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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” FACOLTÀ DI SCIENZE STATISTICHE Corso di Laurea in Scienze Statistiche ed Economiche TESI DI LAUREA IMPATTO ECONOMICO DEGLI OGM IN AGRICOLTURA RELATORE CANDIDATO Chiar.mo prof. Paolo PALAZZI Emanuele D’ALESSANDRO Anno Accademico 2000/2001 Seduta di Laurea del 24 Settembre 2001 Chiunque è autorizzato per fini informativi, di studio o didattici, a utilizzare e duplicare il presente documento, purché sia citata la fonte

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”

FACOLTÀ DI SCIENZE STATISTICHE

Corso di Laurea in Scienze Statistiche ed Economiche

TESI DI LAUREA

I M P A T T O E C O N O M I C O D E G L I O G M IN AGRICOLTURA

RELATORE CANDIDATO Chiar.mo

prof. Paolo PALAZZI Emanuele D’ALESSANDRO

Anno Accademico 2000/2001 Seduta di Laurea del 24 Settembre 2001

Chiunque è autorizzato per fini informativi, di studio o didattici, a utilizzare e duplicare il presente documento, purché sia citata la fonte

I n d i c e

Introduzione…………………………….……………………...……… I C a p i t o l o P r i m o

Il progresso biotecnologico e l’avvento delle biotecnologie

I.1. La tecnologia come motore per lo sviluppo produttivo e socioeconomico…. 1 I.2. Le biotecnologie e l’ingegneria genetica come fonte d’innovazione……….. 3 I.3. Gli Organismi Geneticamente Modificati…………..……………………….. 5 I.4. Le biotecnologie in agricoltura……………………………………………… 7 I.5. OGM: i campi di applicazione in agricoltura……...………………………… 12 I.6. Il carattere di resistenza agli insetti………………………………………….. 16 I.7. Il carattere di tolleranza agli erbicidi………………………………………... 16 I.8. La tecnologia “Terminator”…………………………………………………. 18 I.9. La biodiversità e la sicurezza alimentare……………………………………. 20 I.10. Impatto economico delle coltivazioni transgeniche: alcune considerazioni

preliminari…………………………………………………………………… 24 I.11. Vantaggi economici connessi alla coltivazione di OGM…..………………... 24 I.12. Considerazioni di carattere macroeconomico……………………………….. 25 I.13. OGM: la soluzione al problema della fame nel mondo?………………….… 30 I.14. Quali benefici per gli agricoltori?…………………………………………… 32 I.15. Quali benefici per i consumatori?…………………………………………… 35 I.16. Cenni sulle successive argomentazioni economiche………………………... 38 C a p i t o l o S e c o n d o

Il mercato agro-alimentare transgenico

II.1. Introduzione…………………………………………………………………. 39 II.2. Distribuzione geografica e socioeconomica delle coltivazioni transgeniche... 40 II.3. Le principali coltivazioni GM secondo il tipo di coltura ed il tratto

modificato…………………………………………………………………… 46 II.4. La soia transgenica…………………………………………………………... 50 II.5. Il mais transgenico…………………………………………………………... 52 II.6. Il cotone transgenico……………………………………………………….... 55 II.7. La colza transgenica…………………………………………………………. 57 II.8. Distribuzione delle colture transgeniche secondo il tratto modificato………. 60 II.9. I mercati destinatari delle produzioni agricole di origine biotecnologica…… 62 II.10. Ogm di prima e seconda generazione……………………………………….. 67 II.11. I mercati sementiero e fitofarmacologico…………………………………… 69 II.12. Benefici economici apportati dalla coltivazione di piante transgeniche in

USA e Canada……………………………………………………………….. 73 II.13. Area mondiale potenzialmente adatta alla diffusione delle colture

transgeniche…………………………………………………………………. 77

C a p i t o l o T e r z o

La competitività delle biotecnologie in agricoltura

III.1. Introduzione…………………………………………………………………. 80 III.2. Linea metodologica………………………………………………………….. 81 III.3. Le performances economiche della soia HT……..………………………….. 82 III.4. Le performances economiche del mais BT…..……………………………… 86 III.5. Le performances economiche della canola HT………..………………….…. 89 III.6. Le performances economiche del cotone transgenico….…………………… 97 III.7. La riduzione dei prodotti chimici……………………………………………. 101 III.8. Effetto delle colture Gm sugli agricoltori…………………………………… 104 III.9. Effetti di una maggiore produzione…………………………………………. 112 III.10. Osservazioni sui dati utilizzati per le comparazioni…………………...……. 117 C a p i t o l o Q u a r t o

La concorrenza nel mercato delle biotecnologie

IV.1. Introduzione…………………………………………………………………. 119 IV.2. Il mercato agro-farmaceutico e il ruolo delle multinazionali………….…….. 120 IV.3. Evoluzione degli assetti societari delle maggiori società sementiere e

fitofarmacologiche…………………………………………………………... 122 IV.4. Le operazioni di mercato delle principali società Biotech…………….…….. 127 IV.5. Le principali evidenze empiriche scaturite dalle recenti operazioni di

mercato………………………………………………………………………. 131 IV.6. Le società che operano nel mercato agro-alimentare………………………... 134 IV.7. La concentrazione nel mercato sementiero………………………………….. 136 IV.8. La concentrazione nel mercato fitofarmacologico…………………………... 140 IV.9. La concentrazione dei brevetti………………………………………………. 145 IV.10. La concentrazione nel mercato transgenico…………………………………. 150 IV.11. L’integrazione verticale ed orizzontale……………………………………… 151 IV.12. I sistemi di protezione intellettuale per le varietà vegetali e i brevetti……… 155 IV.13. Il monopolio delle biotecnologie……………………………………………. 164 IV.14. Sintesi sulla struttura del mercato transgenico……………………….……… 168 C a p i t o l o Q u i n t o

Conclusioni. Quali le opportunità economiche legate alle biotecnologie in campo agricolo?

V.1. Introduzione………………………………………………………………….. 172 V.2. L’accettazione delle biotecnologie…………………………………………... 173 V.3. La sostenibilità economica ed ambientale delle biotecnologie……………… 176 V.4. Lo sviluppo e la diffusione degli Ogm………………………………………. 178 V.5. Vantaggi e svantaggi economico-ambientali connessi alle piante

transgeniche………………………………………………………………….. 179 V.6. Il mercato delle biotecnologie……………………………………………….. 184 V.7. Il sottosviluppo e le biotecnologie…………………………………………… 187

V.8. L’ambiente come fonte di ricchezza e di diseconomie……………………… 189 V.9. L’accettazione del rischio……………………………………………………. 192 V.10. Conclusioni finali ………………….…………………….…...……………... 196 Glossario……..………………………….……………………...……… 198

Bibliografia…..………………………….……………………...……… 200

INTRODUZIONE

Le biotecnologie transgeniche applicate in agricoltura rappresentano una delle

innovazioni più importanti che negli ultimi decenni hanno interessato il settore agricolo.

I problemi posti dagli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) sono molto

ampi, e la possibilità di riassumere un fenomeno così complesso ed intercorrelato con

tante sfere delle attività umane è di difficile attuazione.

Lo studio del fenomeno, nel lavoro che seguirà, sarà finalizzato alla comprensione

e alla sintesi dello stesso, al fine di fornire al lettore un quadro esauriente che metta in

relazione gli Ogm in quanto tali con le principali variabili socioeconomiche connesse.

Innovazione, sistemi produttivi agricoli, ambiente e sottosviluppo saranno le

chiavi di lettura principali, tutte analizzate in un’ottica di lungo periodo e dominate dal

paradigma della sostenibilità nel suo concetto più ampio.

La biotecnologia transgenica nasce essenzialmente come ricerca di soluzioni volte

a risolvere i principali problemi connessi all’attività agricola, sotto un’ottica di

miglioramento produttivo ed agronomico, di qui la ricerca e la gestione appaiono essere i

punti cruciali per uno sviluppo sicuro e sostenibile di una tale innovazione.

Le necessità principali per una siffatta analisi economico-ambientale risiedono

nella comprensione del fenomeno nella sua vastità, ovvero tenendo conto non solo degli

aspetti strettamente economici, includendo, altresì, nelle argomentazioni componenti

esterne all’attività produttiva, influenzate dal fenomeno in maniera diretta, come, ad

esempio, le normative e le regolamentazioni sulla diffusione e lo sfruttamento

commerciale dei prodotti transgenici, connessi ai diritti di protezione intellettuale.

Le normative sul rilascio ambientale degli Ogm, le regolamentazioni sui brevetti e

le protezioni commerciali giocano un ruolo essenziale nel definire le prospettive future

dell’innovazione biotecnologica, determinandone il possibile scenario futuro e gli effetti

sulla realtà socioeconomica mondiale.

L’intento finale è quello di fornire argomentazioni ed analisi tali da inquadrare il

fenomeno biotecnologico in un’ottica di analisi costi-benefici virtuale, visto che

��

attualmente non si possiedono stime precise sui costi connessi a tale innovazione

tecnologica.

La determinazione della convenienza economica, dati i possibili costi in termini

ambientali e di sviluppo sostenibile, è basata su considerazioni tratte dai recenti studi sui

benefici produttivi e sugli effetti ambientali degli Ogm, oltre che sulle variabili sociali

connesse, con una particolare attenzione a fenomeni quali il sottosviluppo, la

malnutrizione, l’accesso alle risorse e la salvaguardia della biodiversità, quest’ultima

concepita in termini di risorsa necessaria ed imprescindibile per una valutazione sullo

sviluppo ambientale ed economico di lungo periodo.

Un’attenta analisi sarà rivolta alla considerazione degli effetti economici, sociali

ed ambientali, che si potranno verificare nei Paesi in Via di Sviluppo, intesi, e proposti

dall’industria Biotech, come i possibili principali beneficiari del progresso biotecnologico,

non escludendo allo stesso tempo l’analisi degli effetti che si potranno avere nei Paesi

Industrializzati. L’analisi dell’impatto sanitario degli Ogm sarà trascurato o trattato al

minimo informativo, in quanto allo stato attuale non esistono strumenti per una tale

verifica: infatti, non è possibile definire, con le conoscenze attuali, gli effetti che tali

organismi potranno avere sulla salute umana e sull’ecosistema in generale.

Il testo è stato strutturato in cinque capitoli, ognuno dei quali dedicato ad un

particolare aspetto economico, all’interno dei quali vi sono continui richiami e commenti

agli effetti sulle variabili socioeconomiche ed ambientali in termini di sostenibilità.

Il primo capitolo è di tipo introduttivo ed è rivolto alla descrizione delle

biotecnologie transgeniche attraverso definizioni e spiegazioni scientifiche, ponendo

attenzione ai temi più rilevanti di ordine sociale, economico, biologico ed ambientale. Il

capitolo è orientato alla descrizione delle biotecnologie come innovazione, descrivendone

le peculiarità essenziali, fornendo argomentazioni sulle caratteristiche tecniche

dell’innovazione e sulle applicazioni concrete di impatto tecnologico e sociale:

affrontando, altresì, temi quali la fame nel mondo, il progetto “Terminator” e la

biodiversità. La parte conclusiva del capitolo fornisce delle prime valutazioni circa le

���

componenti economiche della tecnologia transgenica: vantaggi economico-produttivi,

benefici per gli agricoltori e per i consumatori.

Il capitolo secondo è dedicato interamente alla descrizione del mercato, riguardo

alla sua diffusione ed al suo sviluppo, oltre ad una ripartizione delle aree coltivate

attualmente, secondo il livello di sviluppo dei Paesi, la collocazione geografica e le

tipologie di coltivazione. Parte del capitolo fornirà argomentazioni per comprendere le

caratteristiche agro-industriali delle prime piante transgeniche: soia, mais, cotone e colza.

La ripartizione dell’area mondiale destinata al transgenico è suddivisa secondo il

prodotto e la tipologia di modificazione genetica, al fine di valutare, da un lato, i risultati

raggiunti dalla ricerca, e dall’altro per individuare le linee di tendenza della ricerca stessa,

in termini di tipologie di produzioni agricole.

Nella parte finale sono fornite informazioni circa i possibili sviluppi futuri delle

biotecnologie, come tipologia di prodotto e tecnologia utilizzata, oltre ad una prima

trattazione sulla struttura dei mercati sementiero e fitofarmacologico, insieme ad una

prima stima dei benefici finora apportati a livello economico, relativamente ai casi

statunitense e canadese.

Il capitolo terzo, che insieme al quarto costituisce il nucleo principale del lavoro,

tratta della struttura economico-produttiva connessa alla coltivazione di piante

transgeniche, al fine di definire il loro attuale livello di opportunità economica. L’analisi

delle funzioni di produzione nelle coltivazioni transgeniche e la ripartizione dei benefici

tra produttori ed agricoltori costituiscono il punto principale nella determinazione della

convenienza economica, effettuata con particolare riguardo circa gli effetti di lungo

periodo sul mercato dei beni alimentari e sugli effetti sulla redditività agricola, in

particolare nei Pvs, ponendo l’accento sulla diversa struttura dei costi tra una coltivazione

con piante convenzionali ed una con piante geneticamente modificate, oltre ad una

valutazione sulle tradizionali variabili agronomiche, come la resa per ettaro, e ad alcune

variabili di tipo ambientale, legate all’uso di prodotti chimici e all’impatto ambientale.

Il capitolo quarto analizza in dettaglio il mercato delle biotecnologie transgeniche

riguardo ai livelli di concorrenzialità e all’evoluzione dello stesso in termini di

��

integrazione, attraverso opportuni indicatori di concentrazione. Il livello di concentrazione

è messo in relazione alla sua evoluzione nel tempo e alle caratteristiche legislative e

normative inerenti, le quali giocano un ruolo essenziale nella determinazione del livello di

concorrenzialità e nella determinazione delle barriere all’accesso del mercato stesso, sia

per le nuove aziende sia per gli agricoltori, questi ultimi differenziati secondo il livello di

reddito e l’appartenenza geografica. L’analisi della struttura del mercato agricolo

transgenico è messa in relazione ai rapporti con quello tradizionale, evidenziando punti di

continuità e di correlazione che ne accentuano il livello di concentrazione.

Parte del capitolo è dedicata alla descrizione delle convenzioni sui ritrovati

vegetali e alla legislazione sui brevetti vigenti, al fine di rendere evidenti le caratteristiche

peculiari e le loro conseguenze sul mercato e sull’attività agricola in generale.

Nel capitolo conclusivo si formula una sintesi dei risultati ottenuti in quelli

precedenti: sintesi che vuol essere una valutazione della situazione attuale dello sviluppo

dei mercati e delle produzioni transgeniche in un’ottica di necessità e di sostenibilità di

lungo periodo, con particolare riguardo alle componenti ambientali, sociali ed

economiche.

Il capitolo conclusivo fornisce informazioni anche sulla situazione economica e

politica che ruotano attorno al fenomeno degli Ogm, evidenziando alcune caratteristiche

normative, legislative e politiche attuali che pongono perplessità sulla gestione del

fenomeno transgenico, poiché se da un lato le prospettive tecnologiche ed economiche

future appaiono interessanti, dall’altro la gestione e gli orientamenti metodologici di

ricerca, attuali e futuri, sembrano non essere in grado di fornire un effettivo

miglioramento (desiderato e sostenibile), a vantaggio principalmente delle produzioni,

degli operatori e delle attività produttive agricole in generale, intese come prodotti,

modificazioni genetiche attuate e tutela ambientale nell’ottica dell’attuazione del

Principio di Precauzione.

C a p i t o l o P r i m o

IL PROGRESSO TECNOLOGICO E L'AVVENTO DELLE BIOTECNOLOGIE

I.1. La tecnologia come motore per lo sviluppo produttivo e socioeconomico

La realtà in cui viviamo è il frutto di un'evoluzione che si è protratta nel corso dei

secoli. Il progresso tecnologico è stato senz'altro uno dei fattori che maggiormente ha

influenzato il corso della storia e la vita degli esseri umani: le scoperte e le invenzioni

hanno, nel corso del tempo, influenzato la vita quotidiana sia dal punto di vista sociale che

economico. La continua ricerca dell'innovazione tecnologica può essere comunemente

considerata come la ricerca di soluzioni ai problemi che si pongono quotidianamente di

fronte alle persone, in campo sia sociale sia produttivo.

Secondo alcune recenti ricerche si stima, utilizzando la cosiddetta "contabilità

della crescita", che il progresso tecnico abbia contribuito almeno per il 30% alla crescita

del PIL reale statunitense nel periodo 1948-1990, altre fonti vi attribuiscono un contributo

nei sistemi produttivi che arriva a superare il 50% (Nomisma, 1999).

L'importanza che viene attribuita al progresso tecnologico nello sviluppo

socioeconomico può certamente essere messa in discussione da un punto di vista

quantitativo, ma non è possibile ignorare quali benefici abbia apportato la scienza e la

tecnologia al vivere quotidiano. Grazie al progresso della tecnica si è potuta migliorare la

vita degli uomini abbassando nel giro di pochi decenni la mortalità, arrivando ad un

traguardo biologico prima d'ora inimmaginabile.

Lo sviluppo delle scienze è semplicemente la risposta alle domande e alle richieste

che la società nel suo insieme formula, anche se nella storia il progresso spesso è stato

visto come un nemico, come un qualcosa che avrebbe potuto metter fine all'esistenza

dell'uomo stesso. Queste paure mostrano come gli uomini, di fronte alla soluzione dei

problemi del loro vivere quotidiano, dimentichino che sono stati essi stessi a formulare le

domande, anche se in modo indiretto. Nei confronti della scienza e delle innovazioni la

società si è sempre divisa in due opposte fazioni, senza considerare l'esistenza di una zona

intermedia che si pone in modo critico, e spesso più produttivo rispetto a posizioni troppo

estremistiche di chi è aprioristicamente pro o contro un'innovazione. Nella storia si è

sempre assistiti a scontri tra posizioni a favore e altre che spesso hanno il sapore di accuse

"torquemadaiche" per una paura di cui non si conosce neanche la ragion d'essere.

La scienza e il progresso nel corso dei secoli hanno sempre costretto gli uomini a

cambiamenti negli stili di vita che, di fatto, nella maggior parte dei casi, hanno contribuito

ad un aumento del benessere: gli sviluppi della tecnologia, della medicina, dei processi

produttivi agricoli, industriali e dell'informazione, hanno permesso all'uomo di meglio

soddisfare i propri bisogni fisici e sociali.

Nel corso del XX Secolo si è assistiti ad uno sviluppo economico e sociale mai

prima verificatosi, e gli studi, per comprendere come ciò sia stato realizzabile, mostrano

come esistano all'interno dei sistemi produttivi stimoli ad innovazioni radicali ed

incrementali, seguendo un percorso che a volte ha un carattere di discontinuità ed altre di

continuità rispetto alla situazione precedente.

Nella teoria economica shumpeteriana sono proprio le innovazioni che generano il

progresso economico e lo sviluppo in generale; è proprio la ricerca imprenditoriale che

porta avanti lo sviluppo socioeconomico nel suo insieme, una ricerca spinta

essenzialmente dall'esigenza di trovare fonti di profitto in nuovo mercato, o

semplicemente dettata dalla possibilità di migliorare il processo di produzione esistente

diminuendo i costi, fissi e variabili, o rinnovandolo in parte o radicalmente, ma il tutto

determinato nei tempi e nei modi da componenti casuali, quali la scoperta di una legge

scientifica o di un nuovo materiale per produrre, ed è proprio questa componente casuale

che rende lo sviluppo non lineare e dunque ciclico.

Le caratteristiche delle innovazioni, secondo le leggi della «teoria

evoluzionistica», sono da ricercarsi nell'assunto che quelle radicali avvengono per puro

volere della casualità e al loro interno contengono i presupposti necessari per delle

innovazioni incrementali successive, che nel lungo periodo finiscono per dare un

contributo maggiore rispetto all’innovazione radicale originaria. Nel contesto odierno,

caratterizzato dalla competitività globale, i processi innovativi seguono due direttrici di

processi concorrenziali nei quali il concetto di innovazione ha ricoperto un ruolo ben

definito e molto importante. Nella prima direttrice il processo competitivo può essere

caratterizzato dalla ricerca di un brevetto, dove solamente chi arriva per primo guadagna

profitti tramite un potere monopolistico e temporaneo allo stesso tempo, affinché nei casi

in cui le economie di scala nel processo di ricerca sono ridotte ed il brevetto ha una

scadenza, nuovi innovatori possano entrare in competizione con i primi e generare un

rimescolamento continuo nella leadership nell'industria; mentre nella seconda rientra il

caso in cui l'innovazione assume la forma di accumulazione creatrice, ovvero

l'innovazione nasce da un processo cumulativo di apprendimento fornendo all'innovatore

la possibilità di continuare a migliorare nel tempo, creandosi all'interno dell'industria una

competenza specifica di difficile competizione. Nel secondo caso, l'industria nello

specifico settore sarà caratterizzato da un oligopolio, in cui pochi grandi innovatori

mantengono la loro leadership fino quando non vi si ponga contro un nuovo soggetto con

una nuova innovazione radicale.

Ciò che è stato illustrato precedentemente mostra da un lato l'importanza

dell'innovazione e del processo tecnologico nello sviluppo socioeconomico e, dall'altro,

come il processo innovatore può, secondo le proprie caratteristiche originarie, generare

effetti diversi sul mercato.

L'effetto che può avere l'innovazione sul mercato è stato ricordato per meglio

comprendere come debbano essere presi in considerazione le argomentazioni che di

seguito saranno fatte sulla scia della nuova spinta innovativa che le moderne tecniche di

ingegneria genetica applicata alla biotecnologia stanno apportando al mercato agro-

alimentare mondiale ed alla struttura del relativo mercato.

I.2. Le biotecnologie e l'ingegneria genetica come fonte d'innovazione

Nel contesto precedentemente descritto ben s'inserisce l'attuale sviluppo delle

biotecnologie e l'applicazione dell'ingegneria genetica per la risoluzione di molteplici

problemi. Le biotecnologie possono essere comunemente accettate come un'innovazione

di primaria importanza per lo sviluppo socioeconomico mondiale. L'attribuzione

dell'aggettivo primario all'innovazione biotecnologica è riferita non solo al grado

d'importanza, ma si riferisce ad un contesto più ampio: il significato dell'aggettivo

primario risiede nella constatazione che le biotecnologie non sono un'innovazione a sé

stante, marginale, ma al loro interno hanno la capacità di generare forze che fanno sentire

i propri effetti in molti ambiti scientifici, forze che creano le cosiddette innovazioni

"secondarie" o incrementali che aprono le frontiere ad un nuovo modo di comprendere e

dominare la natura e gli eventi che ci circondano1.

Le recenti scoperte nell'ambito dell'ingegneria genetica hanno tracciato un

possibile percorso per una nuova rivoluzione sia nel campo medico sia nel campo

produttivo: le principali industrie che operano in questo nuovo settore sono

principalmente le "vecchie" multinazionali farmaceutiche che, difatti, hanno avviato al

loro interno delle vere e proprie rivoluzioni sia nel campo organizzativo sia nell'indirizzo

di ricerca.

Considerando l'intero mercato farmaceutico mondiale, è possibile notare come si

siano moltiplicati gli studi e le ricerche per decifrare la struttura dei geni e del DNA, al

fine di capire come curare una malattia o eliminare un "difetto" di un organismo.

Parallelamente a questa nuova impostazione della ricerca medica, è possibile notare come

quest'ultima abbia influenzato notevolmente l’evoluzione degli assetti societari e la stessa

struttura organizzativa dell'industria farmaceutica.

Le caratteristiche del nuovo assetto industriale sono influenzate da alcuni fattori

importanti, che in un certo qual modo ne determinano struttura, composizione e strategia

di mercato da adottare.

La "nuova industria" è caratterizzata e fortemente basata sulla scienza, i cui

progressi sono determinati univocamente dall'evoluzione della ricerca. La caratteristica di

un'industria, di essere basata esclusivamente sulla ricerca e sui suoi risultati, fa sì che la

possibilità d'accesso ad essa, da parte di nuove società, sia limitata dal potenziale

d'investimento, che nello specifico settore delle "biotecnologie genetiche" è

incredibilmente alto. L'alta spesa in R&S nelle biotecnologie dà vita ad un oligopolio

composto da società di grandi dimensioni capaci di ottenere fonti di finanziamento privato

e pubblico con relativa facilità: in tale contesto la capacità ad investire ed ottenere

finanziamenti rappresenta un limite spesso invalicabile per chi abbia intenzione di entrare

e competere nel settore. L'industria biotecnologica appare impenetrabile dall'esterno e le

poche nuove società che vi sono entrate si sono trovate dinanzi un gruppo di società in

competizione tra loro, ma che hanno nel tempo stabilito un rapporto di collaborazione per

disporre di competenze e attività differenziate di cui nessuno disponeva autonomamente

1 Le biotecnologie e l'ingegneria genetica non possono essere considerate a sé: gli effetti "collaterali" sprigionano energie

in tutti i campi della scienza.

in maniera completa. Non di rado le start-up sono state acquisite dalle grandi società nel

momento in cui avevano raggiunto un traguardo importante, come ad esempio la

registrazione di un brevetto su di un ritrovato biotecnologico.

La tendenza dell'industria biotecnologica è relativa alla concentrazione e si

evidenziano sempre più vantaggi da prima mossa che, con il sistema dei brevetti e dei

diritti di proprietà intellettuale, creando barriere all'entrata nel settore praticamente

insormontabili.

Quanto detto finora sull'innovazione e le sue caratteristiche, ed in particolare sullo

specifico settore delle biotecnologie, pone le basi alle argomentazioni successive che

riguarderanno le biotecnologie e la loro applicazione in agricoltura, intese come

un'innovazione primaria, sotto un’ottica essenzialmente economico-ambientale, lasciando

agli aspetti biologici, medico, religioso, etico solamente una trattazione definitoria e

marginale, al fine di ottenere uno studio che metta in risalto in maniera pragmatica le

caratteristiche economiche dell'applicazione delle moderne biotecnologie in agricoltura e

le relative conseguenze in un’ottica di sviluppo sostenibile.

I.3. Gli Organismi Geneticamente Modificati

Prima di poter dare una definizione essenziale ed esaustiva degli OGM è

prioritario specificare il significato e la differenza tra biotecnologia e Organismo

Geneticamente Modificato: quest'ultimo è figlio della biotecnologia, ovvero

dell'applicazione di tecniche biologiche, come l'incrocio o la selezione delle specie, atte a

modificare le caratteristiche degli organismi viventi, piante, batteri, animali; dunque gli

Ogm appartengono ad una particolare branca della biotecnologia che sfrutta le

conoscenze dell'ingegneria genetica per intervenire direttamente sul patrimonio genetico

degli organismi e non più solamente sul fenotipo2, attraverso il tradizionale incrocio

vegetale-vegetale.

Dalla sua origine, l'uomo ha sempre cercato di intervenire sugli animali e sulle

piante, attraverso incroci e selezioni, al fine ottenere caratteristiche fisiche e nutrizionali

migliori, creando in questo modo quell'immensa varietà di specie che a tutt’oggi

conosciamo e che viene definita biodiversità. Il processo di selezione, nel tempo, è

2 Si definisce fenotipo il complesso delle caratteristiche esteriori di ogni organismo, che dipende dal suo particolare

corredo genetico.

sempre avvenuto in modo pressoché naturale attraverso la riproduzione sessuale o

l'incrocio tra piante, mentre oggi le scoperte sul DNA e le ricerche effettuate sulla

"codifica" dei geni permettono all'uomo di intervenire alla base degli esseri viventi,

ovvero sul "patrimonio genetico".

Da quanto detto in precedenza è possibile distinguere il significato di

biotecnologia, intesa in senso generale, e OGM, intesa come caso particolare di

biotecnologia.

Le tecniche di modifica di un genoma3 sono nate negli anni settanta ad opera di

due scienziati, Watson e Crick, che per primi hanno descritto con precisione la struttura

del DNA, aprendo le frontiere alla ricerca su come possa essere modificata la "vita".

Volendo fare un esempio, per meglio rendere comprensibile l'entità della scoperta, è

possibile paragonarla alla scoperta della Stele di Rosetta che ha permesso agli archeologi

di comprendere e tradurre gli antichi geroglifici egiziani: infatti, la scoperta di questi due

scienziati ha posto le basi alla ricerca sulla comprensione del "funzionamento degli esseri

viventi".

La sigla OGM racchiude in sé il suo significato, modifica di un organismo

attraverso la manipolazione genetica. Le tecniche del DNA ricombinante sono state

possibili grazie alla scoperta degli enzimi di restrizione4 che hanno permesso un moderno

"taglia ed incolla" a livello molecolare al fine di aggiungere o eliminare caratteristiche

agli esseri viventi per diversi motivi che possono essere sia medici, sia produttivi (si pensi

al miglioramento nutrizionale o alla resistenza alle malattie sia nell'uomo sia negli altri

esseri).

L'applicazione dell'ingegneria genetica agli esseri viventi, siano essi batteri,

vegetali o animali, ha permesso di identificare sequenze del DNA con date proprietà, al

fine di "tagliarle" per eliminarle dal corredo genetico o per aggiungerle ad un altro

organismo per cui si richieda una tale proprietà.

Una volta isolata una "caratteristica" da un organismo è possibile, attraverso le

tecniche di ingegneria genetica, inserirla in un vettore molecolare, il plasmide, che può,

secondo le caratteristiche della ricerca e della volontà del ricercatore, o clonarla, e cioè

3 Si definisce genoma il corredo genetico di un organismo vivente, ovvero il DNA nel suo complesso 4 Un enzima è una proteina che interviene in una reazione chimica accelerandola rispetto al normale, o contribuendo a

trasformare un composto di partenza in uno finale. Gli enzimi di restrizione sono particolari proteine che identificano una sequenza bersaglio sul DNA e si legano a loro per tagliare in due la doppia elica che forma il DNA.

moltiplicare il DNA inserito, o esprimerla, quando permettono la sintesi di proteine, a

partire dai geni presenti nel vettore. Tra i vettori molecolari più importanti è bene

ricordare l'Agrobacterium tumefaciens, ovvero il plasmide utilizzato per clonare e

trasferire geni alle cellule vegetali.

Gli studi d'ingegneria genetica condotti negli ultimi vent’anni sono stati indirizzati

verso la codifica dei genomi degli organismi viventi per comprendere quali fossero i geni

portatori di certi "difetti ereditari" e creare, a partire da quelli esistenti in natura, nuovi

genotipi "migliorati artificialmente": a titolo di esempio si riporta il caso della pecora

Dolly che rappresenta l'estrema realtà raggiungibile attualmente dalla scienza, ovvero la

moltiplicazione (clonazione) in laboratorio di animali a partire da un esemplare unico.

La possibilità di intervenire sul corredo genetico pone la scienza di fronte ad un

nuovo modo di comprendere e modificare la natura circostante, per meglio soddisfare i

bisogni individuali sia di salute sia di miglioramento delle strutture produttive.

I.4. Le biotecnologie in agricoltura

L'applicazione delle biotecnologie in agricoltura rappresenta, nella ricerca

bioingegneristica, il settore più importante sia per le polemiche ecologiche, sociali ed

economiche che suscitano, sia perché le piante geneticamente modificate rappresentano il

98.6% degli OGM in circolazione (Serra, 2000). Le piante geneticamente modificate in

laboratorio sono moltissime (soia, mais, barbabietola, colza, pomodori, patate, cotone,

banane, fragole, uva, melanzane, ecc.), ma attualmente solo poche tra loro sono coltivate

su superfici estese, tra queste le più importanti dal punto di vista sperimentale, sono

sicuramente la soia, il mais, la colza, il cotone ed il riso.

La soia ed il mais, in particolar modo, sono le piante che più tra le altre sono state

sottoposte alle sperimentazioni (ovvero sono quelle che hanno subito più modificazioni

dando vita a molteplici varanti geniche diverse) e sono quelle che più hanno subito

controlli e verifiche, tant'è che alcuni le considerano appartenenti ad un piccolo gruppo di

OGM considerati sicuri (Serra, 2000).

Le prime piante geneticamente modificate sono state immesse nel mercato nel

1996 dalla Monsanto S.p.A. nell'America Settentrionale e gli agricoltori hanno avuto

l'opportunità di utilizzare tre nuovi prodotti: le patate NewLeaf, il cotone Bollgard, in

grado di autoproteggersi dagli insetti e la soia Roundup Ready, tollerante al diserbante

Roundup, prodotto dalla stessa Monsanto S.p.A. (Monsanto S.p.A., 1999).

La tabella 1, elaborata dall'Istituto Sperimentale di Cerealicoltura, riassume il

percorso evolutivo delle piante transgeniche fino alla prima commercializzazione in USA.

La continua espansione delle colture transgeniche nel mondo ha, negli ultimi anni,

sollevato innumerevoli quesiti circa la loro utilità e i rischi connessi alla loro produzione.

Nel contesto odierno i dibattiti più diffusi, sulle conseguenze economiche

connesse alla produzione e alla commercializzazione degli OGM, riguardano i problemi

sull'etichettatura, e quindi di trasparenza nei confronti dei consumatori, sulle

modificazioni del mercato agro-alimentare, sulla reale produttività e convenienza

economica, ed in particolare sulla loro efficacia nel risolvere il problema della fame nel

mondo, tanto pubblicizzato dalla società del settore.

Attualmente nel mondo esiste una gran varietà di prodotti geneticamente

modificati e si ha a disposizione una diversificazione degli stessi secondo la tecnologia

utilizzata e le caratteristiche genetiche che, nel complesso, rendono il prodotto adattabile

ad ogni esigenza agricola e ad ogni situazione ambientale sia del terreno da coltivare, sia

dell'ambiente circostante (flora e fauna locale). A livello mondiale, a tutto il 1998,

esistono ben 56 prodotti transgenici approvati in almeno un paese (Tab. 2) e nei soli USA

la lista dei prodotti autorizzati alla coltivazione ne comprende circa 50 (James, 1998).

La tabella 2 mette in rilievo alcune caratteristiche dei prodotti geneticamente

modificati autorizzati: è da rilevare che alcune caratteristiche geniche introdotte nelle

piante sono molto frequenti, il gene BT5 o le sue varianti (resistenza agli insetti) e la

tolleranza ai diserbanti non selettivi quali il glifosato e il glufosinato6.

Nel corso degli ultimi anni le "Life's Industrys" (così vengono definite tutte le

industrie appartenenti al settore delle biotecnologie applicate) hanno attirato l'attenzione

dell'opinione pubblica e quella dei governati circa i risultati che si potranno ottenere in

futuro con queste nuove tecnologie e i rischi connessi.

Le "Life's Industrys" sostengono che la sostenibilità è alla base della loro ricerca e

lo sviluppo delle biotecnologie e la loro applicazione in agricoltura, nel tempo, mostrerà i

5 Il gene BT, estratto dal Bacillus Thuringensis, permette alle piante di autoprodurre una sostanza tossica per le larve

degli insetti che si nutrono della pianta. 6 Il glufosinato e il glifosato sono due erbicidi non selettivi, ovvero sono validi per qualsiasi tipo di erba infestante, che

permettono la completa disinfestazione dei campi con un unico prodotto.

Tab. 1 - Storia delle piante transgeniche

1973

PRIMA APPLICAZIONE DELLA TRANSGENESI AD UN BATTERIO

MODELLO: ESCHERICHIA COLI.

1974 NASCITA DELL'INGEGNERIA GENETICA CON L'APPLICAZIONE

DELLE PRIME TECNICHE DI CLONAZIONE DI GENI.

1983 RICERCATORI DELL'UNIVERSITA' DI GAND (BELGIO)

PRODUCONO LA PRIMA PIANTA TRANSGENICA: TABACCO

RESISTENTE ALL'ANTIBIOTICO KANAMICINA.

1986 PRIME SPERIMENTAZIONI IN PIENO CAMPO CON PIANTE

TRANSGENICHE: PIANTE DI TABACCO TOLLERANTI A

ERBICIDI NON SELETTIVI.

1987 PRIMA PIANTA TRANSGENICA RESISTENTE AGLI INSETTI:

TABACCO CHE PRODUCE LA TOSSINA INSETTICIDA DEL

BATTERIO BACILLUS THURINGIENSIS.

1990 INIZIO NEGLI USA DELLE SPERIMENTAZIONI IN PIENO CAMPO

CON PIANTE TRANSGENICHE.

1993 INIZIO DELLE SPERIMENTAZIONI IN PIENO CAMPO CON

PIANTE TRANSGENICHE IN ITALIA.

1994 COMMERCIALIZZAZIONE IN USA DEL PRIMO PRODOTTO

VEGETALE TRANSGENICO: IL POMODORO « FLAVR SAVR» A

MARCESCENZA RITARDATA DELLA SOCIETA' CALGENE.

AUTORIZZAZIONE ALL'INTRODUZIONE NEL MERCATO

COMUNITARIO DELLA PRIMA PIANTA TRANSGENICA: IL

TABACCO RESISTENTE AL BROMOXYNIL.

Fonte: Istituto Sperimentale di Cerealicoltura (ISC)

Tab. 2 - Stato dell'approvazione delle colture transgeniche a tutto il 1998:

56 prodotti approvati in almeno un paese

Società/Paese Coltura transgenica

AgrEvo

Mais tollerante il glufosinato

Colza tollerante il glufosinato

Soia tollerante il glufosinato

Barbabietola tollerante il glufosinato

Mais tollerante il glufosinato e resistente agli insetti

Agritope, Inc. Pomodoro a ritardata marcescenza

Asgrow Seed Co.

Zucca resistente al virus WMVZ

Zucca resistente al virus ZYMV

Zucca resistente al virus CMV

Basf Mais tollerante il sethoxydim

Bejo-Baden Cicoria maschiosterile

Calgene Inc.

Pomodoro a ritardata marcescenza

Cotone tollerante il bromoxynil

Colza ricca di acido laurilico

Cotone resistente agli insetti e tollerante il glufosinato

Cina

Tabacco resistente ai virus

Pomodoro resistente ai virus

Mais BT

Cornell U./U. of Hawaii Papaia resistente ai virus

DeKalb Genetics Corp.

Mais resistente agli insetti

Mais tollerante il glufosinato

Mais resistente agli insetti e tollerante il glufosinato

DNA Plant Technology Pomodoro a ritardata marcescenza

DuPont Cotone tollerante la sulfonilurea

Soia a modificata composizione

Florigene Garofano a lunga longevità nel vaso

Garofano con colore dei fiori modificati

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Monsanto Co.

Soia tollerante il glifosato

Pomodoro a ritardata marcescenza

Pomodoro resistente agli insetti

Cotone resistente agli insetti

Cotone tollerante il glifosato

Cotone resistente agli insetti e tollerante il glifosato

Mais resistente agli insetti

Colza tollerante il glifosato

Mais resistente agli insetti e tollerante il glifosato

Barbabietola tollerante il glifosato

Pomodoro resistente agli insetti e al PLRV

Mais tollerante il glifosato

Mycogen Mais resistente agli insetti

Novartis Seeds

Mais resistente agli insetti

Mais dolce resistente agli insetti e tollerante il glufosinato

Mais resistente agli insetti e tollerante il glufosinato

Pioneer Hi-Bred Int. Mais maschiosterile

Plant Genetic System

Olio di semi di rape ibride tolleranti il glufosinato

Olio di semi di rape tolleranti il glufosinato e

maschiosterili

Olio di semi di rape tolleranti il glufosinato e restauratore

di fertilità

Mais tollerante il glufosinato

Mais tollerante il glufosinato e maschiosterile

Mais tollerante il glufosinato e restauratore di fertilità

Rhône-Poulenc Colza tollerante il bromoxynil

Seita Tabacco tollerante il bromoxynil

Seminis Vegetable Seeds Zucchino resistente al virus ZW20

Zucchino resistente al virus CZW3

Univ. of Saskatchewan Lino tollerante la sulfonilurea

Zeneca/Petoseed Pomodoro a ritardata marcescenza

Fonte: James (1998)

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propri frutti, apportando un'espansione delle potenzialità (qualitative e quantitative) dei

prodotti agricoli attraverso l'introduzione di nuove caratteristiche nelle piante, grazie ad

un miglioramento della conoscenza della struttura genica delle piante.

Una delle società leader nel settore dell'applicazione delle biotecnologie in

agricoltura, la Monsanto, afferma che uno dei punti chiave per ottenere uno sviluppo

sostenibile consiste nella sostituzione di materiali ed energia con l'informazione presente

nelle piante.

L'applicazione delle biotecnologie, sempre secondo le società del settore,

permetterà di ridurre l'uso dei prodotti chimici come i diserbanti ed allo stesso tempo

migliorerà la resa dei campi a favore dei redditi dei coltivatori; inoltre in un prossimo

futuro, assicurano, le biotecnologie forniranno i mezzi necessari per ridurre l'impiego di

materie prime e di energia, producendo altresì prodotti migliori sia da un punto di vista

quantitativo, nel senso della resa per ettaro, sia qualitativo.

I promotori delle biotecnologie, in particolare le società che hanno investito in

questo settore, le presentano come sorgente di numerosi benefici per i consumatori, gli

agricoltori e l'ambiente (Bonny, 1999). L'interesse della "Life's Industry" relativa

all'agricoltura è quella di introdurre nelle piante caratteristiche, utili agli agricoltori, come

ad esempio la resistenza alla siccità, che colpisce un numero crescente di regioni nel

mondo (Bonny, 1999). Altrettanto importante oggetto di studio sono la resistenza al gelo,

che potrebbe essere ottenuta attraverso lo studio di un batterio che, a detta degli studiosi,

impedisce alle molecole d'acqua di trasformarsi in ghiaccio, e il miglioramento dei sistemi

di protezione dagli insetti, proseguendo la ricerca sul gene BT e suoi derivati.

I.5. OGM: i campi d'applicazione nell'agricoltura

Dalla scoperta dei metodi di ricombinazione del DNA, avvenuta all'incirca venti

anni fa, le tecniche atte a modificare le caratteristiche genetiche degli esseri viventi si

sono più che moltiplicate.

Agli inizi la ricerca sulla possibilità di ricombinare il DNA era basata

essenzialmente sullo studio di organismi semplici, quali i batteri e i virus.

La ricerca odierna, ormai, può senza dubbio affermare che esiste la possibilità di

modificare qualsiasi organismo vivente dal più elementare fino ad arrivare alla clonazione

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umana, e se esiste un limite esso è rappresentato dalle regolamentazioni internazionali sui

brevetti e dall'etica comune.

Nell'ambito agricolo è possibile definire una serie di indirizzi di ricerca, ognuno

dei quali orientato su di un particolare problema che quotidianamente si pone dinanzi

all'agricoltore.

Allo stesso tempo nel corso degli anni si è sviluppata un'industria delle

biotecnologie applicate in agricoltura che si propone come alternativa al tradizionale

mercato dei mezzi di produzione agricola, il tutto con l'intento di rinnovarlo e migliorarlo

attraverso la risoluzione di problemi semplici (James, 1998), ma che fino a qualche

decennio fa erano considerati irrisolvibili: basti pensare al passato ed in particolare ai

popoli nomadi che secondo le stagioni e lo stato di sfruttamento dei suoli agricoli si

spostavano continuamente proprio perché non avevano la possibilità di "sfidare" ciò che

la natura stessa imponeva loro.

Il mercato mondiale dei cibi transgenici non può essere considerato come la

"semplice vendita" di prodotti modificati, ma va rapportato con la portata

dell’innovazione biotecnologica stessa.

La produzione di OGM in agricoltura deve essere riferita non solo alla produzione

di beni di consumo finali, destinati all'uomo o agli allevamenti, ma bisogna specificare

che l'intera ricerca biotecnologica è orientata e finalizzata alla risoluzione di problemi

inerenti sia il processo produttivo in senso stretto sia il miglioramento tecnico-qualitativo

dei prodotti finali destinati al consumo, così com'è desumibile dalla tabella 3.

Nell'ambito dell'applicazione dell'ingegneria genetica in agricoltura due tecniche,

in particolare, rivestono un ruolo di rilevo: la resistenza agli insetti e la tolleranza ad

alcuni erbicidi non selettivi, tra i quali spicca il ruolo svolto dal glifosato, che è alla base

dei prodotti della Monsanto, e il glufosinato, utilizzato prevalentemente dalla Novartis e

dall’AgrEvo. Il ruolo di primaria importanza svolto da queste due tecniche è giustificato

dalla loro applicazione sul campo in termini di diffusione.

Dai dati messi a disposizione dall'International Service for the Acquisition of

Agri-biotech Applications (Isaaa), che è l'associazione cui fa riferimento la quasi totalità

delle società Biotech, è evidente come i caratteri di resistenza agli insetti e di tolleranza

agli erbicidi siano i più richiesti ed utilizzati: infatti, sul totale delle coltivazioni Gm, esse

rappresentano, stando ai dati del 1998, rispettivamente il 71% e il 28%.

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Tab. 3 - Campi di applicazione delle agro-biotecnologie vegetali

Innovazione Campo di

applicazione Tecnologia utilizzata

Complementare Tolleranza agli erbicidi

Resistenza a insetti

Resistenza a virus Di sostituzione

Resistenza a nematodi, funghi, batteri

Modificazione riproduttiva

Frutta senza semi

Colore dei fiori

Resistenza agli stress ambientali

Di processo

Agronomico

Ibridazione tra cellule somatiche

Alimento e salute animale

Diminuzione della tossicità alimentare

Aumento dei componenti nutritivi

Cibo-alimento

animale

Migliore qualità panificatoria e altre applicazioni

alimentari

Composizione degli oli vegetali

Amidi e altri polisaccaridi

Di prodotto

Qualità del

prodotto

Modificazione della maturazione dei frutti

Fonte: Nomisma (1999)

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Tab. 4 - Distribuzione delle coltivazioni transgeniche secondo i tratti

modificati (milioni di ettari)

Tratti Modificati 1997 % 1998 % Ratio

Tolleranza agli erbicidi (a) 6.9 63 19.8 71 2.9

Resistenza agli insetti (b) 4.0 36 7.7 28 1.9

Caratteri (a) e (b) <0.1 <1 0.3 1 (-.-)

Qualità <0.1 <1 <0.1 <1 (-.-)

11.0 100 27.8 100 2.5

Fonte: James (1998)

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1997 1998

Graf. 1 - Distribuzione delle coltivazioni transgeniche secondo i tratti modificati (percentuale)

QualitàCaratteri (a)e(b)Res. InsettiTol. Erbicidi

��

I.6. Il carattere di resistenza agli insetti

Le piante transgeniche che autoproducono tossine contro gli insetti sono basate sui

geni clonati del batterio BT. Le clonazioni effettuate sul BT hanno reso possibile la

produzione di più tipi di tossine, capaci di adeguarsi a qualsiasi situazione di infestazione

o meglio dire a qualsiasi insetto. L'autoproduzione di tossine da parte delle piante

permette, secondo le società produttrici, di evitare qualsiasi infestazione dannosa per la

pianta, garantendo una maggiore produzione vendibile per l'agricoltore e di conseguenza

un maggior reddito.

La tecnica si basa su concetto semplice: nel momento in cui le larve degli insetti, o

gli stessi insetti adulti, ingeriscono una qualsiasi parte della pianta essi muoiono per

l'ingestione di un insetticida presente in tutta la struttura della pianta, dalle radici alle

foglie e al fusto. Il beneficio che potrebbe apportare nel lungo periodo tale tecnica è

principalmente la diminuzione dell'uso di insetticidi sulle colture con la conseguente

riduzione dei costi di produzione.

Il mercato mondiale degli insetticidi si stima abbia un valore di 8.000 milioni di

dollari: con l'applicazione di questa tecnologia è possibile ridurre del 30% l'uso di

insetticidi, portando così il consumo di insetticidi ad un controvalore di 5.300 milioni di

dollari (Krattinger, 1997).

I benefici della riduzione dell'uso degli insetticidi sulle coltivazioni sarebbero, in

tal caso, per tutti: ambiente, coltivatori e consumatori.

Secondo le previsioni nei prossimi anni saranno a disposizione nuove tossine

alternative alle proteine BT basate su chinitasi, lecitine e inibitori delle proteasi, e saranno

migliorate le caratteristiche di resistenza ai virus.

I.7. Il carattere di tolleranza agli erbicidi

La caratteristica di tolleranza agli erbicidi riveste nel settore della ricerca genetica

un ruolo importante: infatti, uno dei principali fattori che influenza la corretta crescita

delle piante è la presenza all'interno dei campi delle erbe infestanti, che si nutrono delle

stesse sostanze delle piante.

Le malerbe limitano l'accesso alle risorse da parte della pianta sottraendole la luce

solare, l'acqua e gli elementi nutritivi presenti nel terreno (Monsanto, 1996).

Immettere in una pianta il carattere di tolleranza agli erbicidi permetterebbe da un

lato di ridurre l'uso di erbicidi, sia in quantità totale sia rispetto al numero di applicazioni,

e dall'altro permette di disinfestare il campo senza intaccare la piantagione.

In commercio esistono principalmente tre composti usati come erbicidi, cui sono

associate le relative piante a loro tolleranti: il glufosinato, il glifosato e la sulfonilurea.

L'erbicida glifosato, commercializzato dalla Monsanto sotto il nome Roundup, è

di tipo non selettivo ed assicura la protezione da oltre 100, tra le più dannose, specie

infestanti (Monsanto, 1996).

Il glifosato non è tossico e, assicurano i produttori, biodegradabile7 e non è

necessario miscelarlo con altri erbicidi. I geni introdotti nelle piante per tollerare il

glifosato permettono di proteggere efficacemente mais, soia, canna, tabacco, riso, cotone,

barbabietola ed erba medica. Varietà transgeniche approvate per la coltivazione e

resistenti al glufosinato sono disponibili per colza, mais, cotone e cicoria (Nomisma,

1999).

L'erbicida glufosinato, commercializzato dalla Novartis sotto il nome Basta,

secondo la ditta è non tossico e biodegradabile nel terreno (anche se alcuni studi recenti

affermano che per 25 giorni dopo il raccolto il terreno non è utilizzabile ed è consigliabile

recintarlo per proteggere la fauna locale per il pericolo di avvelenamento): i geni

introdotti nelle piante dalla Novartis rendono le piante, come colza, mais e soia, resistenti

a tale erbicida. Varietà transgeniche di soia, cotone e mais sono già in coltivazione

(Nomisma, 1999).

Le sulfoniluree sono erbicidi altamente selettivi e attivi a basse concentrazioni.

Piante transgeniche tolleranti le sulfoniluree, è stato dimostrato, sono tolleranti anche un

altro tipo di erbicida basato su imidazolinoni. Le colture interessate dal carattere di

tolleranza alle sulfoniluree sono state già sviluppate e coltivate: in particolare mais, colza

e grano (Nomisma, 1999).

Le possibilità di usufruire di queste nuove tecniche di coltivazione

rappresenterebbe per gli agricoltori un fattore di minor rischio nel processo produttivo, e

7 Rispetto alla biodegradabilità del prodotto, caratteristica riportata anche sulla confezione, le opinioni sono contrastanti.

Infatti, nel 1997 la magistratura statunitense, basandosi su uno studio condotto dal North West Coalition for Alternatives to Pesticides (NWCAP), ha multato per un importo di 50.000 $ la società Monsanto perché ritenne non veritiera la caratteristica di biodegradabilità del Roundup e ha costretto la società ad eliminare il riferimento sulla confezione, in particolare l’episodio riguarda il periodo di isolamento del terreno dopo il trattamento. Inoltre, alcuni studi recenti, promossi da GreenPeace, indicano per il glifosato caratteristiche cancerogene.

stando alle prospettive delle società produttrici di sementi tale minor rischio avverrà in

concomitanza ad un aumento della produttività dei terreni.

I.8. La tecnologia "Terminator"

La tecnologia Terminator, o del gene suicida, è un brevetto (U.S.A. N.5.723.765)

concesso nel marzo 1998 a Delta & Pine Land e all'U.S. Department of Agriculture

(USDA).

Il sistema Terminator si basa su tre geni che agiscono sulla capacità riproduttiva

delle piante ed il fine è rendere sterile il seme di seconda generazione. La concessione di

tale brevetto ha suscitato numerose polemiche e dibattiti che non si sono ancora esauriti:

la polemica più aspra è stata tra la Monsanto, detentrice del brevetto tramite Delta & Pine

Land, attraverso il suo portavoce Robert Shapiro da un lato e Gordon Conway, presidente

della Fondazione Rockfeller, la FAO (Food and Agriculture Organization), e la RAFI

(Rural Advancement Foundation International) dall'altro, che si oppongono a tale brevetto

per le implicazioni economiche che ne potrebbero derivare.

Una considerazione che è possibile fare sugli enti che hanno criticato questa nuova

tecnologia: infatti, tra gli enti oppositori non figurano solo quelli che lo sono stati da

sempre, ma figurano anche enti come la FAO che ha, insieme all'USDA e l'UE, attraverso

il "principio di sostanziale equivalenza", autorizzato la commercializzazione degli OGM

nel mondo.

La RAFI afferma che «questa tecnologia, ingegneria genetica delle piante per

produrre sementi suicide, è universalmente considerata l'applicazione più moralmente

offensiva dell'agricoltura biotecnologica poiché più di 1.4 miliardi di persone dipendono

da sementi agricole conservate».

In effetti, la tecnologia Terminator mette gli agricoltori in condizione di dover

riacquistare ogni anno sementi nuove per cominciare un nuovo ciclo produttivo perché,

contrariamente a quanto accade da sempre, le sementi ricavate dal raccolto dell'anno

precedente sono sterili.

Nonostante le rassicurazioni fatte dalla Monsanto, che affermava di voler

abbandonare la ricerca sul "Terminator", la polemica continua e, da più paesi, come

Uganda, Ghana, Panama e India arrivano proteste ufficiali e attuazioni di misure

restrittive all'importazione di tali sementi che, di fatto, sono proibite (AceA, 2000).

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La FAO, nel marzo 2000, ha espresso, in un documento ufficiale, la propria

ostilità verso la ricerca biotecnologica al fine di produrre semi sterili ritenendo che tale

ricerca non sia destinata a debellare la fame nel mondo, ma che sia solo destinata a

controllare la produzione e la commercializzazione del cibo nel mercato internazionale.

La Fao nello stesso documento afferma, altresì, che la responsabilità dei possibili

accadimenti successivi alla commercializzazione del "Terminator" sia nelle mani dei

Governanti dei singoli Stati, ed in tal senso li esorta a concentrare la propria attenzione su

tali problematiche.

Il motivo che ha spinto la ricerca a rendere sterili i semi è ancora ignoto e le stesse

società si rifiutano di dare una motivazione che ne giustifichi la necessità; certo è che le

conseguenze dell'applicazione di questa nuova tecnologia pone seri problemi, soprattutto

ai Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati, che sono, secondo le società Biotech, i

principali destinatari delle nuove tecniche di ingegneria genetica per risolvere i loro

problemi di malnutrizione e inefficiente produttività agricola.

La politica di commercializzazione dei semi "Terminator" si prefigura, in tal

modo, come uno strumento atto al controllo della produzione agricola mondiale e se,

come auspicato dalle società Biotech, tale nuovo modo di produrre debba estendersi

principalmente ai Paesi sottosviluppati per rendere disponibile alle proprie popolazioni, in

continua crescita demografica, sempre più beni alimentari, si potrebbe ipotizzare una

condizione di sudditanza, o, come preferiscono gli ambientalisti più accaniti una

situazione di neocolonialismo, di tali Paesi nei confronti delle multinazionali che

controllano il mercato internazionale delle biotecnologie.

La tecnologia "Terminator", a nostro avviso, non può essere compresa tra le nuove

biotecnologie poiché essa non risolve nessun problema né nutritivo-alimentare né

produttivo: tale tecnologia tende, esclusivamente, a legare i profitti delle società

produttrici di semi, e di biotecnologie in generale, ai fabbisogni alimentari dei Paesi,

soprattutto non industrialmente avanzati che crescono demograficamente in misura

esponenziale.

In quest'ottica è certa la perdita di sovranità alimentare mondiale, con la

conseguente dipendenza alimentare, e quindi di sopravvivenza, di intere comunità dalle

decisioni dei consigli di amministrazione delle società produttrici. La tecnologia dei semi

sterili può essere comunemente considerata un esempio di agribusiness, che, nell'ipotesi

di scarso livello di concorrenzialità nel mercato delle sementi, potrebbe rappresentare un

vero e proprio controllo del mercato agro-alimentare mondiale.

L'incidenza di una simile situazione di controllo all'accesso dei beni primari, vale

a dire del cibo, su tutti i Paesi, ed in particolare quelli non autosufficienti a livello

alimentare, sarebbe quella di mettere alcune aziende in condizione di poter controllare la

possibilità di approvvigionamento e di produzione alimentare interna ai Paesi, condizione

questa che consentirebbe di esercitare un'influenza indiretta anche sulla crescita e lo

sviluppo economico.

I.9. La biodiversità e la sicurezza alimentare

Si definisce biodiversità vegetale, o diversità genetica, l'intero patrimonio genetico

di tutte le specie coltivate in un determinato territorio, unitamente all'intera parentela

selvatica e semi-selvatica e alla flora locale in generale. L'intera comunità scientifica

sostiene che quanto maggiore è il patrimonio genetico tanto più ampia è la diversità

biologica, e quindi la possibilità di sviluppare nuove varietà vegetali (Nomisma, 1999).

Il rilascio ambientale, sia per prove sperimentali sia per la messa in coltivazione a

pieno campo, delle piante transgeniche ha diviso la comunità scientifica internazionale

circa le possibili conseguenze che queste ultime potrebbero avere sulla biodiversità.

Infatti, esiste una stretta relazione tra il rilascio di nuove varietà vegetali nell'ambiente,

frutto di esperimenti in laboratorio nel caso degli OGM, e il patrimonio genetico esistente

in un determinato territorio.

L'immissione di organismi geneticamente modificati nell'ambiente può, a detta di

molti esperti appartenenti ai settori della scienza e dell'ambiente, determinare distorsioni

irreparabili sulla fauna e flora, ed in generale su tutto il patrimonio genetico locale.

Le piante transgeniche sono portatrici di nuovi geni provenienti da altre specie

(pesci, batteri, animali, ecc.) e la loro coltivazione a pieno campo può, secondo esperti,

modificare le caratteristiche dell'ambiente interessato attraverso la soppressione di insetti

benefici all'agricoltura da un lato, e dall'altro favorire lo sviluppo di resistenze da parte

degli stessi insetti-obiettivo e malerbe-obiettivo8 (Alstad e Andow, 1999), creando a

livello ambientale condizioni critiche per l'intero ecosistema mondiale.

8 Il termine obiettivo è qui indicato come riferito all'insetto destinatario dell'insetticida o alle malerbe destinatarie

dell'erbicida.

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Il percorso seguito dallo sviluppo delle piante transgeniche, che autoproducono

insetticida o tolleranti erbicidi, è lo stesso seguito dallo sviluppo dei pesticidi negli ultimi

decenni (Alstad e Andow, 1999).

Nel corso di pochi anni l'efficacia degli insetticidi e degli erbicidi chimici

tradizionali è andata sempre più diminuendo a causa della comparsa di nuove resistenze,

messe in atto dai destinatari di tali trattamenti: dunque, se da un lato si è utilizzato finora

il modello "chimica contro infestante", oggi la moderna ingegneria genetica pone il

modello "gene contro infestante".

Entrambi i modelli proposti dalla vecchia e moderna biotecnologia permettono,

nel medio-lungo periodo, lo sviluppo di resistenze da parte degli organismi, che, di fatto,

potrebbero diventare immuni da tali trattamenti9.

Problemi connessi alla riduzione della biodiversità sono relativi anche alla

possibilità che il polline delle colture di piante transgeniche, trasportato via dal vento,

possa "inquinare" le colture e l'ambiente circostante, il tutto all'insaputa degli agricoltori

proprietari: si potrebbe avere una diffusione incontrollata degli OGM (un caso simile si è

verificato nel Maggio 2000 in Francia ad opera di una coltivazione sperimentale di colza

transgenica che ha indotto il presidente francese Chirac ad interrompere qualsiasi

sperimentazione), con la conseguenza di uno sviluppo monocolturale "non voluto" di

intere regioni, in una prospettiva diametralmente opposta al concetto di biodiversità, che è

alla base dello sviluppo ambientale sostenibile e la trasmissione orizzontale della

tolleranza agli erbicidi alle piante circostanti, malerbe comprese.

Lo sviluppo delle colture transgeniche ha effetti anche sulla biodiversità animale,

ed in particolare su quella degli invertebrati: numerosi studi affermano che l'inquinamento

da polline transgenico crea danni alle colture biologiche e tradizionali uccidendo insetti

benefici all'impollinazione, come la farfalla Monarca, e che le foglie delle piante

modificate mescolate al terreno attraverso l'aratura danneggiano la popolazione degli

invertebrati, come i nematodi, fondamentali per la fertilità e la salute dei terreni.

Le piante transgeniche resistenti ai virus possono nel tempo far innescare processi

di ricombinazione, tipici dei virus, che potrebbero portare alla comparsa di nuovi più

9 Nel corso degli anni, è stato confermato, le quantità di erbicidi e insetticidi chimici sono andate sempre più aumentando

a causa della resistenza da parte degli insetti a tali prodotti, e ciò ha portato la chimica a fornire sostanze sempre più nocive e dannose per l'ambiente, per la loro tossicità, e molte volte a danno dell'intera fauna e flora locale causando danni irreversibili.

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resistenti e più difficili da debellare, dunque le resistenze degli Ogm potrebbero

concludersi con un continuo ritorno al punto di partenza, vale a dire trovare un nuovo

gene di tolleranza per il nuovo virus.

La possibilità che gli agenti virali possano ricombinarsi all'interno delle piante

transgeniche è stata dimostrata da alcuni ricercatori, i quali affermano che la nascita di

questi nuovi virus può avvenire all'insaputa degli agricoltori, e dunque in maniera del

tutto incontrollata.

Il ricombinarsi dei virus o la presenza di geni, virali e non, "non voluti" sia nelle

piante, sia nei semi o nei prodotti derivanti, è un fatto confermato: un episodio del genere

si è verificato in Canada dove sono stati ritirati dal commercio dei semi di canola ove era

stato riscontrato un gene non previsto dalla società produttrice; nel 1989, 1580 persone, di

cui 38 ne morirono, contrassero una misteriosa malattia "la Sindrome della Mialgica

Eosinofila (EMS) ", causata molto probabilmente da un amminoacido, utilizzato come

tranquillante, della ditta giapponese Showa Denko, prodotto mediante un batterio

geneticamente modificato che ne migliorava l'efficacia rispetto ai batteri normali (Giannì

A., 1996).

Gli episodi, precedentemente riportati, sono solo una piccolissima parte di quelli

dimostrati e di quelli di cui non si è avuta ancora una risposta ben precisa, ma che in

qualche modo vengono ricondotti ai prodotti geneticamente modificati.

Le relazioni che intercorrono tra la biodiversità e l'immissione delle piante

transgeniche nell'ambiente non sono definibili in modo univoco: la possibilità che si possa

avere uno sviluppo incontrollato, o imprevedibile, degli organismi geneticamente

modificati a danno dell'ambiente o dei consumatori non sono attualmente quantificabili e

prevedibili. La ricerca sulle possibili conseguenze sulla salute umana e l'ambiente è

attualmente oggetto di studio da parte degli enti nazionali ed internazionali preposti, ma

una risposta chiara, convincente ed univoca è lungi dall'essere fornita.

Il dibattito tra gli esperti del settore biotecnologico e della medicina è ancora al

punto di partenza: infatti, il punto dal quale partire con l'investigazione e la

sperimentazione degli Ogm è ancorato, principalmente, sulla definizione scientifica

dell'applicazione dell'ingegneria genetica agli organismi.

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La definizione che dovrebbe essere chiara è se vi è diversità tra la comune

biotecnologia, basata sulla selezione delle specie tramite incrocio omogeneo10, e la

biotecnologia moderna, che sfrutta le caratteristiche genetiche di tutte specie esistenti per

introdurle in altre creando così delle nuove specie ibride.

È evidente a questo punto che tutte le rassicurazioni delle industrie

biotecnologiche sui rischi derivanti dagli Ogm non hanno alcun fondamento: quello che

viene presentato come un rischio calcolato è in realtà incalcolabile, anche perché, ad oggi,

non esistono né ricerche esaustive sull'argomento o sperimentazioni sulla non nocività,

oltre che sulle reali potenzialità, di tali prodotti, tant'è che alcuni studiosi pongono a

paragone le nuove biotecnologie ad un altro prodotto, tristemente passato alla storia, come

il DDT, che dapprima pubblicizzato come la soluzione a tutti i problemi agricoli e poi

vietato per la sua tossicità sia per l'uomo sia per l'ambiente

Alcuni portavoce dell'industria biotecnologica adottano una posizione diversa: pur

riconoscendo che gli Ogm presentano dei rischi, sostengono che essi rappresentano una

soluzione eccellente a problemi gravi, come quello della fame nel mondo, e che i vantaggi

superano notevolmente i pericoli paventati, ma come sarà in seguito dimostrato ciò non

può essere ritenuto veritiero.

L'industria si difende spesso affermando che nessun progresso è privo di rischi: in

fondo, anche i moderni mezzi di trasporto portano con sé la possibilità di incidenti, ma

nessuno sarebbe disposto per questo a rinunciare a treni, automobili, aerei (Dell'Aversano,

2000). Una differenza, però, vi è: i mezzi di trasporto se usati correttamente non

presentano rischi mortali ed inoltre i loro rischi sono percettibili e visibili da chiunque,

mentre la possibilità d'inquinamento genetico o le malattie genetiche ipoteticamente

derivanti dai cibi transgenici no, essi sono invisibili e una possibile perdita di controllo

non può, anche nella sua tragicità, essere paragonata neanche al più grave disastro aereo.

E' evidente che, tenendo conto dei pareri espressi sulle possibili conseguenze della

commercializzazione dei prodotti transgenici, il punto di riflessione deve essere fissato in

uno schema ove si possano mettere a confronto i costi e i benefici connessi: proprio

un'attenta analisi costi-benefici potrebbe dare una soluzione al problema, un'analisi, però,

a tutt'oggi di difficile attuazione, causa la scarsa disponibilità (in taluni casi determinati

dall'impossibilità di reperimento o elaborazione) dei dati. In un prossimo capitolo si

10 Il termine omogeneo riguarda la possibilità di incrociare specie appartenenti alla stessa specie.

��

tenterà di illustrare le caratteristiche economiche di coltivazione degli OGM mettendo in

evidenza le conseguenze sui consumatori e sugli agricoltori, al fine di dare un quadro

esaustivo sull'effettiva convenienza e necessità di tali nuove coltivazioni.

I.10. Impatto economico delle coltivazioni transgeniche: alcune considerazioni

preliminari

Le argomentazioni fatte in precedenza, anche se sintetiche rispetto alle

problematiche a carattere biologico o agronomico, pongono le basi per le successive

riflessioni ed analisi che verteranno esclusivamente sulle conseguenze economiche, nel

sistema agro-alimentare mondiale, derivanti dalla commercializzazione dei prodotti

transgenici. Spesso si tende a identificare il problema OGM come di carattere

esclusivamente biologico, senza tener conto dei riflessi e le conseguenze che questi hanno

sia a livello microeconomico sia macroeconomico.

Infatti, l'attuale e futura commercializzazione dei prodotti geneticamente

modificati non si manifesta solo come semplice introduzione di nuovi prodotti sul

mercato agricolo, ma costituisce un'innovazione di primaria importanza che modifica il

mercato agricolo in tutte le sue diverse componenti.

Le caratteristiche merceologiche, la metodologia di coltivazione, la struttura del

mercato stesso dei prodotti transgenici tende a modificare il preesistente mercato

tradizionale: il modello di mercato agro-alimentare mondiale esistente sarà modificato

sulla base dell'interazione tra lo sviluppo delle nuove biotecnologie e la globalizzazione.

I.11. Vantaggi economici connessi alla coltivazione degli OGM

Lo sviluppo della ricerca nel settore agro-alimentare, ed in particolare quello

relativo agli OGM, è sempre stato finalizzato alla possibilità di ridurre i costi di

produzione attraverso un aumento della produttività delle coltivazioni ed un minor uso di

agenti chimici (fertilizzanti e insetticidi).

Gli studi e le ricerche condotte dalle multinazionali, leader nel settore degli OGM,

hanno sempre anteposto il fine di migliorare la produttività dei campi di coltivazione:

infatti, la ricerca effettuata sulla possibilità di "costruire" piante resistenti agli insetti o

tolleranti agli erbicidi, che rappresentano gli indirizzi maggiormente seguiti, è

evidentemente finalizzata sia alla riduzione dei costi, ovvero la riduzione di erbicidi, che

��

in questo caso ben si coniuga anche con la salvaguardia dell'ambiente, sia all'aumento

della produttività delle colture, o meglio all'aumento della produzione vendibile.

Dalla tabella 5 è possibile verificare come, le colture di prodotti geneticamente

modificati abbiano apportato un miglioramento della redditività delle coltivazioni e una

diminuzione dei trattamenti erbicidi. L'aumento di produzione dovuta alla coltivazione di

prodotti GM c'è stato, ma in misura nettamente inferiore alle previsioni delle ditte

produttrici, le quali auspicavano un aumento in media del 15-20%, tale aumento tuttavia è

stato dovuto sia ad un aumento della produttività sia alla possibilità di utilizzare nuovi

terreni agricoli, prima inutilizzabili a causa della cattiva qualità del terreno.

Nei prossimi capitoli sarà evidenziato un particolare importantissimo sulla

produttività delle coltivazioni di OGM, vale a dire che come tutte le colture anche quelle

geneticamente modificate sono sensibili alle variazioni ambientali (clima, terreno,

umidità, e caratteristiche in generale del territorio), confutando in tal modo l'asserzione

delle società produttrici che tali prodotti apportino un aumento generalizzato della resa in

tutte le regioni del mondo e che siano più convenienti rispetto a quelli tradizionali.

Altri particolari interessanti e di rilievo, che saranno illustrati successivamente,

sono da ricondursi sia al fatto che tali colture da un punto di vista strettamente statistico,

confermato sia dal Dipartimento dell'Agricoltura (USDA) sia dal Dipartimento di Ricerca

Economica degli Stati Uniti, non hanno apportato un aumento significativo della

produzione rispetto alle colture tradizionali sia al fatto che, dal punto di vista dei costi per

ettaro, vi è stato, unitamente ad una loro riduzione non significativa, una redistribuzione

delle componenti dei costi (la diminuzione delle spese di erbicidi è stata traslata, nella

maggior parte, sul costo dei semi) a favore delle società sementiere.

I.12. Considerazioni di carattere macroeconomico

Negli ultimi anni il peso sul mercato internazionale dei prodotti transgenici è

andato sempre crescendo in modo sostenuto, con riferimento sia alle superfici coltivate sia

al fatturato dell'intera industria che utilizza le biotecnologie per lo sviluppo agricolo

(Graf. 2 e Graf. 3).

Analizzando il mercato e le aziende che lo compongono è da evidenziare come

l'applicazione delle biotecnologie richieda ingenti fonti di finanziamento e anni di ricerca,

da parte delle società detentrici dei brevetti, per ottenere dei risultati (o meglio profitti per

��

Tab. 5 – Benefici apportati dalle colture transgeniche nel 1997

COLTURA ANNO/PAESE BENEFICI

Tabacco resistente a virus 1995-1997/Cina Incremento produzione (5-7%)

Riduzione trattamenti insetticidi

Cotone BT 1996/USA

Incremento produzione (7%)

Riduzione dei trattamenti insetticidi

(da 7 a 1 max)

Riduzione costi (-150.000 lire/ha)

Mais BT 1996-1997/USA

Incremento produzione (7%)

Guadagno economico nazionale di

342 mld di lire

Soia tollerante gli erbicidi 1996/USA

Riduzione dei trattamenti erbicidi

(-10% negli USA del Nord, -40%

negli USA del Sud)

Colza tollerante gli

erbicidi 1996/Canada

Riduzione dei trattamenti erbicidi

Incremento produzione (9%)

Incremento del reddito (84.000

lire/ha)

Patata BT 1996-1997/USA

Incremento produzione (85.800

lire/ha)

Riduzione dei trattamenti con

insetticidi

Fonte: James (1997)

Fonte: nostra elaborazione su dati James (1999)

Graf. 3 - Superfice destinata alle colture transgeniche

11

27,8

39,9

0

10

20

30

40

50

60

1997 1998 1999

Milioni di ettari

Graf. 2 - Valore del mercato mondiale delle colture transgeniche

670

1600

2200

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

1997 1998 1999

Milioni di dollari U.S.A.

gli investitori): in questo caso è già evidente come rispetto al modello agricolo

tradizionale quello transgenico presenta delle barriere all'entrata, per le aziende, più alte

ed onerose.

Gli apparati organizzativi che sono dietro alle aziende multinazionali, che

attualmente dominano il mercato agro-alimentare, sono molto complessi e ramificati e

non di rado le stesse multinazionali appartengono all'industria farmaceutica o collaborano

con essa: Monsanto (che recentemente si è fusa con Pharmacia, una multinazionale

farmaceutica) e Novartis (leader mondiale nel campo farmaceutico) ne sono un esempio.

Negli ultimi dieci anni l'intera industria farmaceutica e quella biotecnologica

hanno subito profondi cambiamenti, soprattutto per quanto riguarda la struttura

dell'azionariato e delle alleanze: infatti, se da un lato il cambiamento che è ancora in atto

può essere visto come una semplice riorganizzazione tecnico-strategica in seguito agli

effetti "globalizzanti" del mercato, dall'altro è indubbio affermare che le relazioni tra

industria farmaceutica e biotecnologica sono divenute sempre più forti. In un prossimo

capitolo si cercherà di illustrare la struttura del mercato delle biotecnologie mettendo in

evidenza le alleanze e le fusioni in atto tra i principali attori nel suddetto mercato.

L'effetto che la globalizzazione ha avuto su questo nuovo connubio industriale è

stato quello di creare grandi colossi, dove la linea di demarcazione tra sperimentazione

biotecnologica per l'agricoltura e farmacologica è spesso non identificabile.

Le accuse rivolte alle grandi multinazionali biotech circa una loro posizione

dominante all'interno del mercato internazionale, prima che all'interno dei singoli Paesi, si

sono moltiplicate (solo negli U.S.A. la Fondazione sulle tendenze Economiche, presieduta

dall'economista Jeremy Rifkin, insieme alla Coalizione Nazionale delle Aziende agricole

familiari e alle più influenti associazioni dei consumatori statunitensi si sono unite nella

presentazione di oltre trenta cause antimonopolio all'Antitrust di altrettanti Stati).

Le accuse rivolte alle multinazionali non si basano semplicemente sull'ipotesi di

monopolio o oligopolio (a seconda che ci si riferisca all'intero settore biotech o ai singoli

prodotti), ma ha radici più profonde, che mirano a contrastare la strategia d'azienda

dell'industria biotecnologica in generale.

La definizione di posizione dominante per un'impresa è stata sempre riferita alla

capacità di controllo del mercato da parte di una singola o poche imprese.

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Il settore delle biotecnologie applicate all'agricoltura ha una struttura che si

discosta notevolmente da quella tradizionale, ed è proprio questa diversità che impone un

nuovo criterio (applicato anche al caso Microsoft) di identificazione di posizione

dominante da parte di un'impresa.

Le accuse di monopolio mosse dalle varie associazioni poggiano essenzialmente

sulle componenti e sulle novità del mercato transgenico: la brevettabilità dei prodotti, il

principio di "sostanziale equivalenza", il "pacchetto di coltivazione biotecnologica", la

concentrazione del mercato sementiero (in particolare quello legato alla tecnologia

Terminator), la nuova struttura dei costi di produzione.

Gli effetti, che i prodotti transgenici hanno sul sistema agro-alimentare mondiale,

non sono quindi riferibili esclusivamente alle quote di mercato spettanti alle singole

imprese o al solo grado di concorrenzialità esistente nel mercato stesso, nonostante questi

aspetti siano importanti e spesso evidenti nel settore delle biotecnologie; le moderne

biotecnologie modificano il sistema alla base.

La possibilità che solo alcune grandi multinazionali possano in futuro controllare

la disponibilità di cibo nel mercato mondiale (stando alle affermazioni delle società

secondo le quali il transgenico è il principale cibo del futuro ed in particolare nei Paesi in

Via di Sviluppo) resta un problema da affrontare, anche perché, volendo fare un paragone,

il monopolio dei sistemi operativi (ipotizzato per Microsoft) pone problemi sì per

l'economia mondiale e il libero mercato, ma nel caso delle biotecnologie si fa riferimento

alla principale necessità dell'uomo: il cibo.

La difesa delle aziende biotech si basa sull'asserzione che lo sviluppo degli Ogm

in futuro permetterà di risolvere il problema della fame nel mondo: volendo accettare

senza riserve questa possibilità, allora i paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, che più

di tutti soffrono del problema della fame, potrebbero essere, in futuro, dipendenti da un

gruppo ristretto di aziende.

Le condizioni di monopolio o di oligopolio, o più in generale di posizione

dominante, per le varie colture transgeniche non investe solo la parte relativa alla ricerca o

alla proprietà dei brevetti: infatti, le strategie messe in atto dalle aziende biotech negli

ultimi anni presuppongono la ricerca del controllo dell'intera filiera agro-alimentare

mondiale.

Le continue fusioni, e le continue alleanze e partnerships, tra le aziende hanno

permesso di creare grandi colossi industriali capaci di intervenire su tutto il processo di

produzione e distribuzione dei prodotti geneticamente modificati: ogni colosso industriale

creato, per esempio Monsanto, Novartis, Pioneer Hi-Bred, DuPont, è strutturato in modo

tale da incorporare al suo interno il settore relativo alla ricerca di nuovi prodotti, la

produzione di semi GM, la distribuzione di quest'ultimi e, grazie alle normative

internazionali sui brevetti (Trip11, Trade Intellectual Properties), controllare la produzione

su campo e indirettamente la commercializzazione di tali prodotti finali sul mercato agro-

alimentare.

Le regolamentazioni esistenti sulla produzione, commercializzazione e

brevettabilità degli Ogm sono attualmente in discussione all'ONU attraverso il Pob12

(Protocol on Biosafety), ma, al momento, ogni Stato ha una regolamentazione a sé per il

rilascio e la commercializzazione, destinata ad uso sia animale sia umano.

L'unico atto internazionale di riconoscimento degli Ogm è attualmente il

"Principio di Sostanziale Equivalenza", di cui si parlerà in un prossimo capitolo in

maniera più dettagliata, sottoscritto dagli U.S.A., dall'UE e dalla Fao che sancisce

l'equivalenza a livello merceologico tra i prodotti transgenici e quelli convenzionali.

Il principio promosso dalla Fao permette la commercializzazione degli Ogm sul

mercato internazionale al pari di quelli tradizionali, unendo così nella stessa filiera

entrambi i prodotti, evitando, in tal modo, tutti i controlli dei Ministeri competenti, i quali

dovrebbero stabilire la non nocività dei prodotti sia per l'uomo sia per gli animali.

I.13. OGM: la soluzione al problema della fame nel mondo?

Il miglioramento della capacità produttiva interessa maggiormente i Paesi in Via

di Sviluppo e quelli sottosviluppati, i quali auspicano di colmare, attraverso le nuove

tecnologie agricole ed industriali, il divario che essi hanno nei confronti del "Nord del

11 Sulla base dell'art.27 dell'accordo Trip sottoscritto in sede Wto (World Trade Organisation) "possono costituire

oggetto di protezione intellettuale le invenzioni, di prodotto o di processo, in tutti i campi della tecnologia, che siano nuove, implichino un'attività inventiva e siano atte ad avere un'applicazione produttiva", che include naturalmente le modificazioni degli organismi viventi. Tale legislazione è riconosciuta sia negli U.S.A. sia in Europa, e in ogni modo da tutti i Paesi aderenti al Wto.

12 Il Pob prevede di controllare sistematicamente tutti i movimenti di Living Modified Organism (Lmo) attraverso le frontiere internazionali, di stabilire procedure di import/export di Lmo condizionatamente alla valutazione del rischio, di adottare schemi internazionali di responsabilità per l'impiego di Lmo e di imporre il Pob come unica regolamentazione internazionale al di sopra di ogni altro atto.

��

Mondo", anche se attualmente sia la ricerca sia le società, che utilizzano sistemi

innovativi di produzione, risiedono ed operano nei paesi industrialmente avanzati.

Il problema della fame nel mondo è alla base della politica della "Life’s Industry":

infatti, le stesse società tendono ad evidenziare nei loro comunicati stampa e nelle loro

relazioni previsive che lo sviluppo e le ricerche sugli OGM possono essere la soluzione al

problema della fame nel mondo e, in generale, ai problemi della malnutrizione specie nei

paesi arretrati, che attualmente secondo le stime della Fao colpiscono 800 milioni di

persone, in altre parole una persona su sei.

Alcuni studi dell'INRA (Institut National de la Recherche Agronomique) e della

RAFI affermano che il problema della fame nel mondo non è dovuto principalmente ad

un'insufficiente produzione agricola a livello globale, ma essa è dovuta alle guerre ed in

generale all'impossibilità per una parte della popolazione mondiale di acquistare i prodotti

alimentari di prima necessità, tesi condivisa anche dalle due organizzazioni mondiali di

riferimento per gli studi del settore, Fao e Banca Mondiale.

La situazione di generale malnutrizione che affligge i paesi non sviluppati può

essere ricondotta, essenzialmente, a due fenomeni: l'impossibilità di acquistare cibo sul

mercato internazionale, dovuto ad una questione di reddito, e l'esponenziale crescita

demografica in atto in alcuni paesi che impedisce di realizzare all'interno dello stesso una

struttura produttiva che garantisca l'autosufficienza alimentare.

Sostenere l'esistenza di una stretta correlazione tra la malnutrizione e una crescita

demografica di tipo esponenziale, come fanno le società biotecnologiche, è errato: infatti,

al mondo esistono paesi dove entrambe le condizioni esistono e paesi dove la

malnutrizione coesiste con una densità demografica molto bassa, dunque sia in rapporto

alla densità sia alla numerosità demografica la relazione resta indeterminata nei confronti

della malnutrizione.

Non vi è un’univoca relazione tra malnutrizione in un determinato paese e la sua

popolazione. La malnutrizione è un problema presente in paesi sovrappopolati come il

Bangladesh o Haiti, ma anche in paesi a bassa densità demografica rispetto al territorio,

come l'Etiopia o il Mozambico (Lappe, Collins e Roisset, 1998). Secondo le stime della

Fao mai come nei nostri giorni si è avuta tanta disponibilità di cibo: ogni abitante ha a

disposizione ogni giorno circa un chilo e mezzo tra cereali, fagioli e noci, mezzo chilo tra

carne, latte, uova e un altro mezzo chilo di frutta e verdura. Il problema non risiede nella

��

disponibilità a livello mondiale, ma nella disuguaglianza e nell'impossibilità ad accedere

agli alimenti. Infatti, ci sono persone troppo povere che non dispongono delle risorse

necessarie per potersi comprare il cibo disponibile sui mercati interni ed esteri, oppure

non dispongono di terra e di mezzi sufficienti per coltivare quel che gli occorre (Lappe,

Collins e Roisset, 1998).

Le imprese che producono organismi geneticamente modificati, ed in particolar

modo quelle che producono sementi biotecnologiche, sostengono che la loro ricerca e i

loro prodotti possano essere la risposta al problema della fame nel mondo e ridurre la

povertà nei paesi sottosviluppati. Tali affermazioni si basano sull'assunto che la fame nel

mondo sia correlata al ritmo di crescita della popolazione e che l'ingegneria genetica sia

l'unico modo di accrescere la produzione agricola e soddisfare i bisogni futuri (Lappe,

Collins e Roisset, 1998), contrariamente a quanto nella realtà è evidente.

Dai dati elaborati e messi a disposizione dalla Fao è possibile desumere che la

malnutrizione, in generale, è riconducibile alla distinzione dei concetti di sicurezza

alimentare13 e autosufficienza alimentare: i due concetti sono legati tra loro, ma non vi è

una condizione di concausalità e non vi è un rapporto di determinazione, ovvero è

possibile che ci si trovi, come afferma la Fao, in una condizione di equilibrio tra domanda

ed offerta a livello mondiale di cibo ed allo stesso tempo esistono paesi o intere regioni

del mondo ove non vi sia una condizione di autosufficienza alimentare, sia per motivi di

reddito sia per motivi riconducibili ad un'inefficiente distribuzione di cibo sul territorio.

Quanto appena detto permette di affermare che, nonostante a livello mondiale vi

sia un surplus alimentare, esistono paesi interi che soffrono il problema della

malnutrizione senza che nessun'organizzazione mondiale metta in moto dei sistemi per

evitarlo: i motivi che dovrebbero indurli ad intervenire sono di carattere etico, ma

soprattutto perché è la loro stessa natura di organizzazione internazionale che dovrebbe

fare in modo che s'interessino di tutti i paesi e non solo di un gruppo ristretto, per ovvie

convenienze economiche e di finanziamento.

I.14. Quali benefici per gli agricoltori?

Secondo le aziende biotech i maggiori benefici derivanti dalla futura espansione

delle colture transgeniche saranno a favore dei consumatori e degli agricoltori.

13 Il concetto di sicurezza alimentare è qui indicato come relazione tra domanda ed offerta di cibo a livello mondiale.

��

La possibilità, per gli agricoltori, di ridurre l'uso dei pesticidi e diserbanti in

concomitanza di un aumento della produttività, ed in generale della produzione vendibile,

costituisce un fattore di notevole attrazione nei confronti delle nuove biotecnologie.

Nel processo produttivo agricolo i principali fattori che influiscono sui costi sono

sementi, erbicidi e fertilizzanti, produttività e lavoro, oltre il fattore terra che in questo

caso non verrà considerato, poiché non costituisce un fattore influenzato dagli Ogm, in

quanto la disponibilità attuale dei terreni, soprattutto nei paesi economicamente avanzati,

è data.

La coltivazione di piante transgeniche permetterebbe, secondo le società

promotrici, di ridurre tutti i fattori di costo per l'agricoltore, compreso il fattore lavoro che

all'interno del processo di globalizzazione costituisce un fattore importante nella

determinazione del prezzo finale dei prodotti e di conseguenza nella competitività dei

prodotti nel mercato internazionale.

Le colture transgeniche possono rappresentare, dunque, una miglioramento per gli

agricoltori, ma solo in apparenza, meglio dire nel breve periodo.

Le principali conseguenze nel lungo periodo derivanti dalla coltivazione su ampia

scala degli Ogm possono invece ribaltare la situazione.

La diminuzione dei costi di produzione se in un primo momento garantirà un

maggior reddito per gli agricoltori, dall'altro nel lungo periodo la concorrenza (soprattutto

con l'agricoltura biologica che negli ultimi anni sembra attraversare una fase di

espansione) determinerà una diminuzione dei prezzi con la conseguente riduzione del

reddito degli agricoltori, di ciò si parlerà nel capitolo relativo all'impatto economico della

coltivazione di OGM sugli agricoltori e sui consumatori.

Nei Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA) la possibilità che i prezzi dei prodotti

agricoli, ivi compresi quelli geneticamente modificati, scendano è un fatto conclamato e

confermato dalle statistiche fornite negli ultimi anni, mentre nei Paesi in Via di Sviluppo

(PVS) la tendenza alla diminuzione dei prezzi agricoli dipende principalmente dal

mercato internazionale, dai cambi e da fattori che risiedono nel complesso delle relazioni

politiche internazionali.

La coltivazione degli Ogm comporta una diversa composizione dei costi di

produzione spostando la quasi totalità del valore sui costi variabili, ovvero sui costi

relativi alle sementi e ai prodotti chimici in particolare, che, di fatto, diventano un capitale

��

cui viene attribuito un fattore remunerativo: la remunerazione del processo produttivo non

può più essere ripartita allo stesso modo di una coltivazione tradizionale, infatti, al fattore

terra e al fattore lavoro viene attribuita una minima parte, visto che questi due fattori

perdono la loro importanza nel processo produttivo.

Ogni prodotto agricolo transgenico viene fornito dalle ditte produttrici insieme ai

prodotti chimici: infatti, voler coltivare un prodotto Ogm significa acquistare un

"pacchetto" composto da semi, diserbanti, fertilizzanti, che naturalmente sono di proprietà

dei detentori dei brevetti.

La tecnica per coltivare Ogm rappresenta per l'agricoltore un nuovo modo di

produrre caratterizzato non solo dalla tipologia del prodotto in sé, ma anche da una

diversa possibilità di movimento sul mercato.

Quando si decide di cominciare un ciclo produttivo ogni agricoltore si rivolge al

mercato per acquistare i fattori di produzione cercando quei prodotti che garantiscano il

miglior rapporto qualità-prezzo (dalle sementi ai prodotti chimici): tale metodologia, che

ha permesso nel tempo un migliore grado di concorrenza nei mercati, con l'applicazione

degli Ogm in agricoltura lascia il passo ad una nuova caratterizzata da una sola relazione

nel mercato, quella tra agricoltore e detentore dei brevetti.

Tale metodologia costituisce un punto fondamentale nell'analisi dell'impatto sul

sistema agricolo provocato dai prodotti transgenici: la concorrenza, soprattutto nel

contesto della globalizzazione, ha permesso, nel bene e nel male, di porre chi domanda

sul mercato di fronte a chi offre permettendogli di scegliere il prodotto domandato

secondo le proprie esigenze e soprattutto al prezzo da lui ritenuto più consono.

La peculiarità della metodologia di coltivazione degli Ogm elimina ogni

possibilità di variare le tecniche di produzione, l'agricoltore, acquistato il seme, è

obbligato ad acquistare i prodotti chimici dalla stessa ditta, perché ogni prodotto è

tollerante ad un solo prodotto chimico, il che comporta la totale dipendenza

dell'acquirente da una sola ditta fornitrice perdendo la possibilità di ridurre i costi degli

erbicidi attraverso un rifornimento presso un'altra ditta.

I costi di produzione per la coltivazione degli Ogm, scelto il prodotto, sono dati e

non modificabili dall'agricoltore, se non a "discrezione" della ditta fornitrice.

In tale contesto è possibile evidenziare una struttura dei costi, nella sua parte

variabile, data ed esogena (ovvero fornita esclusivamente dalle aziende produttrici) che

��

nel lungo periodo, data la minore necessità di fattore lavoro, ridurrà il reddito degli

agricoltori, limitati nel potenziare e nel migliorare il processo produttivo per ottenere un

maggior profitto, con la conseguente loro uscita dal settore per essere rimpiazzati da

grandi colossi (magari detentori dei brevetti); inoltre le piante Ogm sono brevettate ed è

quindi logico che le aziende produttrici spingano il prezzo fino ad un livello limite per cui

gli agricoltori sono disposti ad acquistarli.

In conclusione è possibile affermare, date queste prime ipotesi, che per

l'agricoltore non esistano poi così tanti benefici, anche perché la subordinazione ad un

"contratto", visto che i prodotti sono brevettati, costituisce, assieme ai costi variabili

costanti, una limitazione non sopportabile per qualsiasi agricoltore, limitazioni che

faranno sentire la propria "morsa" solo nel medio-lungo periodo, in particolare essendo gli

Ogm trattati sul mercato internazionale le condizioni di concorrenza esistenti

accelereranno tali processi di caduta del reddito in favore di quei paesi che più utilizzano

mezzi di automazione nei processi produttivi agricoli o che dispongono di un costo del

lavoro più basso.

I.15. Quali benefici per i consumatori?

La ricerca di nuovi prodotti, la successiva coltivazione e introduzione sul mercato

agro-alimentare mondiale non può esimersi dal considerare l'opinione e i vantaggi che ne

trarrebbero i consumatori.

I consumatori sono i veri decisori della validità e della convenienza dei nuovi

prodotti. Un consumatore attento e informato certamente rivolgerà la propria attenzione

sulle caratteristiche degli Ogm: valuterà il prezzo, le caratteristiche nutrizionali, la

trasparenza dell'informazione sugli ingredienti, la salubrità del prodotto, ed infine, non in

ordine di importanza, gli effetti di tali produzioni sulla salute umana.

Fornire uno schema semplice ed univoco sui benefici per i consumatori circa gli

Ogm non è facile come possa sembrare: i consumatori d'altro canto sono diversificati tra

loro, ognuno ha delle preferenze dettate dalle origini culturali, dal luogo di residenza o

provenienza e dal gusto.

Una prima distinzione da fare sul consumo degli Ogm è quella relativa

all'importanza che ha il prodotto: infatti, bisogna fare una prima precisazione, ovvero se si

è intenti a considerare un prodotto finale o un ingrediente.

��

La distinzione tra il prodotto finale e l'ingrediente è fondamentale soprattutto se si

è intenti a considerare la possibile riduzione dei costi.

Accettando le ipotesi di riduzione dei costi di produzione connessi alla

coltivazione di Ogm, non è possibile collegare in modo univoco tale riduzione di costi

con una corrispondente riduzione dei prezzi sul mercato al dettaglio: è molto probabile

che la riduzione dei costi sia tutta a vantaggio dei produttori di sementi e fertilizzanti.

Nel caso in cui l'Ogm sia un prodotto intermedio, ovvero sia un semplice

ingrediente, la riduzione dei costi si rifletterà sui prezzi in misura sicuramente meno che

proporzionale rispetto alla percentuale dell'ingrediente, e tale asserto è giustificato da una

logica economica secondo la quale la riduzione dei costi debba essere ripartita tra tutti gli

utenti della filiera, con una conseguente diminuzione dei prezzi che di certo influisce in

modo quasi impercettibile sulle preferenze dei consumatori, in particolare se ci si pone di

fronte al fatto che si tratta comunque di prodotti non sicuri al cento per cento e non

soggetti a sperimentazioni sanitarie adeguate.

Nel caso in cui l'Ogm sia un prodotto finale (un ortaggio o un frutto ad esempio)

molto probabilmente la riduzione dei costi di produzione avrà riflessi più consistenti sul

prezzo finale a vantaggio del consumatore, ma non in maniera proporzionale.

Per il consumatore i benefici degli Ogm potranno avere effetto sulla disponibilità

dei prodotti agricoli durante l'intero anno, eliminando la componente di stagionalità dei

prodotti, senza variazioni dei prezzi relativi; per contro la destagionalizzazione potrebbe

far sentire i propri effetti sulla variabilità degli alimenti prodotti, dovuta alla

concentrazione dei processi produttivi verso gli Ogm (Malagoli, 2000).

Un punto fondamentale da considerare è se la riduzione dei prezzi dei generi

alimentari sia una necessità dell'industria o sia una reale richiesta dei consumatori: infatti,

non è detto che una riduzione dei prezzi sia considerata dal consumatore giustificata,

soprattutto nel caso in cui il prodotto non venga accettato come nutrizionalmente

equivalente a quelli convenzionali, o nel caso in cui non venga comunemente accettata la

salubrità del prodotto, visto che parte della comunità scientifica non ritiene vi siano state

sufficienti sperimentazioni in merito.

Considerando il mercato agro-alimentare europeo, è evidente come l'introduzione

nella catena alimentare degli Ogm abbia suscitato perplessità nell'opinione pubblica: la

conseguenza di tale introduzione, non ancora sufficientemente regolamentata, è stata

quella di dar vita a due distinte filiere di produzione agricola, l'una biologica l'altra

convenzionale (ove rientrano per il principio di «sostanziale equivalenza» gli Ogm).

La distinzione nel mercato agricolo delle due differenti filiere ha avuto un effetto

non desiderato per il consumatore che giustifica l'asserto per cui gli Ogm non

garantiscono benefici per il consumatore: infatti, è evidente come i prezzi dei prodotti

tradizionali siano rimasti sostanzialmente stabili, mentre i prodotti etichettati come

biologici, rispondenti ad un codice legislativo europeo, hanno subito un brusco rialzo dei

prezzi giustificato dalla garanzia «Ogm Free».

La mancata diminuzione dei prezzi ha condotto i consumatori verso un sentiero di

convenienza che è risultata virtuale, se non pure controproducente, in quanto sia i prodotti

acquistati tradizionalmente non contenenti Ogm sia quelli biologici hanno subito una

maggiorazione di prezzo, con la conseguenza che il consumatore tornando alle proprie

abitudini di consumo si è visto aumentare il costo dei prodotti. Dunque, se in un primo

momento il consumatore ha visto nel nuovo prodotto una possibilità di risparmio da

dedicare ad altri consumi, soprattutto non alimentari o comunque prima non acquistabili

per disponibilità di reddito, in un secondo tempo, magari deluso dalle aspettative sul

nuovo prodotto, ha avuto un effetto contrario a quello desiderato, ovvero quello di

risparmiare sul consumo alimentare.

L'effetto, dunque, che finora gli Ogm hanno avuto sui prezzi dei prodotti è stato

opposto rispetto a quello previsto. Per acquistare un prodotto «Ogm Free» o biologico il

consumatore deve essere disposto a pagare una quota di prezzo aggiuntiva, una sorta di

assicurazione sulla genuinità del prodotto e sulla reale provenienza.

Il contesto precedentemente descritto non ha, però, carattere universale: infatti,

com’è stato detto in precedenza, i consumatori sono una categoria difficilmente

identificabile in modo univoco, essi risentono principalmente di due fattori che sono la

disponibilità di reddito, e la possibilità di scelta sul mercato.

La possibilità di orientarsi sulle due filiere, biologica e tradizionale, può essere

riferita sostanzialmente ai paesi industrialmente avanzati e non di certo ai Paesi in Via di

Sviluppo, dove il reddito, ove è sufficiente, rappresenta un fattore determinante sulla

possibilità di consumo. Argomentare dell'effetto sui consumi degli Ogm per i paesi non

industriali non è possibile nei termini utilizzati precedentemente: avere sul mercato

internazionale o nazionale prodotti ad un minor prezzo significa per tali paesi acquistarli

senza pregiudizi o possibilità di scelta, dato che il reddito non permette loro di farlo.

Il problema dei consumatori dei PVS spesso non è quello risparmiare sui consumi

alimentari, ma è quello di poter acquistare sul mercato i beni di sussistenza e certamente

in questo senso la possibilità di approvvigionamento di prodotti Gm, dato il loro costo

leggermente più basso, potrebbe essere una soluzione, anche se stando ai dati sulla

produzione mondiale di beni alimentari è possibile affermare come fattori che influiscono

sul problema della fame sono di ordine più politico ed etico, visto che a livello mondiale

siamo in una condizione di autosufficienza alimentare, stando alle stime fornite dalla

FAO.

I.16. Cenni sulle successive argomentazioni economiche

Finora sono state date le definizioni e i caratteri principali connessi alla

coltivazione e alla commercializzazione degli Organismi Geneticamente Modificati.

Si è cercato di essere sintetici ed esaustivi nel descrivere le caratteristiche e

l'impatto degli Ogm in agricoltura sia da un punto di vista biologico sia economico,

tuttavia, per ciò che concerne le conseguenze e le caratteristiche economiche del

fenomeno, nei capitoli successivi saranno evidenziati alcuni aspetti finora solamente

accennati: si cercherà di evidenziare la struttura del mercato delle biotecnologie, l'impatto

economico sul mercato agro-alimentare mondiale, sui produttori, si cercherà di verificare

la reale convenienza economica e le modificazioni che tali prodotti hanno apportato nel

mondo agricolo, relativamente al nuovo modo di produrre e alla struttura dei costi di

produzione e si cercherà, inoltre, di verificare se gli Ogm rappresentino veramente la

panacea per la soluzione del problema della fame nel mondo, lasciando, altresì, uno

spazio adeguato alle influenze esercitate dalle componenti legislative e normative.

Le argomentazioni successive saranno esclusivamente a carattere economico,

utilizzando come unità di misura i dati forniti dalle varie associazioni e governi, cercando

di essere il più distaccati possibile dalle critiche ambientaliste che, sempre più agguerrite e

che secondo il nostro parere, a volte, si basano solamente su congetture non

empiricamente verificabili, ed hanno un effetto sull'opinione pubblica opposto a quello

desiderato.

C a p i t o l o S e c o n d o

IL MERCATO AGRO-ALIMENTARE TRANSGENICO

II.1. Introduzione

In questo secondo capitolo la trattazione verterà sulla diffusione a livello mondiale

delle coltivazioni transgeniche e sulla commercializzazione dei prodotti finali ottenuti.

L'esigenza di un quadro informativo, su cui basare le successive argomentazioni teoriche

e pratiche, è dettata dalla semplice constatazione che qualsiasi argomentazione, che voglia

acquisire un carattere scientifico, necessita di un riscontro oggettivo, empirico.

La conoscenza d’informazioni, sulla superficie destinata alle coltivazioni

transgeniche, sull’ammontare della relativa produzione agricola, sulle principali piante

coltivate e sulle loro peculiarità merceologiche e tecnologiche, è necessaria per una

corretta trattazione, in particolare se i dati messi a disposizione dai vari istituti di ricerca

(in tal senso il riferimento principale è l'International Service for the Acquisition of Agri-

biotech Applications) sono disaggregati per aree geografiche e per caratteristiche

tecnologiche e merceologiche utilizzate.

I dati forniti dall'Isaaa permettono di descrivere in modo preciso la diffusione dei

prodotti transgenici in riferimento soprattutto alla loro diffusione e distribuzione tra Paesi

a Sviluppo Avanzato (PSA) e Paesi in Via di Sviluppo (PVS).

La disponibilità di dati affidabili sulle coltivazioni transgeniche, disaggregate per

tipologia di prodotto, rappresenta un utile punto di riferimento per la trattazione di

problemi riguardanti il rapporto tra biotecnologia applicata all'agricoltura e sottosviluppo,

o più specificatamente sottosviluppo in concomitanza di insufficienza alimentare:

conoscere quali sono le principali coltivazioni GM e le loro caratteristiche tecnologiche,

conoscerne i Paesi produttori, o meglio ancora comprendere il perché alcune coltivazioni

abbiano avuto un successo ed una diffusione maggiore rispetto ad altre, rispondere ad

interrogativi sulla reale necessità di Ogm, verificare se effettivamente possono concorrere

a risolvere il problema del sottosviluppo e della malnutrizione o se semplicemente sono il

risultato di effetti "globalizzanti" atti a ridurre i costi di produzione o per qualsiasi altra

motivazione di carattere strettamente contabile-economico, costituisce un fattore

prioritario per le analisi successive.

Le domande che ci porremo sono indirizzate verso la comprensione del perché

alcuni prodotti Ogm hanno avuto una siffatta diffusione rispetto alle altre colture

modificate. Ci si chiederà se tale constatazione sia riconducibile ad una maggiore

produttività delle piante Ogm prese in esame rispetto alle varietà convenzionali, o se

semplicemente tale diffusione sia riconducibile al fatto che sono più facilmente

commercializzabili, o ancor meglio se tali prodotti sono quelli più richiesti dall'industria

agro-alimentare.

In questo secondo capitolo verranno mostrati i primi pesi delle coltivazioni

transgeniche sulla contabilità nazionale, naturalmente rispetto al comparto agricolo,

disponibili per i principali paesi produttori, U.S.A. e Canada; verranno forniti, inoltre, i

dati necessari per comprendere quale sia il valore del mercato mondiale dei prodotti agro-

alimentari, dunque la loro destinazione e il loro potenziale diffusivo.

La conoscenza della struttura commerciale, intesa come relazione "paese

produttore-paese destinatario", fornisce, inoltre, gli elementi conoscitivi primari per

giudicare empiricamente la dimensione del mercato biotecnologico e le sue caratteristiche

fondamentali, che determinano, assieme al suo trend, l'importanza e la dinamicità del

mercato stesso.

II.2. Distribuzione geografica e socioeconomica delle coltivazioni transgeniche

Le statistiche fornite dall'International Service for the Acquisition of Agro-biotech

Applications (Isaaa) 14 mostrano come nel 2000 gli ettari di terreno destinati alle

coltivazioni transgeniche ammontano a circa 44.2 milioni, un'area circa venti volte la

superficie dell'Inghilterra (James, 2000).

La crescita della superficie destinata al biotech è stata tra il 1999 e il 2000 di 4,3

milioni di ettari, vale a dire una crescita del 11%: tale incremento, se confrontato con

quelli avuti negli anni passati, mostra come la diffusione delle coltivazioni transgeniche

abbia subito una battuta d'arresto.

Nel periodo 1996-2000 l'area mondiale destinata al transgenico è cresciuta di ben

25 volte, da circa 1.7 a circa 44.2 milioni di ettari (Tab. 6).

14 L'Isaaa è l'associazione di riferimento delle principali società biotecnologiche a livello mondiale.

��

Tali statistiche evidenziano come le nuove tecnologie agricole abbiano riportato

un ottimo successo: in soli quattro anni gli Stati che hanno deciso di avviare la

coltivazione di piante transgeniche sul proprio territorio sono passati dai sei del 1996 ai

tredici del 2000 (James, 2000).

La distribuzione delle coltivazioni Ogm tra paesi industrializzati e in via di

sviluppo nel quadriennio considerato, il 1996-2000, è rimasta fino al 1999 pressoché

immutata: nel 1997 l'86% della superficie destinata a tali colture era attribuibile a paesi

industrialmente avanzati, in particolare Canada e USA, e solo il 14% a quelli della fascia

del sottosviluppo, soprattutto Argentina (Tab. 7 e Graf. 5). Nel corso del biennio 1999-

2000 la situazione è andata modificandosi. Le quote di superficie destinata al transgenico

attribuibili al Nord del mondo e quelle attribuibili al Sud sono passate dall'86% e dal 14%

al 76% e 24%, rispettivamente (Tab. 7, Graf. 5 e Graf.6). Isolando il dato relativo alla

superficie agricola destinata alle colture transgeniche nel 2000 è rilevante notare come tali

nuove produzioni abbiano, nel corso di pochissimi anni, avuto uno sviluppo ed una

diffusione molto veloce.

L'introduzione in campo agricolo di tali colture ha suscitato sicuramente la

curiosità e la fiducia degli agricoltori, soprattutto quelli statunitensi, canadesi ed argentini.

Usa, Canada e Argentina possono essere considerati gli unici paesi dove la cultura

del transgenico sembra aver avuto successo. Una tale affermazione, ad una prima lettura,

può apparire del tutto insignificante, ma non lo è. Infatti, concentrando l'attenzione sui tre

Stati è possibile notare caratteristiche politico-economiche simili, fondate su una solida

collaborazione industriale e politica, in particolare tra USA e Argentina è da sottolineare

che quest’ultimo ha adottato il dollaro statunitense come valore di riferimento per il

proprio cambio; in secondo luogo, e non in ordine di importanza, tali Stati hanno tra loro

delle solide e consistenti relazioni commerciali (basti pensare all'accordo NAFTA tra

USA e Canada, destinato ad allargarsi all’intero continente americano). Inoltre, i tre Stati

considerati hanno una caratteristica fondamentale che li accomuna nell'ambito agricolo,

vale a dire che tutti hanno sviluppato al loro interno un’agricoltura molto meccanizzata,

dove l'intervento umano è limitato e quasi tutto il lavoro sui campi è svolto con sofisticati

mezzi, sia per la semina sia per la raccolta.

��

Tab. 6 - Superficie mondiale destinata alle coltivazioni GM 1996-2000

(in milioni di ettari)

Anno Superficie Incremento percentuale

1996 1.7

1997 11.0 547%

1998 27.8 153%

1999 39.9 44%

2000 44.2 11%

Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)

Graf. 4 - Superficie mondiale destinata alle coltivazioni transgeniche 1996-2000

(milioni di ettari)

0

10

20

30

40

50

1996 1997 1998 1999 2000

��

Tab. 7 - Distribuzione delle colture transgeniche rispetto al livello di sviluppo

(milioni di ettari)

Livello di

sviluppo 1997 % 1998 % 1999 % 2000 %

Paesi

industrializzati 9.5 86 23.4 84 32.8 82 33.5 76

Paesi in Via di

Sviluppo 1.5 14 4.4 16 7.1 18 10.7 24

11.0 100 27.8 100 39.9 100 44.2 100

Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)

Graf. 5 - Distribuzione delle colture transgeniche secondo il livello di sviluppo economico al 1997

PSAPVS

Graf. 6 - Distribuzione delle colture transgeniche secondo il livello di sviluppo economico al 2000

PSAPVS

��

Il fatto che tali Stati siano stati i precursori nell'applicazione delle tecnologie

transgeniche di coltivazione può senz'altro essere messo in relazione alle tecniche di

produzione agricola caratteristiche di questi Paesi. Inoltre, in tali Paesi le nuove

legislazioni in materia di biotecnologie possono, alla stregua del modo di produrre, essere

messe in relazione alla crescente richiesta di meccanizzazione dei processi produttivi

agricoli, ma di ciò si parlerà più dettagliatamente in seguito.

Ritornando alla distribuzione della superficie mondiale destinata alle coltivazioni

transgeniche, tra paesi industrialmente avanzati e non, è da rilevare come la variazione

della quota spettante ai Paesi in Via di Sviluppo, dal 18% del 1999 al 24% del 2000, non

significa che la diffusione di tali colture abbia trovato uno sbocco in tutti i paesi di

quest'area, ma tale variazione è attribuibile per l'84% alla sola Argentina, che nei suddetti

anni ha visto crescere la propria superficie destinata agli Ogm di ben 3.6 milioni di ettari

su una crescita totale mondiale di 4.3 milioni di ettari, passando dal 17 % al 23% della

superficie mondiale di coltivazioni transgeniche (Tab. 8). Sempre in riferimento al

biennio 1999-2000, anche se non rilevante dal punto di vista delle superfici coltivate, è da

segnalare l'entrata in tale mercato di nuovi Paesi come Cina, Bulgaria, Germania,

Portogallo, Ucraina e Uruguay e la diminuzione dei terreni coltivati in Canada (in termini

sia relativi sia assoluti per quanto riguarda la colza), che passa nel solo biennio

considerato dall'avere il 10% delle colture transgeniche mondiali al 7%, mostrando un

dato in controtendenza rispetto agli altri due Paesi precursori (Tab. 8).

Nella tabella 8 è illustrata la ripartizione geografica delle colture transgeniche

secondo i singoli Paesi.

Come detto in precedenza i principali paesi produttori di prodotti transgenici

agricoli sono USA, Canada e Argentina che, rispettivamente con il 69, 7 e 23 per cento

del totale mondiale producono il 99 per cento dei prodotti transgenici a livello mondiale,

ovvero la quasi totalità.

In generale, la diffusione delle coltivazioni transgeniche a livello geografico sono

da attribuirsi ad un ristretto gruppo di Stati, ove sia per una più facile legislazione in

merito sia per la tipologia di colture e processi produttivi utilizzati, possono essere a tutti

gli effetti considerati gli unici produttori di Ogm. Il risultato riportato dall'Argentina nel

biennio 1999-2000, più 3.3 milioni di ettari, è frutto di un significativo aumento delle

coltivazioni destinate alla soia e al mais.

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Tab. 8 - Distribuzione delle coltivazioni transgeniche per Paese

(in milioni di ettari)

PAESE 1999 % 2000 %

Usa 28.7 72 30.3 69

Argentina 6.7 17 10 23

Canada 4 10 3 7

Cina 0.3 1 0.5 1

Sudafrica 0.1 -- 0.2 --

Australia 0.1 -- 0.2 --

Romania <0.1 -- <0.1 --

Messico <0.1 -- <0.1 --

Bulgaria -- -- <0.1 --

Spagna <0.1 -- <0.1 --

Germania -- -- <0.1 --

Francia <0.1 -- <0.1 --

Portogallo <0.1 -- -- --

Ucraina <0.1 -- -- --

Uruguay <0.1 -- <0.1 --

TOTALE 39.9 100 44.2 100

Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)

��

Un tale risultato mostra come l'Argentina stia consolidando la propria posizione di

principale paese produttore di piante geneticamente modificate, contrariamente a quanto

accade per il Canada che, sempre nel biennio considerato 1999-2000, vede ridurre di un

milione di ettari, soprattutto a colza, la superficie destinata a tali colture.

Tra i paesi emergenti nel mercato delle biotecnologie applicate in agricoltura è da

rilevare l'incremento di 0.2 milioni di ettari della Cina, aspetto questo che trova la sua

importanza non tanto nella misura in cui sono aumentati i terreni coltivati con Ogm, ma

nel mercato stesso cinese e in particolare sotto l'aspetto della potenzialità di assorbimento

del mercato agro-alimentare, date le caratteristiche demografiche ed economiche del

Paese, vale a dire di avere una popolazione molto ampia caratterizzata da una crescita

demografica significativa e dal fatto che negli ultimi anni ha mostrato un potenziale di

crescita economica rilevante. Altri Paesi si fanno strada nel mercato transgenico negli

ultimi anni, tra i quali sono da segnalare sia Paesi come Australia, sia Paesi dell'UE come

Spagna, Germania e Francia, ognuno dei quali ha dato inizio nel 1999 alle prime

coltivazioni, sperimentali e su campo, di mais BT, ridotte poi nel 2000, oltre a Paesi

emergenti dell'Europa dell'Est, come Romania, Bulgaria e Ucraina.

II.3. Le principali coltivazioni GM secondo il tipo di coltura ed il tratto

modificato

Le ricerche sulle colture geneticamente modificate sono iniziate negli anni

ottanta15, ma la commercializzazione di sementi e prodotti Gm viene fatta risalire alla

seconda metà degli anni novanta. Nel paragrafo precedente si è delineato lo sviluppo della

diffusione dei prodotti Gm in agricoltura, caratterizzato da una crescita sostenuta (si è

passati dagli 11 milioni di ettari del 1996 ai 44,2 del 2000).

La diffusione e la crescita delle aree addette alla coltivazione di prodotti Gm, però,

non hanno interessato tutte le colture. Infatti, dalle statistiche fornite dall'Isaaa, è evidente

come solamente alcune colture siano state interessate dal fenomeno transgenico: in

particolare le colture che più di tutte hanno subito l'effetto Ogm sono state principalmente

quelle relative alla soia, al mais, al cotone e alla colza, lasciando a tutte le altre, una

percentuale sul totale quasi impercettibile.

15 Il riferimento è relativo solamente all'ambito agricolo, escludendo in tal modo ogni riferimento a quello medico-

farmacologico.

La riflessione fatta in precedenza sulla reale diffusione in agricoltura degli Ogm

può essere estesa anche alla tipologia del tratto modificato. Infatti, solo alcune tipologie di

modificazione genetica hanno avuto una reale diffusione, o livello di gradimento da parte

degli agricoltori e delle stesse società fornitrici: in particolare, le tipologie di tratto

modificato, che più di tutte hanno avuto una reale diffusione sono quelle relative alla

resistenza agli erbicidi, e all'autoproduzione di insetticida, o alla concomitanza di

entrambi i tratti specificati.

La tabella 9 e il grafico 7 evidenziano come le quattro principali colture Gm, soia,

cotone, colza e mais, rappresentino quasi il 100% del totale delle colture Gm, e che,

sostanzialmente, negli anni, sia la percentuale spettante alle quattro colture principali sia

le percentuali spettanti ad ognuna di loro, siano rimaste pressoché invariate, tranne quella

relativa alla soia che è cresciuta del 4% sul totale a scapito di una perdita della stessa

entità relativa al mais; infatti, sul totale delle colture Gm relativamente all'anno 2000 il

58% dei terreni messi a coltura con Ogm spetta alla soia, il 23% al mais, il 12% al cotone

e il restante 7% alla colza (Tab. 9).

Nella tabella 10 e nel grafico 8 vengono evidenziate le caratteristiche

tecnologiche, ossia la tipologia di tratto modificato, relative alle colture transgeniche: i

dati mostrano come le colture transgeniche, finora utilizzate, sfruttino due soli tipi di

modificazioni, ovvero la resistenza agli erbicidi e l'autoproduzione di insetticida, che

insieme rappresentano l'83% delle colture Gm di tutto il 2000, ed il restante 7% è

attribuibile ad una loro combinazione.

L'anno 2000 per le colture transgeniche rappresenta un vero e proprio punto di

stallo: infatti, le modificazioni tra il 1999 e il 2000 sono di piccola entità, sia sotto il punto

di vista della crescita sia sotto quello delle ripartizioni percentuali tra colture e tra i tratti

modificati. Tale situazione probabilmente è dovuta alle restrizioni ancora in atto sia nel

continente europeo, ed in particolar modo nei paesi dell'UE, sia in quello asiatico,

restrizioni che vanno dalla coltivazione alla commercializzazione dei prodotti transgenici

finalizzati all'alimentazione sia umana sia animale.

Le cause della situazione di stallo per l'anno 2000 nel mercato biotech possono

essere ricollegate a carenze del mercato agro-alimentare mondiale, ed in particolare alla

mancanza d’informazioni sulla reale profittabilità dei prodotti transgenici e sui rischi

paventati da molteplici enti, tra i quali in prima linea troviamo la Rafi.

Tab. 9 - Distribuzione delle colture transgeniche rispetto al tipo di coltura

(milioni di ettari)

Tipo di coltura 1997 % 1998 % 1999 % 2000 %

Soia 5.1 46 14.5 52 21.6 54 25.8 58

Mais 3.2 30 8.3 30 11.1 28 10.3 23

Cotone 1.4 13 2.5 9 3.7 9 5.3 12

Colza 1.2 11 2.4 9 3.4 9 2.8 7

Altre <0.1 <0.1 <0.1 <1 <0.1 <1 <0.1 <1

11.0 100 27.8 100 39.9 100 44.2 100

Fonte: nostra elaborazione su dati James (1998 e 2000)

Graf. 7 - Sviluppo delle coltivazioni transgeniche per tipo di coltura (milioni di ettari)

0

10

20

30

40

50

1997 1998 1999 2000soia mais cotone colza

��

Tab. 10 - Distribuzione delle colture transgeniche rispetto al tratto modificato

(milioni di ettari)

Tipo di

coltura 1997 % 1998 % 1999 % 2000 %

HT16 6.9 63 19.8 71 28.1 71 32.7 74

IR17 4.0 36 7.7 28 8.3 22 8.3 19

HT+IR <0.1 <1 0.3 1 2.9 7 3.2 7

QT18 e VR19 <0.1 <1 <0.1 <1 <0.1 <1 <0.1 <1

11.0 100 27.8 100 39.9 100 44.2 100

Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)

16 HT: tolleranza agli erbicidi 17 IR: resistenza agli insetti 18 QT: modificazione della qualità 19 VR: resistenza ai virus

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1997 1998 1999 2000

Graf. 8 - Distribuzione percentuale delle colture transgeniche per tratto modificato (1997-2000)

QT e VRHT & IRIRHT

Di seguito si cercherà di delineare le caratteristiche dei principali prodotti

transgenici coltivati (soia, mais, cotone e colza) e della loro diffusione, concentrando la

nostra attenzione sul perché alcuni prodotti abbiano avuto un maggior successo rispetto ad

altri e perché si preferisca utilizzare solo alcuni tipi di modificazione genetica.

II.4. La soia transgenica

La prima commercializzazione della soia geneticamente modificata è avvenuta nel

1996 in USA e in Argentina, dove rappresentava rispettivamente l'1,6% e lo 0,8%

dell'area destinata a tale coltura (Tab. 11).

Nell'anno 2000 la superficie destinata alla soia Gm è stata di 25,8 milioni di ettari,

vale a dire che la soia transgenica copre il 58% dell'area mondiale destinata a colture

transgeniche ed il 36% dell’area mondiale destinata alla soia. (Tab. 11 e Graf. 9).

Argentina e USA sono gli Stati che più di tutti tra quelli produttori di soia, hanno

convertito le tradizionali coltivazioni di soia in quella transgenica, tant'è che,

rispettivamente, hanno destinato a tale coltura il 95% e 51% del totale dell'area coltivata a

soia, vale a dire che la quasi totalità della soia prodotta in Argentina e più della metà della

soia di quella statunitense risulta essere del tipo geneticamente modificato (James, 2000).

Principalmente la soia Gm coltivata è del tipo HT, ovvero la modificazione

genetica più diffusa per tale coltura è relativa alla resistenza agli erbicidi non selettivi, tra

i quali il più utilizzato è il Roundup della società statunitense Monsanto (ora Pharmacia).

E' evidente che negli USA l'adozione della soia Gm da parte dei coltivatori ha

riscosso un ottimo successo, come evidenziano i dati sulla diffusione.

Dal punto di vista dell'offerta mondiale è da considerare come la soia sia una

coltivazione pertinente quasi esclusivamente ad alcuni Paesi produttori, tra i quali,

appunto, USA, Argentina e Cina, dove, di fatto, contrariamente agli altri Paesi

occidentali, la soia è utilizzata non solo nei processi di produzione di tipo industriale, ma

rappresenta un prodotto di largo consumo, paragonabile alla pasta per noi italiani.

Dal lato della domanda, la soia rappresenta sul mercato mondiale un prodotto di

dipendenza da parte dei mercati europei e giapponesi, che importano la quasi totalità della

soia destinata al fabbisogno nazionale, destinato principalmente all'industria alimentare e

a quella foraggiera: in Italia, ad esempio, la percentuale di produzione interna sul

fabbisogno nazionale ammonta a circa il 3% (Istituto Sperimentale di Cerealicoltura).

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Tab. 11 - Diffusione della soia transgenica 1996-2000 (in milioni di ettari)

STATO 1996 1997 1998 1999 2000 Soia Gm su area

nazionale 1999

USA 0.40 3.64 10.12 15.00 16.30

ARGENTINA 0.005 1.40 3.43 5.50 9.12

CANADA 0.001 0.004 0.10 n.d.

BRASILE 1.18 n.d.

ALTRI n.d.

51%

75%

10%

10%

n.d.

TOTALE 0.45 5.10 14.50 21.78 25.8 47%

Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000)

Graf. 9 - Distribuzione geografica della soia transgenica nel 1999

USA ARGENTINA CANADA BRASILE

��

Il rifiuto europeo, sia dei consumatori sia dei coltivatori, ad importare soia GM ha

posto negli anni 1999 e 2000 seri problemi al mercato, per la mancanza in quest'ultimo di

soia certificata Ogm-Free. Difatti le previsioni da parte dell'Isaaa per l'anno 2000, e i

primi dati sembrano confermare tale ipotesi, mettono in rilievo come lo sviluppo e la

diffusione della soia GM stia rallentando, proprio perché nel mercato europeo la

diffidenza verso tali prodotti è molto alta, e sia le leggi in materia di etichettatura (reg.

C.E. n.49/2000, 258/97 e 1139/98) sia le stesse associazioni dei consumatori pongono

"paletti" all'introduzione nel mercato europeo di tali prodotti, tuttavia la

commercializzazione di soia all'interno del mercato europeo è assai diffusa.

Uno studio effettuato dall'associazione dei consumatori AltroConsumo ha posto in

evidenza come in due case produttrici di lecitina di soia, le percentuali di soia transgenica

erano rispettivamente del 24% e 7%, e nell'etichetta non era indicato nulla a riguardo;

inoltre, se si pensa che nei mangimi destinati agli allevamenti di bovini il contenuto di

soia è alto, che il 90% della soia europea ed italiana è importata dal continente americano

dove il 90% della soia commercializzata è transgenica, resta il dubbio se la legislazione

vigente europea in materia di cibi transgenici sia valida o meno.

II.5. Il mais transgenico

La prima diffusione di mais transgenico è avvenuta nel 1996 in USA e Canada

con 0.3 e 0.001 milioni di ettari coltivati, dove rappresentava rispettivamente l'1% e lo

0.1% della superficie totale destinata a tale coltura (Tab. 12 e Graf. 10).

Nel 1999 il mais transgenico poteva contare su 11.1 milioni di ettari ad esso

destinato, che in percentuale corrispondeva al 27% dell'area mondiale destinata alla

coltivazione di Ogm (James, 2000).

In generale, nel 2000 la superficie coltivata con mais GM è diminuita di 800 mila

ettari, in particolare in USA e Canada, mentre in Argentina la superficie destinata al mais

transgenico è incrementata dal 5% al 20% sul totale dell'area nazionale destinata a mais

rispetto all'anno precedente. Tale accadimento mostra come, nonostante la fase di

stazionarietà del mercato transgenico mondiale ed in particolare quello relativo al mais,

l'Argentina sia intenzionata a proseguire il suo cammino nella produzione di colture GM e

ad imporsi sul mercato internazionale come protagonista, assieme agli USA, nella

produzione di prodotti transgenici destinati al mercato agro-alimentare.

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Tab. 12 - Diffusione del mais transgenico 1996-2000

(in milioni di ettari)

STATO 1996 1997 1998 1999 2000 Mais Gm su area

nazionale 1999

USA 0.30 2.27 8.66 10.30 n.d. 36%

ARGENTINA 0.07 0.09 0.31 1.50 11%

CANADA 0.001 0.27 0.30 0.50 n.d. 44%

SUDAFRICA 0.05 0.16 n.d. 5%

ALTRI 0.59 0.05 0.17 n.d.

TOTALE 0.30 3.20 9.11 11.28 10.3 28%

Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000)

Graf. 10 - Distribuzione geografica del mais transgenico nel 1999

USA ARGENTINACANADA SUD AFRICAALTRI

��

Attualmente il mais transgenico occupa, a livello mondiale, il 7% dell'area

destinata alla coltura del mais e il 23% dell'area totale destinata ai prodotti transgenici.

La maggior parte dell'area destinata alla coltivazione di mais GM è localizzata in

USA, Argentina e Canada, dove nel 1999 tale coltura rappresentava il 36, 11 e 44 per

cento delle rispettive aree nazionali destinate al mais (Commissione della Comunità

Europea, 2000).

La caratteristica principale del mais GM coltivato è l'autoproduzione di insetticida,

ed in particolare il mais GM più diffuso tra quelli transgenici risulta essere quello BT: i

prodotti del tipo BT nel 2000 hanno interessato il 15% dell'area mondiale destinata al

transgenico.

Nonostante nel 1998 sia stato autorizzato nel mercato USA, da parte dell'USDA

(U.S. Department of Agriculture), un nuovo tipo di mais GM basato sulla resistenza agli

erbicidi (ovvero l’equivalente per il mais della soia Roundup Ready della Monsanto),

quest’ultimo non ha avuto molto successo, inoltre secondo le prime stime fornite

dall'Isaaa sembrano confermare quanto si era detto nel 1999, ovvero che nel 2000 si

sarebbe assistiti ad una diminuzione dell'area destinata al mais transgenico.

Tale stima non è tanto da considerarsi correlata con l'andamento del mercato

transgenico in generale, ma evidenzia una caratteristica peculiare della coltivazione di

mais. Le coltivazioni di mais, e più in particolare le infestazioni parassitarie maidicole,

hanno carattere ciclico, dunque la riduzione dell'area destinata al mais transgenico del tipo

BT, nel caso particolare, è da ricondursi, secondo l’USDA, quasi esclusivamente, al fatto

che dopo il picco delle infestazioni avvenuto nel 1998, per gli anni immediatamente

successivi si è previsto un basso livello di infestazione.

In definitiva, l'anno 2000 per gli agricoltori non rappresenta un anno cui prestare

particolare attenzione nei confronti degli insetti nocivi alle coltivazioni, di qui la mancata

necessità, o meglio ancora la non convenienza, ad adottare le sementi di mais GM.

Tale considerazione mostra da un lato la non universale convenienza del mais

transgenico, in particolare in quegli anni in cui il grado di infestazione è ritenuto medio o

basso, e dall'altro come dal punto di vista dei costi e della produttività le coltivazioni

transgeniche di mais non siano convenienti, se non in particolari situazioni d’infestazione.

La condizione di non convenienza nel caso del mais e degli altri prodotti

transgenici in generale sarà approfondita nei successivi capitoli, quando si andranno ad

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analizzare e a confrontare le caratteristiche economiche di coltivazione tra i prodotti

transgenici e quelli convenzionali.

II.6. Il cotone transgenico

Le prime coltivazioni di cotone transgenico sono state introdotte nel 1996 in USA

dove, rispetto all'area nazionale destinata al cotone in generale, rappresentavano il 12%.

Tra il 1999 e il 2000 l'area mondiale destinata alla coltivazione di cotone GM è

cresciuta del 35%, vale a dire si è passati da 3,92 a circa 5,3 milioni di ettari coltivati.

L'incremento dell'area destinata al cotone GM conferma il trend positivo di

sviluppo e della diffusione di tale coltura, sviluppo che rispecchia la crescita avuta negli

anni precedenti (+61% nel 1999 e +70% nel 1998): rispetto all'area mondiale destinata ai

prodotti GM il cotone, tra il 1999 e il 2000, passa dal 9 al 12 per cento del totale.

La crescita dell'area a cotone GM è attribuibile, in particolar modo, agli USA che

hanno visto crescere la propria quota di cotone GM sul totale (6 milioni di ettari) dal 55%

del 1999 al 72% del 2000, passando da 3,25 a 4,3 milioni di ettari.

Tra gli altri Stati che coltivano cotone GM sono da segnalare la Cina, che ha

portato la propria quota di area destinata a cotone GM sul totale nazionale al 10%, e Stati

come l'Australia, la cui quota di cotone GM sul totale nazionale è del 79% (relativamente

all'anno 1999) e il Messico la cui quota è del 25% (Comunità Europea, 2000).

Il cotone GM rappresenta, a tutto il 1999, il 12% della produzione mondiale

(attualmente le stime dell'Isaaa stimano tale quota a circa il 16% per l'anno 2000).

Il cotone transgenico per gli Stati Comunitari è principalmente di origine estera e

la necessità di segregare le varietà GM da quelle tradizionali ha posto seri problemi circa

le regolamentazioni sul commercio internazionale, soprattutto in relazione agli accordi tra

USA e Unione Europea, visto che le società produttrici di sementi avevano introdotto

negli ultimi anni sementi GM miste a quelle convenzionali senza una precisa

autorizzazione da parte del Parlamento Europeo.

Le principali modificazioni genetiche applicate al cotone sono la tolleranza agli

erbicidi, circa il 40%, la resistenza agli insetti, circa il 30%, e la presenza di entrambe le

modificazioni precedenti (HT+IR), circa un terzo del cotone GM.

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Tab. 13 - Diffusione del cotone transgenico 1996-2000

(in milioni di ettari)

STATO 1996 1997 1998 1999 2000 Quota su cotone

nazionale 1999

USA 0.73 1.23 2.00 3.25 4.3.

CINA 0.10 0.30 n.d.

AUSTRALIA 0.20 0.30 0.30 n.d.

SUDAFRICA 0.01 0.02 n.d.

MESSICO 0.05 0.05 n.d.

55%

10%

79%

13%

25%

TOTALE 0.73 1.43 2.43 3.92 5.30 12%

Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000)

Graf. 11 - Distribuzione geografica del cotone transgenico nel 1999

USA CINA AUSTRALIA ALTRI

Nei soli USA il 72% dei terreni destinati alla coltura del cotone è coltivato con le

varietà transgeniche che presentano caratteristiche IR e/o HT, in particolare il 39% è del

tipo IR, il 54% è del tipo HT e il 7% presenta caratteristiche di resistenza ad altri erbicidi,

inoltre nel complesso delle modificazioni IR e HT è utile segnalare che il 28% del cotone

GM ha entrambe le modificazioni (Carpenter e Gianessi, 2001).

Le relazioni dell'USDA affermano che i principali effetti desiderati dalle colture

IR e HT sono quelli di aver ridotto sia l'uso di agenti chimici (fertilizzanti, insetticidi ed

erbicidi) sia le perdite di raccolto dovute a fattori ambientali e caratteristici, vale a dire

insetti e perdite strutturali delle coltivazioni (Carpenter e Gianessi, 2001).

Rispetto alla soia, la coltivazione di cotone transgenico HT non è caratterizzata

dalla presenza quasi esclusiva di un unico prodotto (il Roundup della Monsanto, nel caso

della soia HT), ma il mercato offre la possibilità, a seconda delle caratteristiche

ambientali, altre alternative: molto diffuso nella coltivazione di cotone GM è la

caratteristica di resistenza ad un altro erbicida, il Bromoxynil (BXN).

Secondo l'USDA la richiesta da parte del mercato del cotone BXN è dovuta, in

particolar modo, al fatto che il Roundup della Monsanto, la cui caratteristica è quella di

essere un erbicida ad ampio spettro o non selettivo, non è perfettamente tollerato, nel caso

del cotone, dalle corrispettive piante Roundup Ready (Carpenter e Gianessi, 2001).

II.7. La colza transgenica20

Le prime coltivazioni di colza transgenica sono state introdotte nel nordamerica

nel 1996, in particolare in USA e Canada, dove con 0.01 e 0.1 milioni di ettari coltivati, si

riuscivano a coprire rispettivamente il 5 e il 3 per cento delle aree nazionali destinate a

tale coltura.

Nel 2000 la colza transgenica occupa un'area di circa 2,8 milioni di ettari, un

valore questo inferiore a quello del 1999, che poteva contare su di una superficie di circa

3,7 milioni di ettari, e che, di fatto, hanno portato la colza a ricoprire il 7% delle colture

geneticamente modificate dal 9% dell'anno precedente.

La diminuzione dei terreni coltivati con colza GM, interamente del tipo HT, tra il

1999 e il 2000 di circa 600.000 milioni di ettari è principalmente attribuibile al Canada,

20 Nel Nord-america la colza coltivata appartiene al tipo Canola.

che da sola ha contribuito a ridurre i terreni coltivati di circa 600.000 milioni di ettari, sia

nella forma tradizionale sia nella "versione" transgenica.

Lo Stato canadese afferma, secondo quanto riportato sulle pubblicazioni dell'Isaaa,

che le cause di tale diminuzione di colza GM è attribuibile essenzialmente alle difficoltà

riscontrate nella coltivazione ed in particolare a tre fattori determinanti:

• In prima istanza, il Canada afferma che la diminuzione di colza GM segue lo

stesso trend discendente del suo corrispettivo tradizionale, che si traduce in una

diminuzione dei terreni coltivati da 5,5 a 4,9 milioni di ettari.

• In secondo istanza, si afferma che la colza GM del tipo HT comporta dei rischi

connessi alla coltivazione, vale a dire che la colza HT presenta problemi di

mutazione il cui risultato è quello di trasferire le proprie caratteristiche di

resistenza agli erbicidi alle altre piante (malerbe comprese). La situazione

canadese mostra come gli Ogm, in questo caso la colza, non siano del tutto

controllabili.

In ultimo, il basso prezzo della colza potrebbe aver disincentivato i contadini a

coltivare la varietà GM in favore di quella tradizionale, in modo tale da poter contrarre i

costi di produzione.

Nella realtà dei fatti la colza GM ha suscitato, più di altre piante GM, perplessità

circa la sua affidabilità nel rilascio ambientale, poiché tale pianta ha caratteristiche

riproduttive diverse dalle altre: una delle principali caratteristiche della colza in ambito

riproduttivo è quella di potersi incrociare facilmente con molte piante imparentate,

comprese le malerbe.

Un episodio del genere, accaduto il 25 Maggio 2000 in Francia, ha portato il

governo francese e il presidente Chirac ad abbandonare le sperimentazioni in campo

aperto: la colza GM del tipo HT si era incrociata con le malerbe e con le coltivazioni

adiacenti, annullando, di fatti, la caratteristica principale della colza GM di resistenza agli

erbicidi attraverso il trasferimento del gene HT, causando così danni ai campi circostanti

che non erano predisposti a tali erbicidi.

La diminuzione di terreni coltivati con colza GM è attribuibile ad imperfezioni

della colza geneticamente modificata, confermando, di fatti, le preoccupazioni espresse da

molte associazioni ambientaliste ed istituti di ricerca, ovvero che le piante transgeniche in

generale non possono garantire che il tratto modificato venga disperso nell’ambiente: tale

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Tab. 14 - Diffusione della colza transgenica 1996-2000

(in milioni di ettari)

STATO 1996 1997 1998 1999 2000 Colza Gm su area

nazionale 1999

USA 0.01 0.02 0.03 0.06 n.d.

CANADA 0.10 1.40 2.40 3.40 n.d.

15%

65%

TOTALE 0.11 1.42 2.43 3.46 2.80 12%

Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000)

Graf. 12 - Distribuzione geografica della colza transgenica nel 1999

Canada USA

situazione potrebbe rivelarsi incontrollabile provocando danni all'ambiente

probabilmente permanenti o comunque le piante transgeniche potrebbero rappresentare

per ecosistema un rischio incalcolabile (in termini monetari ed ecologici).

II.8. Distribuzione delle colture transgeniche secondo il tratto modificato

Le colture transgeniche, fin dalla loro prima commercializzazione, hanno mostrato

come la ricerca nel suo complesso sia stata indirizzata verso la possibilità di ridurre i costi

di produzione, da un lato, e dall'altro incrementare le produzioni sia attraverso l'aumento

delle rese dei campi coltivati sia attraverso l'aumento delle superfici coltivabili (arable

land, secondo la definizione della Fao).

Questo processo intrapreso dalla ricerca viene confermato, in modo del tutto

evidente, dalla tipologia dei tratti geneticamente modificati.

La diffusione e la distribuzione delle colture transgeniche nel mondo sembra aver

recepito quello che, ragionevolmente, può essere considerato il maggior beneficio

ipotizzato per le colture GM, ovvero di ridurre gli inputs produttivi (prodotti chimici e

capitale umano), ma le argomentazioni successive mostreranno una realtà diversa.

Il grafico 8 e la tabella 10 hanno evidenziato come, tra il 1997 e il 2000, la

distribuzione delle colture GM, rispetto al tratto modificato, sia rimasta sostanzialmente

simile e sia stata in favore di quei prodotti che presentano caratteristiche economiche più

direttamente convenienti, vale a dire verso quelle colture il cui tratto modificato era quello

della tolleranza agli erbicidi e la resistenza (o autoproduzione) agli insetti. Infatti, le

colture del tipo HT e IR sono le più diffuse, cui spettano rispettivamente il 63 e il 36 per

cento del totale delle colture GM nel 1997 e che, relativamente all'anno 2000, l'unica

differenza riscontrabile nella distribuzione risiede nella quota spettante alla tipologia che

sfrutta entrambe le modificazioni, tolleranza agli erbicidi e resistenza agli insetti,

lasciando una quota minima, circa l'un per cento, alla tipologia QT, ovvero a quella

tipologia di prodotti con caratteristiche di miglioramento qualitativo, che sul mercato

potrebbero essere commercializzate ad un prezzo più alto, garantendo al coltivatore un

maggior valore della produzione finale a parità di costi di produzione, quindi prodotti a

maggior valore aggiunto.

Il caso della quota relativa alla tipologia IR che, in base ai dati forniti dall'Isaaa

passa dal 36 per cento del 1996 al 19 per cento del 2000, non può essere considerata come

��

direttamente legata allo sviluppo delle altre tipologie, ma è bene tener presente ciò che è

stato detto nel paragrafo 5: tra il 1999 e il 2000 vi è stata una riduzione delle coltivazioni

di mais, che nella quasi totalità dei casi è del tipo IR, e tale coltura ha un peso

considerevole all'interno di detta tipologia di colture GM.

Nel complesso delle colture, dunque, è evidente, dalla distribuzione per tratto

modificato, come la diffusione delle colture GM sia stata favorita dalla possibilità, non

tanto di aumentare la produttività dei campi, bensì dalla possibilità di ridurre i costi di

produzione attraverso un minor uso di prodotti chimici, che oltre al loro costo di mercato,

offrendo la possibilità di ridurre il capitale umano a favore di una più alta

meccanizzazione dei processi produttivi.

Prima di entrare nel merito delle colture transgeniche più diffuse riteniamo utile

soffermarci su alcuni aspetti relativi alla diffusione nel mondo di tali nuove colture,

aspetti questi desumibili dalla ripartizione percentuale della colture GM, che nel prossimo

capitolo saranno ripresi in un contesto più ampio e dettagliato, e che riguarderà il modo di

produrre OGM.

Un punto fondamentale nella trattazione degli OGM in agricoltura sta

nell'evidente contraddizione delle multinazionali Biotech, le quali pubblicizzano le colture

GM proponendole come il futuro dei PVS e come la soluzione di problemi, come la

malnutrizione, che affliggono tali Paesi da un lato, e dall'altro è evidente come nel

mercato le tipologie di prodotti GM, che più di tutte si sono affermate e diffuse, sono

quelle che più intrinsecamente prevedono un'alta meccanizzazione del processo

produttivo ed un contenuto tecnologico, difficilmente assimilabile dai PVS. Tale

contraddizione sembra affermare come le colture GM, più che essere disponibili e

benefiche per i PVS, siano rivolte verso quei Paesi industrializzati, la cui unica priorità è

quella di ridurre i costi di produzione agricola, attraverso l'introduzione di tecnologie

capital intensive, seguendo in tal modo le richieste di un mercato internazionale sempre

più globale e competitivo, dove le produzioni sono sempre più interdipendenti e,

soprattutto, dove lo sviluppo e la crescita economico-sociale non risiedono nella

produzione di beni alimentari ad alto contenuto nutrizionale o specifici, ma consistono

nella riduzione dei costi con la conseguente possibilità di omogeneizzazione dei prodotti

alimentari eliminando le specificità locali (sia dei prodotti sia di metodi di produzione) a

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scapito, come nell'esempio della Bse21 (Encefalopatia Spongiforme Bovina), della

sicurezza alimentare.

Tralasciando per ora le argomentazioni sulla sicurezza alimentare e

sull'evoluzione dei processi produttivi connessi alla globalizzazione dei mercati, è bene

tornare alla diffusione degli OGM in agricoltura ed in particolare a quelle coltivazioni che

più tra tutte hanno riscontrato un successo sul mercato mondiale (relativamente a quei

Paesi dove attualmente sono autorizzati alla produzione e alla commercializzazione) o,

come preferisce definirli l'Isaaa, "Dominant Transgenic Crops".

La principale coltivazione GM, relativamente all'anno 2000, differenziate secondo

la tipologia di modificazione genetica è la soia HT, che copre il 59 per cento della

superficie mondiale coltivata con prodotti GM, cui segue il mais BT con il 15 per cento

della superficie, ed infine con percentuali tra il 5 e il 6 per cento ognuna, colza HT, mais

HT e cotone HT (Tab. 15).

Un elemento caratterizzante delle "Dominant Transgenic Crops" è che la tipologia

IR è attribuibile principalmente al mais, mentre per converso la tipologia HT è diffusa per

tutte le colture, compreso il mais, la cui quota del tipo HT è relativa al cinque per cento

del totale delle colture transgeniche.

Nel complesso delle quattro colture (mais, soia, colza e cotone) è possibile

evidenziare (Tab. 16) come su 273 milioni di ettari, coltivati a livello mondiale, il 16 per

cento è del tipo geneticamente modificato, ed in particolare soia, cotone e colza GM

coprono rispettivamente il 36, 16 e 11 per cento del totale.

II.9. I mercati destinatari delle produzioni agricole di origine biotecnologica

I paragrafi precedenti illustrano la diffusione delle colture transgeniche nel mondo,

evidenziando come, tra queste, solo alcune hanno suscitato la curiosità e gli interessi degli

addetti ai lavori, ovvero ricercatori e produttori.

Nel complesso, le biotecnologie trovano la loro applicazione essenzialmente nel

settore farmaceutico e agricolo, cioè nella produzione di piante e farmaci modificati

geneticamente.

21 La relazione con la Bse è intesa nel senso che la normalizzazione dei processi produttivi, spesso, è a scapito delle

tipicità locali: infatti, nel caso della Bse la mancanza di sicurezza è, all’origine, dovuta al fatto che sul mercato delle carni non si tiene conto delle tipicità delle razze con le conseguenti caratteristiche di peso (ingrassamento del vitello durante l’allevamento) e della qualità delle carni.

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Tab. 15 - Le principali piante transgeniche per prodotto e tratto modificato

(milioni di ettari)

Tipo di coltura 1999 % 2000 %

Soia HT 21.6 54 25.8 59

Mais BT 7.5 19 6.8 15

Colza HT 3.5 9 2.8 6

Mais HT 1.5 4 2.1 5

Cotone HT 1.6 4 2.1 5

Cotone BT/HT 0.8 2 1.7 4

Totale 36.5 92 41.3 93

Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1999 2000

Graf. 13 - Distribuzione percentuale delle colture transgeniche per prodotto e tratto modificato

ALTRO

COTONEBT/HTCOTONE HT

MAIS HT

COLZA HT

MAIS BT

SOIA HT

��

Tab. 16 - Rapporto tra le principali coltivazioni transgeniche e le

corrispettive convenzionali (milioni di ettari)

Tipo di coltura Area Mondiale Area Transgenica A.Transgenica/

A. Mondiale

Soia 72 25.8 36%

Cotone 34 5.3 16%

Cotone 25 2.8 11%

Mais 140 10.3 7%

Altro - - -

Totale 273 44.2 16%

Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)

Graf. 14 - Rapporto tra le colture transgeniche e le corrispettive convenzionali

(in milioni di ettari)

020406080

100120140160

SOIA COTONE COLZA MAIS

TRANSGENICO NON TRANSGENICO

��

Restringendo l'attenzione sul solo settore agricolo è possibile evidenziare come le

produzioni transgeniche, ed in particolare le colture di soia, mais, cotone e colza, non

siano destinate solo ed esclusivamente al mercato agricolo inteso come mercato destinato

direttamente all'alimentazione umana e animale, ma esse si presentano come prodotti

intermedi nell'industria alimentare, taluni, ed altri trovano il loro mercato di destinazione

in altre industrie, come ad esempio l'industria tessile, nel caso del cotone.

Prima di entrare nel dettaglio dei singoli prodotti agricoli, relativamente ai loro

campi di applicazione, è utile sottolineare un aspetto molto interessante dei prodotti GM

più diffusi: le principali colture GM e le loro corrispettive "versioni" convenzionali

trovano sul mercato industriale numerose applicazioni in molti settori tra loro eterogenei,

dunque le variazioni nei costi e nelle rese di tali prodotti agricoli possono avere

ripercussioni su molteplici settori industriali, da quello farmaceutico a quello dei

carburanti, un mercato di destinazione, stando ai fatti, dal potenziale di crescita e di

profitto di notevole entità.

Le caratteristiche dei prodotti transgenici finora coltivati mostrano come

l'interesse dei produttori e dei ricercatori, stando allo stato attuale, sia rivolto verso quelle

produzioni maggiormente utilizzate dall'industria alimentare intermedia (intesa come

produzione di beni intermedi), dove la ricerca di fondo non risiede nel miglioramento

delle caratteristiche merceologiche, ma nell'ottimizzazione dei processi produttivi atti alla

riduzione dei costi di produzione (sia come costo delle materie prime sia come capitale

umano) seguendo uno schema consolidato nel nostro tempo, ovvero trovare una corretta

interpretazione delle richieste dei mercati internazionali, in termini di globalizzazione e

normalizzazione dei mercati.

Le considerazioni appena fatte entrano in contraddizione con quanto affermano le

società del settore biotecnologico circa i benefici di cui potrebbero giovare i PVS: le

industrie di trasformazione e commercializzazione, oltre alla ricerca, sono proprie dei

Paesi a medio-alto sviluppo. I principali destinatari di tali prodotti, intesi come fonte di

profitto e sviluppo, non sono i paesi arretrati: essi possono essere considerati solo mercati

di sbocco, e, volendo fare una considerazione di carattere strettamente economico, è

possibile affermare che l'introduzione in tali paesi di prodotti, il cui contenuto tecnologico

appartiene a soggetti stranieri o perlomeno appartengono a soggetti stranieri i settori della

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filiera a più alto valore aggiunto, non è detto che si riveli un presupposto di sviluppo e di

crescita economica.

Allo stato attuale dello sviluppo dei prodotti Gm è ragionevole considerare come

l'unico beneficio di cui i PVS potrebbero godere è quello della coltivazione, la cui

redditività è relativamente bassa, dato il basso contenuto tecnologico dell'output e la

concorrenza esistente sui mercati internazionali, che vede confrontare i PVS con Paesi

dotati di un’agricoltura più meccanizzata e produttiva; in sintesi, il beneficio da trarre da

parte dei PVS dagli OGM in campo agricolo è quello della coltivazione dello Staple, con

tutti i rischi connessi e le problematiche ampiamente argomentate nella letteratura

economica, dai teorici dell'Imperialismo a quelli della Dependençia.

Tornando alla descrizione dei principali mercati destinatari dei prodotti

biotecnologici e al loro utilizzo nei processi produttivi industriali potrebbe essere utile al

lettore avere un quadro completo delle applicazioni industriali delle piante transgeniche,

un quadro che possa far comprendere il perché alcune piante siano state interessate dal

fenomeno OGM ed altre no; inoltre è necessario considerare, stando allo stato attuale

delle coltivazioni, che le biotecnologie sono di beneficio solo per alcuni Paesi e che i

prodotti attualmente coltivati e commercializzati, sia in termini di tipologia di prodotto sia

in termini di tecnica produttiva, sono estranei e lungi dal contribuire ad alleviare il

problema della malnutrizione e del sottosviluppo.

Tralasciando per ora il caso del cotone, il quale trova il proprio settore di

destinazione nell'industria tessile, è fondamentale considerare in quali applicazioni

industriali trovano i principali prodotti biotecnologici: soia, mais e colza.

I prodotti derivanti dalla soia sono principalmente il latte e la lecitina di soia che

trovano nell'industria alimentare un loro massiccio impiego nella produzione dolciaria

(quasi il 90% dei biscotti e dei dolci contiene lecitina di soia, usata come emulsionante al

fine di miscelare le parti oleose a quelle acquose); altri impieghi della soia sono

rintracciabili, ad esempio, nelle salamoie e nella preparazione di piatti pronti, oltre,

naturalmente, al quotidiano uso umano (in particolare in Cina) e animale sotto forma di

farina o oli come componenti del foraggio.

Il mais, così come la soia, è da sempre utilizzato dall'industria foraggiera o

destinata al consumo umano, sia in forma intera sia sotto la forma di oli, ma il suo

impiego, al contrario di quanto si pensi, è molto diffuso in quasi tutti i settori produttori di

alimenti, tant'è che secondo uno studio recente si stima che ogni persona ne consumi ogni

anno almeno 10 Kg, equivalente a circa 1 litro di olio (Focus N°100, Febbraio 2001).

Il caso della colza è simile a quello del mais e della soia, ma al contrario di

quest'ultimi non viene direttamente consumato sotto forma di prodotto alimentare: infatti,

la colza trova il suo impiego nell'industria alimentare sotto forma di olio (le modificazioni

genetiche prossime per la colza sono indirizzate verso la produzione di colza a più alto

contenuto di sostanza oleose e con basso contenuto di acido erucico), e stando alle ultime

ricerche la colza è destinata a diventare il carburante del nuovo millennio per la

caratteristica di non essere inquinante e di mantenere il motore dei veicoli in ottimo stato,

grazie ai suoi componenti oleosi.

II.10. Ogm di prima e seconda generazione

I prodotti di origine geneticamente modificata, fino ad oggi coltivati e

commercializzati in alcuni Stati, rientrano in una categoria che gli studiosi definiscono

come OGM di prima generazione o input traits. Tali prodotti costituiscono l'inizio dello

sviluppo delle piante transgeniche: infatti, la definizione di input traits racchiude in sé il

significato e la struttura delle prime piante transgeniche prodotte dalle multinazionali del

settore, vale a dire che la prima generazione di OGM è stata indirizzata verso il

miglioramento delle caratteristiche produttive delle piante, quindi la denominazione input

traits sta ad indicare che tali prodotti hanno il compito di risolvere problemi legati alla

coltivazione (malerbe e infestazione di insetti), che incidono sul livello di produzione.

Attraverso gli OGM di prima generazione si è intenti a risolvere problemi secolari

dell'attività agricola mondiali, problemi che incidono, attraverso della perdita dei raccolti,

sulla redditività degli stessi. La resistenza agli erbicidi selettivi e l'autoproduzione di

insetticida costituiscono il punto di partenza della ricerca biotecnologica: l'ipotetica

strategia, desumibile dalla tipologia di sperimentazioni che si stanno attuando in diversi

Paesi, dovrebbe portare tra alcuni decenni alla realizzazione di prodotti di seconda e terza

generazione, caratterizzati non solo da modificazioni che risolvono problemi inerenti alla

coltivazione, ma anche da caratteristiche nutrizionali migliori. Le sperimentazioni in atto

confermano questa linea di tendenza della ricerca ispirata dalla necessità di ottenere

prodotti a più alto contenuto tecnologico e possibilmente a più alto valore aggiunto (anche

se è ancora non definibile chi tra agricoltori o società produttrici sia il destinatario di tale

valore aggiunto). Il fine ultimo della ricerca sulle biotecnologie dovrebbe in un prossimo

futuro assicurare la convergenza tra due produzioni, quella biotecnologica e quella

farmaceutica, indirizzate verso la realizzazione dell'alimento-farmaco.

La ricerca sugli OGM di seconda generazione, ovvero quelli che dovrebbero

inglobare sia miglioramenti produttivi sia quelli relativi alla qualità ed al livello nutritivo,

è stata annunciata da pochi anni e i primi prodotti disponibili sul mercato non dovrebbero

tardare, in particolare uno dei primi prodotti già sperimentati e in stato di discussione è il

riso con modificazioni genetiche per ottenere un maggior contenuto di ferro e vitamina

A22, la cui sperimentazione ad oggi è stata deludente.

In generale le ricerche sugli OGM nei prossimi anni saranno caratterizzate quindi

sia da input traits sia da output traits che permetteranno di ottenere innovazioni di

prodotto e di processo, seguendo un percorso già intrapreso, costituito dalla necessità di

ottenere una presenza simultanea nella stessa pianta di più modificazioni genetiche (il

caso di OGM contemporaneamente del tipo HT e IR ne sono una prova evidente), che

garantiscano una più alta convenienza ed affidabilità, proponendo al consumatore e al

coltivatore un prodotto dalle caratteristiche migliori.

Nel medio-lungo termine i tratti saranno indirizzati verso la realizzazione di

prodotti ben definiti, che interesseranno tutte le produzioni agricole, compreso il settore

orticolturale, anche se i dubbi sollevati negli ultimi anni sia dagli agricoltori sia da alcune

istituzioni internazionali circa la reale efficienza degli OGM, sembra aver fatto rallentare

la diffusione, con conseguenze dirette sul rilascio della nuova generazione di Ogm.

Tuttavia, ciò che più di tutto ha rallentato la ricerca non sembra esser stato il pericolo

paventato da alcuni studi scientifici circa gli effetti sull'ambiente, ma sembra che la brusca

frenata del settore sia dovuta ad una reale insoddisfazione da parte degli agricoltori nei

confronti di tali prodotti, insoddisfazione che nasce dalla differenza tra i livelli di

produttività e redditività promessi e quelli realizzati, che, di fatto, hanno scoraggiato gli

agricoltori a continuare a coltivarli (basti pensare al caso della colza canadese e al mais

statunitense citati nei paragrafi precedenti).

22 Le carenze di vitamina A e ferro sono alla base di malattie diffuse nel terzo mondo come l'anemia e il deficit

d’accrescimento corporeo.

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II.11. I mercati sementiero e fitofarmacologico

Il mercato agricolo, inteso in senso generalizzato, è frutto dell'interazione di più

industrie che costituiscono nel loro insieme la filiera produttiva dei prodotti agricoli: tra

questi i settori primari possono essere identificati in quello sementiero e quello

agrochimico o fitofarmacologico, che forniscono le materie prime necessarie all'attività

produttiva.

Il mercato delle produzioni agricole transgeniche è parte integrante di quello

agricolo tradizionale, e la sua diffusione ha negli anni ne ha modificato la struttura, in tal

senso le produzioni di OGM non solo ne sono diventate parte integrante, ma hanno

influenzato notevolmente la struttura produttiva e più in generale le linee di strategia di

mercato e di ricerca.

Gli interessi che ruotano attorno al mercato transgenico sono enormi e hanno

attirato principalmente l’attenzione di quelle industrie che abbiamo definito come

primarie. Nel giro di pochissimi anni il fatturato del mercato sementiero transgenico è

andato crescendo ad una velocità decisamente alta, passando da un valore di mercato di

circa 152 milioni di dollari del 1996 a circa 2750-3000 del 1999 (secondo le proiezioni

dell'Isaaa), vale a dire che il valore di tale mercato è cresciuto di venti volte in soli quattro

anni (Tab. 17).

Attualmente il mercato sementiero delle colture transgeniche occupa il 10% di

quello mondiale, stimato attorno ai 30 miliardi di dollari. All'interno del mercato

sementiero è possibile costatare come i prodotti più diffusi abbiano inciso in maniera più

significativa di altri: in particolare se ci riferisce al solo al mercato degli OGM del tipo

HT il fatturato è cresciuto del 180% tra il 1997 e il 1998, da 425 a 1188 milioni di dollari,

mentre nel caso dei prodotti IR il fatturato è cresciuto da 423 a 738 milioni di dollari,

sempre in riferimento al periodo 1997-1998. Le statistiche del FIS mostrano come,

relativamente al 1998, il mercato sementiero dei prodotti transgenici costituiva il 6% del

mercato sementiero mondiale e come all'interno dell'industria sementiera mondiale vi

siano Stati che godono di una posizione di rilievo nella produzione e commercializzazione

di sementi agricole Gm, come ad esempio gli USA, Argentina e Canada, che possiedono

rispettivamente il 77, 12 e 9 per cento del fatturato sementiero transgenico mondiale.

Tab. 17 - Valore del mercato sementiero transgenico

(in milioni di dollari USA)

Anno Valore del mercato Incremento in $ Incremento percentuale

1996 152

1997 851 699 459

1998 1959 1108 131

1999 2750-3000 791-1041 40-53

Fonte: James (2000)

Fonte: James (2000)

Graf. 15 - Valore del mercato sementiero transgenico 1996-1999 (in milioni di dollari USA)

152

851

1959

3000

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

1996 1997 1998 1999

Riferendoci al mercato sementiero mondiale, secondo i dati FIS, è possibile

costatare come il fatturato del commercio delle sementi abbia una discreta concentrazione

in pochi Paesi, come USA, Cina, Giappone, Russia, Francia, Brasile e Germania, cui

spettano 16.270 milioni di dollari, pari al 54% del fatturato mondiale della vendita di

sementi (Tab. 18).

Relativamente al 1999, le stime valutano le vendite del mercato sementiero

transgenico attorno ai 3000 milioni di dollari, attribuibili nella maggior parte ai principali

Stati produttori di OGM, vale a dire USA, Argentina e Canada, una crescita del fatturato

del 40-53 per cento sull'anno precedente, che rispecchia tra l'altro l'andamento sulla

diffusione dei prodotti transgenici; le stime per gli anni a venire, sempre in relazione al

grado di accettazione futura dei prodotti GM, descrivono uno scenario di tutta crescita del

fatturato sementiero transgenico che dovrebbe essere di circa 8000 di dollari per l'anno

2005 per arrivare nel 2025 a circa 25000 milioni di dollari, ovvero entro il 2025 il

fatturato sementiero GM arriverà ad un valore prossimo a quello attuale mondiale.

Il mercato agro-chimico segue lo stesso andamento di quello sementiero,

relativamente ai prodotti GM, anche perché le tecniche di coltivazione di piante

geneticamente modificate fanno sì che vi sia una strettissima relazione tra questi due

mercati, in particolare per i prodotti del tipo HT: infatti, la peculiarità già accennata in

precedenza delle produzioni transgeniche è incentrata sulla stretta relazione di dipendenza

tra semi e prodotti chimici che è alla base del "pacchetto di produzione biotecnologica",

ad ogni seme un suo unico erbicida, una linea strategica tracciata dalle aziende produttrici

che dovrebbe proseguire negli anni, e che ha sollevato numerose critiche circa la possibile

distorsione che si verrebbe a crearsi sul livello di concorrenzialità nel mercato e, più in

generale, sulla capacità di controllo da parte delle multinazionali del settore nei confronti

sia degli agricoltori sia delle produzioni agricole.

Il commercio internazionale delle sementi agricole interessa principalmente alcune

tipologie di prodotti (Tab. 19) che, nella quasi totalità dei casi, interessano l'industria

alimentare: infatti, dalla tabella 19 è possibile evidenziare come mais, patate, colture

erbacee e barbabietole abbiano un ruolo di prima importanza nel settore delle esportazioni

di sementi agricole. Tuttavia è evidente dai dati espressi come l'intera industria alimentare

mondiale e quella agricola, intesa come produttrice di sementi e prodotti chimici, siano

molto attente all'evoluzione dei prodotti transgenici, anche perché, come è stato detto in

Tab. 18 - Valore del commercio mondiale delle sementi agricole

(in milioni di dollari USA)

Stato Mercato interno Quota di mercato mondiale

USA 5700 19%

Cina 2500 8%

Giappone 2500 8%

Russia 2000 7%

Francia 1370 5%

Brasile 1200 5%

Germania 1000 3%

Totale 30000 55%

Fonte: FIS (1999)

Tab. 19 - Valore delle esportazioni mondiali di sementi

(in milioni di dollari USA)

Coltura Esportazione di sementi

Mais 530

Colture erbacee 427

Patate 400

Grano 75

Barbabietole 308

Altro 1900

Totale 3640

Fonte: FIS (1999)

precedenza, le caratteristiche di modificazione per le piante GM attualmente disponibili

sul mercato sono indirizzate per lo più verso la produzione di piante che abbiano una certa

importanza nei processi produttivi industriali, e per converso tali modificazioni hanno

effetti quasi nulli circa una possibile Nuova Rivoluzione Verde che, dopo quella degli

anni sessanta che ha portato alla diffusione, spesso incontrollata, dei prodotti chimici in

agricoltura, possa risolvere i problemi degli agricoltori del Sud del mondo, certamente

non dovuti ad una mancanza di meccanizzazione nei processi produttivi.

II.12. Benefici economici apportati dalla coltivazione di piante transgeniche in

USA e Canada

I primi dati sulla redditività delle coltivazioni geneticamente modificate sono

relativi agli USA e al Canada che, in qualità di pionieri nella coltivazione di piante

transgeniche, hanno potuto contabilizzare i benefici apportati dalle prime coltivazioni

GM.

Di seguito saranno riportati i dati di contabilità relativi alle prime coltivazioni

transgeniche per fornire al lettore un quadro iniziale sugli effetti economici derivanti dalla

diffusione e commercializzazione degli Ogm, e che nel prossimo capitolo saranno

analizzati più in dettaglio, al fine di verificare la reale convenienza degli OGM per gli

agricoltori e per l'agricoltura mondiale in generale, attraverso la comparazione di

produttività e redditività tra le varie colture GM e le loro corrispettive tradizionali.

I dati riportati nella Tab. 20 mostrano i benefici economici apportati dalle colture

transgeniche su 23.3 milioni di ettari, relativi al 1998, coltivati in USA e Canada. I dati

sono il risultato di un'indagine effettuata dall'Isaaa, tenendo conto della produzione totale,

della produttività e comprendono le variazioni di dipendenza dei campi coltivati dall'uso

di agenti chimici, in particolare, essendo tutti i prodotti del tipo HT o IR tali prodotti

chimici, saranno essenzialmente diserbanti ed insetticidi.

Gli utili netti calcolati dipendono naturalmente dal tipo di coltura, dal grado di

infestazione e dalla localizzazione dei campi coltivati (tipologia dei terreni, clima e

ambiente circostante). I dati relativi al cotone BT prodotto in USA sono forniti all'Isaaa

dall'Istituto Falk-Zepeda, che fornisce oltre a dati consuntivi sulla produzione di cotone,

dati sulla distribuzione degli utili fra i vari componenti della filiera.

Tab. 20 - Stima dei benefici apportati dalle colture transgeniche in USA e

Canada

Coltura 1996 1997

Area

Transgenica23 Benefici24

Area

Transgenica Benefici

USA

Soia HT 0.4 12 3.6 109

Mais BT 0.3 19 2.8 119

Cotone BT 0.7 128 1.0 133

Cotone HT -- -- 0.3 5

Totale USA 1.4 159 7.7 366

CANADA

Colza HT 0.1 5 1.2 48

Mais BT <0.1 <1 0.1 5

Totale Canada >0.1 5 1.3 53

Totale 3.8 164 21.7 419

Fonte: James (1998)

23 Le aree sono stimate in milioni di ettari 24 I benefici sono stimati in milioni di dollari USA

Lo studio stima che ad un utile netto di 128 milioni di dollari USA, relativi alla

produzione di cotone BT nel 1996 in USA, corrisponde un surplus economico del settore

pari a circa 240 milioni di dollari, dei quali il 53% (128 milioni di dollari) sono spettati

agli agricoltori, il 26% alle società fornitrici Monsanto e Delta & Pine Land, il 12% è

spettato ai consumatori statunitensi, ed il restante 9% è andato al resto del mondo come

surplus economico.

Benefici della soia HT in USA

I benefici ottenuti dalla coltivazione di soia HT negli Stati Uniti sono riconducibili

ad una diminuzione, per gli anni 1996-1997, dei prodotti chimici, la cui intensità varia tra

il 10 e il 40 per cento, con conseguente riduzione dell'inquinamento dei terreni e delle

falde acquifere.

Dal punto di vista della performance economica della soia è da evidenziare un

incremento, sia nel 1996 sia nel 1997, delle rese dei campi di circa il 4,7%, il che si

traduce in un utile netto di circa 29,64$ per ettaro coltivato.

A livello di contabilità nazionale la performance della soia HT si riflette in un utile

nazionale netto di circa 12 milioni di dollari nel 1996, a fronte di 0.4 milioni di ettari

coltivati (1% della superficie nazionale coltivata con soia), e di 109 milioni di dollari nel

1997, conseguentemente ad una superficie coltivata pari a 3,6 milioni di ettari, 13% della

superficie nazionale (James, 1998).

Mais BT in USA e Canada

La principale miglioria apportata dal mais BT è stata, nel periodo 1996-1997,

quella di aver ridotto le perdite di raccolto causate dalla piralide attraverso l'uso congiunto

di piante BT e insetti benefici.

La performance economica è stata di un aumento delle rese del 7% nel 1996 e del

9% nel 1997, con un ritorno di utile netto per ettaro di circa 67,30$ nel 1996 e 42,00$ nel

1997, equivalenti a livello di contabilità nazionale di circa 19 milioni di dollari nel 1996 e

119 nel 1997. Le mancate perdite provocate dalla piralide sono stimabili in circa un

miliardo di dollari per anno, cifra che può arrivare al 30% di perdite di raccolto in caso di

infestazioni gravi di cui sono affetti la metà dei campi statunitensi (15 milioni di ettari).

Per quanto riguarda la diffusione del mais BT è significativo considerare come si è

passati, tra il 1996 e il 1997, da circa 300 mila a 2,7 milioni di ettari coltivati, pari

rispettivamente all'uno ed al 9% per cento della superficie nazionale (James, 1998).

Cotone BT in USA

I benefici apportati dalla coltivazione di cotone BT in USA sono da riferirsi al

maggior controllo delle infestazioni da insetti (principalmente nematodi), che ha portato

ad una riduzione di circa il 70% degli agenti chimici. Tale beneficio si è tradotto in un

utile netto nazionale di 128 milioni di dollari nel 1996 e 133 milioni nel 1997, in

conseguenza di un aumento delle rese di circa il 14% a fronte di una superficie coltivata

di 700 mila ettari nel 1996 (13% della superficie nazionale) e di un milione di ettari nel

1997 (17% della superficie nazionale).

Nel complesso è da considerare come nel 1998 la superficie destinata al cotone

transgenico è salita a 2 milioni di ettari, composti non solo da cotone BT, ma anche da

nuovi tipi di cotone GM come ad esempio il tipo HT e il tipo HT/BT (James, 1998).

Colza HT in Canada

La performance della colza HT, sempre in riferimento al biennio 1996-1997, è da

ricondurre alla diminuzione del 70% dei trattamenti erbicidi e ad un maggior controllo

delle infestazioni da parte di insetti congiuntamente ad una minor erosione del suolo.

Al livello economico la performance della colza si traduce in un aumento delle

rese di circa il 7,5% nei due anni considerati, con un utile netto di circa 39,19$ per ettaro

coltivato. A livello di contabilità nazionale l'aumento delle rese e la diminuzione dei

trattamenti erbicidi si riflette in un valore degli utili di 12 milioni di dollari nel 1996 e 109

nel 1997, corrispondenti a circa 100 mila ettari coltivati nel 1996 (3% della superficie

nazionale) e 1.200 mila ettari nel 1997 (30% della superficie nazionale (James, 1998).

Considerazione sui valori aggregati

I dati, riportati in precedenza sulle performances delle prime piante Gm coltivate

in USA e Canada, mostrano come, nei soli due Paesi, l'adozione di tali colture abbia

contribuito ad incrementare le rese agricole e a ridurre l'uso di agenti chimici permettendo

di trarre da tali ottimizzazioni produttive ricavi per 164 milioni di dollari nel 1996 e per

419 milioni di dollari nel 1997, in relazione ad un’area coltivata di 3,8 e 21,7 milioni di

ettari rispettivamente per gli anni 1996 e 1997 (James, 1998).

L'interpretazione dei dati forniti dall'Isaaa permette in un primo momento di

cogliere gli aspetti economici positivi delle prime piante GM, ma, essendo i dati aggregati

per i singoli Stati o le singole colture, non permettono una migliore analisi a livello

disaggregato. Infatti, secondo uno studio commissionato dalla comunità europea

l'aumento delle rese e la diminuzione degli agenti chimici sono validi solo a livello

nazionale, in quanto a livello sub-nazionale tali statistiche variano sensibilmente da Stato

a Stato, da terreno a terreno, anche in misura alquanto notevole (Commissione Europea,

2000), ma ciò verrà analizzato in dettaglio nel capitolo terzo.

I risultati dell'indagine della Comunità Europea mostrano come possano essere

diverse le performances economiche degli OGM, se considerate ad un livello più

disaggregato di quello nazionale.

II.13. Area mondiale potenzialmente adatta alla diffusione delle colture

transgeniche

Considerando le principali colture transgeniche disponibili sul mercato è possibile

definire le aree potenzialmente destinate alle colture transgeniche, ovvero le aree che per

caratteristiche ambientali richiedono delle metodologie di coltivazione diverse da quelle

tradizionali: infatti, i prodotti disponili sul mercato sono orientati verso quelle produzioni

dislocate in territori dove malerbe ed insetti sono i principali fattori che determinano i

risultati della raccolta e della redditività agricola

L’area mondiale desinata alla coltivazione di mais, soia, colza e cotone a livello

mondiale ammonta a circa 271 milioni di ettari e complessivamente, le colture del tipo

Gm ne occupano il 16% (44,2 milioni di ettari). Relativamente alle singole colture, come

detto in precedenza, si evince come la soia con caratteristiche transgeniche sia la più

diffusa coprendo i 36% dell’area mondiale (nei soli USA più della metà dell’area

destinata alla soia è di tipo Gm), seguita da cotone, colza e mais, che rispettivamente

coprono il 16, 11 e 7 per cento delle corrispettive aree mondiali.

Interessante è considerare quali terreni, a livello mondiale, siano a potenziale

transgenico, al fine di individuare o meglio ipotizzare, il potenziale di diffusione di tali

colture.

Tab. 21 – Area mondiale a potenziale transgenico

(in milioni di ettari)

Coltura Area

mondiale

Area

potenziale

Area Gm

1998

Quota Gm 1998 su

potenziale

Soia HT 72 30 25,8 86%

Mais BT 140 49 6,8 14%

Cotone BT 34 11 1,5 14%

Colza HT 25 25 2,8 11%

Mais HT 140 60 2,1 3%

Totale 271 175 39

Fonte: nostra elaborazione su dati James (1998 e 2000)

Sempre dalla tabella 21 è da rilevare come, soia a parte, lo sviluppo delle colture

transgeniche sia all’inizio (da tener conto che le varie legislazioni nazionali hanno molto

limitato la diffusione di piante GM, che, come detto in precedenza, sono attualmente

pertinenti solo ad alcuni Paesi). Osservando, poi, le singole colture differenziate per

tipologia di modificazione è evidente come la soia abbia un potenziale di diffusione assai

limitato coprendo circa l’86% della sua area potenziale, mentre le altre colture hanno

ancora un buon margine di diffusione.

Particolare che salta agli occhi dalla tabella 21 è che la colza, rispetto alle altre

colture, ha un potenziale transgenico equivalente a tutta la sua area, così come il mais ha

un potenziale transgenico di 109 milioni di ettari sui 140 totali suddivisi nelle due

tipologie BT e HT. Tra tutte le coltivazioni solo il cotone presenta un potenziale

transgenico pari ad un terzo della sua area.

La tabella 21 mostra tuttavia come, nel complesso, il reale potenziale di diffusione

delle colture Gm sia solo agli inizi, soprattutto se si tiene conto dei possibili sviluppi

futuri sia dei prodotti sia dei Paesi che potrebbero avvicinarsi a tali nuove coltivazioni. E’

da tener presente, inoltre, come le colture transgeniche sono disponibili sul mercato

mondiale solo dal 1996, e relativamente a quei Paesi che ne hanno consentito la

coltivazione in campo aperto: tutto ciò fa pensare che il futuro di tali produzioni sia

incerto, causa la mancata accettazione per ovvi motivi di precauzione.

C a p i t o l o T e r z o

LA COMPETITIVITA’ DELLE BIOTECNOLOGIE IN AGRICOLTURA

III.1. Introduzione

Il fine principale del capitolo è descrivere la composizione delle funzioni di

produzioni connesse alle coltivazioni di piante GM, così come si presentano attualmente,

attraverso cui poterne definire il reale livello di competitività ed efficienza economica

rispetto alle colture tradizionali, attribuendo importanza anche al livello di sostenibilità e

convenienza nel lungo periodo sia per l’agricoltore sia per l’ambiente.

Le biotecnologie, in generale, non rappresentano solo un nuovo strumento

attraverso il quale è possibile rivoluzionare il settore agricolo, ma comportano anche un

nuovo modo di relazionarsi e concepire la natura25.

Il rapporto tra l’uomo e la natura che lo circonda è un rapporto che troppo spesso è

stato ignorato o considerato semplicemente non vincolante nel contesto delle analisi

economiche: ciò che in tale sede s’intende realizzare è quello di introdurre, in un contesto

puramente economico, il concetto di natura stessa, intesa come una variabile rilevante e

non eludibile.

Riuscire a verificare la reale convenienza economica degli Ogm in agricoltura

attraverso confronti e analisi contabili, o meglio analizzando le diversità nella struttura

produttiva e nei costi rispetto alle coltivazioni tradizionali, costituisce un punto

fondamentale per individuare la reale necessità di tale nuovo modo di produrre, dove,

anche se non direttamente incluso nel modello di analisi, la natura diviene parte integrante

della discussione e dell’analisi contestuale: la conseguenza di una tale posizione non

troverà un riscontro quantitativo nello studio che s’intende affrontare, come competerebbe

ad ogni elaborazione che voglia avere un carattere esclusivamente scientifico, ma il

25 Il concetto di natura è qui indicato come l’insieme delle specie ed in particolare tale concetto è considerato inscindibile

dall’azione dell’uomo.

concetto di convenienza degli Ogm sarà affrontato tenendo conto che le fondamenta del

discorso poggiano su di una virtuale analisi costi-benefici, che possa fungere da ago della

bilancia nel definire una produzione conveniente o meno rispetto ad un’altra, e la

conseguenza di una tale premessa sarà possibile rintracciarla nella definizione quantitativa

di ciò che è conveniente, ovvero sarà definito conveniente solo ciò che potrebbe cambiare

lo status quo, apportando significativi vantaggi (di convenienza per gli agricoltori, di

sicurezza alimentare e di tutela dell’ambiente), rapportati naturalmente ai costi (rischi)

connessi (in questo caso la salute umana, la natura, il settore agricolo e suoi operatori).

Nel prosieguo l’intento sarà quello di confrontare la struttura produttiva degli

Ogm con i corrispettivi tradizionali: si analizzeranno le diversità nella struttura dei costi e

nelle variazioni quantitative e qualitative degli inputs produttivi, nella redditività e nella

produttività dei sistemi a confronto. In un secondo momento si tenterà di verificare gli

effetti sulla natura, attraverso le variazioni quantitative e qualitative dei prodotti chimici

utilizzati nelle produzioni agricole (ovvero i costi sociali26).

III.2. Linea metodologica

Nel seguito del capitolo l’analisi, come precedentemente detto, verterà sulla

comparazione tra le coltivazioni transgeniche e le corrispettive tradizionali, rispetto alla

distribuzione dei costi e alle caratteristiche performanti, al fine di ottenere un quadro

sintetico sulla reale convenienza delle coltivazioni transgeniche.

I dati utilizzati sono provenienti da varie fonti con l’intento di dare

un’informazione più completa, ed allo stesso tempo più eterogenea rispetto alle

metodologie utilizzate; inoltre, un altro motivo per il quale si è preferito utilizzare più

fonti è quello di evidenziare come le differenti metodologie di rilevazione utilizzate

abbiano portato a risultati, a volte, estremamente contrastanti tra loro.

Le principali fonti utilizzate sono relative all’USDA (Dipartimento Statunitense

dell’Agricoltura) e al NCFAP (National Center for Food and Agricultural Policy), tramite

le elaborazioni di Carpenter e Gianessi, oltre all’indagine effettuata nel 2000 dalla

Comunità Europea sul fenomeno delle coltivazioni transgeniche.

26 Il termine sociale è riferito alla constatazione che i costi (rischi) non sono semplicemente a scapito della natura, intesa

come ambito separato dalla vita degli esseri umani, ma sono riferiti al fatto che dallo stato di salute della natura dipende quella umana, e che comunque i possibili costi di un danno ambientale sono in fin dei conti a spese dell’uomo e della società che dovrà porvi rimedio.

Le elaborazioni successive faranno riferimento alla soia, al cotone e al mais Gm

coltivato negli USA e alla colza canadese, scelti come coltivazioni di riferimento sia per il

numero di ettari coltivati sia per il numero di anni di esperienza degli agricoltori nella

coltivazione.

III.3. Le performances economiche della soia HT

Le analisi condotte sulla soia transgenica sono prevalentemente relative alla

tipologia HT, o meglio ancora alla tipologia Roundup Ready (RR) della società Monsanto

(ora Pharmacia), alla quale va attribuita una percentuale stimabile attorno all’80% della

soia transgenica HT attualmente coltivata (Commissione Europea, 2000).

Le ragioni che spingono i coltivatori ad utilizzare sementi GM sono

principalmente da ricondurre alla possibilità, a detta delle società produttrici, di

incrementare le rese congiuntamente ad una diminuzione dei costi di produzioni, tramite

la riduzione del quantitativo dei trattamenti chimici (sia in termini quantitativi per ettaro

sia in termini di numero di applicazioni per anno), con un conseguente aumento del valore

aggiunto delle coltivazioni.

Negli USA sono stati condotti vari studi per verificare l’effettiva resa della soia

HT, e tutti hanno evidenziato un risultato non atteso: le rese per ettaro della soia HT

risultano influenzate molto dal territorio e dalle caratteristiche ambientali dove viene

attuata la coltivazione, con una conseguente variabilità nelle rese stesse.

Le differenze riscontrabili nelle rese tra le varietà convenzionali e quelle

transgeniche mostrano come non sia possibile definire in modo univoco quale delle due

coltivazioni sia la più conveniente (dal punto di vista della produttività delle sementi).

Dalla tabella 22 è possibile verificare come la differenza nelle rese, delle due tipologie di

coltivazioni di soia, sia molto variabile da Stato a Stato (lo studio è rivolto al territorio

statunitense): infatti, la differenza delle rese, relativamente al 1998, tra le varietà

transgeniche e quelle tradizionali mostra come esse siano variabili tra un aumento del

3.5%, relativo allo stato dell’Illinois, ed una diminuzione del 12%, nel caso del Nebraska,

inoltre la medesima situazione è stata riscontrata nel 1999 dove si passa da un aumento

del 2%, sempre nell’Illinois, ad una diminuzione dell’11%, dell’Ohio.

La non uniformità delle differenze performanti riscontrata nelle rese della soia HT

sono relative non solo rispetto ai vari Stati USA, ma sono presenti anche all’interno

��

degli stessi: infatti, secondo Benbrook (1999), le rese, ad esempio, all’interno dello Stato

del Minnesota sono estremamente variabili, le differenze di resa tra la soia Gm e quella

convenzionale varia da un meno 18% del centro del Paese ad un meno 1% del nord, così

come nel Wisconsin dove, secondo i dati, la differenza tra soia GM e tradizionale non è

stata identificabile, ovvero è stata variabile da un aumento del 3% nel nord dello Stato ad

una diminuzione del 4% nel sud.

La tabella 22 mostra, non solo, come non sia possibile definire uno standard

performante univoco per le sementi geneticamente modificate rispetto ai corrispettivi

tradizionali, ma allo stesso tempo si evidenzia un fattore di rischio importante per gli

agricoltori: l’estrema variabilità nelle rese delle coltivazioni transgeniche rappresenta una

spinta repulsiva nell’adozione di piante GM. Tale variabilità nelle rese delle piante GM

costituisce un fattore di repulsione rispetto a tali colture da parte degli agricoltori, proprio

perché tali dati annullano il principale vantaggio dei prodotti transgenici, vale a dire un

aumento delle rese agricole congiuntamente ad una maggiore stabilità delle stesse.

Una delle principali caratteristiche delle coltivazioni Gm è quella di poter ridurre

gli agenti chimici utilizzati in agricoltura, in termini sia di quantità sia nel numero dei

trattamenti: ciò rappresenta uno dei punti di forza nella strategia promossa dalle

multinazionali del settore.

Nel caso della soia Roundup Ready della Monsanto la resistenza è relativa

all’erbicida Roundup della Monsanto stessa, basato sul glifosato. La tecnologia HT è il

risultato di uno studio condotto per anni dalle società biotech, vale a dire inventare una

pianta che abbia bisogno di un minor uso di erbicidi e che sia nel contempo resistente ad

esso.

La possibilità per gli agricoltori di coltivare una pianta, che resista ad un erbicida

non selettivo come il Roundup della Monsanto, rappresenta un notevole punto di forza

perché permette di ottenere una stabilità delle rese, conseguentemente al controllo delle

erbe infestanti: infatti, nelle coltivazioni soggette ad infestazioni di malerbe la possibilità

di ridurre al minimo tale infestazione permette, oltre al normale controllo delle rese, di

facilitare la coltivazione, di limitare la possibilità di perdite di raccolto, riducendo nel

contempo stesso il numero di trattamenti chimici, nella quantità totale e nel numero di

agenti chimici. Tale situazione permette di ridurre la quantità di lavoro nei campi, in

��

modo tale da ottenere al limite del ragionamento il completo controllo ed automazione del

ciclo produttivo.

Lo studio sulla funzione di produzione costituisce uno strumento fondamentale per

verificare la convenienza e la struttura produttiva associata alla coltivazione di soia HT.

Uno studio in tal senso è stato effettuato dall’Usda (Tab. 23) ed evidenzia alcune

peculiarità nella coltivazione di soia transgenica rispetto a quella tradizionale. Dalla

tabella 23, che riassume lo studio della funzione di produzione, i particolari che possono

essere evidenziati sono relativi alla mancata riduzione dei costi di produzione associati ad

una non stabilità delle rese per ettaro, le quali aumentano tra il +14% e il –10%.

L’adozione di soia HT non permette, allo stato attuale, di definire il livello di

convenienza del prodotto GM, relativamente all’ammontare dei costi per sementi ed

erbicidi: un particolare di rilievo è relativo alla composizione dei costi di produzione, ove

è riscontrabile uno spostamento dei costi dalle spese per gli erbicidi a quella per le

sementi, conseguenza della principale caratteristica dei prodotti GM, vale a dire che il

costo delle sementi comprende il technology fee27. Valori statisticamente significativi per

l’anno in considerazione, il 1997, sono relativi ad una netta diminuzione delle spese per

erbicidi e per il controllo delle malerbe, congiuntamente ad un aumento del costo delle

sementi, giustificato dalla presenza del brevetto.

Nel complesso dello studio è evidente come le principali differenze nella struttura

delle funzioni di produzione, associate alle due metodologie di coltivazione, sono relative

ad una diversa composizione dei costi (che non mostrano valori statisticamente uniformi

per le tre regioni) associata ad un’estrema variabilità delle rese. Le differenze nelle rese

relative al dato della regione dell’Heartland, è bene specificare, sono probabilmente

attribuibili al fatto che in tale regione viene prodotto il 70% della soia statunitense,

dunque è probabile che la maggiore resa sia attribuibile ad una maggiore attitudine alla

coltivazione o ad un migliore sfruttamento delle economie di scala.

Le maggiori differenze nella struttura dei costi sono relative alle spese per gli

erbicidi e al costo dei semi: è da rilevare che il costo del programma Roundup è stato di

36,6€ per ettaro rispetto ai 29,8€ della varietà convenzionale con trattamento pre-semina,

o ai 55,2€ per le altre tecniche di controllo degli infestanti (Commissione Europea, 2000).

27 Il technology fee è la parte del prezzo della semente spettante al detentore del brevetto, che, di fatto, costituisce un

costo aggiuntivo associato al contenuto tecnologico della stessa e che si aggira attorno al 30% del costo totale.

��

Tab. 22 – Rese della coltivazione della soia

Stato Rese 1998 (ton/ettaro) Differenze

(RR-Convenzionale)

Convenzionale Roundup Ready 1998 1999

Illinois 3.90 4.40 +3% +2%

Iowa 4.10 3.83 -7% -5%

Michigan 4.44 4.30 -3% +1%

Minnesota 4.44 4.10 -8% -9%

Nebraska 3.90 3.43 -12% -3%

Ohio 4.04 3.90 -3% -11%

Sud Dakota 3.30 2.96 -10% -6%

Wisconsin 4.77 4.64 -3% 0%

Fonte: Carpenter (2001)

Tab. 23 – Funzione di produzione delle coltivazioni di soia per regioni, 1997

(dollari USA per acro)

Heartland Mississippi Portal Southern Seaboard

Ogm Non-Ogm Ogm Non-Ogm Ogm Non-Ogm

Valore produzione 330.80 287.88 204.80 225.78 239.63 205.68

Semi 30.03 17.70 26.78 14.96 29.43 15.74

Erbicidi 19.20 28.16 20.61 28.15 12.54 24.64

Applicazione

erbicidi 2.88 3.34 3.57 3.91 2.20 2.83

Gestione malerbe 0.45 0.29 0.21 0.60 1.12 0.69

Coltivazione

malerbe 0.31 1.27 0.38 1.35 0.28 1.04

Costi totali 52.87 50.75 51.54 48.96 45.56 44.94

Valore aggiunto 277.93 237.12 153.26 176.82 194.07 160.74

Fonte: USDA (2000)

86

Secondo le stime Furman & Selz la riduzione degli erbicidi, a seguito delle

coltivazioni di soia RR, è variabile tra i 33€ e i 35€ per acro.

Nella spesa per le sementi un peso di rilievo è dovuto al costo del technology fee

che, di fatto, fa registrare incrementi nel prezzo delle sementi di circa 15€ per ettaro

(Commissione Europea, 2000). Uno studio condotto da Duffy nel 1999 (riportato sul

documento della Commissione Europea) mostra come, escludendo i fattori di produzione

terra e lavoro, la riduzione dei costi connessi alla coltivazione di soia transgenica HT

(8%) sia stata annullata da una maggiore resa della varietà convenzionale.

Allo stato attuale esistono numerosi studi per la verifica del potenziale produttivo

e agronomico della coltivazione di soia HT, e tutte presentano i medesimi risultati, vale a

dire che le prime generazioni di soia transgenica non hanno apportato un significativo

aumento della redditività degli agricoltori: l’unica modificazione per gli agricoltori è una

diversa struttura dei costi associata alla coltivazione e, come sarà in seguito illustrato,

tutto ciò è il risultato di una vera e propria politica del brevetto e del pacchetto

tecnologico che tende sostanzialmente aumentare la dipendenza della redditività agricola

dal fattore capitale, ovvero dal pacchetto tecnologico.

III.4. Le performances economiche del mais BT

La coltivazione del mais è soggetta ad infestazioni parassitarie più di altre colture,

di qui la ricerca delle società biotecnologiche è stata indirizzata verso la creazione di

piante che resistessero maggiormente agli attacchi da parte degli insetti come la piralide,

che molto spesso compromettono i raccolti, risultando un fattore determinante nella

determinazione della redditività della coltivazione stessa.

La principale tecnologia utilizzata, e che più tra le altre ha riscosso interesse da

parte degli agricoltori, è stata quella BT basata su di un gene che rende la pianta del mais

più resistente agli attacchi degli insetti grazie all’autoproduzione di insetticida (la tossina

BT transgenica appunto).

L’interesse suscitato dagli agricoltori verso tale tecnologia risiede nella possibilità

di ridurre il rischio di perdita del raccolto congiuntamente alla possibilità di ridurre e

facilitare le applicazioni antiparassitarie, giacché l’insetticida è prodotto dalla pianta

stessa.

87

Un particolare di rilievo nella coltivazione del mais, ed in particolare nelle

infestazioni che interessano tale coltivazione, risiede nella constatazione che tali

infestazioni hanno carattere ciclico, dunque la convenienza dei prodotti transgenici in tale

coltivazione è influenzata notevolmente dal periodo di rilevazione (bassa, alta o media

infestazione). Il carattere ciclico delle infestazioni ha fatto sì che la diffusione delle piante

di mais BT sia stata influenzata dal ciclo: infatti, secondo i dati forniti dall’Isaaa, la

diminuzione dei campi coltivati, con prodotti come il mais YieldGard della Monsanto, è

dovuta essenzialmente alla constatazione, da parte degli agricoltori che in periodi di bassa

infestazione non sia conveniente utilizzare prodotti transgenici come il mais BT; inoltre,

questa volta a definire convenienti o meno gli Ogm sono gli stessi agricoltori e non gli

istituti di rilevazione che, di fatto, dichiarano i limiti delle colture GM rispetto a quelle

tradizionali.

Le analisi empiriche riportate nella tabella 24 mostrano come l’andamento del

guadagno netto per il mais BT siano notevolmente influenzato dall’anno di rilevazione:

infatti, si passa da un guadagno aggregato, rispetto alle colture tradizionali, di 89 milioni

di dollari del 1997 a perdite di 26 e 35 milioni di dollari per gli anni 1998 e 1999, valore

che deriva soprattutto da un minor vantaggio nelle rese dei campi, il quale diminuisce da

11,7 a 3,3 bushel/acro nel periodo 1997-1999, come desumibile dalla tabella 2528, con un

guadagno medio netto che varia tra i 18$ per acro nel 1997 ad una perdita di 1.81$ e

1.73$ per i due anni successivi. La tabella 25 mostra come l’andamento delle infestazioni

incida notevolmente sulle qualità performanti del mais BT: infatti, seguendo le tabelle in

base all’anno è evidente che il technology fee ha un peso rilevante nei costi di produzione

e tende a diminuire al decrescere del livello di infestazione così come diminuisce il prezzo

del mais per bushel per la diminuzione dei rischi connessi alle infestazioni, evidenziando

una politica del brevetto attuata attraverso il technology fee.

Nella tabella 26 fornita dalla Commissione Europea, su dati Furman e Selz, si

evidenzia, in modo marcato, come il livello di infestazione influenzi notevolmente sia la

resa sia la convenienza nell’adottare sementi del tipo BT a parità di prezzo del mais, dove

è evidente il passaggio del guadagno netto, per aver utilizzato mais BT, da 24,5 €, nei

periodi di bassa infestazione, fino a 163,5€, in quelli di alta.

28 Il 1997 rappresenta dal punto di vista delle infestazioni l’anno di maggiore impatto.

88

Tab. 24 – Costi e benefici aggregati per il mais BT 1997-1999

(in milioni di dollari USA)

Costi Benefici Guadagno netto

(valori espressi in milioni di $)

1997 47 136 89

1998 144 118 -26

1999 161 126 -35

Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)

Tab. 25 – Incremento delle rese e prezzo del mais BT nel periodo 1997-1999

Bushels/acro Costo del bushel Technology fee

1997 11.7 2.43 10$

1998 4.2 1.95 10$

1999 3.3 1.90 8$

Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)

89

Le stime della funzione di produzione per la coltivazione di mais BT sono state

effettuate con diverse metodologie: la prima di Carpenter e Gianessi, ove i benefici delle

colture transgeniche sono stati stimati solo in base all’impatto del prezzo delle sementi nei

costi di produzione, ed una più completa ed esaustiva effettuata da Duffy, che comprende

tutte le variazioni nei costi del mais BT, anche se entrambe non mettono in rilievo le

possibili variazioni nel costo del capitale umano e del capitale terra che, in tali produzioni

intensive, possono essere diminuite attraverso la meccanizzazione dei processi produttivi.

La tabella 27 fornisce stime molto differenti sulla convenienza o meno nella

coltivazione di mais BT: infatti, oltre al fattore infestazione è evidente che il tipo di stima

effettuato sulla funzione di produzione incide notevolmente sul risultato finale.

Secondo le stime di Duffy, che da un punto di vista metodologico sembrano essere

le più esaustive e corrette, la maggiore redditività delle coltivazioni di mais BT è

misurabile attorno ai 9€ per ettaro, una stima, questa, che mostra come l’adozione di tale

mais non sia molto più redditizia della varietà convenzionale, in particolare nei periodi

ritenuti, dal punto di vista delle infestazioni, non pericolosi, come ad esempio l’anno

1998.

La principale caratteristica del mais BT dovrebbe essere rintracciabile nella

riduzione di insetticidi come componente principale nei costi di produzione, ma secondo

le stime di Duffy la riduzione di tale componente risulta essere molto modesta in termini

monetari (1.3 € per ettaro), inoltre l’adozione del mais di tipo BT comporta un maggior

costo per i fertilizzanti (11.1 € per ettaro) ed una maggior spesa per il controllo delle

malerbe (6.2 € per ettaro).

Nel complesso l’adozione di mais BT nelle coltivazioni statunitensi negli anni

considerati (che come precisato sono gli anni in cui sono più convenienti, ovvero di alta

infestazione) non ha avuto le caratteristiche performanti sperate ed annunciate o

comunque il maggior reddito derivante è molto basso, soprattutto tenendo conto delle

limitazioni sui brevetti, i quali saranno affrontati successivamente.

III.5. Le performances economiche della canola HT

La canola è un particolare tipo di colza coltivata principalmente in Canada ed è

destinata ad uso principalmente industriale (alimentari e non).

90

Tab. 26 – Convenienza del mais BT secondo il livello di infestazione

Grado di infestazione

Bassa Media Alta

Perdite29 5% 10% 20%

Prezzo €/ton 98.4 98.4 98.4

Maggiori Rese ton/ettaro 0.471 0.941 1.883

Costi addizionali €/ettaro 21.8 21.8 21.8

Guadagno netto €/ettaro 24.5 70.9 163.5

Fonte: elaborazione Commissione Europea (2000)

Tab. 27 – Funzione di produzione per la coltivazione del mais BT

Carpenter & Gianessi Duffy

1997 1998 1998

Prezzo €/ton 84.5 68.6 66.8

Maggiore Resa ton/ettaro 0.73 0.26 0.80

Ricavo Aggiuntivo €/ettaro 62.0 18.1 53.2

Sementi €/ettaro 21.8 22.1 21.3

Insetticida €/ettaro -1.3

Malerbe e altro €/ettaro 13.4

Fertilizzanti €/ettaro

Non disponibile

11.1

Guadagno netto €/ettaro 40.20 -3.99 8.8

Fonte: elaborazione Commissione Europea (2000)

29 Le perdite sono calcolate in base all’assenza di trattamento.

91

Le caratteristiche desiderate per le piante di colza sono il basso contenuto di acido

erucico nell’olio, di acido glucosinolato negli alimenti o un contenuto più alto di acido

laurilico.

Tali caratteristiche desiderate per la coltivazione di canola sono state ottenute fino

ad oggi grazie alla selezione naturale, anche se negli ultimi anni la diffusione di tecniche

transgeniche sembra aver preso il sopravvento.

In Canada la coltivazione della canola è cresciuta notevolmente negli ultimi venti

anni (Commissione Europea, 2000) e, attualmente, rappresenta la terza coltivazione

nazionale. Nello Stato canadese le regioni interessate alla coltivazione della canola sono

essenzialmente tre (Alberta, Manitoba e Saskatchewan), che nel complesso producono il

98% della canola nazionale. La diffusione della varietà transgenica, esclusivamente del

tipo HT, è stata molto rapida: infatti, dalle prime coltivazioni nel 1996 che fornivano solo

il 4% della produzione nazionale si è passati, nel 1999, ad una produzione che ne fornisce

il 69% (Fulton e Keywoski, 1999).

Le varietà di canola Gm attualmente più diffuse sono la Roundup Ready della

Monsanto, resistente al glifosato e la Liberty Link della AgrEvo (Aventis), resistente al

glufosinato ammonio.

La coltivazione della canola mostra, rispetto ad altre, una stretta correlazione, per

ciò che concerne la resa e i costi di produzione, con il tipo di terreno coltivato e con il tipo

di canola coltivata.

La maggior parte delle elaborazioni effettuate, per verificare la convenienza o

meno nell’uso di piante GM, mostra come non sia possibile definire uno standard

performante univoco, tale da indicare quale tra le due tipologie di coltivazione sia la più

conveniente o la più redditizia per gli agricoltori.

I problemi riscontrati dagli agricoltori nella coltivazione della canola transgenica

del tipo HT sono stati principalmente riconducibili a tre fattori determinanti:

1. Attualmente i coltivatori canadesi trovano difficoltà a commercializzare il

loro prodotto nella Comunità Europea (loro principale acquirente).

2. Negli ultimi anni si sono moltiplicati casi di impollinazione incrociata non

voluta tra varietà tradizionali e GM con il conseguente inquinamento

ambientale e ricadute legali ed economiche sugli agricoltori, che, di fatto,

92

hanno messo in allarme sia i gruppi ambientalisti sia gli stessi agricoltori

“inquinati”30.

3. Gli agricoltori nel biennio 1999-2000 hanno evidenziato delle diseconomie

dovute alla concentrazione delle industrie sementiere e chimiche, che

attraverso la regolamentazione dei brevetti dispongono di un alto controllo

sulla produzione, ed infine hanno evidenziato come ad un aumento della

produzione connessa alle coltivazioni di canola Gm sia corrisposta una

diminuzione del prezzo sul mercato internazionale che, di fatto, ha

annullato i benefici apportati da tali nuove metodologie.

Oltre alle difficoltà e alle perplessità suscitate dagli agricoltori canadesi circa la

convenienza nell’adozione di piante GM, lo studio effettuato da Fulton e Keywoski

evidenzia come la redditività della coltivazioni sia strettamente dipendente sia dal terreno

sia dalle capacità imprenditoriali degli agricoltori (capacità che derivano essenzialmente

dall’esperienza nella coltivazione e dall’insieme di tecnologie utilizzate).

Le caratteristiche aggiuntive della canola HT, essenzialmente del tipo Roundup

Ready della Monsanto, sono da collegarsi al fatto che attraverso tale metodologia è

possibile avere un maggior controllo delle erbe infestanti tramite un erbicida non selettivo

come il Roundup (il cui brevetto fino all’anno 2000 è di proprietà della Monsanto stessa):

infatti, nella coltivazione delle varietà convenzionale la canola necessita di due

trattamenti, prima e dopo la semina, per il controllo degli infestanti, e in tal senso la

tecnologia Roundup Ready rappresenta un punto di forza nella possibilità di ridurre i costi

di produzione in termini di energia e lavoro, oltre che ad una riduzione degli agenti

chimici.

La coltivazione di canola Gm offre agli agricoltori una maggior flessibilità della

coltivazione attraverso un maggior controllo delle infestazioni, riducendo i costi del

controllo attraverso gli erbicidi non selettivi.

Le argomentazioni successive faranno riferimento ai due principali studi effettuati

al fine di verificare il livello di convenienza nell’adozione di piante Gm nella coltivazione

di canola: il primo è una simulazione effettuata nella provincia di Alberta (che come

30 Nella regione del Saskatchewan un agricoltore, Percy Schmeiser, è stato costretto a “restituire” le sementi ottenute

dopo il raccolto, necessarie alla successiva semina, alla Monsanto che ne aveva richiesto la proprietà e la titolarità del brevetto: l’agricoltore era stato riconosciuto “reo perché la sua coltivazione era stata inquinata” da una coltivazione transgenica adiacente, causa un’impollinazione indiretta, e costretto a pagare un’ammenda di 85.000$.

93

precedentemente detto è una delle regioni più interessate alla coltivazione di canola in

Canada) ed è basata sulla comparazione tra coltivazioni tradizionali e GM mettendo in

evidenza anche il fattore terreno come variabile determinate; l’altro è un modello,

costruito da Fulton e Keywoski, che propone una comparazione sulla struttura dei costi e

sui ricavi tra le principali coltivazioni di canola diffuse.

Le comparazioni, nello studio della provincia di Alberta, mettono in evidenza le

differenti strutture nei costi e nelle rese delle principali varietà di canola coltivate (Gm e

non) rispetto al tipo di terreno utilizzato (black e brown).

Le varietà di canola considerate si differenziano per la resistenza alle condizioni

climatiche, ed esse sono: la canola “Argentina” che ha una buona resa per ettaro in

condizioni climatiche non rigide, la canola “Polacca” resistente al freddo ma vulnerabile

alle malattie, e la canola HT del tipo Roundup Ready della Monsanto. La canola

“Argentina”, è da dire, generalmente ha una maggior resa rispetto alla varietà “Polacca”.

L’analisi comparativa effettuata dalla provincia di Alberta, riportata nella tabella

28, evidenzia come, nel complesso, le varietà coltivate su terreni del tipo Dark Brown

hanno una minore redditività, dovuta essenzialmente alle minori alle rese.

Nei terreni del tipo Dark Brown non vi è stata rilevata una sostanziale differenza

nelle rese e nei costi, variabili e non, ma allo stesso tempo il maggior ricavo lordo è

attribuibile ad una maggiore entrata dalle assicurazioni (+29€/ettaro), che, di fatto, annulla

il vantaggio sui ricavi dalle vendite riscontrabile per la varietà Argentina.

Nei terreni del tipo Black vi è stata una differenza nella struttura dei costi e delle

performances agronomiche. Dal punto di vista delle rese, escludendo la varietà Polacca

(nella quale si è evidenziata una minor convenienza, che rispecchia la caratteristica di tale

canola di essere adatta a particolari condizioni climatiche), è da riportare come la varietà

Argentina abbia avuto una maggior resa rispetto alla varietà transgenica HT, ma, nel

contempo, nella varietà transgenica si è evidenziata una riduzione dei costi attribuibile

essenzialmente ad una riduzione dei costi da capitale e dei costi per i prodotti chimici,

nonostante vi sia stata una maggiorazione nel prezzo delle sementi attribuibile al

technology fee. Dal punto di vista del margine lordo, grazie alla maggior resa per ettaro, la

varietà Argentina rimane in ogni modo la più conveniente per gli agricoltori.

94

Tab. 28 – Costi e ricavi per differenti varietà di canola

(in €/Ettaro)

Tipo di terreno Terreno Black Terreno Dark Brown

Tipo di canola HT Argentina Polacca HT Argentina

Ricavo lordo 342 379 307 278 259

Entrate vendite 328 353 296 240 255

Entrate

assicurazioni 7 5 0 29 0

Altri ricavi 6 21 11 9 5

Costi variabili 182 190 185 181 184

Di cui:

Sementi 36 18 36 27 21

Fertilizzanti 42 44 43 36 48

Chimici 32 51 25 31 35

Costi da capitale 75 92 102 66 63

Costi totali 257 281 287 248 247

Margine lordo 131 163 76 84 48

Resa (bu/ha) 67 71 59 50 53

Fonte: Commissione Europea (2000)

95

Nel complesso, la redditività della varietà Argentina è maggiore rispetto a quella

HT di circa 13€ per ettaro (Ricavi lordi meno costi totali). La sostanziale differenza

riscontrabile tra le due varietà risiede principalmente nei costi da capitale, evidenziando in

tal senso un minor costo del lavoro e dell’energia nel processo produttivo transgenico.

La tabella 29 illustra un modello di comparazione tra differenti varietà di canola,

escludendo il fattore terra e lavoro. Le varietà sottoposte alla comparazione della struttura

produttività, dallo studio di Fulton e Keywoski, sono la colza transgenica HT Roundup

Ready della Monsanto, la Smart Open Pol, la Liberty Hybrid della AgrEvo (Aventis) e la

Conventional Pol. Le differenze ricavabili dalla tabella 29 sono relative ad un minor costo

di produzione per la varietà HT Roundup Ready della Monsanto, attribuibile ad un minor

costo per gli erbicidi (tra i 17.75 e i 25 dollari per acro), nonostante vi sia stata una

maggiorazione nei costi delle sementi (circa 5,33$ per acro) ed al costo (15 € per acro)

della licenza brevettale, attribuibile al technology fee. La riduzione dei costi nella

coltivazione della varietà HT Roundup Ready varia tra gli 8,80$ per acro rispetto alla

varietà Liberty Hybrid (che però necessita di un minor quantitativo di sementi per acro di

0,5 libbre, rispetto ai normali 5 libbre per acro) e 4,77$ per acro rispetto alla varietà

convenzionale (Conventional Open Pol).

Nel complesso i maggiori ricavi attribuibili alla varietà convenzionale si aggirano

tra i 29,62$ rispetto alla varietà Smart Open Pol e i 4,03$ della varietà Liberty Hybrid,

sempre per acro, mentre la maggior resa della varietà convenzionale è stimabile tra i 4,2

bushel per acro rispetto alla varietà Smart Open Pol e i 2,7 bushel per acro rispetto alla

varietà Roundup Ready, mentre non vi è differenza rispetto alla varietà Liberty Hybrid.

I ricavi lordi sono tutti a favore della varietà convenzionale, che permette, oltre ad

un maggior ricavo e ad una maggiore resa, di conservare le sementi per l’anno successivo.

L’impossibilità da parte degli agricoltori di conservare le sementi per l’anno

successivo e la presenza del technology fee (che varia nel complesso tra i 20,23$ e 26,28$

per acro) pone gli agricoltori in condizione di rinunciare alle nuove metodologie, in

quanto la dipendenza nei confronti dell’industria fornitrice degli inputs produttivi e la

perdita di capacità manageriale agricola (caratteristica fondamentale nella coltivazione

della canola) rappresentano un motivo di avversione.

96

Tab. 29 – Comparazione della struttura produttiva

tra la canola convenzionale e quelle GM

(in dollari USA)

Roundup

Ready31

Smart Open

Pol32

Liberty

Hybrid33

Conventional

Open Pol

Costi 38.70 44.90 47.50 43.47

Sementi ($/acro) 18.70 18.70 24.75 13.47

Erbicidi ($/acro) 5.00 26.20 22.75 30.00

TUA ($/acro) 15.00 0.00 0.00 0.00

Rese (bu/acro) 33.0 31.5 35.7 35.7

Prezzo ($/bu) 8.00 8.00 8.00 8.00

Ricavo Atteso

($/acro) 264.00 252.00 285.60 285.60

Ricavo Lordo

($/acro) 225.30 213.75 238.10 242.13

Fonte: Fulton e Keywoski (1999)

31 La varietà Roundup Ready copre una superficie coltivata pari al 57% della colza Gm canadese. 32 La varietà Smart Open Pol copre una superficie coltivata pari al 24% della colza Gm canadese. 33 La varietà Liberty Hybrid copre una superficie coltivata pari al 18% della colza Gm canadese.

97

I dati comparativi riguardo alla coltivazione di canola in Canada mostrano come,

attualmente, non sia possibile determinare il grado di maggiore profittabilità dei prodotti

geneticamente modificati, in quanto, come detto in precedenza, la coltivazione di tale

pianta richiede un apporto di esperienza maggiore rispetto alle altre colture e, allo stesso

tempo, il grado di convenienza nell’adozione deve tener presente della quota di agricoltori

che utilizzano prodotti convenzionali non ibridi, i quali permettono loro di conservare le

sementi degli anni precedenti per ricominciare il ciclo produttivo di anno in anno.

Tuttavia, l’analisi della funzione di produzione evidenzia come la riduzione dei

costi nell’applicazione di chimici sia stata vanificata dalla presenza della maggiorazione

del prezzo nelle sementi e dal technology fee, come conseguenza della brevettabilità delle

varietà transgeniche.

III.6. Le performances economiche del cotone transgenico

Le principali modificazioni genetiche richieste per il cotone sono relative alle

metodologie IR (resistenza agli insetti) e HT (dove la tecnologia Roundup Ready della

Monsanto è la più diffusa), alle quali vanno attribuite rispettivamente il 39 e 54 per cento

dell’area statunitense (ovvero il maggior produttore mondiale per tale coltura) destinata a

tale coltura nell’anno 2000, inoltre molto diffusa è una combinazione delle due

tecnologie, ovvero il cotone HT/IR che attualmente copre il 28 per cento della superficie

USA destinata a cotone.

La principale evidenza empirica rilevata per il cotone BT è relativa alla

diminuzione degli agenti chimici (in numero e quantità per trattamento), congiuntamente

ad una minor perdita del raccolto causata dalle infestazioni. Secondo l’USDA tra il 1995 e

il 1999 l’uso di insetticidi nelle piantagioni di cotone è diminuito di 2.7 milioni di pounds,

ovvero il 14 per cento del totale degli erbicidi per gli Stati considerati, cui corrisponde una

diminuzione nel numero di trattamenti34 per anno di circa 15 milioni, ovvero una

diminuzione del 22%. La riduzione degli insetticidi e il maggior controllo degli insetti

infestanti conseguente, ha permesso di ottenere in cinque Stati esaminati su sette (Tab. 30)

un incremento dei ricavi netti, che in media sono stati di 20,81$ per acro, comprendente il

technology fee. Allo stesso tempo il costo per il controllo degli insetti infestanti è

aumentato 14,28 $ per acro e, in media, si è registrato un aumento delle rese del 9%, che

34 Il numero di trattamenti tiene conto anche del numero d’ingredienti per trattamento.

98

Tab. 30 – Applicazioni degli insetticidi sul cotone BT e su quello

convenzionale (1999)

Arizona Louisiana Tennessee

BT Conv. BT Conv. BT Conv.

Totale 1.6 2.5 7.3 7.8 6.8 6.6

Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)

Tab. 31 – Comparazione tra il cotone BT e quello convenzionale35

Studio Stato Costi per il

controllo degli

insetti

Produzione di

garza

Ricavo lordo Ricavo netto

$/acro % $/acro $/acro

Cooke MS 11.19 2 18.67 1.23

Karner OK 16.47 19 77.50 40.06

Reed MS 14.66 12 39.52 24.86

Steward TN 19.00 3 10.20 (9.00)

Mullins AR, AL,

MS, LA

6.46 7 37.20 31.12

West TX 17.89 10 53.89 36.61

Media 14.28 9 39.50 20.81

Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)

35 I costi, la produzione e i ricavi sono calcolati come differenze tra il cotone BT e quello convenzionale.

99

nel complesso ha permesso di ottenere nel 1999 un aumento complessivo della

produzione di cotone di circa 260 milioni di libbre, equivalenti a 99 milioni di dollari

(Carpenter e Gianessi, 2001).

Un particolare interessante rilevabile nelle tabelle 30 e 31 è relativo ad un

fenomeno che sembra essere caratteristico degli Ogm, vale a dire che la maggiore resa è

molto variabile ed inoltre non vi è stata, corrispondentemente alla riduzione degli

insetticidi, una diminuzione proporzionale dei costi degli insetticidi stessi, molto

probabilmente perché la riduzione dei prodotti chimici è compensata da un aumento del

costo delle sementi, che, di fatto, lo comprendono. Nel complesso è evidente come la

maggior parte delle caratteristiche desiderate dal cotone BT (riduzione dei costi per

insetticidi) sia stata controbilanciata dall’aumento del costo delle sementi.

Il cotone Gm del tipo HT è il più diffuso tra quelli Gm in USA, in particolare la

varietà Roundup Ready. La caratteristica principale di tale cotone è rappresentata dalla

resistenza all’erbicida Roundup della Monsanto a base di glifosato (un erbicida non

selettivo), anche se negli ultimi anni la varietà resistente al Bromoxynil sembra ottenere

dei buoni risultati.

Recenti studi affermano che la varietà Roundup Ready della Monsanto presenta

alcuni inconvenienti, in quanto sembra non essere perfettamente tollerante al glifosato,

attraverso l’erbicida Roundup (Carpenter e Gianessi, 2001).

I costi di un normale programma di controllo per il cotone richiede circa 44$ per

acro, mentre il programma Roundup Ready ha un costo variabile tra i 23 e i 47 dollari per

acro, secondo il numero di applicazioni e del tipo di trattamento, compreso il costo del

technology fee, pari circa a 8$ per acro (Carpenter e Gianessi, 2001).

La tabella 33 mostra le differenze nei ricavi netti per le diverse coltivazioni di

cotone secondo il tipo di trattamento utilizzato, mettendo in evidenza come il cotone GM

fornisca un maggior ricavo rispetto alla varietà convenzionale, nonostante le differenze

nelle rese siano molto più limitate e variabili (Tab. 32). La differenza nei ricavi tiene

conto anche della qualità del prodotto ottenuto.

La maggiore innovazione del cotone HT risiede nell’aver diminuito il quantitativo

di erbicidi nelle coltivazioni: si è passati dal programma convenzionale che prevedeva da

5,5 a 9 libbre per acro, a programmi come il Roundup Ready che prevedono circa 2.75-

4.5 libbre per acro, o programmi basati sul Bromoxynil che prevedono un quantitativo di

100

Tab. 32 – Rese medie delle differenti varietà di cotone (1997-1998)

Programma di controllo degli

infestanti

Produzione relativa al programma

convenzionale

Convenzionale 100%

Staple 95%

BXN-Buctril 93%

RR-conv.+1xRU 101%

RR-Teflan/RU 102%

RR-RU 96%

RR-RU/Bladex+MSMA 93%

Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)

Tab. 33 – Comparazione dei ricavi netti per le differenti varietà di cotone, 1998

(Dollari per acro)

Tennessee Louisiana

Programma Ricavo netto Ricavo netto

RR-conv.+1xRU 636 546

RR-Teflan/RU 636 536

RR-RU 569 508

Convenzionale 541 522

RR-RU/Bladex+MSMA 535 556

BXN-Buctril 494 668

Staple 491 559

Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)

101

erbicidi pari a 2.8-4.45 libbre per acro, con una riduzione globale dal 1995 al 1999 di

circa 1.3 milioni di applicazioni annue.

La riduzione dell’uso degli erbicidi, in termini di quantità e numero, secondo

l’USDA è da attribuire alla principale caratteristica dell’erbicida Roundup, ovvero di

essere un erbicida ad ampio spettro, capace di agire su tutte le malerbe senza intaccare la

pianta coltivata.

III.7. La riduzione dei prodotti chimici

Le metodologie finora sviluppate nell’ambito delle biotecnologie sono state, nella

maggior parte, indirizzate verso la possibilità di ridurre le perdite (o aumentare le rese dei

campi) attraverso un miglior controllo delle malerbe (HT) e degli insetti infestanti (IR).

Negli ultimi anni la ricerca di prodotti chimici e non, al fine di ottenere una

produzione più eco-compatibile, ha suscitato molto interesse da parte di tutti gli ”attori”

del settore, dagli istituti di ricerca ai gruppi ambientalisti.

Le biotecnologie, in tal senso, agli inizi erano state promosse e pubblicizzate dalle

società produttrici come un possibile rimedio al dissesto ambientale e come mezzo di

produzione eco-compatibile attraverso cui si sarebbero potuti ottenere prodotti più sani e

nutrienti e nel contempo si sarebbero potute migliorare le condizioni di lavoro degli

agricoltori, che dalla Rivoluzione Verde degli anni settanta avevano visto peggiorare la

loro situazione di salute in relazione al maggior uso di agenti chimici.

Da un punto di vista strettamente quantitativo e qualitativo, le necessità messe in

rilievo dai gruppi ambientalisti e da vari istituti di ricerca erano rappresentate dalla ricerca

di prodotti chimici meno nocivi (per l’uomo e per l’ambiente) congiuntamente ad un

minor quantitativo di erbicidi per ettaro da applicare sui campi.

Le varietà biotecnologiche del mais BT hanno avuto un effetto sull’uso degli

insetticidi molto limitato, in quanto, come afferma l’USDA, l’uso di insetticidi nella

coltivazione di mais, ed in generale in tutte le coltivazioni soggette ad infestazioni da

parte di insetti, non può essere oggetto di uno studio accurato sui quantitativi per ettaro.

Infatti, prima dell’adozione dei prodotti BT, gli insetticidi usati per combattere l’ECB

(European Corn Borer) erano pochi e presentavano caratteristiche che rendevano la

ricerca e la lotta alle infestazioni quasi vane:

102

• In primo luogo, gli insetticidi prima usati erano ad ampio spettro, quindi

non specifici per l’ECB, con ripercussioni su tutta la popolazione di insetti;

• In secondo luogo, le popolazioni di insetti sono suscettibili di variazioni

annuali, il che rende la ricerca di insetticidi specifici non esauriente

(Carpenter e Gianessi, 2001).

Nel complesso l’introduzione della tecnologia BT sembra aver avuto effetto solo

sul controllo dell’ECB, e non sulle quantità di insetticidi utilizzate precedentemente:

infatti, relativamente al 1999, le stime fornite dallo studio di Carpenter e Gianessi,

evidenziano come per i principali insetticidi (chloropyrifos, permethrin, BT e methyl

parathion) le riduzioni si siano attestate attorno al 1-2 per cento.

Le varietà biotecnologiche HT (tolleranza agli erbicidi), contrariamente a quelle

IR, sono state indirizzate verso la ricerca di erbicidi ad ampio spettro, capaci di ridurre il

numero di agenti chimici usati e, che comportassero, nello stesso tempo, una riduzione del

fattore lavoro. Il principale erbicida utilizzato per le colture HT in commercio risulta

essere il glifosato36(brevettato dalla Monsanto) che è applicato essenzialmente nelle

colture del cotone, della soia, della colza ed in misura marginale nei campi di mais37.

Le evidenze empiriche indicano come nel caso della soia si è assistiti ad una

diminuzione totale del 10% nell’uso degli erbicidi, mentre non è stata rilevata alcuna

variazione significativa nel caso del cotone (tale significatività è relativa all’insieme delle

regioni considerate dall’USDA (infatti, nel caso del Southern Seaboard la diminuzione è

stata del 20% circa).

Nel caso del cotone HT la diminuzione rilevata nell’uso degli erbicidi da 1.89 a

1.63 (-13%) nel periodo 1995-1999 è attribuibile essenzialmente all’introduzione del

programma Staple e non alle varietà HT: infatti, nel programma Staple occorrono in

media circa 0.05 libbre per acro di erbicidi, mentre per gli altri programmi le quantità di

erbicida per acro risultano in media essere ari a 0.09-0.18 libbre, altresì l’introduzione

36 Il glifosato è considerato la terza causa di malattie tra gli agricoltori Californiani dovuta all’uso di pesticidi

(GreenPeace, 1996). Secondo Legambiente, il glifosato è la terza causa di morte tra gli agricoltori (Legambiente, 2001), inoltre sembra essere correlato alla presenza nella popolazione umana di un linfoma (del tipo non Hogkins), anche se secondo gli studi condotti dall’USDA tal erbicida è da 3.4 a 16.8 meno tossico degli altri in commercio.

37 Il mais HT, resistente al glufosinato ammonio, prodotto dall’Aventis (StarLink dell’AgrEvo) e da altre società è sospettato di essere cancerogeno ed altamente allergenico (riguardo l’allergenicità per il caso del mais StarLink il fatto è stato confermato).

103

delle varietà HT ha permesso di ridurre il numero di applicazioni per anno, proprio per il

fatto che si tratta di un erbicida ad ampio spettro (Carpenter e Gianessi, 2001).

La riduzione degli erbicidi per le varietà HT, basate essenzialmente sul glifosato e

il glufosinato ammonio, risulta essere significativa solo nel numero di applicazioni.

Le indagini empiriche, riportate negli studi statunitensi, evidenziano un particolare

di rilievo (considerato soprattutto da gruppi ambientalisti e da alcuni ricercatori):

congiuntamente ad una diminuzione variabile degli altri erbicidi si è evidenziata nel

periodo 1996-1998 un incremento del quantitativo per ettaro dell’erbicida glifosato (il più

usato nelle coltivazioni HT).

Nel periodo 1996-1998, ad esempio, relativamente alle coltivazioni di soia HT

(principalmente la varietà Roundup Ready della Monsanto) si è evidenziato come ad una

diminuzione da 1 a 0.57 pounds per acro (-43%) degli erbicidi (escluso il glifosato) sia

corrisposto un aumento da 0.17 a 0.43 pounds per acro dell’erbicida glifosato (+152%)

(Heimlich, Fernandez-Cornejo, McBride, Klotz-Ingram, Jans e Brooks, 2000), e tali

risultati, nel complesso, indicano una riduzione degli erbicidi per la soia HT del 10%.

Tale evidenza, riscontrabile su tutti i prodotti HT, dimostra due assunti

fondamentali messi in rilievo dagli oppositori delle biotecnologie:

1. L’uso di erbicidi ad ampio spettro accelera i processi di resistenza degli

agenti infestanti rendendo necessario un maggior quantitativo dell’erbicida

stesso fino alla sua inefficacia.

2. L’adozione di colture HT spinge gli agricoltori ad usare in maniera più

massiccia del dovuto l’uso dell’erbicida, con conseguente accelerazione

del processo sopraindicato e con effetti dannosi per l’ambiente e per

l’uomo, ed in particolare accelera il processo di dipendenza del controllo

degli infestanti agricoli dall’uso di prodotti chimici sempre più aggressivi.

Le evidenze sopraindicate permetto di rilevare come l’uso delle attuali piante

geneticamente modificate potrebbe avere effetti nel lungo periodo opposti a quelli sperati:

gli effetti che nel breve periodo sembrano essere vantaggiosi (anche se su questo punto i

dati sono molto discordanti tra loro), nel lungo periodo vengono annullati dallo sviluppo

di resistenze da parte degli organismi oggetto di controllo, riproponendo, di fatto,

all’agricoltore la situazione iniziale, anzi peggiore, in quanto nel lungo periodo la ricerca

104

di prodotti più efficaci potrebbe essere più lenta, lasciando l’agricoltore con prodotti non

più redditizi e con infestazioni sempre più resistenti e dannose.

La possibilità di trasmissione e di dispersione nell’ambiente del tratto modificato è

relativo soprattutto a quelle specie vegetali allogame (colza e barbabietola, ad esempio),

che tendono ad incrociarsi con le specie selvatiche affini, non distanti, attraverso

l’impollinazione tramite insetti e vento.

Nel caso di specie autogame, che hanno caratteristiche ermafrodite, il pericolo

risiede nella constatazione che il loro polline tende a disperdersi a lunga distanza, con il

rischio che nel lungo periodo si possano avere casi di trasmissione del transgene,

nonostante il carattere autogamico della pianta in questione.

Il processo sopra descritto non è inedito in agricoltura: infatti, dagli anni della

Rivoluzione Verde l’uso degli agenti chimici in agricoltura ha portato sì ad un aumento di

produzione agricola, ma nel lungo periodo tale aumento non si è riflettuto sui redditi degli

agricoltori in modo proporzionale, e, allo stesso tempo, ha diminuito le potenzialità

imprenditoriali dell’attività agricola, subordinandola alle imprese fornitrici degli inputs

produttivi e ai mercati destinatari (controllati principalmente dalla grande industria)

sempre alla ricerca di prodotti a più buon mercato.

III.8. Effetto delle colture Gm sugli agricoltori

Al fine di sintetizzare i dati e le argomentazioni precedentemente esposte di

seguito saranno illustrati e commentati i principali risultati ottenuti.

Stabilire la convenienza nell’uso delle biotecnologie agricole richiede la

conoscenza di meccanismi complessi, non solo economici connessi alle performances

delle varietà commercializzate (la redditività in sé non rappresenta un indicatore sintetico

capace di stabilire la convenienza degli Ogm), in quanto le biotecnologie non prevedono

solamente un miglioramento qualitativo e performante delle varietà vegetali, altresì

l’innovazione biotecnologica, così come diffusa, comprende, al suo interno, meccanismi

legislativi (connessi all’attività agricola) e metodologici che fanno di essa un’innovazione

completa e complessa, con caratteristiche che sembrano essere più confacenti ad una

rivoluzione agricola in corso che semplicemente ad un miglioramento tecnologico degli

inputs agricoli.

105

La rivoluzione biotecnologica ha effetti sull’economia dell’agricoltore che

investono tutto il quadro normativo e metodologico: i brevetti, le sementi biotecnologiche,

i prodotti chimici agricoli, la struttura commerciale e il livello di concentrazione

industriale, rilevabile sul mercato sementiero e fitofarmacologico, sembrano, attraverso

una visione più attenta, essere connessi gli uni con gli altri, formando, nell’insieme, una

struttura produttiva e commerciale molto articolata, dove le singole parti non possono

essere considerate a sé stanti o isolate, ma esse sono parte integrante e funzionante di un

tutto.

I vantaggi economici connessi alle piante GM

I dati menzionati precedentemente sulle performances agronomiche ed

economiche delle prime piante Gm introdotte a partire dal 1996, mostrano come nel

complesso non è possibile definire in modo univoco la maggiore redditività degli Ogm:

infatti, è evidente come i costi siano stati sostanzialmente eguali alle varietà convenzionali

e, allo stesso tempo, il ricavo aggiuntivo dalla vendita dei prodotti è notevolmente

variabile per alcuni prodotti (ad esempio la soia) e nel caso di una maggiore redditività

tale aumento potrebbe essere considerato non sufficiente rispetto ai pericoli paventati

circa gli effetti sull’ambiente, sui consumatori e sul sistema agricolo.

Le società che sostengono la diffusione degli Ogm in agricoltura affermano, in

generale, come gli agricoltori possano ottenere attraverso la loro coltivazione un maggior

reddito disponibile (i dati non sembrano dimostrarlo o comunque vi è una forte

eterogeneità sui risultati ottenuti) attraverso la riduzione dei costi di produzione.

Nel caso in cui vi fosse effettivamente una riduzione nei costi di produzione, tale

riduzione nel lungo periodo potrebbe essere sterilizzata da una diminuzione dei prezzi dei

prodotti sui mercati agricoli, anche perché, non essendovi una segregazione tra prodotti

convenzionali e Ogm, non si potrebbe ottenere un guadagno aggiuntivo connesso a dei

prodotti agricoli Ogm caratterizzati da un maggior contenuto nutrizionale38 e qualitativo

che giustificherebbe la differenza nel costo di vendita.

Nel lungo periodo, data la non segregazione (in opposizione alle richieste degli

agricoltori e dei consumatori) dei mercati agricoli, è plausibile un ritorno alla situazione di

38 La ricerca, a detta degli Istituti preposti, è indirizzata verso una produzione agricola caratterizzata da prodotti migliori

dal punto di vista nutrizionale (Ogm di seconda generazione).

106

partenza e, allo stesso tempo, la stabilità dei prezzi agricoli sul mercato internazionale, per

l’agricoltore, dovranno confrontarsi con una sicura crescita stabile dei prodotti non

agricoli e quindi una diminuzione del reddito reale dell’agricoltore: come osserva il Prof.

Malagoli39 “… per la Legge di Engel, vi è la possibilità che, in relazione ad un aumento

del reddito reale del consumatore favorito dalla diminuzione del prezzo dei prodotti

agricolo-alimentari, si verifichi un aumento della domanda di beni non agricoli, con

conseguente aumento del loro prezzo e conseguente ulteriore diminuzione del reddito

reale dell’agricoltore. L’agricoltore nazionale potrebbe ottenere un incremento del suo

reddito netto attraverso l’adozione di un processo produttivo che consenta o una

maggiore utilizzazione dei fattori della produzione di cui dispone in abbondanza o, al

contrario, una minor utilizzazione dei fattori della produzione che è costretto ad

acquistare sul mercato”.

La possibilità per l’agricoltore di far leva sulle proprie capacità imprenditoriali,

svincolandosi dalla dipendenza di taluni fattori esterni (erbicidi e sementi tecnologiche),

potrebbe fungere da “salva-reddito”, in quanto nel lungo periodo le tecnologie applicate

alla produzioni agricole tendono a perdere il loro effetto di generatrici di ricchezza,

mentre, al contrario, la costante crescita dell’esperienza e della capacità imprenditoriale

da parte dell’agricoltore tende a salvaguardare il reddito, non risultando completamente

condizionato dall’industria fornitrice degli input produttivi.

L’applicazione di biotecnologie transgeniche applicate al settore agricolo tende ad

aumentare la dipendenza degli agricoltori dai settori fornitrici dei mezzi di produzione, in

particolare sementi e prodotti fitofarmacologici, prodotti in un mercato caratterizzato da

un elevato livello di concentrazione (di cui si parlerà in modo più specifico nel prossimo

capitolo), che, di fatto, produce i suoi effetti attraverso la regolamentazione sui brevetti,

legati alle biotecnologie, materializzandosi nel technology fee. Gli effetti sui costi di

produzione del technology fee appaiono più evidenti quando, nel caso del mais, essi

vengono fatti variare in relazione alle condizioni climatiche e infettive, o in generale

secondo le previsioni agricole (nel caso di stagioni favorevoli vengono diminuiti, per non

disincentivare l’uso di sementi biotech, e inversamente nelle stagioni ritenute a rischio).

39 Il Prof. Claudio Malagoli è professore Associato di Estimo Rurale e Pianificazione Agraria presso l’Università di

Bologna.

107

L’effetto del technology fee nelle produzioni resistenti agli erbicidi, in particolare

della soia, fa sentire il proprio peso nel 2000 quando, al decadere della titolarità del

brevetto sull’erbicida Roundup al glifosato (della società Monsanto), ne consegue una

diminuzione del prezzo dell’erbicida (ora in un mercato più concorrenziale), che va a

riversarsi sul prezzo delle sementi (Nomisma, 1999).

In effetti, il technology fee appare in contraddizione con la necessità di rendere

meno costosi e più redditizi per gli agricoltori le attività agricole, in quanto neutralizza, in

parte o del tutto in taluni casi, la stimolo ad utilizzare gli stessi prodotti geneticamente

modificati. L’esistenza del technology fee è giustificato dal fatto che le piante Gm (o

secondo le legislazioni vigenti, il gene introdotto) sono brevettate, di qui la possibilità per

il detentore del brevetto di poter decidere in tutta autonomia a chi e se concedere la

fruizione dello stesso e di produrre sementi brevettate previo pagamento di un “affitto”.

Un particolare di rilievo, esposto nel paragrafo precedente, mostra come, nel

complesso, lo sviluppo e la diffusione degli Ogm ripercorra del tutto ciò che in passato è

stata definita la Rivoluzione Verde: infatti, le metodologie finora utilizzate sono tutte

indirizzate a riproporre un maggior uso della chimica in agricoltura, che se dapprima offre

una possibilità di maggior guadagno, poi rende necessaria una maggior dose degli erbicidi

e probabilmente nel tempo renderà necessaria la ricerca di sostanza chimiche più

aggressive (così come sembra mostrare l’andamento delle dosi di glifosato per ettaro

rilevato nel periodo 1996-1998).

Le opinioni riguardo all’uso di agenti chimici come disinfestanti pongono un

problema noto in agricoltura, vale a dire che è ragionevole considerare come gli insetti

sviluppino, nell’arco di un periodo di 4-5 anni (Malagoli, 2000), una resistenza alle

tossine chimiche rendendo quindi vano il tentativo dei prodotti transgenici BT (come il

mais), a meno che non si voglia in futuro introdurre man mano sempre più geni estranei

nella pianta al fine di continuare a fuggire dagli insetti nella consapevolezza che questi

dopo 4-5 anni ridurranno sempre il distacco.

Aumento della dipendenza degli agricoltori da parte degli input produttivi

La struttura dei costi connessa alla coltivazione di prodotti transgenici muta

notevolmente rispetto alle varietà tradizionali. La diversa struttura dei costi si riflette, in

particolar modo, sugli erbicidi e le sementi.

108

Nelle coltivazioni del tipo HT, come mostra la tabella 28, la riduzione dei costi è

relativa alla sola coltivazione della colza, dove la riduzione dei costi variabili pari al

quattro per cento, mentre nelle altre coltivazioni tale riduzione nel totale non è stata

rilevata.

Nel caso della soia HT ad un aumento del 4% nei costi variabili è corrisposto un

aumento del 7% nella spesa per erbicidi e sementi, che, di fatto, fa aumentare la quota dei

costi per le sementi e gli erbicidi sul totale dei costi variabili dal 90% a 93%40, e, al

contempo stesso, la minor spesa per erbicidi è stata compensata da un aumento del costo

delle sementi che, di fatto, inverte le quote di spese per erbicidi e sementi sul totale dei

costi variabili, che passano rispettivamente dal 35 e 55 per cento, nel caso di coltivazioni

convenzionali, al 56 e 36 per cento, nel caso di coltivazioni HT (Tab. 23).

Nel caso della colza HT41 (varietà canola) la spesa sul totale dei costi variabili per

erbicidi e sementi non ha avuto significate variazioni, mentre è più evidente come il minor

costo degli erbicidi è stato completamente compensato da un aumento paritetico nella

spesa per le sementi, congiuntamente ad una riduzione dei costi totali attribuibile ad una

diminuzione nei costi da capitale (Tab. 28).

Nel caso del cotone HT la spesa per erbicidi e sementi è aumentata del 55%, così

come i costi totali (lavoro incluso) che aumentano dell’8% (White K., Jones D., Johnson

P., 1999). Nella coltivazione del cotone HT la riduzione nel costo degli erbicidi non è

stata rilevata, anzi la spesa sia per le sementi sia per gli erbicidi è aumentata del 63 e 43

per cento rispettivamente, contemporaneamente ad un aumento del 20% della produttività

(che include anche la qualità del prodotto): risulta evidente come, nel caso del cotone,

l’aumento nelle spese per erbicidi e sementi sia stato maggiore dell’aumento della resa per

acro (White K., Jones D., Johnson P., 1999) e, allo stesso tempo, è stata richiesta una

maggiore spesa per l’irrigazione (particolare in contraddizione con le necessità di uno

sviluppo eco-compatibile, attraverso un minor impatto ambientale salvaguardando quei

beni comuni come l’acqua ritenuti, negli ultimi decenni, sempre più scarsi), accelerando i

processi erosivi.

40 I dati sono relativi alla tabella 23 e alla regione Heartland (dove maggiore è la tradizione e la produzione di soia negli

USA). 41 I dati sono relativi alla tabella 28, alle varietà HT e Argentina in terreni del tipo Black.

109

I risultati confermano ciò che in precedenza era stato affermato, vale a dire che la

coltivazione di piante Gm, e in quelle relative alla tecnologia HT, il maggior impatto nelle

abitudini agricole è relativo alla maggiore dipendenza da parte degli agricoltori dagli

inputs di origine esterna all’impresa, in particolare da parte di quegli input provenienti

dall’industria sementiera e fitofarmacologica. Tale considerazione riveste una particolare

importanza nel caso in cui, oltre alle caratteristiche performanti ed economiche connesse

alla coltivazione di piante Gm, si intenda considerare come variabile di sintesi la

sostenibilità nel lungo periodo dei processi produttivi connessi. Infatti, nel lungo periodo

gli effetti di una possibile riduzione dei costi di coltivazione possono riversarsi sui prezzi

dei prodotti agricoli, eliminando così la possibile convenienza. Sempre nel lungo periodo

è possibile considerare come la maggiore dipendenza dagli inputs produttivi riduca al

minimo l’apporto del capitale umano, inteso sia nel senso di quantità di lavoro sia nel

senso dell’espressione delle capacità imprenditoriali, spostando le remunerazioni del

processo produttivo verso quelle componenti dei costi non governabili dall’agricoltore,

che al limite del ragionamento potrebbe portare ad una completa meccanizzazione

dell’attività agricola con conseguenze che implicano una completa industrializzazione del

settore agricolo ed una diminuzione forzata degli occupati del settore.

Nel caso degli Ogm agricoli di seconda generazione, vale a dire quelli che

dovrebbero comportare un miglioramento qualitativo del prodotto, la regolamentazione

attuale sugli Ogm e le norme sui brevetti prevedono, come attualmente accade per alcune

coltivazioni di colza, che all’agricoltore competa solo il compito di seminare e raccogliere

il prodotto, mentre tutte le altre attività connesse all’attività produttiva risultano di

completo appannaggio della società fornitrice degli inputs produttivi, con la conseguenza

evidente di una trasformazione dell’imprenditore agricolo o del semplice agricoltore a

dipendente industriale, una sorta di operaio agricolo-industriale, eliminando tutte quelle

potenzialità imprenditoriali e manageriali che solitamente competono all’agricoltore e che

di norma garantiscono i redditi e la crescita del settore agricolo, ovvero viene meno

all’agricoltore la capacità di gestione dei fattori secondo la propria esperienza.

La collocazione sul mercato dei prodotti agricoli

La collocazione dei prodotti di origine transgenica sul mercato, così come attuata

ad oggi, pone limiti allo sviluppo e alla diffusione di tali nuove coltivazioni, in quanto allo

110

stato attuale sul mercato agricolo internazionale non è possibile acquistare separatamente

prodotti agricoli Gm e non, in quanto non esiste una segregazione del mercato. La

segregazione del mercato agricolo ha effetti molteplici sulla diffusione delle piante

transgeniche:

• La mancata segregazione non permette di evidenziare, nel caso di Ogm di seconda

generazione, i prodotti che hanno una maggiore qualità e che quindi potrebbero

richiedere un maggior prezzo, con un conseguente effetto non attrattivo da parte degli

agricoltori.

• La mancata segregazione ha sui consumatori effetti non desiderati, che li portano ad

acquistare prodotti garantiti Ogm-Free (come ad esempio i cibi biologici), a causa di

un’inadeguata informazione sugli effetti negativi sulla salute umana (in alcuni casi

ipotetica, ma probabile, ed in altri documentata, ma non divulgata a sufficienza).

• La mancata segregazione spinge gli Stati, ove la produzione non viene attuata per

mancanza di un’adeguata documentazione e sperimentazione sui rischi connessi, a

rifiutare alle frontiere prodotti Gm con conseguenze anche su quegli agricoltori che

producono prodotti convenzionali.

La mancata segregazione dei prodotti Gm da quelli convenzionali viene

giustificata dalle società produttrici con i costi che questa comporterebbe sull’intero

settore e che ciò eliminerebbe tutti i vantaggi economici connessi alla loro produttività.

La questione della mancanza di una segregazione dei prodotti non può, però,

essere ricondotta semplicemente ai costi connessi (attualmente sembrano essere a totale

carico di chi garantisce l’assenza di tali prodotti attraverso la certificazione biologica che,

però, non copre i coltivatori tradizionali non biologici), in quanto sembra che tale assenza

sia necessaria alla commercializzazione di tali prodotti in quegli Stati dove le

preoccupazioni, circa gli effetti sulla salute, sono più accentuate, e una certificazione di

completa derivazione transgenica potrebbe avere un effetto repulsivo da parte dei

consumatori verso tali prodotti. Tale necessità sembra essere più irrinunciabile all’interno

dell’Unione Europea che, ritenendo non sufficiente la documentazione finora prodotta in

materia di sicurezza alimentare (e probabilmente sull’onda dei problemi di sicurezza

alimentare dovuti al caso BSE e dei “polli alla diossina”), proprio all’inizio del 2001 ha

rivisto e inasprito i controlli dei prodotti alimentari e ha richiesto, attraverso la revisione

del regolamento C.E. 90/220, l’obbligatorietà di etichettatura per quei prodotti che

111

contengono un quantitativo di prodotto o derivato Gm superiore all’1%42.Tale necessità

nasce dal fatto che il regolamento C.E. 258/97 (denominato “Principio di Sostanziale

Equivalenza”), approvato anche dalla Fao e promosso dalla FDA (ovvero l’ente di

controllo sui farmaci e sugli alimenti statunitense) non prevede particolari controlli

tossicologici sui prodotti Gm che vengono dichiarati sostanzialmente equivalenti a quelli

convenzionali che, di fatto, comporta un’assenza di controllo sugli effetti a lungo termine

di tali prodotti sulla salute umana, e che, nel caso di marginali modificazioni degli stessi

prodotti approvati, il protocollo stilato dalla FDA non prevede alcun controllo

supplementare se non un preavviso di 30 per l’immissione nell’ambiente: ad esempio, se

dall’incrocio di due piante Gm, l’una HT e l’altra IR, si ottiene una terza pianta che ha

ereditato entrambe le modificazioni genetiche, questa non necessita di alcuna

sperimentazione perché ritenuta sicura, escludendo in tal senso qualsiasi effetto

pleiotropico43.

L’Unione Europea è interessata a salvaguardare i princìpi sanciti nell’Agenda

2144, che prevede il rispetto del “Principio di Precauzione”, introdotto anche nel Trattato

di Maastricht nel 1992, per il quale gli Ogm, in assenza di una documentazione scientifica

che certifichi l’assenza di pericoli per l’ambiente e la sicurezza alimentare nel lungo

periodo, sono da considerarsi “potenzialmente pericolosi” (Legambiente, 2001).

La mancanza di una segregazione della filiera alimentare ha effetti contrastanti per

le società fornitrici: infatti, se da un lato tale mancanza permette di commercializzare tali

prodotti in quegli Stati dove non sono completamente “graditi”, dall’altro rappresenta

un’esternalità per gli agricoltori nel produrli, e di conseguenza per ditte fornitrici, in

quanto non permette di evidenziare le caratteristiche innovative dal punto di vista

nutrizionale previste per gli anni a venire.

42 La percentuale è riferita al singolo componente, vale a dire che per ogni componente l’origine Gm non deve superare

tale soglia per non essere in obbligo di etichettatura. 43 Gli effetti pleiotropici si riferiscono all’intero metabolismo nucleotidico della pianta che potrebbe risentire del gene

aggiuntivo. Tali effetti sono considerati solo dal lato della produttività (resa limitata dall’effetto), ma non vengono presi in considerazione in senso generale. I recenti studi, ad esempio, sul genoma umano hanno reso noto che i geni non sono indipendenti tra loro e da ciò che circonda il corpo umano, ma interagiscono in maniera significativa e continua con l’ambiente circostante.

44 Agenda 21 è un documento redatto nella 2° Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, che prevede obiettivi stabiliti, nei tempi e nei modi, al fine di raggiungere una crescita eco-sostenibile per i Paesi firmatari (gli USA si sono rifiutati di firmare il documento).

112

III.9. Effetti di una maggiore produzione

Spesso si tende ad identificare una maggiore produzione di un bene con un

aumento del reddito di chi li produce, ma la realtà non è sempre così come si possa

immaginare.

Nel settore agricolo la presenza di una maggiore produzione di un bene non

genera necessariamente un maggior reddito e non è necessariamente una fonte di crescita

stabile e duratura, ovvero non genera Sviluppo.

Infatti, è difficile considerare come indicatore economico essenziale la crescita in

sé, in quanto se tale crescita è relativa ad un periodo limitato, e non genera sviluppo, è

possibile incorrere in un meccanismo in cui nel lungo termine si potrebbero avere

conseguenze sui sistemi economico-sociali negative45.

La maggiore produzione di beni in agricoltura può avere effetti diversificati

secondo lo Stato considerato, le condizioni climatiche, le necessità industriali ed

alimentari di uno Stato, e più in generale le necessità del mercato e delle strutture

economiche del Paese in esame.

Maggiore produzione nei Paesi dell’area Nafta

Il caso di una maggiore produzione di beni agricoli nell’area Nafta hanno un

effetto diverso da quello che si potrebbe ottenere in un qualsiasi altro Paese, in quanto

l’agricoltura nordamericana è caratterizzata da un’elevata meccanizzazione dei processi

produttivi agricoli e dall’assenza di produzioni autoctone caratteristiche soprattutto dei

paesi europei e di quelli dell’area del sottosviluppo.

La maggiore spesa in capitali e macchinari agricoli è un elemento caratterizzante

di tale agricoltura, perché permette di ottenere vantaggi nei costi di produzione connessi

alla maggiore superficie dei terreni agricoli, che in media sono di 250 ettari,

contrariamente alla situazione europea.

I prodotti Ogm più sperimentati e coltivati in tale area sono relativi a quelle

produzioni destinate alle esportazioni e a mercati caratteristici dell’industria alimentare,

che nel caso statunitense sono principalmente destinati al largo consumo massificato e

45 Per gli esempi si rimanda alla letteratura economica classica sullo sviluppo, in particolare agli scritti di Kaldor N.,

Frank G. e Hirschman A. O.

113

agli allevamenti per garantire una maggiore produzioni di carni, oltre ai mercati intermedi

dell’industria dolciaria.

I sistemi agricoli statunitensi e canadesi sono caratterizzati da produzioni

specifiche: mais, soia e cotone per gli USA e colza per il Canada. Tali produzioni sono

caratteristiche di grandi estensioni con vantaggi di scala, non conseguibili in altri paesi.

Gli Ogm in tale area sembra, nel modo in cui vengono pubblicizzate, essere

confacenti alla tipologia di agricoltura esistente (altamente industrializzata), anche se,

dopo un primo periodo di attrazione, sembra che tali prodotti per svariati motivi

(difficoltà di collocazione della merce e convenienza in particolar modo) stiano perdendo

il loro “potere attrattivo”.

Maggiore produzione nell’area della Comunità Europea

Nell’area europea la diffusione degli Ogm in agricoltura è ancora molto limitata in

seguito all’approvazione del “Principio di Precauzione”. La possibile maggiore resa di tali

produzioni, ed in generale di tutte le biotecnologie agricole (ivi comprese quelle relative

alle produzione di carni e derivati), non potrebbero avere effetti positivi, in particolare

nella realtà italiana.

I principali prodotti Gm coltivati sono, per gli Stati europei, principalmente di

origine importata, mais escluso per il quale si è a livelli di autosufficienza (Comunità

Europea, 2000).

Il livello di autosufficienza nella produzione di soia, ad esempio, è stato del 12%

nel biennio 1998/1999 (6% nel biennio 1995/1996) e l’origine dell’importazione è

relativa principalmente al Brasile, all’Argentina e agli USA, che rispettivamente

forniscono il 41.5, 34 e 21 per cento dell’importazione di soia in Europea.

Il principale mercato destinatario di tali prodotti sono le industrie dolciarie (nel

caso della colza) e quelle foraggiere per la nutrizione del bestiame.

Di rilievo è da considerare come le coltivazioni tradizionali di soia, colza e cotone

non potrebbero rappresentare di per sé una fonte di ricchezza per il sistema agricolo:

infatti, la competizione con i principali Stati produttori sarebbe persa in partenza, in

quanto questi dispongono di mezzi tecnici correlati alla grandezza dei terreni capaci di

ottenere vantaggi di scala (ad esempio le disinfestazioni, in tali Paesi, vengono effettuate

attraverso gli aerei, cosa impensabile in Europa a causa dell’elevato rapporto “costo

114

disinfestazione-dimensione degli appezzamenti di terreno” rispetto a quello

nordamericano o argentino, dunque non sarebbe possibile ottenere dei vantaggi di scala).

Nelle coltivazioni tradizionali l’ingresso degli Ogm al fine di aumentare la

produzione vendibile non è perseguibile, in quanto le norme agricole europee impongono

livelli limite alle produzioni al fine di salvaguardare i singoli Paesi produttori, l’unico

beneficio degli Ogm potrebbe essere la riduzione dei costi di produzione, ma, come già

constatato, la realtà degli Ogm non ha intrapreso tale strada.

Altro particolare non secondario, all’interno delle caratteristiche agricole della

Comunità Europea, è la presenza di una diffusa cultura nella produzione di specie

autoctone, caratteristiche delle singole aree e generatrici, attraverso i marchi di qualità e di

origine geografica protetta, di ricchezza attraverso produzioni specifiche, a volte di

nicchia altre no, caratterizzate da un alto valore aggiunto (relativo alla qualità, alla

sicurezza e alla tipicità).

La principale differenza tra la realtà agricola americana e quella europea risiede,

dunque, nella distanza che intercorre tra i due tipi di agricoltura: l’una caratterizzata da

grandi latifondi e da una produzione massificata e vocata alla quantità, l’altra

caratterizzata da eccedenze alimentari in alcuni settori, contemporaneamente ad una

produzione dove la tipicità trova la sua giusta collocazione sul mercato (nella quantità e

nella qualità che ne determinano il maggior prezzo). Per questi ed altri motivi, la

Comunità Europea è sempre in prima linea nel promuovere la ricerca sull’agricoltura

biologica come fonte di sicurezza, tipicità, sostenibilità economica ed ecologica, e dove il

potere agricolo deve tendere ad una distribuzione dei profitti più a favore degli agricoltori

(spesso a conduzione familiare) e non dell’industria alimentare, così come sembra essere

caratterizzata quella nordamericana.

Maggiore produzione nei Paesi in Via di Sviluppo

Una delle principali argomentazioni portate avanti dalle multinazionali Biotech è

che tali nuove tecnologie hanno la struttura e le potenzialità per poter avviare, con

maggior decisione, lo sviluppo nei paesi arretrati e di essere uno dei principali mezzi per

alleviare la fame nel mondo e della malnutrizione, che attualmente colpisce 800 milioni di

persone secondo le stime della Fao.

115

L’adozione delle biotecnologie qualora fornissero i mezzi per una maggior

produzione di alimenti, da sé non sembra abbiano le potenzialità e la struttura produttiva

capace da garantire un tale risultato.

Prescindendo da una semplice considerazione, ricavabile da qualsiasi rapporto

della Fao, che il problema della fame nel mondo non può essere ricondotta al solo deficit

nelle risorse alimentari, è da considerare come, nel complesso, il problema della

malnutrizione nei paesi più arretrati, ed in generale il problema della fame nel mondo, sia

il frutto di coincidenze economiche, sociali, politiche e soprattutto geopolitiche che,

contrariamente a quanto spesso si afferma, non possono essere più considerate meramente

contingenti e transitorie. Piuttosto la realtà dei fatti (ad esempio il caso del Farm Act in

Sudafrica) sembra evidenziare come i soli meccanismi economici, lì dove sono instaurati,

non rappresentano la Panacea per tale male: la fame nel mondo, le difficoltà d’accesso al

benessere per una parte rilevante della popolazione del pianeta costituiscono esempi non

negabili dell’esistenza dei cosiddetti Fallimenti di mercato, di qui la tesi, sempre più

comunemente accettata, secondo la quale il mercato da sé non garantisce la parità di diritti

per l’accesso ad una vita più equa e dignitosa.

Riprendendo l’argomentazione sull’opportunità posta in essere dalle piante

geneticamente modificate al fine di risolvere una situazione, che moralmente ed

eticamente inaccettabile ed insostenibile, come la fame nel mondo, è da evidenziare come

la storia passata abbia dimostrato come l’aumento della semplice produzione alimentare e

agricola nei Pvs non sia il giusto rimedio al sottosviluppo, a meno che essa non sia parte

integrante di un progetto più ampio di emersione e sviluppo socioeconomico: infatti, gli

studi economici effettuati dall’Economia dello Sviluppo mostrano come, in generale, il

solo sviluppo agricolo non garantisce di per sé uno sviluppo socioeconomico equilibrato

di lungo periodo, soprattutto se tale sviluppo agricolo è condizionato ad una tecnologia

estranea al territorio e improntata all’esportazione dei beni. In generale è possibile

affermare come l’agricoltura in sé non è in grado di generare effetti tali da permettere ad

un Paese arretrato di emergere senza attuare un preciso programma di coordinamento di

interventi nei vari settori dell’economia, delle istituzioni centrali, dell’istruzione e della

salute al fine di correggere gli squilibri esistenti, congiuntamente ad una politica di

correzione, da parte dei Paesi Sviluppati, di quei meccanismi che hanno o creato o

condizionato tali squilibri.

116

Utilizzando una semplice espressione di Hirschman è possibile affermare che le

biotecnologie così come strutturate e gestite non sono in grado di attivare connessioni

interne. Le biotecnologie finora sviluppate interessano essenzialmente prodotti destinati

all’industria dolciaria e alimentare straniera, destinati né all’alimentazione interna né alla

lavorazione di un’industria nazionale. La mancanza di tali connessioni è destinata a far

dipendere l’agricoltura nazionale dal mercato internazionale, gestito da poche grandi

multinazionali. Inoltre, essendo gli input produttivi, la commercializzazione finale, la

titolarità dei brevetti estranei alla loro economia la dipendenza da tali società fornitrici dei

mezzi tecnici ed intellettuali sembra essere molto forte.

Dal punto di vista della maggior produzione la necessità per i Pvs di sviluppare

una tale agricoltura destinata all’export, non attivante connessioni di consumo, fiscali (i

prodotti Ogm secondo le multinazionali sono producibili ovunque), a monte e a valle, nel

lungo periodo generano meccanismi di perdita di competitività, correlati alla mancanza di

rigenerazione del contenuto tecnologico, nei confronti dei beni manifatturieri che, come

numerosi studi affermano, hanno una costante rigenerazione tecnologica interna.

La situazione di lungo periodo esposta porta a considerare più semplicemente che

i prezzi dei beni dell’industria manifatturiera tendono a crescere in modo più significativo

rispetto ai beni prodotti nell’ambito agricolo, perché nel tempo inglobano un maggior

contenuto tecnologico e perché hanno la capacità di rinnovarsi ad una velocità maggiore.

La maggiore produzione ottenibile, la meccanizzazione richiesta per ridurre i costi

di produzione (congiuntamente al fattore capitale umano, che disincentiva la connessione

di consumo), il sistema dei brevetti, la produzione di beni non specifici (mais, cotone e

soia sono semplici materie prime), sembra riproporre, questa volta con la componente

tecnologica, quello che storicamente è stato definito il periodo della Dipendenza, che ha

portato allo svuotamento di intere nazioni, lasciate poi al loro destino.

In definitiva lo sviluppo nei Pvs di tali produzioni non garantisce né lo sviluppo né

la soluzione della fame nel mondo: il Brasile, ad esempio, è uno dei principali paesi

esportatori di prodotti agricoli (specialmente soia, e frutta), ed allo stesso tempo è uno dei

paesi colpiti dalla malnutrizione.

Le biotecnologie potrebbero essere utili a tali Paesi se e solo se si attivassero per

sviluppare e migliorare varietà vegetali autoctone (garantendo la tipicità e l’esclusività a

vantaggio dei redditi agricoli locali), svincolando tali produzioni dalla regolamentazione

117

sui brevetti e dal controllo, da parte delle multinazionali, del mercato agro-alimentare

mondiale (come sarà evidenziato nel capitolo quinto).

III.10. Osservazioni sui dati utilizzati per le comparazioni

I dati utilizzati per fare le comparazioni tra coltivazioni transgeniche e tradizionali,

nonostante le fonti siano autorevoli (Comunità Europea, Università statunitensi,

Dipartimento statunitense per l’agricoltura, etc…), sono da considerarsi all’interno di un

mercato, quello agricolo, dove le posizioni dominanti da parte di talune compagnie

generano distorsioni sui prezzi dei prodotti e sulla possibilità di diversificare le

metodologie di coltivazione e dove le stesse compagnie operano contemporaneamente su

ambedue i mercati, quello tradizionali e quello transgenico.

La non concorrenzialità del mercato, la quale sarà illustrata ed analizzata in modo

più specifico nel Capitolo Quarto, costituisce un dato essenziale su come tali statistiche

siano affette da errori non eludibili.

La non completa affidabilità dei dati utilizzati trova la sua giustificazione anche

nell’assunto che le diverse ricerche al fine di comparare le due tipologie di coltivazione

risultano essere a volte in contrasto tra loro, e ciò implica necessariamente che la

rilevazione e le metodologie utilizzate siano state molto diverse tra loro, come del resto

gli stessi risultati, dal punto di vista quantitativo, a volte non sono comparabili; in

definitiva, però, i risultati ottenuti da quegli studi che, secondo le opinioni di chi scrive,

sono stati ritenuti i più completi e sono quelli che restano in ogni modo i più eloquenti e

concordi con le principali ricerche.

La constatazione della non concorrenzialità del mercato congiuntamente alle

relazioni intercorrenti tra mercato tradizionale e transgenico fa sì che le comparazioni non

siano del tutto attendibili: le società che operano nel mercato biotecnologico agricolo sono

le stesse che operano nel mercato tradizionale; inoltre i mercati agricoli sono dominati da

poche società che, di fatto, li controllano (nel caso del mercato tradizionale il livello di

concentrazione industriale è minore di quello transgenico) e tali società sono le stesse che

operano sia nei due mercati “consequenziali” sementieri sia nel mercato dei fitofarmaci.

Le relazioni esistenti e create nel mercato agricolo internazionale (attraverso

fusioni, alleanze strategiche tramite la concessione di utilizzo dei brevetti, strategie di

segmentazione dei mercati, etc…) creano una situazione in cui non è più possibile

118

definire quali siano i veri prezzi dei prodotti, quale incidenza abbia il livello di

concentrazione dei mercati sui prezzi dei prodotti transgenici e non, soprattutto non è dato

sapere se tali società varino l’offerta dei prodotti al fine di rendere conveniente o meno

una determinata coltivazione o semplicemente, grazie alle ingenti possibilità economiche,

operino in regime di produzione sottocosto per favorire la diffusione di tali nuove

tecnologie.

Per tali motivi, e per la necessità di ottenere un’argomentazione che sia la più

corretta e affidabile possibile, si rende necessario un capitolo, il quarto, dedicato alle

argomentazioni sul mercato (concorrenzialità e relazione tra i vari mercati che interessano

più da vicino il settore degli inputs agricoli) e ai suoi principali operatori, evidenziandone

le strutture produttive e commerciali al fine di identificare le possibili strategie di mercato

intraprese e di verificare come e quanto incidano tali strategie sul mercato agricolo

internazionale, ponendo maggior rilievo alle argomentazioni riguardanti gli effetti sui

Paesi in Via di Sviluppo e sulla possibilità di alleviare il problema della malnutrizione e

del sottosviluppo.

C a p i t o l o Q u a r t o

LA CONCORRENZA NEL MERCATO DELLE BIOTECNOLOGIE

IV.1. Introduzione

Il fine del capitolo quarto è quello di descrivere la struttura del mercato

transgenico e agro-alimentare in generale, per metterne in evidenza le caratteristiche

peculiari economiche e non.

In effetti, le sole variabili economiche rilevanti, concentrazioni, quote di mercato,

operazioni di mercato, non sono in grado di descrivere il percorso attuale e futuro dello

sviluppo delle biotecnologie in agricoltura.

Una descrizione che metta in evidenza anche i meccanismi legislativi legati alla

globalizzazione dei mercati può certamente essere un modo diverso e più proficuo per

fornire al lettore una chiave di lettura più complessa e completa del fenomeno in

questione.

La necessità di una diversa trattazione e descrizione del mercato agro-alimentare

transgenico trae origine dalla constatazione che il mercato transgenico e il suo futuro sono

legati allo sviluppo delle regolamentazioni in materia commerciale e di diritti di proprietà

intellettuale. Inoltre, ad un’analisi più approfondita appare sempre più evidente come

leggi, regolamentazioni, quote di mercato e capacità di penetrazione nei mercati esistenti

formano un insieme indissolubile di fattori che condizionano lo sviluppo attuale e futuro

delle biotecnologie in campo agricolo.

Nel prosieguo, dunque, verranno trattate variabili economiche cui saranno

affiancate informazioni di carattere normativo, al fine di stabilire quali siano realmente le

potenzialità di diffusione e il potere reale e potenziale delle compagnie che operano sul

mercato, sempre mantenendo fermo il presupposto che le informazioni saranno elaborate

in un’ottica di previsione di lungo periodo. La definizione di lungo periodo sarà relativa ai

vari aspetti del sistema agricolo mondiale, da quello economico a quello sociale, avendo

come base di riferimento il concetto di sviluppo sostenibile in tutte le sue componenti:

120

società, mercato, ambiente, risorse. La sostenibilità rappresenterà il parametro di

riferimento per ogni riflessione ed ogni analisi dei fenomeni in questione.

In tale ottica di lavoro verranno descritti i movimenti del mercato e il loro

possibile sviluppo futuro, verranno elencate le principali compagnie del settore e i loro

comportamenti, e verranno relazionate, inoltre, alle vigenti regolamentazioni tutte le

variabili economiche al fine di verificare l’effettivo potenziale di sviluppo delle

biotecnologie ed il ruolo delle compagnie leaders nel settore.

IV.2. Il mercato agro-farmaceutico e il ruolo delle multinazionali

Dalle prime commercializzazioni dei prodotti biotecnologici avvenute nel 1994, la

struttura di questi mercati è profondamente cambiata.

Le società operanti in tale mercato hanno rivoluzionato tutto il sistema agro-

alimentare: le fusioni, le alleanze, le nuove regolamentazioni nel rilascio ambientale e

sull’immissione nel mercato alimentare hanno fatto sì che il sistema ne fosse radicalmente

mutato.

Le biotecnologie, e i loro effetti sul mercato internazionale e sull’agricoltura in

generale, non possono essere considerate a sé stanti, ma vanno relazionate allo sviluppo

dell’ingegneria genetica da un lato (come fonte d’innovazione), e dall’altro vanno

relazionate al complesso sistema di regolamentazioni, che presenta, a nostro avviso, falle

ed omissioni in favore della diffusione degli Ogm, oltre ad essere in netto contrasto con i

diversi protocolli di difesa ambientale e con il Principio di Precauzione, ratificato dalla

Comunità Europea.

Le principali società operanti sul mercato biotecnologico sono prevalentemente

multinazionali appartenenti a tre diverse aree geografiche (USA, Comunità Europea,

Svizzera), le quali hanno il controllo sulla quasi totalità del mercato biotecnologico ed

operano anche nel mercato sementiero tradizionale e fitofarmacologico.

I principali “attori” della scena biotecnologica sono le società Monsanto,

Syngenta, Aventis e DuPont, le quali detengono attualmente il monopolio delle colture

transgeniche. Tali società operano in diversi mercati, ma attualmente la diffusione

commerciale dei loro prodotti è relativa solamente a quegli Stati che ne permettono la

diffusione ambientale, vale a dire USA, Canada e Argentina principalmente.

121

La strategia principale di tali società sembra essere indirizzata ad ottenere,

attraverso fusioni e alleanze strategiche, una “fetta” del mercato transgenico attraverso la

ricerca sui brevetti e la loro gestione, dal potenziale ancora incerto da un lato, e, dall’altro,

tali operazioni di mercato tendono a mettere sempre più in relazione il settore agro-

alimentare tradizionale con quello biotecnologico, ed in particolare sembra che tali società

abbiano l’intenzione di sfruttare la struttura commerciale esistente nel settore agricolo

tradizionale al fine di meglio diffondere i prodotti Ogm attraverso i canali commerciali

esistenti, eludendo qualsiasi forma di segregazione del mercato (in tal senso sembra essere

indirizzata l’acquisto da parte della Monsanto della società Cargill, tra le principali società

che commercializzano sementi).

Le finalità di tali operazioni di mercato, supportate dalle nuove normative e dalle

regolamentazioni sui brevetti e sui sistemi di protezione intellettuale richiesti dagli

accordi Trip’s, possono essere ricondotte a due obiettivi precisi:

�� Un obiettivo è di tipo produttivo-economico, vale a dire di estendere il

controllo sull’intera filiera per favorire l’integrazione, in modo tale da trarre un

vantaggio più efficiente dalle complementarità delle risorse utilizzate e create

(ricerca, produzione, commercializzazione).

�� Un secondo obiettivo è quello di favorire un maggior controllo sulla ricerca,

restringendo la possibilità di accesso alle innovazioni e di distribuzione dei

prodotti, tramite l’acquisizione di società di ricerca e commercializzazione

esistenti ed emergenti, da parte di soggetti terzi46.

Tali obiettivi pongono, congiuntamente agli alti livelli di concentrazione, limiti

per l’accesso al mercato da parte di possibili concorrenti e pone i maggiori produttori e le

società di ricerca (riconducibili ai medesimi soggetti economico-giuridici) in condizione

di controllare gli indirizzi della ricerca stessa e di commercializzare i loro prodotti

attraverso canali già esistenti, gestendo il mercato attraverso il potere finanziario e

giuridico a loro favore47, e garantendo lo sviluppo solo di quelle colture economicamente

rilevanti con ripercussioni sui livelli di biodiversità esistenti.

46 I limiti sono riconducibili al fatto che nella revisione del ’91 della Convenzione sulla Protezione degli Ottenimenti

Vegetali (promossa dall’UPOV, Unione per la Protezioni degli Ottenimenti Vegetali) è prevista la possibilità di doppia protezione, ibridatori (Plant Breeder’s Rights, PBR) e brevetti (Patents), oltre alla possibilità di estendere la protezione a tutti i vegetali e alle varietà essenzialmente derivate.

47 Le legislazioni vigenti in materia di brevetti e protezione favoriscono i vantaggi da prima mossa, grazie alla possibilità di estendere la protezione a tutto il materiale biologico derivato e alle varietà essenzialmente derivate.

122

Nel complesso è facile identificare come tali società adottino strategie di mercato

diverse: ad esempio la Monsanto pratica principalmente una strategia d’integrazione

verticale e contemporaneamente adotta una politica sulle licenze molto diversificata,

alcune sono esclusive (per il cotone, il principale fruitore autorizzato è la ditta Delta &

Pine Land, la quale doveva essere acquisita dalla Monsanto stessa, ma tale acquisizione è

stata vietata a causa dell’eccessivo potere di mercato che ne sarebbe derivato), alcune

libere ed altre sembrano essere decise di volta in volte dalla Monsanto secondo la società

richiedente; la Novartis (che dopo la fusione con parte di AstraZeneca prende il nome di

Syngenta) opera in condizione d’integrazione verticale, ovvero i geni introdotti sono

relativi alle sole sementi prodotte dalle società del gruppo stesso, ma ciò verrà ripreso in

un secondo momento.

Uno dei fattori più interessanti riguardante le biotecnologie, quindi, sembra essere

proprio il fatto che i principali operatori nel mercato siano delle società multinazionali,

alcune delle quali hanno sempre avuto un grande interesse nel mercato agricolo mondiale

e che negli ultimi anni si sono specializzate nel settore biotecnologico grazie

all’interconnessione con l’industria farmaceutica mondiale.

In sintesi, fino al 1994 lo sviluppo degli Ogm è stato relativo alla ricerca di geni da

introdurre nelle piante con la possibilità di migliorare l’attività agricola, ma di lì in poi la

strategia delle società è stata indirizza a consolidare le proprie posizioni di mercato, a

creare alleanze strategiche che, di fatto, hanno reso il mercato molto concentrato,

dominato da poche grandi società che si sono alleate o fuse tra loro al fine di meglio

controllare il mercato e di avviare una seconda fase di sviluppo e diffusione delle

biotecnologie atta a rivoluzionare il mercato agricolo attraverso i tradizionali mercati

agricoli dei prodotti fitofarmacologico e sementieri, dove le attuali regolamentazioni sui

diritti di proprietà intellettuale e la possibilità a brevettare giocano un ruolo decisivo e

fondamentale nelle strategie di mercato delle società del settore.

IV.3. Evoluzione degli assetti societari delle maggiori società sementiere e

fitofarmacologiche

Le grandi compagnie impegnate nel settore delle biotecnologie hanno investito

molto negli ultimi anni per acquisire compagnie attive nel mercato sementiero e

fitofarmacologico.

123

Le principali operazioni di mercato riguardano le grandi compagnie multinazionali

come Aventis, Monsanto, Syngenta e DuPont.

Il riassetto societario, in atto ed in corso, è evidente anche attraverso i nomi delle

società stesse, vale a dire che nel periodo 1997-2000 le società di riferimento sono

cambiate perché, sempre nel periodo considerato, numerose sono state le fusioni ed in

generale le operazioni di mercato che hanno rivoluzionato gli assetti societari ed in

generale le strutture produttive e commerciali di fondo: la Novartis, dopo la fusione con

parte di AstraZeneca, viene denominata Syngenta; la Monsanto, dopo l’ultima fusione

con la farmaceutica Pharmacia & UpJohn, viene denominata Pharmacia Company;

Zeneca e AstraZeneca si fondono in Advanta, Rhône-Poulenc si fonde con Hoechst per

dar vita ad Aventis che incorpora anche AgrEvo.

Le operazioni di mercato, alla luce degli attuali assetti societari, appaiono ancor

più ristrette ad un numero esiguo di società che, di fatto, ha dominato la ristrutturazione

del mercato: in particolare, se si tiene conto dell’acquisizione da parte di Monsanto della

società sementiera DeKalb Genetics, della fusione tra AstraZeneca e Norvatis (che ha

dato vita a Syngenta) e alla fusione tra AgrEvo e Rhône-Poulenc, il numero di società cui

fa riferimento l’indagine si riduce da dieci a sette, e le operazioni principali di mercato

possono essere ricondotte per il 60% (124 su 205) a tre sole multinazionali, Monsanto,

Syngenta e Aventis (Tab. 34).

Nel complesso, è evidente che, negli ultimi cinque anni, le società appartenenti

alle Life’s Science hanno avviato una ristrutturazione del mercato agricolo; un processo di

consolidamento i cui effetti sul mercato sono relativi ad una concentrazione verticale,

intesa come inglobamento all’interno delle società delle filiere produttive relative ai

propri prodotti brevettati, ed ad una concentrazione orizzontale, intesa come acquisizione

o fusione con società simili già esistenti riducendo in tal modo il livello di

concorrenzialità del mercato stesso, coinvolgendo non solo il mercato inerente le

biotecnologie, ma investendo anche il mercato tradizionale con le relative influenze

oligopolistiche.

Le acquisizioni e le fusioni messe in atto dalle principali società del settore biotech

hanno fatto sì che il controllo del mercato e delle filiere produttive agricole potesse essere

ricondotto ad un gruppo ristretto di società, ma dalle potenzialità finanziarie cospicue,

escludendo ogni possibilità di segregazione delle filiere: di fatto, le filiere non sono

124

distinguibili poiché i punti di commercializzazione, che presentano un discreto livello di

concentrazione, e le società produttrici sono riconducibili alle stesse che operano nel

mercato tradizionale. In definitiva le società biotecnologiche hanno sfruttato ed

“occupato” i tradizionali mercati di produzione e distribuzione esistenti per i propri

prodotti.

Relativamente al mercato statunitense, gli effetti della diffusione delle

biotecnologie agricole hanno investito principalmente il mercato sementiero: tali

conseguenze sul mercato fitofarmacologico sono evidenti relativamente al fatto che sono

state esse stesse ad entrare nel mercato sementiero, come ad esempio Monsanto, le quali

hanno così allargato le proprie prospettive di sviluppo sul mercato agricolo.

Il grafico 16 mostra come le acquisizioni delle principali società sementiere

mondiali sono riconducibili a poche sole società delle Life’s Science, tra le quali un ruolo

dominante spetta alla Monsanto (ora denominata Pharmacia) e alla società Aventis.

I dati forniti dall’Usda mostrano con estrema evidenza la tendenza del mercato

sementiero statunitense (primo produttore mondiale di sementi, con una quota sul totale

mondiale, secondo i dati dalla FIS, del 19%) alla concentrazione tecnico-industriale, in

particolare nel mercato del cotone attraverso la società Delta & Pine Land, la cui

acquisizione da parte della Monsanto è stata negata dall’Antitrust statunitense perché già

in possesso della società sementiera Stoneville (cui spetta il 12% del mercato sementiero

del cotone), e che, di fatto, poi è stata sostituita con la possibilità di diventare unico

fruitore del brevetto sulle sementi di cotone Roundup Ready, cui spetta il 71% del

mercato delle sementi di cotone, vale a dire una netta posizione dominante o monopolio

(Grafico 17), oltre alla posizione di rilievo nel mercato statunitense della società Pioneer

Hi-Bred (DuPont), la quale vanta un posto di rilievo anche in campo internazionale,

soprattutto in Europa.

Nel complesso sono evidenti due fattori essenziali che hanno determinato la

ristrutturazione del mercato sementiero e fitofarmacologico:

1. Le principali operazioni di mercato sono state tendenzialmente indirizzate

ad un rafforzamento delle posizioni dominanti da parte di poche

compagnie, tra le quali è evidente il ruolo svolto dalla Monsanto (sia come

società a sé, sia come associata alla società Delta & Pine Land nel mercato

del cotone sia attraverso le attività sementiere europee della Cargill).

125

Tab. 34 – Attività di consolidamento delle principali società biotecnologiche

(1998)

Compagnie Fusioni Acquisizioni Joint Ventures Altro Totale

Monsanto (USA) 1 15 4 17 37

AgriBiotech (USA) 1 30 0 5 36

Novartis48 (Svizzera) 3 21 10 0 25

Aventis-AgrEvo (Germania) 2 15 3 2 22

AstraZeneca (Inghilterra) 0 14 1 1 16

Limagrain (Francia) 0 15 0 1 16

La Moderna/Savia

(Messico49) 1 10 0 5 16

Rhône-Poulenc (Francia) 3 6 2 2 13

Dupont (USA) 0 3 2 8 13

DeKalb Genetics50 0 11 0 0 11

Fonte: Brennan e altri (1999)

Graf. 16 – Acquisizioni di compagnie sementiere da parte delle società della

Life’s Science, 1995-1998

Fonte: Brennan ed altri (1999)

48 Attualmente il gruppo Novartis ha dato vita insieme con Zeneca (escluso il 50% della società in comune con la società

Advanta) a Syngenta. 49 Società operante anche in Italia. 50 Le attività sementiere della DeKalb appartengono alla società Monsanto.

0 10 20 30 40 50 60 70 80

Monsanto Aventis Dow Chemical AstraZeneca Novartis Dupont

126

Graf. 17 – Concentrazione (CR4) per l’industria commerciale di sementi in

USA, 1998

Fonte: Hayenga e Kalaitzandonakes (1999)

67

49

87

0

20

40

60

80

100

Mais Soia Cotone

127

2. La non segregazione del mercato (su cui ci si soffermerà più in seguito) ha

avuto l’effetto di stabilire uno stretto rapporto tra il mercato tradizionale e

quello transgenico (entrambi caratterizzati da posizioni dominanti) che, di

fatto, determinano una distorsione su ambedue mercati.

L’attività di consolidamento viene esplicata attraverso strumenti diversificati:

dalle semplici joint-ventures alle fusioni, come strumento culminante e radicale in un

riassetto societario ed organizzativo.

Tra le società che sono state più attive vanno considerate, relativamente al mercato

delle sementi, Monsanto e Aventis, cui spettano rispettivamente, in termini di

acquisizioni, 22 e 18 operazioni, importanti soprattutto dal punto di vista qualitativo51

(Graf. 16).

Relativamente al mercato delle sementi e alle colture maidicole, della soia e del

cotone (tradizionalmente molto diffuse in USA) appare giustificato considerarli come

caratterizzati da alti livelli di concentrazione, in particolare quelli del mais e del cotone.

IV.4. Le operazioni di mercato delle principali società Biotech

In questo paragrafo forniremo argomentazioni e dati sulle principali operazioni di

mercato effettuate dalle società Biotech, al fine di identificare una possibile strategia di

mercato, evidenziando come la diffusione delle biotecnologie non sia un fatto a sé stante,

ma che presenta correlazioni con il mercato tradizionale. Attraverso una struttura del

mercato così composta, è possibile ipotizzare una distorsione del prezzo dei prodotti

connessi al basso livello di concorrenzialità: tali società hanno in sé le capacità tecniche e

finanziarie per influenzare il mercato a favore dell’una o dell’altra parte, naturalmente

secondo una logica di convenienza legata sì alla produzione di sementi fitofarmaci, ma,

nel contempo stesso, condizionata dalle regolamentazioni sui brevetti ed al relativo

technology fee.

Di seguito si cercherà di riassumere le principali operazioni di mercato avvenute

negli ultimi anni e che hanno avuto una valenza sugli equilibri del mercato agricolo

mondiale, il tutto suddividendole per società operante.

51 Il riferimento al carattere qualitativo è da riferirsi al potere, effettivo e potenziale, di mercato delle società oggetto

dell’operazione.

128

Monsanto. Le principali operazioni di mercato della Monsanto possono essere

riassunte, relativamente al periodo 1995-1999, nel seguente elenco:

• Acquisizione delle società sementiere Asgrow, Holden’s Foundation Seeds Inc.,

DeKalb Genetics Corp., Corn States Hybrid Service Inc., attività internazionali

delle sementerie Cargill (escluso Canada, Usa e Inghilterra), Sementes Agroceres

(Brasile).

• Tentativo d’acquisizione della Delta & Pine Land.

• Acquisizione della società di ricerca Calgene, Agracetus.

• Tentativo di fusione con la società operante nel settore dei fitofarmaci American

Home Products, negata dall’Antitrust statunitense.

• Acquisizione della società Plant Breeding International Cambridge (PBIC) da

Unilever, importante trasformatore di prodotti agricoli (grano, oli di semi, ecc.)

nel mercato europeo.

• Collaborazione (diritto d’usufrutto della resistenza al glifosato su soia, mais e

cotone) con le società Novartis, Cheminova, Dow AgroScience e Nufarm.

• Collaborazione con la società Zeneca per l’uso del glifosato trimesio sulle piante.

• Collaborazione con la società di ricerca Great Lakes Hybrid per la ricerca di

resistenze per il mais (tale società è in collaborazione con la società sementiera

KWS).

• Fusione con la multinazionale farmaceutica Pharmacia (guidata da un suo ex

dirigente), dando vita alla società Pharmacia Company.

• Collaborazione con la società di ricerca Genzyme Molecular oncology.

• La Monsanto detiene inoltre le società: Jacob Hartz, Hybritech, Ameri-Can

Pedigree, Monsoy (Brasile), First Line Seeds (Canada), Forage Genetics Inc.

(collaborazione), Sensako (Sudafrica) e Custom Farm Seed.

Tali operazioni sono state valutate per un controvalore maggiore di 35.000 milioni

di dollari USA (27.000 milioni relativi alla fusione con Pharmacia).

Novartis. La società Novartis, che dopo la fusione con AstraZeneca prende il nome

di Syngenta (relativamente alla divisione agricoltura), opera principalmente nel settore

farmaceutico (in principio tale società era stata originata dalla fusione tra le società

129

farmaceutiche Ciba-Geigy e Sandoz. Syngenta sviluppa le proprie ricerche soprattutto nel

settore della resistenza agli insetti (BT).

Tra il 1995 e il 1999 le operazioni di mercato principali sono state:

• Alleanza con Acacia Bioscience per la selezione delle colture.

• Collaborazione con Monsanto per l’uso del glifosato sulle colture.

• Cooperazione con i proprietari dell’erbicida PPO, che include Sumitomo e Rhône

–Poulenc, per la ricerca di piante resistenti al PPO.

• Acquisizione delle società sementiere Eridania Beghin-Say, che include le società

Agra (Italia), Agrosem (Francia), Koisel Semillas (Spagna) e altre operazioni in

Ungheria e Polonia.

• Fusione con AstraZeneca per dar vita a Syngenta, che vanta vendite di prodotti

agricoli per 7.000 milioni di dollari (22% del mercato).

• Collaborazione per un valore di 34.000 milioni di dollari con la società Myriad

Genetics per la ricerca sui cereali.

• Novartis include, inoltre, società come CC Benoist e Maisaduour Semences

(Francia).

La società Syngenta vanta un fatturato nel 1999 di 7.000 milioni di dollari, di cui

4,7 derivanti dal settore agribusiness della società Novartis.

Aventis. La società nasce dalla fusione tra Hoechst (Germania) e Rhône-Poulenc

(Francia) ed ha stretto relazioni con Mycogen (Dow AgroScience), Biogemma

(Limagrain).

La gestione delle attività dell’agribusiness, scaturita dalla fusione, è affidata alla

controllata AgrEvo, la quale raggruppa tutte le attività legate alle biotecnologie applicate

in agricoltura della compagnia Aventis. La fusione è stata valutata attorno ai 4.500 milioni

di dollari.

Tra le principali operazioni della società vanno menzionate:

• Acquisizione tramite AgrEvo di Biogenetich Technology (Olanda), la quale

detiene la seconda società sementiera indiana (ProAgro), specializzata nella

produzione di sementi di riso, miglio, sorgo, e Misr Hytech (Egitto), specializzata

in vegetali.

130

• Acquisizione della società Rio Colorado Seeds (California), specializzata nella

produzione di ibridi di cipolle.

• Acquisizioni di tre società sementiere brasiliane, quali Sementes Ribeiral,

Sementes Fartura e Mitla Perquisa Agricola, per un controvalore di 13.000 milioni

di dollari (tali società controllano l’8% delle vendite di sementi di mais e sono

attive nel mercato della soia e del sorgo).

• Aumento del controllo al 95% nella società Plant Tech Biotechnology.

• Acquisizione della società Genex e istituzione della AgrEvoSeeds Australia,

specializzata nel mais e nel sorgo.

• Collaborazione, tramite la società Rhône-Poulenc, con Agritope per la ricerca

sugli Ogm di seconda e terza generazione (modifiche genetiche plurime e

miglioramento qualitativo), tale accordo prevede un investimento da parte di

Rhône-Poulenc di 20.000 milioni di dollari in 5 anni.

• Collaborazione con l’Istitute of Molecular Agrobiology per la ricerca sul riso.

Aventis detiene inoltre società come PGS (Belgio), Numhens (Olanda), SunSeed

(USA), Cotton Seed International (Australia) e la Cargill Hybrid (USA), Granja 4 Irmaos

(Brasile), Keystone Seed, Dessrt Seed, Castle Seed, Cannon Roth.

Le operazioni di mercato (esclusa la fusione iniziale) relative alle acquisizioni di

Cargill, Sunseeds e PGS sono state valutate attorno a 1.200 milioni di dollari.

Advanta. La società raggruppa la divisione agribusiness nata dalla collaborazione

tra Zeneca (Inghilterra) e Van Der Have (Olanda) e poi dalla fusione tra Astra (Svezia) e

Zeneca, esclusa la parte di Zeneca detenuta dalla società Syngenta.

Tra le principali operazioni vanno citate:

• La collaborazione con la ditta giapponese Japan Tobacco per la ricerca sul riso ed

il mais.

• La collaborazione con AgriPro (USA), con Plant Bioscence e con Maxygen

tramite Zeneca, con un investimento di 20.000 milioni di dollari in 5 anni.

• Tra le società facenti parte di Advanta sono da considerare: Garst, Gutwein, ICI

Seed, Interstate Payco, Olds Seeds, Zenco, Mogen e Sharpes International.

Il costo della fusione per dar vita a Advanta è stato stimato attorno ai 3.500

milioni di dollari.

131

DuPont. La società è leader nella produzione di sementi grazie l’acquisizione di

Pioneer Hi-Bred, che è il principale produttore mondiale di sementi di ibridi di mais (42%

del mercato), fornisce il 18% delle sementi di soia nel mercato statunitense ed ha

recentemente acquisito la compagnia brasiliana di sementi di soia Dois Marcos.

Tra le principali operazioni di mercato effettuate dalla DuPont vanno considerate:

• La completa acquisizione della Pioneer Hi-Bred per un controvalore di 9.400

milioni di dollari.

• La collaborazione con la società Curagen per la ricerca sull’identificazione di

piante per la protezione genetica (ricerca di geni utili da brevettare).

• La collaborazione con la John Innes Research Center in Inghilterra.

• Acquisizione della società Protein Technologies International da Optima Quality

Products.

IV.5. Le principali evidenze empiriche scaturite dalle recenti operazioni di

mercato

In precedenza sono state illustrate le principali operazioni di mercato effettuate

dalla società leaders nel settore delle biotecnologie agricole: tali operazioni sembrano

caratterizzare una strategia di mercato atta al consolidamento delle posizioni dominanti

congiuntamente ad un rafforzamento delle collaborazioni tra le società leaders.

La mancata segregazione delle filiere produttive per sementi e la crescente

collaborazione (a volte si tratta di veri e propri cambi di settore di pertinenza) tra

l’industria sementiera e quella fitofarmacologica evidenziano come la caratteristica

principale dei prodotti biotecnologici (quella di collegare l’uso dell’erbicida alla semente,

dove il caso della strategia portata avanti dalla Monsanto, attraverso la tecnologia RR ne

rappresenta il prototipo) abbia influenzato le scelte di mercato, facendo in modo che i

rapporti commerciali tra le due industrie non fossero più caratterizzate da semplici

relazioni, ma le continue fusioni e collaborazioni hanno fatto sì che queste si fondessero,

formando un’industria unica rivolta al settore agricolo nel suo complesso, unendo le

esperienze nei rispettivi settori al fine di trarre mutui benefici dalla ricerca biotecnologica.

La fusione tra il mercato fitofarmacologico e sementiero ha avuto effetti evidenti

anche sul mercato tradizionale. Il potere di mercato esercitato da talune multinazionali,

congiuntamente alla constatazione che esse operano in ambedue i mercati (transgenico e

132

tradizionale), ha creato una situazione ambigua: infatti, entrambi i mercati sono

caratterizzati da posizioni più o meno dominanti, con il risultato che non può essere

rilevato, in maniera certa e quantificabile, quanto le aziende abbiano influenzato l’uno o

l’altro mercato, seguendo la normale (ma non per questo eticamente corretta) logica

aziendale, atta a favorire quei prodotti che potrebbero essere per le aziende più

convenienti, viste le regolamentazioni esistenti sui prodotti Gm e le caratteristiche di

coltivazione degli stessi.

La ristrutturazione dei mercati sementieri e fitofarmacologici ha optato per la

scelta di avviare una collaborazione (a volte riassunta in fusioni ed acquisizioni) tra le

principali compagnie operanti nei mercati, accentuando il carattere di consolidamento del

mercato, tale da farne restringere il controllo da un oligopolio costituito da una decina di

società ad un altro formato da quattro società principali: Monsanto, Aventis, Syngenta e

Advanta. Inoltre, tenendo conto delle relazioni di collaborazione esistenti e create di

recente, è possibile ipotizzare come tale mercato oligopolistico abbia acquisito le

caratteristiche di un monopolio o di un cartello, capace di influenzare il mercato

attraverso non solo i prezzi e quantità, ma anche attraverso il potere, acquisito attraverso i

brevetti, intrinseco nel concetto e nelle regolamentazioni degli stessi.

Tra le principali operazioni e collaborazioni che fanno presupporre tale tentativo

di consolidamento del mercato, attorno a poche sole società, sono da evidenziare le

seguenti:

�� La fusione recente, nel 2000, tra la farmaceutica Pharmacia e la Monsanto.

�� L’acquisizione da parte della Monsanto, risolta poi in una licenza esclusiva per le

sementi di cotone, con la società Delta & Pine Land.

�� La spartizione della società sementiera Cargill tra la Monsanto (mercato europeo e

sudamericano), l’Aventis (mercato nordamericano) e la Dow (mercato delle sementi

ibride statunitensi e canadesi).

�� La divisione della società Delta & Pine Land tra la Monsanto (mercato delle sementi

di cotone, tramite la licenza esclusiva) e la società Dow (mercato delle sementi di

mais e sorgo).

�� L’acquisizione da parte di AgrEvo (Aventis) del 20% della società sementiera KWS

(8° società sementiera al mondo per fatturato), la quale controlla il 25% delle sementi

mondiali di barbabietola da zucchero.

133

�� La fusione annunciata per il Gennaio 2000 tra le società KWS (Germania) e

Limagrain (Francia), rispettivamente l’ottava e la quarta società mondiale per fatturato

nel mercato sementiero (relativamente alle attività legate al mais e alla soia in

nordamerica).

�� La fusione di Novartis e AstraZeneca (la parte non compresa nella fusione che ha dato

vita ad Advanta) ha dato vita a Syngenta (entrambe le società erano attive sia nel

mercato sementiero sia nel mercato fitofarmacologico).

�� La completa acquisizione, da parte di DuPont, della società sementiera Pioneer Hi-

Bred, società leader mondiale nella produzione e commercializzazione delle sementi

di mais.

In sintesi dai dati forniti dalla Rafi (1999, 2000) è possibile costatare come le

prime dieci società mondiali produttrici di sementi (cui spetta un fatturato complessivo

del mercato pari al 31%), attraverso le varie operazioni di mercato, le partecipazioni

azionarie possono essere ricondotte, attualmente, a sole cinque: nella restrizione del

numero di società sono state incluse la Dow, che insieme con Monsanto e Aventis detiene

le varie divisioni della Cargill, la società Delta & Pine Land, che collabora strettamente

con Monsanto (cotone) e allo stesso tempo è parte integrante di Dow (sorgo e mais), e le

società Limagrain e KWS, le quali hanno annunciato la fusione delle proprie attività

nordamericane relativamente alle sementi di mais e soia.

Tali strategie mostrano come le compagnie leaders abbiano ristrutturato il mercato

agricolo mondiale, nelle sue componenti principali, in funzione della nuova metodologia

di coltivazione delle piante transgeniche, in funzione cioè del pacchetto tecnologico

composto da semente+erbicida.

Dal 1996 ad oggi il mercato sementiero insieme a quello fitofarmacologico è stato

oggetto di numerose operazioni di mercato caratterizzate da ingenti investimenti, in

particolar modo fusioni, che hanno portato ad esempio alcune società come la Monsanto a

ricoprire un ruolo di primaria importanza nel mercato agro-alimentare mondiale.

Relativamente al 1997 la Monsanto era la settima società mondiale nel mercato

sementiero con 200 milioni di dollari di fatturato, nel 1998 tale fatturato aumentava a

circa 1800, facendola balzare al secondo posto tra le leaders mondiali del mercato.

134

IV.6. Le società che operano nel mercato agro-alimentare

Le società che operano nel mercato dell’agribusiness negli ultimi anni hanno

investito molto nella ricerca sulle biotecnologie agricole. Tali società, tuttavia, non

sempre operano solamente nel mercato agricolo, ma spesso sono costituite da diversi

settori, in particolare è evidente una stretta relazione tra le multinazionali farmaceutiche e

multinazionali agricole, soprattutto riguardo allo sviluppo parallelo che le biotecnologie

stanno avendo sia in agricoltura sia nella medicina (relativamente ai farmaci e agli

xenotrapianti). La tabella 35 mostra come tutte le società principali, operanti sul mercato

dell’agribusiness, non hanno come unico settore prevalente di vendite quello agricolo,

tranne alcune come AgrEvo.

Società come Novartis e Monsanto (ora denominata Pharmacia Company)

vantano un’esperienza pluriennale in settori diversi. Monsanto comprende, al suo interno,

tre divisioni di produzione e vendita, quella relativa all’agricoltura con Monsanto (reparto

scienze della vita) Solutia (chimica tradizionale), quella farmaceutica (grazie anche alla

fusione con la multinazionale farmaceutica Pharmacia & UpJohn). Essa, ad esempio,

opera in 100 paesi al mondo commercializzando prodotti come il dolcificante Misura;

Novartis, d’altro canto, è una multinazionale farmaceutica di lunga esperienza che ha

diviso le proprie attività in tre divisioni riconducibili a settore agricolo, alimentare e

farmaceutico. Ad esempio, Novartis produce contemporaneamente il Mais BT Evento 11

(riconosciuto tra l’altro come non “sostanzialmente equivalente” in Europa insieme con

altre sei piante Gm), medicinali come il Voltaren e prodotti alimentari dietetici come

PesoForma; società come Monsanto, con un fatturato del 47% derivante dall’agribusiness

(si stima che il 15% delle vendite sia attribuibile all’erbicida Roundup), e società come

AgrEvo, la cui totalità del fatturato trae origine dal settore agribusiness, investono molto

nel settore dell’agribusiness e dove hanno investito negli ultimi anni molti capitali

finanziari, settore questo che secondo le loro prospettive avrà effetti sui mercati agricoli

per un tempo molto lungo. In alcuni casi la concentrazione realizza economie di scala, le

quali potrebbero avere l’effetto positivo di ridurre i costi di produzione.

Le protezioni intellettuali e commerciali sono parte integrante del sistema

biotecnologico, stimolando ricerca, sviluppo ed investimenti, ma, allo stesso tempo, le

modalità di applicazione di tali normative potrebbero essere troppo restrittive, rendendo

inefficiente il mercato.

135

Tab. 35 – Impatto del settore agribusiness nelle principali compagnie (1999)

Compagnia Percentuale dei settori agribusiness (1999)

AgrEvo 100%

Monsanto 47%

Novartis 26%

Rhône –Poulenc 19%

AstraZeneca 18%

DuPont 13%

Dow Chemical 9%

Fonte: Commissione Europea (2000)

136

La tabella 35, ad esempio, mostra come anche le diverse compagnie non operano

solamente nel mercato dell’agribusiness, bensì hanno anche l’accesso, e un discreto

potere di mercato, al mercato farmaceutico.

In generale, le società Biotech, proprio per ottenere economie di scala, hanno

diviso internamente le divisioni agro-alimentare e farmaceutica, come, ad esempio, hanno

fatto Syngenta, Aventis e Monsanto, ed in alcuni casi sembra che vogliano separare

definitivamente tali attività e concentrare la propria attenzione su di un solo settore52.

IV.7. La concentrazione nel mercato sementiero

Lo sviluppo e la diffusione delle biotecnologie hanno avuto effetti evidenti sui

vecchi assetti societari e sugli equilibri del mercato agro-alimentare. Le continue

acquisizioni e collaborazioni, che si sono succedute negli ultimi anni, hanno fatto sì che il

mercato ne uscisse profondamente modificato.

Le prime dieci società sementiere mondiali hanno un fatturato consolidato di 6

miliardi di dollari, cioè circa l’11% del mercato mondiale. Esse controllano circa il 40%

del mercato mondiale del seme certificato, per un valore di circa 15 miliardi di dollari

(Giornale Ufficiale della Repubblica Francese, 1999).

La tabella 36 mostra, come l’anno 1998, rappresenti un punto cruciale nella

ristrutturazione degli assetti societari: tali nuovi assetti hanno influito sui livelli di

concentrazione (CR4 e CR10) che nell’arco di un solo anno sono cresciuti entrambi del

10%. La maggior concentrazione stabilita per l’anno 1998, la quale non subisce variazioni

di rilievo nell’anno successivo, è dovuta, in particolare, alla completa acquisizione da

parte di DuPont della società Pioneer Hi-Bred ed alle acquisizioni di numerose società

sementiere da parte di Monsanto, che, dal 1998, diventa uno dei primi produttori di

sementi e che vanta nel suo nuovo assetto aziendale società quali DeKalb, Cargill (attività

internazionali), Asgrow, Sakata, Agroceres ed altre, che le permettono di avere punti di

commercializzazione e produzione in tutto il mondo, dagli USA al Brasile, al Sudafrica.

Le prime tre società sementiere mondiali nel 1999 possono vantare punti di

commercializzazione in tutto il mondo, dall’America all’Europa all’Africa, che

permettono loro di coprire tutti i principali mercati agricoli mondiali (Tab. 37).

52 L’esempio è riferito al recente annuncio da parte di DuPont di dismettere le proprie attività farmaceutiche in favore

della Novartis (Val. M., 2001)

137

Tab. 36 – I principali produttori di sementi a livello mondiale, 1997-1999

(in milioni di dollari)

1997 1998 1999

Rank Compagnia Fatturato Compagnia Fatturato Compagnia Fatturato

1 Pioneer53 1750 DuPont 1835+ Dupont 1850

2 Novartis 900 Monsanto 1800 Pharmacia 1700

3 Limagrain 700 Novartis 1000 Syngenta 947

4 Advanta 460 Limagrain 733 Limagrain54 700

5 Takii 430 Savia 428 Seminis 531

6 Sakata 390 AstraZeneca55 412 Advanta 416

7 Seminis 380 Kws 370 Sakata 396

8 Kws 345 AgriBiotech 370 Kws 355

9 AgriBiotech 300 Sakata 349 Dow 350

10 DeKalb56 250 Takii 300 Delta & P. L. 301

CR4 13% 23% 21%

CR10 21% 33% 31%57

CR458 24%

Fonte: nostra elaborazione su dati Commissione Europea (2000) e Nomisma (1999)

53 La Pioneer Hi-Bred nel 1999 sarà completamente acquisita dalla Dupont. 54 Limagrain e Kws hanno annunciato una loro fusione nel Gennaio 2000, relativamente alle attività nordamericane

legate alla soia ed al mais. 55 AstraZeneca entrerà per metà del suo capitale in Advanta, l’altra metà farà parte della fusione con Novartis per dar vita

a Syngenta. 56 La DeKalb sarà acquisita dalla Monsanto insieme alle società sementiere Asgrow e alle attività internazionali della

Cargill. 57 Il CR10, date le relazioni esistenti tra le diverse società, può essere definito come CR8. 58 Il CR4 in tal caso deriva dall’aver considerato la fusione tra Limagrain e Kws e dall’aver considerato che la principale

divisione della società Delta & Pine Land è riconducibile alla Monsanto (cotone).

138

Tab. 37 – Accesso per le principali compagnie al mercato sementiero (1999)

Compagnia Società sementiere acquisite Mais Soia Altri semi per oli Cotone

AgrEvo Cargill X

Metla Pesquisa X

Sementes Ribeiral X

Sementes Fartura X X

Biogentic Technology X

B.V. (BGT) X

Zeneca Garst (50%) X

Novartis Northrup King X

Eridania Beghin X X

DuPont Pioneer X X X

Protein Technologies Int. X

Dow Mycogen X X

Cargill X

Monsanto Dekalb X X

Asgrow X X

Holden’s X X

Calgene X X

Cargill X

Delta & Pine Land59 X

Fonte: nostra elaborazione su dati Commissione Europea (2000)

59 La Delta & Pine Land ha l’esclusiva per la commercializzazione in Usa delle sementi di cotone Gm della Monsanto.

139

La concentrazione delle società sementiere, che nel 1997 aveva livelli del CR4

pari al 13% e del CR10 pari al 21%, si attesta nel 1999 a livelli rispettivamente del 21 e

31 per cento, vale a dire che un terzo delle vendite mondiali di sementi è riconducibile a

sole dieci società e che un quinto di queste è riconducibile a sole quattro.

Relativamente al 1999, tenendo conto della mancata acquisizione da parte di

Monsanto della principale società sementiere di cotone degli USA Delta & Pine Land

(risolta poi attraverso un accordo di esclusiva sulle sementi di cotone GM brevettate dalla

Monsanto) e dall’annuncio di fusione tra la Kws e il consorzio francese Limagrain, il CR4

assume un valore del 24%, mostrando dunque come la ristrutturazione del mercato sia

ancora in corso, e, lì dove non avvengono fusioni, vi sono strette collaborazioni che

eludono le leggi antimonopolistiche (l’acquisizione di Delta & Pine Land da parte di

Monsanto era stata annullata dall’antitrust statunitense).

In un prossimo futuro non appare fuorviante considerare come il mercato

sementiero possa essere controllato da poche società: Pharmacia, Syngenta, DuPont, il

soggetto che uscirà dalla fusione tra Limagrain e Kws (controllata per il 20% dalla

Aventis, che ha un fatturato nel settore sementiero pari a 288 milioni di dollari) ed

Advanta. Tale considerazione sembra confermare come all’interno del mercato delle

sementi vi siano società con posizioni dominanti, cui spetta un potere decisionale capace

di agire al di fuori delle normali leggi di concorrenza, attraverso la costituzione di barriere

all’entrata e attraverso una serie di alleanze e collaborazioni che, di fatto, incrementano il

loro potere di controllo60.

Attraverso le recenti acquisizioni Monsanto insieme con la Pioneer Hi-Bred è in

grado di influenzare significativamente il mercato delle sementi di mais. Le due società

hanno le potenzialità per controllare, grazie alla rete di produzione e

commercializzazione, il 90% delle sementi di mais Nordamericano (Hayenga M., 1998) e

l’80% delle sementi di mais italiane (il 60% è controllato da Pioneer e il 20% è

riconducibile alla Monsanto, Novartis ed altre ditte sementiere francesi). In aggiunta la

Monsanto ha acquisito la Asgrow per competere nella produzione di sementi di mais con

Pioneer (Hayenga M., 1998) e la DeKalb che ha permesso alla società di controllare il 25-

30% delle sementi di soia nel 1998 (un valore cinque punti più alto rispetto al 1997).

60 Le regolamentazioni sui brevetti permettono alle società detentrici di decidere a quali società terze concedere il diritto

di usufrutto, posizione questa che potrebbe avere effetti distorsivi sulla libertà di produzione, che costituiscono delle barriere all’entrata molto alte.

140

La Monsanto dopo la fallita acquisizione di Delta & Pine Land ha deciso che

dismetterà la società sementiera di cotone Stoneville (cui spetta il 16% del mercato delle

sementi di cotone USA), società che solo tra il 1997 e il 1998 ha visto crescere la sua

quota di mercato di quattro punti grazie allo sviluppo di piante resistente al bromoxynil

(Buctril).

IV.8. La concentrazione nel mercato fitofarmacologico

Le compagnie operanti del mercato biotecnologico negli anni recenti hanno

avviato, attraverso operazioni di mercato (fusioni, alleanze), anche una ristrutturazione del

mercato dei prodotti fitochimici. La ricerca di nuovi assetti all’interno del mercato

agroalimentare ha comportato, conseguentemente al maggior collegamento tra sementi ed

erbicidi (Technology Package), l’adozione strategie di mercato, da parte delle maggiori

compagnie, atte a consolidare il rapporto esistente tra il settore degli inputs primari

agricoli (sementi e fitofarmaci).

Tra le operazioni che più tra tutte hanno modificato gli assetti societari, e di

conseguenza la struttura del mercato, si evidenzia la fusione tra i due colossi AgrEvo e

Rhône-Poulenc che ha dato vita ad Aventis, la quale è diventata la prima società al mondo

per fatturato (4.676 milioni di dollari) operante nel mercato dei fitofarmaci.

La ristrutturazione del mercato fitofarmacologico ha avuto effetti sul mercato e sul

suo livello di concentrazione: il tasso di concentrazione CR4, tra il 1997 e il 1998,

aumenta dal 41 al 51 per cento, mentre il CR10 aumenta dall’82 al 91 per cento (Tab. 38).

E’ possibile affermare come il mercato fitofarmacologico abbia un livello di

concentrazione altissimo: le prime dieci società al mondo controllano la quasi totalità del

mercato, operando in un mercato strettamente oligopolistico e le prime quattro

controllano la metà del fatturato mondiale dei prodotti chimici applicati all’agricoltura.

Tale situazione non concorrenziale, da parte del mercato dei fitofarmaci, mostra,

con estrema evidenza, come nel corso degli ultimi anni, in particolare tra il 1996 e il 1999,

tale mercato sia stato oggetto di spartizione ed acquisizione da parte delle società operanti

nel mercato biotech. La ricerca da parte delle principali compagnie operanti nel biotech di

altre che potessero garantire una migliore gestione dei prodotti biotecnologici, ha fatto sì

che queste ultime si fondessero tra loro e, nello stesso tempo, si fondessero o avviassero

delle collaborazioni con le società sementiere. Lo schema interpretativo delle

141

ristrutturazioni in atto possono essere ricondotte al successo avuto dalla società “pioniera”

nel mercato biotecnologico, la Monsanto, che ha fatto della concentrazione e fusione tra il

mercato sementiero e fitofarmacologico il suo punto di forza e il suo passe-partout per la

conquista di grosse fette di mercato.

La strategia di mercato messa in atto dalla Monsanto ha fatto sì che il proprio

fatturato passasse, nel solo settore agro-chimico, da circa 2.555 milioni di dollari del 1996

a 4.032 del 1998 ed, allo stesso tempo, il fatturato nel mercato sementiero passasse da 200

milioni di dollari del 1997 ai 1700 del 1998 (Nomisma, 1999; Rafi, 1999).

L’interesse scaturito dalle società impegnate nel biotech nasce dal linkage tra la

semente biotecnologica e l’erbicida, caratteristica fondamentale del pacchetto tecnologico

relativo alla metodologia HT. Ad esempio Monsanto, grazie all’acquisizione di società

sementiere e agro-chimiche, è riuscita a sfruttare in prima persona i ricavati dei suoi due

principali brevetti, Roundup erbicida e Roundup Ready sementi, dando origine al nuovo

modo di relazionarsi con il settore agricolo, ovvero fornendo ai coltivatori un unico

pacchetto necessario per coltivare, i cui componenti sono prodotti e tutelati dalla

Monsanto stessa: in tal modo la società garantisce a se stessa il monopolio sulle nuove

tecnologie sia dal lato delle sementi sia dal lato degli erbicidi.

Nel Luglio 1998 era stato annunciato un tentativo di fusione tra la Monsanto e

l’industria leader nella produzione di erbicidi per le piantagioni di soia American Home

Products (che controlla American Cyanamid), respinto poi dall’Antitrust statunitense

(Hayenga, 1998). Tale fusione dal valore di circa 35.000 milioni dollari avrebbe

ulteriormente condizionato il mercato fitofarmacologico, facendo attestare l’indice CR4 al

47% per il 1997 e al 58% nel 1998.

L’effetto di tale fusione avrebbe fatto guadagnare alla Monsanto la leadership

nella produzione di fitofarmaci (soprattutto per coltivazione di soia), sarebbe nata una

società dal fatturato, nel solo settore agro-chimico, di 6.226 milioni di dollari, e che

avrebbe avuto il controllo del 20% del mercato agro-chimico. L’interesse scaturito per

AHP nasce dalla rapida diffusione della soia GM, e AHP è sempre stata una società leader

nel mondo nella produzione di erbicidi, insieme alla Monsanto, per le coltivazioni di soia.

Fino alla fine del 2000, data di scadenza del brevetto sul Roundup, la Monsanto è

riuscita a gestire, come meglio ha ritenuto, le strategie di mercato per i prodotti GM,

poiché la principale tecnologia sviluppata è quella HT e dove la resistenza al glifosato è la

142

Tab. 38 – I principali produttori di fitofarmaci a livello mondiale, 1997-1999

(in milioni di dollari)

1996 1997 1998

Rank Compagnia Fatturato Compagnia Fatturato Compagnia Fatturato

1 Novartis 4068 Novartis 4140 Aventis61 4676

4 Zeneca 2638 Monsanto 3126 Novartis 4152

2 Monsanto 2555 Zeneca 2673 Pharmacia 4032

5 AgrEvo 2475 Dupont 2518 DuPont 3156

3 Dupont 2472 AgrEvo 2348 AstraZeneca 2897

7 Bayer 2350 Bayer 2265 Bayer 2273

6 Rhône-Poulenc 2203 Rhône-Poulenc 2220 A.H.Products62 2194

9 Dow 2010 Am.Cyanamid 2119 Dow 2132

8 Am.Cyanamid 1989 Dow 2000 Basf 1945

10 Basf 1536 Basf 1863 Makhteshim 801

CR4 40% 51%

CR10 82% 91%

Fonte: Commissione Europea (2000), Nomisma (1999) e Rafi (1999)

61 Nata dalla fusione tra AgrEvo e Rhône-Poulenc. 62 Società che controlla American Cyanamid.

143

più diffusa da conferire alle piante, seguita dal Bromoxynil e dal glufosinato ammonio.

Il grafico 18 mostra sinteticamente l’evoluzione dell’industria fitofarmacologica,

evidenziando schematicamente come le continue fusioni abbiano aumentato il livello di

concentrazione all’interno del settore.

Le fusioni avvenute, tra le principali società agro-chimiche, hanno fatto sì che il

mercato si fosse consolidato attorno a poche sole società: Pharmacia, Syngenta, Aventis,

Advanta, oltre alla Dow.

Le prime fusioni sono avvenute nel 1996 con le joint-ventures tra Zeneca e Van

Der Have, che ha dato vita ad Advanta (sementi), e tra Hoechst e Shering (fusesi nel

1998), che ha dato vita ad AgrEvo (la quale sarà assorbita in Aventis). Successivamente,

nel 1996, avvengono le fusioni tra Ciba-Geigy e Sandoz, creando Novartis, che a sua

volta nel 1999 si fonde con AstraZeneca (la parte non inclusa in Advanta) per dar vita al

colosso agro-alimentare Syngenta.

Il 1999 rappresenta un anno di fondamentale importanza per il mercato agro-

chimico, ed agro-alimentare in genere, poiché proprio durante tale anno avvengono

ulteriori fusioni e appaiono più evidente le finalità delle singole operazioni di mercato: la

fusione tra Pharmacia & UpJohn (la quale sembrava non essere interessata inizialmente

all’avventura biotecnologica) e la Monsanto (dopo il divieto da parte dell’Antitrust

statunitense di attuare la fusione con AHP) dà vita ad un colosso attivo sia nel campo

sementiero sia agro-chimico; la fusione tra Rhône-Poulenc e AgrEvo dà vita ad Aventis,

la prima compagnia al mondo per fatturato nel settore agro-chimico; Advanta (sementi)

nata nel 1998, avvia una fusione con AstraZeneca, nata come joint-venture tra la

controllata Zeneca e la società svedese Astra.

Un particolare di rilievo, oltre alla tendenza al consolidamento del mercato agro-

chimico, appare evidente nel percorso di formazioni delle compagnie Advanta e

Syngenta, vale a dire che la società AstraZeneca è divisa tra le due.

La posizione di AstraZeneca, ad un’analisi più approfondita, funge da punto di

collegamento (anche se le due società sono separate) tra le due società: infatti, Novartis

prima della fusione aveva una struttura indirizzata principalmente alla chimica, mentre

Advanta aveva una struttura societaria più specifica per il settore sementiero,

AstraZeneca, invece, trae beneficio (oltre ad essere se stessa una compagnia leader nei

due settori) dalle caratteristiche societarie sia di Novartis sia di Advanta.

144

Graf. 18 – Evoluzione degli assetti societari che ha dato origine alle

principali società fitofarmacologiche mondiali

Fonte: nostra elaborazione su dati Nomisma (1999), Rafi (1999, 2000)

Monsanto

Ciba-Geigy

Sandoz

Novartis

Astra A. B.

Zeneca

Van Der Have

Pharmacia & UpJohn

Pharmacia

Syngenta

AstraZeneca

Advanta

AgrEvo

Advanta

Hoechst

Aventis Shering

Rhone-Poulenc

145

La società ZenecaSeeds, del gruppo Advanta, nel 1998 ha avviato una

collaborazione con AHP63 per lo sviluppo delle biotecnologie, non transgeniche, al fine di

introdurre caratteristiche di resistenza agli erbicidi in modo naturale nel mais: Zeneca si

occuperà della ricerca sulle sementi e AHP si occuperà della ricerca sull’erbicida cui

resistere (tale nuova ricerca è indirizzata anche verso piante ibride).

IV.9. La concentrazione dei brevetti

Nel contesto delle biotecnologie la possibilità di ottenere un brevetto è

indispensabile per garantirsi un posto nel mercato. Le grandi compagnie mondiali, negli

ultimi anni, hanno finanziato grossi investimenti nel settore della ricerca, sia in capitale

umano sia attraverso la collaborazione o l’acquisizione di centri di ricerca capaci, nei

mezzi e nelle capacità intellettuali di garantire un certo numero di brevetti biotecnologici

nel minor tempo possibile. Il brevetto, nello sviluppo degli Ogm, rappresenta per ogni

azienda, che voglia avere un posto di rilievo nel mercato, il primo passo. Il potenziale di

sviluppo di un’azienda nel mercato agro-alimentare, in particolare quello transgenico, è

proporzionale alla capacità finanziaria di acquisire o avviare collaborazioni in centri di

ricerca64. Il brevetto su una varietà vegetale transgenica, viste le regolamentazioni

restrittive connesse, dà il diritto alle compagnie, per un ventennio o più, di agire in

condizioni di monopolio, quindi di gestire secondo le proprie strategie di mercato i

benefici derivanti dall’esclusiva connessa. Negli anni dello sviluppo delle biotecnologie

transgeniche alcune aziende, come la Monsanto, hanno avuto la possibilità, attraverso

grossi investimenti nelle ricerche, di imporsi sul mercato.

La posizione leader della Monsanto sembra essere legata ai due brevetti ”base”

sulle tecnologie Roundup Ready sementi e Roundup erbicida, che ha permesso alla

società di gestire al meglio l’ingresso dei propri prodotti Gm in agricoltura, in particolare

in quella delle materie prime industriali (mais, soia, cotone), tramite i prezzi delle sementi

e degli erbicidi.

63 AHP è stata la prima società nel 1992 ad ottenere una resistenza agli erbicidi, in modo naturale e non transgenico,

nelle piante di mais. 64 I centri di ricerca spesso sono collaborazioni nate tra biotecnologi indipendenti con fondi a rischio, denominate Start-

Up, che una volta raggiunto il traguardo di un brevetto biotecnologico diventano oggetto di acquisizione, brevetto compreso, da parte delle grandi compagnie multinazionali.

146

La tabella 39 mostra la ripartizione delle prove sperimentali in campo in USA dal

1987 al 1998 ripartita tra le diverse compagnie. Le ripartizione delle prove sperimentali

fornisce due indicatori fondamentali: l’uno riguardante la ripartizione dei brevetti, l’altro

ci fornisce un quadro più completo sulle aziende che, più tra tutte, sembrano essere

interessate alla ricerca sul transgenico.

I dati indicano come il livello di concentrazione delle prove in USA sia molto alto,

74% per il CR4 standard e 71% per CR4, relativo alle sole compagnie private: le

compagnie private comprendono Monsanto, 38.2%, DuPont, 16%, Aventis, 10.5%, e

Novartis, 5.8% (Tab. 39).

La Monsanto può essere considerata la compagnia leader nel settore delle

sperimentazioni su campo, che è l’ultimo stadio prima della coltivazione su larga scala ai

fini commerciali: infatti, nonostante non sia stato compreso il dato relativo a Delta & Pine

Land, che la società leader nel settore del cotone (71% del mercato statunitense), ad essa

spetta quasi il 40% delle prove, evidenziando come tale società abbia un notevole

interesse sul futuro delle applicazioni biotecnologiche al settore agricolo.

La posizione di rilievo nel numero delle prove sperimentali relativa a Monsanto è

attribuibile anche al beneficio apportato dalla società acquisite tra il 1997 e il 1998, le

quali hanno contribuito per ben 810 prove su 2531.

Seconda nel numero di sperimentazioni è la compagnia DuPont, cui spetta il 16%

delle prove condotte, soprattutto grazie al contributo apportato dall’acquisizione totale di

Pioneer (leader nella produzione di sementi di mais e cui spetta una posizione di rilievo

internazionale sul controllo del germoplasma del mais), alla quale vanno attribuite ben

672 prove su 1060 riconducibili alla DuPont, circa il 63% del totale. Tra le 6616 prove

condotte nel decennio considerato, una posizione di rilievo negli USA va attribuita anche

alle Università che con 612 prove condotte, 9.3% del totale.

Il caso europeo è ben diverso dal contesto USA: infatti, le prove condotte sono

state 1283, nel periodo 1990-1998 (Tab. 40).

Le più contenute autorizzazioni europee alle sperimentazioni su campo sono da

ricondurre a diversi fattori, che hanno esercitato un’influenza negativa sul numero delle

sperimentazioni: tali fattori di riduzione vanno ricercati su due fronti complementari,

l’uno economico e l’altro legislativo.

147

Tab. 39 – Autorizzazioni a prove sperimentali in campo di piante

transgeniche negli USA dal 1987 al 1998

Rank Società/Ente Numero %

1) Monsanto65 2531 38.2 Monsanto 1716

DeKalb 280

Calgene 258

Asgrow (agronomiche) 123

Agracetus 26

Holden's 63

Altre 5

2) DuPont 1060 16 Pioneer Hi-Bred 672

DuPont 388

3) Aventis 696 10.5 AgrEvo 499

Cargill (USA e Canada) 106

Plant Genetics Systems 60

Rhône-Poulenc 22

Altre 14

4) Università 612 9.3

5) Novartis 386 5.8

6) Seminis 310 4.7 Seminis Vegetable Seeds 67

Dna Plant Tech 82

PetoSeed 70

Asgrow (orticole) 91

Altri 1021 15.4

Totale 6616 100

CR4 4899 74

CR4 (privato) 4673 71

Fonte: nostra rielaborazione su dati Nomisma (1999)

65 Il dato non comprende Delta & Pine Land dato che l’acquisizione non è stata possibile.

148

Il fattore economico va ricondotto alla minor necessità da parte del settore

agricolo europeo ad utilizzare e sperimentare piante transgeniche, dato che la Comunità

Europea non ha problemi di deficit di produzione: infatti, le politiche comunitarie tendono

a contenere le produzioni agricole al fine di salvaguardare i prezzi dei prodotti e i redditi

del settore agricolo; in secondo luogo, le caratteristiche delle prime piante GM non

risolvono i problemi agricoli locali (in particolare nel caso di tecnologie BT la possibile

adozione di tale tecnica risulta non necessaria, dato che le popolazioni di piralide

potrebbero, potenzialmente, attaccare solo il 2% delle coltivazioni di mais), e vanno in

controtendenza alle politiche agricole comunitarie intente (in particolare in Italia) a

salvaguardare le colture locali e le tipicità dei prodotti regionali, attraverso le

certificazioni DOC (Denominazione di Origine Controllata), DOP (Denominazione di

Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta) e le politiche delle quote

agricole.

Le piante Gm non offrono un maggior valore della produzione in favore degli

agricoltori da un lato, e dall’altro le possibili maggior rese non sono eco-compatibili,

poiché contribuirebbero ad una maggior erosione dei suoli coltivati e non rappresentano,

ad oggi, un’alternativa valida ed affidabile dato che si tratta di un sistema di produzione

recente e ancor poco conosciuto nei suoi effetti di lungo periodo, sia sull’uomo sia

sull’ambiente.

Il fattore legislativo, in accordo con la Convenzione sulla Biodiversità ratificata

nel trattato di Maastricht, si pone obiettivi atti a rispettare i redditi degli agricoltori da un

lato e dall’altro esercita i propri poteri attraverso la salvaguardia dell’ambiente, attraverso

un approccio legale che tende a ridurre al minimo i rischi connessi a tali colture, sia dal

punto di vista ambientale sia dal punto di vista dei diritti dei consumatori, applicando alla

lettera il Diritto alla salute sancito nel Trattato di Nizza (2001).

La presa di posizione dell’UE sulle questione rurali è evidente anche dai dati sui

livelli di concentrazione delle prove sperimentali, visto che alle Università e agli Enti

Governativi spettano 227 prove su 1283, circa il 17.7% del totale.

L’indice di concentrazione CR4 (58.2%, 747 prove) è relativamente basso, se

confrontato a quello statunitense; invece, quello delle sole aziende private è del 47.7%

(612 prove).

149

Tab. 40 – Autorizzazioni a prove sperimentali in campo di piante transgeniche

nell’UE dal 1990 al 1998

Rank Società/Ente Numero %

1) Aventis 257 20.0 Plant Genetics System 127

AgrEvo 86

Rhône-Poulenc 30

Nuhems 7

Altre 7

3) Enti Gov./Univ 227 17.7

2) Monsanto66 132 10.3 Monsanto 97

Asgrow 16

DeKalb 8

Pbi 7

Cargill (attività europee) 4

4) Advanta 131 10.2 Advanta 5

Van Der Have 70

Ses 35

Mogen 25

Zeneca-ICI 12

Altre 19

5) Novartis 92 7.2 Novartis 19

Ciba-Geigy 37

Altri 36

6) Altri 444 34.6

Totale 1283 100

CR4 747 58.2

CR4 (privato) 612 47.7

Fonte: nostra rielaborazione su dati Nomisma (1999)

66 Il dato non comprende Delta & Pine Land dato che l’acquisizione non è stata possibile.

150

Tra le società che sperimentano nel territorio europeo spicca il ruolo della

compagnia franco-tedesca Aventis, cui spettano 257 prove, circa il 20% del totale, seguita

(escludendo quelle non private) da Monsanto con 132 prove, circa il 10.3% del totale e da

Advanta cui spettano 131 prove, circa il 10.2%, grazie in particolare al contributo della

società interna Van Der Have (Olanda), che garantisce ad Advanta più del 50% delle

prove condotte (Tab. 40).

IV.10. La concentrazione nel mercato transgenico

I dati finora mostrati sono relativi alle società che operano nel mercato agricolo in

generale, tradizionale e biotecnologico, senza distinzione. Le compagnie che operano nel

mercato biotecnologico, è da dire, sono le stesse che operano nel mercato tradizionale, di

qui la necessità di analizzare i mercati sementiero e fitofarmacologico nel loro insieme.

Le operazioni di riassetto societario, nel mercato agricolo in generale, hanno

profondamente cambiato i rapporti di forza nello stesso e gli indirizzi di ricerca

agronomica, oltre agli indirizzi di ricerca di possibilità di profitto.

Il fatto che le società operanti nel mercato tradizionali sono le stesse che

detengono il monopolio delle coltivazioni transgeniche pone problemi sulla libertà di

scelta del mercato agricolo e dei consumatori.

La possibilità che le maggiori aziende Biotech, attraverso il technology fee o

attraverso variazioni di produzione, possano influenzare il mercato agricolo, appare

realizzabile: le possibilità finanziarie, le regolamentazioni vigenti e il technology fee

offrono alle società la possibilità e la potenzialità di favorire l’una o l’altra coltura, oltre

alla possibilità di influenzare il mercato attraverso il canale dei prodotti fitofarmacologici,

il quale appare più concentrato di quello sementiero (sotto il controllo delle medesime

società che producono sementi).

Tale condizione anticoncorrenziale, congiuntamente alle regolamentazioni in

materia di brevettabilità e protezione vegetale, pone problemi di accesso e di distribuzione

dei vantaggi derivanti dalle ricerche agronomiche, a scapito del settore di destinazione

degli inputs agricoli, il quale risulta condizionato dalle oscillazioni dei prezzi dei mercati

degli inputs agricoli determinabili dalle scelte delle società leaders nel mercato agricolo in

generale.

151

Le statistiche fornite dalla RAFI nel 2000, indicano come il settore agro-

alimentare transgenico abbia livelli di concentrazione che rasentano il monopolio assoluto

da parte di un’azienda, la Monsanto (ora Pharmacia), la quale controlla l’87% del mercato

transgenico, 34.8 milioni di ettari coltivati con i prodotti Monsanto sui 39.9 totali nel

mondo, con un incremento sull’anno precedente del 48%, da 23.5 a 34.8 milioni di ettari

coltivati (Rafi, 200067).

La posizione della Monsanto nel mercato transgenico appare consolidata: la

società è tra le prime al mondo nella ricerca, nel mercato sementiero, nel mercato

fitofarmacologico e nelle acquisizioni societarie, che hanno trasformato l’azienda, prima

interessata solo al settore degli erbicidi (il Roundup in particolare), nella società leader nel

settore agricolo mondiale.

Il grafico 19 mostra la ripartizione societaria del settore agricolo mondiale,

transgenico e tradizionale, tenendo conto sia delle quote effettive di mercato sia del

potenziale: i dati evidenziano come cinque grandi compagnie al mondo abbiano il totale

controllo del settore sementiero agrobiotecnologico, Monsanto (80%), Aventis (7%),

Syngenta (5%), Basf (5%) e DuPont (3%) (Rafi, 2000). Le stime sono state effettuate da

un gruppo di analisti agrochimici della società Wood McKenzie, anche se la Rafi ritiene

che il potere di mercato della Monsanto sia ancora più alto.

Risulta ben evidente come le statistiche fornite dai vari Enti, come la RAFI,

l’USDA o Wood McKenzie, siano tra loro molto eterogenei. Tale eterogeneità, senza

dubbio, è da ricondursi alle diverse metodiche utilizzate nell’elaborazione dei dati: alcune

basate sulla quota di fatturato che le singole società detengono, altre hanno utilizzato

misure più reali, studiando il reale potere di mercato, diretto ed indiretto68.

IV.11. L’integrazione verticale ed orizzontale

Un nuovo aspetto che non può essere trascurato, il quale scaturisce dalle recenti

operazioni di mercato, riguarda la concentrazione nelle mani di poche società di tutta la

filiera agro-alimentare e l’accesso alle nuove tecnologie agricole.

67 La fonte utilizzata dalla Rafi è proprio la Monsanto: infatti, l’articolo è basato su un comunicato stampa del 10

Febbraio 2000 intitolato “Monsanto Reports 1999 Fourth-Quarter And Full-Year Results”. 68 Attraverso misure atte a verificare il potere di influenza sul mercato, non determinato solamente dal fatturato, ma

anche dal numero di brevetti, dalla capacità finanziaria e di espansione sui mercati.

152

Graf. 19 – Quote di mercato agricolo mondiale per società (1999)

Fonte: nostra elaborazione su dati Rafi (2000)

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

DuPontBasfSyngentaAventisMonsanto

153

Le “campagne acquisti” portate avanti da società come Monsanto, DuPont e la

Dow evidenziano come lo scopo finale sia quello di consolidare il rapporto tra mercato

sementiero e fitofarmacologico, rapporto questo insito nell’applicazione delle nuove

metodologie, e di collegarle alle società che “producono” brevetti.

Una situazione del genere stabilisce un nuovo sentiero per lo sviluppo del sistema

agro-alimentare: tale sentiero, oltre all’industrializzazione del settore agricolo, è costituito

dalla possibilità di unificare la filiera produttiva in senso totalitario, vale a dire non solo si

ha un consolidamento del potere di mercato da parte di alcune compagnie, ma si è anche

inglobata nella filiera il settore della ricerca scientifica del settore.

In una tal situazione ogni compagnia ha in sé la struttura ed il potenziale di

controllo dell’intera filiera agricola, dalla produzione di brevetti a quella delle sementi e

dei prodotti chimici (nel caso di particolari prodotti, come ad esempio la colza con alto

contenuto laurilico, tale controllo si estende alla commercializzazione finale verso

l’industria richiedente), lasciando all’agricoltore solamente il lavoro nei campi e la

consegna del prodotto ai mercati internazionali che provvedono a commercializzarlo.

Ogni compagnia, data una tale struttura completa, ha in sé il potenziale per trarre

dei vantaggi economici da ogni settore della filiera produttiva, ivi compresa la possibilità

di distribuire le quote di valore aggiunto, prodotte dalle singole parti della filiera, secondo

precise logiche di mercato.

In particolare ogni azienda ha la possibilità di distribuire il profitto complessivo

tra le varie componenti della filiera: ciò darebbe la possibilità di produrre sottocosto, ad

esempio, la semente a favore dell’erbicida usato e viceversa; è possibile che le compagnie

decidano di sfruttare solo il brevetto tramite il pagamento di royalties, o che le compagnie

decidano, attraverso le variazioni di offerta di rendere conveniente un prodotto

tradizionale o uno transgenico, visto che le stesse compagnie operano in ambedue i

mercati, caratterizzati entrambi da un’elevata concentrazione (misurata non solo dalle

quote di mercato, ma anche dal potenziale di espansione sui mercati, e dal numero di

mercati raggiungibili).

Le operazioni di mercato hanno da un lato favorito la concentrazione verticale (la

filiera allargata69) e dall’altro hanno dato vita ad un’integrazione orizzontale, vale a dire

69 La definizione di filiera allargata si riferisce al fatto che generalmente il settore della ricerca non viene classificato

all’interno della filiera, perché estraneo al processo produttivo, ma nelle biotecnologie la ricerca diviene parte

154

operazioni che non hanno creato società nuove da introdurre nella filiera, ma le principali

compagnie hanno acquisito o avviato collaborazioni con società esistenti, ben strutturate e

con una lunga esperienza nel mercato. Tale interiorizzazione, congiuntamente al controllo

della filiera, ha avuto effetto ancor più consolidante nel mercato agro-alimentare,

lasciando nelle mani di pochissimi, quello che prima era nelle mani di pochi, con la

conseguenza di poter avere degli effetti distorsivi sul mercato. La concentrazione è dovuta

alla constatazione che le più importanti industrie sementiere (Asgrow, DeKalb e Ciba

Sementi) e i titolari di brevetti inerenti le biotecnologie (Calgene, Ecogen, Agracetus,

Plant Genetics Systems, Mycogen e DNA Plant Technology), oltre alle Start-Up, sono

stati assorbiti dalle grosse compagnie agro-chimiche come la Monsanto, la DowElanco e

la DuPont: in tal modo la tecnologia si è consolidata e sviluppata entro un ristretto numero

di compagnie che hanno controllo dell’accesso alle applicazioni specifiche, vale a dire che

tramite i brevetti sui geni viene meno la libertà di ricerca su di loro e su di un loro

possibile riutilizzo diverso e più produttivo.

All’interno delle società che detengono il maggior potere di mercato, la Monsanto

sembra esserne il prototipo: la società è sempre stata attiva nel settore della produzione di

sostanze chimiche per l’agricoltura70, in particolare il brevetto sul glifosato (il RoundUp)

è stato il risultato più importante e remunerativo insieme alla produzione di PBC, un

composto oleoso che conduce calore, ma non elettricità, utilizzato per svariati scopi (dalle

apparecchiature elettriche all’uso come sgrassatore per i sottomarini nucleari71), di cui poi

si scoprì nel 1969 la nocività e la sua presenza nella catena alimentare (nel 1968 in

Giappone a Kyush si ammalarono 1300 persone per aver mangiato riso contaminato da

PCB), oltre al fatto che tale sostanza, biodegradabile dopo molti anni, si fosse depositata

soprattutto nelle regioni polari, con conseguenze gravi per l’intera popolazione umana e

animale.

Negli ultimi anni la Monsanto ha dato vita ad una serie di acquisizioni atte a

incorporare l’intera filiera produttiva agricola: infatti, la società detiene la proprietà di

fondamentale nella possibilità di produrre sementi biotecnologiche. Essa funge da chiave di accesso senza la quale non è possibile produrre, congiuntamente alle collaborazioni o alle acquisizioni di società nel settore agro-chimico.

70 La Monsanto, insieme alla Dow, è diventata tristemente famosa per la produzione dell’erbicida Agente Orange usato durante la guerra in Vietnam, il quale serviva a defogliare le piante, poi rivelatosi essere nocivo alla salute: secondo alcune stime, escludendo i militari USA, si calcola che fino ad oggi siano morti a causa di tale erbicida circa 500.000 bambini vietnamiti (The Ecologist, 1998). Il TCDD (una diossina), che compone l’Agente Arancio, è stato considerato il più tossico tra le diossine mai prodotte e conosciute dall’uomo.

71 Secondo l’Ecologist, la Monsanto conosceva gli effetti nocivi del PCB dagli anni ’30.

155

aziende che si occupano dalla ricerca alla commercializzazione delle sementi. La

compagnia in tal modo dispone di tutte le competenze necessarie, tutelate e salvaguardate

dalle regolamentazioni internazionali, per sfruttare al meglio i ritrovati biotecnologici.

Il grafico 20 mostra la struttura della società suddivisa per attività. La società

possiede inoltre:

�� Società sementiere quali DeKalb, Cargill (attività internazionali), Asgrow,

Holden’s Foundation.

�� Società titolari di brevetti e attive nel settore della ricerca, quali Calgene,

Agracetus e PBI.

�� Il comparto della chimica applicata all’agricoltura è affidato alla Monsanto stessa,

da tener presente inoltre che la società si è recentemente fusa con un’altra

multinazionale della chimica Pharmacia & UpJohn (diretta attualmente da un suo

ex dirigente), oltre al tentativo di acquisizione della multinazionale della chimica

AHP (di proprietà dell’American Cyanamid).

La struttura societaria della Monsanto (ora Pharmacia) contiene al suo interno i

vari “pezzi” della filiera produttiva, garantendo alla società un controllo ottimale sulla

creazione di ricchezza in ogni comparto72, ognuna delle quali dispone di un discreto

potere di mercato.

IV.12. I sistemi di protezione intellettuale per le varietà vegetali e i brevetti

L’analisi quantitativa sui livelli di concentrazione tecnico-industriale, nel mercato

agro-alimentare, va considerata in relazione alle possibilità di esercitare il potere indotto e

dai brevetti e dalle potenzialità finanziarie ed economiche di diffusione delle compagnie

operanti nel settore.

I sistemi di protezione intellettuale sulle varietà vegetali esercitano influenze sulla

possibilità di accesso alle conoscenze nuove da un lato, e dall’altro limitano la possibilità

che tali ritrovati siano di appannaggio dei “veri proprietari” (i Paesi d’origine dei geni

brevettati), soprattutto in termini di remunerazione.

72 In tal modo la società è in grado di attingere valore aggiunto da qualsiasi settore della filiera produttiva,

potenzialmente sfruttando il diverso potere di mercato di cui dispone nei vari settori.

156

Graf. 20 – Struttura societaria di Pharmacia

Fonte: nostra elaborazione su dati Rafi (1999,2000)

PRODUZIONE E COMMERCIALIZZAZIONE

DI SEMI

PRODUZIONE DI FITOFARMACI

ATTIVITA’ DI RICERCA

Cargill, Holden’s, Agrow, DeKalb

Pharmacia e Monsanto

PBI, Calgene, Agracetus

157

Le normative internazionali sui ritrovati vegetali fanno riferimento essenzialmente

all’Unione per la Protezione degli Ottenimenti Vegetali (Upov), relativamente alle varie

versioni modificate durante gli anni, l’ultima risale al 1991.

L’ultima revisione del sistema di protezione Upov nasce dall’esigenza di ovviare

ad alcune lacune nelle regolamentazioni sui Diritti di Protezione Intellettuale, le quali

vietavano la brevettabilità dei ritrovati vegetali e degli esseri viventi in generale: infatti,

l’articolo 27.3 (b) degli Accordi sui Diritti di Protezione Intellettuale Commerciali o

TRIPS stabilisce l’impossibilità di brevettare piante e animali, ma contempla la

possibilità, meglio ancora la necessità di brevettare o di proteggere attraverso un sistema

sui generis o una combinazione di entrambi gli ottenimenti e le varietà vegetali.

Il sistema Upov ’91 è un sistema sui generis, vale a dire è un sistema specifico ed

unico di individuazione di una nuova varietà vegetale (naturale o transgenica), che

permette ai ricercatori e alle società interessate di far valere i propri diritti di proprietà sui

nuovi ritrovati, anche se semplicemente si tratta di una varietà già esistente73, della quale

sono state identificate e confermate delle caratteristiche distintive.

La nascita della regolamentazione Upov è legata alla necessità di tutela, da parte

degli enti sovrani, degli ibridatori dei Paesi Sviluppati (PBR), impegnati nella ricerca di

nuove varietà vegetali che potessero avere delle caratteristiche desiderate per i sistemi di

coltivazione attuali, attraverso o un aumento delle rese o una diminuzione dei costi o al

fine di ottenere delle varietà merceologicamente più valide o tutti i fattori citati (nel

miglior caso possibile). Attraverso un sistema di protezione siffatto si garantisce la tutela

dei diritti degli ibridatori e delle loro ricerche al fine di garantire la protezione di un

ritrovato vegetale con finalità commerciali e tale da garantire, nel contempo stesso, una

remunerazione per chi avesse intenzione di investire capitale finanziario ed umano in tali

ricerche.

La revisione del 1991 degli accordi Upov, però, prevede un articolo che più tra

tutti ha suscitato le polemiche da parte dei PVS, contrari al recepimento di tale direttiva

internazionale, perché limitativo della sovranità sulle risorse genetiche e del diritto di

73 La relazione è rintracciabile nella doppia protezione, brevetti e protezione commerciale, prevista dalla Convenzione

del ’91. La normativa statunitense prevede la possibilità di brevettare anche le scoperte qualora queste fossero conosciute solo da una stretta minoranza di individui isolati. Nella pratica secondo la legge statunitense è possibile brevettare anche ciò che già esiste in natura, purché non conosciuta alla collettività, e prevede inoltre di richiedere dei sistemi di protezione brevettale poco specifici, che potrebbero avere ripercussioni anche su ritrovati vegetali non correlati, ma simili.

158

fruizione dei ritrovati vegetali che hanno caratteristiche migliorative per l’autosufficienza

alimentare: il “Diritto del Costitutore (DC) ”.

Il DC è in contraddizione con un altro diritto reclamato dalle comunità locali e

fatto proprio da alcuni Paesi Avanzati (ad esempio quelli appartenenti all’UE): il “Diritto

dell’Agricoltore (DA) ”.

Il DC prevede che per i ritrovati vegetali iscritti negli elenchi internazionali sia

rispettato il diritto di fruizione dei benefici commerciali per chi tali ritrovati li ha scoperti

o ne ha specificato le caratteristiche. Il DC consiste nel diritto di royalties per la

moltiplicazione in azienda ai fini commerciali da parte della società detentrice del

brevetto o della varietà vegetale ritrovata: inoltre, prevede che chi utilizza tali sementi

debba pagare un canone al titolare (al fine di garantire introiti a tutela della ricerca) per la

moltiplicazione aziendale o per la semplice risemina, dalle sementi ottenute nel raccolto

precedente. Tale canone se da un lato garantisce un diritto alla remunerazione della

ricerca (lì dove sono i privati ad investire), dall’altro limita la possibilità di fruizione del

ritrovato stesso, specie da parte di chi (in particolare gli agricoltori dei PVS) non ha le

capacità economiche per l’accesso a tali migliorie vegetali.

Nei Paesi Avanzati le condizioni economiche degli agricoltori, nei limiti sanciti

dai diversi Stati per legge, sono tali da garantire il pagamento dei canoni, mentre nei Paesi

meno Sviluppati tali potenziali non sono presenti, soprattutto per quegli agricoltori di

sussistenza o per quei piccoli proprietari, i cui fini commerciali non sono tali da rendere

possibile il pagamento del canone.

La tecnica della risemina, molto diffusa nei PVS, costituisce un fattore di estrema

importanza per il diritto alla sopravvivenza di tali popolazioni, e le restrizioni connesse

all’accesso di tali ritrovati, lì dove possano apportare benefici collettivi, fanno sì che tali

popolazioni non possano usufruirne o, per chi abbia le capacità per farlo, la fruizione

comporta una totale dipendenza economica verso chi è proprietario della varietà vegetale.

La regolamentazione Comunitaria in vigore (Reg. C.E. 2100/94) offre un’altra

possibilità di tutela (sempre sui generis) per le varietà vegetali, avversata dalle principali

compagnie sementiere (legate all'Upov “originale”), la quale definisce i soggetti sottoposti

al pagamento del canone (DC) in chi ne abbia le possibilità economiche, in modo tale da

rendere lecito il rispetto delle invenzioni, che ricordiamo hanno dietro ingenti

investimenti dal punto di vista finanziario. Nella pratica il Reg. 2100/94 garantisce il

159

Diritto del Costitutore qualora il fruitore del ritrovato vegetale non sia un piccolo

agricoltore (la cui definizione è stabilita dalla normativa) o dove la moltiplicazione in

azienda non può essere considerata ai fini commerciali, ma per il solo uso personale: tale

rettifica (o nuova proposta di regolamentazione) sancisce, dunque, che il diritto alla

privativa sui ritrovati sia lecito solo nel caso in cui tale privativa non eserciti un ruolo

penalizzante per chi potrebbe ottenere benefici personali e non commerciali dallo

sfruttamento dei ritrovati, vale a dire che il DC non può essere applicato sui piccoli

agricoltori, di sussistenza e non. Una tale regolamentazione pone al vertice delle priorità

la possibilità di accesso, alle invenzioni e ai ritrovati, per i produttori meno abbienti ivi

compresi quelli delle regioni meno sviluppate del mondo, le quali potrebbero utilizzare

tali ritrovati semplicemente per il sostentamento e che, attraverso le nuove sementi,

potrebbero dare un impulso all’agricoltura per alleviare i problemi connessi alla scarsità

di cibo.

Nei Paesi Avanzati la risemina dal raccolto precedente è quasi inesistente per

motivi economici legati alle performances delle varietà protette. Infatti, la risemina non

garantisce le stesse qualità, a livello di resa e di resistenza agli stress ambientali, della

semente pura e certificata dalle aziende produttrici (che ne garantisce la qualità e la

stabilità), di qui l’uso comune di riacquistare anno per anno le sementi (nel caso di ibridi

il riacquisto è inevitabile, visto che nella maggior parte di loro sono sterili al secondo

ciclo o comunque non garantiscono la stessa resa ed affidabilità). Tale situazione mette in

condizioni gli agricoltori di essere dipendenti dai prezzi delle sementi stabilite dalle

aziende produttrici (che nel caso dell’UE sono controllati per legge, Reg. 2100/94, per

evitare distorsioni dovute a posizioni dominanti presenti nel mercato sementiero e

fitofarmacologico).

La condizione dei PVS è sostanzialmente diversa in quanto da un lato la mancata

ratifica dell’Upov non permette l’accesso alle sementi “migliori” e dall’altro la possibilità

di accesso non garantisce, se non per legge, l’equità dei prezzi e la fruizione da parte di

chi, di queste sementi, ne fa un uso di sussistenza (oltre ai problemi connessi alla

possibilità di porre sotto protezione o brevetto le sementi locali, qualora ne siano state

studiate e certificate le caratteristiche, appropriandosi, in tal modo, dei diritti di chi nel

160

corso dei secoli ha isolato le specie migliori74). Tale situazione è possibile in quanto

l’ambito di protezione di un brevetto è definito dallo stesso richiedente.

Nei Paesi industrializzati, dunque, il mercato delle sementi, transgeniche e

tradizionali, è controllato dalle stesse società che operano in condizione di oligopolio o di

monopolio, tale da avere le potenzialità finanziarie e tecniche per distorcere il mercato

stesso, attraverso i prezzi e le quantità prodotte, o in ultima istanza da avere la capacità di

influire sulle scelte produttive degli agricoltori, piante e metodi di coltivazione, Gm o no.

Nei Paesi meno sviluppati la necessità di recepimento dell’Upov 91, così come

impostata tramite il DC, avrebbe effetti negativi sia dal punto di vista della dipendenza dai

fattori produttivi e dalle scelte agronomiche (il riacquisto delle sementi anno per anno e la

scelta tra Ogm e piante tradizionali) sia dal punto di vista dell’agricoltura di sussistenza

che non possiede i mezzi finanziari per l’accesso alle sementi ”migliori” e che, di fatto, è

costretta utilizzare le proprie sementi, meno produttive, o, in ultima istanza, la ratifica di

tale normativa, in assenza del DA (nel caso di piccoli agricoltori o di sussistenza), è a

sfavore, o meglio ancora penalizza i piccolissimi proprietari terrieri (molto diffusi nei

PVS) che si troverebbero in competizione con altri più grandi (economicamente e

tecnologicamente), con gravi ricadute economiche causate dalla competizione sfavorevole

per collocazione delle merci sul mercato agricolo (soprattutto dal lato dei prezzi e delle

quantità).

La differenza tra il sistema dei brevetti, in vigore negli USA, e un sistema sui

generis, come l’Upov o le sue modifiche apportate dai singoli Stati o gruppi (come ad

esempio l’UE o le proposte dell’Organizzazione dell’Unità Africana), consiste nelle

restrizioni alla fruizione.

Un brevetto basato sulle regolamentazioni TRIPS (Trade Related Intellectual

Property Rights) esclude dalla brevettabilità, oltre all’ovvio”, le specie animali e vegetali,

ma permette di brevettare i geni da introdurvi.

Anche la Comunità Europea ha emanato una direttiva (98/48 C.E.) che regola la

brevettabilità: tale direttiva concede un diritto esclusivo a sfruttare un’invenzione e 74 Il brevetto concesso nell'agosto 2000 alla multinazionale americana DuPont, per un tipo di mais che ha due

particolarità: un alto contenuto di olio (oltre il 6% del peso di ogni chicco) e un alto tenore di acido oleico (superiore al 55% del contenuto totale di olio), che svolge un'efficace funzione antiossidante. Dalla Germania, GreenPeace e Misereor (un'agenzia cattolica tedesca per la cooperazione e lo sviluppo) hanno deciso di presentare all'ufficio di Monaco un ricorso contro il brevetto. Perché il campo di applicazione della tutela giuridica richiesta dalla DuPont è tale da assicurare alla multinazionale la "proprietà" di intere varietà di mais già esistenti coltivate da secoli sugli altipiani del Messico. (www.verdi.it).

161

impedisce ad altri di usarla sia che si tratti di un prodotto che di un processo. La

protezione si estende ad ogni materiale in cui l’invenzione brevettata si trova o che è

prodotto mediante un procedimento brevettato.

Il fine di tali normative è di assicurare un diritto all’ottenitore di una nuova varietà

vegetale mediante il rilascio di un titolo di protezione “sui generis” (Plant Breeders’

Rights) molto diverso rispetto al brevetto per invenzione (Utility Patents). Questi si

riferiscono alla nuova varietà in quanto tale e non al procedimento usato per ottenerla né

agli usi di questa e proteggono la sola commercializzazione del materiale di riproduzione.

Secondo gli accordi TRIPS, all’art. 27.3, si afferma che « (gli Stati) ... membri ...

possono escludere dalla brevettabilità piante ed animali ... e i processi essenzialmente

biologici per la produzione di piante e di animali. … (gli stati) ... membri possono

provvedere alla protezione delle varietà di piante o di animali sia mediante brevetti

(Patents) sia mediante un efficace sistema sui generis o su una combinazione di entrambi

… ».

La differenza di base tra un PBR ed un brevetto risiede sull’oggetto e sulle

modalità di protezione dello stesso.

Un sistema sui generis tutela chi investe nelle ricerche dal punto di vista

commerciale, vale a dire sulle sementi. La revisione dell’Upov, nel ’91, modifica in gran

parte la precedente versione, avviando, come richiesto dagli accordi Trip’s, la

convergenza dei sistemi di protezione vegetale con i brevetti.

L’Upov ’91 prevede la possibilità di doppia protezione, PBR e Patent, che può

essere esteso a tutto il materiale biologico derivato e alle varietà essenzialmente derivate.

Il sistema Upov non prevede il divieto di ricerca sui ritrovati, contrariamente ad un

brevetto, oltre al fatto che la protezione vegetale non può vietare a terzi di riprodurre le

sementi dietro un compenso monetario.

Dunque la differenza tra un brevetto ed una protezione vegetale risiede nelle

restrizioni, che nel caso dei brevetti sono richiesti dagli stessi titolari del brevetto.

In definitiva è possibile affermare che un sistema sui generis regolamenta gli

aspetti commerciali, mentre un brevetto regola la protezione intellettuale, con

ripercussioni negative sulla ricerca e la diffusione delle conoscenze.

I problemi relativi alle differenze tra un sistema sui generis e quello brevettale

risiede essenzialmente nelle limitazioni alla proprietà ed alla libera fruizione o ricerca.

162

Le necessità, europee ed americana (ove il sistema di protezione è più restrittivo)

riguardano l’opportunità di offrire al titolare della privativa una tutela più ampia di quella

tradizionalmente concessa sulle novità vegetali, senza che la protezione divenga eccessiva

per non incidere sui meccanismi complessi che governano tradizionalmente il mondo

agricolo. La necessità è di armonizzazione con altri sistemi di proprietà industriale, primo

tra tutti quello dei brevetti di invenzione industriale, il complesso quadro normativo

internazionale che include, oltre alla Convenzione UPOV, la Direttiva europea sui

brevetti e gli accordi TRIPS.

La Direttiva 98/48 C.E. ha enormi connessioni con le regolamentazioni sulle

protezioni vegetali in quanto va a regolare “le invenzioni “ in un settore, le biotecnologie,

che avranno un impatto sempre maggiore nel comparto agroindustriale e, alla luce dei

contenuti, rende ulteriormente più complesso il quadro della situazione.

La ricerca di una nuova regolamentazione internazionale mira ad estendere il

sistema di brevettazione per invenzione di tipo industriale (Utility Patents) a piante ed

animali ingegnerizzati e s’introduce il brevetto di procedimento e d’uso considerando del

tutto inadeguato "il diritto del costitutore “ e insufficiente la tutela per lo “sforzo

economico” fatto in questo campo dai grandi gruppi industriali.

Il problema, inoltre, riguarda la possibilità che un materiale biologico, che venga

isolato dal suo ambiente naturale o che venga prodotto tramite un preciso procedimento

tecnico, possa essere oggetto di invenzione anche se preesistente allo stato naturale,

includendo il materiale e le varietà derivate.

Il documento, pur riconoscendo che i brevetti sono importanti per l’innovazione in

molti settori, rileva che concedere brevetti su organismi viventi può minare il valore delle

risorse genetiche e danneggiare gli interessi degli agricoltori nei Paesi in Via di Sviluppo.

Le restrizioni relative ai brevetti sono molto più incisive di un sistema sui generis,

sia in termini di fruizione da parte di terzi sia per ciò che riguarda la ripartizione dei

benefici e l’accesso al materiale biologico brevettato, e la possibilità di unire le due

regolamentazioni pone seri problemi sui diritti di commercializzazione e ricerca: infatti,

un sistema come l’Upov prevede esclusivamente una regolamentazione di tipo

commerciale, lecita se opportunamente regolamentata.

Un modello di legge proposto dell’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana),

pone le proprie basi giuridiche sul fatto che l'accesso alle risorse biologiche e/o

163

conoscenze o alle tecnologie delle comunità locali, in ogni parte del paese, dovrà essere

sottoposto ad una richiesta al fine di ottenere il consenso, che sarà rilasciato dalle autorità

nazionali dopo aver chiesto parere alle comunità locali. Le royalties, calcolate sulla base

dell'ammontare delle vendite di questa nuova varietà, dovranno essere versate in un fondo

che servirà a finanziare progetti elaborati dalle comunità locali per garantire «sviluppo,

conservazione ed uso duraturo delle risorse genetiche agricole» (CIDSE, 2000).

La legislazione dell’OUA non si accontenta di disciplinare l'accesso alle risorse

biologiche: essa definisce anche un sistema di protezione dei diritti di proprietà

intellettuale per i selezionatori di nuove varietà vegetali.

L’OUA esige che si provveda ad una protezione delle varietà vegetali attraverso

un efficace sistema sui generis, cioè un sistema adattato alla loro particolare situazione (F.

Seuret e R. Brac de la Perrière, 2000).

Pur garantendo ai selezionatori la protezione dei loro diritti di proprietà

intellettuale, il sistema sui generis definito dall'Oua è molto meno esclusivo di quello dei

brevetti. Al contrario di quest'ultimo, riconosce all'agricoltore il diritto di conservare una

parte del suo raccolto per ripiantarlo l'anno successivo senza dover pagare canoni: «il

Privilegio dell’Agricoltore». Questa varietà può anche essere utilizzata, liberamente e

gratuitamente, come risorsa genetica dai ricercatori che vogliano creare una nuova varietà,

vale a dire che prevede l’esenzione per la ricerca (F. Seuret e R. Brac de la Perrière,

2000).

Un'agricoltura meno industrializzata, basata sul sistema sui generis proposto

dall'Oua, si adatta, dunque, alla situazione africana meglio del brevetto o del Diritto

d'Ottenimento Vegetale (cioè il diritto del miglioratore) dell'Unione per la Protezione

delle Ottenimenti Vegetali (Upov), al quale aderiscono 43 Paesi (in gran parte

occidentali), poiché si rende necessario mantenere «il Privilegio dell’Agricoltore» per le

comunità locali meno abbienti.

Nei Paesi in Via di Sviluppo sono ancora, per lo più, gli stessi contadini, o i

piccoli produttori di semi o meglio ancora la ricerca pubblica, che selezionano e

migliorano le sementi, e non i grandi gruppi da cui dipendono gli agricoltori del Nord (F.

Seuret e R. Brac de la Perrière, 2000).

Il sistema sui generis proposto dall’Oua rappresenta un’alternativa sia ai brevetti

sia all’Upov: si esclude la brevettabilità del vivente ed allo stesso tempo si favorisce la

164

ricerca con sistema ad hoc che tuteli la biodiversità, l’accesso da parte dei più poveri,

l’accesso con royalties per chi ne abbia le capacità, tutelando, altresì, i fondi per la ricerca

e i diritti delle società ricercatrici, salvaguardando le pratiche e le conoscenze locali.

Il sistema brevettale è ritenuto troppo restrittivo dal punto di vista economico, ed

allo stesso tempo fa sì che grandi compagnie abbiano l’accesso alle risorse genetiche e

culturali dei Paesi del Sud del mondo per poi brevettarle al Nord, mentre un sistema ad

hoc sulla protezione delle risorse vegetali ed animali, che preservi le comunità, le pratiche

locali ed i meno abbienti, e che garantisca allo stesso tempo i fondi per chi effettua le

ricerche, rappresenta un giusto compromesso tra mercato, ricerca e diritti allo sviluppo.

Il sistema Upov 91 adotta in contemporanea, su richiesta delle società del settore,

le direttive sulla protezione dei brevetti e il Diritto d'Ottenimento Vegetale (Dov): un

selezionatore non può più utilizzare liberamente per la ricerca una varietà vegetale

contenente geni brevettati, anche se la varietà stessa non è brevettata, ma solo protetta dal

Dov, come succede, per esempio, con i nuovi semi transgenici commercializzati,

contrariamente alla proposta di revisione consigliata dall’Oua.

Secondo il Voice of Irish Concern for the Environment, attualmente l'80% di tutti

i brevetti sui cibi geneticamente modificati è detenuto da soltanto 13 multinazionali e le

prime cinque aziende agro-chimiche controllano quasi l'intero mercato di semi

geneticamente modificati. Contemporaneamente, 1,4 miliardi di agricoltori del mondo

dipendono dai semi risparmiati dal raccolto per la semina dell'anno successivo.

Le regolamentazioni sui brevetti e quelle sulle varietà vegetali, con il supporto

delle posizioni dominanti sul mercato agro-alimentare, rischiano per costringere gli

agricoltori, tramite la protezione di piante già esistenti (il cui sfruttamento sarebbe

limitato), alla totale dipendenza nei confronti di tali compagnie, e, a livello mondiale, si

potrebbe arrivare alla concentrazione delle risorse genetiche, con ripercussioni sul sistema

economico ed etico dagli sviluppi imprevedibili.

IV.13. Il monopolio delle biotecnologie

La concentrazione delle principali società del mercato agro-alimentare sembra

essere il problema principale, a livello economico, della diffusione delle biotecnologie.

L’esistenza di un monopolio produttivo (sementi e chimici) estesa alla sfera della

ricerca pone problemi sulla distribuzione dei benefici del progresso biotecnologico, tra

165

produttori e consumatori di inputs agricoli da un lato, e dall’altro limita la libera ricerca,

condizionando in tal modo le scelte produttive.

La perdita di benefici per il consumatore (nel caso specifico l’agricoltore)

connessa alla struttura monopolistica (o oligopolistica relativamente al caso delle

biotecnologie transgeniche, in quanto è più di una compagnia a detenere il potere di

mercato) si concretizza semplicemente nel maggior costo delle sementi e dei fitofarmaci,

nella perdita di profitti da parte dei potenziali produttori, dovuta alle barriere all’entrata,

che nel caso specifico possono essere ricondotte al possesso di un brevetto.

Il caso delle biotecnologie appare molto complesso, in quanto il potenziale

pericolo ambientale e sanitario connesso pone dubbi sulla reale necessità di tali

applicazioni.

Uno degli aspetti che più attira l’attenzione, circa l’alta concentrazione nel

mercato, risiede nell’individuazione degli effetti ad essa connessi, vale a dire se un

oligopolio, così fatto, possa avere effetti positivi sul sistema agricolo, date le possibili

economie di scala.

La presenza di un oligopolio potrebbe essere conveniente, lì dove, le economie di

scala sono a vantaggio, quasi esclusivo, degli agricoltori attraverso la riduzione dei costi e

non attraverso un aumento della produzione, a parità d’impatto dei costi sul totale. Altresì,

la presenza di un oligopolio o monopolio è inefficiente, lì dove, vi è una riduzione della

produzione per favorire un aumento dei prezzi degli inputs agricoli, nel caso specifico,

massimizzando il ricavo totale, situazione questa che penalizza l’agricoltore, ad esempio

attraverso il technology fee.

Appare ambiguo l’interesse di molti agricoltori verso le biotecnologie (a tutt’oggi

sono circa 44 milioni gli ettari coltivati) proprio perché non esistono vantaggi assoluti, se

non per chi abbia una struttura organizzativa agricola molto meccanizzata; appare

ambigua la situazione in cui 8 dollari per acro, tanto è stato il maggior ricavo nelle

coltivazioni di mais nel 1998, rappresentino un vantaggio da raggiungere a fronte di un

controllo (la Monsanto si avvale di ispettori per verificare che qualcuno non rubi le

sementi) e di una maggiore dipendenza dagli inputs produttivi.

Tuttavia alcune ipotesi possono essere esposte. Nel caso del mais e del cotone, le

sementi utilizzate sono essenzialmente ibride, vale a dire che devono essere riacquistate

anno per anno, e ciò potrebbe far ipotizzare che le società gestiscano il technology fee in

166

modo tale da rendere conveniente la semente tradizionale o quella transgenica (come è

stato verificato relativamente al mais nel capitolo terzo). Tale possibilità è plausibile, ma

non verificabile nel modo più assoluto, in quanto il mercato delle sementi tradizionali è

anch’esso molto concentrato e vi partecipano le stesse società, e ciò potrebbe ancor più

rendere possibile che tali compagnia abbiano il potere e i mezzi per favorire l’una o l’altra

coltura, probabilmente in base ai corrispettivi introiti connessi (da tener presente la

relazione tra erbicida e semente) ed in base al potere di mercato che le stesse hanno nel

mercato dei chimici per l’agricoltura.

Il monopolio delle biotecnologie sembra essere legato sia a fattori economici sia

alle legislazioni vigenti, nei vari Stati, in materia: non è possibile separare il monopolio

biotech dalle leggi sui brevetti e dalle regolamentazioni Upov.

Le compagnie che promuovo il biotech continuano da anni proporle al mercato

agricolo, a volte con successo a volte no75. L’eccessiva concentrazione, nelle mani di

poche compagnie trasnazionali, del mercato agro-alimentare (chimici, sementi, brevetti,

cibi) sembra precludere qualsiasi forma di autodifesa da parte degli agricoltori.

La possibilità che la filiera alimentare e agricola possa essere sotto il controllo di

alcune società paventa il rischio che vengano ignorati gli effetti sull’ambiente, sul

consumatore e sull’attività agricola sempre più industrializzata.

L’effetto che un monopolio siffatto può avere sugli agricoltori è diversificato, a

seconda se si consideri un agricoltore europeo, dei PVS, o nordamericano: infatti, nel caso

europeo (dove peraltro il tentativo di attuare il Principio di Precauzione e di far valere i

diritti dei piccoli agricoltori sembra farsi sempre più decisivo) l’effetto del monopolio

potrebbe essere quasi nullo per l’agricoltore visto che l’UE ha problemi di surplus

agricolo (quindi non vi è necessità a coltivarli, se non attraverso una politica delle aziende

fornitrici di input atte a favorirle rispetto ai prodotti convenzionali o tali da ridurre i costi

di produzione a vantaggio dei fattori interni all’azienda); l’agricoltore del Sud del mondo

avrebbe ricadute economiche connesse allo spiazzamento da parte di tali colture (qualora

fossero più produttive) nei confronti delle produzioni locali e tradizionali, ove i possibili

minori costi immediati certamente verrebbero annullati nel lungo periodo con la

conseguenza di aver abbandonato un’agricoltura già poco redditizia, nei confronti del

75 Esiste una lunga lista di Paesi, tra i quali spicca l’India, che si oppongono al biotech, a volte attraverso vere e proprie

moratorie. Altre come l’Indonesia vengono minacciate di sanzioni dagli USA per aver introdotto delle soglie di tolleranza per i prodotti geneticamente modificati.

167

settore manifatturiero, in cambio di una ancor più legata agli input di origine industriale e

straniera, con perdite sul livello dei redditi e con un’agricoltura tutta orientata verso la

produzione di beni destinati all’export, non capaci di generare sviluppo interno; nel caso

di un agricoltore nordamericano le conseguenze sarebbero rivolte verso lo spiazzamento

dei piccoli agricoltori nei confronti dei grandi latifondisti, favoriti dai possibili rendimenti

di scala e dalla maggiore flessibilità76.

L’effetto del monopolio delle colture ha, quindi, un effetto diversificato secondo

l’area considerata, il livello di tutela da parte degli organi nazionali e la capacità di

autonomia finanziaria e tecnica. In generale, il consolidamento del mercato agricolo

determina, anche se diversificate, perdite per l’attività agricola, sempre più

industrializzata e dipendente dagli input. Le biotecnologie rappresentano la Seconda

Rivoluzione Verde77: la prima, analoga nei fini e diversa nelle metodologie (la seconda si

basa anche sull’ingegneria genetica), aveva promesso una riduzione della povertà e della

fame nel mondo, ma nell’ultimo documento redatto dall’ONU nel 2001 si fa notare come

essa sia stata controproducente.

La Prima Rivoluzione Verde ha fatto sì che il numero dei Paesi Meno Sviluppati

(Pms) aumentassero da 25 a 49 (relativamente al periodo 1971-2001, vale a dire dalla

definizione stessa da parte dell’ONU dei Paesi Meno Sviluppati), che la redditività

agricola di tali Paesi diminuisse e diventasse sempre più industrializzata e dipendente dai

fattori esterni, che si producesse più cibo, ma che tale cibo non avesse nessuna influenza

nel ridurre la povertà, la malnutrizione e che l’habitat di quei Paesi che più vi hanno

creduto fosse più inquinato dagli agenti chimici.

In generale, è possibile affermare come le biotecnologie, così concentrate nelle

mani di pochi, con un accesso molto limitato economicamente e legato alle fluttuazioni

dei prezzi degli input produttivi, limitato alla produzione di beni alimentari omogenei e

“chimici” dotati di un valore qualitativo industriale, e non tradizionalmente locale, non

rappresenti un effettivo vantaggio.

Il monopolio delle colture ha, dunque, in sé il potere di influenzare il mercato

agricolo, in senso negativo nel lungo periodo (soprattutto per i Pms), e di favorire colture

76 La maggiore flessibilità connessa alla coltivazione di Ogm è relativa al minor capitale umano utilizzato nei campi. 77 Il paragone è inevitabile e nei modi e nei fini proposti, vale a dire attraverso un maggior uso della chimica in

agricoltura.

168

che non apportano, almeno attualmente, benefici concreti, e, nel contempo, da più parti si

levano allarmi circa i possibili effetti ambientali e sulla salute umana78.

La necessità di ridurre la dipendenza degli agricoltori dalla chimica è sentita anche

nei PSA: la Foundation On Economic Trends, la Coalition Nationale des Familles

Agricoles (USA) e decine di organizzazioni di agricoltori, hanno deciso di intraprendere

un’azione legale nei confronti delle multinazionali Biotech per posizioni dominanti.

I brevetti rafforzano l’agricoltura industriale a scapito di quella a conduzione

familiare: solo chi ha la possibilità di trarre vantaggi di scala, attraverso un maggior uso di

prodotti chimici, avrà convenienza nel coltivare Ogm79. Alcuni Stati, a tal proposito,

«favoriscono le nuove varietà fornendo sussidi per l’uso di prodotti chimici e rifiutano

crediti ai contadini che continuano ad usare semi locali» (Oxfam, 1998).

Negli anni passati il potere delle società agroalimentari aveva incentivato l’uso di

sementi nuove, prodotti chimici a scapito delle colture tradizionali, in quella che è stata

definita Rivoluzione Verde: tale Rivoluzione ha sì aumentato le produzioni, ma nel lungo

periodo la “chimicizzazione” agricola assieme alla diffusione delle monocolture estensive

ha penalizzato fortemente i piccoli agricoltori, riducendoli in povertà (Oxfam, 1998).

Il problema del monopolio, infine, delle colture e della chimica andrebbe

sicuramente rivisto in relazione agli accordi di Kyoto e al Principio di Precauzione, al fine

di salvaguardare il patrimonio ambientale, e ad indirizzare le multinazionali biotech nella

ricerca di prodotti a basso potenziale di rischio, connesso all’uso della chimica, e ad

indirizzare la ricerca verso lo sviluppo di colture eco-sostenibili e di facile accesso per le

popolazioni meno abbienti e più disagiate.

IV.14. Sintesi sulla struttura del mercato transgenico

Le argomentazioni precedenti e i dati forniti sulle quote di mercato e sui livelli di

concentrazione, nei diversi mercati che forniscono inputs agricoli, mostrano come il

sistema agricolo internazionale sia molto complesso.

L’insieme di leggi e regolamentazioni accentuano il carattere oligopolistico di tali

mercati, incrementano il potere di mercato, non più determinabile attraverso i normali

78 Alcuni “effetti collaterali” si sono concretizzati come ad esempio nel caso StarLink, per cui la ditta Aventis è stata

condannata a pagare una multa di alcune migliaia di miliardi, o ad esempio casi di contaminazione (caso Smeiser). 79 Tale convenienza è a vantaggio soprattutto di chi tali prodotti chimici li produce.

169

indicatori economici come il fatturato, ma vanno relazionati alle potenzialità di

espansione e di ricerca di materiale biologico da brevettare.

In definitiva è possibile affermare come la tendenza del mercato agricolo sia

quella di unire i principali mercati di inputs (sementi e fitofarmaci) al settore della ricerca,

che ne diventerebbe il principale vettore di espansione.

Gli elevati livelli di concentrazione nel mercato agricolo sono da considerarsi in

riferimento al fatto che le società leaders sono le stesse che controllano il mercato

transgenico, ed hanno le capacità finanziarie per controllare e unire la filiera agro-

alimentare, escludendo la possibilità di accesso da parte di terzi che ne verrebbero

sicuramente assorbiti.

Le posizioni dominanti creano problemi anche nella determinazione dei reali

prezzi di mercato e delle reali differenze nei costi tra le produzioni agricole convenzionali

e quelle geneticamente modificate, rendendo difficile ogni valutazione. Alcune

associazioni ambientaliste sostengono che in Canada, Australia, Sudafrica, Argentina e

USA, ad oggi, è quasi impossibile acquistare sementi tradizionali, in quanto destinate

esclusivamente al mercato europeo dove le sementi Gm sono vietate o sottoposte a severe

restrizioni. Tale condizione mostra, in modo palese, quale sia il potere d’influenza

esercitato dal monopolio delle colture tradizionali e transgeniche da un lato, e dall’altro

mostra come questi due settori agricoli siano interconnessi, ovvero gestiti dalle stesse

società in condizioni di oligopolio o monopolio.

L’asimmetria delle necessità tra Paesi ricchi e poveri determina discriminazioni di

prezzo connesse al potere monopolistico, come ad esempio nel caso della

commercializzazione del cotone BT della Monsanto, a svantaggio degli agricoltori

australiani causa un incremento del prezzo delle sementi (Fonte M., Salvioni C., D’Ercole

E., 2000).

Le regolamentazioni, inoltre, offrono l’opportunità di incrementare tali posizioni

dominanti e rendere ancor più difficile l’accesso e la concorrenzialità del mercato, a

scapito soprattutto dei Pms.

Infatti, le ricerche saranno sicuramente indirizzate verso varietà economicamente

rilevanti e avranno un effetto negativo sulle colture locali dei Paesi poveri, fuori dalla

mira dell’industria privata.

170

La ricerca sulle innovazioni biotecnologiche ha portato alla nascita di numerose

piccole imprese, le quali sono state acquisite dalle grandi compagnie multinazionali.

La struttura del mercato è cambiata, unendo i settori sementiero e agro-chimico,

prima separati, avviando in tal modo l’integrazione della filiera.

Le acquisizioni e le fusioni hanno portato sotto il controllo di un’unica impresa i

vari segmenti della filiera produttiva: la ricerca di geni e varietà vegetali nuove, la

produzione di sementi, la produzione di erbicidi e chimici ad hoc e la

commercializzazione del prodotto finale (il tutto regolamentato e tutelato dalle leggi sui

brevetti) sono sotto un controllo oligopolistico che ne influenza i meccanismi economici.

Tale integrazione se da un lato permette di gestire ed ottimizzare le complementarità dei

vari rami della filiera, dall’altro crea un monopolio delle colture e del settore agricolo

internazionale, a scapito delle piccole comunità locali.

Da un punto di vista strettamente economico, l’integrazione delle filiere

(tradizionale e Gm) e il loro controllo da parte delle stesse poche società non garantisce né

la concorrenzialità né la libertà di scelta degli agricoltori, visto che risulta impossibile

definire in modo univoco le caratteristiche delle due tipologie di produzione: è

ipotizzabile che tali società indirizzino, attraverso variazioni dei prezzi e delle quantità

prodotte, le scelte del mercato verso quei prodotti a loro più convenienti.

Nei confronti dei Pms la situazione di monopolio delle filiere non garantisce un

adeguato accesso alle risorse per migliorare la propria condizione, e non garantisce

un’adeguata remunerazione brevettale dato che la maggior parte delle risorse genetiche

sono rintracciabili nel loro territorio.

L’agricoltura potrebbe essere condizionata ed indirizzata verso una nuova

industrializzazione, a scapito del reddito agricolo, visto che maggiore è la remunerazione

dei fattori esterni nel sistema dei costi di produzione di Ogm.

In definitiva, appare non condivisibile l’integrazione della filiera tradizionale e

transgenica, congiuntamente ad una mancata segregazione delle filiere, ad opera di poche

grandi compagnie multinazionali che, di fatto, esercitano una notevole influenza sul

mercato agricolo e sulle scelte produttive, a tutto loro vantaggio.

Le regolamentazioni, inoltre, hanno svolto un ruolo decisivo nella costituzione del

monopolio agricolo aumentando le barriere all’entrata del mercato per le aziende

interessate, attraverso, soprattutto, la regolamentazione brevettale, che in U.S.A. è basata

171

essenzialmente sulle sentenze passate dei vari tribunali, dove sono state intentate le cause

in materia di brevettabilità e tutela brevettale.

C a p i t o l o Q u i n t o

CONCLUSIONI. QUALI LE OPPORTUNITÀ ECONOMICHE LEGATE ALLE BIOTECNOLOGIE IN CAMPO AGRICOLO?

V.1. Introduzione

La finalità di questo capitolo è quella di fornire una sintesi dei principali risultati

ottenuti nei precedenti, siano essi dati economici o relazioni tra composizione del mercato

e legislazioni vigenti.

Il complesso fenomeno delle biotecnologie applicate all’agricoltura incorpora in

sé problematiche e discussioni attuali e classiche, relative ai mercati agricoli

internazionali. Infatti, le biotecnologie appaiono, a chi voglia studiarne i meccanismi

economico-legislativi, come un sistema complesso, completo ed ambiguo.

La complessità del fenomeno in questione risiede nelle metodologie di

miglioramento agronomico utilizzate, basate sull’ingegneria genetica, e correlata al fatto

che esse sono di recente scoperta. Infatti, le metodologie di ricombinazione del DNA

hanno suscitato perplessità da parte di numerosi scienziati circa la loro stabilità.

Le principali critiche dal punto di vista della salvaguardia ambientale e del

mantenimento degli attuali livelli di biodiversità vegetale sono rivolte al fatto che molti

studiosi definiscono tali modificazioni genetiche poco conosciute e per natura loro

instabili, causa i possibili effetti pleiotropici80.

Se da un lato le biotecnologie rappresentano una metodologia del futuro, capace di

risolvere molti problemi legati all’attività agricola, dall’altro le insufficienti informazioni

circa i possibili effetti nel lungo periodo, per l’uomo e per l’ambiente, pongono dei dubbi

sulla reale necessità di applicazione e di rilascio ambientale.

Tra le principali problematiche di tipo ambientale, che traggono origine da tali

metodologie agricole, sono da considerarsi, nella maniera il più pragmatica possibile, il

80 Il tratto di DNA è inserito casualmente negli organismi, non tenendo conto del metabolismo completo nucleotidico e

delle possibili relazioni di dipendenza ed interazione esistenti all’interno della struttura genetica delle piante.

173

rischio connesso alla perdita di controllo ambientale, agli effetti sulla salute umana e alla

definizione legislativa dei responsabili di tali possibili impatti negativi.

La completezza del sistema biotecnologico trova la sua giustificazione nel fatto

che il loro sviluppo, congiuntamente ai fenomeni di globalizzazione in atto, è collegato

indissolubilmente all’evoluzione dei sistemi agricoli tradizionali e delle regolamentazioni

sui diritti di proprietà intellettuale, i quali influiscono in maniera diretta sullo sviluppo

agricolo, soprattutto dei Pvs, sulla libertà d’accesso alle innovazioni e sulla

privatizzazione delle risorse naturali.

L’ambiguità, nel fenomeno transgenico agricolo, trova la sua ragion d’essere nella

constatazione che la facilità nel rilascio ambientale, la mancanza di ulteriori

approfondimenti scientifici degli effetti sulla salute e sull’ambiente, l’impossibilità a

gestire in toto i meccanismi di commercializzazione (come nel caso del mais StarLink), le

lacune nelle regolamentazioni vigenti in materia e la scelta dei funzionari che controllano

e rilasciano autorizzazioni per la coltivazione e la commercializzazione, non sono del

tutto gestite al meglio e, per alcuni versi, corrette.

V.2. L’accettazione delle biotecnologie

Negli ultimi anni la diffusione delle biotecnologie in campo agricolo ha suscitato,

nell’opinione pubblica, reazioni contraddittorie.

Gli sviluppi dei ritrovati biotecnologici hanno certamente colpito l’immaginario

collettivo in maniera positiva per alcuni versi, e per altri hanno suscitato accessi dibattiti

circa la loro affidabilità e necessità economica.

La realtà del fenomeno Biotech si pone nei confronti dell’opinione pubblica come

una possibile strada per un miglioramento agronomico sia qualitativo sia quantitativo, ma,

dai fatti, è ben diversa da come era stata immaginata dai produttori e dai consumatori.

L’immagine degli Ogm appare proiettata verso il futuro, caratterizzata da

innumerevoli vantaggi per tutti i beneficiari, ma le metodologie, nel momento in cui

vengono rese note, deludono le aspettative. Pensare che coltivazioni resistenti ai prodotti

chimici, che fanno presupporre un maggior uso della chimica, o contenenti insetticida

possano rappresentare il futuro, soprattutto alla luce delle preoccupazioni espresse dalle

recenti vicissitudini alimentari che hanno visto come protagonisti i “polli alla diossina” e

la “mucca pazza”, lasciano perplessa l’opinione pubblica.

174

In ambito comunitario l’accettazione sembra ancor più difficile in rapporto alle

stesse politiche agricole, le quali incentivano l’agricoltura biologica come fonte di

redditività agricola e di benessere alimentare.

Se da un lato le biotecnologie rappresentano il normale sviluppo tecnologico

applicato all’agricoltura, dall’altro le modalità di diffusione, l’incapacità di fornire

un’adeguata informazione al consumatore e di tutelare la piccola proprietà agricola

comunitaria e del terzo mondo, hanno creato una barriera tra favorevoli e contrari che, di

fatto, ha relegato la discussione solo agli ambienti scientifici ed ha limitato l’accesso al

dibattito da parte del grande pubblico, accentuando, in tal modo, i fattori di repulsioni.

La probabilità che il grande pubblico possa avere un quadro conoscitivo di

riferimento semplice e completo sul fenomeno biotecnologico appare remota, anche

perché esso è complesso ed è intrecciato indissolubilmente con questioni normative e

ambientali molto specifiche e tecniche, comprensibili molto spesso dai soli addetti ai

lavori.

Lo sviluppo delle biotecnologie e la loro diffusione ambientale dal 1996, anno

della prima commercializzazione in USA, è avvenuta in modo impetuoso, diffondendosi a

macchia d’olio, per poi rallentare nel momento in cui l’opinione pubblica ne è venuta a

conoscenza, proprio perché in principio la diffusione e il loro consumo alimentare era

avvenuto all’insaputa dei più.

Generalmente, la diffusione di una nuova tecnologia avviene nella maniera la più

diretta e semplice possibile attraverso campagne informative sul ritrovato e sulle sue

potenzialità affinché ne possa usufruire il più vasto pubblico possibile, ed è ben accetta

dall’opinione pubblica, la quale vede nelle innovazioni la possibilità di un miglioramento

delle proprie condizioni di vita, ma nel caso delle biotecnologie la tecnica in sé, quella

della modificazione genetica, e l’impossibilità ad evitarla hanno creato incertezza e paure

a volte eccessive, come se il grande pubblico si fosse sentito escludere dal decidere sulla

propria alimentazione.

Il parere di chi scrive è che le modalità di discussione e la mancata informazione81

per il grande pubblico hanno creato molta sfiducia da parte dei consumatori e degli

agricoltori che si sentono minacciati, soprattutto perché essi si sentono impotenti di fronte

81 Le informazioni a riguardo, riportate sulla stampa tradizionale non specializzata sono spesso lacunose e non pongono

gli accenti su tutte le tematiche connesse.

175

al fenomeno. La principale causa della reazione negativa nei confronti delle biotecnologie

risiede nell’incapacità, da parte di chi le promuove, di fornire argomentazioni valide che,

qualora fossero disponibili, potrebbero essere accettate dal pubblico.

Resta difficile, al momento, fornire tali argomentazioni dato che non esistono

ricerche ed informazioni che stabiliscano in modo univoco i vantaggi economici ed

ambientali. Non esiste una legislazione, inoltre, capace di porre i consumatori in

condizione di poter scegliere tra un prodotto convenzionale o uno transgenico, un

meccanismo legislativo di etichettatura non ambiguo, contrariamente a quello europeo,

che, basato sulla soglia di accidentalità dell’1% e sul principio di Sostanziale

Equivalenza, di fatto ammette la non etichettatura dei cibi contenenti Ogm, poiché non

sono tracciabili e rintracciabili82.

Lo sviluppo delle biotecnologie appare come incontrollabile e potenzialmente

pericoloso per l’opinione pubblica proprio perché basata sulla modificazione del DNA.

Attualmente nessuno è in grado di prevedere l’effetto di lungo periodo sull’uomo

e sull’ambiente, né in positivo né in negativo, e questa mancanza di informazioni tende,

nel consumatore e negli agricoltori, a tramutarsi in paura e l’unica soluzione sembra

essere quella di attuare il Principio di Precauzione, come forma di autodifesa in assenza di

certezze scientifiche.

Da un punto di vista economico, che nella realtà odierna sembra essere l’unico

parametro di riferimento universalmente accettato (come se l’economia potesse

monetizzare gli effetti ambientali, misurare gli effetti delle modificazioni genetiche sul

metabolismo umano o gli effetti pleiotropici), le biotecnologie sono ancora poco

conosciute.

La non conoscenza del fenomeno è legata alla sua complessità normativa e al fatto

che nel mercato agricolo mondiale è difficile attuare dei confronti economico-produttivi

tra piante convenzionali e Gm, poiché il mercato della produzione e della

commercializzazione è lo stesso, dominato da poche aziende in forma di oligopolio. Nella

pratica, dunque, è quasi impossibile eliminare nei prezzi dei prodotti gli effetti distorsivi

della concentrazione di mercato al fine di avere dei prezzi puri e confrontabili, ovviando 82 Il Principio di Sostanziale Equivalenza definisce che un prodotto derivato da Ogm è sicuro ed equivalente ad uno

convenzionali se nel prodotto, durante il processo di lavorazione, viene “perso” il tratto di DNA modificato o se esso non è rintracciabile. Nella sostanza è impossibile per il consumatore evitare prodotti Gm, poiché, ad esempio, nell’olio di soia non è possibile rintracciare, tramite l’analisi Pcr, il tratto modificato a meno che non sia lo stesso produttore a dichiararlo.

176

in tal modo alla possibilità esistente, da parte di chi produce le sementi e i prodotti chimici

agricoli, di favorire l’una o l’altra coltivazione secondo i propri interessi economici,

“guidando” in tal modo le scelte e l’indirizzo di sviluppo del settore agricolo.

V.3. La sostenibilità economica ed ambientale delle biotecnologie

Il complesso fenomeno delle biotecnologie investe in toto la società: esiste uno

stretto legame tra biotecnologie, sviluppo economico, malnutrizione, ambiente e salute,

che non può essere ignorato alla luce delle perplessità, poste in essere da vari settori della

scienza, circa le metodologie transgeniche applicate all’agricoltura.

Come avevamo premesso, i concetti, che di seguito saranno esposti, saranno basati

essenzialmente sul concetto di sostenibilità nelle sue due componenti principali,

economica ed ambientale, tralasciando gli aspetti sanitari connessi.

Il concetto di sostenibilità, nella sua definizione più semplice ed intuitiva, fa

riferimento alla necessità, per ogni tipo di sviluppo, di evolvere i sistemi mantenendo un

equilibrio di breve e di lungo periodo, facendo coincidere le necessità presenti a quelle

future, vale a dire affiancando all’equilibrio inter-generazionale quello intra-

generazionale. Il presupposto per un tale sviluppo trova le sue ragioni sull’attribuzione di

un valore alle risorse, variabile nel tempo, riguardo alla loro scarsità e ai loro livelli di

riproducibilità.

Il fenomeno biotecnologico, così come attualmente sviluppato e gestito, non

appare di tipo sostenibile, in quanto i possibili costi (danni all’ambiente, concentrazione

tecnico-economica e libertà di accesso limitata) risultano di gran lunga superiori agli

attuali benefici apportati (lì dove questi si sono verificati).

La motivazione che ha spinto la scienza alla ricerca del miglioramento

agronomico, attraverso la manipolazione genetica, è sempre stata quella di migliorare i

sistemi di produzione agricola esistenti, in concomitanza alle necessità espresse dallo

sviluppo demografico mondiale, particolarmente accentuato in alcune regioni del pianeta:

in questo ambito il concetto di sostenibilità economica e ambientale trova la sua necessità

di esistenza.

Definire la sostenibilità delle biotecnologie applicate in agricoltura significa

comprendere i meccanismi economici e legislativi inerenti, ed ipotizzare un possibile

scenario futuro, ponendo l’attenzione sulle variabili economiche, sociali ed ambientali,

177

confrontando il tutto con i possibili benefici futuri: in tal modo è possibile definire il

livello di necessità delle biotecnologie agricole, attuando una virtuale analisi costi

benefici.

Inoltre, il livello di sostenibilità deve essere relazionato alle reazioni ambientali,

comprendendo un concetto semplice ed inequivocabile, ovvero che i possibili danni

ambientali, prescindendo da chi ne abbia le responsabilità, sono a carico dell’intera

collettività.

Il concetto di sostenibilità in senso economico è da riferirsi alla possibilità che lo

sviluppo delle biotecnologie sia gestito e regolamentato in funzione sia delle necessità del

mondo agricolo sia in relazione alla tutela di chi ha investito nella ricerca: un tale

presupposto, viste le potenzialità negative e positive non ancora espresse dalle

biotecnologie, rappresenta un punto cardine per una corretta applicazione e gestione della

diffusione delle nuove metodologie di coltivazione.

La gestione delle biotecnologie in campo agricolo, legata alle convenzioni e alle

regolamentazioni, rappresenta il fattore cruciale per un’adeguata analisi economico-

ambientale del fenomeno volta ad evidenziarne gli aspetti positivi e negativi, ponendo

attenzione a tutti i fenomeni connessi, siano essi ambientali o socioeconomici.

L’analisi di lungo periodo può senz’altro essere lo strumento migliore per

prevederne gli effetti nel tempo: l’interazione ambientale e l’influenza delle biotecnologie

in campo agricolo sono da considerarsi prioritarie al fine di avere una solida base di studio

ed avviare, di conseguenza, una corretta analisi per prevederne gli sviluppi successivi.

La necessità di un sistema agricolo nuovo, capace di fornire sempre più beni

alimentari, trova la sua ragion d’essere nella constatazione che i fenomeni demografici

futuri potrebbero creare deficit alimentari per i Pvs, anche se la questione del deficit come

principale causa della malnutrizione sembra, negli ultimi mesi, esser stata confutata

proprio dalla Fao83.

La sostenibilità, dunque, deve essere riferita soprattutto a chi necessita di un

miglioramento agricolo, ovvero i Pvs. Porre una maggiore attenzione sui Pvs e creare le

basi, attraverso le quali i principali beneficiari di tali nuove metodologie siano proprio

83 Recenti studi della Fao concordano che il problema della malnutrizione nei Pvs è da ricondursi alla mancanza di mezzi

finanziari per acquistare i beni alimentari sul mercato, di qui la necessità di sviluppare, in tali zone, un’agricoltura biologica che renda le popolazioni autosufficienti e soprattutto indipendenti dalle fluttuazioni e le offerte del mercato internazionale.

178

essi, rappresenta il punto di partenza migliore per qualsivoglia discussione in merito alle

biotecnologie in sé o alla normativizzazione e regolamentazione delle attività agricole.

V.4. Lo sviluppo e la diffusione degli Ogm

Dalla loro prima commercializzazione avvenuta nel 1996, lo sviluppo e la

diffusione delle biotecnologie hanno seguito un percorso crescente ed impetuoso.

La stessa definizione di biotecnologie è stata riadattata anche dai media alla nuova

realtà. La definizione di biotecnologia è relativa al miglioramento delle specie esistenti

attraverso il miglioramento genetico, ma ciò non vuol dire esattamente DNA

ricombinante. Infatti, i prodotti transgenici sono una piccola parte dei risultati della

biotecnologia, dove al posto delle convenzionali tecniche di miglioramento genetico

naturale, attraverso l’incrocio omogeneo, vengono utilizzate tecniche di ricombinazione

del DNA artificiali e tra specie eterogenee, come, ad esempio, tra piante e animali.

Dal 1996 al 2000 l’area coltivata con piante transgeniche, soprattutto in tre Stati

(USA, Canada e Argentina), è cresciuta velocemente passando da 1.7 milioni di ettari a

44.2, con un incremento tra il 1999 e il 2000 di circa l’11%, e ciò stabilisce quanto sia

stata l’aspettativa riposta in queste tecniche agricole di nuova generazione.

Il 98% delle colture transgeniche sono localizzate in Usa (68%), Canada (7%) e

Argentina (23%), relativamente all’anno 2000, anche se nei prossimi anni sembra che la

Cina possa avere un ruolo determinante nello sviluppo di tali tecnologie.

La distribuzione delle aree messe a coltura è in favore dei Paesi a Sviluppo

Avanzato (Psa) con il 76% dei terreni, mentre nei Pvs la diffusione delle colture

transgeniche è limitata al 24% dell’area mondiale destinata a loro, principalmente da

ricondurre all’Argentina.

Le colture Gm maggiormente diffuse (99% del totale) sono quattro: mais, soia,

cotone e colza, con rispettivamente il 23, 58, 12 e 7 per cento dell’area mondiale, anche se

nei prossimi anni dovrebbero diffondersi molto velocemente colture come il riso, le

banane, il caffè e il grano. Da notare che le colture su cui sono stati fatti i maggiori studi

sono quelle colture ad una maggiore industrializzazione e che sono tra le materie prime

agricole più scambiate al mondo ed alla base di tutta l’industria agro-alimentare mondiale.

Le caratteristiche disponibili per i prodotti Gm sono essenzialmente la tecnologia

di resistenza agli erbicidi (HR) non selettivi (74%), e quella relativa alla resistenza agli

179

insetti (IR) o “autoproduzione di insetticida” (19%), mentre il restante 7% è relativo a

prodotti che contengono entrambe le caratteristiche genetiche.

V.5. Vantaggi e svantaggi economico-ambientali connessi alle piante

transgeniche

I risultati degli studi economici riportati nel capitolo terzo forniscono i mezzi per

avviare un’analisi più dettagliata del fenomeno delle piante transgeniche, al fine di

evidenziarne le principali caratteristiche economiche in un’ottica di lungo periodo, ovvero

di sostenibilità.

Da un punto di vista strettamente economico le prime coltivazioni transgeniche

hanno disilluso chi poneva in loro molta fiducia.

La produttività (rese per ettaro) delle colture transgeniche sembra essere molto

variabile da coltura a coltura e da zona a zona, mostrando un’estrema variabilità nella

qualità dei prodotti ottenuti e nelle rese rispetto ai corrispettivi tradizionali. La resa per

ettaro è andata in controtendenza alle aspettative. Infatti, l’estrema variabilità delle rese,

che possono variare da +2 a –11 per cento rispetto ai prodotti convenzionali nel caso della

soia Roundup Ready, mostra come attualmente la principale aspettativa delle colture Gm

sia stata disattesa. Tale variabilità nelle rese è verificabile per tutte le colture esaminate

nel capitolo terzo, ad eccezione del cotone che rappresenta l’unica pianta Gm in grado di

aumentare le rese.

Il caso del mais è di difficile interpretazione in quanto il periodo di riferimento

dello studio ricade in quello di maggior infestazione, il quale influisce positivamente sulle

colture Gm di mais, ma negli anni successivi, quando il grado di infestazione diviene più

basso, la differenza nelle rese diminuisce sensibilmente rispetto alle varietà tradizionali.

Dal punto di vista dei costi, le colture Gm non offrono margini di riduzione

rilevanti, ma, allo stesso tempo, è evidente una diversa distribuzione degli stessi tra le

diverse componenti.

Nelle colture Gm è stato evidenziato che il minor costo degli agenti chimici, lì

dove rintracciabile, è stato più che compensato da un aumento del costo del seme, che ha

la caratteristica di inglobare il miglioramento genetico, dovuto al technology fee, vale a

dire il costo di fruizione del seme brevettato.

180

Particolare di rilievo per la sostenibilità nel lungo periodo è da rilevarsi nella

struttura degli inputs produttivi necessari alle coltivazioni Gm: per coltivare piante Gm è

necessario acquistare un pacchetto tecnologico comprendente semi ed erbicidi84, in

corrispondenza del fatto che i semi sono resistenti solo a particolari erbicidi, che vengono

forniti dalla stessa azienda.

Tale condizione favorisce una diversa struttura dei costi di produzione variabili,

favorendo nella coltivazione la remunerazione dei fattori di origine esterna all’azienda,

riducendo quindi il valore aggiunto attribuibile al fattore lavoro e alla capacità

imprenditoriale, che sono sotto il controllo e la gestione degli agricoltori.

Lo spostamento dei costi a favore di mezzi esterni rende meno gestibile l’attività

agricola che vede il capitale esterno come principale fonte di valore aggiunto.

La conseguenza di un tale risultato è di rendere l’attività agricola sempre più

dipendente da fattori esterni, quali il prezzo delle materie prime e degli inputs produttivi,

legando l’attività agricola alle fluttuazioni del mercato e alle scelte dei produttori di inputs

(sementi ed erbicidi), i quali godono dei benefici derivanti da un mercato agro-alimentare

concentrato.

Nel lungo periodo la struttura dei costi delle coltivazioni transgeniche appare non

sostenibile, in quanto se da un lato i costi rimangono immutati e se dall’altro si ipotizza, e

non è ancora certo, una crescita della produzione, il risultato sarà una riduzione dei prezzi

dei prodotti agricoli a svantaggio degli agricoltori. Una tale condizione è molto più

complessa se si considera che parte del costo delle sementi, che per le varietà Gm sono

più costose delle tradizionali, sono stabilite e gestite dai produttori in forma di monopolio

conseguentemente alle regolamentazioni brevettali.

La posizione delle aziende produttrici di sementi, che sono le stesse che

producono anche erbicidi e prodotti chimici in generale per l’agricoltura, è quella di avere

il controllo, quasi assoluto, sul livello di redditività del settore agricolo, e di chi intenda

coltivare prodotti Gm, attraverso principalmente la variazione del costo del technology fee

(che ha il suo effetto sulle sementi), degli erbicidi, dei pesticidi e delle sementi,

transgeniche e non.

La condizione appena espressa non è irreale, in quanto nel caso del mais è stato

rilevato che il costo delle royalties è stato fatto variare in relazione alla differenza di rese

84 Il riferimento è alla tecnologia HR (resistenza agli erbicidi) che è la più diffusa.

181

tra le varietà Gm e quelle convenzionali, aumentandone il valore nei periodi di alta

infestazione (quando la redditività del mais Gm potenzialmente minore), e viceversa nei

periodi di bassa infestazione.

La diversa distribuzione dei costi in favore del pacchetto tecnologico fa sì,

dunque, che si crei una dipendenza forte tra il settore agricolo transgenico e quello

dell’industria fornitrice degli inputs produttivi.

Gli svantaggi nella coltivazione di piante Gm sono da ricollegarsi, più che alla

tecnologia in sé, al modo in cui sono gestite tali produzioni, vale a dire attraverso le

posizioni dominanti sul mercato ed i brevetti.

Nel lungo periodo, e alcuni studi recenti lo confermano, è prevedibile una reazione

ambientale che renda inefficaci le piante Gm, siano esse del tipo HT o IR: infatti, sia le

malerbe, il principale obiettivo degli erbicidi, sia gli insetti sono in grado nell’arco di 4-5

anni di attuare forme di resistenza agli agenti chimici, così com’è accaduto dall’inizio

della prima Rivoluzione Verde degli anni settanta, tali da rendere necessario un

quantitativo sempre maggiore di prodotti chimici per ettaro fino alla loro definitiva

sostituzione per inefficacia.

Le reazioni ambientali sono da tener presenti in quanto, in un tempo

sufficientemente breve, è prevedibile che i costi per erbicidi possa aumentare a scapito

della redditività agricola, con la conseguenza di schiacciare i profitti e aumentando ancor

più la redistribuzione del valore aggiunto al fattore capitale, principalmente di origine

esterna all’impresa agricola.

Casi di resistenza o di trasmissione del transgene alle malerbe sono stati già

individuati e hanno suscitato le perplessità delle aziende Biotech, confermando le

preoccupazioni di molti scienziati circa la possibilità che l’ambiente reagisca a tali super-

piante creando super-insetti e super-erbacce, riproponendo all’agricoltore gli stessi

problemi iniziali, peggiorati dall’esistenza di nuovi organismi ancor più resistenti,

soprattutto per quelle piante allogame (barbabietola e colza, ad esempio) che tendono ad

incrociarsi con le specie selvatiche e non affini.

Alcuni studi confermano che l’uso dell’erbicida Roundup ha sì fatto diminuire il

quantitativo di prodotti chimici, ma si è visto che le dosi di Roundup per ettaro, necessarie

per le piante Roundup Ready (le più diffuse e prodotte da Monsanto), sono più che

raddoppiate a fronte di una diminuzione complessiva degli erbicidi intorno all’11%.

182

Altro fattore molto importante nell’analisi di lungo periodo per le biotecnologie

agricole riguarda il brevetto delle piante. La possibilità di brevettare una pianta pone

difficoltà all’accesso e al libero riutilizzo delle sementi per la semina successiva.

L’impossibilità per gli agricoltori di riutilizzare per gli anni successivi le sementi

ricavabili dal raccolto dell’anno precedente costituisce, per i Pvs, un fattore di esternalità

nell’adozione di piante transgeniche, in quanto spesso non esistono i mezzi finanziari per

il riacquisto delle sementi e non esistono, a livello nazionale ed internazionale, norme che

prevedano particolari criteri per far sì che da un lato venga tutelata la varietà protetta, e

dall’altro si favorisca l’accesso alle sementi migliori da parte dei ceti più deboli.

L’agricoltura transgenica è, nella sua struttura produttiva, molto simile

all’industria manifatturiera. Da più parti, il pericolo paventato è stato quello di una

maggior industrializzazione dei processi agricoli a scapito dei piccoli agricoltori, i quali

non godono di rendimenti di scala per via dell’estensione dei terreni posseduti.

Un’agricoltura strutturata e gestita come quella transgenica rende il lavoro agricolo ancor

meno redditizio, sempre più meccanizzato a favore di una produzione di quantità e a

scapito di una produzione di qualità, che può, soprattutto nei Pvs, essere il punto di

partenza per lo sviluppo di un’imprenditoria agricola locale basata sulla coltivazione di

specie autoctone, e non volta alla produzione di piante alloctone, destinate ai grandi

mercati internazionali e alle loro fluttuazioni, spesso non sopportabili dalle piccole

comunità del Sud del mondo.

L’agricoltura potrebbe ottenere un incremento della propria redditività attraverso

l’adozione di processi produttivi che sfruttino maggiormente i fattori interni all’azienda,

come terra, lavoro e capacità imprenditoriale, e non attraverso tecniche, come quelle

transgeniche, che basano la propria redditività su tecnologie e fattori esterni, a pagamento

sul mercato, soprattutto se il mercato è fortemente concentrato.

Le colture transgeniche pongono le basi alla completa automazione del processo

produttivo agricolo, volta alla produzione di beni alimentari sostanzialmente equivalenti a

quelli convenzionali, e nel lungo periodo tali coltivazioni sono destinate a perdere

redditività in rapporto ai beni manifatturieri acquistabili sul mercato, che hanno nel tempo

un incremento del loro valore grazie al continuo miglioramento tecnologico.

Un’agricoltura basata su tecniche labour-intensive può senz’altro rendere

l’agricoltura meno dipendente dall’industria fornitrice di inputs e tende a ridistribuire il

183

maggior reddito in favore del fattore lavoro, come conseguenza dell’aumento di

produttività, intesa sia come produttività materiale sia come produttività riconducibile

all’ingegno e alle capacità imprenditoriali.

La principale aspettativa per i prodotti Gm è di conseguire un aumento del reddito

dalla maggior resa delle coltivazioni, a parità di costi, e tale situazione nel lungo periodo è

attuabile solo attraverso rendimenti di scala, ottenibile solo per chi abbia in proprio

possesso grandi appezzamenti di terreno, e ciò è in contraddizione con le necessità degli

agricoltori del Sud del Mondo, i quali verrebbero spiazzati dai grandi latifondisti: dunque,

non sono i piccoli agricoltori i principali beneficiari degli Ogm, bensì sono i grandi

proprietari terrieri, spesso dei Psa, che possono trarre i maggiori benefici da tali

coltivazioni.

Il vantaggio prospettato per le colture geneticamente modificate, a detta dei

promotori, sarà quello di facilitare l’attività agricola riducendo al minimo le possibili

perdite di raccolto, che in alcune colture come il mais sono ciclicamente compromettenti,

rendendo più flessibile l’attività agricola.

La facilitazione nel controllo delle coltivazioni è relativa alla possibilità di ridurre

le piante infestanti con prodotti chimici non selettivi, utilizzabili per tutto l’arco temporale

della coltivazione. Tale possibilità, se da un lato fornisce una condizione ottimale di

controllo dall’altro, ha ripercussioni su più fattori:

�� L’uso di erbicidi non selettivi potrebbe, e da alcuni studi recenti è stato già

dimostrato, far aumentare il ricorso alla chimica in agricoltura, con un

impatto negativo sulla qualità del prodotto connessa ai possibili residui,

congiuntamente ad una perdita di stagionalità per i raccolti, la quale

avrebbe effetti sul livello dei prezzi, facendoli diminuire a scapito del

reddito dell’agricoltore.

�� Il maggior uso della chimica porterà ad una maggiore dipendenza

dell’attività e della produttività agricola nei confronti dell’industria

fornitrice di inputs.

�� La maggiore industrializzazione agricola riduce la possibilità di aumentare

il reddito agricolo in relazione ad un uso eccessivo di fattori esterni

all’impresa, a scapito dei fattori terra e lavoro.

184

�� Nel lungo periodo è prevedibile che la riduzione delle remunerazioni dei

fattori terra e lavoro porti ad una perdita di profittabilità dell’attività

agricola con conseguente abbandono delle terre coltivate, o potrebbe

essere plausibile il subentro delle compagnie nella gestione delle attività,

riducendo l’agricoltore ad operaio di un’agricoltura sempre più

industrializzata.

In definitiva, l’agricoltura transgenica, basata sul pacchetto tecnologico

(sementi+chimici), ha in sé le potenzialità per rendere più dipendente l‘agricoltore e

l’attività agricola nei confronti delle compagnie che controllano il mercato tramite le

risorse economico-finanziarie ed i brevetti.

V.6. Il mercato delle biotecnologie

La rivoluzione biotecnologica, avvenuta negli ultimi cinque anni, ha apportato

sconvolgimenti in tutto il sistema agro-alimentare mondiale, facendo sentire i propri

effetti sugli equilibri societari esistenti: le società si sono trovate dentro una rivoluzione

difficile da gestire ed interpretare nel suo complesso, in particolare per le piccole

compagnie sementiere nazionali.

Il valore del mercato delle sementi biotecnologiche, per l’anno 1999, è stato

calcolato attorno ai 2750-3000 milioni di dollari, +40-53% sull’anno precedente, ovvero

circa il 10% del mercato mondiale delle sementi. Le previsioni indicano che, in assenza di

problemi di accettazione da parte dell’opinione pubblica, tale stima debba essere rivista al

rialzo: infatti, si stima che il valore del mercato biotech delle sementi arrivi a 8.000

milioni di dollari nel 2005 e a 25.000 nel 2010.

Il potenziale del mercato biotecnologico, però, non può essere considerato a se

stante, in quanto le recenti operazioni finanziarie nel mercato sementiero e agro-chimico

hanno modificato tutti gli assetti societari preesistenti.

Le biotecnologie hanno cambiato profondamente la configurazione industriale del

mercato agricolo, ed hanno avviato un’integrazione tra i suoi due grandi comparti, quello

sementiero e agro-chimico, in relazione alla caratteristica del pacchetto biotecnologico,

propria del modo di coltivare Ogm.

185

Negli ultimi anni si è assistiti ad un vero e proprio riassetto societario,

caratterizzato da numerose fusioni, alleanze, collaborazioni e acquisizioni all’interno

dell’industria delle biotecnologie applicate all’agricoltura.

Il risultato principale di tali operazioni di mercato è stato quello di aver reso ancor

più concentrato il mercato, riconducibile ad un oligopolio formato da quattro grandi

compagnie (Monsanto, Syngenta, Aventis e DuPont), le quali hanno avviato una

ristrutturazione aziendale atta ad integrare al loro interno l’intera filiera agro-alimentare:

infatti, ognuna delle società comprende al suo interno i vari segmenti della filiera, dalla

ricerca ed identificazione dei geni da brevettare, alla produzione e commercializzazione di

sementi biotecnologiche con il relativo trattamento chimico che viene venduto in un unico

pacchetto.

Tale integrazione permette alle compagnie di gestire interamente, al proprio

interno, tutti gli sviluppi in campo biotecnologico, gestendo in prima persona i potenziali

rendimenti futuri in tutti i suoi comparti: attraverso una tale struttura societaria si è in

grado di gestire, direttamente, tutte le risorse produttive, evitando le lacune esistenti nelle

regolamentazioni brevettali, che costituiscono il punto fondamentale nella tutela delle loro

invenzioni85.

La ricerca delle caratteristiche genetiche desiderate e la loro gestione commerciale

diventano così risorse complementari da gestire in toto attraverso i brevetti e la protezione

intellettuale.

Tuttavia, è da considerare come il mercato biotecnologico non possa essere

misurato in termini monetari o attraverso semplici indici di concentrazione, senza tener

conto del potenziale di mercato delle aziende, così come espresso dalle stime dell’Istituto

Wood MacKenzie circa il vero potere di mercato della Monsanto.

Il problema del livello di concentrazione del mercato sementiero ed agro-chimico

necessita di essere considerato in rapporto alle relazioni esistenti tra il mercato

tradizionale e quello transgenico, circa le aziende protagoniste e la mancata segregazione

delle filiere.

Infatti, analizzando la struttura del mercato agricolo è evidente come la

ristrutturazione del mercato da un lato abbia favorito l’integrazione tra il settore

85 È nota la battaglia sulla proprietà del brevetto sulla tecnologia IR basata sulla proteina tossico-insetticida Bacillus

Thuringensis.

186

sementiero e agro-chimico, e dall’altro abbia concentrato l’intera industria nelle mani di

poche aziende multinazionali, che detengono lo stesso potere nel mercato tradizionale. La

condizione di parallelismo creata tra i due mercati pone problemi al libero sviluppo del

sistema agricolo internazionale, in quanto chi gestisce il mercato delle biotecnologie,

opera anche nel mercato tradizionale, di qui la possibilità per loro di influenzare il

mercato in direzione dei prodotti a loro più convenienti, vale a dire quelli transgenici.

Il prodotto transgenico ha caratteristiche remunerative per i produttori migliori dei

sistemi tradizionali di coltivazione, in quanto possono disporre del brevetto (espresso

tramite il technology fee), associare la semente all’erbicida, prodotti dalla stessa azienda

(doppio introito), e si garantiscono, grazie alle regolamentazioni sui brevetti, il controllo e

gestione, in regime di monopolio, delle varietà essenzialmente derivate86.

Il livello di concentrazione nel mercato agro-alimentare, transgenico e

tradizionale, l’integrazione della filiera, le regolamentazioni e la gestione dell’intero

mercato da parte delle stesse aziende, formano una tela complessa che permette alle

società produttrici un controllo completo e regolamentato.

Le regolamentazioni, dal canto loro, pongono i presupposti normativi e legali per

una strategia di mercato che favorisce alte barriere all’entrata per i possibili competitori e

pone nelle mani di poche aziende l’intero controllo della filiera, determinandone il

percorso da seguire, indipendentemente dalle necessità e dalle scelte dei fruitori, siano

essi agricoltori che consumatori.

Le regolamentazioni Upov sui ritrovati vegetali e le normative sui brevetti

sembrano unificarsi su suggerimento degli accordi Trip’s, firmati in sede WTO: tale

accordo prevede, al fine di uniformare le regolamentazioni, che i singoli Stati provvedano

a legiferare affinché brevetti e protezioni non entrino in contrasto tra loro, ma, nella

pratica corrente, tale necessità sembra stia andando a favore della costituzione di forti poli

finanziari ed economici, cui vengono riconosciuti alti poteri decisionali che vanno in

opposizione alle necessità del mondo agricolo dei Pvs, e maggiormente entrano in

contrasto con la giustificazione con cui erano state immesse sul mercato le piante Gm,

ovvero di risolvere il problema della malnutrizione e del sottosviluppo.

86 In questo modo, creata una nuova varietà è possibile gestire anche la sua evoluzione nel tempo, sempre in regime di

monopolio, poiché la proprietà brevettale è estesa anche al materiale biologico in cui viene incorporato.

187

La mancanza di concorrenzialità nel mercato, accentuata dalle normative sui

brevetti, pone problemi al libero sviluppo agricolo e alla libera scelta dei consumatori.

Attualmente non è possibile definire in modo univoco il vero potere di mercato

delle multinazionali Biotech, soprattutto in relazione alle normative vigenti che ne

accelerano la concentrazione ed il potere di influenza sui mercati.

V.7. Il sottosviluppo e le biotecnologie

Il rapporto tra sottosviluppo e biotecnologie appare la questione fondamentale

nella trattazione: comprendere quali potrebbero essere gli effetti di lungo periodo delle

biotecnologie nei Pvs rappresenta un fattore cruciale, anche e soprattutto alla luce delle

affermazioni delle compagnie promotrici, le quali indicano i Pvs come i principali

destinatari di tali nuove tecniche di coltivazione.

La struttura del mercato e le modalità di coltivazione dei prodotti transgenici è in

contraddizione con le necessità dei Pvs: infatti, un tale sviluppo è basato sulle offerte delle

compagnie in termini di sementi, erbicidi e prezzo per l’accesso, il tutto regolamentato da

apposite convenzioni.

La definizione delle colture transgeniche come la “Seconda Rivoluzione Verde”

(SRV) appare per il Terzo Mondo come un secondo spauracchio che incombe su di loro.

Una tale posizione sembrerebbe troppo pessimista, ma se veramente gli Ogm potranno

essere alla base di una SRV, ciò non appare poi così fuorviante.

Per anni i dibattiti sulla possibilità di sviluppo agricolo dei Pvs e sulla fame nel

mondo hanno acceso lunghi dibattiti sugli effetti che la Prima Rivoluzione Verde ha avuto

in tali Paesi. Secondo un rapporto Fao, di recente pubblicazione, si afferma che grazie alla

Rivoluzione Verde si è potuto incrementare la produttività agricola utilizzando sementi

ibride, durante gli anni ’60 e ’70, ma allo stesso tempo l’uso stesso di sementi ibride e il

maggior uso di pesticidi e fertilizzanti ha portato nel ventennio ‘70-’90 ad una crescita del

360% degli agenti chimici, con ripercussioni estremamente negative sull’ambiente e sulla

salute umana. Inquinamento, riduzione delle riserve idriche, esclusione dei contadini che

non potevano permettersi di comprare le sementi migliori, sono stati i principali risultati

della Rivoluzione, in concomitanza del fatto che i benefici della maggior produzione o

sono finiti per essere di esclusivo appannaggio del Nord del mondo, grazie alla riduzione

188

dei prezzi, o sono stati distribuiti essenzialmente ai grandi latifondisti locali ed alle

compagnie produttrici di inputs agricoli.

Le biotecnologie per i Pvs, qualora siano gestite in modo da avvantaggiarli e non

siano limitative nell’accesso, potrebbero certamente essere di aiuto ai Pvs, soprattutto in

relazione alle ricerche su sementi resistenti alla siccità e al caldo o freddo.

Tale possibilità, però, se mal gestita potrebbe peggiorare la situazione dei Paesi

poveri relegandoli alla sola attività agricola, causa la mancata profittabilità del settore,

limitandoli ad essere dei meri fornitori dei beni alimentari richiesti dai Paesi più ricchi.

Altro fattore d’importanza nell’esportazione di Ogm nei Pvs, attraverso i quali

avviare una fase di sviluppo, è la gestione della terra coltivabile. Infatti, in assenza di una

riforma agraria che favorisca i ceti più poveri, il rischio è che l’adozione di piante Gm sia

relativa ai grandi agricoltori, la cui finalità sarà di esportare i beni alimentari all’estero

piuttosto che indirizzarli verso i mercati locali. Ad esempio la situazione Sudamericana è

caratterizzata da grandi latifondi dove i produttori di materie prime indirizzano i prodotti

verso l’export a costi sempre più bassi, in concomitanza all’impossibilità per gli

agricoltori più poveri di attingere ai crediti e alle tecnologie, e dove i programmi di

aggiustamento strutturale riducono i sussidi all’agricoltura. Inoltre, la competizione tra

grandi latifondi e piccole proprietà appare una battaglia persa, soprattutto se i grandi

latifondisti, per aver utilizzato nuove tecnologie a loro possibili economicamente,

ricevono sussidi governativi.

L’agricoltura transgenica è indirizzata verso quei Paesi e quegli agricoltori che

hanno capacità economiche e tecnologiche tali da ottenere economie di scala, e non sono

quindi rivolte ai ceti bassi. L’agricoltura transgenica è un’agricoltura estremamente

industrializzata, dove i maggiori rendimenti, qualora possibili, sono da attribuirsi al

maggior uso di macchine agricole e agenti chimici, a scapito del fattore lavoro.

Brevetti, protezioni, meccanizzazione, monopolio degli inputs produttivi,

costituiscono un insieme di fattori limitativi per l’accesso, soprattutto per i Pvs, i quali

non dispongono di mezzi finanziari per accedere alle sementi migliori, siano esse

transgeniche o tradizionali: ciò è il punto fondamentale della trattazione. Infatti, se da un

lato le biotecnologie potrebbero essere lo strumento essenziale per lo sviluppo

dell’agricoltura dei Pvs, dall’altro non si capisce il perché l’accesso sia limitativo,

attraverso le normative e la concentrazione del mercato, soprattutto per quei Paesi che non

189

hanno le possibilità economiche per accedervi e che, a detta delle società Biotech,

dovrebbero essere i destinatari principali: tale situazione economico-legislativa appare

palesemente contraddittoria.

Le limitazioni all’accesso sono dettate essenzialmente dai brevetti e dalle

protezioni, che includono anche le varietà essenzialmente derivate, le quali tramite le

royalties ed il controllo della produzione, relativamente al controllo dei prezzi delle

sementi e degli erbicidi collegati, fanno sì che il principale destinatario della tecnologia

transgenica sia l’utile aziendale dei fornitori di inputs agricoli e non la redditività degli

agricoltori.

Uno degli ultimi rapporti OCSE sul sottosviluppo conclude affermando che dalla

Prima Rivoluzione Verde ad oggi i Paesi Meno Sviluppati (Pms) sono aumentati in

numero da 23 a 44, indicando in tal modo come l’industrializzazione agricola, connessa

alla politica delle multinazionali basata sull’uso della chimica e sullo sviluppo di varietà

vegetali destinata all’industria del Nord del Mondo, abbia apportato significativi

cambiamenti positivi solo nei Paesi destinatari dei prodotti, ovvero i Paesi a Sviluppo

Avanzato (Psa), attraverso la riduzione dei prezzi dei beni agricoli.

La mancanza di connessioni interne derivanti dallo sviluppo delle biotecnologie

agricole transgeniche, rivolte alla produzione di vegetali industriali, è di particolare

importanza: infatti, solo uno sviluppo capace di attivare investimenti interni, capace di

creare un mercato locale e di favorire la crescita di benessere e di reddito per gli abitanti

locali, può senz’altro essere considerato positivamente e sostenibile nel lungo periodo,

sostenibilità, questa, che dovrà essenzialmente fare i conti anche con l’ambiente

circostante e la sua conservazione. L’indipendenza tecnica dei Pvs nei confronti

dell’estero rappresenta una conditio sine qua non è possibile avviare un qualsivoglia

processo di sviluppo basato su crescita, non essenzialmente monetaria (l’importante è il

benessere, che non necessariamente s’identifica con la ricchezza monetaria), sostenibilità

e redistribuzione.

V.8. L’ambiente come fonte di ricchezza e di diseconomie

I dibattiti sulla protezione ambientale sono l’argomento più discusso e dibattuto

degli ultimi anni, in particolare dalla stesura degli accordi di Kyoto in tema di riduzione

dell’emissione di gas nocivi che incidono sull’effetto serra.

190

L’ambiente è certamente una delle variabili più interessanti che si sono intrecciate

con quelle economiche. La realtà dei fatti mostra come l’ambiente se da un lato è una

risorsa da gestire al meglio e capace, allo stesso tempo, di generare reddito attraverso alla

sua conservazione87, dall’altro una sua cattiva gestione pone problemi di rilevanza

economica, legati indissolubilmente alla salute umana e al normale svolgimento delle

attività quotidiane, si pensi all’inquinamento delle falde acquifere, alla salubrità dei

prodotti alimentari ed alla tutela della principale risorsa scarsa esistente, l’acqua.

L’attività agricola ben s’innesta in tale discussione, in quanto il normale

svolgimento delle attività agricole ha effetti non solo economici legati alla coltivazione,

ma esso influisce positivamente con l’ambiente circostante attraverso, ad esempio, la

tutela della biodiversità.

La gestione ottimale della variabile ambientale rappresenta il punto cruciale per

uno sviluppo sostenibile, limitando in tal modo possibili retroazioni negative connesse

all’eccessivo sfruttamento delle risorse.

Le biotecnologie così come attualmente strutturate non permettono di raggiungere

la sostenibilità economica e ambientale, in quanto ancor più legata alla chimica rispetto

alle colture tradizionali, che nel medio-lungo periodo ha sempre prodotto, congiuntamente

ad un aumento delle produzioni, inquinamento ed erosione dei suoli, con la conseguenza

di aver ridotto i terreni coltivabili.

Da un punto di vista strettamente economico, connesso all’ambiente, è da

considerare come le tecniche di ingegneria genetica applicate all’agricoltura dal punto di

vista della finalità agronomica non aggiunge nulla all’esistente: infatti, sia l’agricoltura

tradizionale che quella transgenica offrono la possibilità di ridurre le perdite agricole

attraverso la chimica, e la differenza risiede nell’uso della chimica stessa, che

nell’agricoltura Gm viene incorporata nella semente.

Le possibili reazioni ambientali nel medio periodo, legate all’eccessivo uso della

chimica, potrebbero essere legate alla comparsa di resistenza da parte delle malerbe e

degli insetti alla chimica “transgenica”, con il risultato per l’agricoltore di tornare al punto

di partenza, in una situazione, però, peggiore dal punto di vista produttivo in quanto

87 Il riferimento è legato al turismo ambientale (parchi nazionali, litorali, montagne), all’agricoltura biologica, e a tutte

quelle strutture economiche che pongono come risorsa generatrice di ricchezza l’ambiente nelle sue manifestazioni varie.

191

sarebbe necessario un nuovo agente chimico più efficace ed aggressivo, e così nel tempo

la situazione potrebbe sempre ripresentarsi.

La possibilità di resistenza ambientale si è già verificata nell’uso della colza Gm e

della soia Roundup Ready della Monsanto.

Secondo uno studio condotto dal Dr. Charles Benbrook del Northwest Science and

Environmental Policy Center, i dosaggi dell'erbicida RoundUp Monsanto, contenente

glifosato, sono aumentati nelle piantagioni di soia transgenica. Le erbacce hanno, infatti,

sviluppato la resistenza all'erbicida, costringendo gli agricoltori ad utilizzare un

quantitativo sempre maggiore di RoundUp88. Anche nel caso della colza Gm si sono

verificati problemi legati alla resistenza da parte delle malerbe riscontrata in Canada e al

suo controllo: infatti, la Colza transgenica sta diventando infestante nei campi dove non è

stata seminata. Il fatto che la colza Gm resista agli erbicidi ne rende difficoltoso il

controllo ed impone l'uso di altri prodotti chimici ancor più dannosi per la disinfestazione

e secondo alcuni studi si ritiene stia diventando impossibile un suo controllo, in quanto

uno dei veicoli di diffusione sembra essere il letame dei bestiami (i semi transitando

attraverso l'apparato digestivo degli animali, si depositano sul terreno in cui germinano) e

il carattere allogamico della pianta.

I problemi ambientali, che impongono una maggiore rigidità nella concessione dei

rilasci, sono reali in alcuni casi: tuttavia, attualmente non esiste uno studio che stabilisca

l’innocuità e la possibilità di controllo e gestione del rischio ambientale connesso.

Le stesse biotecnologie sono di per sé instabili: la sequenza genica introdotta

avviene in una posizione casuale, con la conseguente impossibilità di verificarne gli effetti

sull’intero metabolismo dell’organismo (Panfili A., 2001).

La possibile perdita di controllo delle reazioni transgeniche sono da collegarsi al

fatto che le sementi possono essere disperse nell’ambiente, andando ad attivare

derivazioni genetiche ulteriori, pari o superiori a quella della semente stessa: è possibile la

nascita di un clone di cui non si conoscono le caratteristiche genetiche e gli effetti

sull’ambiente.

88 Secondo la società produttrice del Roundup, la Monsanto, tale situazione è dovuta alla mancata commercializzazione

del nuovo diserbante Roundup Ultra, confermando indirettamente le ipotesi di molti istituti di ricerca, secondo i quali l’uso di erbicidi non selettivi a lungo termine rende necessaria la sua sostituzione con un altro erbicida più efficace ed aggressivo, causa le resistenze ambientali

192

Nel complesso gli effetti sull’ambiente e sull’uomo, congiuntamente alle capacità

di controllarli, appaiono lungi dall’essere determinate: da un lato perché le tecniche di

transgeniche sono ancor poco conosciute e dall’altro proprio perché le tecniche

transgeniche sono di per loro instabili nella struttura.

Le perplessità circa gli effetti nocivi sull’ambiente da parte degli Ogm sono in

parte giustificate dalle numerose discussioni circa le modalità di sperimentazione attuate

in USA, dove gli organi di riferimento sono per l’agricoltura e l’ambiente, l’USDA e la

FDA.

Numerosi studiosi dei due Enti statunitensi, nel 1992, sollevarono i propri dubbi

circa la possibilità di controllo e nocività, per l’ambiente e per l’uomo, derivanti dagli

Ogm. In tali rapporti si evidenziava la non stabilità degli Ogm e si sottolineava come vi

fossero profonde differenze tra la riproduzione naturale e quella transgenica, oltre ai

possibili problemi di tossicità e allergenicità, legati ad agenti sconosciuti, connesse al loro

consumo. In una tal situazione la Fda non tenne conto delle avvertenze dei propri

scienziati, affermando come le critiche venissero fatte da «impiegati» di basso profilo

professionale: i 44.000 rapporti critici, risalenti al 1992, furono occultati da parte

dall’Ente fino alla loro recente scoperta (Cardini, A., 2001).

L’evidenza empirica dei fatti mette in evidenza come sia ancora molto confusa la

stessa sfera scientifica, biotecnologi compresi, circa le potenzialità positive e negative di

un rilascio indiscriminato di Ogm nell’ambiente: ultima è stata la presa di posizione del

Premio Nobel Montalcini, il quale afferma che nel caso delle applicazioni mediche delle

tecniche transgeniche i benefici superano di gran lunga i possibili rischi, anche perché

isolati in un corpo controllabile, mentre nel caso delle applicazioni agricole afferma che la

strada è ancora molto lunga e complessa, e che attualmente i potenziali rischi, connessi

alla perdita di controllo, sono superiori agli attuali benefici.

V.9. L’accettazione del rischio

La componente di rischiosità connessa alle biotecnologie è uno dei punti

fondamentali di carattere ambientale. L’assenza di controllo del processo di transgenesi

ha effetti sulle produzioni e sulle variabili socioeconomiche connesse.

La formulazione base del rischio, in termini probabilistici, può essere riassunta

dalla funzione seguente:

193

RISCHIO=PROBABILITÀ(EVENTO) * IMPATTO(EVENTO)

La componente probabilistica, attualmente, è indeterminabile, in relazione sia

all’assenza di percezione del possibile evento nel suo complesso sia alla determinazione

quantitativa della probabilità che l’evento in considerazione si manifesti.

La componente impatto, che identifica il possibile danno, è anch’essa di difficile

determinazione, o quasi impossibile, poiché resta indeterminabile: tale indeterminabilità

deriva dal soggetto cui va attribuito il danno.

Il soggetto danno può senz’altro essere identificato nella biodiversità, vale a dire

l’insieme delle caratteristiche genetiche esistenti nei diversi organismi, i quali hanno

permesso la vita e l’evoluzione delle specie.

La biodiversità rappresenta uno dei concetti base, insieme alle caratteristiche

economiche dell’innovazione agronomica, attraverso il quale stabilire il potenziale di

rischio delle applicazioni genetiche. La biodiversità è in stretta relazione sia con i

fenomeni ambientali sia con il concetto di sostenibilità inteso in senso generale.

La valutazione del rischio è il parametro essenziale, ed attualmente assente, per

ottenere una corretta valutazione, dei pro ed dei contro, di un’innovazione, in un’ottica di

analisi costi-benefici, che, finora, è stata portata avanti in base alle argomentazioni,

fondate su dati di tipo quantitativo e qualitativo relativi ai benefici, di chi scrive.

Una tale analisi costi-benefici “virtuale” è sembrata essenziale per valutare

l’effettivo potenziale, in base ai dati disponibili, delle applicazioni transgeniche in

agricoltura.

In assenza di una misura del rischio appare giustificabile l’applicazione del

Principio di Precauzione, valido all’interno dell’UE, da utilizzare come parametro

decisionale di riferimento.

L’applicazione del Principio di Precauzione, nel caso delle biotecnologie, sembra

essere stato tralasciato: infatti, le preoccupazioni espresse da molti scienziati circa i rischi

connessi alle biotecnologie sembrano esser stati ignorati, sia dalle leggi sia dalle

autorizzazioni concesse per il loro rilascio in campo aperto, soprattutto in relazione ai

benefici ottenuti finora, che sembrano avere deluso le aspettative.

Appare indubbio costatare come particolari situazioni politiche abbiano favorito

un’accelerazione nel rilascio ambientale degli Ogm, anche alla luce dei danni certificati e

194

stabiliti. L’interesse economico che ruota attorno alle biotecnologie è ingente: ricerche,

studi, sperimentazioni, sono state il frutto di anni di lavoro e di investimenti, ma non

giustificano la semplificazione del problema e delle procedure.

Esistono, nelle normative vigenti, situazioni che chi scrive definisce anomale:

situazioni connesse sia alle normative sulle sperimentazioni, sia ai rapporti esistenti tra

produttori e legislatori e tra legislatori e consumatori.

La normativa sui brevetti permette alle società di ricerca, relativamente alla

legislazione americana, di brevettare anche le scoperte, ovvero ciò che già esiste in

natura89.

Le biotecnologie transgeniche, a detta dei produttori, sono state sviluppate per i

Pvs, ma allo stesso tempo il costo dei brevetti e la loro fruizione sembra non essere adatta

alle condizioni economiche degli stessi destinatari.

La regolamentazione europea prevede l’obbligatorietà di etichettatura per quei

prodotti che contengano una quota maggiore dell’1% di prodotti Gm o derivati: tale

regolamentazione prevede una soglia di accidentalità poiché non è possibile assicurare,

per i prodotti convenzionali, l’assenza totale di prodotti o derivati Gm, causa la mancata

segregazione delle filiere, come confermato dal Commissario Europeo David Byrne.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità alcuni prodotti non possono dare

esiti certi nell’applicazione dell’analisi PCR (principio base per la verifica della struttura

del DNA, ma non affidabile al 100%), in quanto non amplificabili: ciò pone in condizione

di non poter definire un prodotto Gm o derivato senza che ne sia stata certificata l’origine.

Nella pratica è impossibile stabile se un olio, una lecitina di soia o un amido di mais siano

di origine transgenica.

Il Principio di Sostanziale Equivalenza (PSE) prevede, per quei prodotti che hanno

caratteristiche nutrizionali simili ai corrispettivi convenzionali, la commercializzazione

come tradizionali, poiché non vi è differenza90.

89 La regolamentazione brevettale statunitense la possibilità di brevettare il processo produttivo relativo all’estrazione o

alla lavorazione di un bene naturale, o di brevettare un gene esistente in natura, purché sia modificato in parte (ad esempio il principio del Roundup Ready si basa sulla modificazione di un gene della petunia), o, in ultima istanza, di brevettare nel proprio Paese un gene o una pianta esistente in un altro.

90 Nella pratica viene definito sostanzialmente equivalente ogni prodotto il cui tratto di DNA modificato non sia rintracciabile (così come avviene nella produzione di olio di soia che perde il tratto modificato e che quindi è commercializzato come il tradizionale, a meno che non ne sia stata identificata la provenienza).

195

Il PSE appare, dunque, ingannevole per il consumatore, in quanto non definisce,

causa la non segregazione delle filiere alimentari, con certezza ciò che è tradizionale o

transgenico nel suo complesso.

In alcuni casi la sperimentazione sugli Ogm non viene effettuata: infatti, se il

prodotto è frutto dell’incrocio di due Ogm già sperimentati, e quello finale contiene solo i

due tratti originari, la sperimentazione è esclusa, senza tener conto del metabolismo

genetico.

Una considerazione particolare da considerare è il rapporto tra produttori-

ricercatori e organismi di controllo. Infatti, dall’inizio degli anni novanta ad oggi, ovvero

il periodo delle maggior sperimentazioni in USA, accanto alla ristrutturazione del mercato

agro-chimico e sementiero, legato allo sviluppo degli Ogm, è stato evidente anche un

cambiamento dell’indirizzo politico da parte delle Istituzioni statunitensi: infatti, sia nella

gestione Clinton sia nella recente gestione Bush sono stati nominati a capo dei principali

enti di controllo alimentare e agricolo, FDA e USDA, alcuni tra i dirigenti delle principali

società biotecnologiche.

Alcuni esempi sono riportati qui di seguito:

�� Tommy Thompson, ex-governatore del Wisconsin, è il nuovo Segretario della Sanità.

Come Governatore aveva contribuito, con parte dei finanziamenti forniti dalla

Monsanto, alla creazione di zone agricole Biotech per favorirne l’accettazione, ed allo

stesso tempo la società ha in parte finanziato la sua campagna elettorale.

�� Ann Veneman, il nuovo Segretario all’Agricoltura, è stata in precedenza direttrice

della società biotech Calgene, attualmente sotto il controllo della Monsanto, ed è stata

attiva nel sostenere le ditte biotech per commercializzare le sementi nei Pvs.

�� Donald Rumsfel, attuale Segretario alla Difesa, era presidente della Searle

Pharmaceutical quando venne acquisita dalla Monsanto.

�� Linda Fisher, ex dirigente Monsanto, è stata nominata a ricoprire un ruolo primario

nella gestione dell’EPA, l’ente di protezione ambientale statunitense, che dovrebbe

verificare la non nocività ambientale.

Tale elenco non intende porre alcuno sotto accusa, ma vuole essere semplicemente

una descrizione dettagliata di alcuni accadimenti avvenuti all’interno delle Istituzioni

196

statunitensi. Avvenimenti questi, che certamente, destano perplessità circa il rapporto di

collaborazione e indipendenza, allo stesso tempo, che dovrebbe esserci tra i due soggetti.

V.10. Conclusioni finali

Le biotecnologie in agricoltura rappresentano senza dubbio un’innovazione

complessa, dal potenziale non ancora determinabile, e dalla rischiosità non ancora

accertata, ma probabile e già documentata in alcuni casi.

Le prospettive future non sono determinabili in modo scientifico, poiché non

scientifiche sembrano essere alcune considerazioni, circa i costi e i benefici, soprattutto in

relazione alle modalità di regolamentazione.

Il fenomeno Biotech appare, a chi scrive, molto contraddittorio ed allo stesso

tempo pone preoccupazioni sul futuro circa gli effetti socioeconomici ed ambientali, così

come strutturate e gestite.

Tuttavia, la complessità e la scientificità del fenomeno sembra infrangersi contro

l’aspetto economico dell’innovazione.

Brevetti, protezioni, normative ambientali di rilascio e controllo, sono troppo

spesso ambigui ed antieconomici: sembra che il paradigma, autodefinitosi, dominante sia

quello del profitto ad ogni costo, e dunque non sostenibile.

La definizione normativa delle responsabilità dei possibili danni, come il recente

caso StarLink che è costato alla società Aventis 2.100 miliardi di risarcimento danni alle

vittime (agricoltori e consumatori), certamente non attenua le paure, soprattutto se il

danno fosse irreparabile.

L’innovazione biotecnologica è per i poveri, si è detto, ma le modalità di

commercializzazione non sono adatte a loro: il technology fee appare non correlato alla

necessità di ricostituire l’investimento fatto, ma sembra essere legato al normale controllo

monopolistico del prodotto o del processo produttivo.

In tale ottica quale ruolo è possibile attribuire alla natura da salvaguardare, al

consumatore da rispettare, al Sud del Mondo intento nel suo riscatto socioeconomico?

Le ambiguità normative e legislative, insieme all’assenza di una corretta

informazione, mostrano le biotecnologie ingegneristiche come un fenomeno preoccupante

nella sua complessità ed ambiguità per chi se ne voglia interessare, ed un qualcosa

197

d’incomprensibile per chi ne voglia essere informato attraverso i tradizionali mezzi di

comunicazione.

Le biotecnologie risultano, in definitiva, un fenomeno molto complesso, completo

ed ambiguo, come chi scrive le preferisce definire, difficile da sintetizzare e da

semplificare.

Il fine del lavoro è stato quello di fornire informazioni ed analisi economiche,

basate essenzialmente sul concetto di sostenibilità intesa in senso generale, ponendo come

variabili principali la conservazione dell’ambiente, la precauzione, la fiducia in una

scienza futuristica ma ragionevole, il tutto con un particolare riguardo ai fenomeni del

sottosviluppo e alla fame nel mondo, come principali destinatari di una tecnologia volta,

nella sua teoria, ad alleviare i problemi che affliggono i Paesi del Sud del Mondo.

Il fine ultimo non è quello di dare una soluzione o di condannare un’innovazione,

ma è quella di porre l’attenzione sulle necessità umane ed ambientali, sia nel Nord sia nel

Sud del Mondo, in modo tale da porre come fine ultimo delle innovazioni l’uomo,

l’ambiente e il benessere, e non il solo profitto aziendale.

Una scienza, che ponga l’uomo al centro dei suoi interventi, può senz’altro essere

quella in cui si crede e si pone fiducia nel futuro.

G l o s s a r i o

Allogamia: fecondazione tra gameti provenienti da fiori diversi della stessa pianta o tra

fiori di piante affini.

Autogamia: fecondazione tra gameti provenienti da uno stesso fiore (ermafrodito).

BT: tecnologia transgenica di resistenza agli insetti basata sulla tossina Bacillus

Thuringensis.

Pleiotropico (effetto): i molteplici effetti che un singolo gene può esercitare

sull’organismo.

EPA: Environmental Protection Agency

Fenotipo: il risultato osservabile e misurabile dell’espressione dei geni, cioè l’insieme

delle caratteristiche fisiche, biochimiche e fisiologiche di un organismo.

Genoma: l’intero patrimonio genetico di un organismo.

Genotipo: complesso dei caratteri ereditari di un individuo, che non sempre corrisponde

ai caratteri visibili, cioè al fenotipo.

Gene: l’unità genetica fondamentale, costituita da DNA e contenente un’informazione

ereditaria.

GM: Geneticamente Modificato.

HT: tecnologia transgenica basata sulla tolleranza agli erbicidi specifici.

INRA: Institut National de la Recherche Agronomique.

IR: tecnologia transgenica basata sulla resistenza agli insetti.

ISAAA: International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications.

NCFAP: National Center for Food and Agricultural Policy.

OGM: Organismo Geneticamente Modificato.

QT: tecnologia transgenica atta a modificare le caratteristiche qualitative delle piante.

RAFI: Rural Advancement Foundation International.

Technology fee: tassa tecnologica connessa alla fruizione di un ritrovato vegetale

tutelato da brevetto.

Tossina: proteina dalle proprietà tossiche.

199

Transgene: gene destinato ad essere trasferito in un organismo estraneo.

USDA: United States Department of Agriculture.

VR: tecnologia transgenica basata sulla resistenza ai virus.

B i b l i o g r a f i a

1. AA. VV. (1998), The Monsanto Files, The Ecologist Vol.28 N°5

2. AA. VV. (1999), Giornale Ufficiale della Repubblica Francese, N°13 ANNO 1999,

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Sperimentale per la Cerealicoltura Roma

3. AA. VV. (2000), Top 10 Global Seed Company, Rafi, pubblicato su internet

4. AceA (2000), Terminator: è ancora lì!, Agenzia Stampa per i Consumi Etici ed

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5. Altieri M. A. e Rosset P. (1999), Ten reason why biotechnology will not ensure

food security, protect the environment and reduce poverty in the developing world,

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6. Anonimo (1999), Contadini indiani lanciano l'operazione "Cremate Monsanto", La

Stampa 06/10/1999

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2. www.ers.usda.gov

3. www.biotechknowledge.com

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4. www.cgiar.org

5. www.colostate.edu

6. www.greenpeace.it

7. www.ers.usda.gov

8. www.fao.org

9. www.europa.eu.int

10. www.worldseed.org

11. www.isaaa.org

12. www.monsanto.it, www.monsanto.com, www.pharmacia.com

13. www.novartis.it

14. www.rafi.org

15. www.upov.org

16. www.rfb.it\csa

17. www.usda.gov

18. www.vaslombardia.org

19. www.verdiambienteesocieta.it

20. www.verdi.it

21. www.verdinrete.it

22. www.wwf.it

23. www.pan-europe.net

24. www.cidse.org