Fabio Bertini FD5

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|4| di Fabio Bertini Professore di Storia contemporanea dell’Università di Firenze Tra il liberismo e i diritti del lavoro: il coraggio della cultura Può Firenze contrapporre il suo potenziale e la sua storia ai processi del liberismo globale? Se è vero che la globalizza- zione rende impossibile capire chi dirige i processi produtti- vi, Firenze è o no in quel processo? Affermativo. Lo è per il ruolo che occupa nella cultura mondiale, per le sue eccellen- ze produttive, per una cultura del lavoro che ha un pregres- so storico impressionante. Dovremmo chiederci che quartie- re rappresenta Firenze nella città globale, un quartiere bene, una periferia disordinata, una bidonville? La risposta dipende dall’equilibrio tra sviluppo e occupazione che si realizza, ma è certo che una città così particolare è in grado di guardare al- le cose a partire dal suo background di cultura e di valore-lavo- ro. Per farlo deve saper coniugare con orgoglio risposte nuove. Essere in grado di produrre, commerciare, fare know how, è un requisito, l’altro è avere una vita economica e sociale solida e serena e questo riguarda la condizione dei lavoratori. Nien- te di male se si ingrossa l’economia del terziario, purché non si svuoti il beneficio patrimoniale degli occupati, che signifi- ca case, progetti, circolazione del denaro, capacità d’acquisto, solidità delle posizioni, in definitiva città ordinata e vivibile. Niente di male, se la capacità di produrre cultura si trasferisce in dignità dell’occupazione, e ciò richiede, prima di tutto, un

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Il contributo del prof. Fabio Bertini sul quinto numero di Firenze Dispari, "Che sinistra?"

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di Fabio Bertini

Professore di Storia contemporanea

dell’Università di Firenze

Tra il liberismo e i diritti del lavoro: il coraggio della cultura

Può Firenze contrapporre il suo potenziale e la sua storia

ai processi del liberismo globale? Se è vero che la globalizza-

zione rende impossibile capire chi dirige i processi produtti-

vi, Firenze è o no in quel processo? Affermativo. Lo è per il

ruolo che occupa nella cultura mondiale, per le sue eccellen-

ze produttive, per una cultura del lavoro che ha un pregres-

so storico impressionante. Dovremmo chiederci che quartie-

re rappresenta Firenze nella città globale, un quartiere bene,

una periferia disordinata, una bidonville? La risposta dipende

dall’equilibrio tra sviluppo e occupazione che si realizza, ma è

certo che una città così particolare è in grado di guardare al-

le cose a partire dal suo background di cultura e di valore-lavo-

ro. Per farlo deve saper coniugare con orgoglio risposte nuove.

Essere in grado di produrre, commerciare, fare know how, è

un requisito, l’altro è avere una vita economica e sociale solida

e serena e questo riguarda la condizione dei lavoratori. Nien-

te di male se si ingrossa l’economia del terziario, purché non

si svuoti il beneficio patrimoniale degli occupati, che signifi-

ca case, progetti, circolazione del denaro, capacità d’acquisto,

solidità delle posizioni, in definitiva città ordinata e vivibile.

Niente di male, se la capacità di produrre cultura si trasferisce

in dignità dell’occupazione, e ciò richiede, prima di tutto, un

tasso elevato di solidarietà consapevole e perfino “egoista”, se

chi ne ha la possibilità sa che offrire lavoro è un investimento.

Ma questa cosa è compatibile con lo spirito del liberismo che,

da sempre, si è definito con la metafora della mano invisibile?

Ed è compatibile con la deregulation che ne è stata da sempre il

braccio armato? La globalizzazione investe le città secondo co-

dici suoi, che prevedono la destrutturazione delle attività pro-

duttive, la riduzione ai minimi termini dei diritti dei lavorato-

ri, la precarietà del lavoro.

E qui sta il punto. Se c’è un problema che sovrasta gli al-

tri, è la mancanza di memoria storica che ci rende schia-

vi di concetti altrui. E non è cosa da poco perché perdere il

senso delle proprie radici significa per una città del lavoro

rendersi corresponsabile del declino della democrazia. Co-

me dimenticare che, fino dagli albori della rivoluzione in-

dustriale, tenere insieme i diritti, i doveri, i bisogni, la con-

divisione degli obbiettivi, l’importanza del “valore-lavoro”, è

stato storicamente l’indispensabile strumento di progresso e

di crescita della democrazia?

Fin dalle origini, il liberismo, in qualsiasi forma si sia

proposto, ha criminalizzato la contrattazione e il sindacali-

Dovremmo chiederci che quartiere

rappresenta Firenze nella città globale,

un quartiere bene, una periferia

disordinata, una bidonville?

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smo, tanto che, prendendo a base simbolica l’uscita del libro

di Adam Smith sulla ricchezza delle nazioni, nel 1776, ci vol-

lero diverse decine d’anni prima che l’associazione in Inghil-

terra non implicasse processi e tribunali, e ancor di più in

Francia. Il liberismo è antico e a suo modo nobile, ma i frutti

migliori sono venuti quando è stato fronteggiato da una cul-

tura sindacale adeguata a contrattare strategie e condizioni,

e comunque affrontato da un riformismo rispettoso dei di-

ritti dei lavoratori.

La caduta di valori di quella che un tempo si chiamava clas-

se operaia può anche essere ricondotta alla cosiddetta fine del

sistema di fabbrica, ma si tratta di una visione miope perché

la fabbrica ha mutato nei volumi e nello spazio. Oggi è la città

stessa ad essere fabbrica e dunque luogo di contrattazione del

processo produttivo, come città globale e come quartiere della

città globale, dove le persone vere misurano l’esistenza. Il pro-

blema è tornato ad essere riconquistare l’associazione e i di-

ritti a partire dalla città. Si tratta di sfuggire le parole d’ordine

ingannevoli, e sperimentare all’interno delle città una robusta

Che cosa può fare dunque Firenze,

quartiere pilota della città globale,

a fronte di tutto questo? Può essere

protagonista di un recupero della memoria

e di un rilancio di cultura politica

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pelle riformista – restituendo però alla parola riforma tutta la

sua sostanza progressiva e democratica, troppe volte usurpata

– misurandosi pure con le nuove forme della comunicazione,

ma tenendo insieme la gente per ricostruire la democrazia in-

torno a poche e chiare parole.

Che cosa può fare dunque Firenze, quartiere pilota della

città globale, a fronte di tutto questo? Può essere protagoni-

sta di un recupero della memoria e di un rilancio di cultura

politica. Dimostrare che, per vincere le crisi, il nodo più ve-

ro da affrontare, prima ancora di quello economico, è la sfi-

da della cultura politica e cominciare a darsi un programma

esemplare che coniughi “solidarietà egoista”, sicurezza del la-

voro, capacità di far vedere che l’intervento pubblico è il primo

e fondamentale contrasto alle sregolatezze della mano invisi-

bile. Significa, insomma, essere esempio autorevole per storia

e cultura di un fare non liberista, ma liberale con anima socia-

le e democratica.

Tra il liberismo e i diritti

del lavoro: il coraggio

della cultura