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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Numero 32 – Gennaio 2018 Africa Fame di pace Cibo negato da iniquità e guerre

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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 32 – Gennaio 2018

Africa

Fame di paceCibo negato da iniquità e guerre

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INDICE

Introduzione 3

1. Il problema a livello internazionale 5

2. Il problema a livello regionale 10

3. Le connessioni con l’Italia e l’Europa 22

4. Testimonianze 26

5. La questione 29

6. Proposte ed esperienze 31Gli interventi Caritas

Note 36

A cura di: Francesco Soddu | Fabrizio Cavalletti | Paolo Beccegato

Testi: Nicoletta Sabbetti | Flaminia Tumino

Foto: Caritas Internationalis | Nicoletta Sabbetti

Grafica e impaginazione: Danilo Angelelli

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 32 | Gennaio 2018

AFRICA | FAME DI PACECibo negato da iniquità e guerre

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«La realtà odierna domanda una maggiore responsabi-lità a tutti i livelli non solo per garantire la produzionenecessaria o l’equa distribuzione dei frutti della terra –questo dovrebbe essere scontato – ma soprattutto pertutelare il diritto di ogni essere umano a nutrirsi a misuradei propri bisogni, partecipando altresì alle decisioni chelo riguardano e alla realizzazione delle proprie aspira-zioni, senza doversi separare dai propri cari».

Papa Francesco, Discorso alla FAORoma, 16 ottobre 2017

In queste poche righe Papa Francesco ha sintetizzatogli elementi cruciali della dottrina sociale della Chiesae del suo Magistero in merito al diritto di ogni uomoe donna ad alimentarsi in modo adeguato e giusto.Tema affrontato in connessione con la giustizia so-ciale, la solidarietà, la pace, la cura e la custodia delcreato. Paolo VI, nella Populorum Progressio, vi dedicaun paragrafo specifico 1, Giovanni Paolo II nel 1992mise in guardia la comunità internazionale contro il ri-schio del “paradosso dell'abbondanza” 2 e nel 1996 ilPontifico Consiglio Cor Unum, dietro sua indicazione,pubblica un ampio documento sul tema della lottaalla fame 3. Benedetto XVI in Caritasin veritate correla la lotta alla famealla pace e alla stabilità del pianeta 4,infine Papa Francesco definisce lafame “criminale” 5 e frutto, in defini-tiva, di un sistema economico e fi-nanziario profondamente iniquo,produttore di degrado sociale e am-bientale che perpetua vecchi enuovi colonialismi 6. Il diritto all'ali-mentazione si lega strettamente allacura della “Madre Terra” 7.

La Terra è la nostra casa comune.Papa Francesco, nell’enciclica Laudato Si’ si appella atutta la famiglia umana perché insieme partecipi alla«sfida urgente» di proteggerla e continuare a custodirla,nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale 8.Esprime il desiderio di entrare in dialogo con tutti per-ché la crisi ambientale e le radici umane riguardanotutti e non si escludono l’un l’altra, ma soprattutto per-ché tutti siamo chiamati ad essere strumenti nella curadel creato, ognuno con la propria cultura ed esperienza,con iniziativa e capacità. Riprende, in questo senso, al-cuni predecessori, come Papa Giovanni Paolo II che giànell’enciclica Sollicitudo Rei Socialis (34) richiamava al ca-rattere morale dello sviluppo umano che presupponedi «tener conto della natura di ciascun essere e della suamutua connessione in un sistema ordinato».

La crisi ambientale citata da Papa Francesco non ènuova, da decenni è tema d’attualità e già Papa PaoloVI, in un discorso alla FAO del 1970, esortava a un mu-tamento nella condotta dell’uomo perché un auten-tico progresso sociale e morale accompagnino ilprogresso scientifico ed economico affinché, a lungoandare, non ci si ritorca contro 9.

Nell’enciclica il Papa ci ricorda che sia l’esperienzacomune sia la ricerca scientifica concordano nell’indi-viduare le fasce più deboli e povere come le prime vit-time. Nel riferirsi all’ambiente e alla crisi che lo affliggeda decenni, non si può prescindere dalla relazione cheesso ha con la società che lo abita. Intervengono, dun-que, la dimensione sociale, politica ed economica che

non possono più mirare a soluzioni singole e specifi-che, rivelando quanto mai urgente un approccio inte-grale per affrontare “una sola e complessa crisisocio-ambientale” 10.

Di fronte al degrado ambientale, alla distribuzionedi risorse non omogenea e all’esaurimento di alcunedi esse, ogni uomo che abita questa nostra casa sitrova di fronte a delle scelte. Da un lato sarà portato amigrare altrove alla ricerca di opportunità migliori, la-sciando anche la propria famiglia, e dall’altro contri-buirà a creare uno scenario favorevole a promuovereconflitti per tutelare o accrescere il proprio potere 11.L’approccio che la dottrina sociale della Chiesa pro-pone unisce la matrice ecologica con quella socialeper «ascoltare tanto il grido della terra quanto quello

3AFRICA | FAME DI PACE

Introduzione

Di fronte al degrado ambientale, alla distribuzione di ri-sorse non omogenea e all’esaurimento di alcune di esse,ogni uomo che abita questa nostra “casa” si trova difronte a delle scelte. Da un lato sarà portato a migrarealtrove alla ricerca di opportunità migliori, lasciandoanche la propria famiglia, e dall’altro contribuirà acreare uno scenario favorevole a promuovere conflittiper tutelare o accrescere il proprio potere

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dei poveri» 12. La giustizia deve diventare argomentodelle discussioni sull’ambiente, dando voce sia aquella parte di mondo che studia e conosce il pro-blema ma, soprattutto, a tutti coloro che lo vivonosulla propria pelle ogni giorno. Allo stesso tempo gliinterventi che operiamo non possono solo riguardarel’urgenza di un’emergenza, ma la ricchezza dei diversisaperi va indirizzata verso una visione d’insieme alungo respiro.

A questo riguardo allora l’accento si pone nontanto su un approccio filantropico che anzi già PaoloVI aveva denunciato essere insufficiente 13 e PapaFrancesco ipocrita 14, bensì sulla necessità di un cam-biamento delle strutture sociali alla base del modellodi sviluppo. Di qui l’esigenza affinché i poveri possanoincidere nelle decisioni, ad ogni livello, che hanno ef-fetti sulle loro vite. Emblematica sotto questo profilola Populorum Progressio al n. 47 e Papa Francesco neidiscorsi in occasione degli incontri con i MovimentiPopolari 15.

In Africa, i contenuti dell’enciclica Laudato Si’ hannoavuto eco nel documento che i vescovi hanno sotto-scritto durante la conferenza Organizzare il serviziodella carità in Africa: il ruolo dei vescovi tenutasi a Dakara settembre 2017. In particolare da sottolineare l’im-pegno a farsi prossimi a quegli individui e comunitàle cui terre sono minacciate da interessi interni edesterni; prendere a cuore la causa di migranti e rifu-giati, costretti a migrare per crisi ambientali e politi-che, contribuendo al meglio nel lungo lavoro disradicare le cause della povertà per supportare unaregione così ricca di persone, cultura e risorse naturali;incoraggiare i leader a promuovere il bene comune.

Il diritto al cibo è anche tema centrale degli Obiet-tivi del Millennio prima e degli Obiettivi di SviluppoSostenibile (OSS) poi, approvati dall’Assemblea gene-rale dell’ONU del 2015. In particolare l’obiettivo n. 2 siprefigge entro il 2030 di «porre fine alla fame, raggiun-gere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizionee promuovere un’agricoltura sostenibile» 16 con la de-finizione di obiettivi specifici in ma-teria di denutrizione infantile e dialtre fasce vulnerabili, incrementodella produttività agricola e dei

redditi dei produttori su piccola scala, sostenibilitàambientale, resilienza e capacità di adattamento allecrisi, tutela della biodiversità, investimenti in agricol-tura, rapporti commerciali e corretto funzionamentodei mercati 17.

In Expo 2015 Nutrire il pianeta gli Stati di tutto ilmondo hanno assunto solenni dichiarazioni e impe-gni per un mondo senza più fame e la piena attua-zione del diritto umano universale all’alimentazione 18

come «diritto di ciascun individuo, solo o in comunitàcon altri, ad avere in ogni momento un accesso fisicoed economico sufficiente al cibo, che deve essere ade-guato e culturalmente accettabile, oltre che prodottoe consumato in modo sostenibile, preservando l’ac-cesso al cibo alle generazioni future» 19.

Eppure, all’indomani di tutto questo, secondo l’ul-timo rapporto delle Nazioni Unite sullo stato della si-curezza alimentare nel mondo 20, nel 2016 le personecronicamente sottonutrite sono tornate ad aumen-tare, dopo un lungo periodo di decrescita, oltrepas-sando nuovamente la quota di 800 milioni, passandoda 777 milioni nel 2015 a 815 milioni nel 2016, ciframaggiore dell’intera popolazione europea. Di questi,è il continente africano a detenere il primato di mag-giore incremento in valore assoluto e di maggiorequota percentuale sulla popolazione totale. È in Africache nel 2016 e 2017 l’effetto combinato di siccità eguerre in contesti ad alta vulnerabilità, hanno provo-cato una tra le peggiori crisi alimentari degli ultimi de-cenni in una vasta area dell’Africa centrale e orientalee in Yemen 21.

Questo dossier ha l’intento di dare evidenza dellecontraddizioni che continuano a segnare il sistemaeconomico globale e rilanciare quanto denunciato eproposto nella campagna Una sola famiglia umana:cibo per tutti promossa dalle Chiese di tutto il mondonel 2015 rimettendo a fuoco le cause del diritto alcibo negato e le possibili soluzioni guardando inmodo particolare proprio alla martoriata e impoveritaAfrica.

Il diritto al cibo è anche tema centrale degli Obiettivi delMillennio prima e degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile(OSS) poi, approvati dall’Assemblea generale dell’ONUdel 2015. In particolare l’obiettivo n. 2 si prefigge entro il2030 di «porre fine alla fame, raggiungere la sicurezzaalimentare, migliorare la nutrizione e promuovereun’agricoltura sostenibile»

4 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Nel già citato rapporto sullo stato della sicurezza ali-mentare nel mondo della FAO, emerge un dato allar-mante: la denutrizione 1 è di nuovo in aumento. Nel2016 le persone in tale condizione sono state 815 mi-lioni, 38 milioni in più dell’anno precedente. Il dato ri-sulta inquietante poiché nel 2000 si registrarono 900milioni di casi in tutto il mondo, poi un lieve calo per-centuale fino al 2005 (dal 14,7% al 14,2%) e una de-crescita significativa fino al 2010 con una percentualedi circa 11,5 punti. Il fenomeno ha continuato a dimi-nuire, anche se in misura sempre più esigua, fino al2015 quando le persone malnutrite furono 777 mi-lioni (10,6%). Sebbene ancora al di sotto della sogliaregistrata nella decade precedente, ciò che preoccupamaggiormente è l’inversione della tendenza del feno-meno a livello globale e le differenze di trend a livelloregionale.

Analizzando il medesimo dato a livello continen-tale, si denotano differenze importanti. Il trend dellapercentuale delle persone denutrite sulla popola-zione totale dal 2012 al 2015 è mediamente in ribassoin tutte le regioni salvo nell’Africa sub-sahariana, doveinvece vi è un lieve aumento, in controtendenza ri-spetto al resto del mondo. L’Asia è il continente con lariduzione maggiore, pur mantenendo il maggiore nu-mero in valore assoluto. Nel 2016 in tutte le regioni siregistra un peggioramento salvo nel Nord Africa, inAsia del Sud, in Asia dell’Est, inAmerica Centrale e nei Caraibidove invece le percentuali ri-mangono invariate o in lievediminuzione. Nei Caraibi si re-gistra un miglioramento piùmarcato. Il dato del 2016 vedeancora l’Africa sub-saharianadetenere il primato della per-centuale più alta di denutriti(22,7%) e insieme al Sud EstAsiatico in testa nella classificadi peggioramento rispetto al2015 con un rialzo rispettiva-mente di 1,9 e 2,1 punti. La si-tuazione è particolarmentegrave nella sub-regione del-l’Africa orientale dove oltre unterzo (33,9%) della popola-zione è denutrita, una quotanettamente più alta rispetto aqualsiasi altra area del mondo

e dove si è registrato il più marcato peggioramento ri-spetto al 2015 (2,8 punti). In valore assoluto l’Asia è digran lunga il continente con il maggior numero di per-sone in condizioni di insicurezza alimentare con 520milioni, seguita dall’Africa con 243 milioni, l’AmericaLatina e Caraibi 42 milioni 2.

1. Il problema a livellointernazionale

Denutrizione nel mondo per regione 2011-2016

Fonte: elaborazione Caritas Italiana su dati FAO

Nel 2016 le persone in tale condizionesono state 815 milioni, 38 milioni in piùdell’anno precedente.Il dato del 2016 vede ancora l’Africa sub-sahariana detenere il primato della per-centuale più alta di denutriti (22,7%)

5AFRICA | FAME DI PACE

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Nel 2017 i trend non sono migliorati, in diversiPaesi vi sono stati livelli di crisi alimentare elevata, conla dichiarazione dello stato più grave di “carestia” 3 inSud Sudan e un livello di allarme in Somalia, nel Nord-Est della Nigeria e in Yemen. Il 10 marzo 2017, il sotto-segretario generale per gli Affari Umanitari dell’ONUe il Coordinatore per gli Aiuti d’Urgenza informaronoil Consiglio di Sicurezza che il mondo stava affron-tando la più ampia crisi umanitaria dalla creazionedelle Nazioni Unite. Circa 70 milioni di persone in 45Paesi necessitavano di assistenza alimentare d’ur-genza: un incremento del 40% rispetto al 2015 4.

Ad aggravare il problema c’è il fatto che i dati dellaFAO sottostimano il fenomeno in quanto, essendo

medie annuali, non fanno emergere la malnutrizionea breve termine, trascurano le disuguaglianze della di-stribuzione alimentare nei nuclei familiari e conside-rano esigenze energetiche giornaliere riferite a unavita sedentaria quando, al contrario, generalmente lepersone in stato di povertà svolgono attività pesanti 5.

Inoltre la denutrizione, basata sul consumo calo-rico, è solo un aspetto della malnutrizione 6 e dell’insi-curezza alimentare 7. Anche quando l’apporto caloricoè sufficiente, una dieta inadeguata può causare ca-renze di macronutrienti (carboidrati, grassi, proteine)o micronutrienti (vitamine, minerali) importanti. Adesempio nei Paesi in via di sviluppo è frequente la ca-renza di vitamina A, ferro, iodio. A livello mondiale

6 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Percentuale di denutrizione nel mondo per regione (2000-2016)

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sono circa 2 miliardi le persone che presentano ca-renze di vitamine e minerali essenziali. Guardando aglialtri aspetti della malnutrizione monitorati dalla FAO,si vede un progressivo calo a livello globale dei di-sturbi della crescita infantile e del rachitismo che puraffligge ancora 155 milioni di bambini sotto i 5 anni,mentre il deperimento cronico infantile ne colpisce52 milioni, valore che rimane alto soprattutto in al-cune aree e specialmente in Asia meridionale. Sono41 milioni i bambini sotto i 5 anni in sovrappeso, va-lore, questo, in aumento in tutte le regioni così comel’obesità tra gli adulti che ha raggiunto nel 2016 il va-lore record di 641 milioni di persone (13% dell’interapopolazione adulta nel mondo). Persiste il problemadell’anemia di donne in età riproduttiva che colpisce613 milioni (circa il 33% del totale) di persone, per-centuale che dal 2005 al 2016 non si è ridotta.

Per comprendere i fattori alla base di questa situa-zione è necessario richiamare i requisiti della sicurezzaalimentare menzionati nella definizione data nell’in-troduzione. In particolare, la disponibilità del cibo, l’ac-cessibilità fisica ed economica, l’adeguatezza nutri-zionale in base a genere, età e occupazione, l’accetta-bilità culturale, la sostenibilità di produzione e utilizzopreservando così l’accesso alle generazioni future.L’accesso al cibo può essere garantito producendo inproprio, con un reddito da lavoro, oppure da servizisociali e reti di solidarietà o con un mix di questi canali.La sicurezza alimentare dipende dalla stabilità neltempo e la capacità di controllo di tali requisiti per gliindividui e le comunità.

È evidente come tali requisiti e la loro stabilità neltempo sono influenzati da molteplici fattori quali ilreddito, il livello e la variabilità dei prezzi, l’accesso alleterre e alle risorse tecnologiche e naturali, la salute, laquota di spesa alimentare sul reddito, il grado di au-tosufficienza alimentare, la disponibilità di riserve ali-mentari e monetarie, la presenza di reti di solidarietàe di forme di sicurezza sociale, la mobilità, l’apprendi-mento. Fattori che a loro volta dipendono da condi-zioni socio-ambientali pregresse e cambiamentiendogeni ed esogeni quali fattori politico-istituzionali,andamento climatico, condizioni ambientali, condi-zioni igienico-sanitarie, istruzione, servizi sanitari. Diqui discendono i concetti di vulnerabilità 8, come su-scettibilità di queste dimensioni ad essere danneg-giate o limitate e di resilienza 9, come capacità di man-tenerle nel tempo e fronteggiare i ri-schi a cui sono soggette. Il grado divulnerabilità dipende dal livello diesposizione e di sensibilità ai possi-bili fattori di stress (es. sensibilità aiprezzi del cibo), la resilienza dalla ca-pacità di adattamento ex-ante (pre-venzione) e ex-post (risposta) agli

shock, ad esempio: capacità di mobilità, facilità di ac-cesso alla terra, capacità di uso delle riserve, capacitàdi mobilitazione di reti di solidarietà, capacità di ap-prendimento, capacità di incidenza nei fattori politico-istituzionali.

Da queste considerazioni si evince come il dirittoal cibo sia strettamente connesso con altri diritti fon-damentali come il lavoro e la sicurezza sociale, l’istru-zione, la sanità e dunque con lo sviluppo non solo delsettore agricolo, ma anche di quello industriale e deiservizi e con un quadro politico e istituzionale ingrado di garantire i bisogni essenziali dei cittadini.Nella dichiarazione di Roma sulla nutrizione del 2014gli Stati riconobbero che le cause alla radice della mal-nutrizione sono complesse e multidimensionali: po-vertà, esclusione sociale, disuguaglianza di genere,basso livello socio-economico e scarso controllo sullerisorse produttive, come l’accaparramento delle terree i sistemi di brevetto delle sementi. Similmente, lamalnutrizione è aggravata da scarse condizioni igie-nico-sanitarie e mancanza di acqua potabile, abita-zioni adeguate, carenza di educazione, sanità e sistemidi protezione sociale, conflitti violenti, fragilità istitu-zionale, sfruttamento e degrado ambientale.

Date queste premesse un’analisi delle cause non puòprescindere da considerazioni sulle condizioni di vulne-rabilità endemica create nel passato e i fattori soprag-giunti negli ultimi anni. Secondo Oliver De Shutter,rapporteur speciale delle Nazioni Unite per il diritto alcibo sino al 2014, i sistemi alimentari ereditati dal ven-tesimo secolo hanno fallito se paragonati alle esigenzea cui dovrebbero rispondere10. I notevoli progressi nellaproduzione agricola cresciuta costantemente a tassi pario superiori a quello della popolazione mondiale, tantoche oggi si produce cibo suffi- ciente per circa 12 mi-liardi di persone, non hanno inciso in modo significativonella riduzione degli affamati nel mondo e i risultati nu-trizionali sono alquanto scarsi. Inoltre la focalizzazionequasi esclusiva sull’aumento della produzione agricolae della carne ha avuto impatti ambientali molto gravi enon ha considerato i problemi distributivi. L’approccioproduttivista, l'espansione dei commerci internazionali,i piani di aggiustamento strutturale e il dumping dei si-stemi di sussidiazione dei prodotti agricoli nei Paesi in-dustriali, hanno portato nei Paesi poveri a sistemialimentari dipendenti dalle importazioni di cibo e estre-mamente vulnerabili a shock di prezzi e clima.

Un’analisi delle cause non può prescindere da considera-zioni sulle condizioni di vulnerabilità endemica create nelpassato e i fattori sopraggiunti negli ultimi anni. I sistemialimentari ereditati dal ventesimo secolo hanno fallito separagonati alle esigenze a cui dovrebbero rispondere

7AFRICA | FAME DI PACE

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Produzione di cibo e popolazione mondiale

IL FALLIMENTO DEI SISTEMI ALIMENTARI: DISAMINA STORICA11

A partire dagli anni ’60 l’aumento di produzione di cibo andò di pari passo con la specializzazione locale inuna varietà piuttosto ristretta di prodotti, processo che si rafforzò con l’estendersi del commercio internazio-nale. Le scelte tecnologiche e politiche che ne seguirono concentrarono i benefici nelle grandi unità di pro-duzione e proprietari terrieri a spese di piccoli produttori e braccianti provocando un aumento delladisuguaglianza senza ridurre la povertà. Le politiche di aggiustamento strutturale degli anni Ottanta introdottenella gran parte dei Paesi a basso reddito condussero gli stati a regredire negli investimenti nello sviluppoagricolo e nei sistemi di protezione sociale senza realmente favorire investimenti privati se non verso colturedestinate all’esportazione. In questo modo le condizioni per l’agricoltura su piccola scala furono compromesserelegandola ad agricoltura di sussistenza e provocando l’esodo verso le città dei nuclei familiari rurali. Allostesso tempo aumentò notevolmente la dipendenza dei Paesi a basso reddito dall’importazione di prodottialimentari da Paesi industriali rendendoli altamente vulnerabili agli shock dei prezzi del cibo sui mercati in-ternazionali. Negli anni successivi, con l’aumento della popolazione e la carenza di produzione e trasformazionelocale, le importazioni alimentari aumentarono notevolmente innescando un circolo vizioso in cui i bassi prezzidei prodotti importati, possibili grazie ai sussidi agli agricoltori nei Paesi industriali (dumping), danneggiaronoancor più gli agricoltori locali aumentando la necessità di importare. Quando a partire dal 2008 i prezzi dellederrate alimentari si sono impennati improvvisamente a causa dell’aumento del prezzo del petrolio e dellaspeculazione 12, avviando un periodo di alta volatilità, i Paesi più poveri si sono trovati in trappola. Gli squilibridei sistemi alimentari creati nei precedenti decenni emersero in tutta la loro gravità.

A seguito della crisi dei prezzi del cibo del 2008, cisono stati maggiori sforzi per accrescere la capacità diproduzione agricola locale supportando i piccoli pro-duttori e incentivando politiche agricole che tenes-sero conto dei fattori nutrizionali 13. Tuttavia questinon hanno incluso meccanismi di monitoraggio deiprogressi o quelli per garantire la partecipazione deiproduttori e dei consumatori alimentari ai processideci- sionali necessari a contrastare gli squilibri di po-tere nelle filiere alimentari. Inoltre le riforme non sonostate focalizzate sui più vulnerabili e i regimi di sup-porto non si sono tramutati in veri diritti legali 14. Il po-tere delle multinazionali dell’industria agro-alimen-tare è aumentato e si è concentrato progressivamente

in pochi gruppi in grado di controllare tutte le fasidelle filiera e di conseguenza i sistemi alimentari. L’in-dustria agroalimentare è oggi il principale beneficiariodegli investimenti diretti all’estero soprattutto a sup-porto di cibi altamente calorici e raffinati poveri sottoil profilo nutrizionale con conseguenze dannose sullaqualità dell’alimentazione 15 e la “transizione nutrizio-nale” 16. Sono aumentate forme di accaparramentodella terra (land grabbing) da parte di stati e compa-gnie straniere e dell’acqua (water grabbing), con unasempre maggiore competizione per l’accesso alle ri-sorse ambientali.

A queste problematiche si aggiungono altri fattoricausa di vulnerabilità quali la speculazione finanziaria,

8 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Fonte: elaborazione Caritas Italiana su dati FAO

Popolazionemondiale

Indice diproduzione

lorda di cibo

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motivo principale dell’alta volatilità dei prezzi del cibodal 2008 in poi, l’aumento dei conflitti violenti e delladurata delle crisi, l’aumento della frequenza e dell’in-tensità degli shock ambientali dovuti a cambiamenticlimatici, la fragilità politica-isitituzionale in aumentoa partire dagli anni 2000. Nel 2016 sono 56 i Paesi con-siderati “fragili” secondo la definizione dell’Organizza-zione per la cooperazione e lo sviluppo economico 17,nel 2011 erano 43. In questi stati vivono 1,6 miliardi dipersone (22% della popolazione mondiale) e più dellametà della popolazione mondiale in stato di povertàestrema (con reddito inferiore a 1,9 $ al giorno) 18, conun trend crescente della concentrazione in questi con-testi della quota di popolazione più povera.

Date le condizioni di vulnerabilità di base, nell’in-cremento recente dell’insicurezza alimentare hannogiocato un ruolo determinate la variabilità climatica ei conflitti. I primi sono riconducibili all’incidenza deifenomeni climatici “El Niño” e “La Niña” che hanno col-pito principalmente il Sud-Est Asiatico e l’Africa orien-tale e meridionale, con una diminuzione del cibodisponibile e l’aumento dei prezzi di acquisto. Perquanto riguarda i conflitti, nell’ultimo decennio sonoaumentati proprio in contesti giàprovati da forte insicurezza alimen-tare e dove le violenze hanno col-pito principalmente le aree ruralicon un impatto negativo su produ-zione e accesso al cibo. L’aumento innumero e complessità dei conflitti,per lo più interni agli stati, ha riguar-dato principalmente l’Africa e ilMedio Oriente e ha condotto a si-tuazioni di crisi tanto più gravi quan-to più frutto dell’ effetto combinato con siccità, altrecalamità naturali e scarse capacità di risposta. I datievidenziano la correlazione tra fame e guerre: neipaesi in conflitto vive il 60% degli 815 milioni dipersone che soffrono la fame, la quota della po-polazione denutrita è 4 punti percentuali supe-riore a quella di altri paesi, dove il conflitto è lungonel tempo e aggravato da condizioni di fragilitàistituzionale e ambientale, nell’ultimo ventennio,la percentuale di malnutriti è stata in media supe-riore di 11-18 punti e laddove vi è stata una crisiprolungata, la quota sale quasi a 2,5 volte quelladi Paesi dove non vi sono stati conflitti. Tutti i 19Paesi classificati dalla FAO in situazione di crisi pro-lungata 19 nel 2016 sono affetti da conflitti e vio-lenze 20.

Se l’aumento dei conflitti è dunque un fattorechiave, seppur non l’unico, per spiegare la crescitadella malnutrizione, le proiezioni per i prossimianni non sono incoraggianti. Secondo il RapportoGlobale dell’Indice della Pace del 2017 (Global

Peace Index) 21, il mondo è meno pacifico ora di quantonon lo fosse nel 2008 con un deterioramento da unanno all’altro in 5 degli ultimi 9 anni.

Tuttavia occorre menzionare il fatto che un peg-gioramento delle condizioni della sicurezza alimen-tare è stato osservato anche in contesti più pacifici.Ciò a causa di crisi economiche che hanno indebolitoi tassi di cambio e ridotto le entrate fiscali, riducendola capacità di importazione e lo spazio di manovradegli Stati per misure di protezione dei redditi control’aumento dei prezzi. Ciò è accaduto in Paesi dell’Ame-rica Latina e dell’Asia dell’Ovest le cui economie sonobasate tipicamente sull’esportazione di petrolio ealtre materie prime che hanno subito una forte ridu-zione dei prezzi con conseguente stagnazione e re-cessione economica.

Da questi dati purtroppo emerge un quadro in cuile previsioni dell’Agenda per lo sviluppo 2030 delleNazioni Unite per il raggiungimento dell’obiettivo checi si era prefissati di eliminare fame e malnutrizioneentro il 2030, è oggi purtroppo lontano.

Se l’aumento dei conflitti è dunque un fattore chiave,seppur non l’unico, per spiegare la crescita della malnu-trizione, le proiezioni per i prossimi anni non sono inco-raggianti. Secondo il Rapporto Globale dell’Indice dellaPace del 2017, il mondo è meno pacifico ora di quantonon lo fosse nel 2008 con un deterioramento da un annoall’altro in 5 degli ultimi 9 anni

Indice dei prezzi reali del cibo nel mondo dal 1990 al 2017(2002-2004=100)

9AFRICA | FAME DI PACE

Fonte: elaborazione Caritas Italiana su dati FAO

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I dati mostrati nel capitolo precedente mettono inluce come nel continente africano e in special modonella regione sub-sahariana, tutti gli indicatori su ef-fetti e cause della malnutrizione, in proporzione allapopolazione, registrano i valori più negativi con un di-vario crescente rispetto al resto del mondo. Un conti-nente intrappolato in una dinamica di povertàapparentemente incontrastabile.

Si stima che le persone in stato di denutrizionesiano circa 243 milioni, su un totale di oltre 1 miliardodi abitanti, metà dei quali vive ancora con meno di 2dollari al giorno. La quota di popolazione denutrita èla più alta al mondo (20% in Africa e 22,7% in Africasub-sahariana) 1, con un trend dal 2010 in avanti pres-soché stabile e in aumento dal 2015, in controten-denza a tutte le altre macroregioni, dove invece ladenutrizione è diminuita sino al 2015.

L’Africa è il continente a più alta concentrazione difragilità istituzionale e di crisi prolungate. Dei 56 statidefiniti fragili dall’OCSE, 37 sono in Africa. Ai contestifragili possiamo ricondurre tutte quelle situazioni incui vi è una scarsa capacità di gestione del rischio acui si è esposti per condizioni di vulnerabilità econo-mica, ambientale, politica, sociale e di generale sicu-rezza 2. Si ha una crisi prolungata quando una per-centuale molto alta della popolazione soffre per lungotempo a causa di insicurezza alimentare, malattie enon ha accesso a mezzi di sussistenza. Conflitti e vio-lenze sono fattori determinanti in contesti di questotipo, ma non i soli considerando che generalmentesono aree già affette da fenomeni climatici avversicome lunghi periodi di siccità, condizioni sanitarie in-sufficienti e grave instabilità istituzionale. La FAO ha sti-lato una lista con tutti i Paesi affetti ancora da crisiprolungate nel 2017 e, su un totale di 19, ben 14 sonoin Africa: Burundi, Repubblica Centrafricana, Ciad, Re-pubblica Democratica del Congo, Gibuti, Eritrea, Etio-pia, Kenya, Liberia, Niger, Somalia, Sud Sudan,Sudan e Zimbabwe 3. Povertà e fragilità si riflet-tono anche in sistemi di protezione sociale estre-mamente deboli: l’Africa è il continente con lapiù alta proporzione di popolazione che non haaccesso a forme di protezione sociale e servizisanitari adeguati a fronte di bisogni assai estesi 4.

Se pensiamo al continente africano e alla suatradizione rurale e pastorale, che da sempre è laprincipale fonte di sostentamento, non ci è diffi-cile immaginare la gravità della situazione. Gli ar-gomenti sopra descritti si inseriscono in unpercorso storico già difficile per l’Africa. Agli ef-

fetti della colonizzazione si aggiunsero, già dagli anniSessanta, politiche poco favorevoli a un percorso di au-tonomia delle piccole comunità rurali locali con inve-stimenti concentrati esclusivamente sulle colture daesportazione. Ne conseguì che l’agricoltura su piccolascala non ha mai avuto impulso e si sono registratigrandi flussi migratori dalla campagna alle città, uni-tamente a una forte crescita demografica. Tutto questoha portato a una cronica dipendenza dall’aiuto alimen-tare, dall’importazione estera e a una fortissima vulne-rabilità agli shock dei prezzi che si ripetono frequenti 5.

Tale processo storico è strettamente connesso ancheal fenomeno dell’accaparramento di estesi appezza-menti di terreno (land grabbing) da parte di stati e com-pagnie straniere che ha assunto in Africa dimensioniinimmaginabili: sono oltre 25 milioni gli ettari di terraoggetto di acquisizioni che possono ricondursi a formedi land grabbing. Un’estensione pari a 2,7 volte l’interoPortogallo con alcune situazioni paradossali come quel-la del Sud Sudan, Paese nato nel 2011, poverissimo e inguerra dal 2013, dove oltre il 5% della superficie è inmano a stranieri. Seppure il fenomeno abbia una rile-vanza mondiale, l’Africa anche in questo caso primeggiacon oltre il 50% di terre accaparrate del mondo 6. Oltreil 60% dei terreni acquisiti non è utilizzato in alcun modoper produrre cibo, bensì legname, biocarburanti, ener-gia, per turismo o altro. Da notare che tra le destinazionid’uso vi è anche il paradosso della forestazione a scopodi compensazione degli eccessi di emissioni di CO2 7.

2. Il problema a livelloregionale

Land grabbing nel mondo

Fonte: elaborazione Caritas Italiana su dati Land Matrix

10 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Inoltre, più del 35% hanno una destinazione mul-tipla, che consente, una volta acquisito il terreno, diprodurre su ciò che massimizza i profitti o a tal fine didiversificarne l’utilizzo. Solo il 7% ha come scopo spe-cifico la produzione di cibo, dato che contraddice ine-sorabilmente l’assunto che le acquisizioni di terrestraniere sono necessarie a garantire la sicurezza ali-mentare del Paese investitore e anche di quello desti-natario. Gli stati d’origine delle compagnie acquirentisono molteplici, e di tutti i continenti. Tra i primi dieciper ettari di terreno spiccano gli USA, ma ci sonoanche Paesi europei e dell’Asia. Da notare la presenzanell’elenco dell’Italia all’ottavo posto.

Anche per quanto riguarda i conflitti, il continenteafricano detiene il triste primato di avere al suo in-terno il maggior numero di crisi violente con un pro-gressivo deterioramento negli ultimi anni. Dei 15 staticon le peggiori situazioni di conflitto al mondo se-condo l’Indice Globale della Pace, 7 sono africani 9.

Oltre a quanto descritto nel capitolo precedente, sipuò notare l’incidenza che i conflitti e le violenzehanno avuto sulla sicurezza alimentare, facendo rife-rimento agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM).Il 2015, infatti, è stato l’anno in cui è scaduto il periododi monitoraggio stabilito per il raggiungimento degliOSM. In merito alla sicurezza alimentare ci si era datil’obiettivo di dimezzare la proporzione delle personeche soffrono la fame (OSM 1). Ebbene, dai dati raccoltiemerge chiaramente che, mentre nelle aree non inte-ressate da conflitti e violenze l’obiettivo è stato rag-giunto, nelle aree interessate da conflitti e crisiprolungate ne siamo ben lontani 10.

Infatti, un conflitto associato ad una situazione diinsicurezza alimentare, produce diversi effetti, direttie indiretti. I primi possono comprendere complica-zioni mediche e di salute, migrazioni e perdita dellescorte alimentari, mentre i secondi si possono ricon-

durre a cambiamenti negli assetti economici, istituzio-nali e sociali. Spesso si verifica il crollo dei mercati, larecessione economica e l’aumento dell’oscillazionedei prezzi per i beni di prima necessità (cibo, acqua,energia, ecc.) con conseguente ulteriore deteriora-mento della quantità e della qualità del cibo disponi-bile. Le relazioni istituzionali e commerciali vengonocompromesse diminuendo drasticamente l’ingressonel Paese di beni di prima necessità altrimenti intro-vabili e provocando un’oscillazione dei prezzi tale percui la popolazione non può avere accesso a beni e ser-vizi primari. L’instabilità economica che ne deriva pro-duce ulteriori effetti fino al potenziale crollo di tutti imeccanismi sociali di protezione per la popolazionelocale. Tutte situazioni che, a loro volta, possono ria-cutizzare le violenze e aumentare l’instabilità politicain un circolo vizioso da cui è difficile uscire.

Le fasce della popolazione più colpite risultano es-sere donne e bambini. Nel rapporto della FAO, una fo-tografia del continente è offerta dal dato sulle pro-porzioni dei bambini affetti da arresto della crescita eobesità. Il fenomeno di arresto della crescita infantileè tra i più alti al mondo (59 milioni) con il primato del31,2% nel 2017, nonostante il calo dal 36,2% del 2005(la sub-regione più colpita resta invariantementequella orientale) 11.

Per contro, la percentuale dei bambini in sovrap-peso è la più bassa al mondo con il 5,2%, seppur inlieve aumento dal 2005. Analizzare i dati sull’arrestodella crescita può essere d’aiuto per capire le ricadutesul futuro, oltre ad essere uno dei target da ridurreentro il 2025 (OSS 2.2 12). Questa condizione evidenziaquei casi di bambini sotto i 5 anni di età troppo bassiper la loro età, con il conseguente rischio di deficit co-gnitivi, difficoltà di apprendimento e alta vulnerabilitàall’insorgere di malattie che compromettono sia la vitasociale che lavorativa. Tra le cause determinanti: salutee nutrizione materne compromesse prima e durantela gravidanza e l’allattamento, alimentazione e allat-tamento al seno inadeguato, scarse condizioni igieni-che. È evidente come conflitti e tensioni agevolino ilverificarsi delle cause del fenomeno. Basti pensare al-l’allattamento al seno e interrogarsi se in molti Paesidell’Africa, questa pratica fondamentale per dare unbuon apporto nutrizionale agli infanti sia facilmenteattuabile. Alle volte sono le condizioni generali di in-stabilità che aggravano le condizioni fisiche delladonna, sia per difficoltà di mantenere standard nutri-zionali adeguati sia perché su di essa ricadono mag-giormente le responsabilità familiari visto il recluta-mento di uomini e ragazzi tra le parti in guerra. Altrevolte non ci sono adeguate strutture sociali che per-mettono alla donna di vivere la maternità, ad esempioper la scarsità o nullità di legislazioni che riconosconoi congedi parentali.

Land grabbing in Africa: Stati d’originedegli investitori - Primi 10 per ettari di terreno 8

Stato Ettari di terreno acquisito

Stati Uniti d’America 4.361.055

Emirati Arabi Uniti 1.898.945

Singapore 1.769.883

Liechtenstein 1.457.776

Regno Unito 1.081.529

Libano 1.004.867

Arabia Saudita 994.078

Italia 854.031

Malesia 570.584

Portogallo 564.071

11AFRICA | FAME DI PACE

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CRISI ALIMENTARI MULTIPLE

Sin dall’inizio del 2017, le Agenzie delle Nazioni Unitecon anche diversi appelli del Segretario Generale An-tonio Guterres, lanciarono l’allarme perché oltre 20milioni di persone erano in stato di malnutrizione cosìacuto in Yemen, Nigeria, Somalia e Sud Sudan da clas-sificare questi Paesi come a rischio carestia (IPC fase 4e/o 5) 13. La carestia fu poi dichiarata in Sud Sudan il20 febbraio per alcuni mesi, successivamente rientrataa livello di emergenza e scongiurata negli altri Paesi,grazie agli aiuti umanitari. Permane tuttavia un rischioelevato a inizio del 2018 in tutti i quattro Paesi, con laprevisione non incoraggiante di aggiungervi anchel’Etiopia 14.

NigeriaIn Nigeria, a dicembre 2017, le Agenzie delle Na-

zioni Unite hanno registrato che 5,2 milioni di per-sone, di cui 450.000 mila bambini, necessitano diassistenza umanitaria perché a rischio carestia, soprat-tutto nel nord-est 15. Il Paese è stato classificato come“a rischio” e non è stata dichiarata la carestia solo per-ché la crisi alimentare si è localizzata nell’area a nord-est, più vulnerabile per le violenze legate a BokoHaram 16. In questo caso, uno dei fattori determinantiche ha condotto ad un progressivo peggioramento èstata l’ondata di violenze legate a Boko Haram. Le areepiù colpite sono Adamawa, Yobe e Borno e, proprio inquest’ultima, la situazione è più grave. Infatti, nono-stante l’aiuto umanitario la maggior parte della popo-lazione non ha accesso a cibo e a servizi di base, conun alto tasso di mortalità.

Nonostante i territori siano stati liberati da BokoHaram, la popolazione ancora risente di prolungatestagioni in cui le condizioni climatiche e il conflittonon hanno permesso loro di attivare strategie utiliverso l’autosussistenza e la produzione agricola è installo. È molto elevata la dipendenza dagli aiuti uma-nitari e l'intensa oscillazione dei prezzi rende i beni diprima necessità fuori dalla portata della maggiorparte della popolazione locale. Si stanno pian pianoregistrando dei cali, ma non ancora sufficienti per spe-rare in un miglioramento a breve termine. Purtropposi stima che nel 2018 anche alcune aree centrali delPaese potranno essere interessate da un peggiora-mento rispetto agli anni precedenti 17.

SomaliaDopo la carestia che nel 2011 costò la vita a circa

250.000 persone nel Corno d’Africa, nel 2017 ancorauna grave siccità dovuta alla quarta stagione conse-cutiva di scarsissime piogge insieme ad elevati flussimigratori interni e difficoltà di intervento, hanno por-tato il numero delle persone che necessitano di aiuto

umanitario a 6,2 milioni su una popolazione totale di12,3 milioni 18. Si ritiene che quasi 3 milioni di personesi trovino in situazione di crisi o insicurezza alimentarea livello di emergenza, con un aumento registrato da83.000 a 860.000 solo nel periodo gennaio-dicembre2017 19. Il numero degli sfollati interni ha superato i 2milioni di persone, di cui la metà solo nel 2017; i bam-bini malnutriti sono 388.000 e il tasso di mortalità in-fantile al 13,7% 20. Altissimi i casi di colera e diarrea 21.

I fattori determinanti si possono certamente ricon-durre alla siccità legata al fenomeno meteorologicoEl-Niño, che sta colpendo tutta l’area, ma anche allaviolenza diffusa e all’estrema instabilità e fragilità isti-tuzionale che il Paese vive ormai da più di vent’anni.Instabilità cresciuta con le elezioni e il processo allaCorte di Giustizia dell’Aja per decidere la demarca-zione del confine tra le acque somale e quelle delKenya, zona potenzialmente ricca di petrolio e gas,che continua a provocare divisioni interne 22. Deva-stanti gli attentati terroristici a Mogadiscio a ottobree dicembre, rivendicati da Al-Shabaab, che hanno esa-sperato la situazione, con più di 400 morti.

Sud SudanIl caso del Sud Sudan può essere sicuramente un

esempio attualissimo per spiegare la realtà di aree col-pite sia da insicurezza sia da conflitto, tanto che a feb-braio 2017 è stato dichiarato lo stato di “carestia”, il piùgrave secondo la classificazione della FAO, nelle con-tee di Leer e Mayendit, nello Stato di Unity 23. È il piùgiovane Stato al mondo, dopo una travagliata sepa-razione dal Sudan con un lungo periodo di tensioni econflitti. Se per i primi due anni le tensioni internesono rimaste latenti, dal 2013 sono sfociate in unaguerra civile, tra le truppe del presidente Salva Kiir equelle dell’ex vicepresidente Riek Machar.

Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, circa 7,6milioni di persone nel Paese necessitano di aiuto uma-nitario, 1,7 milioni restano sull’orlo della carestia ecirca 1 milione di bambini sotto i 5 anni vive in statodi grave malnutrizione. Secondo i dati pubblicati a di-cembre 2017 da Unicef nel rapporto Childhood underattack la situazione umanitaria è estremamente grave.Circa 3 milioni di bambini sono in condizioni di graveinsicurezza alimentare e oltre 1 milione soffre di mal-nutrizione acuta. 2,4 milioni i bambini che hanno do-vuto abbandonare le proprie case, 2 milioni non fre-quentano le scuole e, in prospettiva, solo uno su 13avrà la possibilità di finire la scuola primaria. Più di19.000 bambini sono stati reclutati da forze e gruppiarmati e almeno 2.300 sono rimasti uccisi o feriti dal-l’inizio del conflitto, nel dicembre 2013. Sono stati ri-ferite anche centinaia di violenze sessuali sui minori.Più di 2 milioni di sud sudanesi sono scappati, oltre-passando i confini e rifugiandosi in Repubblica Demo-

12 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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cratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Sudan,Etiopia, Kenya e Uganda, con non poche conseguenzeper i Paesi ospitanti. Altri 2 milioni sono gli sfollati in-terni. Un accordo di pace è stato siglato nel 2015, magli scontri non sono cessati e tra il 2016 e 2017 vi èstata un’ulteriore escalation con episodi di violenza esaccheggio all’ordine del giorno, costringendo fami-glie intere, anziani, disabili, giovani e bambini a spo-starsi continuamente senza trovare stabilità, per-dendo case, terreni e bestiame.

La continua disputa tra governo e opposizionenon ha ricadute solo sulla crisi alimentare, di cui è unodei fattori determinanti, ma ha di fatto fermato ogniattività. L’inflazione è alle stelle, arrivando a cresceredi circa l’836% a ottobre 2016. Molti beni scarseg-giano, la corruzione è dilagante, la lotta per il poteresenza esclusione di colpi. Le vie di comunicazionefunzionano a singhiozzo a causa dell’insicurezza edelle condizioni ambientali. Essendo il conflitto sem-pre in atto, mentre gli equilibri militari sul terrenocambiano costantemente, non ci sono zone in cui visia la certezza di un passaggio sicuro. I mezzi di tra-sporto scarseggiano, le strade sono in pessime con-dizioni.

Repubblica Democratica del CongoStoricamente preoccupante è ancora la situazione

in Repubblica Democratica del Congo, classificata trai Paesi a rischio secondo FEWSNET 24 nel 2017-2018. IlPaese conta ancora 7,7 milioni di persone in statoacuto di malnutrizione e ospita più di 200.000 rifu-giati dai Paesi confinanti. Gli sfollati interni sono an-cora più di 4 milioni. Nelle zone più colpite dalconflitto riacutizzatosi nell’agosto 2016, Kasai e Tan-ganyika, è stata riportata anche quest’anno l’esigenzaper i contadini di diminuire ulteriormente le attivitàlegate alla semina, ciò comporterà una forte dipen-denza dagli aiuti e un peggioramento della crisi ali-mentare 25. Gli alimenti di base sono generalmenteancora disponibili nei mercati locali del Paese ma,anche in questo caso, l’aumento dei prezzi rende l’ac-cesso al cibo quasi impossibile per la maggior partedella popolazione.

Repubblica CentrafricanaLa Repubblica Centrafricana è uno di quei Paesi

profondamente colpiti dalla crisi alimentare, i cui ef-fetti sono stati aggravati da anni di violenze e conflitto.Dopo il picco raggiunto dalle tensioni tra il 2013 e il2014, nel 2015 è stato siglato un accordo di pace e, nelmedesimo anno, si registrava un calo della produ-zione di cotone e caffè rispetto al periodo 2008-2012.Per i cereali, i dati parlano di un calo di circa il 70% 26.A maggio 2017, su una popolazione totale di 5 milioni

di abitanti, erano 500.000 gli sfollati interni. Il Paese,purtroppo, ha anche il record negativo per l’indicedella fame tra i più alti (GHI) 27, dato da un elevatotasso di denutrizione che ha raggiunto il 58% e dellamortalità infantile al 13% 28. Il dato è ancor più allar-mante perché, secondo gli studi annuali, la Repub-blica Centrafricana è l’unico Paese al mondo che nonmostra alcun segno di progresso, risultando l’ultimoin coda alla classifica dei 119 Paesi analizzati e, soprat-tutto, ritornato al medesimo livello del 2000 dopo averregistrato un lieve miglioramento nel 2008.

Burundi Il caso del Burundi dimostra come più di dieci anni

di conflitto (1993-2005) abbiano esposto la popola-zione a livelli di violenza tali per cui gli effetti della ri-presa sul benessere delle famiglie non si vedonoancora e le previsioni non si mostrano certamente in-coraggianti per l’immediato futuro. I disordini politiciscoppiati nel 2015 hanno provocato la morte di cen-tinaia di persone e quasi mezzo milione, su una popo-lazione totale di 11 milioni, tra sfollati interni eprofughi all’inizio del 2017. Il livello di arresto dellacrescita infantile del Paese, al 56,6%, è tra i più alti almondo e il 65% della popolazione vive ancora al disotto della soglia di povertà estrema 29.

Africa del SudSpostando il nostro focus sulla parte più a sud del

continente, vediamo che i dati restano allarmanti. Nonci sono conflitti significativi in atto come in altre partidella regione, ma gli effetti di El Niño sono stati deva-stanti insieme a una recessione economica che ha ri-dotto molto le capacità locali di far fronte all’emer-genza. Le conseguenze evidenti in tutta l’area sonostate un aumento sproporzionato dei prezzi sia perl’importazione sia a livello locale, e un crollo della qua-lità e quantità di raccolto. Il lavoro agricolo ha subitoun forte calo. Il prezzo del mais, ad esempio, ha rag-giunto il suo record storico nel 2016 in ben quattroPaesi dell’area: Lesotho, Malawi, Mozambico e Swazi-land. La combinazione di questi fattori ha portato aduna crisi nell’accesso al cibo e a un’evidente aumentodei tassi di malnutrizione.

In generale nella regione si registra una generaleimpreparazione alla risposta ai fenomeni naturali chesi stanno facendo sempre più frequenti, così comeun’evidente mancanza di infrastrutture adeguate. IPaesi dell’area dove la situazione sembra volgere alpeggio sono: Madagascar (soprattutto il sud), Mozam-bico, Zimbabwe e Malawi dove il tasso di malnutri-zione colpisce milioni di persone e ha raggiunto livelliinternazionalmente riconosciuti come “crisi” tale percui l’intervento umanitario è necessario.

13AFRICA | FAME DI PACE

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Etiopia e Kenya: tra siccità, migrazione e instabilitàpolitica

L’Africa orientale è una delle regioni africane chesta vivendo una crisi umanitaria pari o anche peggiorea quella del 2011 che già provocò 250.000 vittime nelCorno d’Africa 30. La siccità ha colpito l’Etiopia per ben5 volte negli ultimi 20 anni. Secondo le stime presen-tate da Caritas Etiopia a novembre 2017, grazie a unlavoro congiunto con autorità locali, Agenzie delle Na-zioni Unite e Ong, nel Paese 8,5 milioni di persone ne-cessitano di aiuto umanitario per l’insicurezzaalimentare. Di questi, secondo proiezioni per i pros-simi mesi non ancora confermate, 376.000 bambinisotto i 5 anni di età saranno in uno stato di malnutri-zione acuta, 10,5 milioni di persone non avranno ac-cesso ad acqua pulita, 2,25 milioni di allevatoriavranno bisogno di supporto e 1,02 milioni di nucleifamiliari di supporto abitativo. Siccità, conflitto e allu-vioni in alcune aree del Paese sono stati fattori deter-minanti nella migrazione interna di più di 843.000persone, che vivono in campi per sfollati con scarsecondizioni igieniche e di sicurezza. Vista la forte com-ponente femminile della popolazione ospite nei cam-pi e la loro scarsa illuminazione, i casi di violenza not-turna raggiungono ormai livelli altissimi. Nei numerosicampi per sfollati manca quasi totalmente l’assistenzasociale (circa il 91%), in particolare per le fasce più de-boli come i minori.

Preoccupante è l’aumento del tasso di child-mar-riage e di sfruttamento. Un’indagine condotta nella re-gione Somali indica che per il 47% degli intervistati ilfenomeno del child-marriage è strettamente collegatoalle condizioni precarie date dalla siccità. Nella re-gione del Tigray il 67% dei distretti analizzati riportacasi di violenza di genere e domestica, il 33% di sfrut-tamento sessuale in cambio di cibo. In tutto il Paesela mancanza di cibo forza moltissime famiglie all’ab-bandono scolastico. Le regioni meridionale e orientaledel Paese continuano a essere le più colpite a causa diprecipitazioni scarse se non addirittura assenti, au-mentando i casi di epidemie e perdita di bestiame. La

sola regione Oromo, una tra le più preoccupanti nonsolo in Etiopia ma in tutta l’Africa dell’Est, conta per-dite di bestiame, maggior fonte di reddito, per circa il25%.

Anche il Kenya è uno dei Paesi più colpiti nel 2017dalla crisi alimentare. Secondo i dati OCHA, già a set-tembre dello scorso anno 5,6 milioni di persone ne-cessitavano di aiuto umanitario e, tra questi, 3,4milioni erano in uno stato di forte insicurezza alimen-tare. Una siccità a brevi cicli per un periodo prolungatoha portato un peggioramento della situazione.

Le 27 contee che su un totale di 47 sono definite“asal” (Arid and Semi-Arid Lands), sono quelle più col-pite dai casi di malnutrizione. Ne sono stati colpiti informa acuta ben 369.277 bambini, secondo i dati ri-portati da Caritas Kenya. Il bestiame dispone di sem-pre meno foraggi e acqua, tanto che in 4 contee(Isiolo, Laikipia, Marsabit e Samburu) si contano giàperdite di almeno il 10%. Un parassita ha infestato learee dove si producevano le più alte quantità di mais,seppur già fortemente al ribasso rispetto allo stessoperiodo in anni precedenti. La mancanza d’acqua èstata uno dei fattori determinanti. Si conta l’80% deibacini prosciugati nelle contee di Isiolo, Laikipia, Man-dera, Meru (a nord della contea), Samburu (nella parteest). Il 40%, invece, era completamente secco nellacontea di Marsabit, con un rincaro dei prezzi da 0.05$ a 0.50 $ per una tanica da 20 litri d’acqua.

La scarsità di cibo e acqua ha in-fluito anche sull’istruzione sia per ladifficoltà di continuare a pagare letasse scolastiche obbligatorie sia per-ché molte famiglie sono migrate e ibambini non vanno più a scuola. Allostesso tempo, anche le razioni di ciboservite nelle mense scolastiche sonofortemente diminuite ed è stato ne-cessario un intervento dall’esterno inmolte aree.

La siccità, insieme a flussi migratorimolto elevati dai Paesi vicini, ha favo-rito il dilagare di diverse epidemie

come dengue, kala-azar e colera. Il colera ha destatola maggiore preoccupazione, soprattutto nei mesi diluglio e agosto 2017, in ben 17 contee su 47 e con-tando circa 1.474 casi sospetti di cui 430 confermati e18 decessi. La siccità ha avuto forti conseguenze so-prattutto sulle persone affette da HIV perché la scarsadisponibilità di cibo e acqua ha fortemente influitosulla dieta giornaliera alla base del proseguimento dicure adeguate. Si parla di circa 290.000 casi.

La situazione politica del Paese, purtroppo, ha in-fluito ancor più negativamente sulla crisi alimentare.Infatti, la generale instabilità dovuta alle elezioni diagosto poi annullate con una storica sentenza della

Etiopia: 100 milioni di abitanti

8,5 milioni di personenecessitano di aiuto

umanitario

46% della popolazionetotale è malnutrita

40% della popolazionetotale non ha accesso

all’acqua

20.000 bambini ogni annomuoiono per la disidratazione

causata dalla diarrea

14 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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SCALA DELL’ INSICUREZZA ALIMENTARE SECONDO IL SISTEMA IPC

La FAO nel 2004 ha definito una scala sulla insicurezza alimentare per dare coerenza e uniformità ai metodi diclassificazione delle catastrofi umanitarie e indirizzare le risorse disponibili in modo coerente. La scala IntegratedFood Security Phase Classification (IPC) comprende livelli da 1 a 5 (1=minima; 2=stress; 3=crisi; 4=emergenza;5=carestia). La carestia è definita tecnicamente quando il livello di insicurezza alimentare raggiunge alcuni valori sogliache indicano che si è passati al quinto livello. Perché venga dichiarata una carestia, è necessario che alcunecondizioni precise si verifichino: almeno il 20% delle famiglie in un’area subiscono scarsità di cibo con una ca-pacità di reazione molto limitata; i tassi di malnutrizione acuta superano il 30%; il tasso di mortalità supera ledue persone al giorno su 10.000. La dichiarazione di carestia non comporta nessun obbligo vincolante per leAgenzie delle Nazioni Unite o i governi donatori, ma serve ad attirare l’attenzione internazionale sul pro-blema 31. I livelli da 3 a 5 richiedono un intervento urgente.

Definizione della scala:- Livello 1: minima, più dell’80 % dei nuclei familiari soddisfano le esigenze alimentari di base; - Livello 2: stress, almeno il 20% dei nuclei familiari stanno riducendo il consumo di cibo e non possono

tutelare il loro sostentamento; - Livello 3: crisi, almeno il 20% dei nuclei familiari ha una significativa carenza di cibo che conduce ad alti

livelli di malnutrizione grave; - Livello 4: emergenza, che corrisponde ad un’ accentuazione del livello 3; - Livello 5, carestia (famine), inaccessibilità assoluta di cibo per un intera popolazione o di una sua parte, causa

potenzialmente di morte nel breve termine.

Corte Suprema e ripetute nell’ottobre, ha lasciato ilPaese in balia di un’ondata di violenze prolungate. L’in-flazione è arrivata all’11%. I prezzi hanno subitoun’oscillazione tale per cui, anche le classi più agiatesi sono trovate in difficoltà. Il prezzo del mais ha subitoun aumento del 31%, il latte del 12% e lo zucchero del

21%. Senza contare che tutti gli interventi umanitari,i progetti di sviluppo e di prevenzione del rischiohanno subito un forte rallentamento per ragioni di si-curezza che hanno complicato la libera circolazione dipersonale e beni, impossibilitati a raggiungere moltearee del Kenya.

15AFRICA | FAME DI PACE

Kenya, il fiume Turkana durante la siccità

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LAND GRABBING: UNO STUDIO DI CARITAS GHANA

La Caritas Ghana è da anni uno degli attori principali nello studio e nell’attività di advocacy sul fenomeno delland grabbing in Africa 32. Prima uno studio presentato nel 2016 33 e una prima conferenza internazionale aNairobi, poi gli incontri annuali di aggiornamento al quale partecipano capi tradizionali, politici, membri delclero e religiosi, esperti, rappresentanti della società civile, organizzazioni d’ispirazione religiosa e i leader dicomunità locali. L’obiettivo finale è quello di sollecitare la responsabilità politica e promuovere l’educazionecivica per permettere alle popolazioni locali rurali di far fronte alla minaccia che l’accaparramento della terrarappresenta, per non compromettere i loro mezzi di sostentamento 34.

Lo studio presentato, che analizza il fenomeno con un focus sul Ghana insieme a una rete di partner nazio-nali e internazionali 35, è fortemente connesso con i principi enunciati nell’enciclica di Papa Francesco LaudatoSi’. In particolare, in riferimento alla questione ambientale, la relazione stretta tra la società e l’ambiente chela abita, prestando attenzione alle culture locali e favorendo il linguaggio sia tecnico-scientifico sia quello deipopoli. E ancora l’importanza delle popolazioni locali e l’attenzione necessaria perché «l’intenso sfruttamentoe degrado dell’ambiente possono esaurire non solo i mezzi di sussistenza locali, ma anche le risorse sociali» 36.Da lì la spinta ad affrontare sistematicamente un fenomeno che già nel 2010 aveva sottratto alla popolazionelocale circa il 37% di tutti i terreni coltivabili, compresa buona parte delle coste 37.

La terra e l’accesso alle sue risorse è un elemento fondamentale per garantire a tutti una vita dignitosa, so-prattutto in un’area come quella africana dove la popolazione vive per la maggior parte in aree rurali e daesse dipende. Il fenomeno del land grabbing colpisce soprattutto la popolazione locale che perdendo i propriterreni, quasi sempre con compensazioni minime o addirittura nulle, vede aumentare i casi di malnutrizionee vive in una forte insicurezza alimentare con un progressivo collasso anche dei meccanicismi di protezionesociale. I più colpiti sono sicuramente le donne dalle quali dipendono molti familiari nelle aree rurali e i gruppiaborigeni che già faticano a vedere riconosciuti i propri diritti sulla terra.

Il Ghana rappresenta un ottimo esempio poiché la maggior parte della popolazione (il 46% come riportatodalla Banca Mondiale nel 2016) vive di attività agricole. Lo studio presentato dalla Caritas locale prende inesame tre aree del Paese: Okumaning a est, Babator a nord e Brewaniase a sud-est.

OkumaningNegli anni ’80 lo Stato del Ghana acquisì 12.000 acri. Ne destinò solo 3.000 alla coltivazione di olio di palmaper la Ghana Oil Palm Development Company e il resto alla coltivazione individuale della popolazione locale.La compagnia fallì e molti agricoltori tornarono alle loro colture originarie, ma nel 2011 tutti i terreni furonovenduti a una compagnia belga e tuttora molti dei terreni espropriati devono essere ancora ricompensati.Inoltre, non essendo i terreni più disponibili e perdute tutte le precedenti coltivazioni di arance, platani, cacao,cassava, pomodori per riconvertirle alla produzione di olio di palma, molti contadini andarono a lavorare oc-casionalmente presso la medesima compagnia senza grandi garanzie contrattuali. Ora la popolazione dipendedall’esterno perché non è più possibile una produzione autoctona, ma, allo stesso tempo, le condizioni eco-nomiche non garantiscono un equo accesso al mercato.

BabatorL’agricoltura locale si basa su due raccolti stagionali di patate dolci, arachidi, cassava, mais, pepe. 25.000 ettarisono stati acquisiti dalla AfricaAgricultureDevelopmentCompany (AgDevCo) per implementare un progettoinsieme al Ministero dell’Agricoltura e supportato da partner internazionali. L’obiettivo è quello di garantireun miglioramento dell’indipendenza economica degli agricoltori locali, attivando orti comunitari e miglio-randone il sistema di irrigazione per garantire un raccolto continuo e non più stagionale, con la possibilità dirivendere i propri prodotti alla AgDevCo. Verranno introdotte nuove produzioni come quelle di riso, mais efagioli, utilizzando le risorse idriche del vicino bacino e assumendo membri della comunità locale per l’imple-mentazione del progetto. La comunità locale beneficerà anche di training sugli effetti del climate change sul-l’agricoltura e di benefit monetari per la costruzione o il miglioramento di scuole e centri sanitari. Il progettoè iniziato da poco su soli 4.000 ettari dei 25.000 acquisiti e la comunità è stata debitamente informata che du-rante l’implementazione, molti verranno riassegnati. Nonostante i buoni presupposti, già alcune promessenon sono state mantenute perché gli insediamenti/orti previsti nelle aree comunitarie per ora si trovano re-cintati in una zona periferica, la strada da costruire è stata deviata e le aree di mercato molto lontane dallezone di produzione.

16 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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BrewaniaseL’agricoltura è l’attività principale per il 90% e i prodotti locali sono: patate dolci, cassava, olio di palma,

arachidi, riso e cacao. La Herakle Farm ha acquisito dalla comunità locale, per 50 anni, 3.750 ettari per 5 $/ettaroannui. L’obiettivo del capo locale che ha firmato l’accordo era quello di migliorare il sistema economico e deiservizi per tutta la comunità, con la garanzia di un lavoro stabile, la costruzione di cliniche, pozzi e di una bi-blioteca dotata di computer. Purtroppo l’accordo non è stato rispettato perché solo 5 pozzi sono stati costruitie 2 computer forniti, ma i pagamenti per i terreni ritardati, mai costruita la biblioteca e attivate le borse di stu-dio, il lavoro nella piantagione non garantito e i salari non pagati per tempo. La piantagione è poi stata vendutaed ora 2.050 dei totali 3.750 ettari sono utilizzati, impiega molto personale locale di cui l’80% sono donne eha garantito molti servizi come una clinica, dei dormitori e una mensa per i suoi lavoratori.

I casi analizzati da Caritas Ghana evidenziano che almeno il 90% dei proprietari locali ignora i propri dirittisulla terra di cui dispongono e quali siano le conseguenze del fenomeno di cui sono vittime. Nell’ordine siparla dei cambiamenti e delle perdite nella biodiversità; delle conseguenze culturali per il cambiamento dellaproduzione agricola (ancora i prodotti agricoli hanno un radicato uso nelle cerimonie tradizionali); della pro-gressiva incidenza sulla perdita dell’identità comunitaria; con l’estinzione dei semi usualmente utilizzati ci siavvia verso una progressiva dipendenza dalle aziende estere che sono state portatrici di nuove colture. L’attività di cui Caritas Ghana è capofila si rivela dunque importante per cercare di sistematizzare e mantenerealto il livello di informazione su un fenomeno che lega il diritto al cibo alla disponibilità di terra per coltivareche sia buona, non già sfruttata e improduttiva.

Assume importanza significativa il ruolo della Chiesa a livello istituzionale per far sì che i terreni disponibilisiano messi a disposizione dei più poveri perché li coltivino senza ostacoli inutili. Inoltre, è fondamentale l’ap-pello perché molte leggi sulla conservazione del territorio emanate in diversi paesi africani, siano effettiva-mente rispettate.

DIRITTO AL CIBO, MIGRAZIONI E VULNERABILITÀ AL CAMBIAMENTO CLIMATICOIN AFRICA SUB-SAHARIANA

La migrazione è sempre stata un modo di sopravvivere messo in atto da esseri umani e animali di fronte acambiamenti del clima o eventi estremi. La mobilità umana temporanea o permanente delle persone duranteperiodi di siccità, o alluvioni e inondazioni, è un fenomeno che risale agli albori della storia dell’uomo. Le po-polazioni nomadi avevano fatto della migrazione uno stile di vita, si muovevano seguendo il ciclo degli eventinaturali, dove era loro più conveniente vivere. Dunque, come alcuni studiosi fanno notare 38, la migrazionenon è un tema nuovo al genere umano, ma è entrato a far parte del dibattito pubblico da quando questo fe-nomeno ha delle conseguenze nella politica internazionale degli stati, in particolare quelli europei.

La varietà dei biomi39 del continente va dalle zone umide prevalentemente al sud a quelle aride e semi-arideche si estendono verso nord per poi lasciare spazio al deserto del Sahara. L’emissione di gas serra è considerata lacausa principale del riscaldamento globale. L’aumento delle temperature globali non è tuttavia omogeneamentedistribuito, alcune terre mostrano unatendenza maggiore al riscaldamento dialtre. Le zone aride occupano quasi lametà delle terre emerse e ospitano circail 38% della popolazione mondiale. Os-servazioni e proiezioni registrano tem-perature più alte in biomi secchi ocaratterizzati da scarse precipitazioni.Un recente studio40 ha misurato le dif-ferenze nella variazione delle tempera-ture tra le zone umide e le zone aridegiungendo alla conclusione che questeultime sono più vulnerabili al surriscal-damento globale delle prime.

Trend della temperatura (°C su 96 anni; 1920-2015)

60° N

30° N

30° S

60° S

Latit

udin

e

Longitudine

-1,6 -0,8 0,0 0,8 1,6

80° 120° O 60° O 0° 60° E 120° E 180°

Fonte: Nature Climate Change 2017

17AFRICA | FAME DI PACE17 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Il paradosso è che globalmente le aree umide sono dove la maggior parte delle emissioni hanno avutoluogo, ma sono anche quelle dove l’aumento di temperatura sarà meno cospicuo. Al contrario le zone aride,che hanno emesso di meno storicamente, vedono e vedranno aumenti delle temperature più cospicui. Questasi configura come un’ulteriore forma di “ingiustizia climatica”. Oltre al dato che vede le popolazioni più povereche hanno tratto minori benefici dallo sviluppo economico, contribuendo in misura minore al cambiamentoclimatico, pagare un prezzo più alto in termini di maggiore esposizione e minori mezzi per rispondere ai mu-tamenti ambientali, coloro che hanno vissuto nelle zone aride e inquinato di meno il pianeta, subiscono e su-biranno in futuro le conseguenze peggiori dei mutamenti climatici.

È in queste zone infatti che vi è una maggiore probabilità di aumento della frequenza e dell’intensità deglishock climatici a causa di variazioni di temperatura maggiori rispetto alle zone umide. Come si nota dall’im-magine, l’area saheliana, ivi compresa quella del lago Ciad, ha già visto un aumento oltre il grado e mezzodelle temperature che si è unito a un calo delle precipitazioni. La mancanza di infrastrutture atte a risponderealle nuove condizioni climatiche, il fatto che tali aree fossero in buona parte già povere e che dunque non vifosse disponibilità di fondi per affrontare investimenti che avrebbero migliorato la capacità di adattamentodelle popolazioni e la fragilità delle istituzioni nazionali hanno ulteriormente deteriorato una situazione dipovertà generalizzata di quasi 10 milioni di persone tra gli stati rivieraschi di Nigeria, Niger, Ciad e Camerun.A questo quadro si sono aggiunti i massicci movimenti di popolazione causati dalle violenze di Boko Haramnella regione che contribuisce a rendere ancora più deboli le comunità ma anche le istituzioni.

Per quanto riguarda il nesso tra migrazione e cambiamento climatico, nel caso di eventi naturali estremicome la siccità o le inondazioni, la spinta a migrare dipende da una serie di fattori sociali ed economici chehanno a che fare con la vulnerabilità e il livello di benessere delle persone colpite e dalla capacità delle comu-nità di rispondere a tali shock climatici. Questo spiega l’impossibilità di scindere le cause della migrazione pu-ramente ambientali da altre cause socio-economiche.

Anzi, al di là di ogni semplificazione, considerare a sé la questione ambientale come causa migratoria, ri-schia in qualche modo di “normalizzarla” assumendo come ineluttabile la condizione di vulnerabilità all’am-biente. Vulnerabilità che, tra l’altro, in alcuni contesti, è stata indotta o acuita da alcuni fattori politici o dapolitiche a vantaggio di alcuni gruppi a discapito di altri. Sono un esempio i fenomeni di accaparramentodelle terre, le politiche di sedentarizzazione di comunità pastorali 41, la restrizione della mobilità circolare 42.Inoltre, occorre menzionare il fatto che la mobilità dovuta a catastrofi ambientali, è principalmente interna aiPaesi colpiti o verso quelli limitrofi, raramente oltrepassa i confini continentali.

Malgrado sia difficile generalizzare, il legame tra cambiamenti climatici, sicurezza alimentare e conflitti inAfrica è complesso ed è oggetto di ricerche e indagini. Alcuni studi rilevano una correlazione tra disastri (com-presi quelli causati da shock climatici) e aumento dei prezzi delle derrate alimentari 43. Cattivi raccolti causati dacondizioni climatiche atipiche o sfavorevoli fanno aumentare i prezzi sui mercati locali, con la conseguenza chei nuclei familiari maggiormente vulnerabili dal punto di vista economico vedono diminuita la propria capacitàdi accesso al cibo. Infatti la volatilità dei prezzi aumenta le probabilità di conflitto e un calo delle precipitazioniha spesso un effetto indiretto sui prezzi delle derrate alimentari oltre che acuire dinamiche di competizione nel-l’uso delle risorse naturali (terra e acqua). Dunque, in ultima analisi, cresce il rischio di conflitti e violenze 44.

L’Africa sub-sahariana in generale vede una crescita della propria vulnerabilità causata principalmente dalleforti diseguaglianze che sono in aumento e che dunque riducono i mezzi di un numero crescente di personeper far fronte a shock climatici. Questo si somma al crescente degrado dell’ambiente in alcune regioni, parti-colarmente quelle urbane, dove inquinamento e sovraffollamento compromettono la capacità dell’ambientecircostante di mantenersi. Alla questione della povertà si intreccia la questione della governance. La recentesiccità che ha colpito la zona dell’Africa orientale e del Corno d’Africa durante il 2016 e parte del 2017 conse-guente al fenomeno meteorologico El Niño particolarmente forte nel 2015-16, era ampiamente prevedibile.Infatti, sono ormai quasi due decenni che le conseguenze dell ‘ENSO (El Niño Southern Oscillation) sono og-getto di studio approfondito da parte della comunità scientifica internazionale e altrettanti anni che le con-nessioni con la mancanza o l’abbondanza di precipitazioni l’anno successivo in alcune aree del mondo (dalPacifico all’Oceano Indiano, all’Africa orientale) sono dimostrate. Ciò malgrado, durante tutto il periodo im-mediatamente precedente si sono messe in campo misure estremamente limitate per prevenire gli effetti ne-gativi di una siccità che era sostanzialmente annunciata. Dunque se da un lato è vero che probabilmentealcune aree del pianeta diventeranno sempre meno adatte a sostenere attività umane quali l’agricoltura, dal-l’altro la principale variabile rimane la capacità delle comunità e delle istituzioni che le governano di adattarsitempestivamente alla variabilità climatica.

18 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Il 10 marzo 2017,il sottosegretario generaleper gli Affari Umanitaridell’ONU e il Coordinatoreper gli Aiuti d’Urgenzainformarono il Consigliodi Sicurezza che il mondostava affrontando la piùampia crisi umanitaria dallacreazione delle Nazioni Unite.Circa 70 milioni di personein 45 paesi necessitavanodi assistenza alimentared’urgenza, un incrementodel 40% rispetto al 2015

INSICUREZZA ALIMENTAREPercentuale persone denutrite sulla popolazione(triennio 2014-2016)Fonte: elaborazioni Caritas Italiana su dati FAO (2016)

Le politiche di aggiustamentostrutturale degli anni ottantaintrodotte nella gran partedei paesi a basso redditocondussero gli stati a regredirenegli investimenti nellosviluppo agricolo e nei sistemidi protezione sociale senzarealmente favorire investimentiprivati se non verso colturedestinate all’esportazione

FRAGILITÀ ECONOMICAÈ la vulnerabilità ai rischi derivanti dalla debolezza delsistema economico e del capitale umano, tiene contoanche degli shock macroeconomici, dell’aumento dellediseguaglianze e della disoccupazione giovanileFonte: elaborazioni Caritas Italiana su dati OCSE (2017)

19AFRICA | FAME DI PACE

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Sono aumentate formedi accaparramentodella terra (land grabbing)da parte di stati e compagniestraniere e dell’acqua(water grabbing), conuna sempre maggiorecompetizione per l’accessoalle risorse ambientali

LAND GRABBING IN AFRICATerreni acquisiti da parte di Stati e compagnie stranierecon contratti di acquisto, locazione, licenze di sfrutta-mento, ecc. a lungo termineFonte: elaborazioni Caritas Italiana su dati Land Matrix(2017)

FRAGILITÀ POLITICAÈ una misura della vulnerabilità della popolazione ai ri-schi inerenti a processi, eventi o decisioni politiche; tieneconto del livello di trasparenza e corruzione delle istitu-zioni politiche di un Paese e della capacità della societàdi adattarsi al cambiamento ed evitare la repressioneFonte: elaborazioni Caritas Italiana su dati OCSE (2017)

Nel 2016 sono 56 i Paesiconsiderati “fragili”secondo la definizionedell’Organizzazione per lacooperazione e lo sviluppoeconomico. Nel 2011 erano43. In questi stati vivono 1,6miliardi di persone (22% dellapopolazione mondiale) e piùdella metà della popolazionemondiale in stato di povertàestrema (con reddito inferiorea 1,9 $ al giorno)

20 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Communal militiasCONFLICT AGENT TYPE: Government forces Rebels Political militias

(unit = reported conflict events)

800

600

400

200

1

NOTES: Conflict events in Africa, 1997–2015. The final boundary between the Republic of the Sudan and the Republic of South Sudan has not yet been determined.SOURCE: Armed Conflict Location and Event Data Project (ACLED).

FIGURE 13MOST CONFLICTS CROSS BORDERS AND ARE REGIONAL IN NATURE

21AFRICA | FAME DI PACE

Conflitti in Africa

Eventi di conflitto registrati

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Oggi, quando si parla di rapporti tra Italia e Africa, nonsi può fare a meno di pensare al fenomeno migratorio;ma i due continenti hanno una lunga e complessa sto-ria di relazioni commerciali e non.

L’ Europa e più in generale i Paesi OCSE non semprehanno considerato gli effetti delle scelte in tema di po-litiche economiche nazionali e internazionali sull’eco-nomia del continente africano. L’interconnessione trapolitiche economiche e finanziarie nel Nord del mon-do e gli impatti sul suolo africano e su quello di altriPaesi in via di sviluppo sono stati oggetto di moltistudi e rapporti. Di particolare interesse sono le già ci-tate considerazioni del belga Olivier De Schutter, rap-porteur speciale delle Nazioni Unite per il diritto alcibo nel rapporto presentato nel 2014 alla fine del suomandato 1. De Shutter evidenzia una serie di criticitàdel sistema internazionale partendo dal presuppostoche il problema della soddisfazione del diritto al ciboda parte di tutta la comunità internazionale non ètanto un problema di quantità di produzione, ma piut-tosto di come si produce e di distribuzione. Il rappor-teur analizza le regole del commercio agricolomondiale, facendo un ragionamento ampio che toccavari settori dell’economia, da quello agricolo a quelloenergetico, che risulta applicabile anche ai rapportieconomici e commerciali tra Europae Africa.

Il primo elemento di interesse èl’interdipendenza delle politiche deiPaesi dell’OCSE e dei loro effetti suglialtri Paesi. Ad esempio, in Europa, ilsettore agricolo beneficia di massiccisussidi economici che da un latocreano una sovrapproduzione diderrate alimentari che vengono ri-versate sui mercati internazionali abasso prezzo e dall’altro favoriscono la produzione dimaterie prime per il bestiame o per l’industria della tra-sformazione alimentare (in particolare soia, grano emais) a scapito dei piccoli produttori alimentari cheoggi si trovano in una posizione di emarginazione al-l’interno del mercato. Nell’UE ci sono 12 milioni di agri-coltori a tempo pieno. Complessivamente l’agricolturae l’industria agroalimentare — che dipende in largamisura dal settore agricolo per i suoi approvvigiona-menti — rappresenta il 6% del PIL dell'UE, e vale circa675 miliardi di euro 2. In confronto ad altri stati OCSE,l’agricoltura nell’UE è meno concentrata che in altriPaesi; negli Stati Uniti ci sono due milioni di agricoltoricon aziende che misurano in media 180 ettari.

Nel 2016 l’ammontare della spesa del budgetdell’UE per finanziare la PAC (Politica Agricola Co-mune) è stata di poco più di 50 miliardi di euro 3. Laquota media di questi sussidi per l’Italia è di 7,4 mi-liardi di euro 4.

Secondo i dati della Banca Mondiale, in Africa l’agri-coltura occupa il 42,1% (2015) delle terre, impiega il54% della forza lavoro (2017) ma rappresenta solo il32% del PIL, circa 300 miliardi di dollari 5. L’85% deiproduttori agricoli africani possiede meno di due et-tari di terra 6.

Dunque per i Paesi in via di sviluppo e in particolarequelli dell’Africa è evidente una chiara posizione di su-balternità nel mercato globale. Infine, la posizione do-minante delle grande aziende agro-industriali consede nei Paesi OCSE, si rispecchia anche nelle loro no-tevoli capacità di lobbying presso le istituzioni dei loro

Paesi, che bloccano ogni possibilità di riforma del si-stema.

Una seconda questione che il rapporteur evidenziariguarda gli incentivi ai biocarburanti nel settore ener-getico. Questo aspetto è particolarmente importantenel quadro dei rapporti e delle connessioni Europa-Africa perché l’Unione Europea, nell’ultimo decennio,ha sostenuto e sta sostenendo le imprese che produ-cono biocarburanti con forti incentivi economici. In-fatti, tra gli obiettivi di politica energetica contenutinella Strategia 2020, si prevedono incentivi alle im-prese che commerciano biocarburanti. Gli incentivi aibiocarburanti non sono una misura negativa in sé,poiché potrebbero garantire il riutilizzo degli scarti ve-

3. Le connessioni con l’Italiae l’Europa

L’Europa e più in generale i Paesi OCSE non sempre han-no considerato gli effetti delle scelte in tema di politicheeconomiche nazionali e internazionali sull’economia delcontinente africano. L’interconnessione tra politiche eco-nomiche e finanziarie nel Nord del mondo e gli impattisul suolo africano e su quello di altri Paesi in via di svi-luppo sono stati oggetto di molti studi e rapporti

22 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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getali dei processi di produzione agricola, ma quelloche ha prodotto effetti deleteri per la sicurezza ali-mentare mondiale è stato il sussidio a tutti i tipi di bio-carburanti indistintamente, ivi compresi i biocarbu-ranti cosiddetti “primari”. I biocarburanti “primari” sonodi origine cerearicola e lignocellosica e dunque pro-vengono dalla fermentazione di materie che potreb-bero essere utilizzate per l’alimentazione umana.Questo ha posto in concorrenza l’utilizzo di tali mate-rie prime per l’alimentazione umana e per l’alimenta-zione delle macchine, rendendo economicamente piùconveniente coltivare per produrre biocarburanti cheper produrre cibo.

Questi aspetti si collegano anche a fenomeni di ac-caparramento di terre (land grabbing), tema affrontatonel capitolo 2, che vede tra gli investitori in Africaanche compagnie europee e italiane, oltre che statu-nitensi e asiatiche. In particolare l’Italia, all’ottavo postonella classifica degli ettari di terre acquisite, ha contrattiin 10 Paesi africani soprattutto a scopo non alimentareper la produzione di legname e di biocarburanti 7.

Infine, un altro importante capitolo delle relazionitra Europa e Africa riguarda l’aiuto allo sviluppo. Nel2016 l’Unione Europea ha speso complessivamente21 miliardi di euro di aiuto pubblico allo sviluppo nelcontinente africano. Se da un lato, dunque, l’UnioneEuropea non rinuncia alle propria posizione domi-nante negli scambi agricoli internazionali, dall’altro so-stiene tramite le politiche di cooperazione allosviluppo, interventi contro la povertà nel continenteafricano. Queste scelte appaiono non solo poco co-raggiose ma anche poco incisive nel contrasto allecause di fondo della povertà e delle disuguaglianzeeconomiche tra i due continenti. Dunque il passaggioa politiche agroalimentari che supportino la realizza-zione del diritto al cibo richiederebbe sforzi politici

maggiori per riorganizzare il supporto a forme di agri-coltura che contribuiscano a ridurre la povertà e chegarantiscano il soddisfacimento dei bisogni in terminidi alimentazione di tutti. In particolare, sarebbe auspi-cabile mettere al centro del sistema i piccoli produttorie controllare la posizione dominante delle grandiaziende del settore agroalimentare.

Inoltre, appurato che il diritto al cibo non afferiscesolo alle politiche agroalimentari, ma più in generaleallo sviluppo economico e sociale dei popoli, per pro-durre un cambiamento reale e duraturo su questopiano, nei rapporti bilaterali tra Europa e Africa sa-rebbe probabilmente necessaria una messa in discus-sione di alcune condizioni che regolano rapportieconomici e commerciali 8, riequilibrino le posizioni dipotere, regolino in modo vincolante l’operato delleimprese straniere fissando standard adeguati per laremunerazione agli stati delle risorse estratte, sui di-ritti sul lavoro, sulle acquisizioni di terre, sull’impattoambientale e in generale per promuovere investi-menti pubblici e privati realmente volti allo sviluppoumano dei popoli africani.

D’altro canto, tali misure andrebbero accompa-gnate da politiche in favore del miglioramento dellagovernance, di processi di democratizzazione, di pre-venzione dei conflitti. Tema quest’ultimo spesso incontraddizione con gli interessi economici stranieri edi élite locali. Esemplare a questo riguardo la situa-zione della Repubblica Democratica del Congo, Paesericchissimo di risorse minerarie, dove l’Europa e glistati europei sono silenti dinnanzi al grido e all’impe-gno di società civile e Chiesa locale in opposizioneall’attuale presidente per il rispetto della Costituzionee dei diritti umani 9. Inoltre, tutto questo ha risvoltisulle politiche interne dell’Europa e di questa rispettoagli altri Paesi a medio e alto reddito, in ordine alla ri-duzione dell’impatto ambientale dei propri sistemi diproduzione, distribuzione e consumo. Oggi, l’ecces-sivo consumo di risorse ambientali dei Paesi ricchi ècompensata dal basso impatto dei Paesi più poveri 10.Dunque, la riduzione delle disuguaglianze economi-che implica anche politiche incisive di conversioneecologica “a casa nostra”.

Il rapporto tra Europa e Africa è tornato al centrodel dibattito in seno all’Unione Europea a partire dal2015. Con il deteriorarsi della stabilità della Libia cheportò all’aumento degli sbarchi sulle coste italiane dimigliaia di persone provenienti dall’ Africa sub-saha-riana, la questione della disuguaglianza del livello delbenessere economico tra i due continenti arrivò suitavoli delle cancellerie europee entrando nel dibattitopolitico europeo come una delle priorità da affrontarein materia di politica estera.

Nell’autunno 2015, i leader europei e africani si riu-nirono nella capitale maltese, luogo a metà strada tra

Tipologia di utilizzo dei terreni acquisitida compagnie italiane

Fonte: elaborazione Caritas Italiana su dati Land Matrix

23AFRICA | FAME DI PACE

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i due continenti, per discutere di come accelerare losviluppo del continente africano. Era un momentoparticolarmente teso soprattutto in molti Paesi euro-pei, dove, dopo un’estate di continui sbarchi e trage-die nel mar Mediterraneo, l’opinione pubblicaspaventata dai numeri dei migranti sbarcati sullecoste, aveva in maniera crescente scelto di votare inmolti stati europei partiti anti-sistema e apertamentexenofobi. I leader europei si riunirono insieme a quelliafricani per discutere su come affrontare la questionedella migrazione e sulla creazione di uno strumentoveloce che potesse dare risultati concreti, puntandosulla creazione di opportunità economiche e socialinegli stati africani soprattutto per i giovani. Venne cosìcostituito il “Trust Fund per l’Africa” (EUTF) con unostanziamento di 2 miliardi e 900 milioni di euro (dafondi europei, con l’aggiunta di altri 200 milioni dieuro raccolti da stati membri).

Tra i contributori l’Italia è attualmente al primoposto. Beneficiari degli interventi sono tutti quei Paesiafricani d’importanza prioritaria per le rotte migrato-rie, come ad esempio Tunisia e Libia, ma anche il Niger.Il Fondo Fiduciario è stato creato con fondi che ven-gono in buona parte da quelli per la cooperazione allosviluppo (DG DevCo) che però vengono trattati comefondi afferenti alla sfera delle emergenze, quindi leprocedure per l’assegnazione e la valutazione dei ri-sultati sono più snelle rispetto aifondi per progetti di sviluppo. Gli in-terventi da mettere in atto sono ba-sati su 5 pilastri di intervento: 1. Aumento delle opportunità eco-

nomiche e di impiego.2. Rafforzamento della resilienza

delle comunità (inclusi i rifugiati).3. Miglioramento della gestione dei flussi.4. Supporto alla governance.5. Prevenzione dei conflitti (gestione delle frontiere e

lotta al terrorismo, contrasto alla radicalizzazione).

Sin dalla sua creazione, il Fondo è stato al centro diforti critiche da parte delle organizzazioni della societàcivile per una serie di ragioni. In primo luogo è critica-bile l’assunto iniziale che basti creare opportunità dilavoro nei Paesi di origine per limitare o addirittura fer-mare i flussi migratori verso l’Europa. Tale assunto ap-pare semplicistico a fronte della complessità dellecause che spingono le persone a intraprendere illungo viaggio alla volta dell’Europa e in contrasto conevidenze e studi che mostrano una correlazione posi-tiva tra migrazione e sviluppo. Per i Paesi a basso red-dito, incrementi della ricchezza non diminuiscono lamobilità nel breve e medio termine bensì la stimolano,soprattutto quella intercontinentale che richiedemaggiori risorse, almeno sino a quando i Paesi di ori-

gine non raggiungono livelli di benessere diffusomedio-alti 11. Dunque, ammesso che vi siano politicherealmente orientate a ridurre le disuguaglianze di be-nessere tra i Paesi più poveri e quelli europei, l’effettodella riduzione dei flussi si avrà solo nel lungo terminequando la forbice si sarà ridotta in modo significativo.

Tuttavia, pur assumendo vi sia consapevolezzasugli effetti, il punto più critico rimane sul tipo di po-litiche necessarie ad incidere sulle cause strutturalidelle disuguaglianze a cui si è fatta menzione in pre-cedenza. Purtroppo è amaro notare come misure eproposte di riforma o di intervento che riguardino isettori lì citati, siano pressoché assenti dal dibattitopolitico e non rientrino tanto nei cinque pilastri di in-tervento del Fondo Fiduciario.

In secondo luogo, parte degli interventi finanziatisotto l’ombrello del Fondo Fiduciario, come ad esem-pio quelli di mero controllo delle frontiere attuati inNiger o il blocco navale in Libia, sono di natura militaree seguono un approccio securitario al tema migrato-rio. Tali interventi pertanto non appartengono allasfera della cooperazione allo sviluppo né incidono sullivello di benessere delle popolazioni africane. Al con-trario, politiche che limitano la mobilità delle personein genere producono l’effetto opposto essendo que-sta da sempre una strategia di adattamento e soprav-vivenza a una situazione di crisi e di stimolo allo

sviluppo se avviene in un contesto di tutela dei dirittiumani delle persone che si spostano.

Inoltre, è emerso come ad alcuni Paesi della fasciasub-saheliana siano state poste condizioni al rilasciodei finanziamenti per la lotta alla povertà, in partico-lare siano state chieste misure di contenimento deimigranti all’interno dei propri confini e di restrizionedella mobilità regionale 12. Il tema della cosiddetta“condizionalità dell’aiuto” , ovvero dell’imposizione dicondizioni che generalmente rispecchiano richiestedettate da esigenze di politica interna, geostrategiche,commerciali ed economiche a un Paese beneficiariodi interventi, è oggetto di dibattito e talvolta di fortecritica. Infatti, tali misure, oltre che discutibili sul pianoetico, sono di dubbia efficacia nello stimolo a processidi sviluppo e comunque basate sulla posizione predo-minante dell’Unione Europea in campo economico 13.Nel caso specifico, è evidente il peso di ragioni di po-litica interna nel tentativo di spostare più a sud la fron-tiera dell’Europa e allontanare il dramma dei migranti

Tra i contributori del “Trust Fund per l’Africa” l’Italia è at-tualmente al primo posto. Beneficiari degli interventisono tutti quei Paesi africani d’importanza prioritaria perle rotte migratorie, come ad esempio Tunisia e Libia, maanche il Niger

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irregolari dagli occhi delle opinioni pubbliche euro-pee.

Più recentemente, a fine novembre 2017 si è svoltoil Vertice di Abidjan, in Costa d’Avorio, che a due annida quello della Valletta, ha rinnovato l’impegno deileaders europei e africani nella lotta alla povertà, nelcontrasto al traffico dei migranti, in un’ottica di svi-luppo in partenariato tra i due continenti. Al centrodel dibattito di questo incontro sono stati i giovani epiù in generale le politiche per la creazione di oppor-tunità economiche per i giovani africani. L’Unione Eu-ropea ha promesso lo stanziamento di circa 40 miliardidi euro a supporto di un Fondo per gli investimenti

esteri in Africa, che dovrebbe supportare il settore pri-vato a far decollare l’economia del continente. Riman-gono attualmente poco chiari sia i meccanismi diaccesso e funzionamento di tale fondo, sia gli stru-menti che verranno utilizzati per garantire la traspa-renza e monitorare i risultati in termini di creazione diopportunità per i giovani. Da questo complesso qua-dro emerge che il futuro dei due continenti è semprepiù interconnesso , ma la sfida della pace e della lottaalla povertà in un’ottica di miglioramento duraturodelle condizioni di vita delle popolazioni del conti-nente africano, chiede all’Europa di spostare a sud nonle frontiere ma gli occhi, il cuore e la testa.

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ABBÉ ALPHONSE SECK, SEGRETARIO ESECUTIVODI CARITAS SENEGAL 1

«La Chiesa e tutti gli organismi pastorali devonocoordinarsi per lavorare insieme contro la povertà. Lapovertà limita significativamente l’accesso dei poverial cibo, ai servizi sociali di base come istruzione, sanità,acqua, servizi igienico-sanitari, elettricità. La Chiesadeve lavorare in maniera congiunta unendo le forzedi diversi settori per essere efficace ed esercitare unforte impatto strutturante, perché la risposta alla po-vertà deve tener conto delle interazioni tra i fattori chela generano e la perpetuano. Lavorare congiunta-mente serve anche per compiere un passaggio impor-tante: passare dalla riduzione della povertà alladecostruzione della povertà, per questo l’appoggioalle iniziative delle comunità deve iscriversi all’internodi dinamiche di rafforzamento della resilienza e di svi-luppo umano sostenibile.

A tal fine, l’esercizio delle nostre rispettive missionideve includere in primo luogo il superamento dei li-miti dei nostri stessi interventi frammentari che nonfanno parte di un processo di sviluppo sostenibile;orientarsi con decisione verso la formulazione e l’at-tuazione di programmi integrati basati sulla sinergiadelle competenze, sulla condivisione delle risorse, suuna programmazione almeno quinquennale e sullamobilitazione di risorse umane, finanziarie e materialiproporzionate alle esigenze di sviluppo e alle sfidesempre più complesse alle quali siamo chiamati a ri-spondere».

DAL DISTRETTO DI MOMBASA (KENYA), DURA-MENTE COLPITO DALLA SICCITÀ 2

«Mi chiamo Chengo e sono un agricoltore. Sono unpadre di famiglia. Ho 16 figli: otto maschi e otto fem-mine. Con noi vive anche mia mamma, mentre miopapà è già morto. La siccità è stata un grande pro-blema. Durante la siccità c’erano molte zanzare chehanno portato malattie, soprattutto la malaria, il pro-blema principale oltre alla mancanza d’acqua. La miafamiglia dipende dalle attività agricole quindi ab-biamo usato l’acqua per l’agricoltura, perché i bacinidi raccolta dell’acqua (farm ponds) erano prosciugati.Però poi non ne avevamo abbastanza per noi.Avremmo bisogno di un trattore per scavare e allar-gare il nostro stagno agricolo in modo da avere piùacqua e poter continuare le attività agricole senza pro-blemi. Durante il periodo di siccità il bacino più vicinodistava 2 km e l’acqua era di colore rosso. Tuttavia que-st’acqua era solo per l’uso domestico. Per avere l’acquaper il bestiame, invece, bisognava percorrere 6 km.

L’unico cibo disponibile durante il periodo di siccitàera il cocco, ma dopo un po’ la siccità ha fatto morireanche le palme che ci danno questo frutto: ne sono ri-maste poche, mentre quelle di mango si sono seccatetutte. Quindi potevamo mangiare solo porridge (ali-mento preparato con acqua bollita e farina bianca) esolamente una volta al giorno, preferibilmente la sera,così da poter riposare bene. Siamo stati aiutati con lafornitura di semi e con la distribuzione di cibo e ora vaun po’ meglio, ma il problema principale rimane lamancanza d’acqua».

ZONA DI OKUMANING, EST DEL GHANAElis è una donna divorziata con 4 figli. Il suo ex-ma-

rito ha perso 9 acri di terreno. 3 acri sono stati usatiper coltivazione di arance e 6 per quella della palma.Suo marito ha ricevuto una compensazione di 850 $(3.500 GhC). Di questi a lei ne ha dati 125 $ (500 GhC)e poi si è spostato in un’altra comunità. Elis ha finitoquel denaro e poi si è dovuta unire alla Ghana Oil PalmDevelopment Company come lavoratrice occasionaleper poter mantenere i propri figli. Vi ha lavorato per13 anni, fino a quando non ha avuto un incidente alginocchio. La compagnia l’ha supportata con le curemediche, ma, talvolta, necessita comunque di inie-zioni per ridurre il dolore che costano 12,50 $ (50GhC). Avrebbe bisogno di un intervento risolutivo alginocchio, ma non se lo può permettere perché nonpuò pagare le cure. Cammina con le stampelle evende pannocchie grigliate per sopravvivere. Rac-conta: «Se avessimo ancora i terreni, non avrei diffi-coltà a pagare le mie cure e nemmeno il cibo sarebbeun problema. Abbiamo perso la terra per nulla». Ag-giunge che talvolta la Ghana Oil Palm DevelopmentCompany la contatta e le offre tra i 25 $ e i 40 $(100,00-150,00 GhC).

MAMADOU CISSOKHO, PRESIDENTE ONORARIOROPPA – RETE DELLE ORGANIZZAZIONI DI CONTA-DINI E PRODUTTORI DELL’AFRICA OCCIDENTALE3

«La prima volta che sono venuto in Italia come rap-presentante dei piccoli agricoltori africani era 35 anni

4. Testimonianze

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fa. Ero venuto qui per chiedere la creazione di un’or-ganizzazione che riunisse organizzazioni non gover-native e associazioni contadine del continente. Èpassato molto tempo, si sono succedute diverse ini-ziative, come il Fondo Fiduciario Globale per la Sicu-rezza Alimentare e la Salubrità degli Alimenti, abbiamopartecipato alla costruzione di un movimento globalein favore dei piccoli agricoltori grazie alla società civilee alla FAO. Abbiamo molta esperienza nel compren-dere che nel campo della cooperazione allo svilupponon conta soltanto la quantità di soldi che si spen-dono, ma la creazione di un quadro per il dialogo nelrispetto e nel reciproco interesse.

Due anni fa, al termine del Vertice della Valletta siè detto che nel 2017 ci sarebbe stato l’incontro suc-cessivo ad Abidjan e poi non se ne è più parlato.Questo è il primo elemento che fa capire che questoincontro non è stato poi così importante, si è comin-ciato a pensare alla conferenza di Abidjan solo unmese prima dell’evento. L’Africa, che doveva essere ilcontinente proattivo, perché ospitava la riunione, in-vece di prendere l’iniziativa e tentare di influenzarel’agenda, era lì ad aspettare che l’Europa gli dicessedi cosa si doveva parlare, malgrado il fatto che esi-stono documenti panafricani come l’agenda 2063che riassumono bene le priorità per il continente afri-cano. L’Africa avrebbe dovuto mettere sul tavolo lesue proposte, invece i leaders europei e africani sisono riuniti ma non si è discusso di niente, è stataun’occasione persa. Il forum di Abidjan non sarà ri-cordato come un momento storico nei rapporti tra idue continenti, non rappresenterà niente nel fu-turo».

MONS. GIORGIO BERTIN, VESCOVO DI GIBUTI EAMMINISTRATORE APOSTOLICO DI MOGADI-SCIO E MARIA JOSÉ ALE- XANDER, DIRETTRICE DICARITAS SOMALIA 4

«La sicurezza alimentare è sempre stato un pro-blema del continente africano. Secondo un recenterapporto della FAO, il 22,7% della popolazione afri-cana si trova ancora in una condizione di insicurezzaalimentare. Le cause della mancanza di sicurezza ali-mentare in Africa, in particolare in Somalia, sono prin-cipalmente due: la siccità e l’assenza di sicurezzapolitica, economica e sociale.

Per quanto riguarda la prima causa, la siccità, que-sta è dovuta sia alle condizioni climatiche sia all’azionedell’uomo, per esempio attraverso la deforestazioneattuata per la produzione di carbonella da esportarenei Paesi arabi. La deforestazione e di conseguenza lasiccità sono dovute anche al fenomeno dell’ over gra-zing ovvero una “pastorizia eccessiva”: con l’aperturadel mercato verso l’estero è aumentata la popolazioneanimale e diminuita la disponibilità della natura.

Per quanto riguarda la sicurezza sociale, la Somaliasoffre la mancanza di vere istituzioni statali dal 1991,a causa del crollo dello stato dopo l’insurrezione con-tro il regime di Mohamed Siyad Barre nel 1990 e lapresenza di un islamismo radicale (Shabab e Isis).

Le proposte da lanciare alla comunità internazio-nale potrebbero essere: esportare con regole pre-cise gli animali, bloccare l’esportazione della car-bonella, sostenere progetti di permacultura, in par-ticolare durante i periodi di esondazione si do-vrebbe individuare un modo per trattenere l’acqualungo i due fiumi (Shebeli e Giuba) e, infine, pro-muovere il rafforzamento delle istituzioni statali edella sicurezza.

Uno delle prime proposte da lanciare alla comunitàinternazionale è quella di favorire la creazione di postidi lavoro piuttosto che vivere nell’emergenza, poichéa lungo andare la sola assistenza umanitaria rendeinattiva la popolazione».

CON JAIRUS ALING’A, OPERATORE DELLA CARI-TAS DIOCESANA DI LODWAR (KENYA)

«La diocesi di Lodwar si trova nella regione Turkanain Kenya. È una regione che confina a ovest con la re-gione del Karamoja in Uganda, al nord-ovest con ilSud Sudan e a nord con l’Etiopia.

Il Turkana è situato in quell’area del Kenya classifi-cato come ASAL (Arid and Semi-Arid Land: terra aridae semi-arida) dove vive una popolazione nomade de-dita alla pastorizia e dove la siccità ha colpito dura-mente negli ultimi anni. Il fenomeno si può definireon-off per la sua ciclicità e la sua criticità dipendeormai dall’efficacia della risposta al problema. Nel2011 la crisi peggiore e da allora ci sono stati piccoliprogressi, pur rimanendo la situazione fortemente dif-ficile.

Storicamente è una terra di conflitto, sia internoche esterno. All’interno ci sono tensioni con le popo-lazioni del Kenya che vivono in West-Pokot, Baringo,Samburu e Marsabit. All’esterno il conflitto è dovutoalla convivenza di popolazioni che appartengono allostesso gruppo culturale e parlano la stessa lingua sep-pur divisi nella zona di confine che tocca Kenya,Uganda, Sud Sudan ed Etiopia, gli ATEKER. La contesariguarda soprattutto l’acqua, una risorsa scarsamentedisponibile in Turkana, ma vitale per la sopravvivenzadi persone e del bestiame, unica fonte di reddito. Laricerca dell’acqua spinge la popolazione a migrare ol-trepassando i confini, alimentando tensioni, ruberie emorti. Durante l’ultimo periodo di siccità nel 2016-2017, gli Ateker hanno però vissuto un periodo relati-vamente pacifico di coesistenza, dimostrando acco-glienza ai gruppi del Kenya che sono migrati inUganda (Karamoja). Solo grazie a questa migrazioneverso l’Uganda, la disponibilità della popolazione lo-

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cale e l’uso dell’acqua disponibile in Karamoja ha per-messo alla comunità di pastori del Turkana di soprav- vi-vere alla siccità che ha duramente provato tutta l’area. Sisono registrati pochi casi di omicidi e ruberie tra i gruppiAteker del Turkana e Karamoja rispetto alla media e laconvivenza pacifica è stata quasi una sorpresa.

Con le prime piogge a novembre 2017, però, unaparte degli Ateker del Turkana hanno deciso di ritor-nare in Kenya dal Karamoja. Poiché elementi del con-flitto sono il bestiame che i due gruppi continuano arubarsi a vicenda passando il confine e la disponibilitàd’acqua, una volta rientrati nelle terre d’origine e nuo-vamente divisi dal confine, le tensioni sono triste-mente riprese. L’esperienza ci ha dimostrato che unaconvivenza pacifica è possibile quando i due gruppivivono nei medesimi territori condividendo le risorsedisponibili. Per questo motivo la Diocesi di Lodwar stapianificando un programma con progetti comuni suacqua, agricoltura e piccole imprese generatrici di red-dito con gli Ateker che vivono su entrambi i territoridi Karamoja e Turkana, promuovendo una convivenzapacifica».

PADRE DAVID TOMBE LEONARDO, COORDINA-TORE DELL'ISTRUZIONE DELL’ARCIDIOCESI DIJUBA 5

«I continui combattimenti tra le forze governativee i gruppi di opposizione non stanno solo provocandola crisi alimentare, ma interrompono molte altre atti-vità normali. Mantenere le scuole in funzione è unagrande priorità per la Chiesa cattolica, uno dei princi-pali attori nel settore educativo del Paese.

Dietro questo complesso dove stanno giocando ibambini ci sono delle fosse comuni di persone chesono state uccise qui l'anno scorso. La pace è ciò di cuihanno bisogno questi bambini, se vogliono avere unfuturo in cui non ci siano fosse comuni accanto ai cor-tili delle scuole.

Con la pace, le persone possono iniziare a vivere lavita ordinaria, la vita normale, che ogni essere umanomerita.

Pace ed educazione sono strettamente intercon-nessi. L’educazione è la nostra speranza per il futuro evogliamo dire alle nostre giovani generazioni di di-menticare il passato e perdonarsi l'un l'altro»

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Se l’umanità è un’unica famiglia e la Terra è la nostracasa comune, 815 milioni di persone affamate nonpossono lasciare indifferenti. Non si tratta solo di es-sere solidali con chi non può accedere al cibo a suffi-cienza e non si tratta solo di intervenire per portareaiuto. Non è solo una questione legata alla “fame”, a unrimedio a breve termine, quanto affrontare il problemaalla sua radice. La visione che la dottrina sociale dellaChiesa offre è più profonda: riconoscere i diversi fattoriin relazione tra loro, riprendere le molteplici angola-zioni, assumere un approccio globale e una visione in-tegrale della persona. Già Paolo VI aveva esortato adaffrontare la questiona della “fame” e del “sottosvi-luppo” alle sue fondamenta immaginando un cambia-mento profondo dei meccanismi del sistema econo-mico e sociale 1. Punto, questo, centrale nel Magisterodi Papa Francesco. Da un lato la sua visione olisticariassunta nel concetto di “ecologia integrale” in cui ladimensione sociale, politica ed economica sono in re-lazione tra loro 2 così come la dimensione locale e glo-bale, dall’altro l’aspra denuncia a un’economia globalenon a servizio delle persone, ma del mero profitto dipochi, un’economia che diviene “tirannia invisibile deldenaro” 3 che produce degrado umano, sociale e am-bientale. Un’economia fondata sulla violenza, sulla“cultura dello scarto” che produce iniquità planetaria.Violenza, scarto e iniquità, termini paradigmatici dellequestioni irrisolte del diritto al cibo che non c’è ancora.

VIOLENZAAnche la recente crisi alimentare, come tutte quelle

precedenti, è stata definita "man-made", cioè determi-nata dall’uomo. Sono i conflitti violenti, interni edesterni, soprattutto in Africa e in Medio Oriente, a es-sere causa decisiva e in molti casi prevalente dellafame. Violenze spesso mascherate e fomentate conmotivi etnici e religiosi, con la paura utilizzata e mani-polata da élite al potere al soldo di interessi economicilocali e internazionali, è il «terrorismo di base che de-riva dal controllo globale del denaro sulla terra e mi-naccia l’intera umanità» menzionato da Papa Fran-cesco 4, da cui discendono i “terrorismi derivati”.

La violenza induce alla fuga milioni di persone chesi muovono all’interno dei Paesi colpiti o in quelli vicinidiventando essi stessi un potenzialee ulteriore fattore aggravante dell’in-sicurezza alimentare. Molti meccani-smi di protezione sociale vengonomeno, l’economia crolla, le violenzeaumentano e chiamano altre vio-lenze, entrando in una spirale che

sembra inarrestabile e rende impossibile ideare e atti-vare processi di cambiamento. Oltre alle guerre, vi è laviolenza economica e sociale che agisce in modo piùsubdolo, ma non meno dannoso. Le crisi alimentarinon sono mai qualcosa di nuovo e improvviso, ma ven-gono da lontano, da decenni di sistemi alimentari lo-cali violentati e infragiliti da politiche, nazionali einternazionali, a favore di élite al potere, degli interessidei Paesi più ricchi, dell’industria agroalimentare tran-snazionale. È frutto di una vulnerabilità crescente dellecomunità locali che è divenuta endemica rendendo lavariabilità climatica motivo di rischio alla sopravvi-venza. La violenza del clima dipende da quella del-l’uomo. La siccità o altri eventi climatici provoca mortee sofferenza dove le comunità sono state impoverite eviolentate, rese incapaci di farvi fronte. Vulnerabilitàacuita dalla violenza dell’uomo sull’ambiente, che lorende più ostile con shock climatici sempre più intensi.

SCARTOLo sviluppo dei sistemi alimentari basato sull’au-

mento della produzione e la mera massimizzazionedei profitti ha avuto un impatto ambientale deva-stante e provocato povertà endemica, producendo alcontempo eccedenze produttive con oltre il 30% dispreco del cibo prodotto nei diversi passaggi della fi-liera alimentare. Questo stesso approccio ha favorito,da un lato la produzione di cibo altamente trattato,con scarse qualità nutritive, e dall’altro un eccesso diproduzione animale e di consumo di carne per le po-polazioni ricche, dannosa per l’ambiente e la salute.

La questione degli stili di vita e della cultura con-sumistica alimentata dal modello economico rappre-sentano evidentemente il substrato culturale alla basedei meccanismi di spreco e di squilibrio. La povertàendemica prodotta dal sistema rappresenta di fatto lo

5. La questione

Un’economia fondata sulla violenza, sulla “cultura delloscarto” che produce iniquità planetaria. Violenza, scartoe iniquità, termini paradigmatici delle questioni irrisoltedel diritto al cibo che non c’è ancora

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scarto umano, l’eccedenza, denunciata da Papa Fran-cesco nei sui messaggi ai Movimenti Popolari, neces-saria al sistema per produrre profitto. Significativo inquesto senso il dato che vede i poveri sempre più con-centrarsi in aree ad alta fragilità politica-istituzionale-sociale: si stanno creando enormi “pattumiere” umanemondiali dove concentrare gli scarti di un sistema cheproduce sempre più ma che non nutre. Chi ne fa mag-giormente le spese sono i più vulnerabili e in partico-lare le donne e di conseguenza i bambini. La donna èuna componente familiare e sociale indispensabile,soprattutto nei contesti rurali; la sua vulnerabilità è unagente che incide in modo significativo sulle condi-zioni delle comunità nel presente e nel futuro. Bastipensare all’aumento dei casi di anemia nelle donne ealla difficoltà di garantire un nutrimento adeguato agliinfanti con conseguenti problemi di crescita e/o mor-talità infantile.

Un sistema che si alimenta anche di risposte par-ziali o false soluzioni che non tengano insieme que-stione ambientale e sociale e rischiano, soffermandosisu singoli aspetti, di aggravare anziché risolvere i pro-blemi. Un errore, questo, commesso anche dal mondodella cooperazione e dell’aiuto umanitario quandocrea dipendenza dagli aiuti, non considera gli effettia medio-lungo termine, non collega l’azione d’ur-genza con le fasi successive di rabilitazione e sviluppo,non tiene conto delle dinamiche di conflitto.

INIQUITÀCome già denunciato dagli special rapporteur sul

diritto al cibo presso le Nazioni Unite 5 e da molti stu-diosi 6 la fame non è il prodotto della scarsità, ma del-l’iniquità, che esclude una parte della popolazionemondiale dall’accesso al cibo, dalle risorse utili a pro-durlo, dal lavoro dignitoso che genera il reddito ne-cessario a procurarselo 7.

Nonostante la gravità delle crisi alimentari susse-guitesi negli anni, la produzione di cibo a livello glo-bale non è diminuita, il 13% di tutta la popolazioneadulta mondiale è obesa 8, un terzo di tutta la produ-zione alimentare viene buttato via o sprecato 9 e «mi-lioni di contadini in tutto il mondo producono ciboper miliardi di persone, ma la catena alimentare daproduttore a consumatore è mediata da pochi grandidistributori, fornitori, rivenditori e imprese di trasfor-mazione e imballaggio» che godono di posizioni do-minanti e del favore delle politiche 10. Iniquità acuitadai fenomeni di accaparramento di terre, di specula-zione finanziaria e da meccanismi di governance glo-bale ancora troppo deboli per regolare i mercatiglobali e garantire meccanismi di protezione di unbene che non può essere considerato una merce qual-siasi. Si tratta di nuove forme di colonialismo, in cui laperiferia è in funzione del centro 11, che di fatto pro-

duce una competizione nell’uso delle risorse tra l’es-senziale per molti e il lusso di pochi 12. Una competi-zione però che non si gioca alla pari, dove le parti nonhanno lo stesso potere di influenza nelle decisioni, adogni livello, che hanno effetti sulle loro vite. Un punto,questo, centrale e che richiede un impegno per darevoce e forza a coloro che il problema lo vivono sullapropria pelle ogni giorno.

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«La globalizzazione della speranza, che nasce dai popolie cresce tra i poveri, deve sostituire questa globalizza-zione dell’esclusione e dell’indifferenza!»Papa Francesco, partecipazione al II incontro mondialedei movimenti popolari, Bolivia luglio 2015

Papa Francesco richiama a tre compiti fondamentali nelprocesso di cambiamento: l’economia deve essere alservizio dei popoli, per promuovere un’equa distribu-zione dei frutti della terra; unire i popoli in un camminodi pace e giustizia, preservando la loro unicità e indivi-dualità, senza sottomettere quelli più deboli a tutele oingerenze in una nuova forma di colonialismo ideolo-gico 1, agendo però con una responsabilità comune; di-fendere la Madre Terra attraverso la promozionepacifica di misure appropriate per rispondere alla crisi.

LE POLITICHEAll’interno degli spunti indicati dal Papa, possono

essere lette anche le raccomandazioni degli utlimispecial rapporteur sul diritto al cibo presso le NazioniUnite 2 che parlano di interdipendenza delle riforme.Riformare i sistemi di distribuzione globale dei generialimentari consentendo maggiori possibilità di gua-dagno per i piccoli e medi produttori alimentari, mag-giori possibilità di commercializzazione dei beni pro-venienti dai Paesi in via di sviluppo, in particolare pro-muovendo la diversificazione dell’economia, potreb-be consentire a milioni di persone di uscire dalla po-vertà. Inoltre, per garantire una reale possibilità aiproduttori dei Paesi in via di sviluppo sarebbe auspi-cabile rivedere l’intero sistema di sussidi all’agricol-tura dei Paesi OCSE. Sul piano delle politiche interna-zionali, sarebbe utile una riforma del sistema dell’eco-nomia e della finanza globale, con particolare atten-zione alla concorrenza, al fine di limitare il potere del-le grandi aziende agro-industriali sui mercati e neiPaesi in cui operano, in particolare tutelando i piccoliproprietari dai fenomeni di accaparramento delle ter-re e assicurare maggiore responsabilità sociale delleimprese e il rispetto dei diritti umani fondamentali ei diritti dei lavoratori.

Inoltre la riforma dovrebbe regolamentare i prezzi,al fine di arginare le oscillazioni dei beni alimentarifondamentali (i cosidetti staple foods) in modo da ga-rantire regolare accesso a tali derrate anche ai più po-veri. È fondamentale, dunque, affiancare alle politichedi cooperazione allo sviluppo, la revisione degli ac-cordi in materia commerciale e finanziaria ove sfavo-revoli ai Paesi in via di sviluppo e ai piccoli produttori,in un’ottica di intervento multisettoriale.

La priorità è la ricostruzione dei sistemi alimentarilocali, promuovendo la decentralizzazione, l’espan-sione delle politiche di welfare a tutela dei più poverie dei più vulnerabili e la promozione dell’inclusionedelle popolazioni ai processi decisionali. Riguardo lepolitiche in campo alimentare, sarebbe auspicabileorientare i sistemi di produzione considerando l’im-portanza della qualità del cibo e del suo apporto nu-trizionale oltre che alla mera quantità, nonchéfavorire scelte di produzione basate sui principi dell’“agro-ecologia”, attenta alla tutela del territorio e allafragilità degli ecosistemi. Più in generale, questo in-sieme di politiche deve avere come fine ultimo il rag-giungimento della “sovranità alimentare”, che siconfigura come il diritto delle persone a definire i lorosistemi alimentari, agricoli, di allevamento e di pesca,in contrasto con l’alternativa di avere il cibo in granparte soggetto alle forze del mercato internazionale.Si deve avere cibo sufficiente e prontamente accessi-bile localmente. Di qui l’importanza anche dei sistemidi stoccaggio e di riserva a livello nazionale, per ren-dere stabile l’accesso al cibo e compensare le fluttua-zioni dei prezzi aumentando l’autosufficienza ali-mentare.

LA PACECome ricorda Papa Francesco nel suo messaggio

per la Celebrazione della 50° Giornata Mondiale dellaPace, occorre promuovere la cultura della nonviolenza«come stile di una politica di pace», e attrezzarsi affin-ché sia «la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trat-tiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, inquelli sociali e in quelli internazionali». Sul piano in-ternazionale bisogna privilegiare politiche che met-tano al primo posto la risoluzione dei conflitti tra lecomunità, evitando di fomentare ostilità a scopo eco-nomico o esacerbando conflitti già in corso. Al contra-rio bisognerebbe incoraggiare politiche in campoeconomico che sfavoriscano gli attori sul piano inter-nazionale che hanno interessi nella guerra, e al con-tempo promuovano attori che agiscono in un’otticavolta a risolvere iniquità e situazioni di ostilità tra po-

6. Proposte ed esperienze

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polazioni, guardando alle cause reali dei conflitti incorso. Politiche ispirate alla nonviolenza richiamanoanche l’esigenza di potenziare gli organismi sovrana-zionali, in primis le Nazioni Unite, che regolano l’usodella forza dotandoli di maggiori strumenti di inter-vento per la prevenzione e la risoluzione dei conflitti.

L’EDUCAZIONEIl locale è strumento fondamentale per promuo-

vere cambiamenti globali e viceversa. Il cambiamentodiventa un processo e non più solo il suo risultato. Perarrivare ad esso sono importanti alcuni strumenti.L’educazione a una “cultura della cura” 3: cura di sé,cura degli altri, cura dell’ambiente, anziché della cul-tura del degrado e dello scarto. Un’educazione perchési conoscano cause, effetti, connessioni e alternativepossibili per agire con discernimento nella produzionee consumo di cibo, nella lotta alla violenza e alle in-giustizie e nella conoscenza dei fenomeni ambientaliper garantire un’adeguata gestione del rischio. Suquesto piano è importante anche sensibilizzare a stilidi vita improntati a sobrietà e consumo responsabilee un’educazione alimentare verso cibi nutrienti, sanie prodotto nel rispetto dell’ambiente. Questo impe-gno è fondamentale per creare il substrato culturalenecessario a sostenere le riforme menzionate in pre-cedenza. È fondamentale anche conoscere i propri di-ritti per esercitarli pacificamente: si pensi ad esempioal fenomeno dell’accaparramento di terre e risorse na-turali. È necessaria un'attenzione costante per la pro-tezione e l’adempimento dei diritti umani delle don-ne, per garantire la loro significativa inclusione attivanel processo decisionale in relazione alle politiche eai programmi.

LA VOCE DELLA CHIESA AFRICANAI vescovi riuniti a Dakar a settembre 2017 per la

conferenza Organizzare il servizio della carità in Africa:il ruolo dei vescovi, hanno ribadito alcuni punti centraliper la Chiesa africana nell’impegno verso lo sviluppoumano integrale delle popolazioni e in particolarmodo dei più poveri. Anzitutto è fondamentale l’im-pegno a farsi prossimi a quegli individui e comunitàle cui terre sono minacciate da interessi interni edesterni; conoscere e documentare le molteplici causedella povertà per sradicarle; prendere a cuore la causadi migranti e rifugiati, costretti a migrare per crisi am-bientali e politiche, promuovendo la dignità di ognu-no a vivere in contesti dove sia in condizione di prov-vedere a sé e ai suoi cari in modo adeguato; incorag-giare i leader a promuovere il bene comune.

Riconoscendo e incoraggiando «l’impegno di or-ganismi internazionali e di organizzazioni della societàcivile che sensibilizzano le popolazioni e cooperanoin modo critico, anche utilizzando legittimi meccani-

smi di pressione, affinché ogni governo adempia ilproprio e non delegabile dovere di preservare l’am-biente e le risorse naturali del proprio Paese, senzavendersi ad ambigui interessi locali o internazionali» 4,i vescovi africani promuovono un approccio che inte-gri la dimensione sociale a quella economica, politicaed ecologica, così come suggerisce Papa Francesconell’Enciclica Laudato Si’, in un cammino comune con-tro ogni tipo di esclusione. Per far questo si rende ne-cessario mantenere aperto il dialogo con la comunitàscientifica, le organizzazioni della società civile, i go-verni e le istituzioni, ma soprattutto prestare profondaattenzione alla voce, ai diritti e ai bisogni delle comu-nità che vivono i territori, soprattutto quelli più colpitida violenze e disastri ambientali, tra cui comunità in-digene, pastori, piccoli produttori alimentari, senzaterra, bambini, orfani e persone con disabilità, nonchérifugiati, sfollati interni 5.

A questo proposito è importante il cammino dei mo-vimenti popolari, ai quali Papa Francesco si è già rivoltoin diverse occasioni, esortandoli ad essere “seminatoridi cambiamento” riprendendo la figura della seminalenta e pacifica con la certezza di attivare un processoche solo col tempo porterà frutto, senza l’ansia di occu-pare spazi e potere, ma soprattutto con una prospettivaben più ampia della semplice azione settoriale 6.

In conclusione, alcune lezioni apprese e racco-mandazioni pratiche:

Raccogliere e organizzare dati sul territorio, epromuovere la ricerca e la sperimentazione, in-cludendo nei processi gruppi locali..

Maggiore controllo delle responsabilità istituzio-nali sugli impegni assunti.

Ampliare la partecipazione attiva degli attori lo-cali, in dialogo costante con istituzioni e organiz-zazioni della società civile.

Favorire l’interazione di gruppi per condividereesperienze e competenze.

Promuovere la conoscenza e la tutela dei dirittie alla gestione delle risorse naturali e finanziarie.

Collegare la risposta all’emergenza con la riabili-tazione e lo sviluppo con un approccio orientatoa rafforzare la resilienza delle comunità e basatosulla tutela dei diritti umani e degli ecosistemi.

Rafforzare le capacità e sostenere i processi dicoordinamento e azione congiunta di attori lo-cali della società civile e della chiesa (piccoli agri-coltori, pastori ecc.) in ordine a una maggioreinfluenza nei processi decisionali di riforma deisistemi alimentari ai diversi livelli.

32 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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33AFRICA | FAME DI PACE

GLI INTERVENTI CARITAS

La Chiesa in Africa è da sempre molto impegnata sul fronte dello sviluppo umano con un’attenzione specialealla sicurezza alimentare, in molti dei contesti più colpiti dalla malnutrizione, non solo a seguito di emergenze,ma in modo costante a sostegno di processi di promozione e sviluppo umano integrale.

A seguito della recente crisi, la risposta della RETE CARITAS si è articolata sia in progetti a breve termine,con interventi di emergenza soprattutto nelle aree più colpite dalla siccità e dai conflitti, sia in progettia lungo termine con interventi di sviluppo e peace-building, attività di advocacy a livello nazionale e in-ternazionale, riduzione del rischio, gruppi di lavoro tematici (migrazione e tratta, lotta alla deserti-ficazione/Sahel, …) e rafforzamento istituzionale. Solo in Africa orientale dall’ inizio del 2017, la rete Caritassta sostenendo più di tre milioni e mezzo di persone in Etiopia, Kenya, Somalia Sud Sudan e Uganda attraversopiù di 120 programmi per un totale complessivo di circa 114 MILIONI DI EURO di aiuti.

I progetti sostenuti nei vari ambiti hanno visto una varietà di tipologie e modalità di intervento. Nel settoredel miglioramento delle condizioni di vita l’aiuto è consistito nella fornitura di sementi e attrezzi agricoli (comead esempio in Uganda) e in uno schema di cash for work, attarverso cui si sono sostenuti i redditi delle famigliecreando opportunità di lavoro. Alcuni interventi hanno puntato al miglioramento del regime alimentare deibeneficiari attraverso la distribuzione di cibo alla popolazione (come in Madagascar); altri interventi hanno in-cluso una componente di empowerment dei beneficiari, dove alle popolazioni sono stati distribuiti semi per lacoltivazione di ortaggi nei loro giardini.

Per quanto riguarda il settore della sanità, un’importante fetta di interventi si è concentrata sulla preven-zione: sono stati distribuiti filtri per l’acqua al fine di arginare la trasmissione di malattie come il tifo e il colerain Kenya, o sono stati costruiti servizi-igienici che garantissero il corretto smaltimento delle acque sporchecome in Uganda. Diversi i programmi anche in altre aree colpite dalla cirsi. In Nigeria si sono messi in atto in-terventi in campo sanitario come il supporto tecnico e l’acquisto di farmaci per i centri salute.

Sul piano dell’accesso all’acqua potabile, alcuni programmi hanno provveduto a creare nuove fonti di ap-provvigionamento (come in Camerun) attraverso la costruzione di nuovi pozzi; altri programmi hanno miglio-rato gli impianti esistenti attraverso l’attivazione di corsi per la riparazione e manutenzione delle fonti d’acquae sessioni per la pacificazione dei conflitti sulle poche risorse disponibili in condizioni di siccità in Kenya.

Sul tema del supporto all’infanzia, in Niger si è provveduto a creare spazi sicuri dedicati al gioco in contestidi conflitto; in Camerun si è sostenuta la scolarizzazione dei ragazzi attraverso il sostegno alle famiglie nel pa-gamento delle spese scolastiche e la fornitura di libri e materiali per studiare.

La promozione dei diritti umani, dell’educazione, del ruolo della donna e dello sviluppo umano hanno gui-dato la realizzazione delle progettualità unitamente a pratiche di inclusione e partecipazione delle comunitàbeneficiarie alle decisioni riguardanti gli interventi.

Alcune buone prassiCome testimonia l’esperienza di alcune Caritas africane, sono attivi processi innovativi, soprattutto in

campo agro-pastorale, che puntano al coinvolgimento delle comunità nella sfida all’adattamento alla varia-bilità climatica senza il ricorso a tecniche lesive dell’ambiente, tenendo conto del diritto alla terra e all’acquae di una migliore gestione di risorse e servizi. Ad esempio, si è riusciti a diversificare la coltura del mais su circa1 milione di ettari coltivati, introducendo 50 tipi diversi di semi che le ricerche hanno qualificato come più re-sistenti alla siccità. I semi piantati stanno producendo i loro frutti e il successo va sicuramente legato anche alfatto che centinaia di piccoli agricoltori locali hanno partecipato alla sperimentazione testando le nuove varietàpoi introdotte. O ancora l’iniziativa “New Rice for Africa” che combina l’alta produttività del riso asiatico con lacapacità del riso africano di tollerare condizioni di crescita difficili, con coltivazioni di 200.000 ettari in 30 Paesiafricani.

In tema di sicurezza alimentare, esiste un gruppo di lavoro internazionale per il Sahel che si riunisce unavolta l’anno e affronta tematiche ad essa connesse. Vi partecipano le Caritas nazionali di Burkina Faso, CapoVerde, Gambia, Guinea Bissau, Mali, Mauritania, Niger, Senegal e Ciad insieme a partner internazionali dellaConfederazione Caritas, tra cui Caritas Italiana, impegnati in questi Paesi. Tra i risultati raggiunti: la capita-lizzazione delle esperienze nell’attuazione di meccanismi endogeni di sicurezza alimentare nei Paesi del Sahel;lo sviluppo di un’analisi della Caritas sulla situazione alimentare nei vari Paesi del Sahel e l’anticipazione dipossibili crisi; formazione per il personale della Caritas e progetti regionali di emergenza, resilienza e sviluppo.

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34 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Info: Caritas Italiana - Ufficio Africa, [email protected] tel. 06 66177247 / 405

CARITAS ITALIANA ha una lunga esperienza in molti Paesi africani e si è mobilitata sin dalleprime fasi della crisi alimentare, rispondendo alle richieste di aiuto delle Chiese locali.

Caritas Italiana ha sostenuto progettualità in 12 Paesi dell’Africa centrale e orientale: Etiopia, Sudan, SudSudan, Uganda, Niger, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar, Kenya, Camerun, Burundi eSomalia. In tutti i Paesi il focus principale di intervento è stato quello della sicurezza alimentare e dell’accessoall’acqua.

In alcune aree, come ad esempio nella regione del lago Ciad (Niger, Nigeria e Camerun), l’attenzione, oltrealle comunità colpite, è stata anche nei confronti degli sfollati provenienti dalle regioni in cui opera BokoHaram e hanno riguardato la fornitura di piccoli contributi economici alle donne per poter avviare attività ge-neratrici di reddito e azioni per la sensibilizzazione delle comunità alla tutela dell’ambiente.

In regioni afflitte da condizioni di sicurezza gravi, come ad esempio in Sudan, nella regione dei Monti Nuba,gli interventi hanno riguardato anche l’accompagnamento delle comunità sul tema dell’abuso dei diritti umani.

In Sud Sudan, grazie anche al contributo dell’otto per mille della Conferenza Episcopale Italiana, oltre alladistribuzione di derrate alimentari ai nuclei familiari bisognosi, si sono finanziate attività sia in campo medico,sia in campo sociale e educativo, con attività di assistenza ai bambini di strada, appoggiando gli insegnantinei campi profughi e sostenendo iniziative di promozione della pace.

In molti Paesi, inoltre, sono stati messi in atto microprogetti di sviluppo, principalmente a finanziamentodi attività in campo agricolo e di accesso all’acqua in un’ottica di attivazione di processi per l’autosostenta-mento.

Infine, in alcuni Paesi sono attivi progetti di servizio civile e gemellaggi tra comunità locali e diocesi italiane,in particolare sono impegnate le diocesi di: Milano, Udine, Bolzano-Bressanone, Foligno, Prato, Vicenza.

L’impegno economico complessivo di Caritas Italiana nel 2016-2017 per la realizzazione delle progettualitàqui descritte ammonta a oltre 2,5 MILIONI DI EURO.

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NOTE

Introduzione1 Papa Papa Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum Progressio,

45-47.2 «Dovete sentire le grida di dolore di milioni di persone di

fronte allo scandalo provocato dal “paradosso dell'abbon-danza” che costituisce il principale ostacolo alla soluzionedel problema della nutrizione dell’umanità. La produzionealimentare mondiale – lo sapete bene – è sufficientementeabbondante per soddisfare pienamente le necessità diuna popolazione anche in aumento, a condizione che lerisorse che possono consentire una nutrizione adeguatasiano suddivise in funzione delle necessità reali». GiovanniPaolo II, allocuzione ai partecipanti alla Conferenza Inter-nazionale sulla Nutrizione presso la FAO del 5 dicembre1992.

3 La fame nel mondo. Una sfida per tutti: lo sviluppo solidale,documento del Pontificio Consiglio Cor Unum, 4 febbraio1996http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/corunum/corunum_it/pubblicazioni/rc_pc_corunum_doc_04101996_world-hunger_it.html

4 Papa Benedetto XVI, Lettera Enciclica Caritas in Veritate, 27.5 Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all'incontro mon-

diale dei Movimenti Popolari, Roma 28 ottobre 2014.6 Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al II incontro

mondiale dei Movimenti Popolari, Santa Cruz de la Sierra(Bolivia) 9 luglio 2015.

7 «Un sistema che oltre ad accelerare in modo irresponsabilei ritmi di produzione, oltre ad incrementare nell’industriae nell’agricoltura metodi che danneggiano la Madre Terrain nome della produttività, continua a negare a miliardi difratelli i più elementari diritti economici, sociali e culturali»,Papa Francesco, Ibidem.

8 Papa Francesco, Lettera Enciclica Laudato Si’, 13.9 Papa Francesco, Lettera Enciclica Laudato Si’, 4 e 5.10 Papa Francesco, Lettera Enciclica Laudato Si’, 139: «Non ci

sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale,bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale».

11 Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM), Lettera pa-storale Alla tua discendenza io darò questo Paese.

12 Laudato Si’, 49.13 Papa Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum Progressio, 47.14 Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all'incontro mon-

diale dei Movimenti Popolari, Roma 28 ottobre 2014.15 Particolarmente emblematico il seguente passaggio del

messaggio di Papa Francesco in occasione dell’incontrodei Movimenti Popolari a Modesto, California, 16-19 feb-braio 2017: «Sono i segni dei tempi che dobbiamo ricono-scere per agire. Abbiamo perso tempo prezioso senzaprestare attenzione, senza risolvere queste realtà distrut-trici. Così i processi di disumanizzazione si accelerano.

Dalla partecipazione dei popoli come protagonisti, è ingran misura da voi, movimenti popolari, dipende la dire-zione che questa svolta storica prenderà e la soluzione diquesta crisi che si sta acuendo».

16 Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo SviluppoSostenibile, risoluzione dell’Assemblea Generale delle Na-zioni Uniti del 25 settembre 2015.

17 Ibidem, 16.18 «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente

a garantire la salute e il benessere proprio e della sua fa-miglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al ve-stiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi socialinecessari…», Art. 25 della Dichiarazione Universale dei Di-ritti Umani

19 Comitato per i diritti economici, sociali e culturali, com-mento generale n. 12 sul diritto a un’alimentazione ade-guata, parr. 6 e 7.

20 Nel settembre 2017 la Food and Agriculture Organisationof the United Nations (FAO) ha pubblicato il rapporto Stateof food security and nutrition in the world 2017http://www.fao.org/3/a-I7695e.pdf, contenente un’analisisulla sicurezza alimentare e la nutrizione nel mondo, sullabase dei dati raccolti in collaborazione con altre Agenziedelle Nazioni Unite quali International Fund for AgricoltureDevelopment (IFAD); World Food Program (WFP); WorldHealth Organisation (WHO) e Unicef.

21 Il 10 marzo 2017, il sottosegretario generale per gli AffariUmanitari dell’ONU e il coordinatore per gli aiuti d’urgenzainformarono il Consiglio di Sicurezza che il mondo stavaaffrontando la più ampia crisi umanitaria dalla creazionedelle Nazioni Unite.

1. Il problema a livello internazionale1 Secondo la FAO la denutrizione è definita come la condi-

zione di consumo abituale di un individuo insufficiente afornire il nutrimento necessario per mantenere una vitaattiva e salutare.

2 FAO, State of food security and nutrition in the World 2017,http://www.fao.org/3/a-I7695e.pdf

3 Integrated Food Security Phase Classification (IPC), IPC Glo-bal Partners, Integrated Food Security Phase ClassificationTechnical Manual Version 2.0.: Evidence and Standards forBetter Food Security Decisions (Rome, 2012)

4 Hilal Elver, Special Rapporteur sul diritto al cibo, Interimreport all’Assemblea Generale dell’ONU, 21 luglio 2017http://ap.ohchr.org/documents/dpage_e.aspx?si=A/72/288

5 F.M. Lappé e altri, How we counter hunger matters, Ethicsand International Affairs issue 27.3 (2013).

6 Secondo la FAO la malnutrizione è una «condizione fisicaanomala dovuta a un consumo inadeguato, squilibrato oeccessivo di macronutrienti e/o micronutrienti. La malnu-trizione include la denutrizione e la sovra nutrizione cosìcome carenze di micronutrienti».

7 Secondo la FAO l’insicurezza alimentare è «una situazioneche esiste quando una persona manca di un accesso si-

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curo a una quantità sufficiente di cibo sicuro e nutrienteper una crescita e uno sviluppo normale ed una vita attivae salutare. Può essere causata da indisponibilità di cibo,potere di acquisto insufficiente, distribuzione o uso delcibo inadeguato a livello familiare. L’insicurezza alimentarepuò essere cronica, stagionale o transitoria».

8 «Suscettibilità ad eventi dannosi derivante dall’esposi-zione a stress associati con il cambiamento ambientale esociale e dall’assenza di capacità di adattamento», Adger2006.

9 «La capacità di gruppi o comunità di affrontare fattori distress e ostacoli esterni derivanti da cambiamenti sociali,politici, e ambientali», Adger 2000

10 De Schutter Oliver, Special Rapporteur sul diritto al ciboThe transformative potential of the right to food, 2014http://ap.ohchr.org/documents/dpage_e.aspx?si=A/HRC/25/57

11 Tratto da De Shutter, ibidem.12 Per una disamina sull’impatto della speculazione finanzia-

ria sulle derrate alimentari si veda Missaglia in Mercati diguerra, Caritas Italiana, Ed. il Mulino 2014.

13 Tali sforzi comprendono un aumento dei bilanci pubblicidestinati all’agricoltura, grazie anche al Programma com-prensivo di sviluppo agricolo per l’Africa nell’ambito dellaNew Partnership for Africa’s Development (NEPAD), au-mento della condivisione dei budget di cooperazione allosviluppo destinati all’agricoltura, iniziative come Scalingup Nutrition, un rinnovato interesse del settore privato alsettore agricolo.

14 De Shutter, ibidem.15 Hilal Elver, Special Rapporteur sul diritto al cibo, Interim

report all’Assemblea Generale dell’ONU, 3 agosto 2016http://ap.ohchr.org/documents/dpage_e.aspx?si=A/71/282

16 Termine utilizzato per descrivere il processo di cambia-mento delle abitudini alimentari verso cibi trasformati adalto contenuto di sali, zuccheri, grassi saturi, conservantie additivi.

17 Secondo l’OCSE «gli stati sono fragili quando le loro strut-ture istituzionali non possiedono la capacità e/o volontàpolitica di provvedere alle funzioni fondamentali necessa-rie alla riduzione della povertà, allo sviluppo e alla tuteladella sicurezza e dei diritti umani della loro popolazione».

18 OCSE, State of Fragility 2016: Understanding violence,http://dx.doi.org/10.1787/9789264267213-4-en

19 «Si ha una crisi prolungata in quei contesti dove una per-centuale molto alta della popolazione soffre per lungotempo a causa di insicurezza alimentare, malattie e non haaccesso a mezzi di sussistenza», A. Harmer and J. Macrae,eds. 2004. Beyond the continuum: aid policy in protractedcrises. HPG Report No. 18, London, Overseas DevelopmentInstitute.

20 FAO, ibidem, http://www.fao.org/3/a-I7695e.pdf21 Vision of Humanity, Global Peace Index Report 2017,

http://visionofhumanity.org/app/uploads/2017/06/GPI17-Report.pdf

2. Il problema a livello regionale1 FAO, State of food security and nutrition in the World 2017,

http://www.fao.org/3/a-I7695e.pdf2 OCSE, State of Fragility 2016: Understanding violence,

http://dx.doi.org/10.1787/9789264267213-4-en.3 L’indice di fragilità che l’OCSE utilizza è costruito sulla base

di molteplici indicatori che per ciascuna delle cinque di-mensioni considerate (economica, politica, ambientale,sociale e di sicurezza) misurano i rischi per le comunità intermini di esposizione, vulnerabilità e carenza di capacitàin ordine a una loro gestione, superamento o mitigazione.

4 FAO, ibidemhttp://www.fao.org/3/a-I7695e.pdf, Tabella A 2.2 a pag. 105

5 World Social Protection Report 2017-19, ILOhttp://w w w.i lo.org/global/publ icat ions/books/WCMS_604882/lang--en/index.htm

6 Olivier De Schutter, Special Rapporteur on the right tofood, The transformative potential of the right to food, 2014.

7 Dati da Land Matrix database, http://www.landmatrix.org/en/. Banca dati pubblica e open source creata nel 2012da diverse organizzazioni e centri di ricerca per sopperirealla mancanza di dati riguardanti le transizioni di terreno.

8 Il fenomeno è collegato al sistema denominato “ReducingEmissions from Deforestation and Forest Degradation”(REDD ) previsto dalla Conferenza sui Cambiamenti Clima-tici di Cancun nel 2010, e al cosiddetto “Clean Develop-ment Mechanism” (CDM) previsto dal protocollo di Kyoto.Entrambi i meccanismi finanziano progetti di forestazionea scopo compensativo delle emissioni in eccesso di CO2oggetto di contrattazione tramite strumenti finanziari sulmercato della finanza globale.

9 Land Matrix, Ibidem10 Secondo il Global Peace Index Report 2017, nel 2016

l’Africa sub-sahariana ha registrato un deterioramentodelle condizioni di conflitto rispetto all’anno precedentesoprattutto sul fronte delle violenze interne agli statihttp://visionofhumanity.org/app/uploads/2017/06/GPI17-Report.pdf

11 FAO, ibidem, http://www.fao.org/3/a-I7695e.pdf , Grafico“figure 17” a pag. 38.

12 FAO, Ibidem, http://www.fao.org/3/a-I7695e.pdf, Grafici“Figure 4” a pag. 15 e “figure 6” a pag. 18.

13 Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (OSS) 2.2: Entro il 2030,porre fine a tutte le forme di malnutrizione, raggiungendo,entro il 2025, gli obiettivi concordati a livello internazio-nale sulla nutrizione dei bambini sotto i 5 anni di età, sulsoddisfare le esigenze nutrizionali di adolescenti, donnein gravidanza e in allattamento e persone anziane.

14 Per dettagli sul sistema di misurazione IPC delle crisi ali-mentari si veda box in questo capitolo.

15 Dati e proiezioni FEWSNET novembre 2017. Per la defini-zione di carestia si veda il box Livelli di insicurezza alimen-tare.

16 OCHA, http://interactive.unocha.org/emergency/2017_fa-mine/index.php

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17 Come riportato in 2017 Indice globale della fame. Le disu-guaglianze della fame a pag. 14 con dati FEWSNET 2017.

18 FEWSNET, http://www.fews.net/west-africa/nigeria19 OCHA, Somalia Humanitarian Snapshot, Gennaio 2018. 20 Failed rains leave Somalis fearful di Eoin Wrenn per Trocaire,

04 Gen 2018 e FEWSNET, dicembre 2017.21 OCHA, Somalia Humanitarian Snapshot, gennaio 2018 e

2017 Indice globale della fame. Le disuguaglianze della fame,pag. 19.

22 18.400 solo i casi denunciati da UNICEF per gennaio e feb-braio 2017.

23 Ultima chiamata dell’Onu: “La Somalia sta morendo”, diMatteo Fraschini Koffi, Avvenire, 11 maggio 2017.

24 Italia Caritas, novembre 2017, pagg. 30-31.25 Acronimo di “Famine Early Warning Systems Network”, un

sistema di monitoraggio e allerta sulla sicurezza alimen-tare di 34 Paesi creato da USAID nel 1985 come strumentoper i decisori politici nella pianificazione di interventi diprevenzione e risposta di crisi umanitarie.

26 Dati pubblicati dalla FAO a dicembre 2017.27 FAO, State of food security and nutrition in the World 2017,

http://www.fao.org/3/a-I7695e.pdf, pag. 44.28 Ogni anno l’International Food Policy Research Institute

(IFPRI) pubblica uno studio sull’indice globale della fame,per valutare progressi o battute d’arresto nella lotta allafame Paese per Paese. Per calcolare il GHI si usano quattroindicatori (denutrizione, deperimento infantile, arrestodella crescita infantile e mortalità infantile) su tre diversefasi. Per una più dettagliata spiegazione, si veda il box 1.2a pag. 9 della versione italiana curata da CESVI 2017 Indiceglobale della fame. Le disuguaglianze della fame.https://www.cesvi.org/wp-content/uploads/2017/10/Indice-Globale-della-Fame-2017.pdf

28 FAO, ibidem.29 CESVI, ibidem.30 Italia Caritas, maggio 2017, pag. 30.31 Definizione ripresa dal Commentary ISPI, 6 marzo 2016, a

cura di Sara De Simone La carestia in Sud Sudan: la storia siripete?.

32 Per la definizione di land grabbing si rimanda alle pagg. 20e 21 del rapporto di Caritas Ghana (vedi nota successiva).

33 Unmasking land grabbing in Ghana; restoring livelihoods;paving way for sustainable development goals, CaritasGhana, Agosto 2016, www.caritas-ghana.org

34 Africa/Ghana – Stop al Land Grabbing: appello della Caritas,www.fides.org

35 Ghana Catholic Bishops’ Conference, Misereor, Centre forIndigenous Knowledge on Development (CIKOD), AfricaFaith and Justice Network (AF&JN), KKA Austria.

36 Laudato Si’, in particolare 139-143-145-146.37 Il dato si riferisce al rapporto del 2010 pubblicato da

Friends of the Earth.38 Vigil, S. (2016), Migrations environnementales? Ramener le

politique au cœur du débat, Cités, (4), 61-76.

39 Secondo l’Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)si definisce bioma il «complesso di vegetali con assettostabile su di una vasta area geografica. La relativa stabilitàdi un bioma è data principalmente dalle interazioni tra ve-getazione e clima, e secondariamente da quelle con ilsuolo».

40 Huang, J., Yu, H., Dai, A., Wei, Y., & Kang, L. (2017), Drylandsface potential threat under 2°C global warming target, Na-ture Climate Change, 7(6), 417-422.

41 Per un approfondimento si veda FAO, Pastoralism in EastAfrica – breakdown of traditional systems and environmentaldegradation (box 11) del già citato, State of food securityand nutrition in the World 2017, http://www.fao.org/3/a-I7695e.pdf

42 Per un approfondimento del tema della mobilità circolaree intra-africana si veda FAO, Rural Africa in motion e CaritasItaliana, Dossier con dati e testimonianze n. 21 Divieto diaccesso, Flussi migratori e diritti negati.

43 Raleigh, C., Choi, H. J., & Kniveton, D. (2015), The devil is inthe details: An investigation of the relationships betweenconflict, food price and climate across Africa, Global Environ-mental Change, 32, 187-199.

44 Hendrix, C., Brinkman, Henk-Jan, 2013, Food Insecurity andConflict Dynamics: Causal Linkages and Complex Feedback;Theisen, O.M., 2008, Blood and soil? Resource scarcity andinternal armed conflict revisited, J. Peace Res. 45 (6), 801–818; Adano, W.R., Dietz, T., Witsenburg, K., Zaal, F., 2012, Cli-mate change, violent conflict and local institutions in Kenya’sdrylands, J. Peace Res. 49 (1), 65–80.

45 Fraser, A., Leck, H., Parnell, S., & Pelling, M. (2017), Africa’sUrban Risk and Resilience.

3. Le connessioni con l’Italia e l’Europa1 De Schutter Oliver, The transformative potential of the right

to food, 2014http://ap.ohchr.org/documents/dpage_e.aspx?si=A/HRC/25/57Per una sintesi dell’analisi di De Shutter, si veda il capitolo2 del presente dossier.

2 http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-13-631_it.htm https://agra.org/wp-content/uploads/2017/09/Final-AASR-2017-Aug-28.pdfhttp://www.europedia.moussis.eu/books/Book_2/6/21/?all=1

3 https://ec.europa.eu/agriculture/sites/agriculture/files/cap-post-2013/graphs/graph1_en.pdf

4 http://www.uci.it/dettaglionews/Notizie/nuova-pac-2014-2020-chi-perde-e-chi-guadagna

5 http://www.undp.org/content/dam/rba/docs/Working%20Papers/Food%20Production%20and%20Consum-ption.pdf

6 https://www.mckinsey.com/global-themes/middle-east-and-africa/africas-path-to-growth-sector-by-sector

7 Land Matrix database http://www.landmatrix.org/en/8 Sugli accordi commerciali si veda ad esempio la posizione

della rete di ong Concord Europa sugli Accordi di Partena-

38 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Page 39: Fame di pace - Caritas · 2030 di «porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza ... Nel già citato rapporto sullo stato della sicurezza ali-mentare nel mondo della FAO, emerge

riato Economico (Economic Partnership Agreements o EPA)http://www.focsiv.it/wp-content/uploads/2016/07/Bozza-art-accordi-EPA-correz-finale2.pdf

9 Per un approfondimento si vede, Giulio Albanese in Popolie Missionihttp://www.missioitalia.it/rdc-ancora-sangue-e-morte-in-strada-ma-leuropa-resta-a-guardare/

10 Per una misurazione del consumo di risorse ambientali siveda anche Rete Globale sull’Impronta Ecologica, (GlobalFootprint Network), www.footprintnetwork.org.

11 Si vedano a riguardo gli studi di Flahaux & De Haas, 2016,https://link.springer.com/article/10.1186/s40878-015-0015-6

12 È il caso ad esempio dell’accordo di partenariato bilateralecon il Niger, si veda a riguardo l’articolo di Italia Caritas difebbraio 2018.

13 Fatto, questo, acuito anche dal metodo di negoziazionebilaterale con singoli Paesi scelto dall’Unione Europea an-ziché con organismi sovranazionali regionali e sub-regio-nali africani come ad esempio l’ECOWAS per quanto ri-guarda l’Africa occidentale (Unione Economica e Moneta-ria dell’Africa dell’Ovest).

4. Testimonianze1 Intervento all’interno della Conferenza dei vescovi Orga-

nizzare il servizio della carità in Africa: il ruolo dei vescovi,Dakar 18-20 settembre 2017.

2 Testimonianza raccolta da Greta Marconi e Chiara Gallarini,volontarie in servizio civile in Kenya con CaritasItaliana/Caritas Ambrosiana.

3 Intervento all’interno della conferenza Dopo Abidjan, ilpiano per gli investimenti esteri dell’UE – soluzione alla po-vertà, l’insicurezza alimentare e le migrazioni in Africa? del15 dicembre 2017 presso il Ministero degli Affari Esteri ela Cooperazione allo sviluppo.

4 Testimonianza raccolta da Elena Baglietto, volontaria inservizio civile a Gibuti con Caritas Italiana.

5 Testimonianza raccolta da Caritas Internationaliswww.caritas.org

5. La questione1 Papa Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum Progressio, 47.

Similmente in Lett. Ap. Octagesima adveniens del 14 mag-gio 1971, 44 Paolo VI denunciava una «nuova forma abu-siva di dominio economico sul piano sociale, culturale eanche politico». Già quarant’anni prima Papa Pio XI avevautilizzato l’espressione «imperialismo internazionale deldenaro», Lett. Enc. Quadragesimo anno, 15 maggio 1931,109.

2 Laudato Si’, 139.

3 Papa Francesco, messaggio in occasione dell’incontro deiMovimenti Popolari a Modesto, California, 16-19 febbraio2017.

4 Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al III incontromondiale dei Movimenti Popolari, Roma 5 novembre2016.

5 In particolare Olivier De Schutter, Special Rapporteur onthe right to food, The transformative potential of the rightto food, 2014.

6 Naomi Hossain, Institute of Development Studies, Disu-guaglianza, fame e malnutrizione: il potere conta, come apag. 25 di 2017 Indice globale della fame. Le disuguaglianzedella fame della versione curata da CESVI.

7 Italia Caritas numero di settembre 2014, Insufficiente? No,inaccessibile.

8 FAO, State of food security and nutrition in the world 2017,http://www.fao.org/3/a-I7695e.pdf

9 IFAD/FAO/WFP 2011; FAO/IFAD/WFP 2015; FAO 2011,come riportato da Naomi Hossain nel suo ultimo saggio.

10 Naomi Hossain, ibidem.11 Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al II incontro mon-

diale dei Movimenti Popolari, Santa Cruz de la Sierra (Bo-livia) 9 luglio 2015.

12 Olivier De Schutter, ibidem.

6. Le esperienze e le proposte1 Riprende quanto già avevano denunciato i vescovi d’Africa

riguardo al tentativo di convertire i Paesi più poveri in«pezzi di un meccanismo, parte di un ingranaggio gigan-tesco», Esortazione Apostolica Ecclesia in Africa, GiovanniPaolo II, 1995.

2 Hilal Elver, Interim report of the Special Rapporteur on theright to food, luglio 2017; Olivier de Shutter, Report of theSpecial Rapporteur on the right to food, The transformativepotential of the right to food, gennaio 2014.

3 Discorso di Papa Francesco durante la visita all'ufficio delleNazioni Unite a Nairobi (U.N.O.N.) per il viaggio apostolicoin Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana, novembre2015.

4 Discorso di Papa Francesco durante la visita all'ufficio delleNazioni Unite a Nairobi (U.N.O.N.) per il viaggio apostolicoin Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana, novembre2015.

5 Civil Society Mechanism for relations to the UN Commit-teeon World Food Security (CSM), Statement on Policy re-sponses to Food Crises, Famines and their Root Causes, andthe Role of Committee of Food Security, ottobre 2017.

6 Discorso di Papa Francesco durante il II incontro mondialedei movimenti popolari, Bolivia, luglio 2015.

39AFRICA | FAME DI PACE

Page 40: Fame di pace - Caritas · 2030 di «porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza ... Nel già citato rapporto sullo stato della sicurezza ali-mentare nel mondo della FAO, emerge

La questione irrisolta del “diritto al cibo” è inscindibilmente legata al tema della violenzae a modelli economici basati sulla “cultura dello scarto” che producono iniquità plane-taria.

Dall’ONU emerge un dato allarmante: la denutrizione è di nuovo in aumento. Nel 2016le persone in tale condizione sono state 815 milioni, 38 milioni in più dell’anno prece-dente. Il dato vede l’Africa sub-sahariana detenere il primato della percentuale di per-sone denutrite (22,7%) in rapporto alla sua popolazione.

Questo dossier ha l’intento di dare evidenza delle contraddizioni che continuano a se-gnare il sistema economico globale e rilanciare quanto emerso nella Campagna Unasola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro, promossa dalle Chiese di tutto ilmondo nel 2015.

Pubblicando anche testimonianze e nuovi dati rielaborati da Caritas italiana. Rimet-tendo a fuoco le cause del diritto al cibo negato e le possibili soluzioni, con un occhioparticolare all’Africa. E indicando percorsi di giustizia e di nonviolenza.

www.caritas.it

I precedenti dossier (disponibili su www.caritas.it; shortlink alla sezione: http://bit.ly/1LhsU5G):1. GRECIA: Gioventù ferita – Gennaio 20152. SIRIA: Strage di innocenti – Marzo 20153. HAITI: Se questo è un detenuto – Aprile 20154. BANGLADESH, INDIA, SRI LANKA, THAILANDIA: Lavoro dignitoso per tutti – Maggio 20155. BOSNIA ED ERZEGOVINA: Una generazione alla ricerca di pace vera – Giugno 20156. GIBUTI: Mari e muri – Giugno 20157. IRAQ: Perseguitati – Luglio 20158. REPUBBLICA DEL CONGO: «Ecologia integrale» – Settembre 20159. SERBIA E MONTENEGRO: Liberi tutti! – Ottobre 201510. AFRICA, AMERICA LATINA, ASIA: Un’alleanza tra il pianeta e l'umanità – Dicembre 201511. HAITI: Concentrato di povertà – Gennaio 201612. AFRICA SUB-SAHARIANA: Salute negata – Febbraio 201613. SIRIA: Cacciati e rifiutati – Marzo 201614. NEPAL: Tratta di esseri umani. Disumana e globale – Aprile 201615. GRECIA: Paradosso europeo – Maggio 201616. HAITI: Rimpatri forzati – Giugno 201617. ASIA: Per un’ecologia umana integrale – Settembre 201618. ARGENTINA: Il narcotraffico come una metastasi – Settembre 201619. ASIA: Diversa da chi? – Ottobre 201620. EUROPA: Generatori di risorse – Novembre 201621. AFRICA OCCIDENTALE: Divieto di accesso – Dicembre 201622. HAITI: Ripartire dalla terra – Gennaio 201723. ALGERIA: Purgatorio dimenticato – Febbraio 201724. SIRIA: Come fiori tra le macerie – Marzo 201725. NEPAL: Il terremoto dentro – Aprile 201726. Un mondo in bilico – Maggio 201727. VENEZUELA: Inascoltati – Luglio 201728. FILIPPINE: Il futuro è adesso – Settembre 201729. TERRA SANTA: All’ombra del muro – Settembre 201730. ASIA: Per un lavoro dignitoso – Ottobre 201731. KOSOVO: Minoranze da includere – Novembre 2017