Europa, Ucraina, Russia… genesi, scenario, e proiezioni future

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Europa, Ucraina, Russia… genesi, scenario e proiezioni future Traccia del discorso dell’Amb. Giulio Terzi Cena Rotary del 14/05/2014 1

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Una nuova cena rotariana è l'occasione per l'Ambasciatore Giulio Terzi, di approfondire riflessioni sullo scenario euroasiatico, dei rapporti tra Unione Europea e federazione Russa e non solo...

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Traccia del discorso dell’Amb. Giulio Terzi Cena Rotary del 14/05/2014

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Cara Presidente Vezzali,

sono molto lieto, e sinceramente onorato, per questa opportunità di discutere con amici rotariani quella che, credo, consideriamo tutti la più grave crisi internazionale del post Guerra Fredda.

Vorrei esprimere un ringraziamento al Governatore del Distretto, Paolo Zampaglione, e a tutti gli amici che vedo qui.

La presenza, poi, di Paolo Valentino, a un anno di distanza da quando, in un altrettanto prestigioso setting rotariano ho avuto il piacere di vederlo insignito del Premio Giornalistico Carlo Casalegno, è una garanzia che ascolterete cose intelligenti e interessanti, sicuramente da lui!

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In effetti, il dramma che si sta dipanando sotto i nostri occhi vede in scena soprattutto tre protagonisti, che per motivi diversi Paolo ed io abbiamo abbastanza frequentato: Russia, Stati Uniti, Germania; e li vede insieme ad altri Paesi, come il nostro, che avrebbero un ruolo diverso e più decisivo se fossimo mossi da una comune strategia europea.

La crisi in Ucraina, o meglio, la temuta fine della "sicurezza cooperativa" in Europa, sta assumendo caratteristiche per alcuni versi proprie alla Guerra Fredda, per altri versi connotazioni nuove. Senza precedenti è sicuramente la violazione delle frontiere, l'uso unilaterale della forza, l’appropriazione di una parte di uno Stato europeo da parte di un altro stato europeo. Si deve risalire, come hanno ricordato personalità del Governo Merkel, alla occupazione nazista dei Sudeti nel '38 e all'Anschluss con l'Austria, per trovare precedenti analoghi.

Già ampiamente sperimentate durante quarant'anni di Guerra Fredda appaiono invece le pesanti interferenze russe sulla politica, sull'economia e sulla sicurezza di un Paese verso il quale Mosca afferma un suo "droit de regard", come si diceva eufemisticamente nell'epoca degli imperi europei dell'800. Certamente non nuova rispetto alla tradizione sovietica è la campagna massiccia di "disinformazione", mirata a radicare dentro e fuori lo spazio russo una "narrativa legittimante" della politica espansionista di Mosca. Una narrativa alimentata da un'informazione ampiamente controllata dal Cremlino; rafforzata dalle recenti misure di condizionamento del web e della blogosfera; spesso costruita su incidenti provocati intenzionalmente, addebitati ad altri, o su abili deformazioni della realtà sul terreno.

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Che vi siano in Occidente intellettuali, personalità politiche, dell'economia e dell'informazione che minimizzano ancora in questi giorni l'aggressione russa, ha fatto ricordare a qualcuno - ad esempio a Slawomir Sierakowski, direttore dell'Institute for Advanced Study di Varsavia - la matrice culturale all'origine di questo fenomeno.

Gli intellettuali occidentali, scrive Sierakowski, hanno da lungo tempo nutrito "un debole" per la Russia. Voltaire, amico di Caterina la Grande, diceva che si sarebbe volentieri trasferito in Russia se la capitale fosse stata Kiev; e Johann von Herder sognava di trasformare l'Ucraina in una nuova Grecia dentro l'impero russo. Nel Novecento Andrè Gide, Pablo Neruda, Jean Paul Sartre sono solo alcuni dei nomi illustri che hanno fatto campagna a favore dell'Unione Sovietica, tanto da prendersi l'etichetta di "utili idioti"che lo stesso Lenin avrebbe loro affibiato. Certo, questi stessi intellettuali se ne sono poi dovuti amaramente pentire; hanno dovuto aprire gli occhi sulle mostruosità del regime sovietico; ma si sono svegliati molto in ritardo, dopo che tutto il mondo aveva da tempo denunciato le irrefutabili prove dei crimini.

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Ancora a fine anni '60 voci autorevoli della sinistra italiana bollavano "Una giornata di Ivan Denisovich" di Soldjenitzin come un' assurda esagerazione sul Gulag sovietico.

Sorprende forse che negli otto Nuovi Paesi membri dell'Unione Europea sfuggiti allo spazio sovietico vi sia tanta insofferenza a quelli che sono visti come pericolosi cedimenti alle tesi russe?

Ci sorprendiamo che a Varsavia, dove il Ministro degli esteri Sikorski reclama da tempo l'esigenza di una Germania più determinata, responsabile e presente nella sicurezza e Difesa europea, ci sia grande inquietudine per la comprensione e per le manifestazioni di amicizia verso Putin di importanti imprenditori tedeschi, di Gherard Schroeder o di Helmut Schmidt?

Come risuonano nelle Capitali baltiche ed est europee - che dovrebbero sentirsi garantite dalla copertura incondizionata dell'Art.5 del Trattato di Washington - le tesi dei loro amici e supporters tedeschi, quando questi affermano in sostanza che i veri aggressori dell'Ucraina sono l'UE e la Nato, perchè hanno avuto l'ardire di allargare il proprio orizzonte a territori di interesse russo? Non era la Germania, ci si chiede, il Paese che più di ogni altro, dall'Ostpolitik di Brandt sino alla visione unitaria di Kohl, si era battuta per un'architettura di sicurezza europea basata sul diritto internazionale e su regole forti e condivise?

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Si notano contraddizioni e ipocrisie nell'atteggiamento di molti a Berlino: sono proprio coloro che nel 2003 criticavano l’attacco all’Iraq perchè “illegittimo” a giustificare oggi l'invasione russa di parte dell'Ucraina. E vi sono quanti sostengono, in Germania e altrove, soprattutto alle estreme di alcuni partiti europei che,alla fine l'Ucraina non è un vero paese, che rappresenta la culla della cultura russa (ricordate analoghe affermazioni di Milosevich per reprimere i kosovari?), che si tratta di un Paese senza una vera identità, che può certamente essere "federalizzato" e "diviso"; argomenti inquietanti, pressochè identici a quelli usati anche da Molotov e Ribbentrop per spartirsi la Polonia e appropriarsi delle rispettive "bloodlands".

Sulla legittimità o meno della politica del fatto compiuto in Crimea e delle sollevazioni pilotate dal Donetsk fino a Odessa, si dovrebbero forse ricordare le 16 risoluzioni adottate dal Cds prima dell’intervento contro l'Iraq,e le zero Risoluzioni a sostegno delle azioni militari e di intelligence russe in Ucraina:anzi,ricordiamo che vi è stata una pesante bocciatura, con Risoluzione dell’Assemblea Generale, del referendum in Crimea.

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I distinguo, le incertezze, le voci di convenienza che si diffondono in Germania, e anche da noi, sono anche frutto – oltre che di un certo substrato culturale e politico - di un'abile attività russa di sensibilizzazione russa nelle principali capitali occidentali, di networks e Forums che in Germania, ad esempio, vengono sponsorizzati perfino dal Governo e da influenti circoli imprenditoriali, come ha recentemente scritto Welt am Sonntag. Quelli che in Italia da tempo sono chiamati “i poteri forti”.

Vi è tuttavia, al di là di questo, una deriva di parte almeno dell'opinione pubblica tedesca, e non solo tedesca,che si traduce in una presa di distanza dall'Occidente. Vi influisce la vicenda Snowden - a proposito, chi ne ha tratto maggior beneficio, non forse Putin?- ; vi influiscono tendenze neutraliste esistenti in Germania da decenni; non vi è estranea una politica estera americana che sembra aver perso molto del suo slancio.

Difficilmente si giustificherebbe altrimenti un sondaggio di fine aprile: solo il 45% dei tedeschi vuole restare saldamente nel campo occidentale, mentre il 49%si affida,sulla questione Ucraina, a una posizione intermedia, tra Ovest e Russia. Da qui l'insistenza del Ministro degli Esteri Frank Walter Steinmeier per il rilancio del negoziato di Ginevra, già fallito un mese fa. Nonostante l'imminente scadenza delle elezioni del 25 maggio e la certezza che Putin farà di tutto per renderle impossibili, Steimeier vuole prendere altro tempo piuttosto che giocare all'unisono con Washington e varare misure che premano davvero sulla Russia.

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L'altro principale protagonista della vicenda sta a Washington. L' Economist ha lapidariamente sentenziato che un " cruciale dubbio sta erodendo l'ordine mondiale, e l'unica superpotenza in buona misura se ne disinteressa". Un sondaggio Pew Research ha rivelato il più alto tasso di isolazionismo anericano degli ultimi cinquant'anni, ora al 52%.

Per decenni le garanzie di sicurezza americane sono state il pilastro dell’equilibrio europeo. Ora Obama ha annunciato nuovi impegni e garanzie nel suo ultimo tour asiatico, a favore di Giappone e Filippine. Ma le vicende del mancato coinvolgimento americano in Libia, Mali, Siria, lo stallo del negoziato israelo-palestinese, la mancata risposta alla violazione russa del Memorandum di Budapest del '94 a garanzia dell’Ucraina, costituiscono segnali allarmanti per alleati esposti sul piano della sicurezza; allo stesso tempo, questi segnali rafforzano la mano di giocatori come Putin, Xi Jinping o Kamenhei. La credibilità si perde rapidamente e si riacquista con enorme fatica. C' e 'voluta l'azione di Bush padre in Iraq nel '91 per liberare l'America dalla sindrome del Vietnam. l'Ucraina costituisce oggi il pericoloso crocevia tra un ordine europeo compromesso e un sistema di sicurezza da ricostruire; un piano inclinato per la credibilità di un Occidente che vogliamo,americani ed europei,al centro di un mondo che presto sarà di 9 miliardi di persone e dove saranno ancor più importanti dialogo, legalità, regole condivise, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

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L'annessione russa della Crimea, con minaccia di altre annessioni territoriali, modifica radicalmente i presupposti sui quali si è basata la sicurezza Europea: non soltanto dai tempi dell'Atto finale di Helsinki nel1975, o della Carta di Parigi nel 1990, all'indomani del crollo del muro; l'annessione russa della Crimea sovverte annulla almeno per ora le condizioni minime affinchè possa esistere il Partenariato con la Russia avviato sin dai primi anni '90,strutturatosi solidamente nel 2002 con quello "spirito di Pratica di Mare" che l'Italia non ha mai smesso di invocare neppure nel momento difficile della crisi con la Georgia dell'agosto 2008.

Certo, non tutti i paesi europei ne erano ugualmente convinti: come era possibile, anche prima della crisi Ucraina, pretendere dai Baltici incondizionate aperture di credito sulle buone intenzioni Russe?

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Nell'insieme degli equilibri interni all'Ue, era però possibile, sino a pochi mesi fa, tenere vivo il principio del partenariato con Mosca. Vorrei ricordare un episodio. Nell'ottobre 2012 i 28 Ministri degli Esteri europei si erano incontrati in Lussemburgo, come prassi in ambito Ue o Nato, con il Ministro Sergei Lavrov, collega con il quale avevo condiviso diversi anni di lavoro alle Nazioni Unite. Un diplomatico e un negoziatore abilissimo, sul piano personale un amico.

Insieme ad alcuni altri colleghi europei ero giunto alla conclusione che era giunto il momento, in quell'ottobre 2012, per fare un nuovo sforzo e rilanciare seriamente il Partenariato tra l’Ue e mosca. Infatti nel momento in cui europei e russi si incontravano in quel piovoso autunno lussemburghese si erano praticamente spente le energie positive sprigionatesi tra il 2009 e il 2011 grazie al "reset" americano delle relazioni con Mosca. C’era stata l' intesa sofferta, ma importante, per la riduzione delle armi strategiche (il nuovo Trattato Start); il dialogo per riattivare il Trattato sulle Forze Convenzionali in Europa (nel 2007 la Russia si era ritirata dal Trattato); la collaborazione sul nucleare iraniano con le sanzioni, approvate anche dalla Russia, per riportare Teheran a negoziare, il consenso russo al transito di rifornimenti militari alle forze Isaf in Afghanistan; l’ingresso di Mosca nell'OMC.

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C’era però stato un successivo raffreddamento con il ritorno di Putin alla Presidenza. Il "reset" russo-americano, nell’autunno 2012 era praticamente tramontato. Pesavano diverse incomprensioni russe: alcune giustificabili, altre decisamente strumentali:

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1. La prima incomprensione tra Russia e Paesi occidentali riguardava le "primavere arabe". Dalle prime rivolte contro Ben Ali, Mubarak, Gheddafi, Saleh, Assad, Mosca si era mostrata assai critica enfatizzando i rischi di destabilizzazione nel mondo arabo. Anzichè riconoscere - come ritenevano i paesi occidentali- che le rivolte nascevano da esigenze incomprimibili di giustizia e di democrazia nei confronti di regimi totalmente corrotti e repressivi, a Mosca prevaleva la tesi che le rivolte protessero essere fermate come poi Mosca, con l’Iran, e ’ parzialmente riuscita a ottenere in Siria. A Mosca prevaleva una duplice inquietudine:

A) che l'esempio delle piazze tunisine, egiziane, libiche, yemenite e siriane, si diffondesse, come poi è avvenuto sino a Istanbul, ben oltre il mondo Arabo, e potesse a un certo punto contaminare la Russia nella contestazione di quel sistema di potere;

B) un’altra inquietudine russa riguardava il rapporto con venti milioni di musulmani della Federazione Russa. Mosca, lo hanno ripetutamente sottolineato sia Medvedev che Putin, si sente "parte organica" del mondo islamico e vuol restaurare il suo status di Grande Potenza in Medio Oriente e in Asia. Ma gli arrivati al potere dopo Ben Ali, Mubarak, Gheddafi, Saleh non possono certo dirsi entusiasti della difesa russa del preesistente statu quo; si moltiplicano nel frattempo le preoccupazioni tra le comunità mussulmane in Russia per tendenze xenofobe e anti immigrazione. Dalle Primavere Arabe nasceva così una duplice, potenziale frizione con l'Europa e con gli Stati Uniti, acuitasi con l'intervento occidentale in Libia.

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2. E veniamo a un altro motivo di incomprensione tra Russia a Paesi atlantici. La Libia. La creazione della "no fly zone" era stata decisa nel marzo 2011 dalla Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza per proteggere la popolazione libica dai massacri che il regime stava perpetrando. La Russia, fortemente scettica, si era astenuta dal votarla, ma non l’aveva neanche bloccata con un veto che avrebbe impedito l'intervento militare. Mentre l’ha fatto per la Siria. Assai poco sensibile, per non dire ostile, al principio della "responsabilità di proteggere" affermatosi nella comunità internazionale dopo il genocidio ruandese e le stragi balcaniche, Mosca era contraria a interventi occidentali che modificassero lo statu quo in un Paese importante per la sua presenza in Medio Oriente. La caduta di Gheddafi era stata un boccone amaro per Putin.

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3. Un’ulteriore incomprensione, la Siria. Dalle prime manifestazioni a Daara represse criminalmente da Assad nasceva l’ossessione russa che i Paesi Nato mirassero a replica lo scenario libico. Ci sentivamo chiedere da colleghi russi a Washington se alla Nato se ne stesse anche solo parlando. Quando dicevamo la verità, negandolo, i russi restavano scettici. Ma nel frattempo le continue oscillazioni americane e europee nei confronti dell'opposizione siriana incoraggiavano Putin a sostenere Assad in modo sempre più massiccio: non solo per garantirsi un alleato di rilevanza strategica (base di Latakia, sinergie con Iran e Iraq); ma anche per impedire altri cambi di regime in Medio Oriente.

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4. Ancora un’altra incomprensione Est- Ovest : la Difesa missilistica contro l'Iran. Mentre le Primavere Arabe riguardavano il ruolo della Russia in Medio Oriente, la questione della Difesa antimissile modificava secondo il Cremlino l’intero equilibrio strategico. Già, anni prima, la decisione di Bush nel 2002 di accantonare il Trattato ABM (Anti Ballistic Missile), un "effetto collaterale" dell'11 settembre, non era certo fatta per rassicurare la Russia. Ancor meno lo era lo spiegamento di radar e missili intercettori in Polonia e Repubblica ceca: Mosca insisteva che il vero motivo non era l’Iran, ma la Russia. In effetti sul piano tecnico vi erano aspetti che potevano infastidire Putin. Ma Usa e Nato avevano persino proposto a Mosca di "gestire insieme" la Difesa Missilistica, inserendo personale russo nella catena di comando, condividendo analisi e strategie. Proposte respinte. Diventava abbastanza evidente la strumentalizzazione russa di questo dossier, nonostante una sua genesi non proprio felice.

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5. Infine la quinta incomprensione che ha generato la crisi attuale: il "Partenariato orientale" dell’Ue lanciato nel 2008 su iniziativa polacca e svedese, fortemente appoggiata dalla Germania. Come ha ammesso il Ministro degli Esteri Lituano, ospite del Vertice Ue di Vilnius "l'Unione Europea ha sbagliato decisamente i calcoli sulla reazione russa" quando si è concretamente trattato di includere l’Ucraina in quel sistema di accordi. Col senno di poi, si deve lamentare mancanza di chiarezza da entrambe le parti,ma la strumentalizzazione russa è stata in questo caso particolarmente evidente. Vero che guru della diplomazia mondiale come George Kennan e Henry Kissinger segnalavano da anni l’esigenza di escludere categoricamente un ampliamento dell'Alleanza Atlantica alle Repubbliche dell'ex Urss. Ma il Partenariato Orientale non intende in alcun modo costituire una piattaforma di lancio per la Nato, come il Cremlino si ostina a far credere. C’è chi sottolinea come il Partenariato orientale preoccupi la Russia per ben altri motivi, che il Cremlino non vuole certo ammettere. L’ampliamento della democrazia e dello Stato di Diritto sino ai confini della Federazione Russa può ben preoccupare per l'enfasi riposta, nel Partenariato orientale, sulla lotta alla corruzione, sulle libertà individuali e dell'informazione, sulle regole di mercato, sulle "modernizzazioni" e le riforme…

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… In questo senso Mosca potrebbe sentirsi minacciata. Proprio alla vigilia del Vertice di Vilnius un esponente del Governo Russo si rivolgeva pubblicamente agli oligarchi di Kiev per stigmatizzare che la firma dell'Accordo di Associazione con l'Ue avrebbe comportato per gli ucraini parità di diritti economici, norme anticorruzione, liberalizzazioni “incompatibili con il sistema ucraino”.

Aprendo quell'importante dibattito in Lussemburgo, nell'ottobre 2012, prospettavo a Lavrov una visione avanzata del rapporto tra Ue e Russia, in modo da superare il raffreddamento degli ultimi mesi. Insistevo affinchè si ricostruisse una vera "Partnership strategica", mirata alla sicurezza continentale, estesa alle aree di vitale interesse per Europa e Russia come Mediterraneo e Medio Oriente.

Avrebbe dovuto guidarci una comune valutazione dei rischi derivanti dal terrorismo, dalla diffusione del fondamentalismo islamico in Medio Oriente e in Africa, dalla proliferazione nucleare specialmente in Iran. Motivi convincenti per lavorare insieme non soltanto sul piano politico, ma anche su quello operativo, nei contesti multilaterali (ONU) e nei "Paesi in transizione". Con una vera "Partnership strategica" avremmo lavorato per accrescere i rapporti economici,la circolazione di capitali e i contatti tra le società civili.

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Quando il Partenariato orientale era stato lanciato nel 2008, Ue e Russia sembravano sintonizzate su libero scambio e modernizzazioni. Ma con il ritorno di Putin alla presidenza nel 2012 le priorità russe si erano visibilmente spostate sulla creazione di un'Unione Euroasiatica, alternativa al Partenariato con l'Ue, mentre per gli europei le due dimensioni potevano perfettamente convivere. Durante il 2012 e parte del 2013 tutto appariva recuperabile e Mosca non poneva "linee rosse" invalicabili.

Lavrov conosceva perfettamente le diversità tra i 28 Paesi europei circa il rapporto con la Russia. Sapeva della estrema-oggi sappiamo quanto motivata-diffidenza verso la Russia da parte degli Stati UE ex Urss e Patto di Varsavia.

Ciononostante Lavrov colse immediatamente il senso della mia proposta. Lo riprese diverse volte scherzando sul fatto che rischiavo di essere da lui citato... persino di più di quel recordman assoluto di citazioni, che è Lenin. Nei mesi successivi il clima italo russo continuava a essere eccellente:lo dimostravano le commissioni intergovernative, le visite a Mosca mie e di altri colleghi di Governo. Il rapporto dell'Unione Europea con Mosca veniva invece condizionato dall'accelerazione impressa da Bruxelles al Partenariato Orientale.

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Non c'è dubbio che si sia trattato di una politica voluta e guidata soprattutto da Berlino, insieme ai Paesi centro e est europei. Non che per parte italiana, francese, spagnola o britannica non se ne vedesse l'utilità. Ma la situazione creatasi con le Primavere Arabe doveva – e non ci stancavamo di ripeterlo insieme agli altri Paesi Mediterranei- impegnare molto di più Commissione europea e Alto Rappresentante nella sicurezza in Libia, nei processi di transizione in tutta la sponda sud del Mediterraneo, nella prevenzione dei flussi di immigrazione. Doveva esserci una netta corsia preferenziale per il Partenariato Mediterraneo. Ciò e avvenuto solo in parte. La gravitas dell'intera politica di partenariato continuava a privilegiare.

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Ucraina, Moldova, Armenia e Georgia.Verso la fine del 2012 era ormai un dogma per Bruxelles che il Vertice di Vilnius del novembre 2013 dovesse rappresentare la tappa decisiva per l'Accordo di Associazione con l'Ucraina a con altri Paesi del Partenariato orientale. Diciamoci la verità. Se l’Ue, e la Germania, si fossero convinti a procedere con più prudenza nel partenariato orientale, e con maggior decisione in quello meridionale, ci saremmo forse risparmiati tanto la crisi in Ucraina quanto l’enorme flusso immigratorio che stiamo subendo, almeno in queste proporzioni.

Si è cosi arrivati alla giravolta di Yanukovych appena prima del Vertice di Vilnius lo scorso novembre. Il Presidente Ucraino, subendo l'enorme pressione russa, annunciava che non avrebbe firmato l'Accordo di Associazione con l'UE. Tutto si poteva mostrare tranne che sorpresa. Da settimane i servizi informativi della Commissione scrivevano che l’Ucraina non avrebbe firmato. Il Ministro svedese Bildt notava che l'Unione avrebbe dovuto denunciare subito la nuova dottrina militare russa varata nel 2009: centrale in essa il "diritto di proteggere" le minoranze russe al di fuori dei confini nazionali; l'UE avrebbe dovuto inoltre reagire al blocco russo delle importazioni ucraine,contro l'Accordo con l'Ue.

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La decisione di Putin di annettere la Crimea e di rendere l'intera Ucraina, di fatto, vassalla di Mosca con l'uso o la minaccia della forza chiude il "post Guerra Fredda”, con violazione degli Accordi di Helsinki '75,di Parigi '90,di Budapest '94 (il memorandum trilaterale Us, Uk, Russia a garanzia della sovranità e integrità territoriale ucraina), e dello stesso Statuto delle Nazioni Unite. Le lancette dell'orologio tornano addirittura a prima di quell’epoca di cooperazione tra Est e Ovest che pur era stata possibile durante la Guerra fredda, dettando le regole fondamentali della sicurezza europea. Non vi è più, ovviamente, l'elemento ideologico del Comintern o della diffusione del comunismo. Ma emergono altre giustificazioni ideologiche, inquietanti perchè identiche a quella che hanno determinato lo scoppio di ben due guerre mondiali: il principio di nazionalità; il diritto a intervenire in altri Paesi per tutelare le proprie minoranze etniche; la forza come strumento di risoluzione delle controversie.

Tre principi affermati da Putin in Crimea, nell'Ucraina Orientale, in Abkhazia, in Georgia, in Transnistria. Tre principi che possono ancor più pericolosamente affermati nei Paesi Baltici e in Asia Centrale.

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La Russia afferma ora anche un principio nuovo :il diritto a utilizzare le forniture di energia a fini eminentemente politici. Un'"arma non convenzionale", in un certo senso di "distruzione economica", applicata oggi all’Ucraina in nome del “principio di protezione” delle minoranze russofone; un’arma che potrebbe però rivolgersi anche a quei Paesi che mostrassero, nel la loro politica di alleanze, di voler perseguire interessi nazionali e di sicurezza non collimanti appieno con quelli della Russia.

Il nuovo ordine putiniano azzera così il sistema di "sicurezza cooperativa europea" che si era basato da 40 anni, con successo, sul rispetto della sovranità, dell' inviolabilità delle frontiere, del principio di non interferenza negli affari interni. Nel sistema di sicurezza cooperativa esistito sino ad ora, i diritti delle minoranze erano riconosciuti e salvaguardati da parte di 'tutti gli Stati europei. Incombeva ai singoli Stati l'obbligo di tutelare le minoranze esistenti sotto la propria sovranità. Non era assolutamente ammessa la "protezione con la forza" da parte di un paese terzo. L'Organizzazione per la Cooperazione e la sicurezza in Europa aveva istituito da tempo un Alto Rappresentante per le Minoranze Nazionali che interveniva nei casi di violazione.

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Ho visto con sorpresa un autorevole editorialista sostenere, con intenti assolutori del comportamento russo, "pari dignità"nell'Atto Finale di Helsinki tra i principi di sovranità e di rispetto delle frontiere e quelli di tutela delle minoranze. Si dovrebbe rileggere con attenzione quei fondamentali documenti: sovranità e diritti delle minoranze sono ugualmente importanti, ma i secondi possono essere fatti valere esclusivamente nelle forme previste dal Diritto internazionale, con tassativa esclusione dell'uso della forza;

L’interferenza russa negli affari interni dell'Ucraina è palese, documentata, e dichiarata. Yanukovyc ha ricevuto un ultimatum pubblico dal Cremlino affinchè la rivolta venisse repressa, pena la sua destituzione. Le pressioni sono state di ogni tipo, prima sul piano politico, di intelligence, delle provocazioni organizzate, e infine con l'invio in Ucraina Orientale "militari russi mascherati". Il referendum in Crimea è stato denunciato come del tutto invalido e illegale: non soltanto dai Paesi Occidentali, ma dalla stessa Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con una risoluzione votata da oltre cento Paesi e con soli 18 voti a favore di Mosca: essenzialmente, di quei Paesi che sono o "sotto scacco russo" o che, come l'Iran, Cuba, Venezuela, votano per partito preso contro qualsiasi testo sostenuto dall'Occidente.

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Il sistema di sicurezza europeo è stato scardinato dalla annessione russa della Crimea. Esso aveva contribuito enormemente alla pace e alla sicurezza in Europa; aveva superato le crisi della Guerra Fredda; "tenuto" anche nei momenti di maggiore instabilità;resistito alle crisi balcaniche e all'implosione dell'impero sovietico. Un sistema efficace e preciso circa le "misure di fiducia"da applicare. Regolamentava le operazioni militari consentite all'interno di ogni singolo Stato; stabiliva lunghi preavvisi per spostamenti di truppe al di sopra di determinate soglie; prevedeva limitazioni allo schieramento di forze in prossimità dei confini; imponevano verifiche e notifiche. Tutti obblighi sprezzantemente disattesi con la crisi ucraina.

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Il fatto che la Russia di Putin ritenga di avere un futuro più prospero, più stabile e più sicuro, inseguendo una propria pulsione imperiale e "euroasiatica", a scapito di un impianto di sicurezza cooperativa e di partenariato con tutti gli altri Paesi Europei - di cui pure Mosca si dichiarava convinta sino a pochi mesi fa - non significa certo che l'Italia e i Paesi Ue debbano abdicare a una loro precisa, fondamentale responsabilità: quella di garantire la sicurezza, la libertà e il benessere dei propri cittadini. L'approccio unilateralista russo, basato sulla forza, esige certamente una risposta; ma soprattutto richiede un' immediata, approfondita ricostruzione dell'architettura europea di sicurezza. Dobbiamo essere pronti a riprendere il percorso del partenariato con la Russia. Ma non possiamo basare la nostra sicurezza sul presupposto che tale partenariato esista ancora. La Russia vede l'Occidente come un pericoloso rivale. Putin lo dichiara, la dottrina strategica russa convenzionale e nucleare lo afferma. Ci siamo illusi in questi ultimi tempi che si trattasse di un'impostazione ancora modificabile, mossa dalla ricerca di popolarità interna, dalla necessità di stimolare gli impulsi nazionalistici per dare stabilità al Governo russo. Con la crisi Ucraina abbiamo dovuto constatare che i segnali forniti sin dal 2008 dall'attacco alla Georgia,e le pressioni sui Baltici rivelavano una precisa direzione di marcia. La dottrina strategica russa si è arricchita di uno strumento militare completamente rinnovato, perfettamente addestrato, efficiente, molto diverso dall'esercito fatto di materiali obsoleti, di militari indisciplinati di inizio anni 2000.

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Nelle relazioni tra Stati, le controversie e le crisi possono essere affrontate con un'ampia gamma di strumenti che sanzionino, impediscano e prevengano l'uso della forza. L'attività diplomatica può essere efficacemente sostenuta da: 1) misure di tipo economico (sanzioni, politica dell'energia), 2) riorganizzazione della deterrenza convenzionale e non, 3) integrazione di sistemi di Difesa e aumento dei bilanci per una vera Difesa europea, 4) rafforzamento politico e economico della Comunità Euroatlantica.

Sulle misure economiche Putin ha calcolato perfettamente le difficoltà occidentali? L'entità degli scambi e la dipendenza dal gas russo "immunizzano" davvero Mosca da sanzioni? Non è proprio così. La circostanza che il dollaro sia tuttora prevalente nel sistema finanziario mondiale consente ai Paesi occidentali di esercitare pressioni considerevoli sul sistema bancario russo, colpendo persone e entità al vertice del Paese. La "leva energetica"di cui Putin dispone è certamente un grande vantaggio, ma unicamente nel breve termine. Perchè l'avvio di una vera politica europea dell'energia, ancor meglio se raccordata a un'America ormai autosufficiente, può ridurre drasticamente la dipendenza dalla Russia. Ciò avverrà attraverso: acquisizioni di LNG da altri Paesi; gasdotti alternativi al Southstreram, come la TAP; interconnettori e stoccaggi; energie rinnovabili.

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La Russia continua ad essere sostanzialmente un "petrolstato" che incassa dall'UE 100milioni di euro al giorno. La diversificazione delle fonti di approvvigionamento deve spostare la leva dal fornitore russo all'acquirente europeo. Si calcola occorrano due, tre anni per invertire la tendenza, se esiste la volontà politica di farlo. Tra l'altro, la competitività delle imprese europee, e soprattutto italiane esige, un netto ridimensionamento dei prezzi energetici, ora del tutto fuori mercato a causa dei contratti "take or pay" negoziati a suo tempo dall'Eni.Il sistema Italia, Governo e industria petrolifera, deve muoversi con determinazione a Bruxelles perchè decolli una politica comune dell'energia. Ne va della nostra economia e della nostra sicurezza. Un mercato europeo dell'energia deve fare dell'Unione il contraente del fornitore russo, rompendo l'attuale "divide et impera".

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Se la Russia di Putin ha scelto, come dichiara e come dimostra nei fatti, la via del confronto con i Paesi Occidentali,in Europa e in altre parti del mondo, bisogna tempestivamente rivedere le strategie e le politiche di Difesa. Poichè nessuna persona di buon senso vuole correre il rischio di un conflitto, è essenziale adattare la nostra deterrenza allo scenario venutosi a creare. Nato e Unione Europea devono rivedere "concetti strategici" ormai superati. Le capacità militari, dopo un decennio di costanti e forti riduzioni di bilancio (ricordiamo il "dividendo della pace" di cui ci rallegravamo negli anni '90?) devono tornare a essere credibili. Se è irreversibile la decisione americana di alleggerire la presenza militare in Europa, tocca ai Paesi UE di trovare il modo per dotarsi di Forze Armate credibili, dinanzi a una Russia che spende annualmente nella Difesa il 4,8% del suo PIL, a fronte di Paesi europei che non riescono a onorare l'impegno Nato di spendere almeno il 2%. Difesa Europea, integrazione delle Forze e dei programmi industriali rappresentano percorso urgente e obbligato.

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Nello stesso tempo è necessario dimostrare che la Comunità euroatlantica è più vitale e concreta che mai. Nell'affermare la sovranità degli Stati che la compongono, i loro valori di libertà e di rispetto della persona umana valori di libertà. L'ulteriore integrazione del mercato transatlantico attraverso la sollecita conclusione del Trattato sul commercio e gli investimenti deve costituire l'elemento di forza e un segnale di determinazione occidentale rivolto anche alla Russia.

Solo così, come si è ampiamente sperimentato in altri momenti difficili nei rapporti Est Ovest, matureranno le condizioni per riportare Mosca a un tavolo di trattative che rilanci un nuovo grande progetto per la sicurezza europea. Un sistema che sia basato sulla cooperazione e su un partenariato, nel quale oggi Putin non è interessato a credere, perchè invaghito della ritrovata forza del suo apparato militare, e forse illuso della solidità del suo sistema politico.