e, in cambio, essi lasciavano un piccolo

dono in denaro quando se ne andavano, se la casa veniva tenuta

pulita; altrimenti, esse infliggevano qualche punizione al negligente,

il quale, siccome guardarli significava la morte, era obbligato a

soffrire e senza dubbio gli venivano giocati vari scherzi in quelle

occasioni. Il loro vestiario generale era verde, in modo da potersi

nascondere meglio; e, siccome i loro bambini avrebbero potuto

tradire il luogo in cui essi sono, pare abbiano sopportato il dovere

uscire solo di notte e di divertirsi con le danze nelle notti di Luna.

Queste danze, come quelle intorno al Palo di Maggio, si dice fossero

eseguite intorno ad un albero e su un luogo elevato, principalmente

un tumulo, accanto al quale vi era probabilmente la loro dimora o la

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sua entrata. Le persone anziane, probabilmente, si sono mescolate

per quanto potevano con il mondo e, se accadeva talvolta che

venissero riconosciute, la certezza della vendetta era la loro salvezza.

Se, per caso, la loro società veniva assottigliata, pare che rapissero

bambini e cambiassero bambini fragili con bambini forti. Ai bambini

rapiti, se erano oltre l‟infanzia, che venivano portati nelle loro

dimore sotterranee pare venissero dati dei soporiferi e che venissero

trasportati in una zona distante del paese; qui veniva permesso loro

di uscire solo di notte ed essi scambiavano la notte per il giorno e

probabilmente non venivano disingannati fino a quando non lo si

poteva fare in sicurezza. La regolarità e la generalità di questo

sistema mostra che vi era un corpo di persone esistente nel regno

diverso dai suoi abitanti conosciuti e erano o confederati o obbligati

a vivere o a incontrarsi misteriosamente; ed i loro riri, in particolare

quello del danzare intorno ad un albero, probabilmente una quercia

come quella di Herne, ecc., così come il loro amore per la verità e la

probità, li riporta ad un‟origine druidica. Se questo fosse vero,

sarebbe facile concepire - come invero la storia dimostra - che,

siccome i Druidi vennero perseguitati dai Romani e dai cristiani, essi

possano avere usato questi mezzi per conservare se stessi e le loro

famiglie e, siccome il paese era poco popolato e densamente

boscoso, lo possano avere fatto con successo e, magari, fino ad un

periodo più tardo di quanto si immagina - fin quando l‟incremento

della popolazione non lo ha reso impossibile. Essendo quella

druidica una delle religioni più antiche, dev‟essere stata una delle

prime ad essere perseguitate e costretta a formare un piano regolare

di sicurezza che il loro dimorare in caverne può avere suggerito e la

necessità migliorato.

Si osserverà che uno dei punti di questa curiosa speculazione si basa

sugli abiti verdi delle Fate. Non richiamo l‟attenzione su di essi con

uno scopo quixotico di controversia sulle conclusioni che se ne

possono trarre; è molto più interessante in quanto caratteristica del

soggetto generale del vestiario delle Fate. Le Fate gallesi vengono

descritte dettagliatamente in abiti i cui colori non si incontrano

comunemente nelle storie di Fate, un fatto a cui ho già fatto cenno in

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precedenza. Nella leggenda del Luogo della Contesa, i Tylwyth Teg

incontrati dalle donne vengono chiamati “i vecchi Elfi dalla

sottoveste blu”. E‟ stato qui suggerito un collegamento con il blu del

cielo; è stato anche evidenziato che la veste sacra dei Druidi era blu.

La fantasia della sottoveste blu pare essere locale del Nord del

Galles. Nel Cardiganshire, la tradizione che riguarda un

accampamento chiamato Moyddin, frequentato dalle Fate, è che esse

vestano sempre in verde e non sono mai state viste là se non nel mese

primaverile di maggio. C‟è un Folletto del Glamorganshire chiamato

la Dama Verde di Caerphilly il colore dei cui abiti viene indicato dal

suo nome. Ella infesta le rovine del castello di Caerphilly di notte

indossando una veste verde ed ha il potere di mutarsi in edera e

mescolarsi all‟edera che cresce sul muro. Un modo più ingenuo di

sbarazzarsi di un Folletto non è forse mai stato inventato. Le Fate di

Frennifawr, nel Pembrokeshire, erano al contrario in uno sfarzoso

scarlatto, con cappelli rossi e piume che ondeggiavano al vento

mentre danzavano. Ma altre erano in bianco e questa pare essere la

tinta preferita dei moderni abiti delle Fate gallesi quando sono in

tenuta da festa. Questi vari dettagli sui colori sono dovuti al fervore

della fantasia gallese, naturalmente, e forse la loro varietà deve

essere in parte ascritta ad un senso più intenso della forma delle cose

tra i moderni di quanto lo fosse in tempi precedenti. Il bianco, per i

Gallesi, sarebbe naturalmente il colore preferito per una bella

creatura che danza alla luce lunare su una vellutata zolla erbosa. Il

nomignolo più popolare per una fanciulla gallese è oggi esattamente

quello che è stato per secoli e cioè Gwenny, diminutivo di Gwenllian

(anglicizzato in Gwendoline) - un nome che significa semplicemente

“lino bianco” e l‟abito preferito delle Fate è indubbiamente un abito

di lino bianco. Questa fibra, comune com‟è ai nostri giorni, nei tempi

antichi era di inestimabile valore. Nei Mabinogion, il lino viene

ripetutamente citato nelle magnifiche descrizioni dello splendore da

favola dei castelli principeschi - lino, seta, satin, velluto, pizzo dorato

e gioielli sono le caratteristiche costanti di una dimora sontuosa. Nel

suo resoconto sulle tribù reali del Galles, in Wales Yorke cita che il

lino era così raro sotto il regno di Charles VII di Francia (cioè nel

XV secolo) “che sua maestà la regina poteva vantarsi di avere solo

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due pezze di quel lusso”.

Il primo motivo per la bianchezza delle vesti delle Fate si può qui

comprendere facilmente ed in Galles l‟antico amore per il bianco

permane tuttora. I contadini gallesi, che si vestono con colori scuri ed

in maniera grossolana, fanno del bianco un colore puro della festa e

progettano ogni altra tinta per le Fate più comuni, come il Beach e

simili:

La Fata grezza di campagna,

Che infesta il focolare e la cascina.

(Jonson, Masque of Oberon)

Così, il Beach è solitamente marrone e spesso irsuto ed i Coblynau

sono neri o color del rame in volto, così come nei loro abiti.

Una leggenda locale sull‟origine delle Fate in Anglesea mescola il

pratico allo spirituale in tal modo:

“Al tempo del nostro Salvatore viveva una donna la cui fortuna era di

avere molti figli… e quando ella vide il nostro benedetto Signore

avvicinarsi alla sua dimora, vergognandosi di essere così prolifica e

temendo che Lui potesse non vedere tutti, ella ne nascose metà e,

dopo la sua partenza, quando andò a cercarli, con sua grande

sorpresa scoprì che se ne erano tutti andati. Non vennero mai più

trovati e si suppose che quella fosse una punizione celeste per avere

nascosto quanto Dio le aveva donato; ella ne venne privata e si dice

che la sua prole abbia generato la razza chiamata Fate.” (Camb. Sup.,

118)

La teoria popolare in Galles, comunque, è quella poetico-religiosa. In

poche parole, è la credenza che i Tylwyth Teg siano le anime dei

morti non abbastanza cattivi per l‟inferno né abbastanza buoni per il

paradiso. Essi sono condannati a vivere sulla terra, a dimorare in

luoghi segreti fino al giorno della resurrezione, quando saranno

ammessi in paradiso. Nel frattempo, essi devono lavorare

incessantemente o giocare incessantemente ma il loro lavoro è senza

frutto ed il loro piacere insoddisfacente. Una variazione di questa

credenza generale vede queste anime come quelle degli antichi

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Druidi, una fantasia particolarmente impressionante, in quando

indica la durata della loro pena e ci ricorda dell‟Ebreo Errante del

mito. Viene confinata principalmente ai Coblynau, o abitatori delle

miniere e delle caverne. Un‟altra variante considera le Fate spiriti

maligni di origine ancora più remota - gli stessi che furono gettati giù

dal cielo insieme a Satana durante la battaglia ma non caddero

nell‟inferno, atterrando invece sulla terra, dove viene loro permesso

di rimanere sino al giorno del giudizio, come sopra. Un dettaglio di

questa teoria spiega la rara apparizione delle Fate al giorno d‟oggi -

esse si astengono dal fare del male in vista dell‟avvicinarsi del

giudizio, con la speranza di conciliarsi in tal modo il paradiso.

Il Profeta Jones, nello spiegare il perché le Fate sono state così attive

in Galles, espone la teoria poetico-religiosa in forma egregia. Dopo

avere affermato che alcuni nel Monmouthshire erano così ignoranti

da pensare che le Fate fossero spiriti felici perché avevano la musica

e la danza, egli procede affermando nei termini più enfatici che i

Tylwyth Teg non sono altro, “dopo tutto il parlare che se ne è fatto”,

che spiriti disincarnati di uomini che vissero e morirono senza potere

godere dei mezzi di grazia e salvezza come Pagani ed altro e la cui

punizione è perciò molto meno severa di quella di coloro che hanno

goduto dei mezzi di salvezza. Ma alcune persone potrebbero

desiderare di sapere perché queste Fate sono apparse di più in Galles

che in alcuni altri paesi. Ed io rispondo che non posso dare altra

ragione che questa - che, avendo perduto la luce della vera religione

nell‟VIII e X secolo del cristianesimo ed avendo invece ricevuto il

Papato, su di loro cadde la notte oscura; ed allora questi spiriti delle

tenebre divennero più coraggiosi e intrusivi e la gente, come ho detto

prima, nella loro grande ignoranza li vedeva come una compagnia di

bambini in luoghi asciutti che danzava e faceva musica e pensava

che fossero delle creature felici… e dava loro il benvenuto nelle

proprie case… I Gallesi entrarono in familiarità con le Fate al tempo

di Henry IV ed il male allora aumentò; le severe leggi di quel

principe imponevano, tra le altre cose, che essi non dovessero istruire

i loro figli, ecc., per cui una totale tenebra venne su di loro; quelle

leggi crudeli vennero promulgate a causa della ribellione di Owen

Glandwr e dei Gallesi che si unirono a lui, pensando scioccamente di

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liberarsi dal giogo sassone prima di essersi pentiti dai propri

peccati.”

Quali che siano le cause localmente accettate, è fuor di dubbio che

nel folklore fatato del Galles, come in quello di altre terre, si

ritrovano i debris di un‟antica mitologia - scintillanti frammenti di

quelle costellazioni magiche che splendono nell‟oscurità del tempo

primevo, grandi e maestose come il vasto Ignoto da cui esse si sono

evolute grazie alla fantasia. Con l‟aiuto della moderna ricerca

scientifica, “quelle epoche che i miti dei secoli hanno popolato di

ombre eroiche” (Marchese di Bute nel parlare al Royal

Archaeological Institute, incontro di Cardiff) ci vengono portate più

vicino e l‟umile Tylwyth Teg gallese può ritornare e dare la mano

agli Dei olimpici.

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© Elfi Edizioni

Titolo originale: British Goblins - Welsh Folk-lore, Fairy

Mythology, Legends and Traditions

Autore: Wirt Sikes

Traduzione, impostazione grafica interna ed

impaginazione: L.Milani

Impostazione grafica di copertina: G.Venturi

Immagini interne e di copertina tratte da Microsft Office,

Corel Draw, T.H. Thomas (illustrazioni interne originali)

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può

essere usata o riprodotta in alcun modo ed in alcun luogo,

compreso l’uso in Internet, senza il permesso scritto della

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