Etica della Comunicazione 3

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Terza lezione I modelli dell’etica della comunicazione

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Slide per il corso di Adriano Fabris "Etica della Comunicazione" del corso ANICEC - Animatori della Cultura e della Comunicazione. Vieni a trovarci su www.anicec.it - www.facebook.com/anicec2013 - @anicec2013!

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Terza lezioneI modelli dell’etica della comunicazione

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Quello che non fanno i codici deontologici

• I codici deontologici non riescono a fare tre cose:

• Il chiarimento di ciò che è buono all’interno di una particolare attività comunicativa.

• La sua giustificazione, ossia la fondazione di questo concetto di “buono” in campo comunicativo.

• La motivazione ad assumere, appunto, un tale atteggiamento comunicativo che viene riconosciuto e fondato come “buono”.

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Quello che fa l’etica della comunicazione in senso stretto

• Definizione:

• L’etica della comunicazione in senso stretto è quella disciplina che intende stabilire che cosa è “buono”, “giusto”, “virtuoso” all’interno di un contesto comunicativo e che intende giustificare l’opzione che fa adottare un simile comportamento.

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In che modo l’etica della comunicazione in senso stretto raggiunge il suo obbiettivo

• Lo raggiunge secondo quattro paradigmi. Essi sono:

• 1) Il modello che fa riferimento a una specifica natura comunicativa dell’uomo;

• 2) Il paradigma dialogico;

• 3) Il modello che, per la scelta di specifiche strategie comunicative, fa riferimento all’audience, a un pubblico possibile;

• 4) Il paradigma dell’utilitarismo: il riferimento cioè, per le proprie scelte comunicative, al criterio dell’utilità.

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Il primo modello: quello che fa riferimento alla natura comunicativa degli esseri umani

• L’essere umano, per quanto riguarda la sua natura, è considerato come un essere che comunica (la tesi di Aristotele).

• Conformemente a questa tesi, è buono tutto ciò che, nell’esercizio della parola e del discorso – nell’esercizio cioè della comunicazione – si rivela conforme a questa natura comunicativa.

• Cattivo è invece ciò che la mette in questione, ovvero utilizza la comunicazione per scopi che sono contrari al sostegno e alla promozione di questa natura umana.

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Il secondo modello: il modello dialogico

• Il dialogo, il dialogo vero, è il modello di un corretto agire comunicativo. Sue condizioni sono:

• La disponibilità di ciascun interlocutore a riconoscere le ragioni dell’altro come potenzialmente buone; la disponibilità di ciascun interlocutore ad aprirsi all’altro; la disponibilità di ciascun interlocutore a cambiare idea.

• Il rischio di questo atteggiamento dialogico, se non compiuto in maniera matura, è quello di vedere intaccata, se non addirittura di perdere, la propria identità.

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Il terzo modello:il modello della retorica

• La tesi della retorica: buono in ambito comunicativo è tutto ciò che salvaguarda e viene incontro all’audience, al pubblico, agli interlocutori.

• Esiste però una buona e una cattiva retorica.

• Buona retorica è quella che subordina in ogni caso la capacità espressiva alla necessità di “dire la verità”.

• Cattiva retorica è quella per cui “dire la verità” è irrilevante: bisogna solo persuadere a ogni costo il proprio interlocutore. È ciò che sostiene precisamente la sofistica.

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Il quarto modello: il modello dell’utilitarismo

• La tesi dell’utilitarismo: valori di riferimento anche nel comunicare sono l’utile individuale o collettivo.

• Ciò significa privilegiare l’efficacia e l’efficienza dei processi comunicativi: che solo in questo modo potrebbero essere funzionali a un utile specifico.

• Ma questa concezione del comunicare risulta diffusa, ma oltremodo unilaterale.

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Ciò che ricaviamo da questiquattro modelli

• Ricaviamo una particolare definizione di ciò che è “buono” in ambito comunicativo (ciò che corrisponde alla natura dell’uomo; ciò che corrisponde al paradigma dialogico; ciò che va incontro alle esigenze dell’audience; ciò che risponde al criterio dell’utile).

• Ricaviamo anche una giustificazione di ciò che significa “comunicare bene”: a partire dalla natura dell’uomo, a partire dall’esperienza del dialogo, a partire dall’attenzione all’interlocutore, a partire dal raggiungimento dell’utile, individuale o collettivo.

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Limiti dei quattro modelli

• Questi modelli però non danno:

• 1) Le motivazioni che ci inducono a comunicare in questo o in quel modo, secondo questo o quel criterio. Tali motivazioni sono considerate qualcosa di scontato.

• 2) Il perché questo o quel principio (ad esempio il bene comune o l’utilità) debbono essere considerati validi in assoluto.

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Un nuovo approccio:

l’etica nella comunicazione • Definizione:

• L’etica nella comunicazione è un’indagine sul linguaggio e sulla comunicazione che ritiene di essere in grado di ritrovare all’opera, nella comunicazione stessa, particolari principi etici, che ciascun parlante si troverebbe indotto ad applicare.

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La tesi di Apel e di Habermas

• Questa concezione è stata elaborata da Karl-Otto Apel e da Jürgen Habermas.

• Il loro progetto è caratterizzato dall’intenzione di rinvenire all’interno dello stesso ambito comunicativo criteri e principî etici che pretendono di avere una validità universale.

• Già nel discorso stesso, per il suo funzionamento, sono inscritti precisi obblighi morali.

• Ecco perché, nella misura in cui tali obblighi sono riconosciuti da ogni soggetto razionale, diviene possibile ricavare, da questi elementi insiti nella prassi comunicativa, le condizioni che consentono di elaborare un’etica generale.

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Approfondimento 1: Apel

• Apel sostiene che vi è una normatività morale all’interno dell’atto comunicativo. Tutti noi, come potenziali interlocutori, facciamo parte di una “comunità illimitata della comunicazione”.

• I principi morali che governano il discorso sono:

• 1) La giustizia (cioè l’“uguale diritto per tutti i possibili partner del discorso all’impiego di ogni atto linguistico utile all’articolazione di pretese di validità in grado di ottenere un possibile consenso”);

• 2) La solidarietà (“valida per tutti i componenti della comunità attuale, come pure per tutti i membri potenziali della comunità in linea di principio illimitata dell’argomentazione, e riguardante il reciproco appoggio e dipendenza nel quadro di un comune intento di una soluzione argomentativi dei problemi”) e

• 3) La co-responsabilità (che vincola i partner della comunicazione allo “sforzo solidale per l’articolazione e la risoluzione di problemi”).

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Approfondimento 2: Habermas

• Habermas introduce la differenza fra:

• L’agire comunicativo strategico, il quale mira semplicemente a promuovere l’affermazione di sé e della propria tesi, e

• L’agire comunicativo nell’ambito dell’ “etica del discorso”, che si configura per la sua aspirazione all’intesa e per l’identificazione del linguaggio come luogo in cui una tale intesa si può realizzare.

• Nell’etica del discorso “Ogni norma valida dovrebbe poter trovare il consenso di tutti gli interessati, purché questi partecipino ad un discorso pratico”.

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Opportunità e limiti dell’etica nella comunicazione

• Apel e Habermas mostrano che non si può comunicare senza agire eticamente.

• Resta però aperta domanda relativa al senso del nostro agire morale: la questione, in altre parole, riguardante il perché del nostro voler essere buoni, del nostro volerci effettivamente conformare a ciò che in qualche modo risulta già inscritto nel funzionamento dell’argomentare comunicativo.

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Conclusione

• Necessità di uno sviluppo di questa dottrina.

• Necessità d’indagare, per dare una risposta alla domanda sul senso e sulla motivazione del nostro comunicare bene (cioè della nostra adozione dei principi etici già insiti nel nostro linguaggio), il riferimento alla responsabilità dell’uomo.