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Bimestrale di cultura e attualità, sociale e religiosa FAMIGLIA DIRITTO ALLA VITA SICUREZZA FAMIGLIA DIRITTO ALLA VITA SICUREZZA Bimestrale di cultura e attualità, sociale e religiosa Anno V - numero 1 Gennaio-febbraio 2008 “Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in legge 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 - ACB Latina” Bimestrale di cultura e attualità, sociale e religiosa Anno V - numero 1 Gennaio-febbraio 2008 “Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in legge 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 - ACB Latina”

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Bimestrale di cultura e attualità, sociale e religiosa

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3Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

4 EditorialeAldo Iaquinta

Il nuovo ‘Centro di politica europeadella migrazione’

6 Una occasionedi crescita morale e civileConferenza Episcopale ItalianaRoma, 10-13 marzo 2008Angelo Bagnasco

7 L’autoproclamazionedi indipendenza del KosovoLa missione Eulex

8 Una ricetta per aiutare l’Africa

9 La rilevanza pubblica delle religioniAngelo Scola

11 EutanasiaGiulio Cerchietti

12 28° anniversario della Convenzionesui diritti del fanciulloBenito Battigaglia

14 I tumori epatici:una nuova opzione terapeuticaRoberto Cianni, Rita Salvatori

15 Il dialogo di Benedetto XVIcon i 138 saggi musulmaniSpiragli di dialogoRedazionale

19 Polizze e fede

20 Europa … cristiana?Attualità e recensioni

22 50° Anniversariodel Parlamento EuroopeoIl sogno dei padri dell’Europaè ancora attuale?

Europa CristianaAnno V - numero 1gennaio-febbraio 2008Periodico bimestrale di culturae attualità sociale e religiosaRegistrato il 30.9.2005presso il Tribunale di Romaal numero 377/05

Editore:I.C.E.Iniziative Cristiane Editoriali s.r.l.Piazza dei Carracci 100196 RomaP.I. e C.F. 09042481003

Direttore Responsabile:Prof. Avv. Franco Ciufo

Comitato di Redazione:Aldo IaquintaGiulio CerchiettiFranco CiufoBenito BattigagliaPaolo RicciGianni ZucchiGiuseppe Failla

Capo Redattore:Dott. Gianni Zucchi

Progetto grafico,fotocomposizione e stampa: Arti Grafiche Caramanica s.r.l.Via Appia 814 - Marina di Minturno (LT)

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In copertina: Roma, Basilica di San Paolo fuori le Mura (particolare)

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EditorialeAldo Iaquinta

4 Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

I In questo periodo storico in cui assistiamo sem-pre più in tutte le analisi dei comportamenti so-ciali a una deriva qualunquista, priva di valori di ri-

ferimento per l’individuo e la collettività che lo acco-glie, dal concepimento alla morte, si alza sempre piùchiara e forte la voce del nostro amato Pontefice cheassume la grandezza di un padre generoso e affettuo-so pronto a sorreggerci e indirizzarci verso quei com-portamenti che dal profondo delle nostre coscienzeriemergono comunque sempre come gli unici a darcila vera speranza, individuale e comunitaria.Mi piace quindi ricordare in quest’occasione alcunisuoi richiami che hanno riempito le cronache di que-ste ultime settimane, tutti correlati a quel fattor co-mune che più semplicemente possiamo chiamare’ di-fesa della vita’, in tutte le sue manifestazioni edespressioni .Prendo spunto dalla “Giornata per la Vita”, promossadalla Conferenza episcopale italiana, che si è celebra-ta il 3 febbraio scorso, durante la quale BenedettoXVI ha riaffermato che “ognuno, secondo le propriepossibilità professionalità e competenze si sentasempre spinto ad amare e servire la vita, dal suo ini-zio al suo naturale tramonto. È infatti impegno di tut-ti accogliere la vita umana come dono da rispettare,tutelare e promuovere, ancor più quando essa è fra-gile e bisognosa di attenzioni e di cure, sia prima del-la nascita che nella sua fase terminale”.“Mi unisco ai vescovi italiani - ha detto ancora il Papa- nell’incoraggiare quanti, con fatica ma con gioia,senza clamori e con grande dedizione, assistono fa-miliari anziani o disabili, e a coloro che consacranoregolarmente parte del proprio tempo per aiutarequelle persone di ogni età la cui vita è provata da tan-te e diverse forme di povertà”.E questo appello di Benedetto XVI contro l’aborto el’eutanasia è arrivato il giorno dopo la presentazionedi un documento congiunto, firmato dai direttori del-le cliniche di Ostetricia e Ginecologia di tutte e quat-tro le facoltà di Medicina delle università romane: LaSapienza, Tor Vergata, la Cattolica e il Campus Biome-dico, presentato al termine di un convegno all’ospe-dale Fatebenefratelli di Roma, in occasione dellaGiornata della Vita.“Un neonato vitale, in estrema prematurità, va tratta-to come qualsiasi persona in condizioni di rischio, eassistito adeguatamente” si legge nel documentocongiunto.

Secondo i cattedratici, infatti, “con il momento dellanascita la legge attribuisce la pienezza del diritto allavita e, quindi, all’assistenza sanitaria”. Di fatto, nelcaso in cui un feto nasca vivo dopo un’interruzione digravidanza, il neonatologo deve intervenire per riani-marlo, “anche se la madre è contraria, perché preva-le l’interesse del neonato”. “Nell’immediatezza dellanascita il medico deve agire in scienza e coscienzasull’opzione di rianimare, indipendentemente dai ge-nitori, a meno che non si palesi un caso di accani-mento terapeutico”.Forte anche l’altro richiamo sulla ferma e costantecondanna etica di ogni forma di eutanasia diretta, se-condo il plurisecolare insegnamento della Chiesa,nelle parole pronunciate il 25 febbraio scorso da Be-nedetto XVI nel discorso al congresso promosso inVaticano dalla Pontificia Accademia delle Vita dove havoluto ribadire “ancora una volta” la posizione dellaChiesa contro quelle che ha definito “spinte eutana-siche”, dettate da una “visione utilitaristica nei con-fronti della persona”.Secondo il Pontefice, “in una società complessa, for-temente influenzata dalle dinamiche della produttivitàe dalle esigenze dell’economia, le persone fragili e lefamiglie più povere rischiano, nei momenti di difficol-tà economica o di malattia, di essere travolte”. Perquesto serve “lo sforzo sinergico della società civile edella comunità dei credenti deve mirare a far sì che tut-ti possano non solo vivere dignitosamente e respon-sabilmente, ma anche attraversare il momento dellaprova e della morte nella migliore condizione di frater-nità e di solidarietà, anche là dove la morte avviene inuna famiglia povera o nel letto di un ospedale”.“Tutta la società mediante le sue istituzioni sanitariee civili - ha detto il Papa - è chiamata a rispettare la vi-ta e la dignità del malato grave e del morente.”Per quanto riguarda “le terapie significativamente ri-schiose o che fossero prudentemente da giudicare‘straordinarie’”, Benedetto XVI ha ricordato la tradi-zionale posizione della morale cattolica, per la quale“il ricorso ad esse sarà da considerare moralmentelecito ma facoltativo”. “Inoltre - ha continuato il Pa-pa - occorrerà sempre assicurare a ogni persona lecure necessarie e dovute, nonché il sostegno alle fa-miglie più provate dalla malattia di uno dei lorocomponenti, soprattutto se grave e prolungata. An-che sul versante della regolamentazione del lavoro,solitamente si riconoscono dei diritti specifici ai fa-

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5Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

Il nuovo ‘Centro di politica europea della migrazione’

miliari al momento di una nascita; in maniera analo-ga, e specialmente in certe circostanze, diritti similidovrebbero essere riconosciuti ai parenti stretti almomento della malattia terminale di un loro con-giunto”.“La società - ha scandito - non può mancare di assi-curare il debito sostegno alle famiglie che intendonoimpegnarsi ad accudire in casa, per periodi talora lun-ghi, malati afflitti da patologie degenerative o biso-gnosi di un’assistenza particolarmente impegnativa.Una società che non riesce ad accettare i sofferenti enon è capace di contribuire mediante la compassionea far sì che la sofferenza venga condivisa e portataanche interiormente è una società crudele e disuma-na”. Nel suo discorso, Benedetto XVI ha sottolineato“in modo speciale”, la necessità del “concorso di tut-te le forze vive e responsabili della società per quelleistituzioni di assistenza specifica che assorbono per-sonale numeroso e specializzato e attrezzature diparticolare costo”.E su quest’ultimo tema, fonte di dolorose lacerazioni

delle coscienze individuali mi piace rimandarvi alle ri-flessioni di padre Cerchietti che troverete in altra par-te di questo numero della rivista.Prima di concludere questo dialogo con voi lettorisento comunque di dover esprimere anche alcunebrevi considerazioni in merito ad un evento ‘laico’che coinvolgerà tutti noi italiani, le cui dimensioni edi cui effetti avranno comunque ricadute su tutti noi,sia come singoli individui sia come membri di quellacomunità che tutti noi amiamo e vorremmo rispetta-ta in tutto il mondo.Mi riferisco ovviamente al prossimo rinnovo del Parla-mento italiano.Non credo sia facile per nessuno di noi fornire indica-zioni o suggerimenti “certi” in materia ma credo fer-mamente che, nella semplicità del messaggio formu-lato dal Presidente della CEI, Card. Bagnasco, possa-no essere trovati tutti gli spunti per favorire la propriariflessione individuale.Un sincero augurio di buona Pasqua a tutti voi ed allevostre famiglie.

Una delle massime priorità politiche dell’Unione eu-ropea è concertare e attuare una politica europea

della migrazione che sia efficace e lungimirante per il be-ne di tutti: Stati membri, cittadini dell’UE e migranti. Lastrategia europea di migrazione abbraccia aspetti diver-si, come le esigenze del mercato del lavoro in Europa, icambiamenti demografici, l’integrazione degli immigratiin società sempre più multiculturali e multietniche, lalotta all’immigrazione clandestina, ferma restando l’esi-genza di garantire ai cittadini del-l’Unione la libertà di circolare incondizioni di sicurezza. A soste-gno delle politiche che affrontanotali complesse tematiche, l’Unio-ne dovrebbe creare una piattafor-ma speciale in cui la ricerca si con-centri sulle necessità in evoluzio-ne della politica in materia di ge-stione dei flussi migratori.Franco Frattini, vicepresidentedella Commissione europea, responsabile per il settoreGiustizia, Libertà e Sicurezza, dà pieno sostegno all’ini-ziativa: “Una migrazione opportunamente gestita puòessere benefica per l’Unione ma pone comunque impor-tanti sfide. Mai come ora i responsabili politici devonoadattare le strategie a un contesto in rapida evoluzione.È urgente che la ricerca nel campo della migrazione siconcentri maggiormente sulle sfide costantemente nuo-ve della globalizzazione. L’obiettivo principale del nuovo

Centro di politica europea della migrazione sarà quellodi tradurre la ricerca in raccomandazioni politiche reali-stiche contribuendo in tal modo ad orientare le strate-gie europee. L’Europa ha bisogno che la ricerca stia dal-la sua parte.”Il Centro, da un canto, svilupperà strumenti specificivolti a porre i risultati della ricerca al servizio del proces-so di elaborazione e di azione politica e, dall’altro, forni-rà ai responsabili politici e alle altre parti interessate

metodologie che rispondano alleesigenze di gestione dell’immigra-zione. Inoltre il Centro sosterrà siala produzione e l’uso efficiente dibanche dati sui principali aspettidella migrazione (demografico,economico, sociale, giuridico epolitico) sia la raccolta delle buo-ne e cattive pratiche.Il Centro dovrebbe riunire un am-pio gruppo di studiosi e intellet-

tuali che faranno avanzare il pensiero europeo e mon-diale sulle tematiche relative alla migrazione confron-tando e discutendo idee ed opinioni di esponenti dagliinteressi divergenti, in autonomia di giudizio e applican-do standard scientifici elevati. Il nuovo Centro, che avràsede presso l’Istituto universitario europeo (IUE) di Fi-renze, che già svolge ricerche altamente specializzatenel campo delle politiche migratorie europee e interna-zionali, inizierà ad operare nell’autunno 2008.

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6 Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

...Anoi Vescovi può essere chiesto di dire unaparola sull’atteggiamento interiore con cuiil Paese si accinge ad affrontare questo ap-

puntamento (rinnovo del Parlamento Italiano, ndr), tra ipiù alti del costume democratico. In questa prospettiva,auspichiamo che la circostanza si riveli. E può realmenteaccadere se, nelle circostanze date, e pur nell’inevitabiledialettica connessa agli appuntamenti elettorali, la co-munità nazionale impara a volersi più bene, e a voler be-ne al proprio futuro. Se il Paese prende coscienza che c’èuno zoccolo comune che unisce tutti prima delle fisiolo-giche diversità e delle inevitabili competizioni. È infatti laconsapevolezza di appartenere ad un destino comuneche può proficuamente ispirare i comportamenti di cia-scuno, e può motivare l’affezione e lo slancio partecipa-tivo alla cosa pubblica. L’Italia ha bisogno di un sopras-salto di amore per se stessa, per ricomprendere le pro-prie radici e dare slancio al proprio avvenire, interpretan-do adeguatamente il proprio compito nel concerto dellenazioni. Facciamo in modo dunque che risalti la civiltàdella politica, e le sue acquisizioni volte al rispetto dellapersona e allo sviluppo della comunità…… Ebbene, sarà ancora consentito a chi come noi, giàdal nome (epi-scopos), deve guardare pure lontano, didire fin d’ora una parola pacata e serena a quanti saran-no eletti nel Parlamento della XVI legislatura. E dirla per-ché non possiamo tacere quello che raccogliamo dallavoce diretta della gente tra la quale e per la quale noi,con i nostri sacerdoti, viviamo, condividendo pure ten-sioni e sofferenze, fino a subire minacce, come è acca-duto anche recentemente a un no-stro Confratello in Sicilia, al qualeva la nostra solidarietà. Le attesepiù urgenti e i problemi indilazio-nabili che la popolazione avvertecon crescente disagio e per i qualiattende risposte credibili, concretee rapide. In estrema sintesi e sem-plificando potremmo parlare del“problema della spesa”. Se da unaparte è indicativo che nei program-mi delle varie liste si rincorrano,pur con termini diversi, una serie diimpegni comunemente avvertiti -dall’aumento dei salari minimi, alladifesa del potere d’acquisto dellepensioni, dall’emergenza abitativaalle iniziative di sostegno della ma-ternità, dalle misure per una mag-

giore sicurezza nei posti di lavoro, al miglioramento dialcune fondamentali infrastrutture a servizio anche deipendolari … - dall’altra vorremmo che all’indomani delvoto ci fosse una spinta convergente, nel rispetto dei

ruoli che il corpo elettorale vorrà asse-gnare, per affrontare realmente questesituazioni, stando al largo dalle stru-mentalità e dalle speculazioni, per dareun miglioramento effettivo alle condi-zioni di vita della parte più consistentedella popolazione.Dobbiamo uscire dall’individualismo,dal pensare egoisticamente solo a sestessi e alla propria categoria nella di-menticanza di tutti gli altri: ce la faremose anche la politica farà la sua parte.Essa peraltro ha un’insopprimibile va-lenza di esemplarità. Occorre che il per-sonale politico questo lo tenga presen-te sempre, abbandonando a sua voltauna politica troppo politicizzata, perrestituire alla stessa uno spessore eticoche solo può fare da collante.”

Una occasione di crescita morale e civileConferenza Episcopale Italiana - Roma, 10-13 marzo 2008Prolusione del Presidente CEI Card. Angelo Bagnasco

Dobbiamo uscire dall’in-dividualismo, dal pensa-re egoisticamente solo ase stessi e alla propriacategoria nella dimenti-canza di tutti gli altri: cela faremo se anche lapolitica farà la sua par-te. Essa peraltro haun’insopprimibile valen-za di esemplarità.

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7Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

La Provincia serba del Kosovoha dichiarato il 17 febbraioscorso, per la seconda volta

nella sua storia tormentata, la suaindipendenza.Per un breve periodo di tempo agliinizi degli anni novanta e dopo ladissoluzione della Federazione Ju-goslava, il Kosovo era diventatouno Stato apparentemente sovranoed indipendente, riconosciuto perragioni di vicinanza geografica edetnica dalla sola Albania, in unastrana situazione in cui sullo stessoterritorio conviveva – in una sorta diguerra fredda – il controllo ammini-strativo della Serbia.I Serbi certamente non possono di-menticare che il Kosovo è stato du-rante il Medio Evo un simbolo dellaloro identità ed il centro dell’impe-ro di Stefano Dusan prima che essofosse occupato dai Turchi dopoun’epica battaglia contro i cattolicinel 1389.Riconquista l’indipendenza, il Koso-vo ha subito nei secoli un gradualemutamento etnico e demografico afavore della primitiva minoranza al-banese, con flussi migratori dalla vi-cina Albania e dalla regione dellaMacedonia, cosicché al nazionali-smo serbo si sostituì alla finedell’800 il nazionalismo albanesecon la Lega di Prizren.Annesso di nuovo alla Serbia do-po la prima guerra balcanica del1912, il Kosovo è tornato così alsuo stato di provincia fino alla dis-soluzione della Federazione Jugo-slava salvo il breve periodo di tem-po in cui Hitler e Mussolini ne fece-ro dono con la forza all’Albania oc-cupata dalle loro armate.Prima sotto Tito e poi sotto Milose-vic la provincia del Kosovo avevaottenuto autonomia amministrativafino a quando Milosevic decise diannullarla definitivamente nel 1990

provocando il movimento non-vio-lento di Rugova e la successiva di-chiarazione dello Stato indipenden-te inizialmente tollerato dalla Ser-bia. La linea non-violenta è stata alungo condivisa dalla maggioranzadei Kosovari che a più riprese glihanno concesso la fiducia negan-dola invece al violento Thaci.Tutti ricordano il dramma dell’au-mento delle tensioni etniche alla fi-ne degli anni ‘90 e la decisione ser-ba di tentare la via della pulizia na-zionalista della provincia costrin-gendo centinaia di migliaia dikosovari di origine albanese alla fu-ga così come ricordano la decisionedella NATO di attaccare – al di fuoridel quadro di riferimento delle Na-zioni Unite – la Serbia nel marzo1999 per costringere Milosevic a ri-nunziare alla sua violenta politicanazionalista.Da allora in poi e sulla base della ri-soluzione 1244 delle Nazioni Uniteche garantisce – o dovrebbe garan-tire – la sovranità e l’integrità terri-toriale della Serbia, la pace non èmai tornata nella provincia ri-schiando di trascinare nella violen-za anche la vicina Macedonia e l’Al-bania per ragioni appunto di vici-nanza etnica. Alla crescente ege-monia dell’UCK si è accompagnata

non casualmente la crescita dellacriminalità organizzata che ha tro-vato e trova alleati anche in Italianella ‘ndrangheta calabrese e nellacamorra napoletana.La diplomazia internazionale, primacondotta dagli Stati Uniti e poi dal-la Francia, ha fallito varie volte isuoi tentativi di trovare una solu-zione alle tensioni nella regionementre l’opera di polizia internazio-nale che era stata efficace controMilosevic non ha funzionato controThaci nonostante la presenza nelKosovo di una importante base mi-litare statunitense.Si è giunti in questa situazione alladichiarazione di indipendenza del17 febbraio, al riconoscimento diuna consistente minoranza di Stati(40) e soprattutto di Stati Uniti,Francia, Germania, Regno Unito edItalia ma anche delle preannunciatereazioni dure della Serbia e dell’al-leata Russia.L’Unione europea si è divisa sullaquestione del riconoscimento poi-ché alcuni Stati come la Spagnahanno temuto e temono il virus delnazionalismo etnico ma l’Unioneeuropea non si è invece divisa sullaquestione dell’invio di una consi-stente missione di polizia e magi-stratura (oltre duemila persone) cheaffiancherà la presenza dei militaridella NATO facendo del Kosovo unasorta di protettorato dell’UnioneEuropea.In tal modo e tenuto conto delloschieramento qualitativamenteconsistente a favore dell’indipen-denza serve ora a ben poco discu-tere sull’opportunità o meno diprocedere al riconoscimento delKosovo come Stato indipendente.L’Unione Europea, che contribuiscecon uomini e mezzi militari e finan-ziari consistenti a molte missioniumanitarie nel mondo non diretta-

L’autoproclamazione diindipendenza del Kosovo

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8 Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

mente a suo nome ma attraverso isuoi Stati membri, sarà chiamata aldifficile compito di far fronte al-l’emergenza evitando l’aggrava-mento del conflitto - per ora fortu-natamente “freddo” – con la Serbiae contribuendo con fermezza edazioni comuni alla lotta contro lacriminalità organizzata e controeventuali violenze etniche dall’unae dall’altra parte.

Oltre l’emergenza, l’Unione Euro-pea dovrà proseguire sulla via diuna sempre crescente integrazionedei Balcani all’interno del suo siste-ma nella prospettiva dell’adesionedei paesi usciti dalla dissoluzionedella Federazione Jugoslava. Nellaprospettiva – resa purtroppo ambi-gua dai molti “distinguo” nazionali-sti richiesti ed accettati al momentodella firma – dell’entrata in vigore

del Trattato di Lisbona, il dossierdel Kosovo rappresenta un test perprovare che la politica estera e di si-curezza può funzionare secondo ilsistema confederale imposto daigoverni nazionali o per dimostrareche la capacità di intervento del-l’Unione Europea nel mondo richie-de volontà, poteri e ulteriori stru-menti rispetto a quelli che ad essasono stati assegnati.

«Investimenti in Africa: dall’Ita-lia una vera “rivoluzione”» erail titolo di un lancio d’agenzia

di alcuni giorni or sono che sintetiz-zava il contenuto del discorso rivoltonel mese scorso dal ministero degliAffari Esteri italiano ai diplomaticiafricani accreditati a Roma, duranteun incontro al quale hanno inoltrepartecipato tre enti pubblici: l’Ice,Istituto per il commercio con l’este-ro, la Sace, Società italiana di assicu-razione per il commercio estero, e laSimest, Società finanziaria a parteci-pazione pubblica e privata per le im-prese italiane all’estero. La «rivolu-zione» consisterebbe nel vedere gliStati africani, soprattutto quelli sub-shariani, non più come destinatari diaiuti essenzialmente umanitari, macome partner con cui collaborare infunzione di una loro crescita econo-mica che, secondo la Farnesina, è or-mai una realtà concreta, provata daitassi di incremento mediamente po-sitivi degli ultimi quattro anni.C’è solo da sperare che vengano va-lutati, con la massima competenza, irischi, nonché i costi e i ricavi dei no-stri futuri interventi economici inAfrica. La situazione economica ita-liana, infatti, non consente opera-zioni come quelle effettuate negli ul-timi anni, ad esempio con la cancel-

lazione di un debito di 44 milioni dieuro concessa nel 2007 al corrottogoverno del Kenya, e comunque im-perdonabili anche in tempi di pro-sperità. Non si può pensare di molti-plicare gli investimenti pubblici e pri-vati, tanto meno seguendo le indica-zioni dei governi africani, in paesidevastati dalla corruzione che per-vade le istituzioni statali e che impe-disce quasi ovunque di trasformarein volani di sviluppo persino gli enor-mi proventi delle attività estrattive,senza le quali, difatti, non si avreb-bero i tassi medi di crescita superio-ri al 5% registrati nel 2006 e nel2007.Non per niente l’Africa continua a es-sere l’unico continente in cui la po-vertà aumenta sia in termini assolutiche relativi, come ha appena confer-mato il rapporto presentato dallaCommissione economica per l’Africaad Addis Abeba, Etiopia, nel corso diun incontro interregionale sulla ca-pacità produttiva dei paesi in via disviluppo, organizzato dalla Confe-renza delle Nazioni Unite sul com-mercio e lo sviluppo. Di qui l’instabi-lità di tanti Stati, come ben sa la Far-nesina la cui Unità di Crisi incaricatadi vigilare sulla sicurezza dei nostriconnazionali all’estero non conoscetregua dall’inizio dell’anno: prima per

la violenza scatenatasi all’indomanidelle elezioni generali in Kenya, poiper l’assalto in Ciad delle milizie anti-governative alla capitale N’djamena eadesso per via del Camerun, l’ex co-lonia tedesca produttrice di petroliodove si stanno verificando i disordinipiù gravi da 15 anni a questa parte,scoppiati in seguito agli insostenibiliaumenti dei prezzi dei generi di primanecessità e dei trasporti.Quanto agli aiuti umanitari, che do-vrebbero lasciare il posto agli inve-stimenti produttivi, non c’è da farsiillusioni. Nel breve e medio periodo,se si vogliono salvare vite umane,dovranno essere non soltanto ricon-fermati, ma accresciuti, sperandoche vengano amministrati meglio diquanto non sia stato fatto finora.Aumenterà anche, peraltro, la richie-sta di fondi per missioni di interposi-zione e di peacekeeping sia per in-tervenire in nuovi scenari di crisi siaper sostituire o affiancare le missionidell’Unione Africana già operative,ad esempio, in Sudan, Somalia e Iso-le Comore.

Una ricetta per aiutare l’Africa

Il 16 febbraio 2008 l’Unione Europea, un giorno primadell’annunciata proclamazione d’indipendenza, ha ap-

provato l’invio di una missione civile internazionale inKosovo (chiamata “EULEX”), per accompagnare il Paese

in questo periodo di transizione. La missione compren-derà 2000 uomini (fra i quali 200 italiani), e avrà l’obiet-tivo di sostenere le autorità kossovare nel mantenimen-to della sicurezza e dell’ordine pubblico. Da parte serbaè stato fatto notare come da un punto di vista formaletale missione, priva di un mandato diretto da parte del-l’ONU, sia quantomeno di dubbia legalità.

La missione EULEX

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La rilevanza pubblica delle religioniCard. Angelo Scola (*)

9Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

Il 12 marzo scorso il patriarca di Vene-zia, card. Angelo Scola, ha tenuto unaconferenza nella abbazia benedettina diSanta Scolastica, a Subiaco, su “Il cri-stianesimo, una risorsa per il futurodell’Europa”.Riteniamo opportuna fonte di riflessio-ne, dedicare uno spazio di questo nume-ro a un passaggio, a nostro giudizio cru-ciale, della relazione.

“Considerare il cristianesimo come unarisorsa per l’Europa significa ricono-scerne il peso come fatto sociale pub-blicamente rilevabile non solo per ilpassato (un’evidenza che solo un biecopregiudizio ideologico riesce ad oscu-rare), ma anche per il futuro del vecchiocontinente. Un futuro che, comunque, dovrà fare i con-ti con il presente di una realtà plurale caratterizzata dauna forte interculturalità. Proprio questo dato, secondoalcuni esponenti dell’accademia, costituirebbe la risorsaper ridurre le attuali divisioni dell’Europa allargata e perevitare quelle future, aprendo così una strada privilegia-ta per l’integrazione europea.In Europa, per lo scarso peso dato ai corpi intermedi,soprattutto con l’esplosione della civiltà delle reti cheha perlomeno mutato la natura della partecipazione, èdiffusa l’opinione che il rapporto tra diritti fondamenta-li del soggetto e stato in una società democratica plura-le si possa correttamente dare solo apatto di non introdurre, in nessunaforma, altri elementi di riferimento edi mediazione. La religione, in questocontesto, costituirebbe un “terzo in-comodo”, tollerabile solo se ridotta afatto privato proprio del singolo indi-viduo.Tuttavia io sono convinto che negarealle religioni ogni rilevanza pubblicain una società democratica pluralesia una posizione debole, che nonregge la prova di un sereno vaglio cri-tico. E lo dico non perché sono cre-dente, ma perché voglio affrontare ri-gorosamente il problema. Va anchedetto, tra parentesi, che l’Islam nonpotrà mai accettare la logica dei dirit-ti fondamentali e delle democrazie

sulla base della riduzione privatisticadella dimensione religiosa.In Francia, in Italia ed in Spagna, dove ildibattito sulla laicità dello Stato è mol-to acceso, normalmente si sostiene chelo Stato contemporaneo debba esserelaico. Ma questa formula ha bisogno diessere ben interpretata. Nelle letturepiù accese infatti “Stato laico” suonatalora come un sinonimo di “antireligio-so”. E questo spiega la forte diffidenzacon cui altri popoli, soprattutto quellidell’Islam, guardano ad operazioni vol-te a proporre una democrazia fondatasu una simile “laicità” quale condizione“indispensabile” per accedere ai pre-sunti benefici influssi della modernità.Obbligare i credenti a comportarsi co-

me se fossero atei, a censurare la corrispondenza tra larazionalità e l’origine divina di una determinata prescri-zione, non è imporre loro un prezzo troppo alto per vi-vere in società? Soprattutto siamo sicuri che non tolgaqualcosa di positivo alla società?Quale potrebbe essere allora, nell’attuale frangentestorico, il ruolo delle religioni in Occidente? Io credoche ci si debba muovere verso la configurazione di unasfera pubblica plurale e religiosamente qualificata, incui le religioni svolgano un ruolo di soggetto pubblico,ben separato dall’istituzione statuale e distinto dallastessa società civile benché all’interno di essa. Da par-

te del potere politico si tratta di su-perare il rapporto di tolleranza passi-va nei confronti delle religioni a van-taggio di un atteggiamento di “attivaapertura”, che non riduca la rilevan-za pubblica della religione agli spaziconcordatari con lo stato. Da partedelle religioni è necessario abbando-nare autointerpretazioni di tipo pri-vatistico o fondamentalista per crea-re il terreno di un interscambio diret-to con le altre religioni e le altre cul-ture; uno spazio di dialogo in cui lereligioni possono giocare il loro ruo-lo nel discorso pubblico sui valori diciviltà ed esprimere il loro giudiziostorico.”

(*) Patriarca di Venezia

… io sono convinto che ne-gare alle religioni ogni ri-levanza pubblica in unasocietà democratica plura-le sia una posizione debole,che non regge la prova diun sereno vaglio critico.

… l’Islam non potrà maiaccettare la logica dei di-ritti fondamentali e delledemocrazie sulla base del-la riduzione privatisticadella dimensione religiosa.

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11Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

I casi di malattie definite “impossibili” da essere soppor-tate sono tanti e molte persone, in effetti, non riesconoa portare simili fardelli per motivi che vanno ben al di làdel male in sé.In presenza di situazioni drammatiche si possono gene-ralmente osservare almeno due modi di affrontarli: la di-sperazione più cupa e, pur nella tragedia, l’accettazionedella disgrazia.Nel primo caso spesso l’ammalato viene lasciato solo; ifamiliari, se ci sono, si allontanano perché “incapaci” aloro dire di affrontare la situazione, come se la malattiali avesse colpiti direttamente; gli amici, sempre se ci so-no, si trovano anch’essi in difficoltà considerata l’entitàdella disgrazia e, al limite, hanno pietà per la personamalata, una pietà che tende però ad allontanare non so-lo fisicamente ma anche spiritualmente dal disgraziato.L’ammalato pertanto, se non ha di suo un’immensa esolidissima fede, tende a cedere e può chiedere di porrefine alle sue sofferenze.Nel secondo caso, invece, proprio la tragedia riesce aunire una famiglia o a rendere ancor più solida e veraun’amicizia. L’ammalato pur sconvolto dal dolore chedeve affrontare non è quindi disperato al punto di voler-si togliere la vita perché intravede una motivazione percontinuare la propria esistenza.Un esempio a tal proposito viene dal Superman cinema-tografico, l’attore Reeve, che a causa di una caduta dacavallo, rimase paralizzato dal collo in giù. Per sua stes-sa ammissione, venuto a sapere dell’entità del danno,sconvolto per l’accaduto, avrebbe voluto che gli fossetolta la vita. La sua reazione oltre ad essere umanissimaè pienamente comprensibile: chi di noi non ha mai pen-sato che, nella disgraziata ipotesi ci si fosse trovati adaffrontare una tragedia simile, l’unica soluzione possibi-le sarebbe potuto essere o il suicidio o l’eutanasia.Reeve però, nella durissima prova che era stato chiama-to ad affrontare, non era rimasto solo. Tutta la sua fami-glia, moglie e figli, lo ha circondato d’affetto, d’amore,facendogli sentire l’importanza della sua esistenza: i figlivolevano un padre, la moglie voleva un marito.Da lì l’attore americano ha trovato forza morale per con-tinuare a vivere; va da sé che ogni giorno avrà desidera-to per alcuni istanti la morte, ma, nello stesso tempo,

ogni giorno, vedendo la sua famiglia, avrà capito l’enor-me valore della sua presenza.Prendendo spunto dalle precedenti considerazioni, oc-corre prendere atto che oggi il problema dell’eutanasiava assumendo dimensioni allarmanti per un duplicemotivo: per il dilatarsi delle pratiche eutanasiche e perla pretesa sempre più diffusa di un riconoscimento giu-ridico del “diritto umano” all’eutanasia. Quest’ultimoaspetto costituisce una vera novità rispetto al tradizio-nale modo di pensare in tema di “dolce morte” perchéè teso a una giustificazione dell’eutanasia stessa. Un si-mile atteggiamento lo si capisce se ricondotto alla suamatrice culturale che è il contesto di secolarizzazioneradicale.Per altro verso il rapido progresso delle tecniche tera-peutiche ha creato delicate situazioni, che impongononuove riflessioni e valutazioni. Di fronte alla complessi-tà con cui oggi si presenta il problema dell’eutanasiauno dei compiti urgenti del discorso etico è quello di su-perare l’ambiguità, in cui tuttora si trova impigliato, apartire dalla revisione critica della terminologia adottatanon più rispondente ai dati reali del problema.L’area in cui emerge la crescente domanda di eutanasiaè quella delle società economicamente e tecnologica-mente avanzate. È pertanto in esse che si pone conmaggiore urgenza il problema etico e giuridico. Non sitratta infatti solo di situazioni drammatiche in cui unapersona, sopraffatta da sconvolgente emotività e com-passione, favorisce la dolce dipartita di un familiare; ilfenomeno si estende a livello di pratica medica.Non è qui il caso di entrare nel dettaglio del discorsosull’eutanasia, affrontato sia dal punto di vista medico,che dal punto di vista etico; vorrei però che si mettesse-ro in relazione le pratiche eutanasiche con quelle ine-renti l’accanimento terapeutico.In ambedue i casi sembra si vada contro la dignità uma-na e, soprattutto, ci si ponga al livello del Creatore, ilche, per ovvi motivi, è fuori luogo.La sofferenza è parte integrante della nostra esistenza eper un cristiano assume un valore particolare; si deveperò fare attenzione a non andare contro natura e nonvoler fare sopravvivere ad ogni costo una persona, ri-dotta allo stato vegetale, soltanto con il pretesto che lamedicina può farlo.Il voler decidere quando e come un essere umano puòvivere è estremamente pericoloso, oltre che moralmen-te discutibile e, in taluni casi, dimostra come l’uomo ab-bia memoria corta: nella prima metà del XX secolo ap-parve sulla Terra qualcuno che si arrogò il diritto di deci-dere della sorte altrui …Conosciamo tutti la tragedia che seguì.

EutanasiaRiflessione di P. Giulio Cerchietti, o.f.m.

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12 Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

Il 20 novembre scorso è ricorso il28° anniversario della Convenzionesui diritti del fanciullo, stipulata a

New York il 20.11.1989 e ratificata dalParlamento Italiano con la legge 176del 27.05.1991.La portata giuridica della Convenzioneè altissima: essa, infatti, coinvolge edobbliga ben 191 Stati firmatari i qualisi sono impegnati ad uniformare ad essa i propri sistemigiuridici in tema di tutela dei diritti dei minori, partico-larmente in tema di prevenzione alla devianza minorile.A ragione M. Rita Saulle in un articolo pubblicato nel1999 in occasione del decimo anniversario della Con-venzione ha scritto che essa rappresenta “uno strumen-to internazionale a carattere vincolante per le particontraenti di più ampia portata, nel senso che conside-ra i diritti del minore in ogni loro sfaccettatura ….con-templa, sia pure a maglie larghe, qualsiasi diritto del mi-nore in qualunque situazione possa trovarsi nell’arco divita considerato, ed è diretta a creare, in capo alle particontraenti, obblighi da adempiersi all’interno dei loroOrdinamenti”.La Convenzione si compone di un preambolo e di 54 ar-ticoli suddivisi in tre parti.Lo spazio a disposizione non consente una disamina ap-profondita del documento: vale la pena di soffermarsi,quindi, sui principi fondamentali che sono ivi enucleati.Il Preambolo sintetizza il fine ed i presupposti della Con-venzione: il riconoscimento che ai minori occorre presta-re un’attenzione ed una protezione particolare negli Or-dinamenti degli Stati, in tutti i settori, secondo gli impe-gni già assunti dagli Stati stessi nei pre-cedenti documenti internazionali chegiova qui richiamare:• la dichiarazione Universale dei diritti

dell’uomo stipulata a New York pres-so l’ONU il 10.12.1948, con la qualeall’art. 25 viene sancito il diritto del-l’infanzia ad un aiuto e ad una assi-stenza particolare;

• la dichiarazione sui diritti del fanciul-lo, stipulata a Ginevra nel 1924;

• la dichiarazione sui diritti del fanciul-lo, adottata dall’ONU nel 1959;

• il Patto Internazionale relativo ai di-ritti civili e politici, con particolare ri-guardo agli artt. 23 e 24;

• il Patto Internazionale relativo ai di-

ritti economici, sociali e culturali, conparticolare riferimento all’art. 10;• le Regole minime per l’ammi-nistrazione della giustizia minorile (Re-gole di Beijng);• la dichiarazione sulla prote-zione delle donne e dei fanciulli in pe-riodi di emergenza e di conflitto arma-to.

I presupposti fondamentali per il raggiungimento del finedella Convenzione, sono chiaramente precisati in alcunicommi del Preambolo:• la convinzione che la famiglia è l’unità fondamentale

della società e per tale ragione essa deve ricevere tut-ta la protezione e assistenza necessaria;

• il riconoscimento che il bambino deve crescere in unambiente familiare in un clima di felicità, amore e com-prensione per poter sviluppare la sua personalità;

• la convinzione che il bambino deve essere preparatoad una sua vita ed educato alla dignità, alla tolleranza,alla libertà, all’uguaglianza e alla solidarietà di tutti;

• la constatazione dell’esistenza nel mondo di fanciulliche vivono in condizioni difficili sulle quali occorre in-tervenire;

• la necessità che la comunità internazionale debba in-tervenire per il miglioramento delle condizioni di vitadel fanciullo.

La parte più saliente della Convenzione è, senza dubbio,la prima nella quale sono enunciati i principi fondamen-tali cui si dovranno uniformare tutte le legislazioni degliStati membri in tema di tutela dei diritti dei minori e diprevenzione della devianza minorile.

Tali principi, in verità non delimitati inmodo analitico e logico, a volte si pre-sentano come dichiarazioni di impegnidegli Stati membri, a volte come sem-plici enunciazioni di riconoscimentodegli Stati sui diritti del fanciullo, a vol-te in entrambi i modi.La nostra analisi ci induce, di conse-guenza, a distinguere due gruppi dinorme, di cui uno dedicato agli impe-gni che assumono gli Stati nei confron-ti del fanciullo, l’altro dedicato alle di-chiarazioni sui diritti fondamentali delfanciullo riconosciuti dagli Stati mem-bri.Entrambi i gruppi sono preceduti dauna solenne dichiarazione con la quale

28° anniversario dellaConvenzione sui diritti del fanciulloAvv. Benito Battigaglia (*)

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13Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

gli Stati si impegnano al rispetto e a garantire tutti i dirit-ti dei fanciulli a prescindere da qualsiasi considerazione“di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opi-nione politica …e di ogni altra circostanza”.In breve, gli Stati fissano il principio fondamentale che èalla base di tutta la convenzione, principio inviolabile eintangibile basato sul fatto che tutti i fanciulli sono ugua-li, chiunque siano, dovunque si trovino, quale che sia laloro origine.Nulla sembra essere stato trascurato dagli Stati: tutti gliaspetti sulla tutela dei minori e sulla prevenzione alladevianza minorile sono stati oggetto di particolare at-tenzione.Nel primo gruppo di norme si ritiene di dover annoveraresenza dubbio, l’impegno degli Stati:• a intervenire contro ogni forma di discriminazione;• a considerare, in qualsiasi forma di intervento che inte-

ressi i fanciulli, preminente “l’interesse superiore delfanciullo”;

• ad adottare tutti “i provvedimenti legislativi e ammini-strativi appropriati” per assicurare “al fanciullo la pro-tezione e le cure necessarie al suo benessere”;

• a vigilare e a controllare la conformità dei comporta-menti pubblici e privati, in materia di protezione delfanciullo, alle norme relative alla sicurezza e alla salute;

• ad adottare tutti i provvedimenti necessari per l’attua-zione di tutti i diritti del fanciullo riconosciuti nellaconvenzione anche ricorrendo alla cooperazione inter-nazionale;

• a rispettare la responsabilità, il diritto e il dovere di co-loro che sono i responsabili del fanciullo di intervenirein modo da garantirgli il pieno rispetto dei suoi diritti;

• ad adottare qualsiasi idonea misura per proteggere iminori dall’uso illecito di stupefacenti ed evitare il loroutilizzo per la produzione ed il traffico degli stessi;

• a proteggere il fanciullo da ogni forma di sfruttamentosessuale, devianza sessuale e di qualsiasi altro sfrutta-mento pregiudizievole al suo benessere;

• ad adottare ogni idonea misura per impedire “il rappor-

to, la vendita e la tratta di fanciulli per qualsiasi fine”;• a vigilare affinché nessun minore sia sottoposto a pe-

ne, torture o trattamenti disumani o degradanti, allapena capitale o all’ergastolo; sia privato della sua liber-tà in modi non consentiti e quando ciò è consentitodebba trattarsi di provvedimento di estrema ratio edebba essere quanto più breve è possibile; in ogni ca-so debba essere separato dagli adulti e debbano es-sergli garantiti tutti i diritti legali, giudiziari e proces-suali;

• ad adottare ogni misura possibile affinché le personeche non hanno raggiunto i 15 anni non partecipino al-le ostilità.

Nel secondo gruppo di norme dedicato ai diritti del fan-ciullo espressamente richiamati e riconosciuti dagli Stati,si ritiene di dover annoverare:• il diritto alla vita di ogni fanciullo;• il diritto alla sopravvivenza e allo sviluppo del fanciullo;• il diritto del fanciullo ad essere registrato al momento

della sua nascita; ad avere un nome, una cittadinanzae dei genitori da cui essere allevato e con i quali debbapoter intrattenere rapporti personali e contatti diretti;

• il diritto del fanciullo “capace di discernimento” diesprimere la propria opinione su ogni problema che loriguardi, in particolare in ogni procedura giudiziaria oamministrativa che lo interessi;

• il diritto del fanciullo alla libertà di espressione, di pen-siero, di coscienza, di religione, di associazione e diriunione;

• il diritto del fanciullo a non dover subire interferenzearbitrarie o illegali nella sua vita privata e familiare, nelsuo domicilio, nella corrispondenza o in merito alla suaautonomia e/o all’esercizio dei suoi diritti.

A conclusione di questo breve excursus giuridico sullaConvenzione si ritiene necessario ricordare un articoloapparso sul Corriere della Sera del 20 novembre del1999, in occasione del decennale del documento: “Maquesta Convenzione non è un libro dei sogni”.Articolo in cui Fulvio Scofano affermava che “i bisognidei bambini sono diventati diritti”.Ma, è proprio vero?…

(*) Consulente

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14 Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

Presso il Presidio Ospedaliero S. M.Goretti di Latina si effettuano trat-tamenti di tumori primitivi e meta-

statici del fegato con tecnica SIRT (Se-lective Internal Radiation Therapy).Il Nosocomio pontino ha avviato l’utiliz-zo di tale tecnologia nel febbraio 2005,data nella quale era allora possibile av-valersi in Europa di tale metodica esclu-sivamente a Pamplona, presso l’Univer-sità di Navarra, in Spagna, o negli StatiUniti d’America.La tecnica si basa sull’uso dell’Ittrio 90(Y90), un isotopo che emette raggi betain grado di irradiare direttamente le metastasi epatichee gli epatocarcinomi (tumori epatici primitivi).La procedura si effettua nella sala angiografica, previocateterismo dell’arteria epatica attraverso la puntutadell’arteria femorale; vengono quindi embolizzate (chiu-se con microspirali) alcune arterie, onde evitare che lasostanza radioattiva possa propagarsi ad altri organi, equindi impiantato l’Y90 sotto forma di microsfere inerti,che hanno un diametro compreso tra 20 e 40 micron, unterzo di un capello.‘’La forma sferica fa si che le stesse particelle emettanoradiazioni non come una sorgente omogenea ma comeuna serie di sorgenti puntiformi’’.Il paziente dopo l’intervento viene ricoverato in stanzedi ‘’degenza protetta’’ presso il servizio di medicina nu-cleare.Tale trattamento è indirizzato a epatocarcinomi non re-secabili chirurgicamente ed a metastasi epatiche da tu-mori primitivi colo-rettali, della mammella, del pancrease da tumori neuroendocrini (NET), non più responsivi al-la polichemioterapia.È stato possibile realizzare questa nuova procedura te-rapeutica, che portò alla ribalta nazionale l’ospedale S.M. Goretti, grazie alla lungimiranza della allora DirezioneGenerale dell’Azienda ASL di Latina ed alla convergenzadi alcune dotazioni proprie dell’Ospedale, quali: la salaangiografica, il reparto di Medicina Nucleare con came-re di degenza e l’autorizzazione regionale alla detenzio-ne dell’ Y90 in una dose annua idonea per il trattamen-to di almeno 40 pazienti.Il trattamento è quindi frutto di una sinergia tra repartiospedalieri quali l’epatologia, l’oncologia, la chirurgia, lamedicina nucleare, la radiologia diagnostica e la radiolo-gia interventistica.La ferrea organizzazione dei reparti direttamente inte-

ressati all’impianto, quali la medicina nu-cleare e la radiologia interventistica, è unaltro elemento determinante per la tem-pestività della procedura. Il flacone con-tenente l’isotopo Y90 viene prodotto aSidney in Australia e deve pervenire intempo utile presso il centro ospedalierodove si effettua l’intervento. Infatti l’iso-topo in questione ha una emivita di 64ore, tempo utile ai fini terapeutici appun-to, dal momento della preparazione delflacone contenente le microsfere pressoSidney e l’ospedale sede dell’intervento.Nell’arco di 30 mesi sono stati effettuati

100 interventi in pazienti sia residenti nella provincia diLatina sia provenienti da numerose altre regioni italiane,collocando l’Ospedale al primo posto in Italia per nu-mero di procedure effettuate, seguito da centri qualil’Istituto Oncologico Europeo di Milano, l’Istituto Regi-na Elena di Roma, il Policlinico di Bologna, il Policlinicodi Udine.In Europa si colloca attualmente al terzo posto, dopol’Università di Pamplona e l’Università di Monaco di Ba-viera.I risultati sono decisamente incoraggianti, anche e so-prattutto in relazione alle esperienze maturate dai varicentri europei e nordamericani, che mirano ad un impie-go maggiormente precoce dell’intervento, dopo dimo-strata inefficacia della chemioterapia.L’impegno profuso da parte di tutti i colleghi impegnati èstato confortato anche dal grande entusiasmo manife-stato dal personale paramedico, altamente qualificato eparticolarmente vicino ai pazienti, in molti casi di giova-ne età, e con quadri clinici di malattia molto avanzata.Non sarà certo l’avvento di questa metodica a determi-nare la risposta definitiva al trattamento dei tumori epa-tici: rappresenta comunque una opzione terapeutica disicura efficacia nel controllo della evoluzione della ma-lattia tumorale primitiva e secondaria del fegato, in as-sociazione alla chirurgia, alla chemioterapia, dimostran-do ancora una volta come l’impegno di TEAM (in questocaso acronimo in lingua inglese di Togheter EverybodyAchieve More) dedicati rappresenti la vera risposta allalunga battaglia contro la malattia tumorale.

(*) Direttore Struttura Complessa Radiologia Interventistica -Ospedale S.M. Goretti di Latina

(**) Direttore Struttura Complessa Medicina Nucleare - Ospe-dale S.M. Goretti di Latina

I tumori epatici: una nuova opzione terapeuticaDott. Roberto Cianni (*)Dott.ssa Rita Salvatori (**)

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15Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

La lezione magistrale del Papa a Regensburg, tantocriticata da molte parti del mondo musulmano, edanche occidentale, sta portando frutti positivi

proprio nel dialogo con il mondo islamico. Proprio in se-guito al discorso di Regensburg, tenuto il 12 settembredel 2006, 38 saggi islamici hanno mandato una primalettera a commento e, un anno dopo, il 13 ottobre 2007,in coincidenza con la fine del Ramadan, una secondalettera, sottoscritta da 138 saggi diventati ad oggi 216,per cercare un terreno comune di collaborazione fra cri-stiani e musulmani.Tra i sottoscrittori ci sono dei gran mufti, dei responsa-bili religiosi, dei studiosi e dei privati: ciò indica un allar-gamento del consenso da parte di un certo ambienteislamico, un passo verso ciò che l’islam chiama l’ijmaa(consenso). Nella tradizione islamica ogni punto dellafede si fonda su tre fonti: il Corano, la tradizione mu-hammadiana (hadith ossia detti, e vita di Maometto), ilconsenso della comunità, appunto l’ijmaa. Questo terzopasso finora non è mai stato molto valorizzato, anzi, c’èmolta divisione nel mondo islamico: un giorno un imamdice una cosa, il giorno dopo un altro dice una cosa di-versa.Questa lettera non dice che vi è accordo tra tutti i mu-sulmani, ma mostra che si va verso un certo consenso.Il primo punto positivo della lettera è perciò la sua rap-presentatività, il suo provenire da un gruppo convergen-te. La lettera è rappresentativa anche perché è inviata atutto il mondo cristiano. Se si prende l’elenco dei desti-natari, si ha un quadro molto completo e accurato: oltreal Papa, vi sono tutte le tradizioni dell’Oriente cristiano,i patriarchi delle Chiese calcedoniane e pre-calcedonia-ne; poi le Chiese protestanti e infine il Consiglio mon-diale delle Chiese. Il che mostra che dietro questa lette-ra vi è qualcuno che conosce bene ilcristianesimo e la storia della Chiesa.La struttura comprende tre parti: laprima è intitolata “L’amore di Dio”,suddivisa in due sottoparti, “L’amoredi Dio nell’Islam” e “L’amore di Diocome primo e più grande comandamentonella Bibbia”. In realtà, il titolo arabooriginale è più preciso: dice “nel Van-gelo”. Mettere la parola “Bibbia” (checomprende l’Antico e il Nuovo Testa-mento) permette di integrare in que-sto discorso anche il giudaismo, seb-bene la lettera sia indirizzata solo aicristiani.

La seconda parte è intitolata “L’amore per il prossimo”(hubb al-jâr), mentre la terza parte conclude riprendendola citazione coranica: “Venite a una parola comune tranoi e voi”.È interessante notare che il ‘vocabolario utilizzato’ è un vo-cabolario cristiano, non musulmano. La parola “prossi-mo” non esiste nel Corano; è tipica del Nuovo Testa-mento. Di fatti, il testo arabo non dice “prossimo” ma“vicino” (jâr), che non può avere che il senso geografico(come il vicino di casa), a differenza del termine cristia-no qarîb, che significa “il prossimo”.L’impressione che si ricava esaminando il suo contenu-to è che, rimanendo a questo livello, è facile mettersid’accordo. Il metodo usato è di scegliere brani dei testisacri che possano essere messi in parallelo. Nel Coranovi sono testi in contraddizione con il cristianesimo, ma èstata fatta la scelta di privilegiare quelli più simili e vici-ni. È un passo importante, ma se si rimane solo a que-sto livello, si impronta un dialogo basato sull’ambiguità:in ogni modo, come primo passo, è utile mettere in rilie-vo un fondamento comune.Peraltro, anche nella tradizione cristiana c’è la ricerca di

un fondamento comune con le altrereligioni, anzi con tutte le culture. Ta-le fondamento, dal punto di vista cri-stiano, non si basa sul Corano e sullaBibbia, perché questo escluderebbe inon credenti. Il fondamento comuneè la legge naturale, il Decalogo vistocome legge naturale, un’etica comu-ne accettata anche dagli atei.A sua volta, nel novembre scorso,Benedetto XVI ha risposto alla Let-tera dei 138 aprendo a una possibilecollaborazione su diversi campi.Alcune settimane dopo fa (il 12 di-cembre 2007), il principe giordano

Il dialogo di Benedetto XVIcon i 138 saggi musulmaniRedazionale

Il pericolo più grosso dellalettera dei 138 è nei suoisilenzi, su ciò che essa nontratta: non si accenna, adesempio, ai problemi dellacomunità internazionaleverso la comunità musul-mana e ai problemi realiinterni alla comunità mu-sulmana.

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16 Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

Ghazi bin Muhammad bin Talal con una lettera al card.Bertone ha accettato di aprire il campo alla collabora-zione: fra febbraio e marzo, personalità della Curia vati-cana e del mondo islamico si incontreranno a Roma perstabilire le procedure e i contenuti di tale dialogo.È quindi il caso di esaminare più da vicino i problemiemersi nella lettura di questi documenti.La Lettera dei 138 è piena di buona volontà: i dottoriislamici dicono di voler guardare “a ciò che unisce”islam, cristianesimo e altre religioni; essi hanno perfinofatto lo sforzo di esprimersi in modi “cristiani”, dicendoche il cuore della religione è “amare Dio e il prossimo”: ilprossimo è dunque ogni persona umana, anche il nemi-co, come era il caso del samaritano per gli ebrei.Il pericolo più grosso della lettera dei 138 è nei suoi silen-zi, su ciò che essa non tratta: non si accenna, ad esem-pio, ai problemi della comunità internazionale verso lacomunità musulmana e ai problemi reali interni alla co-munità musulmana. La Umma si trova in un momentomolto delicato, in una fase di estremismo e di radicali-smo diffusi in una parte significativa dei musulmani, cheè una forma di esclusivismo: chi non la pensa come noiè nostro nemico. Questo è evidente ogni giorno sullastampa musulmana, e vediamo violenze e attacchi inIraq, Iran, Pakistan, Afghanistan, fra i musulmani sunnitie sciiti, o contro cristiani o ebrei, o semplicemente con-tro il musulmano che è tollerante ... .Il pericolo per l’Islam non è la violenza: questa è presen-te in tutto il mondo e in tutte le ideologie. Il pericolo è digiustificare tutto questo attraverso la religione. Anche certeviolenze contro le donne e i loro diritti sono giustificaticon il Corano. Ad esempio, un donna musulmana nonpuò divorziare, perché il divorzio è un diritto del marito,lei può solo chiedere il favore d’essere ripudiata da lui.Lui, in base al Corano si può anche risposare e rifarsi unavita, ma la donna, che vive separata, non ha questo dirit-to, e queste situazioni in cui uno si appoggia al Corano oalla sharia per escludere l’altro, sono frequenti.Nella risposta di Benedetto XVI, inviata attraverso ilcard. Tarcisio Bertone, Segretario di stato vaticano, siesprime “profondo apprezzamento” per lo spirito posi-tivo che ha ispirato la Lettera dei 138 e per l’appello a

un impegno comune al fine di promuovere la pace nelmondo.Detto questo il Papa suggerisce di cercare quanto è co-mune ma gli elementi non sono identici.Anzitutto egli fa una annotazione: cerchiamo quanto ècomune “senza dimenticare le nostre differenze”. Ciò si-gnifica che per il papa vi sono differenze fra le due co-munità che vanno tenute presenti, non nascoste: pos-siamo essere fratelli e differenti, fratelli e opposti. Que-sta è una regola d’oro, trattandosi di religioni e di dog-mi.Nella Lettera dei 138 si suggerisce che le cose “in comu-ne” sono la fede in un unico Dio. I dotti islamici citanoproprio il Corano quando dice “Veniamo a una cosa co-mune fra noi”, che richiede di non mettere nulla vicino aDio. Ma questo è proprio detto ai cristiani, che vicino aDio, mettono Gesù Cristo.Per il Papa “le cose comuni” esistono, ma esistono an-che le differenze e bisogna tenerle presenti.Le “cose comuni” che il papa elenca sono la fede nel-l’unico Dio, creatore provvidente e giudice universale,“che alla fine dei tempi considererà ogni persona secon-do le sue azioni”, e l’essere chiamati “ad impegnarci to-talmente con lui e ad obbedire alla sua sacra volontà”.Viene quindi proposta una applicazione concreta: for-

mare un gruppo di dialogo per cercare un terreno comu-ne, da trovare a diversi livelli:- il primo è trovare valori che garantiscano “il rispetto re-ciproco, della solidarietà e della pace”. “Rispetto” qui si-gnifica anche che vi sono differenze che occorre garan-tire e accoglierle. Ad esempio, un musulmano può dire aun cristiano: io non sono d’accordo su quel che tu cre-di, che cioè Gesù ha natura umana e divina. Voi cristianisiete politeisti perché mettete affianco al Dio unico, ivostro Gesù Cristo e lo Spirito Santo, cioè altri dèi. Io di-co: cerchiamo di vivere il rispetto reciproco. Tu hai pie-no diritto nel dire che la concezione islamica esclude laTrinità, la divino-umanità. Ma lasciami il diritto di poterdire ad esempio che Maometto non è un inviato di Dio.Posso riconoscere che egli è una grande personalità sulpiano umano, politico, un riformatore sociale e spiritua-le, che ha portato anche rilievi negativi, ma non è unprofeta. Ho il diritto di dirlo o no? Come tu hai diritto adire che non credi nella divinità di Cristo – e sei coeren-te nella tua fede –, noi anche abbiamo diritto di dire

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quello che pensiamo su Maometto. Insomma, non esi-stono degli argomenti “tabù”, ma esistono solo dei mo-di e dei metodi tabù, perché violenti e irrispettosi.- l’altro livello è quello della vita umana come “sacra”.Questa dimensione etica abbraccia un campo molto lar-go, che va dal rigetto dell’aborto fino alla fine naturaledella vita umana. Ma è inserita anche la non violenza,che è una delle forme più nobili del rispetto della vitaumana. E significa anche un amore a tutte le opere del-la cultura e del progresso umano: per l’uguaglianza fragli uomini, per i diritti umani: un rispetto alla vita e a ciòche la fa esprimere e fiorire. Nel discorso alla Curia ro-mana del 22 dicembre 2006, il Papa diceva: “è necessa-rio accogliere le vere conquiste dell’illuminismo, i dirittidell’uomo e specialmente la libertà della fede e del suoesercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali an-che per l’autenticità della religione”. Per Benedetto XVI,“il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani saràin questo momento soprattutto quello di incontrarsi inquesto impegno per trovare le soluzioni giuste”. Insiemeai musulmani, impegnarsi “contro la violenza e per la si-nergia tra fede e ragione, tra religione e libertà”. Il fonda-mento è “la dignità di ogni persona umana”, espressadai diritti umani.A questo punto il Papa suggerisce ai saggi musulmani

quattro temi da affrontare:- i diritti umani quale primo punto per fondare il dialogo;- la conoscenza obbiettiva della religione dell’altro, ossia cono-scere l’altro per come l’altro si definisce. Il cristiano de-ve conoscere l’Islam per come il Corano e i musulmaniodierni lo definiscono; il musulmano deve conoscere ilcristianesimo attraverso i Vangeli e l’insegnamento dellaChiesa. Una conoscenza obbiettiva è fondamentale perun reale rapporto.- la condivisione dell’esperienza religiosa. Questo elementonon è stato messo in evidenza finora. L’esperienza reli-giosa è più della conoscenza. Riconosce che anche se ildogma dell’altro, non è quello mio, egli può arricchirmidal punto di vista umano e spirituale.- l’impegno ad educare i giovani. Se non prepariamo i giova-ni a vivere già oggi questo rispetto reciproco, domani cipotremmo trovare ancora in un conflitto fra noi.La risposta dei 138, a firma di Ghazi Ibn Talal, principe diGiordania, è datata 12 dicembre 2007. Dopo alcuni pre-amboli, la lettera dice che essi accettano l’idea del dialo-

go e che in marzo invieranno alcuni rappresentanti perprecisare i dettagli dell’organizzazione e delle procedure.Il principe continua esortando al dialogo, citando unconvegno organizzato dalla Comunità di sant’Egidio.Lo stesso principe dice di ritenere umanamente impos-sibile “un accordo teologico completo tra cristiani e mu-sulmani”, ma nonostante ciò egli desidera che il dialogoavvenga su questo piano «teologico o spirituale o inqualsivoglia altro modo – per la ricerca del bene comu-ne e per il bene del mondo intero, Dio volendo».Si può quindi affermare che si comincia a vedere qual-che buon frutto importante per il dialogo. E bisogna ri-cordare che tutto è partito da Regensburg, da quella le-zione magistrale che sembrava aver distrutto ogni baseper il dialogo ed invece lo ha fatto risorgere.Il discorso di Regensburg era impostato sul regno dellaragione come fondamento del dialogo. Il che supponetutto il movimento delle religione di fronte all’illumini-smo, ma senza impoverire la ragione. Insomma, il fon-damento di tutto non è la religione, ma la ragione uma-na che è ciò che è comune a tutti gli esseri umani.Il discorso di Regensburg era partito proprio da questoproblema: come trovare un fondamento comune al-l’umanità e alle religioni, compreso anche l’Islam?Nello stato moderno, il fondamento comune si esprimecon la dichiarazione universale dei diritti umani, della li-bertà di religione, ecc…Anche nel dialogo fra cristiani e musulmani, occorreprendere questi come la base del dialogo, altrimentinon arriveremo a nulla. In passato molti teologi musul-mani hanno rifiutato la dichiarazione universale dei di-ritti umani e ne hanno stilato una “islamica”, accusandoquella “universale” di essere solo “occidentale”. Maquesto nega che vi possa essere universalità e quindinega che possiamo avere principi comuni. Questo è ilfondamento del conflitto fra il mondo islamico e l’occi-dente, o il resto del mondo.Kofi Annan, invitato una volta dall’Organizzazione deiPaesi islamici aprendo un convegno, ha detto con chia-rezza: non può esistere una dichiarazione “islamica”,“africana”, “cristiana” “buddista” dei diritti dell’uomo.La dichiarazione o è universale, o non può esistere.

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Un Forum permanente per il dialogo islamo-catto-lico: è la proposta lanciata al termine della duegiorni di incontri preparatori, il 4 e il 5 marzo, tra

cinque rappresentanti del Pontificio Consiglio per il dia-logo interreligioso e una delegazione islamica compostada cinque studiosi di altrettante nazioni. I delegati isla-mici costituiscono una rappresentanza delle personalitàmusulmane che nell’ottobre 2007 hanno indirizzato alPapa e ai leader di altre confessioni cristiane una letteraper dare vita a un terreno d’intesa tra le due religionimonoteistiche.Al fine di approfondire la conoscenza reciproca e ap-prontare alcune piste per un dialogo fruttuoso i parte-cipanti hanno deciso di organizzare il primo Seminariodel Forum a Roma, dal 4 al 6 novembre 2008, che pre-vede la partecipazione di 24 leader religiosi ed espertiper ciascuna delle parti. Il tema del Seminario sarà

“Amore per Dio, Amore per il Prossimo”, e avrà comesottotemi “Basi teologiche e spirituali” e “Dignità uma-na e rispetto reciproco”. L’ultimo giorno, invece, si ter-rà una sessione pubblica che culminerà nell’udienzacon papa Benedetto XVI. Il Forum, una sorta di “unitàdi crisi” per mantenere sempre aperti i canali di comu-nicazione tra le due parti, si riunirà con cadenza bien-nale dividendosi alternativamente tra Roma e un Paesemusulmano a scelta.I cinque rappresentanti islamici giunti a Roma fannoparte del gruppo di esperti coordinato dal principe diGiordania Ghazi bin Muhammad bin Talal, presidentedell’al-Bayt Institute for Islamic Thought, primo promotoredella “Lettera dei 138” (ora divenuti 221) protagonistadello scambio di lettere avvenuto a novembre e dicem-bre dello scorso anno con Benedetto XVI, tramite il Car-dinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone.

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Invece la lettera del principe al-Ghazi sembra dire che idiritti umani non importano e sono solo una questionepolitica. Interessa solo il dialogo teologico. Ma a cosaserve parlare del Dio unico, se non riconosco che l’uo-mo ha una dignità assoluta ad immagine di Dio? Che lalibertà di coscienza è sacra; che il credente non ha piùdiritti del miscredente; che l’uomo non ha più diritti del-la donna; ecc..?Bisogna affermare che l’uomo è anteriore alla religione:rispettare l’uomo viene prima del ri-spetto della religione. É questo l’ap-proccio cristiano.Non vorrei che alcuni teologi, trovan-dosi in difficoltà sull’affermazionedella dignità di ogni uomo, cercanouna via d’uscita nel dialogo teologi-co. Ma in questo modo si rischia diprodurre solo falsità.Ma questo è un problema interno an-che all’Islam in se stesso. Finché es-so non avrà basato tutto sulla perso-na umana e reinterpretato la fede al-la luce dei diritti umani, non sarà maimoderno.Nelle due dichiarazione islamiche suidiritti umani, si afferma spesso chel’islam ammette i diritti umani, “purché siano conformialla legge”. A un lettore ingenuo che legga la traduzionein inglese, questo potrebbe andare anche bene. Il puntoè che quanto riportato nelle traduzioni inglesi come“legge”, nelle stesure delle dichiarazioni in lingua arabasono tradotte come “conformi alla sharia”. Ciò significache i diritti umani “islamici” rischiano di riproporre le so-

lite ingiustizie e violenze: apostasia, blasfemia, lapida-zione, ingiustizie verso le donne e i figli, ecc...Certo, il dialogo interreligioso non può essere concen-trato solo sui diritti umani, ma non può nemmeno farecome se non ci fosse un grave problema proprio su que-sta realtà.Vale la pena domandarsi anche quanto peso ha avuto laLettera dei 138 nel mondo islamico. Nel campo degliesperti vi è stata una crescita dell’assenso: da 138 firma-

tari si è passati a 216. Ma nella popo-lazione non è passato nulla. Si sonovisti solo pochi articoli in lingua ara-ba, su giornali arabi e islamici e nes-suno di essi faceva un’analisi delcontenuto della lettera dei 138. Alcu-ni davano solo la notizia bruta, altriraccontava solo che cristiani e mu-sulmani volevano incontrarsi sulla fe-de del Dio unico.Non si può dire quindi che questalettera abbia mosso il mondo islami-co ma è auspicabile che col tempoquesto documento potrà creare unallargamento e una convergenzamaggiore.Soprattutto, c’è da sperare che con

il prossimo passo vengano affrontate le questioni piùsensibili della libertà religiosa, del valore assoluto deidiritti umani, del rapporto tra religione e società, del-l’uso della violenza, ecc., insomma delle questioni at-tuali che preoccupano tanto il mondo musulmano (edirei in primo luogo i musulmani) quanto il mondo oc-cidentale.

Spiragli di dialogo

Kofi Annan, invitato unavolta dall’Organizzazionedei Paesi islamici aprendoun convegno, ha detto conchiarezza: non può esistereuna dichiarazione “islami-ca”, “africana”, “cristia-na” “buddista” dei dirittidell’uomo. La dichiarazio-ne o è universale, o nonpuò esistere.

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Polizze e fede“Noi per voi”, una iniziativa della Cattolica Assicurazionirivolta a enti religiosi e associazioni di volontariato

Non solo una fede, ma anche un ricco business.Il mondo cattolico rappresenta un bacino di in-teresse molto grande anche per il mondo degli

affari. E Cattolica Assicurazioni, compagnia da semprelegata a questo universo - al punto che solo i cattolicipossono esprimere il loro voto capitario in assemblea -ha deciso di lanciare, nell’ambito delle business solu-tion del gruppo, una vera e propria ‘business unit’ de-dicata agli enti religiosi. Il Direttore Generale, GiovanBattista Mazzucchelli, ha presentato la nuova unità cherientra nell’ampio piano strategico 2008-2010, partitoufficialmente alla fine dello scorso mese di gennaio.L’iniziativa della compagnia, chiamata ‘Noi per voi’, èrivolta esclusivamente alle realtà religiose e alle asso-ciazioni di volontariato. “Con prodotti specifici”, ha af-fermato Mazzucchelli, “il gruppo intende rafforzare lacapacità di offerta verso un mondo che è da sempre ilnostro segmento di riferimento”. E non è cosa da po-co: una popolazione di 35.800 persone per il clero se-colare con 100.000 edifici, 14.300 persone per il cleroregolare, 817 congregazioni religiose, 12.218 case,2.000 abbazie e monasteri.Ma il vero core business della nuova unità saranno leOnlus e le associazioni di volontariato: ogni due anni emezzo si raddoppia il numero delle presenze che van-

no ad aderire alle 2l.000 associazioni. “Siamo di frontea un fenomeno”, ha affermato il direttore commercialedel gruppo, Antonello Cattani, “che nel giro di pochianni porterà ogni famiglia italiana ad avere un compo-nente appartenente a qualche associazione di questanatura”.Attualmente, 144 diocesi su 225 sono già convenziona-te con Cattolica e ogni diocesi ha almeno una polizzacon il gruppo. Aggiunge ancora Cattani: “l’obiettivo èriappropriaci di quel ruolo che ci spetta per cultura, vo-cazione e competenza e che ci vede leader di mercato”. A regolare i rapporti tra la compagnia assicurativa e glienti religiosi, sarà una carta dei servizi che riassume ivalori guida del gruppo, ispirati a principi etici che met-tono la persona al centro. Con una novità rispetto alpassato: non entreranno in campo nuove figure pro-fessionali, ma il ruolo di interlocutore con gli enti reli-giosi sarà affidato a 140 agenzie che, per la loro storiae per le loro caratteristiche, si sono dimostrate le piùadatte a mantenere questo tipo di rapporti. “Nessunopartirà dalla sede per rapportarsi con le singole parroc-chie”, ha precisato il Direttore Generale: “Sono stateselezionate le agenzie che hanno già rapporti attivi congli enti religiosi. Spetterà a loro il compito di rafforzarlie migliorarli”.

Cattolica Assicurazioni nasce entro le mura di una parrocchia nel lontano 27settembre 1896 a Sant’Eufemia, chiesa del centro storico di Verona, grazie alcoinvolgimento in prima persona di 34 soci fondatori, provenienti dal movimen-to dell’opera dei congressi, che si proponevano di realizzare le indicazioni eco-nomiche e sociali contenute nell’enciclica “rerum novarum”.Fin dalle origini manifesta, nel suo sviluppo una significativa adesione ad unaidea di missione economica e sociale, giustificando così che il futuro papa Pio Xrivolga, nel 1897, alla direzione della società significative parole di apprezza-mento nei riguardi della realizzazione di “un ideale cristiano, in perfetta corri-spondenza ai bisogni economici e morali del tempo”.

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Portogallo: il divorzio“elettronico”

Il servizio, messo a disposizione in rete gratuitamen-te dal Governo portoghese per i casi più semplici,senza beni in comune e figli, mira a ridurre i tempi

medi dei processi. Sarà infatti possibile divorziare trami-te la rete Internet tra i 4 e i 20 minuti di tempo, postoche si abbiano a disposizione tutti gli elementi relativi aiconiugi e ai loro procuratori. Mons. Jorge Ortiga, presi-dente della Conferenza episcopale portoghese, ha di-chiarato che “si tratta di un provvedimento inaccettabi-le per la Chiesa, dal momento che esso favorisce e indi-rizza allo scioglimento del vincolo matrimoniale in pochiminuti: quasi una vera e propria promozione al divorzio.Nessuno ignora che la vita matrimoniale ha dei momen-ti di allegria e felicità che sia alternano ad altri in cui sipossono verificare difficoltà di diverso genere ma l’amo-re non esiste senza la sofferenza e il dolore, e attender-si un amore estraneo a qualunque contrattempo è pura-mente utopico”.

Aborto più accessibileRapporto della Commissionepari opportunità dell’Assembleaparlamentare del Consiglio d’Europa

Il rapporto, invita gli Stati membri del Consiglio d’Eu-ropa che ancora non l’hanno fatto - Andorra, Irlanda,Malta e Polonia - a depenalizzare l’aborto, e sottoli-

nea, tuttavia, che anche nei Paesi in cui l’aborto è lega-le, “le condizioni non sempre sono tali da garantire alladonna l’effettivo esercizio di questo diritto”. Tra gli osta-coli indicati dal testo, “la mancanza di dottori che accet-tino di praticare l’interruzione di gravidanza, i ripetuti eobbligatori consulti medici, il periodo di tempo conces-so per la riflessione e i lunghi tempi di attesa”.Sul rapporto, che verrà discusso dal 14 al 18 aprile in se-no alla riunione plenaria dall’assemblea a Strasburgo,sono stati formulati alcuni commenti da parte del co-presidente dell’associazione italiana “Scienza & Vita”,M. Luisa Di Pietro, bioeticista presso l’Università Catto-lica del Sacro Cuore.“Questa proposta si fonda su un presupposto non cor-retto basato a sua volta su un principio insostenibile:che esista un diritto all’aborto, mentre non si può defi-nire esercizio di un diritto il violare il diritto alla vita di unaltro essere umano. Ma l’aborto non è mai un diritto: la

stessa impostazione di molte leggi europee in materianon muove da un presunto diritto all’aborto, bensì dalcosiddetto ‘stato di necessità’. Pur consentendo l’inter-ruzione volontaria di gravidanza, queste norme non ri-conoscono tale pratica quale diritto della donna”.Per Di Pietro, il rapporto della Commissione pari op-portunità costituisce “un inopportuno tentativo dipressione nei confronti dell’esercizio di un diritto chespesso è una falsa richiesta di autonomia e autodeter-minazione della donna, o nasconde solitudine e pover-tà di diverso tipo”.“Più che pensare di legittimare tutto questo e di impor-lo anche negli Stati nei quali ancora non è stata previstauna legge in materia, occorrerebbe porsi una domandasul problema principale, e cioè per quale motivo unadonna ricorra all’aborto, e per quale motivo non si fac-cia nulla per ridurre al massimo questa tragedia metten-do sempre più donne nelle condizioni di poter viverepienamente il proprio progetto di maternità e, soprat-tutto, consentendo a tanti esseri umani in fase embrio-nale di continuare il loro sviluppo”.Sull’obiezione di coscienza dei medici, citata dal docu-mento come “ostacolo” all’esercizio del diritto diabortire, Di Pietro replica: “È un segnale importante;buona parte della classe medica si è finalmente resaconto di avere nel proprio sangue e nel Dna della pro-fessione la volontà di porsi al servizio della vita e del-la salute. Un segnale positivo. E l’obiezione di co-scienza, in quanto diritto riconosciuto dalla legge, èuna forma di libertà che non si può ledere”. “Sia in Ita-lia che in Europa, nella classe medica e nella gente co-mune si sta facendo strada una crescente sensibilitànei confronti della tutela della vita in tutte le sue fasi,che va in direzione opposta rispetto al documento diStrasburgo. Mi sembra che ciò che si tenta di imporrein molte sedi europee non sia il sentire di tanti, bensìl’ideologia di pochi”.

Europa … cristiana?Attualità e recensioni

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22 Europa Cristiana 1 Gennaio-Febbraio 2008

Quando si riunì per la prima vol-ta il 19 marzo 1958, era un’as-semblea con competenze

esclusivamente consultive. Oggi, nelmomento in cui a Strasburgo e Bruxel-les si festeggia i suoi 50 anni di vita, ilParlamento europeo è una vera e pro-pria istituzione legislativa dell’Unioneeuropea, pronta ad ampliare ulterior-mente i suoi poteri a partire dal 2009.Istituito ufficialmente il 1° gennaio1958 quale Assemblea europea con142 membri in rappresentanza deiparlamenti nazionali dei sei Paesi fon-datori, il Parlamento avvia i festeggia-menti per il suo 50mo anniversariocon 785 deputati, eletti democratica-mente in 27 Paesi, che parlano 23 lin-gue diverse e rappresentano circa 500milioni di cittadini. Il 12 marzo scorsosi è infatti tenuta a Strasburgo una ce-rimonia celebrativa organizzata dalPresidente del Parlamento europeoHans-Gert Poettering, alla quale han-no partecipato il presidente dellaCommissione europea José Manuel

Barroso e il presidente del Consigliodell’UE Janez Jan?a.Il Parlamento europeo rappresentamolto più di un simbolo: è l’unico par-lamento plurinazionale al mondo adessere eletto, dal 1979, a suffragiouniversale diretto. Simili esperienzesono state introdotte anche in altricontesti internazionali, come la NATOe l’OCSE, ma l’assemblea di Strasbur-go rimane ancora oggi l’unica che siaeletta direttamente dai cittadini e cheabbia poteri legislativi, condivisi con ilConsiglio dell’Unione europea. Nellastoria recente del continente, il Parla-mento si è andato conquistando unospazio sempre più rilevante quale unodei pilastri dell’integrazione europea.Dopo l’introduzione dell’elezione di-retta, il primo vero e proprio rafforza-mento del ruolo del Parlamento si eb-be nel 1986 con l’Atto unico europeo.Successivamente, con i Trattati diMaastricht, Amsterdam e Nizza, il PEha visto crescere la propria influenza,raggiungendo il livello più compiuto e

collaudato di democrazia rappresen-tativa.Attualmente il Parlamento è titolare dicompetenze importanti, tra cui il po-tere di controllo e di censura nei con-fronti della Commissione, il potere diapprovazione del bilancio dell’Ue equello di legiferare insieme agli Statimembri in un vasto numero di settori.Dal 2009, secondo quanto previstodal Trattato di Lisbona per quanto ri-guarda la procedura di codecisione, ilsuo potere si estenderà in pratica atutti gli ambiti politici, comprendendol’agricoltura, la pesca, i fondi struttu-rali, il settore della giustizia e degli af-fari interni.

Il sogno dei padri dell’Europaè ancora attuale?

Amargine del convegno “Il sogno dei padri dell’Europaè ancora attuale? Il cammino europeo di fronte allacultura moderna” tenutosi a Lodi il 18 marzo scorso

alla vigilia del 50° anniversario dell’insediamento della pri-ma assemblea del Parlamento europeo, il card. Paul Pou-pard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultu-ra, intervenuto all’incontro si è così espresso: “Se la Chiesa ri-tiene non essere di sua competenza pronunciarsi in favore diun tipo specifico di sistema politico per l’Europa, tuttaviasente il bisogno di dover ricordare che ogni progetto politi-co in via di elaborazione dovrà essere al servizio del bene co-mune, nel pieno rispetto della persona umana e delle dimen-sioni che la caratterizzano. L’Europa non saprà costruirsi suun semplice sistema di mercato. Essa esige una volontà po-litica fondata su un insieme di valori comuni che nel corsodei secoli hanno arricchito questo patrimonio culturale con-diviso che noi chiamiamo Europa. Per questo, non possiamolasciare fuori della porta della Casa europea le religioni chehanno contribuito e contribuiscono ancora alla cultura e al-l’umanesimo dei quali è legittimamente fiera e il silenzio, nel-

la Carta costituzionale europea, sul-l’azione positiva delle religioni è un’afa-sia aggiunta ad un’amnesia riduttiva in-capace di riconoscere il loro potenzialedi umanità e la loro capacità creatrice inseno ai popoli”. “La Chiesa - ha precisa-to il card. Poupard - non pretende certola direzione degli affari degli Stati, e nericonosce” alle autorità statuali “la piena responsabilità”nella “giusta separazione dei poteri”, considerando “la giu-sta laicità come la garanzia della libertà di coscienza di tutti icittadini”. Essa, tuttavia, “ha per missione di ispirare l’amoredel bene e il rifiuto del male” e “fa sì che il Vangelo fecondi leculture, incoraggi i politici, sviluppi la carità per il bene del-l’uomo e della società e costituisca l’anima dell’Europa”. “Lamissione del cristianesimo per l’Europa consiste - secondoil porporato - nel restituirle la sua vera dimensione, per esse-re pienamente la casa accogliente di diversi popoli e cultu-re”. “La costruzione della nuova Europa”, realtà ancora “incammino” e “sulla cui strada non mancano difficoltà”, ha os-servato ancora, sta dimostrando che “un’Europa verticisticae burocratica che non riesce a far amare ai cittadini il proget-to unitario europeo, sta rischiando” addirittura “di farglielomal sopportare”.

50° anniversariodel Parlamento Europeo

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