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Ex HiB workshop 2010 – design degli interni sezione I5 ExHiB progetto di un allestimento sostenibile per la valorizzazione di beni culturali in Basilicata Fondazione ENI Enrico Mattei con Politecnico di Milano Referenti FEEM_Cristiano Re, Andrea Bellati Docente_Alessandro Biamonti Collaboratori_Angela Ponzini, Caterina Verrone, Matteo Bernecoli

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progetto di un allestimento sostenibile per la valorizzazione di beni culturali in Basilicata

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ExHiB

workshop 2010 – design degli interni sezione I5

ExHiBprogetto di un allestimento sostenibile

per la valorizzazione di beni culturali in Basilicata

Fondazione ENI Enrico Mattei con Politecnico di MilanoReferenti FEEM_Cristiano Re, Andrea Bellati

Docente_Alessandro BiamontiCollaboratori_Angela Ponzini, Caterina Verrone, Matteo Bernecoli

ExHiB

workshop 2010 – design degli interni sezione I5

ExHiBprogetto di un allestimento sostenibile

per la valorizzazione di beni culturali in Basilicata

Fondazione ENI Enrico Mattei con Politecnico di MilanoReferenti FEEM_Cristiano Re, Andrea Bellati

Docente_Alessandro BiamontiCollaboratori_Angela Ponzini, Caterina Verrone, Matteo Bernecoli

workshop 2010 – design degli interni sezione I5

ExHiBprogetto di un allestimento sostenibile

per la valorizzazione di beni culturali in Basilicata

Fondazione ENI Enrico Mattei con Politecnico di MilanoReferenti FEEM_Cristiano Re, Andrea Bellati

Docente_Alessandro BiamontiCollaboratori_Angela Ponzini,

Caterina Verrone, Matteo Bernecoli

Obiettivo del workshop è il progetto di un allestimento sostenibile per la valorizzazione dell’area di Barricelle di Marsicovetere (PZ) caratterizzata dai ritrovamenti di una Villa di epoca Romana.

Alcuni dati da tenere in considerazione durante lo sviluppo del progetto sono:• rinvenimento di oltre 200 siti nell’alta Valle dell’Agri dal 1999• rendere compatibili la realizzazione di opere petrolifere, la tutela, la valorizzazione e la crescita di un territorio, come quello dell’Alta Valle dell’Agri, dalle grandi potenzialità ambientali e turistiche• rendere fruibile ad un pubblico sempre più vasto il patrimonio archeo-logico, coniugandolo con l’apporto di nuove tecnologie• migliorare la qualità della vita dei residentigrazie alla ricaduta occupazi-onale sul territorio delle attività avviate• attirare nuovi flussi di turismo locale

I progettisti lavoreranno sullo sviluppo di un concept di progetto che valorizzi l’area archeologica e che contenga:• un’idea di layout spaziale• un’idea di allestimento• comunicazione e segnaletica• eventuali landmark urbani

In particolarmente i criteri di progetto maggiormente apprezzati e a cui il progettista dovrà fare maggior riferimento sono:• temporaneità (allestimento)• riconfigurabilità (allestimento)• efficacia (allestimento e comunicazione)

Proprietà letteraria riservataEditore

1a edizione: 2012

Tutti i riferimenti ad aziende, istituzioni, enti e affini sono il frutto della ricerca degli studenti e quindi sono utilizzati in questa pubblicazione ad esclusivo scopo didattico.

ISBN

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INDICE

Introduzione - Val d’Agri: energia dall’archeologia 006C. Re

La villa romana di Barricelle tra passato, presente e futuro 008Alfonsina Russo, Maria Pina Gargano L’archeologia nell’ipercontemporaneità 040Un nuovo progetto per la fruizione dei beni del passato 040G. MiolaI lettori di rovine 042C. Verrone

Tracce 044 A. Biamonti

L’infotecnologia a supporto del racconto dell’antico 046M-Bernecoli

L’allestimento come strumento di valorizzazione storica e territoriale 048 A. Ponzini

Workshop 050 gruppo 01 > Al passo coi tempi... 051 gruppo 02 > Cubiculum 055 gruppo 03 > Illo tempore 059 gruppo 04 > Otium et Negotium 063 gruppo 05 > Argine 067 gruppo 06 > Performance in luce 071 gruppo 07 > In Sight 075 gruppo 08 > Exploro 079 gruppo 09 > Scope From Above 083 gruppo 10 > Riportare alla Luce 087 gruppo 11 > Historienteering 091 gruppo 12 > BIP-Back In Past 095

Conclusioni - Riflessioni sul Workshop 100C. Verrone

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INTRODUZIONE - Val d’Agri: energia dall’archeologiaFEEM-Fondazione ENI Enrico MatteiCristiano Re

Val d’Agri: energia dal petrolio, energia dalle fonti rinnovabili, energia dalla natura, ener-gia dalla cultura, energia dal cibo e…energia dall’archeologia.Non molti sanno che a partire dal 1999 sono stati ritrovati in Val d’Agri più di 200 siti archeologici.E come spesso accade, sono le attività rivolte al futuro che ci riportano al passato.Nel 2006, la realizzazione dei lavori di posizionamento di condotte per la realizzazione di un oleodotto eni ha permesso di scoprire una villa romana di notevole importanza nel comune di Marsicovetere. Grazie alla costante collaborazione fra eni e Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata, oggi la villa è in parte riemersa e un’equipé di ar-cheologici stanno studiando reperti, architettura e storia della villa.Gli ingegneri eni, da parte loro, hanno studiato un modo innovativo con cui le condotte dell’oleodotto e il sito possono convivere nella stessa area senza apportare problemi né alle fondazioni della villa né alle condotte stesse.FEEM, che da tempo svolge in Basilicata attività di promozione territoriale, di divul-gazione e ricerca, ha quindi volto gli occhi a questa scoperta archeologica come ad un’opportunità ghiotta per lavorare su un’altra peculiarità del territorio lucano.Spesso, come nel caso dei lavori per la realizzazione della linea metropolitana C di Roma, attività infrastrutturali permettono di portare alla luce siti che, dopo il rilievo e la sele-zione dei reperti più importanti, vengono risotterrati perché non esistono fondi suffi-cienti al loro mantenimento.Questi siti arrivano alla gente solo su carta o, nel migliore dei casi, attraverso reperti o ricostruzioni 3D.Nel caso della villa romana di Marsicovetere, grazie all’aiuto di eni, della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Basilicata e all’apporto che la FEEM vuole dare con questa pubblicazione, si mira, non solo a riportare alla luce reperti e rovine, ma a creare pro-poste di progetto che permettano di valorizzare e rendere il sito stesso fruibile ai visita-tori. La visita diretta del sito è fondamentale perché il messaggio che emana dalle rovine arrivi forte e chiaro. Inoltre, con l’ausilio di un allestimento innovativo, quest’esperienza può diventare indimenticabile.Proprio per questo abbiamo chiesto ai ragazzi della Facoltà del Design del Politecnico

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di Milano di realizzare delle proposte di allestimento, promozione e divulgazione della villa romana.Le soluzioni emerse sono più o meno fantasiose e realizzabili, ma tutte originali.Ma quello che emerge fortemente è come, diversamente dalle disparate voci ostili, pas-sato e futuro, archeologia e energia, territorio e petrolio, possano, se ben gestiti, poten-ziarsi a vicenda, portando reciprocamente innovazione, coadiuvandosi con il fine ultimo di evidenziare le infinite potenzialità lucane e di arricchire la contemporaneità di nuove conoscenze.

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La villa romana di Barricelle tra passato, presente e futuro Soprintendenza per i Beni ArcheologiciAlfonsina Russo (Responsabile - Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise), Maria Pina Gargano

INTRODUZIONETra sviluppo e tutela: l’esempio dell’Alta Val d’Agri In Basilicata (fig. 1), nell’alta valle dell’Agri, la scoperta dei più importanti giacimenti petroliferi sulla terraferma in Europa ha determinato l’avvio, da parte di eni, della rea-lizzazione dell’Oleodotto Viggiano-Taranto, attualmente già in produzione e delle con-dotte di collegamento tra i pozzi di estrazione e il Centro Olio di Viggiano (Potenza), i cui lavori sono in fase di completamento. Preliminarmente all’avvio dei lavori, nel 1999 si è stipulato, tra eni e Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata, un proto-collo d’intesa finalizzato alla programmazione dell’attività di tutela, definendo in esso le modalità di intervento sul territorio, che si sono sviluppate, a partire da quel momento, lungo tre linee-guida fondamentali:

a. archeologia preventiva, con sopralluoghi, ricognizioni, indagini geofisiche e saggi di scavo svolti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata preliminarmente agli interventi eni;b. sorveglianza archeologica, affidata ad archeologi affiancati da operai specializzati, durante tutte le fasi di movimento terra;c. attività di scavo archeologico, coordinate sul campo da archeologi specializzati, volte ad indagare le evidenze archeologiche intercettate in fase di sorveglianza.La pianificazione programmata degli interventi ha permesso di conseguire risultati di grande rilevanza per la conoscenza e per la tutela archeologica del territorio dell’alta valle dell’Agri, che è stato esplorato in forma sistematica ed estensiva su una superficie pari a 44 chilometri quadrati. Si sono così individuati ed indagati circa 200 nuovi siti archeologici, che hanno chiarito il quadro insediativo dell’area durante il lungo periodo compreso tra la Preistoria e l’alto Medioevo.Tra questi siti, la villa romana di Marsicovetere individuata, a seguito di sorveglianza archeologica, nel luglio 2006 tra i vertici 140 e 139 della condotta ENI nel tratto “Area Innesto 2 – Centro Olio” (fig. 2).Gli esiti raggiunti sino a questo momento hanno costituito un esempio di efficace si-

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Fig. 1 - Carta geografica della Basilicata1

nergia tra Amministrazioni dello Stato e Società Private, consentendo il pieno consegui-mento di interessi pubblici di particolare e pari rilevanza: - la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale; - la realizzazione di opere strategiche d’interesse nazionale.

I. LA VILLA DELL’IMPERATRICE 2

La villa e il paesaggio antico“...segue la città di Eraclea, situata poco sopra il mare, e due fiumi navigabili, l’Akiris e il Siris ...”.Così il geografo greco Strabone (Geografia, VI, 1, 14), nel I sec. a.C., descrivendo la Lucania, presenta il fiume Agri, il fiume dall’alveo profondo, anticamente denominato Aciris, Akiris o Kyris, in lingua osca “fiume navigabile”. Il fiume (fig. 3), il secondo della Basilicata per lunghezza, dopo il Basento, e per ampiezza di bacino, dopo il Bradano, nasce sulla sella di Calvello e, dopo aver percorso l’intera Lucania, sfocia nello Ionio, dando il nome alla omonima valle.Proprio in questa fertile valle (fig. 4), nella frazione del moderno centro di Marsicove-

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Fig. 2 - La villa posizionata sulla condotta Eni

tere denominata Barricelle, ubicata sulla riva sinistra del fiume Akiris e percorsa da uno dei suoi tanti affluenti - il torrente La Molinara - e in prossimità dell’importante asse viario - la Via Herculia (fig. 5) - che in antico garantiva il collegamento dell’area con la colonia latina di Venusia e con Potentia a nord e con la vicina città romana di Grumentum a sud, i lavori eni hanno riportato alla luce, nel luglio 2006, la splendida e imponente villa romana (fig. 6).Si tratta di una villa rustica, uno di quegli impianti, sapientemente descritti dagli autori antichi (in particolare Catone, Varrone e Columella), che a partire dal II - I sec. a.C. cominciano a popolare le campagne, in concomitanza con lo sviluppo dei latifondi, al fine di facilitarne il controllo e la gestione da parte dei ricchi proprietari terrieri o dei loro fattori (actores e vilici).

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Fig. 3 - Il fiume Agri (foto N. Figliuolo - SAB)

Fig. 4 - La valle dell’Agri – panoramica da Grumento Nova (foto N. Figliuolo - SAB)

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Fig. 5 - La via Herculia

Fig. 6 - Foto aerea della villa (Di Lieto&C. S.R.L.)

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Fig. 7 - Pianta di fase della villa in età augustea

Fig. 8 - Il corpo di fabbrica orientale della villa

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La villa, che si sviluppa scenograficamente articolandosi in terrazze disposte lungo un pendio digradante verso la valle dell’Agri, è dunque da immaginare al centro di un am-pio fundus nel quale trovano posto sia i terreni destinati alla viticoltura, alla olivicoltura e alla cerealicoltura (le colture più diffuse, in valle, nell’antichità), sia i terreni destinati al pascolo, sia ampie aree boschive, destinate alla pratica della caccia (attestata dai numerosi resti di cervo e di cinghiale) e all’approvvigionamento del legname. In perfetta corrispondenza con il modello tradizionalmente noto della villa rustica, anche il nostro impianto doveva articolarsi in due partes: una pars urbana, o residenziale, riservata al padrone (il dominus), ai suoi familiari e ai suoi ospiti; una pars rustica, comprendente la residenza del fattore incaricato dal padrone di amministrare la tenuta, gli alloggi servili, le aree di servizio (cucine e depositi), le stalle, e, in quella che viene anche denominata pars fructuaria, le strutture artigianali di trasformazione dei prodotti coltivati nel latifondo. Lo scavo, condotto sino a questo momento per una estensione pari a mq 2300, ha per-messo di individuare la pars rustica e la pars fructuaria della villa e di stabilire che essa è vissuta durante il lungo periodo compreso tra l’età augustea e l’alto medioevo - dal I sec. a.C. al VII sec. d.C. - subendo, nel corso dei tempi, numerosi rimaneggiamenti e profonde trasformazioni. Il primo impianto (fig. 7), costruito su una precedente fattoria lucana vissuta tra III e I sec. a.C., si data tra l’età augustea e la prima età imperiale – tra la fine del I sec. a.C e la fine del I sec. d.C. - ed è composto da due corpi di fabbrica collegati da un ampio cortile.Il corpo di fabbrica orientale (fig. 8), solo parzialmente indagato, ospita le stalle, tre degli alloggi servili, caratterizzati dalla notevole semplicità dei rivestimenti e degli arredi interni e un ambiente (torcularium) probabilmente destinato alla produzione di olio, come lasciano supporre le strutture rinvenute al suo interno (fig. 9): due basi di torchio di forma quadrata e una lunga canaletta di scolo (con pozzetto di decantazione centrale) attraverso la quale l’olio prodotto veniva convogliato verso l’esterno per poi essere rac-colto e conservato in appositi recipienti seminterrati (dolia defossa) di grandi dimensioni, rinvenuti in numerosi frammenti nel corso dello scavo.Il corpo di fabbrica occidentale (fig. 10), completamente messo in luce, ha pianta qua-drangolare, è ampio metri 30 × 36,40 (per una estensione complessiva pari a mq 1092) e si articola intorno ad un cortile quadrato delle dimensioni di metri 9,80 × 9,80 (per una estensione complessiva pari a mq 96,04). Ad est del cortile sono ubicati, ai lati del corridoio di ingresso (vestibulum), i cubicula (camere da letto) e i triclinia (ambienti destinati

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Fig. 9 - Il torcularium

al consumo conviviale dei pasti), tutti pavimentati in cocciopesto; a nord e ad ovest tro-vano posto tre impianti produttivi. A nord l’impianto vinario (fig. 11) composto da un torcularium a pianta quadrata (all’interno del quale sono visibili le buche di alloggiamento dei pali di sostegno di un torchio a vite), da una vasca quadrata per la fermentazione del mosto (lacus - fig. 12), della capacità di 4502 litri ed internamente impermeabilizzata e da due recipienti seminterrati (dolia defossa - fig. 12) della capacità di 2000 litri ciascuno, utili alla conservazione del vino prodotto.A nord-ovest del cortile è un piccolo impianto oleario del quale si è conservata la sola vasca di raccolta e di decantazione (lacus - fig. 13), di forma rettangolare, avente capacità pari a 850 litri, completamente impermeabilizzata all’interno e munita di un profondo pozzetto di decantazione sul fondo; su un lato, una scaletta a tre gradini garantisce un comodo accesso alla struttura per i servi preposti alla sua pulizia. Alla lavorazione della lana ricavata dalla tosatura dei capi di bestiame allevati nell’ampio fundus circostante la villa rimandano le due vasche (fig. 14) per il lavaggio delle lane e alcuni oggetti rinvenuti in corso di scavo (fig. 15): i cardi in bronzo, le fusaiole (in argilla o in osso lavorato), gli oscilla, i pesi da telaio, gli aghi da cucito in osso lavorato, con-

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Fig. 11 - L’impianto vinario

Fig. 10 - Il corpo di fabbrica occidentale della villa

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Fig. 12 - Il lacus vinario e i dolia defossa

Fig. 13 - Il lacus oleario

nessi rispettivamente alle operazioni di cardatura, di filatura, di tessitura e di cucitura dei manufatti.

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Fig. 14 - Le vasche per la lavorazione della lana

Fig. 15 - Gli oggetti utilizzati per la lavorazione della lana

Domini e servi fra Augusto e gli AntoniniLe numerose attività sopra descritte sono svolte - sotto lo sguardo vigile e severo del vilicus (il fattore, di condizione servile, vero perno della gestione dell’impianto), che è alle dirette dipendenze dell’actor (il liberto che amministra la tenuta in nome e per conto del proprietario) - dalla manodopera servile alloggiata nell’impianto, che lavora con ritmi

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Fig. 16 - L’individuo vittima del terremoto

serrati e con una rigida suddivisione dei ruoli e delle competenze.Forse era proprio un servo impiegato nella tenuta lo sfortunato individuo (fig. 16) - che le analisi antropologiche hanno determinato essere un maschio dell’età di 35 anni - rinvenuto, con gli arti inferiori fortemente contratti e con il braccio sinistro sollevato verso la testa, sul pavimento di uno degli alloggi servili, coperto dagli elementi di crollo del tetto. Questo dato, unito alla particolare posizione del defunto ci induce a ritenere che costui sia stato sorpreso all’interno del vano da un evento improvviso e traumatico che ha provocato sia il crollo del tetto che la sua morte.Tale evento può identificarsi nel violento terremoto che, sul finire del I sec. d.C., distrugge la villa. Immediata è però, già agli inizi del II sec. d.C., la ricostruzione dell’impianto (fig. 17), con estrema cura architettonica. La monumentalizzazione del complesso, in questa fase, trova la sua più alta mani-festazione nell’imponente peristilio (dal greco perì = intorno e stylos = colonna ), l’ampio cortile porticato a pianta rettangolare che, a partire dal II sec. a.C., costituisce il fulcro nella domus romana; si tratta di uno spazio – che può essere anche adornato con vasche, fontane o statue - intorno al quale si dispongono gli ambienti residenziali e di rappre-sentanza della domus e nel quale il dominus trascorre i propri momenti di svago (otium) leggendo, conversando e passeggiando.

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Fig. 17 - Pianta di fase della villa in età antonina

Il peristilio della villa di Barricelle (fig. 18), dalla monumentalità paragonabile a quella dei più grandi edifici residenziali diffusi in Italia meridionale, misura metri 13,30 × 10,40 (per una estensione complessiva pari a mq 138,32), è scandito da colonne - sei sui lati lunghi e cinque sui lati brevi - in pietra calcarea lavorata poggianti su poderose basi ret-tangolari intonacate ed è abbellito, al centro, da un lussureggiante giardino con siepi e arbusti (fig. 19). L’imponenza dell’impianto è evidente testimonianza della ricchezza e del rilievo sociale dei suoi proprietari, che i rinvenimenti effettuati nel corso dello scavo hanno consentito di identificare nella potente e ricca famiglia dei Bruttii Praesentes, e, in particolare, in un Caius Bruttius Praesens, il cui nome – abbreviato nella forma CBRVTTPRAE - compare sui quattordici frammenti di tegola con bollo (nella fig. 20 gli esemplari in migliore stato di conservazione) restituiti fino a questo momento dal complesso.

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Fig. 18 - Il peristilio

Fig. 19 - Il peristilio: ipotesi di rendering 3D

I Bruttii Praesentes, che diedero i natali a Bruttia Crispina (fig. 21), donna di particolare bellezza nota alle cronache storiche come “l’imperatrice lucana”, furono una delle più importanti e ricche famiglie lucane rimaste sulla scena politica, religiosa e sociale dal I sec. a.C. al IV sec. d.C. (fig. 22).Il fondatore di tale fortuna fu il nonno di Bruttia Crispina, vissuto per oltre settant’anni dopo essere asceso alle più alte cariche della carriera militare e politica, divenendo con-sole per due volte e prefetto della città di Roma e rivestendo incarichi di prestigio in molte province occidentali e orientali dell’Impero romano (Betica, Armenia, Cilicia, Cappadocia, Mesia Inferiore, Africa e Siria). Sposo di Laberia Crispina, appartenente alla ricca e nobile gens Laberia, Caius Bruttius Praesens costruì insieme a sua moglie anche una

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Fig. 20 - Le tegole con bollo “CBRVTTPRAE”

Fig. 21 - Ritratto in marmo di Bruttia Crispina (Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme)

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Fig. 22 - Stemma dei Bruttii Praesentes (immagine tratta da Russo, Gargano, Di Giuseppe 2008, modificata)

sontuosa villa in Sabina e la arricchì di preziose statue appartenenti ad un ciclo scultoreo unico nel suo genere. Divenne amico dell’imperatore Adriano con il quale condivideva cultura e sensibilità filosofica.Il figlio Caius Bruttius Praesens, non meno importante del padre, anch’egli console per due volte, strinse rapporti di amicizia con gli imperatori Marco Aurelio e Commodo e con loro condivise le imprese della spedizione sarmatica. Fu verosimilmente in questa occasione che Marco Aurelio suggerì il matrimonio tra Bruttia Crispina e suo figlio Com-modo, intravedendo nel nuovo legame parentelare la possibilità di ampliare le proprietà degli Antonimi in territorio lucano.Il matrimonio tra la giovane Bruttia Crispina e Commodo fu celebrato nel 178 d.C.. Nel 180 d.C., quando il consorte divenne imperatore, Crispina assunse il titolo di Augusta e le vennero tributati grandi onori con emissioni monetali, dediche epigrafiche e statue che la ritraevano in veste divina. Questa nobile lucana, amata dai suoi concittadini, ebbe purtroppo vita breve. Dopo soli quattordici anni di matrimonio contrastato venne accusata di adulterio, mandata in esilio a Capri e lì fatta strangolare. Lasciò nella res imperialis degli Antonini parte di un ingente patrimonio fondiario accumulato dal nonno C. Bruttius Praesens e dal padre. Il legame della villa dei Bruttii Praesentes con la famiglia imperiale degli Antonini è ulte-riormente confermato dal rinvenimento, sulla villa, di un raro sigillo in bronzo (fig. 23)

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di forma semilunata, che reca un’iscrizione sinistrorsa in rilievo su due righe nella quale compare il nome di Moderatus, che le cronache storiche rivelano esser stato un liberto vicino all’imperatore Commodo. Possiamo dunque immaginare che costui sia stato delegato dall’imperatore, dopo il suo matrimonio con Crispina (cioè dopo che la villa era passata nel patrimonium principis) a gestire, in suo nome e per suo conto, la proprietà e ad utilizzare, in qualità di actor, il timbro imperiale per marcare documenti e/o merci.

Una epistula di Plinio il Giovane all’amico Bruttius Praesens (Ep. VII, 3)

“Dunque, sei tanto ostinato nel dimorare ora in Lucania, ora in Campania? ‘Sì’, dirai, ‘perché io sono lucano ma mia moglie è campana’. Ma questa è una buona ragione per una lunga, non per una eterna, assenza. Perché dunque non torni qualche volta in città, dove tu hai uffizi, onori e amicizie di ogni grado? fino a quando ti sveglierai quando ti piace? e dormirai quanto ti pare? fino a quando non porterai mai scarpe né toga? e vorrai avere libero il giorno intero?”

Tra la caduta dell’Impero Romano e l’avvento dei Longobardi: la “decadenza” della villaLa villa dell’imperatrice lucana sopravvive a lungo agli Antonini.Una prima fase di rioccupazione è ascrivibile alla prima età tardoantica (fra IV e V sec. d.C.), quando il peristilio viene ristretto e molti dei materiali architettonici di gran pregio come i semirocchi di colonna vengono riutilizzati in nuove costruzioni.Fra la fine del VI e gli inizi del VII sec. d.C., poi, la storia della villa si incrocia con quella dei Longobardi. I signori “dalla lunga barba”, i mitici discendenti del dio Odino, di stirpe germanica, provenienti dalla Pannonia e giunti in Italia nel 569 d.C., si spingono infatti, nel corso delle loro peregrinazioni, fino al sud della nostra penisola, raggiungendo anche l’alta valle dell’Agri.In questa fase (fig. 24) la villa viene sottoposta ad una pesante e sistematica spoliazione dei suoi arredi e rivestimenti più preziosi e, mediante costruzione di muri divisori, aper-tura di nuovi ingressi, chiusura di vecchi accessi, subisce profonde trasformazioni nella organizzazione degli spazi nonché, in alcuni casi, una loro defunzionalizzazione ed una ridefinizione della loro destinazione d’uso: alcuni vani vengono abbandonati; altri – un tempo residenziali – divengono spazi comuni destinati alla macellazione e alla cottura dei cibi o spazi artigianali (fig. 25), che ospitano strutture funzionali alla produzione di calce e alla fusione dei metalli; in altri ambienti si obliterano le strutture artigianali preesistenti e nei nuovi spazi così ottenuti si ricavano delle unità abitative per singoli nuclei familiari (fig. 26), dotate di pavimenti in terra battuta e di focolare centrale.

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Fig. 23 - Sigillo in bronzo (foto N. Figliuolo - SAB)

Fig. 24 - Pianta di fase della villa tra tardoantico e altomedioevo

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Fig. 25 - Le strutture artigianali di fase tarda: calcara, vasca, forno fusorio

Fig. 26 - Alcuni ambienti di fase tarda: ipotesi di rendering 3D

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E’ probabile che la funzione residenziale della villa sia stata, in questo momento, trasferita in un’altra area. Numerose (fig. 27) sono, comunque, le attestazioni dell’elevato livello sociale dei suoi proprietari nella tarda età tardoantica (appartengano essi o no all’etnia longobarda): pettini in osso lavorato ed inciso; fibule in bronzo, alcune delle quali riproducenti pavoni e cavalli al trotto; anelli digitali in bronzo, tra cui uno con chrismòn; spilloni fermamantello in argento e in bronzo.Dopo l’età tardoantica, la villa continua ancora a vivere. In età altomedievale (VII – VIII sec. d.C.), infatti, alcune zone vengono occupate da un vil-laggio a capanne. In particolare, nell’angolo orientale dell’impianto, sfruttando parzialmente due muri superstiti di primo impianto e sostenendo la parte restante dell’elevato con pali li-gnei (per il cui alloggiamento sono funzionali le buche di palo rinvenute in corso di scavo) si costruisce una piccola capanna (fig. 28) davanti alla quale è un focolare di forma circolare. Numerose le sepolture che attestano della più tarda – e sporadica – fase di frequentazione dell’impianto ormai prossimo all’abbandono, tutte realizzate intaccando i più tardi strati di crollo dei vani o riutilizzando – e distruggendo parzialmente - strutture, strati di vita e rivestimenti preesistenti.Tra di esse, molte tombe infantili, come quella a fossa (fig. 29), forse collegata alla capanna altomedievale, che accoglie i resti di un bambino deposto supino con una brocchetta infissa verticalmente vicino alla testa.Di particolare interesse sono le due sepolture rinvenute nell’angolo sud dell’impianto (fig. 30) e forse pertinenti ad una giovane madre e al suo sfortunato bambino: una tomba alla cappuccina che conteneva i resti di una donna sepolta in posizione supina e con un bracciale in bronzo infilato al polso; una tomba a fossa contenente i resti ossei di un bambino molto piccolo (forse un infante) e segnalata all’esterno da un mattone su cui è impressa una croce latina e da una brocchetta infissa verticalmente nel terreno e molto probabilmente utilizzata per la pratica del rituale cristiano del refrigerium.Tutte le tombe rinvenute sulla villa sono monosome, ad eccezione di una, bisoma (fig. 31), ubicata nell’angolo orientale del complesso, nei pressi del forno fusorio; al suo interno, i resti di due individui – forse due adolescenti – deposti sul pavimento in cocciopesto di età augustea in posizione supina, l’uno a fianco all’altro, con la testa dell’uno posata sulla spalla sinistra dell’altro.A partire dall’altomedioevo, una spessa coltre di terreno ricopre i resti della lunga e gloriosa storia della villa dei Bruttii Praesentes.

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Fig. 27 - I materiali di fase tarda: pettine in osso; anello in bronzo; fibule in bronzo, spilloni ferma-mantello in bronzo e in argento

Fig. 28 - La capanna altomedievale: ipotesi di rendering 3D

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Fig. 29 - Tomba infantile

Fig. 30 - Tomba alla cappuccina e tomba a fossa nell’angolo sud dell’impianto

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Fig. 31 - Tomba bisoma

II. IL MICROTUNNEL SOTTO LA VILLA: UN ESEMPIO DI SINERGIA TRA ARCHEOLOGIA ED ENERGIALa necessità di salvaguardare il complesso archeologico e, contemporaneamente, di completare, senza modificarne il percorso originario, la condotta di collegamento tra i pozzi di estrazione e il Centro Olio di Viggiano, ha portato alla elaborazione, da parte di eni, di un ambizioso ed imponente progetto consistente nella realizzazione, previa trivellazione, di un microtunnel – entro cui alloggiare la condotta – passante al di sotto della villa (fig. 32).Approvata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la trivellazione è stata effet-tuata da eni per mezzo di una macchina operatrice (fig. 33) dotata di un sistema di per-forazione a testata direzionale (detta anche “a scudo aperto”), con possibilità di guida e controllo automatico a laser della direzione di infissione. La macchina ha operato al di sotto di una quota di rispetto stabilita, a seguito di saggi di verifica, dalla Soprintendenza al fine di salvaguardare la sicurezza e la stabilità delle evidenze archeologiche in situ.Le operazioni di trivellazione si sono svolte tra ottobre 2009 e marzo 2010.All’interno del microtunnel - lungo circa 80 metri e del diametro pari a 3 metri - sono

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Fig. 32 - La realizzazione del microtunnel: foto aerea villa con indicazione zona di ingresso e zona di uscita microtunnel (Di Lieto&C. S.R.L., modificata)

Fig. 33 - La macchina trivellatrice: un particolare (foto DIME eni)

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stati alloggiati: 5 condotte per il trasporto di idrocarburi (una condotta da 12”, due da 8” e due da 6”); 2 cavi elettrici di media tensione; 2 fibre ottiche e cavi di controllo.

III. IL PROGETTO DI RECUPERO, DI VALORIZZAZIONE E DI FRUIZIONE DELLA VILLALa straordinaria rilevanza scientifica della villa romana di Marsicovetere ha portato alla elaborazione, da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata, di un progetto finalizzato al recupero, alla valorizzazione e alla fruizione dell’impianto. Il progetto, presentato ad eni nel luglio 2008, è stato approvato tramite sottoscrizione, tra eni e Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in data 18/10/2011, di un protocollo d’intesa.

Le attività necessarie al recupero, alla fruizione e alla valorizzazione del sito sono state suddivise in due lotti: - LOTTO A, che riguarda il recupero, la valorizzazione e la fruizione delle evidenze archeologiche messe in evidenza a partire dal luglio 2006 (data di inizio dell’attività di scavo); - LOTTO B, che riguarda il prosieguo delle indagini archeologiche nell’area.

Nel LOTTO A rientrano alcune attività più propriamente tecniche, quali: espropri dei terreni utili a realizzare il progetto; delimitazione e messa in sicurezza dell’area; sistemazione degli accessi; individuazione e sistemazione delle aree di sosta e di parcheg-gio; realizzazione di un impianto di segnaletica; consolidamento e restauro delle strutture scavate (strutture murarie, rivestimenti parietali e pavimentali); distacco delle unità strati-grafiche di rivestimento; creazione di un bookshop che sia anche struttura di accoglienza per i visitatori; restauro, catalogazione ed elaborazioni grafiche dei materiali rinvenuti; analisi paleobotaniche e paleozoologiche; edizione scientifica dei dati raccolti; realiz-zazione di un supporto multimediale in 3D che consenta un viaggio virtuale all’interno del complesso; campagna promozionale utile a pubblicizzare l’impianto a livello re-gionale, nazionale ed internazionale.Si affiancano a queste attività le proposte finalizzate alla restituzione di alcuni degli am-bienti scavati mediante ricostruzione degli elevati (simulati con strutture leggere), delle coperture e di alcuni arredi. La ricostruzione delle antiche strutture sarà realizzata entro i due blocchi denominati δ ed ε (fig. 34).

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Fig. 34 - Il progetto di recupero, di valorizzazione e di fruizione: ubicazione dei blocchi δ ed ε da sot-toporre a ricostruzione

L’attività di ricostruzione prevederà, per gli elevati, l’utilizzo di strutture reticolari rivestite in policarbonato estruso REI 90/120 modellato o in altro materiale; i materiali di rivestimento degli elevati e delle coperture sono da definirsi in fase di esecuzione.La prima ricostruzione interesserà il blocco δ, nella zona nord dell’impianto. Al suo interno si ricostruirà un’area a vocazione artigianale che occuperà i due ambienti comunicanti (l’ambiente 19, a pianta quadrata, e l’ambiente 46, a pianta rettangolare) en-tro i quali è venuto alla luce un impianto vinario composto da un lacus, da due dolia e da una zona di premitura nella quale sono visibili, realizzate nel pavimento in cocciopesto, le buche funzionali all’alloggiamento di pali per il torchio a vite.All’interno dei suddetti ambienti si procederà dunque alla ricostruzione del torchio a

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vite, al restauro e alla copertura del lacus di forma quadrata e al restauro dei due dolia in cui l’olio veniva stoccato. Le coperture degli ambienti simuleranno tetti ad una falda o a doppio spiovente, realiz-zati con capriate in legno rivestite da laterizi (tegole e coppi) rinvenuti in corso di scavo e riutilizzati. La seconda ricostruzione interesserà il blocco ε, nella zona a sud-est del peristilio e nell’angolo nord di questo.Al suo interno, nella zona sud-est del peristilio si ricostruiranno alcuni degli ambienti residenziali del complesso, ed in particolare un cubiculum ed un triclinio.Il cubiculum, da identificarsi con l’ambiente 10, a pianta quadrata, sarà arredato con un letto con struttura lignea, con un tavolino da utilizzare come base di appoggio, con scaf-fali in legno alle pareti, con lucerne utili all’illuminazione del vano posate su appositi sostegni.Il triclinio, da identificarsi con l’ambiente 9, a pianta rettangolare, sarà arredato con ban-coni in legno che corrono su tre lati; al centro, un tavolino rotondo da utilizzarsi come piano di appoggio.Entrambi gli ambienti saranno coperti con tetti ad una falda o a doppio spiovente, realiz-zati con capriate in legno rivestite da laterizi (tegole e coppi) rinvenuti in corso di scavo e riutilizzati. Nel blocco ε rientra anche la ricostruzione dell’elevato dell’angolo nord del peristilio, scelto sia per l’ottimo stato di conservazione delle strutture antiche emerse, sia perché le attività di ricostruzione in questo punto potranno sfruttare l’alzato del contiguo blocco δ.Del peristilio verrà ricreata la originaria struttura composta da basi rettangolari sormon-tate da colonne in pietra calcarea. L’ottimo stato di conservazione delle basi non rende necessaria una loro ricostruzione ex novo, ma solo un restauro conservativo dell’esistente ed un ripristino degli intonaci di rivestimento; si dovrà invece provvedere alla ricostru-zione delle colonne, riutilizzando alcuni dei semirocchi rinvenuti durante l’attività di scavo.Il giardino che occupava l’interno del peristilio sarà ricreato con un importante inter-vento di ingegneria naturalistica, mediante ripiantumazione sperimentale di piante ed in-fiorescenze tipiche dell’età antonina (epoca cui il peristilio rimanda), al fine di ricostruire fedelmente l’originario paesaggio.La zona del portico compresa tra peristilio e area produttiva racconterà la vita quotidiana

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delle donne del passato, attraverso le attività di cardatura, filatura e tessitura. A tal fine verrà ricostruito un telaio in legno, corredato dai 64 pesi che ne rendevano possibile l’utilizzo; cardi, fusi e una conocchia saranno appesi alle pareti e un cesto contenente la lana filata in gomitoli sarà collocato nei pressi del telaio. Un teatro digitale 3D riprodurrà una filatrice e una tessitrice impegnate nel proprio lavoro.Otto percorsi tematici, corredati da un ricco apparato didascalico, si snoderanno, su supporti appositamente costruiti, all’interno della villa accompagnando il visitatore alla sua scoperta. I percorsi avranno come oggetto: il petrolio ieri e oggi; i terremoti nell’antichità; le attività produttive praticate all’interno dell’impianto; l’allevamento del bestiame; l’otium del dominus; i Bruttii Praesentes; la proprietà fondiaria nell’antichità; le tecniche edilizie nell’antichità. Un teatro digitale 3D consentirà al visitatore giunto nel triclinio di “partecipare”, insieme al dominus e ai suoi ospiti, ad un vero convivio, e poi di rilassarsi passeggiando nel peristilio, tra siepi e arbusti odorosi.Sarà poi la stessa imperatrice Crispina (mediante sistema oloface, basato su immagini bidi-mensionali) ad accogliere all’ingresso della propria residenza i visitatori, prendendo vita al loro avvicinarsi e raccontando loro la propria storia e la storia della villa. Una particolare attenzione sarà prestata alla didattica, per le scuole di ogni ordine e grado, tramite la creazione di un personaggio-mascotte, di giochi interattivi e di attività educative e di intrattenimento che abbiano per oggetto la storia della villa.

Il LOTTO B del progetto prevede il prosieguo delle indagini archeologiche nell’area cir-costante il complesso, sì da definirne la complessiva estensione e la precisa articolazione planimetrica.Due le tipologia di intervento previste: - ampliamenti dell’area scavata (fig. 35), sia lungo il versante occidentale (zona “B1”), sia lungo il versante meridionale (zona “B2”); - impostazione di n. 4 saggi di verifica (fig. 36) due dei quali nella zona a nord dell’impianto (zona “C1”) sin qui scavato e due nella zona a sud (zona “C2”), dove le prospezioni magnetometriche effettuate nell’agosto 2010 dall’Università degli Studi di Verona hanno messo in evidenza interessanti tracce di antropizzazione probabilmente collegabili alla villa.

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Fig. 35 - Il progetto di recupero, di valorizzazione e di fruizione: ubicazione delle aree di ampliamento dello scavo

Finalità del progetto di recupero, di valorizzazione e di fruizioneIl progetto di recupero, di valorizzazione e di fruizione della villa romana di Barricelle nasce dalla volontà di rendere noto ed accessibile al grande pubblico uno dei più impor-tanti e monumentali complessi rurali di epoca romana rinvenuti negli ultimi anni in Italia meridionale.La realizzazione del progetto consentirà di restituire al comprensorio dell’alta valle dell’Agri una parte importante della propria storia e di arricchire ulteriormente il suo straordinario patrimonio storico-archeologico, con evidenti ricadute sullo sviluppo cul-turale del territorio, sulla sua crescita e sul potenziamento della sua offerta turistica.Il sito di Barricelle andrà infatti ad inserirsi nel già ampio ed articolato sistema turistico-culturale dell’alta val d’Agri che comprende il Parco Archeologico dell’antica città romana di Grumentum, il Museo Archeologico Nazionale dell’Alta Val d’Agri di Grumento Nova (PZ), il Museo dell’Arpa e il Museo del Lupo di Viggiano (PZ)e il Parco Nazionale della

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Fig. 36 - Il progetto di recupero, di valorizzazione e di fruizione: ubicazione dei saggi di verifica

Val d’Agri, con i suoi percorsi eco-ambientali, storico-archeologici ed enogastronomici.Inoltre, l’adozione delle più moderne e sofisticate tecnologie digitali consentirà di far parlare alla villa un linguaggio contemporaneo e al passo con i tempi, trasformandola in un contenitore interattivo: rivivranno - nei suoni, negli odori, nei colori - gli ambienti e i

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personaggi che in antico popolavano l’impianto, con i quali il visitatore potrà interagire, divenendo, in tal modo, soggetto attivo della visita.Obiettivo di questa più moderna modalità di fruizione del sito è attrarre, oltre agli inter-locutori di sempre – gli studiosi, gli appassionati e i cultori dell’arte, dell’archeologia e della storia- nuovi fruitori, anche molto giovani e, in quanto tali, desiderosi di sperimen-tare nuove modalità di raccontare e di vivere la storia antica.Il progetto di valorizzazione della villa di Barricelle diviene in tal modo anche espres-sione di una nuova visione dell’archeologia, capace di proporsi non solo come scienza storica dell’Antichità fondata sulla ricerca, sulla scoperta e sulla interpretazione dei dati, ma anche come scienza capace di attualizzare quei dati, di comunicarli in forme sempre più moderne e di condividerli con un pubblico sempre più vasto, creando così un ponte tra passato e presente.In quest’ottica di apertura e di ricerca di forme di comunicazione sempre nuove e sem-pre più stimolanti, si inserisce la partecipazione al workshop organizzato nel dicembre 2010 dalla FEEM presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano ed avente come obiettivo la elaborazione di proposte di un allestimento sostenibile per la valorizzazione della villa di Barricelle.

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Note1_Se non diversamente specificato, le figure sono da considerarsi elaborate ed ottimizzate dalla dott. M.P. Gargano.2_La villa è stata sottoposta ad indagine archeologica a partire dal luglio 2006, sotto la direzione scientifica della dott. A. Russo (Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale) e della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata, dal 2009 diretta dal dott. A. De Siena.Per la grande attenzione e per la preziosa collaborazione, si ringraziano l’Ing. R. Gheller, l’Ing. P. Carnevale e l’Ing. G. Massari del Distretto Meridionale (DIME) eni con sede in Viggiano (PZ).L’indagine è ancora in corso al momento della elaborazione del presente contributo; tutti i dati qui presentati sono dunque da intendersi come parziali e rivedibili. Una preliminare notizia relativa allo scavo della villa tra luglio 2006 e dicembre 2007 è in: A. Russo, M.P. Gar-gano, H. Di Giuseppe (con appendice di Marco Mucciarelli, Marcello Bianca, Domenico Liberatore, Michela Iaria), Dalla villa dei Bruttii Praesentes alla proprietà imperiale. Il complesso archeologico di Marsicovetere – Barricelle (PZ), in «Siris - Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera» 8, 2007, pp. 81-119.La direzione delle indagini archeologiche sul campo è affidata alla dott. Maria Pina Gargano. Una squadra di operai specializzati e qualificati – i sigg. L. Chowdary, D. Colonna, D. Di Grazia, G. Giordano, N. Marisasco, R. Moliterno, G. Pasquariello, V. Petrosino, V. Senatore, R. Pisciottani, C. Tummillo – fornita dalla ditta Samoa Restauri S.r.l. opera sul cantiere. Il coordinamento della sicurezza sul luogo di lavoro e la risoluzione delle quotidiane problematiche di cantiere sono affidati all’Arch. R. Torzillo della C. Engineering. I rilievi tipografici sono elaborati dai geometri G. Beningasa, D. De Maria, S. Latorraca, V. Marinelli della C. Engineering.Per il fondamentale apporto prestato nella elaborazione del rendering 3D si ringraziano l’Ing. A. De Lorenzo (per la fase precedente) e il geom. G. Beningasa (per la fase attuale). La documentazione grafica - piante di strato, piante di fase, rilievi di unità stratigrafiche murarie, di deposizione e di rivestimento – è prodotta dalla dott. M. P. Gargano. La digitalizzazione della documentazione grafica è affidata al dott. A. Pellegrino.Il restauro dei reperti particolari si deve a L. Cappiello, A. Pace, I. Trombone, V. Scannone, della Soprinten-denza per i Beni Archeologici della Basilicata – sedi di Potenza e di Grumento Nova (PZ).Le fotografie di scavo sono della dott. M. P. Gargano.Le fotografie dei reperti restaurati sono state realizzate da N. Figliuolo e C. Tedone della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata – sede di Potenza.I materiali rinvenuti in corso di scavo sono oggetto di studio da parte di una équipe composta da: dott. A. At-tolico (ornamenti personali in bronzo); dott. G. Baldacchino (materiali in osso); dott. A. Bruscella (materiali in ferro); dott. S. Catacchio (materiali in vetro); dott. H. Di Giuseppe (materiale ceramico, instrumentum domesticum, materiale epigrafico); dott. M.P. Gargano (materiale numismatico).

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L’archeologia nell’ipercontemporaneità Un nuovo progetto per la fruizione dei beni del passatoGiacomo Miola

Il mondo del progetto, per l’archeologia, ha costituito e costituisce uno strumento in-dispensabile per la conservazione, comunicazione e valorizzazione dei beni rinvenuti. L’analisi e la documentazione di questi ultimi, in archeologia, si è spesso avvalsa della tecnica del rilievo, attività spesso praticata da figure capaci di coniugare capacità di rap-presentazione a conoscenze tecniche. Nel XVIII secolo ad esempio, l’opera del Piranesi, realizzata intorno alla sua capacità di fondere in un giusto mix le doti di architetto, in-cisore, scenografo, acquafortista e teorico dell’architettura, rappresenta uno dei più ricchi e importanti contributi alla conoscenza che viene dall’archeologia. Egli è uno dei primi a intuire che il sistema di rappresentazione associato ad una narrazione possa giocare un ruolo centrale nei processi di comunicazione e comprensione della storia. In quel momento storico, caratterizzato dall’interesse sempre più crescente nei confronti dell’antico, l’esperienza del Piranesi rappresenta uno dei più validi contributi alla mu-seografia e al plasmarsi di quel nuovo concetto. Oggi, possiamo in generale definire la museografia moderna, quella scienza che si occupa dell’organizzazione (materiale) dei luoghi espositivi, nelle modalità e nelle forme previste dai vari approcci che il progettista (il museografo), sceglie di adottare. Una prassi che ha perlopiù visto nell’architettura un medium fondamentale per operare la cosiddetta musealizzazione di un dato luogo.D’altro canto, i musei storici e archeologici, soprattutto in Italia, pensati come luoghi sicuri per conservare i ritrovamenti e spesso ubicati in edifici pre-esistenti, hanno nella maggior parte dei casi privilegiato una lettura pedagogica o didattica dei reperti in essi contenuti. Celebri e celebrati allestimenti come quelli di Scarpa e Albini, per quanto labirintici e semanticamente ricchi, operano complessivamente una modificazione dello spazio, spesso animati da uno spirito e da un’energia antitetica a quello del materiale esposto.Oggi il ruolo dei cosiddetti sotto-sistemi dell’architettura, come l’exhibit design, occupaun ruolo di assoluta centralità nel funzionamento complessivo della città contempora-nea. Per Andrea Branzi “lo stato di schizofrenia del mondo progettato apre la possibilità di approfondire finalmente lo statuto dell’architettura, non più come arte del costruire, ma come pensiero conoscitivo complesso e mutante, che non fa più riferimento all’unità (impossibile) delle tecnologie e dei linguaggi”, e che “questa condizione operativa del

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tutto nuova nella storia, trova le sue più grosse difficoltà d’applicazione nel confronto tra il mondo virtuale e the solid side, cioè il lato costruito della realtà”. In ciò, il nuovo progetto del mondo allestito, a confronto con l’antico, rimane favorevolmente impre-gnato da un livello di praticabilità del nuovo - basato sull’effimero - che difficilmente risulterebbe praticabile con i metodi tradizionali dell’architettura. Lucio Altarelli, nella sua Light City, descrive la leggerezza degli allestimenti come quella caratteristica fondamentale “attraverso la quale l’architettura rivendica e sperimenta maggiori gradi di libertà nella pratica del progetto”.Il design e l’arte contemporanea, oggi, giocano un ruolo da protagonisti nel processo di messa in scena di beni archeologici, soprattutto se questa messa in scena avviene nel luogo stesso del rinvenimento. Queste discipline, caratterizzate da una vocazione alla sperimentazione, sono infatti capaci di introdurre un ulteriore livello narrativo, di evocare, di mettere in luce quelle relazioni che il ritrovamento instaura e instaurava con quel luogo. Nicolas Bourriaud in Estetique Relationelle asserisce che “non c’è forma se non nell’incontro, nella proposizione dinamica che una proposizione artistica intrattiene con altre formazioni, artistiche o meno”. Coinvolgere l’arte contemporanea, nel processo di fruizione di beni del passato fa sì che le opere, le installazioni, una volta messe in mostra, siano in grado di attivare una serie di cortocircuiti che riguardano sia le relazioni che si creano tra i singoli oggetti, sia quelle che a loro volta instaurano con l’ambiente circostante. Ne è un esempio a riguardo, l’opera di Jannis Kounellis realizzata nell’ambito della manifestazione La città in piazza nel 1996 a Napoli, nella quale l’artista mette in sospensione sotto il portico di Piazza del Plebiscito, vecchi mobili, tra cui comodini, credenze, creando una condizione inedita che mette quel vissuto al centro della scena già di per se storicizzata. Oppure Mario Merz che nel 2003, realizza a Roma una delle sue ultime opere, srotolando una lunga spirale al neon tra le rovine del foro di Cesare del I secolo a.C., caricandole di una energia propulsiva quanto mai inedita, agli occhi stupefatti del pubblico assiepato sul ciglio della sovrastante Via dei Fori Imperiali.Il grosso valore di questo tipo di interventi sta senza dubbio nella spiccata capacità far convivere in una nuova armonia passato e presente. La rovina secondo Marc Augè, è l’unica in grado di svelare questo ossimoro perchè essa “è il tempo che sfugge alla storia, un paesaggio, una commistione di natura e di cultura che si perde nel passato ed emerge nel presente come segno senza significato, o, per lo meno senza altro significato che il sentimento del tempo che passa e che dura contemporaneamente”.In questo scenario lo spettatore è in grado di prendere coscienza della storia ponendo

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se stesso in una condizione che definiremmo di ipercontemporaneità. Un luogo privile-giato, capace di essere al centro e allo stesso tempo in disparte dalla scena, in cui sia pos-sibile ritrovare quella dimensione soggettiva nel confronto con la storia. Una dimensione che forse lo stesso Piranesi aveva già sapientemente intuito più di due secoli fa, ponendo un’inedita e originale narrazione al centro del processo di fruizione della storia.

I lettori di rovineCaterina Verrone

“Un’opera d’arte rappresenta sempre un pezzo di divenire immobilizzato, o un’emanazione del tempo passato”.(1)

La rovine archeologiche e gli oggetti rinvenuti sono simili alle opere d’arte, in quanto anche loro emanano la storia di cui sono stati testimoni. Ciò che questi luoghi e questi oggetti comunicheranno agli osservatori non sarà sempre uguale. Ciascuno di noi vi proietta il proprio vissuto, la propria esperienza di vita, le proprie emozioni, le proprie aspettative e anche la propria cultura.

“Ogni ritorno al passato - sia esso un sogno, la lettura di un libro, la visita di uno scavo archeologico o di un museo - presuppone sempre una mediazione.”(2)

Ciò che comunque rimane simile nella relazione fra rovine e fruitore è molto ben espres-so da Marc Augè in Rovine e macerie. Il senso del tempo.(3)

Le rovine sono in un rapporto emozionale fortissimo con il fruitore “[…] perché esse ci fanno fugacemente avvertire una distanza fra senso passato, scomparso e una percezione di attuale, incompleta. La percezione di questo scarto fra due incertezze, fra due incom-piutezze, è la ragione essenziale del nostro piacere, […] […] Le rovine esistono attraverso lo sguardo che si posa su di esse. Ma fra i loro molte-plici passati e la loro perduta funzionalità, quel che di esse si lascia percepire è una sorta di tempo al di fuori della storia a cui l’individuo che le contempla è sensibile come se lo aiutasse a comprendere la durata che scorre in lui. […] […] Il tempo puro è questo tempo senza storia, di cui solo l’individuo può prendere coscienza e di cui lo spettacolo delle rovine può offrirgli una fugace intuizione […] Quasi si trattasse di una sorta di Sindrome di Stendhal, l’osservatore si trova catapultato in una realtà nuova non definibile, che ha in sé tutto e niente, che non ha spazio né tempo o forse ha in sé infiniti spazio-tempo.

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L’atemporalità che può generare l’esperienza archeologica è forse ciò che Augè chiama tempo puro ed è alla base del senso di spaesamento che è tipico dell’area archeologica.

Note1_ G. KUBLER, La forme del tempo. La storia dell’arte e la storia delle cose, Einaudi, Torino 1976, Op.cit. pag.282_ G. CAPASSO della Capware, http://www.capware.it/libro.htm3_ M. AUGE’, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri,Torino 2004

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Tracce

Alessandro Biamonti

Non credo che dipenda dal fatto che la mia professione abbia a che fare con il progetto, credo che questo capiti a tutti, ma rimango sempre profondamente colpito quando mi trovo di fronte ad un reperto archeologico, ovvero di fronte a queste tracce materiali lasciate da una tecno-società, per utilizzare il termine coniato da Bruce Sterling, che ci ha preceduto di migliaia di anni. Sotto un profilo culturale, emerge un nesso fortissimo tra un pettine di osso della Roma antica ed un iPhone4 in vetrina oggi. Ovviamente sono cambiate tecnologie, suppor-ti, funzioni, ma il nostro rapporto con gli oggetti, in una dimensione antropologica, è sostanzialmente rimasto lo stesso. Un rapporto che si basa sul loro essere superflui e utili al tempo stesso. Superflui in quanto l’uomo, come componente del mondo animale, potrebbe essere sufficiente a se stesso, seppure con evidenti limiti. Utili in quanto, con la loro progettazione e produzione, gli oggetti costituiscono una componente fondamen-tale del nostro abitare il pianeta. Senza di loro l’uomo infatti risulterebbe estremamente fragile ed indifeso. Il millenario sodalizio tecno-antropologico dell’uomo con i propri artefatti, ha messo in luce come questa loro presenza, pulviscolare ma massiccia, costituisca una sorta di liquido amniotico che garantisce la vita dell’uomo in un ambiente che potrebbe invece essergli per natura ostile.La presenza quasi animista degli oggetti nella vita degli uomini, nella loro quotidianità, risulta con grande evidenza nella cultura dell’antica Roma. Gli oggetti erano infatti con-siderati come un ulteriore livello di abitante della domus, come entità semi-viventi, grazie anche ai diffusi elementi zoomorfi che li connotavano. Elementi zoomorfi, a volta anche antropomorfi soprattutto con abbondante presenza di simboli sessuali legati alla fecon-dità, che connoteranno per secoli gli oggetti domestici. Proprio questi simboli, questi riferimenti, ci fanno comprendere come, nella cultura del nostro Paese, la funzione degli oggetti non sia mai stata univocamente e meramente strumentale, ma quasi sempre arric-chita da altri livelli di lettura antropologica, quindi sociale, culturale, mistica, etc. Subendo profondi assestamenti innanzitutto a seguito dell’avvento del cristianesimo, che ne ha profondamente ridimensionato l’aspetto animista e politeista, fino allo scontro diretto con la visione della Modernità.

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Nell’attuale fase di superamento della Modernità, siamo di fronte a radicali trasforma-zioni, rispetto ai nostri rapporti con il mondo costruito, a varie dimensioni, compresa ovviamente la semiosfera degli oggetti. Cerchiamo nuovi paradigmi, e l’esperienza di Barricelle di Marsicovetere potrebbe essere paradigmatica sotto più punti di vista. In primo luogo il Rinvenimento, quindi le tracce e la memoria di qualcosa che ci ha pre-ceduto di millenni. Di per sé interessante e ricco di stimoli, seppure nel nostro Paese la presenza diffusa di “resti romani”, ed il modo in cui sono stati gestiti, ha ormai trasfor-mato questa “fortuna” in una sorta di “pericolo” da evitare, questo “regalo della storia” in un “freno allo sviluppo”. Poi il Confronto, connotato da rispetto reciproco, tra le differenti esigenze del passato e del presente. Infatti l’oleodotto, grazie ad uno sforzo di ingegneria, vira e passa oltre i resti senza interferire con loro, ma anche senza esserne interrotto. Ora il Progetto, per comprendere come questo confronto, questa convivenza tra passato e presente, possa anche avere, o generare, un futuro. Sul tema è interessante citare Et-tore Sottsass, il quale raccontava di come, per cercare spunti, guardasse le riviste di moda “dove la vita germinava” o i cataloghi di archeologia “dove la vita era , finita, congelata, cristallizzata”.E sul progetto accettiamo scommesse. Perché è su questo che vale la pena scommet-tere. C’è un pezzo di storia che per secoli ha dormito sottoterra, pronta a raccontare le vicende, gli usi, la vita che si svolgeva secoli fa in quel luogo. C’è una grande risorsa energetica che va gestita con cura ed attenzione, anche perché non è rinnovabile. C’è un altro tipo di energia, che viene dai progetti per rendere fruibile il lotto con i resti. Per im-maginare e progettare un altro futuro, connesso a nuove reti, per questo territorio, per i suoi abitanti e per nuovi visitatori. Nel progettare un altro futuro per un pezzo di storia, capiterà di certo di chiedersi cosa, ed in quale forma, questa nostra tecno-società digitale lascerà nei secoli.

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L’infotecnologia a supporto del racconto dell’antico

Matteo Bernecoli

La tecnologia o la tecnica in un sito archeologico o bene culturale, se ben realizzate nell’allestimento, nel tempo possono assumere funzioni ben lontane allo scopo per il quale esse sono state pensate.

“Un ponte costruito dai romani é frutto di un patrimonio ingegneristico ed architettonico ben diverso da quello degli ingegneri civili moderni, ed esso può adempiere a scopi sociali molto più vasti e possenti di quelli a cui adempivano i ponti romani, pur già capolavori dell’ingegneria del mondo di allora.”(1)

In questo senso si potrebbe considerare che così come per i ponti romani, anche le tecnologie informatiche possono essere segno culturale, progettazione a supporto del passaggio antropologico della comunità turistica.Per esempio un buon allestimento museale, espressione delle potenzialità tecniche e del gusto estetico di un dato periodo, può diventare testimonianza del modo di progettare di un determinato periodo temporale (zeitgeist-design). L’allestimento di Castelvecchio di Carlo Scarpa né è un caso emblematico. Inizialmente l’intervento del progettista si va a sovrapporre e a stratificare ai resti del castello come elemento per riimpaginare gli e-lementi museali che andranno esposti nell’allora nuovo e contemporaneo layout museale, efficiente dispositivo per aumentare la fruizione. Col tempo il lavoro di Carlo Scarpa si é rivelato esso stesso nuovo elemento museale; addirittura un layer-elemento di storia dell’allestimento, permeato dello stile proprio del progettista e figlio del modo proget-tuale degli anni ‘50-60, congelato nel tempo.La tecnologia può essere vista come una protesi che aiuta ad amplificare i sensi, ed andare aldilà della didascalia e della ricostruzione virtuale del sito. Così come succede nel MAV - Museo virtuale di Ercolano(2): qui é possibile esperire delle installazioni dagli effetti multisensoriali ed interattivi in un luogo (un museo) chiuso in un edificio non integrato al sito, ma staccato da esso.Un contemporaneo allestimento tecnologico può invece integrarsi al bene culturale, an-dando a sostituire le rigide didascalie. Esso é basato su info-modelli aggiornabili e protesi per raccontare ed aumentare la realtà degli elementi esposti. Verrebbe da pensare che, dopo qualche anno per la legge dell’obsolescenza pianificata(3) e

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per il naturale evolversi delle tecnologie(4) l’allestimento sarà divenuto obsoleto. Ma un info-allestimento ben ideato da progettisti qualificati volti alla sperimentazione, potrebbe rischiare esso stesso di rimanere congelato nella storia per essere riletto come layer-elemen-to di Zeitgeist-design degli anni ‘10.E’ necessario assumere l’assioma che non é vero che la info-tecnologia non si sposa bene ai ruderi di un sito archeologico ed é obsoleta, ma essa può essere aggiornabile nel software e rimanere fossilizzata nell’hardware. Sarebbe come avere il piacere di possedere ancora il commodore 64 o un vecchio IBM a dischi 5’’ ¼ e schermo verde, elemento di retro-computing da esibire.L’intervento di eni sul sito archeologico di Marsicovetere, primo esperimento di convi-venza fra tecnologia dell’energia e archeologia, nel futuro potrebbe diventare esso stesso un resto di archeologia industriale degli anni ‘10 e diventare layer-elemento da esibire, carat-terizzando ed identificando il sito nella sua unicità.

Note1_ GIULIO SAPELLI, Un racconto apocalittico Dall’economia all’antropologia, Editore Bruno Mondadori, Milano 20112_ http://www.museomav.it/index1.html3_ BROOKS STEVENS4_ GORDON MOORE, Prima legge di Moore: ”Le prestazioni dei processori, e il numero di transistor ad esso relativo, raddoppiano ogni 18 mesi.”

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L’allestimento come strumento di valorizzazione storica e territoriale

Angela Ponzini

Il workshop tenutosi presso la Facoltà di Design del Politecnico di Milano, ha visto gli studenti confrontarsi con l’entusiasmante rinvenimento di una villa romana sul suolo lucano (avvenuto durante lavori di scavo di ENI) a Barricelle di Marsicovetere, in provin-cia di Potenza. L’occasione è senz’altro servita per riflettere sul ruolo che l’archeologia ricopre nella nostra cultura e nella nostra modernità. Da sempre tale disciplina aiuta a raccontare la storia, comprenderla, capirla nelle sue fasi evolutive, conoscerne le sfuma-ture attraverso i resti fino a oggi conservati. Il passato dell’uomo si riconosce nella sua realtà più interessante: la quotidianità. La Fondazione Eni Enrico Mattei ha proposto agli studenti di design di progettare un concept spaziale, capace di valorizzare il sito archeologico, rendendolo sicuro e soprattutto “visitabile”, percorribile. In una situazione come questa, si può pensare che un progetto di museografia “classico”, connesso ad una architettura consistente e tradizionale, sia l’unico modo per ottenere risultati espositivo-didattici soddisfacenti. In occasione del workshop si è messo in discus-sione tale concetto, considerando l’architettura come disciplina troppo rigida e statica in uno spazio aperto e dalla natura per certi versi mutevole come quello in questione.In alternativa si è chiesto di pensare ad un allestimento, che “non è una sotto-categoria dell’architettura”(1), bensì uno strumento ambientale capace di intervenire sugli spazi in maniera duttile ed evolutiva. La cultura dell’allestimento, considerata come disciplina recente, emersa nel XX secolo con il diffondersi degli spazi commerciali e allestitivi, trova un ruolo importante nelle trasformazioni urbane e territoriali. I resti della villa si trovano nell’area della Val d’Agri, zona incontaminata, dove lo sviluppo si confronta e interagisce con una realtà molto legata alle proprie origini culturali. Il processo di valorizzazione dei resti romani ben si sposa con il design dell’allestimento, capace di fornire modelli evolutivi, aggiornabili e modificabili nel tempo e nello spazio, non definitivi, funzionali.La settimana di workshop ha prodotto soluzioni molto eterogenee. Le più efficaci si sono rivelate essere quelle più simili a installazioni artistiche e teatrali, capaci di stimolare un’esperienza in sintonia con la storia del sito e a quella delle persone che un tempo ci vissero. Proprio la metafora del teatro aiuta a comprendere in che modo l’allestimento

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(che è poi parte della disciplina teatrale) risulta la soluzione migliore in un contesto archeologico come questo: la scena si trasforma a seconda delle necessità, dell’orario, della luce, grazie a sistemi flessibili o meccanismi semplici; gli spazi si modificano e si spostano in funzione, per esempio, degli scavi e degli studi archeologici in atto. In uno scenario in continuo sviluppo e continua trasformazione, l’architettura pare obsoleta e troppo rigida, rischiosa perché difficilmente ammette correzioni.Laddove il protagonista della scena è e deve rimanere il ritrovamento archeologico, è opportuno progettare un “intorno” meno invasivo possibile, affinché non si perda la magia del passato e sia evidente che l’obiettivo didattico è quello di far conoscere la villa romana e non il suo edificio-contenitore. Gli studenti si sono messi a confronto in una settimana intensa e hanno dimostrato orgogliosamente come un allestimento possa valorizzare un sito senza comprometterne la morfologia e l“habitat”. Il sistema allestitivo facilita “riconfigurazione” e “aggiorna-mento”: elementi necessari per un territorio, che allo stesso tempo si tutela e si evolve, come il lucano.

Note(1). A. Branzi, Allestimento come metafora di una nuova modernità, in Lotus, n.115, dicembre 2002, pp. 96-101

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tour in altezza sulle rovine

il padiglione può ancheospitare workshop,eventi, attività legate allavisita

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CONCLUSIONIRiflessioni sul WorkshopCaterina Verrone

Durante gli scavi per la realizzazione di un oleodotto nelle vicinanze di Marsicovetere nella Val d’Agri sono stati rinvenuti i resti di una villa imperiale romana.Così, dopo i tre workshop dedicati all’ambito prettamente energetico, la FEEM volge di nuovo lo sguardo alla Facoltà del Design per una nuova sfida dedicata alla valoriz-zazione di una realtà delicata, ma stimolante come quella della progettazione per l’innovazione e la fruizione del nuovo sito archeologico.La progettazione sui siti archeologici è caratterizzata da numerosi vincoli, non solo di tipo burocratico, ma anche e soprattutto di tipo procedurale. Non è possibile infatti costruire scavando, ma solo appoggiandosi al terreno del sito; la progettazione dell’allestimento non deve creare falsi storici o portare ad una lettura errata del con-testo, comportando un attento studio multidisciplinare del sito. Tuttavia gli studenti hanno reagito alla proposta con molto entusiasmo, producendo dodici progetti diversi. Ciononostante si ritrovano alcune tematiche di fondo in ogni progetto, come per esempio l’attenzione al rapporto fra passato e presente, messa in evidenza dalle analogie fra le attività umane contemporanee con quelle antiche. Un altro leit motiv è l’attenzione al territorio e al contesto.La Basilicata ha da sempre una forte vocazione ambientale, trattandosi di un territorio dove petrolio ed energie rinnovabili hanno un’importanza crescente e dove la sperimentazione nel campo energetico è più florida che in altre parti d’Italia. Così i ragazzi hanno progettato considerando materiali, strutture e sistemi che fossero a basso impatto ambientale, ricorrendo anche a tecnologie nuovissime o addirittura ancora in fase di sperimentazione.Inoltre, così come verificatosi durante i precedenti workshop, è emersa la necessità di ibridazione, di ricorrere ad altre discipline che in qualche modo ispirassero, completassero e innovassero l’atteggiamento di progettazione. Ecco allora spuntare strumenti come la scenografia, il teatro, l’enologia, la gastronomia, ecc.In Performance in luce il teatro viene considerato una disciplina di unione fra antico e odierno: viene quindi ripresa la tipologia architettonica del teatro, ma con forme e modalità riviste e collegate al gusto e alle esigenze contemporanee. Illo tempore invece utilizza la scenografia e la recitazione per portare il fruitore in un mondo passato. Non

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sono mancati casi in cui si è ricorsi all’arte contemporanea, come in Cubiculum e Portare alla luce. Le esigenze dell’arte contemporanea sono simili a quelle di un sito archeologico. Entrambi sono beni culturali che non desiderano solo essere contemplati, ma chiedono nuova vita attraverso l’interazione con l’essere umano.Ispirazioni sono giunte osservando anche il modus operandi dell’archeologia, fatto di mutazioni, cambiamenti, capovolgimenti a volte anche radicali delle teorie storiche, per via di scoperte inaspettate. Argine fa dell’attività archeologica il punto forte del progetto: utilizza la terra dello scavo come oggetto di allestimento.Così come l’archeologia procede leggendo le stratificazioni, così gli studenti propongono il sovrapporsi e accavallarsi di layer e di superfici che, accumulandosi, creano nuove letture della realtà, facendo perdere ogni punto di riferimento temporale. Gli allestimenti proposti lavorano, oltre che attraverso il linguaggio verbale, anche tramite la sinestesia, con l’impiego, a volte, di esperienze multisensoriali. Ciò ha consentito a tutti di percepire e rivivere l’emozione del rapporto con l’antico. Per esempio Back in the Past utilizza la tecnologia per sovrapporre al sito, caratterizzato da ruderi e rumori di motori, aggeggi elettronici e di voci poliglotte, un layer tecnologico in cui ambienti e attività passate sono ricostruite visivamente e multisensorialmente con i rumori del mercato, dello scalpitio dei cavalli e delle voci latine.L’archeologia virtuale infatti, è in grado di presentare con immediatezza comunicativa contesti relativi alle pre-esistenze o ancora di consentire l’istantanea lettura di situazioni storiche, architettoniche, territoriali e sociali anche complesse e variamente stratificate, dimostrandosi un valido contributo nella trasposizione di informazioni e proponendosi quindi, sempre più, come virtuoso strumento di trasmissione culturale.Non a caso negli ultimi 10 anni sono nate realtà innovative come i musei virtuali MAV di Ercolano, il Rewind Rome, il Museo Archeologico di Lavinium(1) che, attraverso l’uso della tecnologia e del divertissement ed edutainment ricreano e fanno rivivere l’antichità.La dimensione di divertissement ed edutainment viene affrontata anche in modo diverso, senza ricorrere necessariamente alla tecnologia. Da In.Sight che utilizza la gru per gli scavi come nuovo modo per visitare il sito, a Historienteering che ricorre ad un gioco di squadre e punteggi per scoprire informazioni sul sito e sui luoghi, anche utilizzando oggetti e giochi già esistenti che vengono rivisti e modificati con la finalità di diventare utili alla conoscenza del sito.Altra caratteristica saliente di alcuni progetti è la costruzione di un percorso di

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avvicinamento progressivo al sito. Da un approccio paesaggistico al dettaglio, con delle tappe che man mano illustrano le attività relative al pascolo e all’agricoltura fino alla produzione di olio, vino e tessuti (Scope from above, Exploro, Al passo coi tempi, Otium et negotium).Spesso i resti archeologici sono recintati, invalicabili, slegati dal reale. Il tentativo di alcuni studenti si è quindi direzionato verso la possibilità per cui il sito non sia più avulso dal reale, ma che i suoi confini sfumino per perdersi gradatamente nel contemporaneo. Luoghi del genere muoiono, perdono la loro originale funzione se relegati alla semplice osservazione: è necessario viverli, poggiare i piedi su quella terra che fu calpestata secoli fa dai nostri antenati e nutrirsi di quella forza vitale, storica e di conoscenza che risale come un fluido dalle rovine sin nei corpi dei visitatori. I musei (2), anche nell’accezione di siti archeologici, sono templi laici della società. Il museo è un luogo di identità. Identità legata al fatto che se la società è proiettata inavanti verso il futuro automaticamente si lega anche al passato. Ed ecco perché Exhibit acquista notevole importanza come esperimento che unisce energia, tecnologia, cultura, storia, natura ed economia e che senza dubbio contribuirà all’accrescimento della valorizzazione di un territorio tanto ricco, ma così trascurato storicamente come la Basilicata.

Note1_ Isa Grassano, Passato & futuro. I musei in 3D, La Repubblica, articolo del 04/01/20112_ Definizione in base al Testo Unico n.490 del 1999, Articolo 99, Apertura al pubblico di musei, monumenti, aree e parchi archeologici, archivi e biblioteche , Legge 23 luglio 1980, n. 502, art. 1, sostituito dalla legge 27 giugno 1985, n. 332, art. 1; decreto del Presidente della Repubblica 5 luglio 1995, n. 417, art. 27; decreto ministeriale 11 dicembre 1997, n. 507, art. 5, comma 1.Ai fini del comma 1 si intende per:_ museo: struttura comunque denominata organizzata per la conservazione, la valorizzazione e la fruizione pubblica di raccolte di beni culturali;_ area archeologica: sito su cui insistono i resti di un insieme edilizio originariamente concluso per funzione e destinazione d’uso complessiva._ parco archeologico: ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compre senza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto in modo da facilitarne la lettura attraverso itinerari ragionati e sussidi didattici.

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