ExtraTorino 22

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La rivista di chi ama Torino

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2/3dicembre 2011 / gennaio 2012 |

Rigore ed equità

Riprendo in mano l’editoriale del Natale 2009 che concludeva “Buon 2010. Che sarà splendido. Perché dal fondo non si può che risalire (anche se, in effetti...)”. Che ingenuotto.Non farò nuovamente l’errore che feci allora, ten-tando di prevedere quel che ci riserverà l’anno ven-turo. Mai, come ora, “del doman non v’è certezza”. Piuttosto faccio mio uno dei motti di questi gior-ni: “rigore ed equità” (c’era anche la crescita, ma quella s’è un po’ persa per strada).Quest’ultimo numero del 2011 è un numero ri-goroso. Rigorosissimo. Poche palle (se non quelle di Natale degli amici Elyron), zero fronzoli, tutta sostanza. Per dire: abbiamo rispolverato una rara ed esauriente intervista che facemmo al ministro del momento, Elsa Fornero; ci facciamo spiegare l’economia e l’informazione dalla direttrice di Sky TG 24, Sarah Varetto; tentiamo di capire qualco-sa di questo Paese con Michele Serra, con Davide Mattiello, con Maddalena Rostagno. Roba tosta da mettere sotto l’albero.

editoriale | di luca iaccarino

Siamo convinti che sia giusto così: i ristoranti sa-ran pure pieni e le riviste continuino pure a mette-re in copertina le soubrette; noi preferiamo avere in prima pagina la torinese che deciderà le sorti di tutti noi e passare questa fine 2011 a capire qual-cosa del futuro, per iniziare il 2012 al meglio.

Per quel che riguarda l’ “equità” siamo imbattibi-li: questo numero ve lo regaliamo. Avete appena pagato l’IMU, per fare un pieno dovete svenarvi, avete appena saputo che dovrete lavorare un tot di anni in più prima della meritata pensione. Tra tutti questi esborsi e queste brutte notizie, noi proviamo a fare la nostra parte: vi facciamo risparmiare quattro euro e mezzo, che non saran tanti ma son due litri e mezzo di gasolio. Il tutto, senza lesinare sui contenuti.È il nostro modo di dirvi: Buon Natale.E buon 2012. Comunque vada.

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22 extratorino 22dicembRe 2011 / gennaio 2012WWW.eXTRaToRino.iT

7 extraentrée8 Cosa sarà Il meglio dei due mesi che verranno

17 extracover18 Storie di un Ministro Vi presentiamo Elsa prima di diventare il Ministro Fornero

24 Ministri sotto la Mole Francesco ProFuMo, dal Politecnico al ministero dell’Istruzione e renato Balduzzi alla Sanità

29 extrastorie30 La versione di Serra Un re della satira e la sua ricetta per la serenità

38 Sophisticated Lady TG sarah Varetto, una torinese in vetta a Sky

44 Il coraggio dell’upupa La battaglia di Maddalena rostagno

54 Non è un paese per ricci daVide Mattiello e la mossa del riccio

62 Conta le stelle, se puoi Viaggio nel lusso di duBai

66 Vacche di città La cascina FontanacerVo

70 Uno, nessuno o tutti e cento? Torna la guida gastronoMica più amata dai torinesi

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6/7dicembre 2011 / gennaio 2012 |

extraentrée“torno a casa a Piedi”. cristina donà di nuoVo a torino, sul Palco dell’hiroshiMa_p. 8

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20 GeNNaIo 2012

cristina donà HiRosHima mon amouR •L’ultima volta che l’abbiamo vista in concerto a Torino è stato quest’estate, sul palco del Traffic Festival in Piazza San Carlo, in compagnia di Francesco De Gregori e Vasco Brondi. Cristina Donà ed il suo tour Torno a casa a piedi arrivano all’Hiroshima Mon Amour di via Bossoli 83 il 20 gennaio prossimo. Sarà l’occasione per sentirla eseguire dal vivo le canzoni del nuovo album “Torno a casa a piedi”, uscito all’inizio di quest’anno, sesto lavoro in studio di una carriera iniziata nel 1997 con l’album “Tregua”. Cristina Donà è fra gli esponenti più importanti della scena indie rock italiana degli ultimi anni: raffinata e poliedrica cantautrice, può vantare prestigiose ed interessanti collaborazioni con artisti italiani e stranieri (La Crus, Afterhours, PFM, E. Wood, R. Wyatt, Davey Ray Moor, Patti Smith, per citarne alcuni). Da non perdere.www.hma.org

31 GeNNaIo 2012

lou reed & Velvet underground TeaTRo asTRa •Martedì 31 gennaio 2012 il teatro Astra di Via Rosalino Pilo 6, ospita il secondo appuntamento di ICONE – Letterature e Rock, una rassegna che prevede tre serate di reading-concerto in cui la lettura di scritti da cui alcuni tra i massimi personaggi della storia della musica hanno tratto ispirazione, sarà accompagnata dalle canzoni che ne sono scaturite. In questa serata Massimo Giovara, padrino della rassegna, e Giorgio Li Calzi (nella foto a sinistra), uno degli artisti torinesi più inclini a esplorare il terreno delle contaminazioni, ci accompagneranno alla scoperta delle influenze letterarie di Lou Reed, una delle icone rock più affascinanti degli ultimi 40 anni: da Hubert Selby jr. a Edgar Allan Poe, passando da Delmore Schwantz, professore, poeta e scrittore, vera e propria musa ispiratrice del musicista newyorkese.www.fondazionetpe.it

26 GeNNaIo 2012

the Vaselines spazio 211 •Era uno dei gruppi preferiti di Kurt Cobain, che si prodigò non poco per sostenerne la carriera musicale, arrivando a includere nell’album “Incesticide” due loro canzoni. Il successo però non arrivò ed i Vaselines, band scozzese nata nel 1986 da E. Kelly e F. McKee, si sciolse nel 1990. Nel 2006 McKee torna a suonare e produce un album solista. Durante il tour recluta il suo vecchio amico e compagno Kelly. I Vaselines sono tornati: nel 2009 la Sub Pop Records li mette sotto contratto e nel 2010 esce a distanza di 20 anni dal primo, il loro secondo album in studio Sex With An X. Il 26 gennaio, sul palco dello Spazio 211, in via Cigna 211, c’è la possibilità più unica che rara di vedere all’opera questa sfortunata quanto talentuosa band.www.vaselines.co.uk

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fondi strutturalieuropei 2007-2013

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1 dICeMbre 2011 – 26 febbraIo 2012 ToRino • museo di scienze naturaliLa location non dà adito a dubbi: Steve Jobs va ammirato come un vero e proprio fenomeno naturale. È infatti al Museo di Scienze Naturali che si inaugurerà l’1 dicembre la mostra “Steve Jobs 1955 – 2011”. Un titolo semplice, essenziale, che trasmette più di quel che si vede, proprio come le linee di design della mitica Apple. La mostra sarà uno spaccato di vita di un uomo, da ciò che lo rendeva comune a tutti (come quel garage colmo di dischi e oggetti anni ‘70 da cui iniziò), a ciò che lo ha reso unico per sempre: le sue creazioni. Con il filo comune della vita di Steve Jobs, si potrà godere di uno spettacolo di oggetti tecnologici vecchi e nuovi che hanno fatto la recentissima storia dell’uomo. Illustre ospite d’onore l’Apple - 1 che, con le giuste proporzioni, è come la numero uno di Paperon De’ Paperoni. Non solo un oggetto raro e prezioso, ma testimone esclusivo che ha trascorso un intenso pezzo di vita con il creatore della Apple.www.basic.net

tra dodo e dinosauri troneggia steve Jobs

1_Apple-1 completo di scatola, monitor e tastiera, 19762_Steve Jobs e Steve Wozniak con l’Apple-1, 19763_Pubblicità Apple II, anni Settanta4_Garage dei genitori di Steve Jobs in cui venne fondata la Apple nel 19765_Il Macintosh, la macchina perfetta. Particolari costruttivi interni, illustrazione del 1984.

6_Scatto fotografico che immortala un progettista del Lisa Apple mentre gioca con il figlio davanti alla sua macchina, 19867_La sede del Museo Regionale di Scienze Naturali a Torino (foto: Gabriele Mariotti)8_Il presidente di BasicNet Marco Boglione con l’Apple-1 n.82, che si è aggiudicato nel novembre 2010 a un’asta di Christie’s (foto: Dario Dinocca)

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daL 3 dICeMbre

nel Paese di natale govone (cn) •Govone è uno dei tanti bei borghi delle Langhe, raccolto attorno al Castello, residenza sabauda entrata a far parte del Patrimonio dell’Unesco (e location d’eccellenza per il ristorante stellato di Pier Bussetti). E per le feste, fino al 6 gennaio, si trasforma in un Magico Paese di Natale, con una serie di eventi in tema, dai più classici (la Casa di Babbo Natale animata al castello, la mostra dei presepi nella chiesa dello Spirito Santo, sbandieratori, cori e cantastorie) ai più curiosi, come i laboratori per i piccoli e soprattutto, novità di quest’anno, il Grande Mercatino del Biologico, che si declina per le strade del borgo, e offre incontri con i produttori e prodotti del territorio secondo il leit-motiv della sostenibilità, del chilometro zero e della certificazione biologica. È il primo mercatino di Natale bio d’Italia, oltre 40 chalet di legno che offrono prodotti tipici e della tradizione, rispettosi dell’ambiente, e certificati da Biolanga, e birra di alcuni birrifici emergenti da Beba a Clan!Destino? a Civale. E sono organizzate anche escursioni da Govone nel Monferrato e nel Roero. www.ilpaesedinatale.com

di Rosalba GRaGlia

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12/13dicembre 2011 / gennaio 2012 |

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più che i

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cosa sarà

1 NoVeMbre 2011 – 15 GeNNaIo 2012

luci d’artistaToRino • Come una fiaba natalizia che si ripresenta ogni anno puntuale e immancabile, tornano le Luci d’Artista a ingioiellare il centro cittadino. Diaciannove in tutto, di cui sette ancora calde perchè spente poco più di cinque mesi fa per i festeggiamenti dei 150 anni, e due nuovi acquisti, vere e proprie guest di classe: direttamente dalla Fète des Lumières di Lione arriva Flamingo, partorita dalla brillante PITAYA Design, insieme all’opera di Maurizio Agostinetto dal nome dantesco più che evocativo “E adesso usciremo a rivedere le stelle”. Completano la squadra tutte vecchie conoscenze, dai consolidati “Spiriti Blu” sul loro Monte dei Cappuccini alle costellazioni del “Planetario” in via Pietro Micca.

fINo aL 23 dICeMbre

Mercatini mon amourToRino • Piazza Borgo doraInsieme a tutte le ricorrenze e gli eventi natalizi annuali della nostra città, non poteva mancare il Mercatino di Natale in piazza Borgo Dora e dintorni allestito fino al 23 dicembre. Giunto alla nona edizione, il mercatino vede la partecipazione di 146 espositori provenienti da tutte le regioni italiane e da numerosi paesi tra cui Bulgaria, Russia, Spagna, Thailandia e Argentina, per elencarne alcuni. Oltre alla vasta scelta oggettistica proposta saranno disponibili degustazioni, prodotti e specialità tipiche dei diversi produttori enogastronomici presenti. Le camminate e le compere dei visitatori saranno accompagnate da concerti di musica classica, corale e jazz.

dICeMbre 2011

o albero bell’albero... anche in usBToRino •La serie di oggettistica completamente dedicata a Torino si veste in forma natalizia. Linea di merchandising ufficiale della città, ObjecTo offre prodotti di tutti i tipi, dalla pennetta USB a forma di torello alle borse da viaggio o da passeggio con design accattivanti e prezzi accessibili che rispecchiano perfettamente la cosiddetta art de vivre torinese. È possibile trovare tutti i prodotti della nuova linea natalizia sul sito www.objecto.it e nei punti vendita ufficiali del Punto Informativo in piazza Castello, in via Riberi angolo via Verdi e nella stazione di Porta Nuova, e se vi sentite fortunati anche nei bookshop della maggior parte dei musei cittadini.

dICeMbre 2011

Patinoire in torinoToRino • Piazza san carloQuest’anno la pista di pattinaggio temporanea è allestita nella centralissima piazza San Carlo. Si chiama “Una pista per tutti” esattamente come la pista montata in piazza Vittorio lo scorso febbraio. Anche il concetto alla base del progetto è lo stesso: prezzi modici per coinvolgere tutte le fasce cittadine e sconti per giovani, studenti, famiglie e pensionati. Inoltre dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 14 l’accesso è completamente gratuito per il “Progetto Scuola” e per tutti i visitatori dotati di pattini propri. Oltre al pattinaggio libero, sono previste esibizioni e allenamenti aperti di atleti regionali e nazionali e spettacoli di intrattenimento e di animazione. Insieme alla nuova location di piazza San Carlo, ricoridamo poi le piste torinesi ormai veterane del Palavela in via Ventimiglia 145 e del Palaghiaccio Tazzoli in via San Remo 67, e segnaliamo ancora la pista allestita nel Parco Commerciale Dora al suo terzo anno di vita nei pressi di via Livorno e la neonata Ice Town al Gru Village.

27 NoVeMbre 2011 – 15 GeNNaIo 2012

il Presepe di emanuele luzzatiToRino • Piazza castello Ideato e allestito la prima volta nel 1997 in piazza San Carlo, e dopo aver avuto diverse collocazioni in territorio nazionale, il presepe di Emanuele Luzzati giunge in piazza Castello in concomitanza con le feste natalizie e vi resterà fino al 15 gennaio 2012.La scenografia dell’eclettico artista genovese è costituita da più di 80 sagome di legno tra personaggi tipici della tradizione popolare, religiosa e fiabesca, tutte mescolate insieme a raccontare una storia spirituale e allo stesso tempo laica, carica di suggestione, attraverso lo stile unico e semplice di un grande maestro come Lele Luzzati che Torino ha amato e continua ad amare.

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extracoverla Politica è un luogo di rotondità, di sFuMature, e io sono troPPo lineare Per restarci a lungoelsa Fornero_p. 23

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alcuni mesi fa avevamo incontRato eLSa forNero nella sua casa di montaGna. ci aveva paRlato di univeRsità, di politica, di donne, di lavoRo, del poteRe, del sessantotto… ecco un RitRatto di elsa, pRima che diventasse ministRo del welfaRe

couRmayeuRluGlio 2008

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Cosìrideva

RomanovembRe 2011

di veRa scHiavazzi

FoTo dimassimo pinca

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da quando ha giurato come Mini-stro del Welfare del governo Mon-ti, il sorriso non è più la sua arma vincente. Ma la personalità resta la stessa. Ancor prima di sedersi a Palazzo Madama, ha intimidito

generazioni di allievi che non avevano studiato abbastanza, fulminato compagni di partito e av-versari che menavano il can per l’aia nella (breve) stagione del suo primo impegno politico (durante la giunta Castellani, negli anni ’90 a Torino, ndr) e fatto arrossire un giovane e rampante esponente della finanza che si era permesso di non rispon-dere a una sua domanda diretta durante un cda: «Se le chiedo una cosa, me la dica. Non mi parli di altro». Anche sotto il peso emotivo dei recenti impegni pubblici Elsa Fornero ha conservato lo sguardo vivace della ragazzina di San Carlo Cana-vese che svegliandosi alle 5.30 del mattino e col-lezionando una borsa di studio dopo l’altra faceva la pendolare con Torino per studiare da ragionie-ra prima e da economista poi: la mamma Emma era casalinga, papà Donato operaio in un deposito dell’Esercito. E anche adesso che può essere defi-nita come una delle donne più potenti d’Italia, la sua filosofia di vita è rimasta la stessa: alzarsi di buon’ora, per prendere in mano la giornata. Stu-diare, camminare per pensare meglio, staccare la spina durante le lezioni per essere chiara, fare buona figura quando la invitano a un convegno. E gettare nel cestino qualsiasi invito che preveda soltanto oratori maschi: «Non si tratta di femmi-nismo, ma di risorse: questo Paese non può più

permettersi di sprecare le idee delle donne».Cominciamo dall’inizio, da San Carlo Canavese…Papà ci caricava sulla Vespa tutte e tre, allora si poteva fare, e ci portava nella Vauda, nella bru-ghiera. Ho passato ore meravigliose a leggere aspettando che tornasse a prendermi.Poi ha fatto molta strada, quasi una parabola sulle opportunità di una ragazza dotata…Se lo Stato ti aiuta, è giusto cogliere l’occasione. Se fossi nata negli Stati Uniti, non avrei mai po-tuto permettermi gli studi che ho fatto. Invece, sapendo che avrei dovuto lavorare il prima possi-bile, ho scelto ragioneria, ed è stata la mia fortu-na. Fossi stata ricca, sarei andata al liceo classico e poi a Lettere, e ora sarei un’insegnante di scuola media, magari arrabbiata per come vanno le cose. Da ragioniera, potevo iscrivermi solo a Economia, e intanto fare qualche lavoretto: supplenze, tradu-zioni… Ho imparato l’inglese sui romanzi di Aga-tha Christie ed è stata una grande passione. Nel ’67 ho dato la maturità. Ma a Economia la conte-stazione non è mai arrivata, solo la sua eco.Allora era una studentessa modello? Solo libri ed esami?Non esageriamo. L’eco c’era, con gli amici di allo-ra, tra i quali Cesare Damiano, passavamo serate a discutere dei massimi sistemi, di come rende-re il mondo più giusto. Del ’68 ho odiato il fal-so egualitarismo, il 30 “politico” per tutti. Ma ho conservato l’idea che essere liberali non significa considerare solo l’individuo: al centro ci sono la li-bertà e la responsabilità di ciascuno, intorno i pro-blemi sociali… Sulla mia giovinezza però temo di

GeTTa NeL CeSTINo qUaLSIaSI INVITo Che Preveda soltanto oraTorI MaSChI: «NoN SI TraTTa dI feMMINISMo, Ma dI rISorSe: qUeSTo Paese non Può Più Permettersi di sPrecare le idee delle doNNe»

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«Se foSSI NaTa NeGLI STaTI UNITI, NoN avrei mai Potuto Permettermi gli studi Che ho faTTo. INVeCe, saPendo che avrei doVUTo LaVorare IL Prima PossiBile, ho SCeLTo raGIoNerIa, ed è STaTa La MIa forTUNa»

Con il marito, l’economista Mario Deaglio

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non avere rivelazioni da fare: mai messo piede in un locale per “giovani”, mai provato una droga… In compenso, ho fatto gli incontri fondamentali della mia vita.Li racconti…Onorato Castellino, il mio maestro, quello che poi mi ha indirizzata verso gli studi sulle pensioni, che a quell’epoca sembravano ben poco di moda. E Mario, naturalmente.

Mario, cioè Mario Deaglio, diventato suo marito sei mesi dopo la laurea, a sua volta economista famoso ed editorialista della “Stampa”. Per tenere distinta la sua storia professionale, Elsa Fornero si tiene alla larga dal cognome del consorte: «Quando qualcuno inizia a parlarmene male, mi tocca fer-marlo: “Prima che insisti, è mio marito…” Credo che all’inizio la mia franchezza da ragazza canave-sana lo turbasse un po’, lui ha origini borghesi e

non si capacitava che potessi invitare Mario Monti a cena in cucina o parlargli mentre giravo il risot-to. Ma per tornare al nostro incontro, lui, che era già assistente, mi tese un tranello: “Vuoi migliora-re l’inglese? Ho degli amici a Londra che possono ospitarti”. Accettai e me lo ritrovai lì. Furono mesi bellissimi, prendevamo il treno poi camminavamo nella campagna inglese fino alla stazione succes-siva. Sfinito, mi proponeva di fermarci per l’high tea, ma io accettavo solo ogni tanto. Non ho mai amato mangiare, è un mio grande limite…»Sveglia all’alba, lavoro e studio, rigore… Ma che cos’è per lei il piacere?Aiuto, questa è una domanda difficilissima… Mi faccia pensare. Ecco: sapere che ho un bel libro che mi aspetta a casa e che, dopo una giornata di lavoro, mi sono “meritata” di leggerlo…E il potere?Qualcosa che non mi interessa granché. All’Uni-

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«credo che all’inizio la mia franchezza da ragazza CaNaVeSaNa abbIa turBato un Po’ mario (deaGLIo, SUo MarITo): LUI ha orIGINI borGheSI e NoN si caPacitava che Potessi INVITare MarIo MoNTI a cena in cucina o Parlargli MeNTre GIraVo IL rISoTTo»

versità preferivo essere “autorevole” che potente. La politica è un luogo di rotondità, di sfumature, e io sono troppo lineare per restarci a lungo. Che cosa rimpiange, invece?Di non aver fatto un master negli Stati Uniti, di non aver potuto o saputo portare la mia prepara-zione scientifica, che ritengo buona, a un livello di eccellenza, di straordinarietà. Ma è andata così, giovanissima ero già sposata, ora ho due figli gran-di e tre nipotini. Sono stata molto fortunata nella vita privata. E anche in quella professionale: sento di appartenere all’Università, che nonostante tut-ti i suoi limiti è il luogo delle idee, del pensiero, del confronto. Il sistema italiano non ti chiede di impegnarti a fondo, si può fare il docente univer-sitario puntando solo sulle baronie. Ma il bello è il contrario, dare tutto anche se non è richiesto…Con queste premesse, quali sono i politici che ha ammirato in questi anni?

Mi piace Enrico Letta, è chiaro e lineare. Ho dife-so tante volte Walter Veltroni, ma mi rendo conto di non averlo mai apprezzato fino in fondo. Ho ap-prezzato Chiamparino come sindaco, perché non è stato ideologico, non mi dispiaceva Brunetta mi-nistro… Ma ormai mi sono rassegnata all’idea che la politica italiana potrà tornare a discutere sui fatti e sui risultati soltanto dopo, quando si sarà compiuto un ricambio generazionale completo.Economista, vicepresidente, docente, madre, mo-glie… Concludiamo con una frivolezza. È vanitosa?Mi piacciono gli abiti eleganti, adoro quando nei convegni internazionali mi dicono «come sei chic, che look italiano!» Vorrei invecchiare come mia madre, che diventò sempre più tollerante e capace di ascoltare i giovani. Nel frattempo, inve-sto in creme e cosmetici. Mario mi provoca, «non ti sembra immorale?» E io gli rispondo «neanche un pochino».

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francesco Profumo è nato a Savona il 3 maggio 1953. Ha studiato al Politecnico di To-

rino, dal 1978 al 1984 ha lavorato come ingegnere progettista presso l’Ansaldo di Genova, quindi, nel 1984, è entrato nel dipartimento di Ingegneria Elettrica Industriale del Politecnico torinese. Pro-fessore ordinario di Macchine ed Azio-namenti elettrici al Politecnico di Torino e professore incaricato all’Università di Bologna, è stato visiting professor all’Uni-versità del Wisconsin-Madison (Usa) nel periodo 1986-88, alla Nagasaki Univer-sity nel periodo 1996-97 e alla Czech Technical University di Praga nel 1999. Insignito di numerosi premi per la sua attività scientifica, fa parte di diversi comitati scientifici internazionali. Nel 2003 è divenuto preside della 1° Facoltà d’Ingegneria e nel 2005 ha preso le re-dini del Politecnico di Torino fino all’au-tunno 2011, quando ha lasciato il suo posto per la carica di Ministro dell’Uni-versità e della Ricerca.

Ministri sotto la Mole

con elsa foRneRo, anche la poltRona di ministRo dell’univeRsità e della RiceRca sono state asseGnate a due peRsonalità piemontesi: l’ex RettoRe Profumo e il pRof. Balduzzi

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Dall’alto in basso:Il Poli, vivaio torinese di architetti e ingegneri

Francesco Profumo tra Urbano Cairo (a sinistra) e Giovanni Cobolli Gigli(a destra)

Con l’ex Ministro dell’Università Mussi e l’ex sindaco Chiamparino

MoMenti di VitauniVersitaria

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26/27dicembre 2011 / gennaio 2012 |

Nato a Voghera ma alessandrino d’adozione – alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Uni-versità del piemonte Orientale di Alessan-

dria è stato professore di diritto costituzionale e di diritto costituzionale della salute e organizza-zione sanitaria oltre che, dal 2007, direttore del centro di eccellenza interfacoltà di servizi per il Management Sanitario – il neo ministro Balduz-zi non è del tutto nuovo alle esperienze di gover-no. Tra i più autorevoli esperti italiani di diritto costituzionale della salute e di diritto sanitario, è stato infatti consigliere giuridico dei ministri del-la Difesa dal 1989 al 1992, della Salute dal 1996 al 2000 e delle Politiche per la famiglia dal 2006 al 2008. Durante il ministero della Salute Bindi, poi, ha ricoperto anche l’incarico di capo ufficio legislativo, presiendendo anche la Commissione ministeriale per la riforma sanitaria.Sempre nell’ambito sanitario, è presidente dal 2007 dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), dal 2009 del Nucleo di valu-tazione dell’Azienda ospedaliero-universitaria Maggiore della Carità di Novara e, dal 2006, del comitato di indirizzo dell’Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. Di estrazione cattolica, da sempre impegnato nell’associazionismo – fino al 2008 è stato pre-sidente del Movimento ecclesiale di impegno culturale e direttore della rivista bimestrale del movimento, “Coscienza” – il ministro Balduzzi è sicuramente un uomo di grande cultura. È autore di oltre centodieci pubblicazioni tra monografie, saggi e trattati di diritto e, oltre a essere compo-nente del Comitato scientifico delle riviste “Qua-derni regionali”, “Amministrazione in cammi-no”, Politiche sanitarie”, “Dialoghi” e “Studium”; ha anche fondato e diretto, dal 1989 al 1992, la rivista culturale “Nuova politeia”. V.D.

nella squadRa del nuovo GoveRno, toRino può vantaRe un teRzo ministRo: renato Balduzzi , che sostituisce feRRuccio fazio alla salute.

last but not least, Balduzzi alla sanità

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extrastorie

non doBBiaMo diMostrare quale sPinta etica ci ha Portato alla Politica. Piuttosto, VogliaMo inVece essere trasParenti su chi Paga, e Perchédavide mattiello _p.54

foto di Massimo Pinca

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extrastorie

La VerSIoNe dI Serra

di luca iaccaRino

ai temPi del PoPolo di “cuore” Preferisce la Piazza italia di “vieni via con me”, ai PoPulisti

La borGheSIa, aI VeNdITorI GLI arTIGIaNI, a grillo, renzi («ma non lo caPisco Bene»): ritratto di un Punto fermo della satira

italiana diventato “Posato commentatore” Che INTraVede IL fUTUro IN UN SarTo rUMeNo

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extrastorie

Milano. Autunno. Mattina. Inizierà una bella giornata di sole, da quel che si può intravedere dietro la garza della nebbia. Duomo. Traf-fico. Tabelloni pubblicitari. Le vetrine scintillanti di

Peck. Lì dietro, la città si fa più confidenziale: case basse, vie strette, poche auto, qualche bar. Architet-tura dolce da borgo, redditi solidi da metropoli. Il posto giusto per Michele Serra, borghese popolare, giornalista slow col passo veloce d’una rubrica quo-tidiana (“L’amaca” su “La Repubblica”), intellettua-le che fa la televisione generalista (“Che tempo che fa”, “Vieni via con me”...), amante delle piccole cose e dei grandi numeri. La prima cosa che viene in mente arrivando nel bell’appartamento che abita con la moglie, la giornalista Giovanna Zucconi, è quella vecchia frase di “Caro Diario”: «voi gridava-te cose orrende e violentissime, e voi siete imbrut-titi, io gridavo cose giuste e ora sono uno splendido quarantenne». Gli anni di Serra sono 56, ma a parte questo la citazione è azzeccata. In gioventù, come direttore del settimanale satirico “Cuore”, di sfizi se n’è tolti. Giusto per citare alcuni tra i titoli più famosi: “Hanno la faccia come il culo”, “Scatta l’ora legale. Panico tra i socialisti”, “Limiti della demo-crazia: votano anche gli stronzi”, “Arriva la nuova

Fiat 500. Festa grande alla Renault”, “E se Andre-otti fosse scemo?”. Non esattamente roba in punta di penna – è la satira, bellezza – ma sempre con un piglio allegro, divertito, mai cinico. Oggi, a vent’an-ni di distanza, Serra ha ritratto gli artigli (tranne che nella “Satira preventiva” sull’ “Espresso”) e ha le unghie curate di un milanese upper-class, ma è uno splendido cinquantaseienne (occhiaie a par-te). E dà l’idea d’esser riuscito nell’impresa impos-sibile di conciliare velocità e lentezza, successo e tranquillità, share e scialo: arriva a casa dopo aver portato l’orologio a riparare (quasi una metafora) e la nostra conversazione d’un paio d’ore non verrà interrotta che da una telefonata di Antonio Alba-nese, cortesemente liquidato. Ha tempo. Non ha fretta. Scherza. Mentre la signora passa l’aspirapol-vere, il ragazzo consegna l’acqua, la lavatrice va e la moglie, di là, si prende uno Zerinol guardando la posta elettronica.Serra, è inutile girarci attorno: da Berlusconi a Mon-ti. Come dire da Sordi a Bergman.Monti-Berlusconi è una rappresentazione perfet-ta, quasi da teatrino dei pupi: populismo contro grande borghesia. Monti sono le élite che provano a dire – prima di tutto a se stesse – “esistiamo an-cora”. Il berlusconismo, come il populismo in ge-nerale, nega le élite, si risolve nel rapporto diretto tra capo e popolo. La democrazia – come diceva

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Pericle – prevede invece la selezione dei migliori. Io non voglio votare per uno come me, voglio vota-re per uno migliore di me.Magari altri vogliono votare chi gli somigli.Guardi, una delle frasi più rivelatrici di questi anni me la disse Francesco Speroni della Lega, anni fa, durante una pausa pubblicitaria dell’ “Infedele” a seguito di una discussione piuttosto accesa. Mi mise una mano sulla spalla e fece: “si ricordi, Ser-ra, io sono maleducato perché rappresento elettori maleducati. E questa è la democrazia”. Capito?Parliamo di democrazia e dei suoi limiti (mi riferisco all’antico titolo di “Cuore”).Per noi cresciuti nella sinistra italiana l’idea era chiara: la democrazia non è uno stato di fatto, è un processo, una conquista, un movimento, un bene sempre in pericolo. Credevamo nella crescita cul-turale, nell’aumento di consapevolezza, nel fatto che i padri volessero i figli più istruiti, che “anche l’operaio vuole il figlio dottore” (come fa dire Paolo Pietrangeli al borghese scandalizzato nella canzo-ne “Contessa”). Eravamo ottimisti. Già Pasolini – più che profetico – ci metteva in crisi quando avvertiva: attenti, guardate che c’è lo sviluppo ma non il progresso.Beh, questo processo s’è interrotto. A un certo punto è iniziata una degenerazione: la cultura non serve a niente, servono i soldi, serve consumare.

TorINo è UN baLUardo, SoNo feLICe Che CI SIa, Che CI SIaNo STaTI bobbIo e GaLaNTe GarroNe

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Immagino faccia coincidere questo periodo con l’era Berlusconi.Per me l’altra frase clou di questi anni è quella che Berlusconi disse a una convention: «ricordatevi che il pubblico ragiona come un bambino di otto anni». Ecco, è una sorta di puerilità, di paese dei balocchi. E il paese dei balocchi è bello, incanta. Berlusconi ha fatto degli italiani un pubblico di bambini di otto anni perché lui stesso è un bam-bino, solo un bambino può dire “sono il più bravo degli ultimi centocinquant’anni”. Il mio vero ram-marico è stato non riuscire a far capire che Berlu-sconi non è, non è stato un problema politico, ma più profondo. Parla del paese dei balocchi, mi viene in mente Gril-lo. Che pensa del suo percorso?Non bene. Prima di tutto, però, voglio eliminare l’equivoco: Grillo non è antipolitica, è politica, an-che se radicale. Mette insieme le persone, si pre-senta alle elezioni: più di così. Ma ciò che non sopporto è la sua visione del mondo, il pensare che tutti vogliano fregarti, il vedere nelle persone solo e soltanto il lato meschino, interessato, negativo. Questa raffigurazione della realtà, innanzitutto, è sbagliata. E poi io preferisco piuttosto l’ingenuità che questa diffidenza esistenziale.Basta passato, guardiamo al futuro. Da cosa può ripartire questo Paese?

Al primo posto metto una questione di stile che è sostanza: recuperare sobrietà e rigore. Mi ricor-do mio padre che mi diceva “non vantarti, solo gli sciocchi si vantano”. Ecco, vale più questo che l’in-tero Capitale di Marx. Da questo punto di vista le élite sono meglio: certo, sono anziane e non hanno niente particolare di nuovo da dire, ma rispetto agli ultimi trent’anni è come se arrivasse il Setti-mo Cavalleggeri.Modi a parte?I talenti. La valorizzazione dei migliori. La costru-zione di una classe dirigente. Io credo che questo Paese debba ripartire da quello che ha, dai propri saperi: è incredibile le cose che l’Italia ha ordinato, codificato, riordinato, inventato. Quella è la nostra capacità. Ma sta andando completamente perdu-ta: i ragazzi italiani piuttosto che fare i falegnami vanno a vendere polizze e guadagnano un terzo. Eppure gli incontri più interessanti degli ultimi tempi sono stati con artigiani: l’accordatore che è venuto a mettermi a posto il piano, un cornicia-io trentenne fantastico, che gira il mondo, fa un lavoro bellissimo, guadagna un sacco di soldi, si può persino permettere di far fattura... Sono cose mi danno il senso del futuro, come un albero che cresce. Questo Paese dovrebbe pullulare di queste immagini, di queste scintille.Insomma, gli artigiani.

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Anche Michelangelo era un artigiano, contempo-raneamente un genio e un operaio. Per un libro sui ragazzi, e sull’inadeguatezza dei padri che sto scrivendo – una cosa dura, libera, crudele e molto divertente, spero – sto incontrando delle persone. Ed è splendido e devastante. Un incontro: un mae-stro vetraio di Murano, un omone enorme con un nome emblematico, tipo Spaccapietre. Vetraio a Murano: un’eccellenza assoluta. Beh, chiede ai ra-gazzi del paese di andare a bottega e quelli rispon-dono: e quanto si guadagna? Ottusi loro, ottusi i genitori. Ora ha tutti apprendisti stranieri. Oppu-re: anziano sarto di Castagneto Carducci famoso in Europa per i suoi vestiti da caccia. In paese non trova nessuno a raccogliere l’eredità. Quindi arri-va un lavorante rumeno, si trovano bene, quello fa venire dalla Romania tutta la famiglia, il sarto li adotta in blocco e ora se ne sta seduto in fronte alla bottega, felice, fa il nonno e vede la sartoria andare avanti verso il futuro. Mi chiedo: ma gli abitanti di Castagneto Carducci sono tutti scemi? Ci vuole generosità, ci vuole ingenuità! Dobbiamo riappae-sarci, recuperare quello che abbiamo, riscoprire il talento, il lavoro, la fatica.Una strategia alla Carlin Petrini.Carlo è un grandissimo amico, ha addirittura ce-lebrato il mio matrimonio; una volta che è venuto a trovarmi gli ho fatto un ragù a chilometri zeris-

Io LI odIo, I dIaLeTTI, LI abbaTTereI CoL CarrarMaTo. SoNo il sintomo di un Paese IMMobILe, VeCChIo, Che ha Paura, che si difende, Che SI CoNSeGNa a GeNTe CoMe boSSI, IMbroGLIoNI di Paese, falsi medici, CaNTaNTI faLLITI

Un momento di “Che tempo che fa”, di cui Serra è autore

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simo, con mucca, verdure e pomodoro dell’orto e del contadino vicino di casa. È bravissimo a non prestare il fianco all’accusa d’essere un reaziona-rio, come Bové, ma cammina su un confine de-licato, le radici devono convivere – come a Terra Madre – con il computer, con l’inglese. L’identità non deve diventare una zavorra, come accade nei dialetti. Io li odio, i dialetti, li abbatterei col car-rarmato. Sono il sintomo di un Paese immobile, vecchio, che ha paura, che si difende, che si conse-gna a gente come Bossi, imbroglioni di paese, falsi medici, cantanti falliti.Parla di meritocrazia e di sinistra e viene in mente Renzi. Che ne pensa?Non l’ho capito bene, anche se sospetto che abbia ragione su alcune cose: che c’è una pigrizia dei garantiti, che la sinistra si sia seduta su alcune conquiste di trenta, quarant’anni fa e vi sia rima-sta ingabbiata. Ma non capisco la società che ha in mente, che valore dà al lavoro, che rapporto stabili-sce tra i vincenti e i perdenti. È vero che la sinistra non deve mortificare i più bravi, ma deve occu-parsi anche dei meno bravi. Pur arrivando dalla straordinaria esperienza del cattolicesimo liberale fiorentino di Ernesto Balducci, Renzi parla un po’ troppo dei primi per i miei gusti. Lavoro, sinistra, cattolicesimo, rapporto tra bravi e meno bravi: non si può che invocare il sindacato.

Il sindacato è in difficoltà e in ritardo: quant’è che diciamo che deve occuparsi dei precari? Quindici anni? Il fatto è che è finita la centralità della fabbri-ca – lo diceva già Lerner in “Operai” dell’87 – e il sindacato è spiazzato: gli operai sapevi dove trovar-li, i precari valli a prendere...Chi dice fabbrica, dice Fiat. Due cose su Mar-chionne...All’inizio era una bella novità in un Paese paluda-to come il nostro. Poi non ho ben capito. Ma per me il mistero restano gli Agnelli: al di là di Lapo – che per chi fa satira è un personaggio strepito-so – gli altri cosa sono? Sono ancora una famiglia italiana? Da come parlano, non si direbbe: è ovvio, sono due giorni in Svizzera, tre in America, sono globalizzati. Ho il sospetto che questa generazione della famiglia non sappia cosa vuol dire “fabbrica italiana”. Per fortuna Torino si è mossa in tempo e ha trovato altri contenuti che le permettessero di non finire come Detroit.Parliamo di Torino.Torino è un baluardo, e lo ha dimostrato in que-sto centocinquantenario. La capitale dello spirito democratico, azionista e unitario del Paese. Sono felice che ci sia, che ci siano stati Bobbio e Galante Garrone. Non ho mai visto tanti tricolori come a Torino e nessuno ha mai colto ogni singola sfu-matura dell’ésprit de geometrie della satira come il

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pubblico del Regio durante Biennale Democrazia. È una città rigorosa, gentile e pure falsa ma nel senso positivo di educata; ed esprime gente solida, priva di retorica come Chiamparino. Persino Cota, rispetto al resto dei leghisti, sembra quasi una per-sona normale.Chiudiamo un cerchio: negli anni abbiamo intervi-stato Littizzetto, Fazio, Gramellini, Mercalli. Lei è praticamente l’ultimo che ci mancava di “Che tem-po che fa”. Fare una trasmissione da grandi ascolti è una buona risposta a chi le dà dello snob...È una critica che non capisco, anche perché ma-gari arriva da chi scrive sul “Foglio” che vende un centesimo delle copie di “Repubblica”. Parlare a tanti mi piace, è la sfida. Con gli ascolti di “Vieni via con me” ho vibrato d’adrenalina: ma non per orgoglio, per il risultato ottenuto. Oggi come oggi preferisco buttarmi nella piazza della tv ai tempi di “Cuore”, che era sì un bel popolo ma era molto autoriferito. La mia idea di televisione è semplice e spesso vituperata, di questi tempi: deve essere pedagogica. Oggi “pedagogico” pare un insulto, un’accusa d’esser tromboni. Invece i momenti più fondamentali della mia vita sono stati quelli pe-dagogici, in cui mi è stato insegnato qualcosa. Io guardo solo cose che mi insegnino qualcosa, se no che mi frega? Altrimenti la televisione è solo vase-lina in cui mettere i messaggi pubblicitari.

abbIaMo UN TaLeNTo incrediBile Per L’arTIGIaNaTo, Ma I NoSTrI ragazzi Preferiscono vendere Polizze e guadagnare un terzo. doBBiamo riaPPaesarci, recuPerare quello che aBBiamo, riscoPrire IL TaLeNTo, IL LaVoro, La faTICa

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è il satellite, bellezza!24 oRe su 24 a diRiGeRe la testata all news di sky: è la nuova vita della toRinese Sarah VareTTo , cResciuta a GRp e GuaRdando “mixeR” di minoli. RitRatto di una diRettRice in pRima linea

di maRco bobbio

FoTo courtesy sky iTalia

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dare tutte le notizie, e darle per primi. Non male come impegno. E pure Sa-rah Varetto, torinese, 39 anni, lo ha scelto come obiettivo di lavoro quoti-diano nel momento in cui ha accettato

l’incarico di direttore della testata Sky Tg 24. Già, perchè i ritmi di un canale all news in onda venti-quattro ore su ventiquattro non consentono sconti e la concorrenza, in un’epoca dominata da internet e dalla comunicazione globale, è più che mai fitta. Sarah Varetto però non è certo spaventata, anzi. Dopo aver iniziato nel 1992 come redattrice e conduttrice all’emittente regionale Grp, Sarah ha spiccato nel 1998 il salto verso il grande pubblico, con il programma “Italia Maastricht” in onda su RaiTre. Dopodichè nel 2000 ha fondato e diretto il portale miaeconomia.com, che comprendeva un sito internet, un programma televisivo e progetti di comunicazione in campo economico finanzia-rio per aziende e istituzioni. Nel 2003, dopo altre esperienze alla Rai e su La7, si è imbarcata nell’av-ventura di Sky, diventando responsabile della re-dazione economica e poi, da giugno di quest’anno, subentrando a Emilio Carelli alla guida del canale. Una gavetta abbastanza lunga e articolata da ren-derla consapevole della difficoltà e delle opportu-nità del suo nuovo ruolo. «Ho cominciato a lavorare nelle tv locali che non avevo ancora vent’anni e quell’esperienza è stata fondamentale: ho imparato tantissimo, non solo perché mi occupavo di diversi settori e argomenti, ma anche perché ho dovuto capire come funziona-no diversi ambiti della professione, dalla tecnica al linguaggio, dall’utilizzo delle grafiche ai tempi della messa in onda». Che novità ha rappresentato, nel panorama dell’in-formazione italiana, la nascita di SkyTg24?«Quando abbiamo debutto nel 2003, siamo stati i primi in Italia a importare la logica dei canali all news, che all’estero esistevano già da anni. Siamo nati con l’ambizione, e l’abbiamo ancora, di dare tutte le notizie e di darle per primi, di essere sem-pre in diretta e presenti nei luoghi caldi, al centro degli avvenimenti». Quali sono i vostri modelli di riferimento?«Quando si tratta di esteri siamo molto attenti alle emittenti che esistono nel resto del mondo. Ad esempio, per raccontare le rivoluzioni in Egitto,

Tunisia, Libia abbiamo seguito Al Jazeera e Al Ara-biya, non solo nella versione in inglese ma anche in lingua araba: quei canali sono stati strumenti formidabili per veicolare e diffondere quegli avve-nimenti, hanno parlato e hanno fornito informa-zioni fondamentali alle stesse popolazioni coinvol-te. Erano, oltre che mass media, anche attori del cambiamento. E per chi come noi voleva raccon-tare quegli eventi minuto per minuto sono state ottime fonti. Un altro riferimento è SkyNews, del nostro gruppo, che svolge un eccellente lavoro an-che sotto il profilo tecnologico. Oggi, per catturare nuove fasce di pubblico, è necessario essere pre-senti su diverse piattaforme, da internet a twitter a facebook, bisogna stare al passo con l’evoluzio-ne dei supporti e dei sistemi di distribuzione: per questo abbiamo un canale su iPad e smartphone. La gente non aspetta che le notizie arrivino dalla televisione, se le va a cercare». Intanto però internet sta diffondendo l’abitudine a considerare l’informazione un bene disponibile gra-tuitamente, e questo può essere un problema per chi il giornalista lo fa di mestiere...«Certo, sul web gran parte dei contenuti sono ac-cessibili gratuitamente ma si stanno imponendo dei modelli che prevedono forme di pagamento. Ad esempio, per ricevere le notizie su smartphone e tablet spesso servono abbonamenti e sottoscri-zioni. L’importante è essere presenti e giocare un ruolo da protagonista su queste nuove piattafor-me; poi bisogna trovare modelli di business che siano appropriati alle nuove abitudini di fruizione e di richiesta di informazione. Per quanto riguar-da la professione, sono convinta che la sfida sia la multimedialità, cioè riuscire a costruire, a partire da uno stesso avvenimento, contenuti adatti ai dif-ferenti media, dalla televisione a twitter, dai gior-nali ai telefonini». Che impronta intende dare al suo canale?«Per ora abbiamo lavorato per rispettare la nostra vocazione principale, che è quella di essere impar-ziali, di non nascondere nulla. Ora vorrei andare oltre per cercare di offrire più approfondimento e più opinioni». Che ruolo ha giocato l’informazione nel successo di Sky?«Le ragioni per cui ci si abbona sono in primo luo-go lo sport, il cinema, l’intrattenimento. I canali

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oggi Per catturare nuove fasce di PuBBlico è NeCeSSarIo eSSere Presenti su diverse Piattaforme, da internet a TwITTer a faCebook: Per questo aBBiamo un canale su iPad e smartPhone. la gente non asPetta che le notizie arrivino dalla TeLeVISIoNe, Se Le Va a CerCare

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di informazione, in questo quadro, diventano un corredo importante, un arricchimento».Esiste una maggiore libertà di informazione su Sky rispetto agli altri gruppi?«Posso parlare solo per la mia testata e noi abbia-mo la fortuna di avere un editore puro che ci lascia una totale libertà rispetto alle scelte informative. Ma questo devono essere i telespettatori a dirlo».E quali sono le sue fonti di informazione? Qual è il primo strumento che consulta quando si sveglia? «Prima di tutto guardo il telegiornale del mattino di SkyTg24, poi assolutamente internet, i siti del-le grandi testate. Dopo di che non trascuro nulla, leggo i giornali, ascolto la radio, guardo gli altri canali televisivi: in un mestiere come il mio devi essere per forza inserito costantemente nel flusso di informazioni». In questo flusso, esiste ancora un ruolo specifico della carta stampata?«Secondo me il giornale cartaceo mantiene una funzione di guida per quanto riguarda i commen-ti e l’interpretazione degli eventi. I giornali hanno un’autorevolezza che ancora alla televisione man-ca. È innegabile che le tv raggiungano una fetta di popolazione più ampia, però i giornali sono letti da un pubblico qualificato, di addetti ai lavo-ri. Nel nostro caso ci viene raccontato spesso che SkyTg24 è acceso tutto il giorno nelle redazioni dei giornali».In che modo si è avvicinata alla televisione? Quali sono stati i programmi che l’hanno influenzata? «Sono cresciuta guardando i programmi di Gio-vanni Minoli, anche lui originario di Torino: i primi Mixer hanno rivoluzionato il modo di con-cepire l’approfondimento in tv, hanno inventato un genere. Sono state quelle trasmissioni a con-quistarmi e a indirizzarmi verso la professione giornalistica». Secondo lei, esiste una “torinesità” nel modo di fare informazione, nei valori di riferimento?«Assolutamente sì. Quello torinese è un contesto culturale forte: chi cresce e si forma in questa cit-tà si porta dietro per tutta la vita una sorta di dna, uno stile che è difficile da cancellare. E la caratte-ristica principale credo sia una cifra di sobrietà, di equilibrio, di etica nel trattare le notizie e di rivolgersi al pubblico».

sky ha Portato in italia il Primo canale “all news” nel 2003, e abbIaMo aNCora l’amBizione di dare tutte le notizie e di darle Per Primi

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Una ricorda l’altro in un modo disar-mante, come se la virilità dei tratti si fosse sciolta nella delicatezza dei lineamenti femminili: ma quando guardi una, vedi (anche) l’altro. Suc-

cede, tra padre e figlia, e nel caso di Maddalena e Mauro Rostagno la più bella definizione resta quella di Adriano Sofri: «lei gli assomiglia come un ramo sottile al tronco». Nel libro che Maddalena ha scritto con Andrea Gentile, Il suono di una sola mano, uscito a settem-bre per il Saggiatore, emerge un Mauro Rostagno combattivo, determinato ma anche allegro, sem-pre con la musica in testa, un padre che gioca e che abbraccia; un uomo inquieto dalle molte vite, che all’improvviso cambiava come si cambia un cappello, ma che non è mai arretrato davanti ai potenti e agli ingiusti. Mauro ha il coraggio e la sfrontatezza di andare per la sua strada e di ri-cominciare sempre: come l’upupa si ribella ai li-miti e va contro natura, supplisce col talento alla mancanza di mezzi. Così si scopre giornalista per caso, quando arriva in una televisione locale di Trapani per aiutare gli ex tossicodipendenti della

Il coraggio dell’upupa

a 15 anni ha peRso il padRe GioRnalista in un delitto di mafia. oGGi MaddaLeNa roSTaGNo è toRnata a viveRe a toRino con la madRe chicca e il fiGlio, ma combatte a tRapani, dopo ventitRe anni, la battaGlia leGale contRo i killeR del padRe

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Mario Rostagno con la figlia Maddalena, a Trapani

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comunità Saman; ed è subito un giornalista ec-cezionale – andrà in onda soltanto per due anni, ma gli basteranno per denunciare mafiosi e in-tercettare traffici internazionali di armi – perché per comunicare sa usare le parole che servono ma anche il corpo, la risata, lo sberleffo. Come la vol-ta in cui riprende una tavolata di democristiani che si abbuffano, o quando risponde a una pro-vocazione (mafiosa) facendo il consueto editoriale mentre zappa fuori dallo studio televisivo. Mauro, nel racconto di Maddalena, raggiunge i lettori con il suo cuore pensante, come un tempo toccava chi aveva intorno. Enrico Deaglio ricorda che nel ’68 le ragazze andavano a Trento soltanto per cono-scerlo; ed era così bello e carismatico che c’era chi fingeva d’essere lui per rubare le briciole del suo successo. Da Macondo all’ashram di Pune, in In-dia, fino al baglio di Lenzi e all’ultima battaglia siciliana ritroviamo intatte la sua schiettezza, la libertà, l’essere davvero fuori da ogni schema, sempre un passo avanti. Ma quello di Maddalena è anche un ritratto di fa-miglia, una storia d’amore a tre – lei, sua madre Chicca e Mauro – che non si interrompe mai, ne-anche nello strappo violento della morte. Perché Mauro Rostagno è stato ammazzato a 46 anni sul-la strada di casa. Il 2 febbraio scorso si è finalmen-

te riaperto il processo per il suo omicidio, a un pelo dall’archiviazione definitiva, grazie all’osti-nazione del pm Antonio Ingroia e al lavoro degli agenti della Squadra Mobile di Trapani, guidati da Giuseppe Linares, che hanno trovato la prova che mancava, un segno sui bossoli rinvenuti nei delitti di mafia. Così il boss Vincenzo Virga (pre-sunto mandante) e il sicario Vito Mazzara (pre-sunto esecutore materiale) sono finiti alla sbarra dopo anni di “schifezze”, come le definisce Mad-dalena: depistaggi, negligenze e omissioni, fino allo scandalo giudiziario che nel ’96 ha portato all’arresto di Chicca Roveri – poi subito scarcerata – con l’accusa di aver organizzato lei stessa l’omi-cidio di Mauro. Dopo 23 anni di attesa, quando ormai familiari e amici non ci speravano più, per la prima volta è invece proprio la mafia sul ban-co degli imputati: «già soltanto stare in aula è un grande regalo – commenta oggi Maddalena – e il libro serve a questo, a far sapere che si è riaperto il processo».Che riscontri hai avuto dopo la pubblicazione?La risposta sui giornali è stata bassissima, come mi aspettavo. Ho fatto interviste con giornali lo-cali e online, ma di grandi uscite ne ho avute solo due, “Vanity Fair” e “Il Venerdì di Repubblica”. In qualche modo lo capisco, se penso che Mauro, pur

tutte le situazioni su cui mio Padre stava LaVoraNdo SoNo aNCora aTTUaLI, daL TraffICo d’arMI aI rIfIUTI dI SCorIe radIoaTTIVe

La redazionedi RTC, Radio Tele Cine

La copertina del libro di Maddalena Rostagno e Andrea GentileIl suono di una sola manoIl Saggiatore,pp. 288, euro 15

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essendo appartenuto a tanti gruppi, era un gio-catore libero, non faceva parte di nessuna cricca. Ricevo però messaggi da tanti ragazzi su facebook e questo è molto incoraggiante, perché quando mi scrivono vecchi amici di Mauro provo una tene-rezza immensa ma un po’ lo do per scontato per-ché chi l’ha conosciuto non può che volergli bene, soprattutto se allora l’aveva criticato. Mi pare che la sua vita parli da sola. Come sta andando il processo?Siamo ancora agli inizi, ma per ora posso dire che c’è chi ha finalmente testimoniato del meto-do con cui Mauro lavorava: in questi anni, infatti, sono stati in molti a denigrare quello che lui aveva fatto, ignorando la sua battaglia culturale. Poi è significativo che un carabiniere venga risentito perché ogni volta si dimentica qualcosa o ci sono incongruenze nelle sue dichiarazioni. Parlo di Beniamino Cannas, che all’epoca indicò subito la pista interna; uno che in questi anni ha sempre detto, anche in udienza, che nell’immediato non fece la perquisizione in camera di Mauro e invece – come testimonia anche mia zia – mentre mia madre era trattenuta in caserma, è andato nella stanza di mio padre a Saman. Di questa perqui-sizione c’è soltanto un verbale parziale e diverse cose di Mauro sono sparite nelle ore successive

alla sua morte. Anche il video sui traffici all’aeroporto di Kinisia?Esisteva una cassetta audio con su scritto “non toccare”, che Mauro teneva sulla sua scrivania e che il mattino dopo la sua morte era sparita. E poi, appunto, ci sono alcune testimonianze che par-lano di queste cassette video, che però io non ho mai visto. Resta il fatto che quando ci furono delle indagini sulle piste nei dintorni di Trapani, l’Aero-nautica militare all’inizio negò e poi fu in qualche modo costretta ad ammettere che in quella zona e in quel periodo si erano effettivamente tenute delle esercitazioni militari. Quindi, che ci fosse o no la cassetta, qualcosa a Kinisia è successo.Rostagno incontrò davvero Falcone per raccontar-gli quello che aveva visto?L’incontro con Falcone ci fu perché delle persone che facevano da scorta al giudice hanno ricono-sciuto le foto di Mauro e di una persona che lo accompagnava. I carabinieri però non hanno rite-nuto opportuno verificare l’informazione quando il giudice era ancora in vita. Il fatto che nel pro-cesso stanno già venendo fuori alcune di queste leggerezze commesse dai carabinieri è molto im-portante.Emergono molte contraddizioni?Tutte le persone che sono state sentite in questi

chiddu ca varva la sToRia di un RivoluzionaRio cHe seRvì lo sTaTo

è sera, un giornalista raggiunge senza farsi notare l’aeroporto abbandonato di Kinisia, poco distante da Trapani. Vede un

aereo atterrare e poco dopo, uomini col passamontagna che scaricano casse piene di kalashnikov: armi destinate alla guerra in Somalia – si dirà – in cambio di un posto dove smaltire rifiuti tossici. Dietro questa operazione in terra di mafia c’è Gladio. È il 1988: qualcuno dice che Mauro Rostagno ha filmato e farà in tempo a raccontare tutto a Giovanni Falcone, che ben conosceva la capacità delle cosche di relazionarsi con pezzi ‘deviati’ dello Stato. Che sia successo davvero o no, l’episodio testimonia bene della capacità che Rostagno aveva di scoprire, capire, mettere insieme personaggi e fatti di una Trapani corrotta e collusa, tutt’altro che indenne dai traffici di Cosa Nostra. A Mauro appare subito evidente che quella trapanese non è una ‘mafietta’, ma una rete forte, che si alimenta grazie

al commercio della droga e si muove al riparo delle istituzioni. Relazioni pericolose, che Rostagno non esita a scoperchiare nel suo programma a RTC, una piccola rete televisiva locale. “Affermavamo il diritto di vivere senza nessuna limitazione”: nella sua vita, Mauro Rostagno ha fatto molte cose. Nel ’68 è uno dei leader del movimento studentesco all’Università di Sociologia di Trento; amico di Renato Curcio, fa parte di Lotta Continua ma ne esce prima della deriva armata. Nei primi anni Settanta è con la compagna Chicca Roveri a Palermo, dove insegna Sociologia alla facoltà di Architettura e dove nasce Maddalena; poi si trasferisce a Milano, dove nel ‘77 fonda il circolo Macondo; due anni dopo diventa arancione e con la famiglia va in India a vivere nell’ashram di Bhagwan Rajneesh, dove cambierà nome, diventando Sanatano, “Eterna beatitudine”. Qualche anno dopo, il ritorno in Sicilia, questa volta

a Lenzi di Valderice, vicino a Trapani, dove insieme a Francesco Cardella costituisce una comunità di arancioni, Saman. “Sono stato spesso infedele alle mie idee, per fortuna, e coerente con me stesso”, dirà in un’intervista dell’88. Nell’84 Saman diventa una comunità terapeutica per il recupero dei tossicodipendenti: un centro aperto, senza regole costrittive, basato sulle tecniche di meditazione indiana. È per aiutare i ragazzi a uscire dalla droga che comincia a fare il giornalista; dovrebbe parlare solo di tossicodipendenza e invece si occupa di pubblica amministrazione, di rifiuti, di delitti: il rivoluzionario che vent’anni prima lottava per cambiare lo Stato, ora, in Sicilia, pensa che la rivoluzione sia farlo funzionare. Per la sua determinazione a chiamare le cose col loro nome, Mauro Rostagno, chiddu ca varva, uomo “troppo libero”, sarà ucciso dalla mafia il 26 settembre 1988. Il processo per la sua morte si è aperto a Trapani il 2 febbraio 2011.

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extrastorie

anni stanno facendo la loro deposizione e io, dopo aver letto i verbali, ti posso dire che a oggi l’unica persona che ha sempre confermato le sue dichia-razioni è mia madre; e non parlo solo degli inqui-renti, ma anche dei collaboratori, dei familiari… le carte canteranno. Dal confronto si scoprirà che di coerenza ce n’è stata molto poca da parte di tutti.Perché questo depistaggio? Rostagno dà ancora fastidio?Tutte le situazioni su cui mio padre stava lavoran-do sono ancora attuali, dal traffico d’armi ai rifiuti di scorie radioattive. E chi c’era allora nelle stanze del potere c’è ancora adesso. Poi chi voleva colpirlo aveva più “materiale”, perché di Peppino Impasta-to potevi al massimo dire che era un depresso, di Pippo Fava che era un femminaro, ma di Mauro si poteva insinuare che era un brigatista, che era un drogato… andava in giro col vestito rosso e coi capelli lunghi e questa sua libertà ha offerto una sponda al malcostume”.Sia Peppino Impastato che Mauro Rostagno face-vano comunicazione irridendo i potenti…Nel libro non sono riuscita a evidenziare quanto mio padre fosse una persona colta e preparata: si documentava moltissimo su tutto quello in cui si impegnava e poi, però, usava un linguaggio estre-mamente semplice. Sapeva mettersi allo stesso li-vello della gente comune, facendosi capire dal ra-gazzo come dalla signora ottantenne, in un modo che a Trapani ha funzionato; e Trapani non avrà mai più un altro Mauro Rostagno.Ti aspettavi di più dalla città?Non posso dimenticare che nel ’96, quando fu fatta questa operazione atroce di accusare mia madre, Trapani – una città che sa, che ce l’ha nel sangue che Mauro è stato ucciso dalla mafia – non ha reagito. E dopo, certo, c’è stata l’importan-te raccolta di firme nel 2007 per la riapertura del processo, grazie all’associazione “Ciao Mauro” (diecimila in meno di un anno, ndr). Io penso che bisogna sempre ringraziare per quello che arri-va e non piangersi addosso per quello che non hai avuto: oggi però la città non sta partecipan-do molto al processo. Quando, durante le pause, usciamo dalle udienze per andare alla panelleria davanti al tribunale, io li vedo mangiare tutti in-sieme, gli avvocati della difesa con gli amici e i giornalisti. Il fatto che tu poi il giorno dopo fai un pezzo sul giornale con una certa linea… hai mangiato con l’avvocato. Ma se dovessi aspettar-mi qualcosa da qualcuno rimarrei delusa da tutti, perché non è mai abbastanza. Per Mauro non è mai abbastanza, anche quello che io posso fare.

Le delusioni più grandi vengono comunque dalla nostra famiglia, ma questa è una cosa che chiari-remo alla fine.Lei si è esposta molto con il libro, sua sorella Mo-nica invece è rimasta nell’ombra…Io e Monica ci siamo davvero incontrate e amate solo dopo la morte di nostro padre. Siamo figlie di due Mauri diversi perché io e lui abbiamo vissuto insieme 15 anni, in un rapporto quotidiano, fisico, molto diretto; Monica, al contrario, anche se anda-va a trovarlo, di fatto è cresciuta senza il papà. Alla sua morte non abbiamo reagito allo stesso modo: lei non ha avuto una fase di rabbia nei suoi con-fronti, come è successo a me. Non mi permetto di giudicare, ma quello che posso dirti è che Monica non mi è stata vicina quando Chicca è stata arre-stata, probabilmente perché non era stata toccata la sua mamma. Dopo abbiamo fatto la raccolta fir-me insieme, la metto sempre al corrente di tutto ma so che abbiamo un approccio diverso. Da Macondo all’India e poi in Sicilia, dall’Ashram a Saman: come vivevate i cambiamenti?Per me, bambina, succedeva tutto all’improvviso. Quando siamo diventati arancioni mia mamma è partita per l’India da sola e io, che avevo cin-que anni, sono rimasta per un periodo con Mau-ro a Milano. Oggi che anche io ho un bambino, guardo Chicca e le chiedo «ma tu come hai fatto a lasciarmi da sola con quello lì?» Perché era un pazzo scatenato, non voglio neanche immaginare cosa mangiavo, dove mi lavavo, come mi vestivo. Mauro sicuramente aveva un suo percorso ma era anche uno che, impulsivo, diceva basta, adesso ci spostiamo. Mia mamma, che pure avrebbe desi-derato una vita più stabile, ha deciso di seguirlo. In seguito mi ha confessato che avrebbe volu-to una casa, una famiglia numerosa, un cane, e invece c’era Mauro e con lui queste cose non si potevano avere: ma lei aveva scelto Mauro. Mio padre ha scritto due righe molto belle sulla fine del matrimonio con la mamma di Monica e sul suo rapporto con Chicca: «sono stato più fortuna-to, questa volta, ma non è stato merito mio». Loro erano uniti da un grande amore ma se siamo stati una famiglia, se ho questo ricordo fisico di Mauro, se ho il suo odore, è grazie a Chicca, perché lui non si sarebbe fermato. Lo sogni?Io non sogno Mauro – ed ecco che qui mi escono le lacrime – non riesco a sognarlo. Chicca sogna a volte prima delle udienze, sempre cose assurde, tradimenti o anche qualche sogno romantico, e ci scherziamo su. Io no, mai, neanche una litigata.

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STaVo aLL’INGreSSo deLLa CaMera ardeNTe, GUardaVo MaLe qUeLLI Che NoN MI CoNVINCeVaNo e a un Paio ho Perfino detto «tu NoN eNTrI»

a Torino, fra via Orvieto e via Livorno, in Borgo Dora, c’è un ponte nuovo che aspetta un nome; da tre anni l’associazione

Acmos e Libera Piemonte propongono di intitolarlo a Mauro Rostagno. Per dare forza a questa iniziativa, presa in accordo con la famiglia per ricordare Mauro nella sua città natale, si sono raccolte anche più di mille firme, depositate in Comune con il dovuto atto ufficiale. Però, nonostante il supporto dell’allora presidente del Consiglio comunale Beppe Castronovo e il parere favorevole – anche se non vincolante – di Sergio Chiamparino, la questione resta stagnante: «la commissione toponomastica non si riunisce spesso – racconta Andrea Zummo di Acmos – ma noi avremmo avuto diritto ad un incontro con la stampa e con la commissione: a febbraio 2009 abbiamo avuto quello

previsto con i giornalisti ma non abbiamo mai potuto parlare con la commissione». Con le elezioni ovviamente si riparte (quasi) da zero: «da quando si è insediato il nuovo Consiglio – dice Zummo – ci siamo fatti vivi per ricordare il nostro proposito». Anche perché nel frattempo il ponte è stato aperto al traffico nello scorso mese di luglio: il sindaco Piero Fassino, come il suo predecessore, non ha nulla contro l’iniziativa degli amici di Mauro. «Tanto più che – osservano i promotori – non si tratta di cambiare un nome già esistente ma di darne uno nuovo a un ponte che prima non c’era». Il vecchio ponte infatti, è diventato soltanto pedonale.All’inizo del mese di novembre si è riunita per la prima volta la nuova commissione toponomastica, ora presieduta da Giovanni Maria Ferraris; il “ponte Rostagno” non era nemmeno all’ordine del giorno ed è

rientrato alla fine nelle varie ed eventuali per le pressioni dei suoi sostenitori: se ne parlerà quindi nella prossima riunione, ancora senza una data precisa. Sembra che nella commissione qualcuno avanzi dubbi sulla proposta, facendo leva su “possibili pendenze penali” di Mauro Rostagno: il riferimento alle vicende processuali risale addirittura ai tempi del ritrovamento di hashish nel centro culturale Macondo nel ‘78, quando fu condannato a tre mesi e a una multa (e pure con l’attenuante di aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale). «Il secondo processo – sottolinea Zummo – è quello in corso contro i suoi assassini ed è evidente a tutti che non può essere un motivo ostativo». Essere una vittima di mafia sarebbe in effetti davvero un curioso impedimento. Si resta in attesa degli sviluppi.

un ponte per Mauro

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extrastorie

Al processo racconti di esserti messa davanti alla camera ardente e non aver fatto entrare chi non ti piaceva.Sono stata molto giudicata per questo. È la rabbia di cui parlavo prima: non avevo voglia di entrare ma stavo lì fuori e facevo da cagnolino, osservavo tutti guardando male quelli che non mi convin-cevano e a un paio ho perfino detto «tu non en-tri»; era il mio modo un po’ possessivo di stargli vicino. Per tre giorni non sono riuscita a guardar-lo, avevo una gran paura di cosa avrei trovato, e infatti forse avrei fatto meglio a evitare. Tutti mi dicevano «è bello, è bello» e invece… il male fatto si vedeva. Perché sei venuta a vivere a Torino?Torino è un caso. Non è un posto che ha fatto parte della nostra vita, anche se ogni tanto ci ve-nivamo perché c’era sua sorella Carla, e non la consideravo la città di Mauro, che peraltro parla-va molto poco del passato. Ma quando Chicca è uscita dal carcere – e Saman ha approfittato della situazione per lasciarla a piedi – Luigi Ciotti le ha offerto un lavoro al Gruppo Abele. Lei allora si è trasferita, mentre io sono rimasta a Milano; poi quando è nato Pietro, dopo un anno e mezzo da mamma single, ho deciso di venire a vivere qui, perché voglio che mio figlio abbia una famiglia

intorno. Adesso lavoro anche io al Gruppo Abele, all’ufficio comunicazione e stampa.Cosa pensi di aver ereditato da tuo padre?Abbiamo molti aspetti del carattere simili ma lui era più bravo a sfumarli: io sono il ramo piccolo. Permalosi entrambi… Pietro invece è seduttore e solare come Mauro.Ti sei fatta carico di custodire la sua memoria. Come lo vivi?Io non rispondo della memoria di mio padre, tut-to questo lo sto facendo per me. Io amo Chicca e Mauro e posso difendere tutti e due. Quando mia mamma era in carcere stavo lì davanti, in modo che i giornalisti potessero fare le foto e scrivere «la piccola non piange, chissà come mai»; adesso che Chicca sta bene e fa la nonna lottiamo per Mauro. Non faccio politica, non ho bisogno del consenso: ho incontrato tante persone che mi stanno aiutando e con altre ho litigato. Cerco solo di fare pulizia: così come sono io, un po’ prepo-tente, forte del fatto che tre eravamo e tre siamo rimasti. La mancanza di Mauro chiaramente la sento e me la porterò dietro fino alla fine. Ma mia madre mi ha insegnato che voler bene non è mai togliere ma sempre aggiungere: puoi continuare ad amare, a gioire, a godere – devi – e lui è sempre con noi. C’è nell’assenza come nelle cose belle.

io non risPondo della memoria di mio Padre, TUTTo qUeSTo Lo STo facendo Per me

Nico Blunda, Marco Rizzo (sceneggiatura)Giuseppe Lo Bocchiaro (disegni)Mauro Rostagnoprove tecniche per un mondo miglioreCollezione Biografie160 pagine — 16.90 euro

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Chicca Roveri era la compagna di Mauro Rostagno; con lui – co-nosciuto nel ’71 ad un concerto dei Led Zeppelin – ha condiviso

tutto, dall’arancione dell’India al bianco di Saman, dagli anni palermitani se-gnati dall’impegno in Lotta Continua e (soprattutto) dalla nascita di Maddalena a quelli trapanesi, con i ragazzi della co-munità di recupero per tossicodipenden-ti. Nel ’96 viene ingiustamente accusata di essere coinvolta nell’omicidio di Mau-ro e resta in carcere per undici giorni. In quell’occasione, il procuratore di Tra-pani Gianfranco Garofalo, sostenendo la pista interna a Saman, dirà: «Si doveva poter escludere il coinvolgimento effet-tivo di Cosa Nostra che, del delitto, non voleva e, soprattutto, non doveva essere gratuitamente incolpata.»Come giudica il processo in corso?È meglio di niente, anche se è un proces-so che si celebra tardi, perché chi ha vo-luto la morte di Mauro è ancora in circo-lazione. Trapani è uno dei santuari della mafia e uno dei suoi capi è il latitante Matteo Messina Denaro; Virga, accusa-to di essere il mandante, è uno che fre-quentava Dell’Utri, tuttora senatore del-la Repubblica. Mauro si era accorto degli equilibri che erano cambiati in Cosa Nostra e siccome era una persona intel-ligente – bisogna essere coraggiosi ma anche intelligenti, e lui lo era – metten-do insieme i fatti che osservava da gior-nalista faceva i collegamenti tra mafiosi e politici corrotti. Sarebbe sicuramente arrivato a definire la mappa della mafia trapanese e per questo dava fastidio. Ed era anche molto solo in questa battaglia.Lo Stato si fa carico del bisogno di giusti-zia delle vittime?Fino ad un anno fa dicevo che lo Stato per me ha già fatto molto: mi ha arre-

la compaGna di una vita peR RostaGno è stata ChICCa roVerI , mamma di maddalena, con lui da milano all’india e poi in sicilia. «eRa un uomo libeRo» Racconta «se volevi staRe con lui, dovevi pRendeRlo così»

stata. Adesso qualcuno dello Stato sta provando a fare qualcosa con il processo: allora aggiungo pazienza su pazienza e voglio dare fiducia. Ma quando penso a mia figlia, a quello che ha patito per que-sto Stato assente, spesso incapace, collu-so o volutamente impotente, non posso che essere molto arrabbiata.Soprattutto se si pensa che Mauro Rosta-gno ha servito lo Stato…Questo non gli verrà mai riconosciuto. Mauro nella sua vita ha avuto diverse posizioni nei confronti dello Stato, non sempre di fiducia – negli anni ’70 lo Stato per noi era quello di piazza Fon-tana, per intenderci. Poi lui ha cambiato radicalmente idea grazie a Pio La Torre, a Pippo Fava, ad alcuni magistrati come Borsellino; ha visto, vivendo a Trapani, che l’unica speranza era credere nella legalità. È morto credendo che lo Stato fosse l’unica risposta possibile contro la mafia, quindi è davvero morto per lo Stato. Ma lo Stato non c’era ai suoi fu-nerali, se escludi il prefetto di Trapani: non volevano nemmeno riconoscere che un ex di Lotta Continua potesse morire per un ideale. Mauro era un personaggio troppo scomodo. Non apparteneva a nes-suno, era un uomo libero; se volevi stare con lui, dovevi prenderlo così. Lui avreb-be fatto comunque quello che voleva: era una persona con una carica incredibile, aveva un fuoco dentro. E poi era allegro: dopo una giornata intera di lavoro po-teva arrivare a casa, a Saman, e dirmi «chiudi tutte le porte che mettiamo su una musica e balliamo». F.T.

Chicca Roveri oggi vive a Torino, vicino alla figlia Maddalena e al nipotino Pietro, e lavora nell’ufficio contabilità del Gruppo Abele.

aveva un fuoco dentro

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extrastorie

il “poteRe buono” esiste? se lo

chiede daVIde MaTTIeLLo nel

suo libRo “la mossa del Riccio”,

pubblicato Recentemente da add.

la Risposta è sì: peR questo sta

lavoRando a una fondazione

di paRtecipazione, con teneRezza

e disciplina

non è un paese per riccidi FRancesca Fimiani

FoTo di massimo pinca

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extrastorie

Siamo nella vecchia fabbrica della Ceat di via Leoncavallo. Ogni gra-dino è un pezzetto della storia in-dustriale di questa città, e in parte d’Italia. Come molte delle fabbriche di questa zona, anche la Ceat è rima-

sta a lungo vuota, in mano ai vandali e ai piccioni. Come racconta Davide Mattiello ne La mossa del riccio qui nel 2001 il Gruppo Abele stava ristrut-turando l’intero edificio e c’erano disponibili 500 metri quadri per l’associazione che insieme ad alcuni amici avevano appena fondato: Acmos. «E poi c’era lui: il guano. Uno strato spesso e arro-gante ricopriva quasi completamente l’imponente scalone monumentale d’ingresso. Chi ci avrebbe messo le mani? Chi era il presidente di Acmos? Io. Chi dunque? Io. Mascherina, guanti, tuta e per il guano non ci fu scampo.» Un’immagine – quella dello sporcarsi le mani là dove nessu-no lo vuole fare – che diventa la fotografia della politica “à la Mattiello”, trentanovenne torinese che fino al 2010 è stato il braccio sinistro di don Ciotti al Gruppo Abele e che qualche anno prima con Acmos aveva sperimentato, con successo, la vita comunitria cone aiuto ai giovani in difficoltà. «Sono anni che ci occupiamo di “contenimento del danno”» dice. «È giunto il momento di anda-re più a fondo. Di governare. Se non sfocia in un cambiamento politico – totale, epocale, definitivo – allora il lavoro nel sociale diventa solo un modo per lavarsi la coscienza e perde di senso. »Insomma, secondo Mattiello è giunta l’ora che i cattolici della “solidarietà organizzata” scendano in politica. «Molti sostengono che anche facen-do associazionismo si fa politica. Certamente: si orienta una parte dell’opinione pubblica, si fanno valere i proprio pensieri. Ma fare politica fino in

fondo significa avere peso in un momento preciso della vita nazionale: quello delle candidature e dei programmi.»La mossa del riccio è in questo senso una chiamata alle armi. Perché molto spesso, il salto in politi-ca non avviene, giustificato come “passo inutile o impossibile”, e presupponendo che la politica di per sé sia un male, che mettere un piede in quel mondo renda qualsiasi individuo corrotto o cor-ruttibile. Mattiello sostiene però che il “chiamarsi fuori” sia inaccettabile: «Questa politica così come è fatta oggi non ci soddisfa per mille motivi, ma buttare via il bambino con l’acqua sporca non ha senso. È come il marito cornuto che si taglia i co-glioni.» Fare politica, dunque, come coronamento del lavoro di anni nel sociale. Ma come?«Ci sono strade già battute. La prima, per esem-pio, è trovare il campione del mondo sociale e candidarlo, piazzandolo in un partito. È tradizio-nalmente questo il metodo con il quale il mondo del movimentismo entra in politica. Ci sono stati esempi eclatanti: Caruso, leader dei centri sociali napoletani, che si è ritrovato a fare il parlamenta-re per Rifondazione comunista. Ma che fine vuoi che faccia quella persona lì? Quella della vergine sacrificale. Ben che vada viene eletto, ma resta tra l’incudine e il martello: non è organico al partito e quindi al suo interno conta poco o niente, inevi-tabilmente taglia i ponti con il movimento da cui arriva creando anche un problema per la prosecu-zione del percorso associativo. Va da sé che questo metodo non ci convince.»Una strada din questo tipo è stata di recente per-corsa da una figura forse non vicina, ma per lo meno simile, a quella di Mattiello: Michele Curto, presidente di un altro grande affiliato del Gruppo Abele, l’associazione Terra del Fuoco. Long story

MaTTIeLLo, TreNTaNoVeNNe, fINo aL 2010 è STaTo IL braCCIo SINISTro dI doN CIoTTI al gruPPo aBele. è aNChe foNdaTore dI aCMoS, UNa CoMUNITà di aiuto Per giovani in dIffICoLTà

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extrastorie

short: Curto è il leader di TdF, ma decide di can-didarsi alle primarie contro Fassino, scegliendo le fila di Sinistra e Libertà. Non vince, ma il risultato elettorale – supportato durante la campagna dai suoi sodali nell’associazione – è molto buono e lo porta in Consiglio Comunale. Lascia un’associa-zione orfana, ma al contrario di quanto capitato ad altre vergini sacrificali, in pochi mesi ha sapu-to trovare un suo posto di alto livello nel piccolo gotha locale di SeL. «Una seconda possibilità è quella di individuare un partito e colonizzarlo. Esempio storico, quello di Pecoraro Scanio con i Verdi: fa un bel pacchetto di tessere, entra nel partito e ne diventa segreta-rio, manu militari. Un’esperienza che in passato ha anche dato i suoi frutti, ma che mette lo scon-tro in primo piano. Alla faccia della non violenza (e per chi viene dal mondo cattolico, è bene non dimenticare che secondo il Vangelo saranno i miti a ereditare la terra, ndr). Terza e ultima op-zione: farsi un partito, entrare nell’agone politico, sbaragliare gli avvesari, vincere (mica poco). Chi ci aveva dato più speranze in questo senso era La Rete, movimento degli anni ‘90 con tanti figli no-bili della bella politica (Nando Dalla Chiesa, Clau-dio Fava, Leoluca Orlando, Diego Novelli...). Un partito nato sull’onda di Tangentopoli, che riesce a piazzare in Parlamento sei eletti. Che poi deci-dono di entrare nei DS vanificando tutti gli sforzi precedenti. Questo è un approccio tutto sommato giacobino-manicheo, della serie “Io sono io e voi non siete un cazzo”. Abbiamo dovuto scartare an-che questa ipotesi.» La soluzione arriva dagli Stati Uniti e si chiama Advocacy group. Non esiste una traduzione in ita-liano che ne renda pienamente il concetto. Qual-cuno li ha definiti “gruppi di pressione” (brut-

tino), Mattiello preferisce “gruppi d’appoggio”. Utilizzano varie forme di consiglio tecnico e di persuasione per influenzare l’opinione pubblica e la politica, e hanno giocato un ruolo importante nello sviluppo dei sistemi politici anglosassoni, per esempio durante l’amministrazione Obama.«Trevor Fitzgibbons nel 1999 fonda a Seattle Move on un movimento politico-culturale, simile nella percezione pubblica a quello che è in Italia il Gruppo Abele o Legambiente.Nel momento della campagna elettorale di Oba-ma, però, questo gruppo di persone lo sceglie come candidato, lo rende portavoce delle loro istanze e sposta tutta la sua influenza a suo favo-re.» Vista con la lente del mondo mediterraneo, non suona esattamente come una cosa pulita.«Perché siamo in Italia. Gli Advocacy groups fanno apertamente attività di lobbysmo politico. Pecca-to che qui la parola lobby spalanchi porte oscure come la P2, P3 e P4, non proprio un passato lusin-ghiero. Siamo un Paese intrinsecamente mafioso, dal punto di vista culturale, che ama organizzare il potere in maniera clandestina e segreta.» In una nazione non ancora pronta culturalmente a questo cambiamento, Mattiello & friends si appre-stano allora a proporre questa nuova soluzione: quella di un consigliere speciale che può muovere una bella quantità di voti e che per questo deve essere ascoltato. Legalmente, la forma prescelta è quella della Fondazione.«Più precisamente, della Fondazione di Parte-cipazione.» Che però non è proprio una novità. Pensiamo a “Italia Futura” di Montezemolo.«Benvenuti in Italia è diversa. Prende la parte mi-gliore dell’organismo giuridico della Fondazione – avere del denaro di sua proprietà – e lo unisce alla partecipazione collettiva.

si Può fare Politica sPorcandosi le mani, ma con onestà, tenerezza verso i Più deBoli e disciPlina in tutto il reSTo

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In “Italia Futura” c’è un capo che è già capo e che ci mette i soldi. E chi ci mette i soldi comanda, giusto? Serve solo al potente per avere visibilità maggiore. E non è una cosa che capita solo a de-stra. «Anche la sinistra soffre dei leaderismi cari-smatici. Io dico che bisogna riscommettere sulla politica collettiva, non sul “chi mi ama mi segua perché sono bravo e so parlare”.»Il nostro capitale è conferito da una miriade di piccoli sostenitori che mettono a testa tra i 1 000 e i 2 000 euro, c’è chi li mette in contante, chi li mette in “opere di bene”. In 18 mesi di lavoro abbiamo raccolto 100 000 euro di valore, più 40 mila euro che ci servono per gestire i primi due anni di lavoro. E il 17 dicembre siamo andati dal notaio per mettere i sigilli a questa nostra prima impresa.» Mattiello fa della trasparenza nei bilan-ci una questione d’onore: per fare politica con “il potere buono”, esercitando tenerezza e disciplina, la prima cosa su cui si debbono avere le carte in regola sono i soldi. Tra finanziamento illecito ai partiti e conflitto d’interessi, l’argomento scotta. «Amministrativamente trasparenti, e lo saremo davvero. Perché su questo ci dobbiamo concen-trare. A parlare bene di giustizia e di libertà, del mondo che vorremmo... sono buoni in molti. Non è su questo che dobbiamo essere giudicati, perché la nostra vita dedicata all’impegno e alla solida-rietà parla da sola. Non abbiamo più niente da dimostrare. Ma su quelle precondizioni materiali possiamo invece fare la differenza.»

a Parlare Bene del MoNdo Che VorreMMo, SoNo braVI IN MoLTI. è SULL’oNeSTà e La trasParenza quando SI TraTTa dI SoLdI Che noi Possiamo fare la differenza

Davide MattielloLa mossa del riccioAdd editore,pp. 112, euro 7

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extrastorie

ma a dUbaI è impossibile. il paRadiso aRabo delle aRchistaR ha così tanti albeRGhi di lusso da faR impallidiRe il cielo sul deseRto. ecco una destinazione che si fa amaRe e odiaRe, ma che non può lasciaRe indiffeRenti

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Conta le stelle, se puoi

di valenTina diRindin

FoTodubai TouRism

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Immaginiamoci nei panni di Neri Parenti: dobbiamo scegliere dove girare il “Natale a...” di quest’anno. Ovviamente, mettiamo tutto il buon gusto – che spesso manca ai cinepanettoni – nella nostra scelta e optiamo per un luogo che sia ultra chic ma non eccessivamente mondano,

che sia sufficientemente vicino da raggiungere ma al contempo lontano quel tanto che basta a farlo apparire esotico e, soprattutto, un posto dove ci sia il sole anche il 25 dicembre. La risposta? Il film di Natale questa volta lo ambientiamo a Dubai. Grazie a Turkish Airlines, premiata come la miglior compagina aerea europea, dall’aeroporto di Torino si può raggiungere anche la capitale del lusso e dei grattaceli. Si parte a pochi gradi sopra lo zero, si scende a + 20. Nel tragitto, si fa scalo all’aeroporto Ataturk di Istanbul che, se vi siete concessi una vacanza in First Class, vi offre la Vip Lounge più lussuosa d’Europa. Noi un’occhiata l’abbiamo data e non possiamo che consigliarvi l’upgrade: ristoranti che soddisfano ogni languorino, dal dolce al salato, postazioni computer, pareti con schermi al plasma che trasmettono i canali di tutto il mondo, tavoli da biliardo, sala relax con sottofondo di pianoforte e addirittura, per chi è costretto a soste prolungate tra un volo e l’altro, camere da letto dotate di ogni confort. Insomma, un bel modo di iniziare la vacanza. Poi si riparte, verso l’International Airport di Dubai, che presto diventerà il più grande del mondo. Se volevate un viaggio da Guinness dei primati, siete appena atterrati nel posto giusto. Non per nulla, Dubai è una città pazzesca, il giocattolino degli sceicchi degli Emirati Arabi che, quasi non sapendo come investire i loro (pochissimi) risparmi, si sono messi in competizione con tutte le mete turistiche mondiali. Le metropoli americane hanno una skyline mozzafiato? E noi costruiamo il Burj Khalifa, una torre di 828 metri (828!) a cui i normali grattacieli fanno il solletico ad altezza caviglie, altro che grattare. Il sogno di tutti i bambini è

un weekend a Disneyland? E noi progettiamo Dubailand, il parco giochi più grande del mondo, una cosuccia di quasi 500mila metri quadrati. Bye bye, Topolino. Mare? Ce l’abbiamo, con il sole a picco più o meno 300 giorni l’anno e le famose isolette artificiali a forma di palma da guardare dal finestrino dell’aereo. Deserto? Ce n’è quanto ne vuoi, ma rendiamolo più adrenalinico, sostituendo ai noiosi cammelli dei fuoristrada 4x4 con cui fare chicanes e “freni a mano” che manco la Parigi-Dakar. Neve? Quella mancherebbe, ma nessun problema. Costruiamo un impianto sciistico indoor dentro un centro commerciale (che non è il più grande del mondo, purtroppo, perché il primato è del centro commerciale a fianco, il Dubai Mall, quello con l’acquario e lo zoo sottomarino visibile dal pannello di vetro, manco a dirlo, più grande del mondo), con neve vera, seggiovia e discese da 60 metri. Il problema di tutti i turisti che verranno lo si risolve costruendo 573 hotel (tutti di lusso, si intende, compreso il Burj Al Arab, l’albergo per il quale è stato necessario pensare qualche stella in più nel firmamento del lusso), per un totale di 73mila stanze circa in tutta la città. Difficile andare in overbooking, ma pare che ci riescano. Che poi, oltre che far a gara sui numeri, sembrano sfidarsi anche in bizzarria: questo posto è il paradiso indiscusso degli archistar. Anzi, facciamo un appello: se in Italia non apprezzano i vostri progetti di palazzi elicoidali catarifrangenti che lanciano missili fotonici, anche voi sapete dove andare per Natale. Anche perché di grattaceli se ne continuano a costruire e qui giurano che spuntano nell’arco di una notte, tanto che in alcune zone Dubai pare una città da scenario post-apocalittico: il deserto intorno a grattaceli a metà, nessuno in giro, il silenzio. Insomma, qualcosa da vedere, prima che la bolla esploda e i soldi spesi piovano in ogni dove. Ci dicono anche che, sotto Natale, i prezzi degli hotel si abbassano molto. È un mondo di tradizionalisti, che vogliono passare le feste a casa. Noi, i parenti, quest’anno li abbiamo prenotati per Pasqua.

un sole a Picco Più o meno 300 GIorNI L’aNNo e Le faMoSe ISoLeTTe arTIfICIaLI a forMa di Palma da guardare dal fINeSTrINo deLL’aereo

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73mila stanze che semBrano sfidarsi anche in Bizzarria: questo Posto è il Paradiso INdISCUSSo deLLe arChISTar

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una mattina alla CaSCINa foNTaNaCerVo , alla scopeRta del “latte di città”, che sa pRopRio di lattedi Rebecca boTTai

FoTo enRica cRivello

Vacche di città

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avevo letto su “Maestri del Gusto” che la famiglia Crivello si occupava di agricoltura dal 1600. Per questo le mie aspettative arrivata a Villastello-ne, un tiro di fionda dalla città, erano

quelle di trovarsi di fronte a qualche vecchio casola-re campagnolo. Mentre invece in questa zona, nella piana che più piana non si può, è più facile trovare una piccola industria rispetto a una cascina.Fontanacervo però è proprio in campagna: due grandi stalle, i campi per il foraggio, il caseificio, e una decina di piccoli camion con il loro marchio (la distribuzione la fanno in casa) che si muove continuamente su e giù dal centro cittadino.Noi, il loro latte, l’abbiamo provato. E siamo qui proprio perché curiosi – come molti – di vedere da dove viene quel latte lì.Il segreto, a quanto pare, sono le mucche Jersey, una razza particolare che viene definita “dal lat-te d’oro”.I Crivello lavorano in campagna da generazioni, ma sono solo una manciata di anni che Giovanni ha iniziato con il caseificio. «È stato un “collega” allevatore a convincermi. Dieci anni fa io avevo appena comprato i nuovi capi per l’allevamento, ma vendevo il latte nel circondario, a un prezzo ri-dicolo come tutti i piccoli allevatori. Lui mi disse: “Così gli altri fanno i soldi sul tuo latte”.» Che ef-fettivamente ha un gusto particolarmente pieno, per niente acquoso, diverso da quello che si trova sugli scaffali del supermercato di solito.Scoperto, quindi, che questo “latte d’oro” – come il manto delle Jersey, marrone chiaro – i Crivello hanno messo su il laboratorio per la lavorazione dei loro formaggi.Più che un caseificio sembra una piccola clinica, tutta bianca e metallica. La guerra batteriologica che si combatte qui ogni giorno rende il locale più simile a una sala operatoria che a un tempio di fermenti e muffe.

«Facciamo circa 6000 litri di latte al giorno, che si trovano sparsi in vari punti vendita della città. Il latte restante lo usiamo per gli yogurt e i formag-gi.» Ecco quindi che la lista si allunga: la robiola, sia semplice che condita con erbe o peperoncino, la ricotta, la “crema contadina”, che somiglia allo stracchino ma è molto più gustosa. I dessert al cucchiaio sono strepitosi, infatti Fontanacervo ha un contratto con un “rinomato” gelataio cittadino per la fornitura della materia prima, il cui nome però non ci è dato sapere. Soprattutto formaggi freschi, quindi, a dieci chi-lometri da Torino. «Distribuiamo anche qua e là in provincia, ma il 90% dei nostri prodotti finisce a Torino e in qualche punto della cintura.» Il mercato è spietato, e la concorrenza sui derivati del latte è molto alta. Se i clienti devono essere fidelizzati con la qualità, bisogna anche riuscire a mantenere dei prezzi di mercato, anche senza avere le spalle grandi di un’industria alle spalle. Per farlo, la sveglia suona alle 4 del mattino e dal-le 5 si inizia: pastorizzazione e omogeneizzazione del latte, e poi in coda fermentazione dello yogurt e così via. Lo slogan all’ingresso del caseificio è un manife-sto chiarissimo: “prodotti fatti come si deve”. Non fatti con il cuore, ma secondo regole precise, e senza trucchi. «Non dico che gli altri mentano, no. Scrivono tut-to sull’etichetta. Ma la gente mica la sa leggere. Infatti uno dei prodotti preferiti dagli italiani è una “crema di yogurt”, che è molto diversa dallo yogurt che produciamo qui per esempio.» Sugli addensanti, poi, ci sarebbe tutto un capitolo a par-te che mi riserba per una seconda visita all’azien-da. Perché l’acidità dello yogurt è una cosa seria e va controllata continuamente. Se non lo imbot-tigliano nel giro di pochi minuti potrebbe essere tardi. Allora io posso ritirarmi, tanto a tornare in città ci metto dieci minuti.

IL SeGreTo SoNo Le mucche Jersey, “dal latte d’oro”

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La GeNTe NoN Sa CoMe LeGGerLe, Le eTICheTTe aLIMeNTarI. INfaTTI sPoPola la “crema di yogurt”, che – lo dice il NoMe – yoGUrT NoN è

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UNo, NeSSUNo, o TUTTI e CeNTo?

in edicola e in libReRia c’è la nuova Guida i cento di torino e Piemonte , edizione 2012. piole vecchie e nuove, RistoRanti che salGono e scendono in classifica, e ancoRa cinquanta RistoRanti in piemonte. siete pRonti a pRovaRli tutti?di valenTina diRindin

FoTomassimo pinca

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di cene ottime, in questa guida, ne contiamo almeno centocinquantuno. Centocinquanta sono quelle proposte da Cavallito, Lamacchia e Iaccarino nell’edizione 2012 del vademecum

gastronomico più utilizzato dai torinesi; una è stata quella di presentazione e premiazione dei vincitori, nelle sale del ristorante Ruràl. Ad alternarsi magistralmente in cucina, per l’oc-casione, Paolo Fantini ed Elisabetta Desana del ristorante Scannabue, Massimo Camìa della Lo-canda nel Borgo Antico, Takashi Kido del quasi omonimo Kido-Ism oltre, naturalmente, allo chef e alla brigata dei residenti; giusto per dare un as-saggio di ciò che I Cento di Torino e del Piemonte 2012 può consigliare ai suoi lettori.Protagonisti della serata, un Davide Scabin ormai avvezzo alle premiazioni (i bookmakers da tempo non accettano più scommesse su di lui, tanto è noto l’amore spassionato degli autori per il Com-bal.Zero), gli emozionatissimi e orgogliosi pro-prietari del Kitchen (la rivelazione di San Salvario

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Vanchiglia e oltrepo’di eRic vassallo

Giunto a Torino dall’Egitto, nel 1961 andai ad abitare in Vanchiglietta, un quartiere in crescita con strade ancora da asfaltare e cascine di fianco a casa. Per i torinesi il Borgh del fum.Le prime esperienze con il nuovo “cibo italiano” furono un vero e proprio disastro, dai ravioli in scatola, alla salsa ketchup utilizzata dappertutto. Disastro provocato dal nuovo supermercato aperto proprio sotto casa, ma soprattutto dal fatto che ai fornelli si alternavano mio padre e mio nonno, totalmente estranei all’arte culinaria. Meglio allora rivolgersi al venditore di fumante farinata che, tutti i giorni, sostava con bici attrezzata all’uscita di scuola. Un po’ più grandini, la domenica sera, si disdegnava la popolare pizza al padellino e, quattrini permettendo, si sceglievano locali che proponevano la pomposa “pizza al mattone”. Il caso volle che la mitica e spagnoleggiante Brace aprisse proprio in via Napione (là dove Farassino faceva calare i suoi marziani bip bip).In rarissime occasioni ci si permetteva qualche buon ristorante, ossessionati dall’abbigliamento più consono all’occasione. Nella mia memoria alberga ancora l’emozione della padellata di cappelle di funghi porcini consumata nel mitico Muletto di corso Casale. Un pezzo importante della mia più intima recherche a cui indiscutibilmente appartengono anche l’aroma di caffè propagato dalla torrefazione Gran Brasile, a due passi da casa, e la storica pasticceria Accornero di via Vanchiglia, dolce approdo per gli acquisti delle grandi occasioni.Erano anni di profondi cambiamenti, anni che spazzano via molte delle storiche piole, circoli polisportivi, dopolavori e osterie di Vanchiglietta, che invece sopravvivono nell’Oltrepò: la Bocciofila di Reaglie, Carletu e la sua Stella (per noi allora rossa), l’Osteria dell’Amicizia, i Combattenti, la Soms De Amicis, gli Imbianchini e le cantine Risso.Alcuni di questi esistono ancora e hanno resistito senza cedimenti, altri sono diventati pizzerie o ristoranti etnici, altri ancora del loro antico splendore conservano a mala pena l’insegna.La mia passione per il cibo nasce qui, nel quartiere periferico della città che mi ha accolto e adottato. Strana la vita, nella mia infanzia crescevo con piatti della cucina ottomana, per poi abituarmi alla bagna caôda e agli agnolotti e oggi, mi ritrovo occasionalmente con un kebab o un falafel in mano.

«STraNa La VITa, NeLLa mia infanzia crescevo con Piatti della cucina ottomana, Per Poi aBituarmi aLLa baGNa Caôda e aGLI aGNoLoTTI e oGGI, MI rITroVo oCCaSIoNaLMeNTe CoN UN kebab o UN faLafeL IN MaNo»Eric Vassallo

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NoVITà deL 2012? “i quartieri golosi”: una maPPatura dello shoPPing eNoGaSTroNoMICo TorINeSe

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crocettadi Gil GRiGliatti

In Crocetta siamo viziati, tra via San Secondo e corso De Gasperi, due mercati, una vasta offerta gastronomica.Ricordi? La sempre mitica pasticceria Pfatisch di via Sacchi. Da bambini, io e mio fratello Marc, avevamo i nostri pasticcini preferiti: suoi i cioccolatini ripieni di chantilly, miei gli chantilly!Chiare le regole d’ingaggio per attaccare il vassoio. Violato il patto, si finiva in drammatiche azzuffate.Golosa la panna della latteria Elena (corso Re Umberto), preparata subito al banco, o la brioche di Uva (via San Secondo). Proseguendo a sinistra, prendo il diaframma alla macelleria CO.AL.VI. prima del mercato: la bavette, c’est la bavette! Primizie all’Angolo Dei Sapori (corso Re Umberto). Gelato da Ottimo (corso Stati Uniti), dopo l’invasione di gelaterie in città, è il più interessante.Da Marcello (corso Stati Uniti) e al Sorriso (via S.Secondo) si mangia come in casa (tra i pochi a fare vere patate fritte!). Buoni Da Giovanni (via Gioberti), Slurp ed i Brandé (via Massena). Classici il Torricelli, il Crocetta e il Marco Polo. Un grande ristorante: il Gatto Nero (corso Turati), cucina perfetta nel suo stile toscano-mediterraneo.Grande l’offerta alla gastronomia Barbero (via F. Carle). Enoteche: Millesimes in corso De Gasperi o Petite Cave per l’aperitivo. Torte gelato da il Gelatiere (corso Einaudi) e vicino, la Torrefazione: bel bar, gremito di persone in cerca di un buon croissant.E i Turchi del kebab di corso Sommeiller vicino a via Sacchi? Col frigo vuoto, prendo una Margherita (euro 3,50) da portare via: non è male e la digerisco. Non posso dire lo stesso di alcune pizzerie italiane!Passeggio nel mio quartiere: una canzone risuona da una boutique. Carina la commessa! Cerco il contatto visivo... Niente! Tutto normale. La canzone? Come fa il ritornello? Meet you all the way! Rosannaaa. In Crocetta yeah! – No! Scusate: in Crocetta neh!? Rosannaaa...Fa proprio così! Lo giuro!Qui siamo gastronomicamente ben messi. Eh sì! Ce la possiamo tirare! Allora? Che aspettate? Ci vediamo a passeggio in... Croisette!

nella sezione “Pop50”), premiati da un trio più go-liardico del solito, presentato da Sergio Miravalle. Enrico Crippa, vincitore con il suo Piazza Duo-mo della sezione “50fuori”, ha invece ritirato la sua targa nel pomeriggio, durante la conferenza stampa all’Enoteca Bordò. Poi, di corsa ad Alba, di nuovo ai suoi meravigliosi fornelli. E poi, tra gli amici seduti ai tavoli del Ruràl, anche l’auto-re della prefazione Andrea Bajani e gli artefici di una delle più divertenti novità di questa edizione della guida, “I quartieri golosi”. Una mappatura dello shopping enogastronomico torinese (a opera di Leonardo Bizzaro, Marco Bolasco, Bruno Bove-ri, Gil Grigliatti, Bob Noto, Clara e Gigi Padovani, Elvira Radeschi, Leo Rieser, Marco Trabucco, Eric Vassallo), zona per zona, negozio per negozio, chiosco per chiosco. Ve ne proproniamo qui due, giusto un assaggino. Perché non si vive di soli ri-storanti (ma se invece potete farlo, andate a colpo sicuro tra i nostri Cento).

«IN CroCeTTa SIaMo GaSTroNoMICaMeNTe beN MeSSI. eh Sì! Ce La Possiamo tirare!»Gil Grigliatti

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extraglitterjingleall the way

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Non era facile eguagliare la stagione culturale 2011, con Torino cuore dei festeggiamenti per il centociquantenario dell’Unità d’Italia. Chi ha avuto l’acume di acquistare nell’anno che sta per finire la Carta Abbonamento Musei, di certo l’ha sfruttata fino all’osso. Come fare dunque per rendere l’offerta ugualmente appetibile nel 2012? Semplice, arricchendola di sconti e agevolazioni in nuovi musei, sparsi per tutta Italia. Per chi ha già visto tutto a Torino e dintorni, cosa non facile, già negli anni passati la Carta Musei regalava la prospettiva di una gitarella in Val d’Aosta, con visita a castelli e musei o al Forte di Bard. Ma con l’Abbonamento Musei Torino e Piemonte 2012, gli orizzonti culturali si ampliano come mai prima, arrivando per esempio fino al MAXXI di Roma o ai Musei Civici della capitale, in cui si avrà diritto all’ingresso ridotto. Stessa cosa al Museo di Arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, alla Galleria di Arte Moderna di Albenga, al Museo di Santa Giulia e al Castello di Brescia, al Museo del Tesoro del Santuario di Ns Misericordia di Savona. E, per chi va in vacanza in Laguna, l’Abbonamento darà diritto a uno sconto di 2 € sull’acquisto del Museum Pass, il biglietto cumulativo per l’ingresso a tutti i musei civici di Venezia. Insomma, la rete dei musei si allarga, sconfinando oltre i limiti regionali e inglobando un’offerta che non può che far gola a chi ha fame di cultura. «Siamo orgogliosi perché il sistema dell’Abbonamento Musei Torino e Piemonte sta avendo un successo sempre maggiore – quasi 85mila gli abbonamenti nel 2011, il 36% in più rispetto all’anno precedente - e sta diventando un modello di riferimento per tutto il sistema museale italiano» ha dichiarato Maurizio Braccialarghe, assessore alla cultura di Torino. Noi pensiamo che, a 49 euro (30 per chi ha diritto alla riduzione), difficilmente si possa trovare un regalo di Natale migliore. O preferite ricevere un altro vassoio in silver plate?

www.abbonamentomusei.it

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la carta da regalo

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auguri, sinceriwww.elyron.it

http://prints.elyron.it

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num. 22, dicembre 2011/gennaio 2012supplemento di www.extratorino.itRegistrazione al tribunale di torino n. 6018 del 29/10/2007

direttore resPonsaBile luca iaccarino

VICedIreTTorefrancesca fimiani

in redazionevalentina dirindin

haNNo CoLLaboraTo a qUeSTo NUMero massimo pinca, federica tourn, letizia tortello, marco bobbio, alessandro lamacchia, stefano cavallito, eric vassallo, Gil Grigliatti, nicolò picinni, edoardo Ghiglielmo, michele segreto

arChIVI foToGrafICIarchivio storico città di torino, michele serra, maddalena Rostagno, sky tG24, emergency, carta musei, torino città capitale

redazione via cavour 8, 10123 torinotel. 011 3187757, fax 011 0864518, mail: [email protected]

PromozioneGiorgio pellerinotel. 011 3187757, email: [email protected] michele segreto, email: [email protected]

SeGreTerIa e abboNaMeNTIstefania miroballi, via cavour 8, 10123 torino,tel. 011 3187757, fax 011 0864518 email: [email protected]

edITore extra s.r.l., via cavour 8, 10123 torino

art direction, grafica e imPaginazioneelyron, via perrone 4, 10122 torino

foToLITochiaroscuro via Rocca de’ baldi 16/a, torino

stamPa stamperia artistica nazionale via massimo d’antona, trofarello (to)

forMaTo 210 × 272 mm

Periodicità bimestrale

TIraTUra 10 000 copie

PuBBlicità alessandro michelitel. 011 3187757email: [email protected]

distriBuzionedevietti distribuzione s.a.s.strada cebrosa 21, settimo torinese (to)

extratorino

Riecco il solito dilemma natalizio: come sentirsi veramente buoni? Emergency ci viene incontro per sintetizzare ciò che rappresenta più il Natale degli occidentali del ventesimo secolo: donare qualcosa ai propri cari, ma anche a chi ne ha davvero bisogno. Acquistando infatti le idee regalo realizzate secondo principi etici e solidali, nel rispetto di chi li produce, si potrà archiviare la pratica dei doni natalizi con la consapevolezza di contribuire a migliorare molte altre le vite. E non

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natale con emergencyovvero: cosa regalo quest’anno all’umanità?

si tratta degli oggettini simbolici che obbligano l’estetica a scendere a patti con il buonsenso, ma di creazioni artigianali e alla moda, prelibate e di qualità. Sarà possibile trovare prodotti di manifattura provenienti da tutto il mondo dall’8 dicembre per tutto il mese, in Piazza Emanuele Filiberto 9 dalle 10.30 alle 19.30 il giovedì e la domenica, fino alle 23 il venerdì e sabato. Non che il prossimo vada aiutato solo a Natale, ma già che c’è l’iniziativa approfittiamone.

www.emergency.it