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Corso di aggiornamento sull'Ellenismo - giovedì 23/2/95 Pitagorici Comprensibilità della natura attraverso l'aritmetica Aritmetizzazione della natura, ma anche della geometria (Aritmo-Geometria o al- gebra geometrica) Maggior fiducia nell'Aritmetica, più astratta, che nella Geometria (Archita) Due critiche profonde: l'una, tecnica, interna alla scuola; l'altra, filosofica, esterna. Esempio Si parla del sottomultiplo di un segmento perché si riesce a costruirlo con la sola riga (cfr. fig.); si parla della metà di un angolo perché si riesce a costruirlo con riga e compasso; si parla della terza parte di un angolo perché si è riusciti a costruirlo utilizzando curve meccaniche complicate. Non si parla in generale della n sima parte di una grandezza qualsiasi. Manca una teoria delle proporzioni (Eudosso). Schema riassuntivo dei due paradigmi epistemici: DEMOCRITO ARISTOTELE Vero = intelligibile Vero = sensibile Atomismo finitista Divisibilità infinita in potenza Vuoto necessario Vuoto impossibile Inerzia atomi Nessuna inerzia Più mondi possibili Un solo mondo Mondo celeste simile a terreno Mondo celeste e terreno non simili Riduce differenze qualitative a quantit. Diff.qualit. irriducibili alle quantitative Matematica applicabile alla fisica Matematica inapplicabile alla fisica Solo cause meccaniche Soprattutto cause finali Non vi sono dèi fuori natura Motore immobile Autosufficienza della natura Esistenza di un livello soprannaturale Crisi degli irrazionali Sfiducia nell'Aritmetica Perdita di fondamento del concetto di rapporto, e quindi di proporzione, anche in geometria Critica eleatica del molteplice Sfiducia nell'evidenza dei sensi Necessità di introdurre solo enti costruibili con procedimenti finiti «Complesso dell'infinito»

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Corso di aggiornamento sull'Ellenismo - giovedì 23/2/95

Pitagorici

• Comprensibilità della natura attraverso l'aritmetica

• Aritmetizzazione della natura, ma anche della geometria (Aritmo-Geometria o al-

gebra geometrica)

• Maggior fiducia nell'Aritmetica, più astratta, che nella Geometria (Archita)

Due critiche profonde: l'una, tecnica, interna alla scuola; l'altra, filosofica, esterna.

Esempio Si parla del sottomultiplo di un segmento perché si riesce a costruirlo con la sola riga (cfr.fig.); si parla della metà di un angolo perché si riesce a costruirlo con riga e compasso; siparla della terza parte di un angolo perché si è riusciti a costruirlo utilizzando curvemeccaniche complicate. Non si parla in generale della nsima parte di una grandezzaqualsiasi.

Manca una teoria delle proporzioni (Eudosso).

Schema riassuntivo dei due paradigmi epistemici:

DEMOCRITO ARISTOTELEVero = intelligibile Vero = sensibileAtomismo finitista Divisibilità infinita in potenzaVuoto necessario Vuoto impossibile

Inerzia atomi Nessuna inerziaPiù mondi possibili Un solo mondo

Mondo celeste simile a terreno Mondo celeste e terreno non similiRiduce differenze qualitative a quantit. Diff.qualit. irriducibili alle quantitative

Matematica applicabile alla fisica Matematica inapplicabile alla fisicaSolo cause meccaniche Soprattutto cause finali

Non vi sono dèi fuori natura Motore immobileAutosufficienza della natura Esistenza di un livello soprannaturale

Crisi degli irrazionali

òSfiducia nell'Aritmetica

Perdita di fondamento del concettodi rapporto, e quindi di proporzione,

anche in geometria

Critica eleatica del molteplice

òSfiducia nell'evidenza dei sensiNecessità di introdurre solo enticostruibili con procedimenti finiti

«Complesso dell'infinito»

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Archimede (287-212)

• E' il precursore di Galileo, la sua fonte di ispirazione (Koyré, p. 10 e nota).

• Opportunista, contrapposto, con Erone, ad Euclide (il fine è il risultato, non l'ars

geometrica)

• Coniuga indirizzo eudossiano (rigore dimostrativo) con indirizzo democriteo

(basato sulla divisibilità infinita)

• Interazioni geometria - fisica. Non solo perché affronta i problemi fisici in modo

quantitativo numerico, ma per il modo spregiudicato con cui le due discipline

dialogano.Esempio Soluzione del problema dei baricentri e delle leve → Teorema sul segmento parabolico e

Il Metodo → Galleggiamento dei corpi (navi).

• Siamo alla nascita della fisica matematica. Ma siamo anche alla soglia del '500 con

il dialogo tra Fisica, Tecnica e Matematica.

• Perché non nasce la fisica matematica moderna con Archimede ? Distinzione

logistica (processi meccanici) - geometria (vedi Plutarco): Fisica e Tecnica sono

ancora separate, il loro dialogo con Archimede e con la scuola alessandrina è

clandestino.

• Occorreva attaccare Aristotele su più punti contemporaneamente (cosmo, caduta

dei corpi, inerzia del moto, per citare solo le questioni fisiche, non strettamente

metodologiche e filosofiche).

Antichi: Moto verso il basso è moto naturale; moto verso l'alto è violento. v ÷ P - R

Aristotele: Pesantezza e Leggerezza sono caratteri naturali. v ÷ P/ρ

Archimede permetterà a Galileo di affrontare il problema della caduta dei corpi.

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Meriti della matematica greca.

• Predilezione per un procedimento astratto, e quindi generale

• Invenzione (?) del metodo ipotetico-deduttivo, con assiomi sempre posti in evi-

denza all'inizio della trattazione (Euclide 467 proposizioni da 10 assiomi, Apollonio

487).

• Fiducia nel solo metodo deduttivo, probabilmente per:

1. Ricerca di verità oggettive, che possono derivare solo da verità

2. Acquisizione del principio di non contraddizione (Aristotele)

3. E' un metodo costruttivo e dunque mette al sicuro dal pericolo di lavora-

re con figure che non esistono, come il poliedro regolare formato da esa-

goni regolari.

4. Fascino del rigore della logica

• Attrazione per l'aspetto estetico della matematica, considerata un'arte della mente,

come la musica lo era dell'anima (Kline: «gli interessi razionali ed estetici, come

pure quelli morali, difficilmente possono essere separati nel pensiero greco»). La

matematica è chiara, semplice, ordinata, armoniosa e bella

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Limiti della matematica greca.

• Bisogno di esattezza, non-contraddizione, chiarezza e costruibilità (finita) produs-

sero l'incapacità di cogliere i numeri irrazionali e l'infinito in ogni sua forma,

per la mancanza di utilizzo di procedimenti infiniti e insieme distinzione tra nu-

mero e grandezza. I Babilonesi operavano con alcuni irrazionali per approssima-

zione. Ma già i Pitagorici associavano il bene al limitato e il male all'illimitato. Per

Aristotele l'infinito è imperfetto, incompleto, confuso e privo di forma e dunque non

suscettibile di essere colto con il pensiero. Per lo stesso Euclide la retta non è in-

finita e il 5° postulato manca di evidenza accettabile. Nella scuola alessandrina Ar-

chimede, Erone e Tolomeo lavorarono con gli irrazionali, ma senza influenzare il

corso storico successivo. Il problema ebbe una soluzione assiomatica nel XIX s.

• Separazione algebra - geometria, superata solo nell'Universitas del XIV s.

(Parigi, e soprattutto Oxford)

• Arresto dello sviluppo dell'aritmetica, solo la geometria dà risultati sicuri,

(contrariamente alle idee pitagoriche (Archita); ma le dimostrazioni geometriche

sono sempre più complicate. L'aritmetica si riprenderà solo nel XIV s (influenza

araba, nascita dell'algebra).

• Limite alla capacità di astrazione di una matematica vincolata ai criteri di co-

struibilità (per risolvere i problemi di esistenza) regolati da figure fisse: la linea

retta, che si può tracciare con una riga, e la circonferenza che si può tracciare con

un compasso (sole eccezioni: le curve meccaniche sconsigliate da Platone). I postu-

lati di Euclide si preoccupano solo di assicurare la costruibilità di retta e circonfe-

renza. Comunque le figure devono essere dotate di esistenza nello spazio reale e

finito.

• La stessa costruibilità è una ri-costruibilità dei concetti (immagine, nel Teeteto,

della ricerca della conoscenza paragonabile alla caccia agli uccelli presenti in una

voliera): i concetti matematici non sono invenzioni umane. Per Kline troppo lo-

gici e precisi (dimostrazioni e concetti esatti): non accettano principi non evidenti

(soprattutto sull'infinito).

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• La matematica è un sistema chiuso almeno nel periodo classico e dunque portava

in se i germi della propria morte.

• Separazione matematica - tecnica. Matematica mai concepita, neppure da Ar-

chimede ed Erone, per innalzare il tenore di vita e migliorare la produzione. La so-

cietà antica era società di consumi più che di produzione (beni di consumo e schiavi

dai paesi conquistati, oltre che dai ceti inferiori). Così la meccanica era solo uno

strumento per scoprire teoremi (Archimede), per risolvere problemi pratici specifici

(Archimede ed Erone) o per procurare diletto (i teatri automatici di Erone). Marco

Terenzio Varrone riferisce che gli strumenti con i quali si lavora la terra sono da al-

cuni divisi «in tre categorie: strumenti parlanti [gli schiavi], strumenti semipar-

lanti [gli animali] e strumenti muti».

• Separazione matematica - fisica. Il concetto di tempo è assente nella matematica:

bisognerà attendere la sua geometrizzazione con Galileo. Gli stessi concetti di spa-

zio della fisica di Aristotele e della geometria di Euclide sono incompatibili

(omogeneo, limitato e isotropo il secondo; eterogeneo, illimitato e anisotropo il

primo). Vi è una tradizione che inaugura il percorso della razionalizzazione della

natura: Universo segue leggi matematiche → Universo comprensibile e control-

labile, ma è una tradizione perdente che scompare insieme alla civiltà alessandrina

(Pitagorici, Democrito, Platone, Archimede)

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Plutarco sulla figura di Archimede

[Da: PLUTARCO, Vite parallele, trad. di C. Carena, Einaudi, Torino 1958]

Marcello incominciò ad investire la città contemporaneamente da terra e dal mare. Appio guidava

all'attacco le forze di terra, il console comandava la flotta, forte di sessanta quinquereme attrezzate

con ogni sorta di armi da difesa e da offesa. Sopra una grande piattaforma, costituita da otto navi le-

gate insieme, aveva eretto una macchina da lancio e con essa vogava in direzione delle mura, fidu-

cioso nel numero e nello splendore delle attrezzature e nella fama che lo circondava.

Ma di tutto ciò non si preoccupò Archimede, come se le armi del nemico nulla contassero a paragone

dei suoi meccanismi. Non che ad essi si fosse dedicato come a un lavoro degno di attenzione; in

maggioranza erano divertimenti di geometria, che aveva fatto a tempo perso Il re Ierone per primo

sollecitò e convinse Archimede a rivolgere un poco della sua scienza dalle cognizioni teoretiche alle

cose concrete e a mescolare in qualche modo la speculazione coi bisogni materiali, così da renderla

più evidente ai profani, quando l'avesse resa sensibile.

Gli iniziatori della meccanica, scienza oggi seguita con interesse e a tutti nota, furono Eudosso ed Ar-

chita, i quali comunicarono un grande fascino alla geometria mediante l'eleganza dei suoi procedi-

menti. Essi diedero ai problemi che non offrivano possibilità di soluzione con un procedimento soltan-

to logico e verbale il sostegno di schemi visivi e meccanici. Ad esempio nella soluzione del problema

di due rette medie proporzionali, elemento necessario alla composizione di molte figure, entrambi gli

scienziati ricorsero a mezzi meccanici, servendosi delle medie proporzionali che certi strumenti rica-

vano da linee curve e da segmenti. Platone rimase indignato da questo modo di procedere e pole-

mizzò coi due matematici, quasi ché distruggessero e corrompessero ciò che vi era di buono nella

geometria: in tal maniera essa abbandonava infatti i concetti astratti per scendere nel mondo sensi-

bile, e usava anch'essa oggetti che richiedevano ampiamente un grossolano lavoro manuale. La

meccanica fu così separata e si staccò dalla geometria; per molto tempo la filosofia l'ignorò, ed essa

divenne una delle arti militari.

Ma Archimede scrisse un giorno al re Ierone, di cui era parente ed amico, che si poteva con una certa

forza sollevare un certo peso. Si dice che, preso d'entusiasmo per il vigore della propria dimostra-

zione, Archimede aggiunse che se fosse esistita un'altra terra, egli avrebbe mosso questa trasferen-

dosi in quella. Ierone trasecolò per la scoperta fatta dall'amico e lo pregò di ridurre in pratica la sua

proposizione mostrandogli qualche grosso oggetto mosso da una piccola forza. Archimede prese un

mercantile a tre alberi della flotta reale, che fu tirato in secco con grande fatica e l'impiego di molte

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persone, v'imbarcò molti uomini e il suo carico abituale, poi si sedette lontano e senza nessuno sfor-

zo, muovendo tranquillamente con una mano un sistema di carrucole, lo fece avvicinare a sé dolce-

mente e senza sussulti, come se volasse sulle onde del mare. Il re fu colpito dalla straordinaria espe-

rienza, intuì le possibilità della scienza di Archimede e lo convinse a preparare per lui delle macchine

sia da difesa, sia da offesa, che potessero servire a qualunque tipo di assedio...

I Siracusani, quando videro i Romani investire la città dai due fronti, di terra e di mare, rimasero

storditi e ammutolirono di timore. Pensarono che nulla avrebbe potuto contrastare l'impeto di un at-

tacco in forze di tali proporzioni. Ma Archimede cominciò a caricare le sue macchine e a far piovere

sulla fanteria nemica proiettili di ogni genere.

Grandi masse di pietra cadevano dall'alto con fragore e velocità incredibili, né c'era modo di difende-

rsi dal loro urto: rovesciavano a terra tutti coloro che incontravano, e scompigliavano i ranghi. Con-

temporaneamente dalle mura venivano proiettati in fuori all'improvviso dei lunghi pali, che si punta-

vano in direzione delle navi e le affondavano senza rimedio, colpendole dall'alto con dei pesi, oppure

le sollevavano diritte, afferrandole per la prua con delle mani di ferro o dei becchi simili a quelli delle

gru, per poi immergerle nell'acqua con la poppa. Altre, mediante cavi azionati dall'interno della città,

erano fatte girare e sballottate qua e là, finché si sfracellavano contro le rocce e gli scogli posti sotto

le mura, con grave massacro degli uomini che erano a bordo, i quali facevano la stessa fine della

nave. Molte volte una di queste era sollevata dall'acqua, e lì, sospesa nel vuoto, veniva scrollata ben

bene. Era uno spettacolo davvero terrificante: i marinai venivano divelti e proiettati in ogni direzione,

lo scafo, vuoto, andava a sbattere prima o poi contro le mura, oppure si allentava la presa, ed esso

scivolava in mare. Quanto alla macchina che Marcello trasportava sulla sua piattaforma, chiamata

«sambuca» per una certa somiglianza con lo strumento musicale omonimo, fu colpita da una pietra

del peso di dieci talenti, mentre l'avvicinavano alle mura ed era ancora lontana. Dopo la prima la rag-

giunse un secondo, quindi un terzo masso; alcuni proiettili s'abbatterono con grande fragore sul basa-

mento della macchina, lo fecero ondeggiare e lo sconquassarono interamente: il pontone fu disperso,

e la piattaforma scardinata...

Marcello riuscì tuttavia a portarsi in salvo e trovò ancora il modo di scherzare coi suoi genieri e mec-

canici: «Non smetteremo dunque di combattere» disse «contro questo Briareo geometra? Egli attinge

l'acqua dal mare con le nostre navi; con un pugno, e con nostro scorno ha spazzato via la sambuca;

lanciando su di noi tanti proiettili contemporaneamente, supera i giganti a cento mani, di cui favoleg-

giano i poeti».

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Per la verità tutto il resto dei Siracusani non era che il corpo delle attrezzature di Archimede: lui solo

era l'anima, che muoveva e manovrava ogni cosa. Tutte le altre armi giacevano inerti: sol tanto delle

sue la città si serviva in quel frangente sia per attaccare, sia per difendersi. Marcello vide i Romani

così atterriti che, se appena si avvistava una fune o un legno sporgente di poco sopra le mura:

«Eccolo» gridavano, «Archimede sta dirigendo qualcuno dei suoi ordigni su di noi», e si davano a

pazza fuga. Soprassedette quindi a qualsiasi operazione militare, combattimenti od assalti, e per il

resto affidò al tempo l'esito dell'assedio.

Archimede possedette tuttavia uno spirito così elevato, un'anima così profonda e un patrimonio così

grande di cognizioni scientifiche che non volle lasciare per iscritto nulla su quelle cose, cui pure dove-

va un nome e la fama di una facoltà comprensiva non umana, ma pressoché divina.

Persuaso che l'attività di uno che costruisce delle macchine, come di qualsiasi altra arte che si rivolge

a un'utilità immediata, è ignobile e grossolana, rivolse le sue cure più ambiziose soltanto a studi la cui

bellezza ed astrazione non sono contaminate da esigenze di ordine materiale. E i suoi studi non am-

mettono confronti con nessun altro. In essi è una gara continua tra la materia e le dimostrazioni: la

prima fornisce soggetti grandi e nobili e le seconde risultano di una precisione e di una forza straordi-

narie. In tutta la geometria non è dato incontrare argomenti più difficili e profondi di quelli affrontati da

Archimede, espressi in termini più semplici e puri. Alcuni studiosi attribuiscono questo portento alle

doti congenite dell'uomo; altri ritengono che il fatto che ogni suo principio sembri raggiunto senza al-

cuna fatica e difficoltà, è dovuto alla straordinaria elaborazione con cui lo ricavò. Per quanto uno cer-

chi, non potrebbe arrivare mai da solo alle dimostrazioni ch'egli dà; eppure, appena le ha apprese da

lui, ha la sensazione che sarebbe riuscito egli pure a trovarle, tanto è liscia e rapida la strada per cui

conduce a ciò che vuole dimostrare. Non c'è dunque ragione di non credere a quanto si dice di Ar-

chimede, e cioè che viveva continuamente incantato da questa, che potremmo chiamare una Sirena

a lui familiare e domestica, al punto da scordarsi persino di mangiare e di curare il proprio corpo.

Spesso quando i servitori lo trascinavano a viva forza nel bagno per lavarlo e ungerlo, egli disegnava

sulla cenere della stufa alcune figure geometriche; e appena lo avevano spalmato di olio, tracciava

sulle proprie membra delle linee col dito, tanto lo dominava il diletto ed era prigioniero, veramente,

delle Muse. Molte e mirabili furono le scoperte ch'egli fece; ma sulla tomba pregò, si di ce, gli amici e i

parenti di mettergli, dopo morto, un cilindro con dentro una sfera, e quale iscrizione la proporzione

dell'eccedenza del solido contenente rispetto al contenuto.

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Cenni sulla scomparsa del mondo greco

[KLINE, Storia del pensiero matematico, Einaudi, Torino 1990, vol. I, pp. 208-212]

[...] Il primo disastro fu l'avvento dei Romani, il cui ruolo nella storia complessiva della matematica fu

quello di agenti distruttori. [...] La matematica romana merita a malapena di essere menzionata. [...]

[...] durante tutti questi undici secoli [della civiltà romana] non vi fu un solo matematico romano e, a

parte alcuni dettagli di poco conto, questo solo fatto dice virtualmente tutto della matematica romana.

I Romani possedevano un'aritmetica rozza e alcune formule geometriche approssimate, il cui numero

venne in seguito incrementato prendendone a prestito altre dagli Alessandrini. [...]

Fra i Romani il termine «matematica» cadde in disgrazia perché gli astrologi venivano chiamati ma-

thematici e l'astrologia era condannata dagli imperatori romani. [...] Il «codice della matematica e delle

cattive azioni», che era la legge romana che vietava l'astrologia, venne applicato anche in Europa

durante il medioevo. [...]

L'attitudine dei Romani nei confronti della matematica viene enunciata con chiarezza da Cicerone: «I

Greci tennero il geometra nella più alta considerazione e di conseguenza nulla compì fra loro pro-

gressi più brillanti della matematica. Noi invece abbiamo fissato come limite di quest'arte la sua utilità

per misurare e per contare».

Gli imperatori romani non incoraggiarono la matematica come avevano fatto i Tolomei d'Egitto. D'altra

parte, i Romani non capivano la scienza pura. La loro incapacità di far compiere progressi alla mate-

matica colpisce perché essi governarono un impero di dimensioni enormi e perché tentarono di risol-

vere i problemi pratici. [...]

Nel 47 a.e.v. Cesare diede fuoco alla flotta egiziana che era alla fonda nel porto di Alessandria; il

fuoco si estese alla città e bruciò la biblioteca. Due secoli e mezzo di paziente raccolta di libri e mezzo

milione di manoscritti che rappresentavano il fiore della cultura antica andarono in fumo.

Fortunatamente, un'eccedenza di libri che non avevano potuto essere sistemati nell'affollatissima

biblioteca era in quell'epoca conservata nel tempio di Serapide e si salvò dall'incendio. Inoltre, Attalo

III di Pergamo, morto nel 133 a.e.v., aveva lasciato a Roma la sua grande raccolta di libri e Marco

Antonio la regalò a Cleopatra che l'aggiunse ai libri conservati nel tempio. La raccolta totale era di

nuovo enorme. [...]

Dal punto di vista della storia della matematica l'avvento del cristianesimo ebbe conseguenze sfortu-

nate. I capi cristiani, sebbene avessero adottato molti miti e usi greci e orientali con l'intento di ren-

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dere il cristianesimo più accetto ai convertiti, si opposero alla cultura pagana mettendo in ridicolo la

matematica, l'astronomia e la fisica. Ai cristiani era vietato contaminarsi con la cultura greca. Nono-

stante la crudele persecuzione dei Romani, il cristianesimo si diffuse e diventò così potente che l'im-

peratore Costantino (272-337) fu costretto ad adottarlo come religione ufficiale dell'impero romano. I

cristiani erano ora pronti a distruggere in maniera ancora più accentuata la cultura greca. L'impera-

tore Teodosio proscrisse le religioni pagane e, nel 392, ordinò la distruzione dei templi greci. Molti di

essi vennero trasformati in chiese, pur continuando spesso a ornarsi delle sculture greche. I pagani

vennero attaccati e assassinati in tutto l'impero. La sorte di Ipazia, una matematica alessandrina di

fama, figlia di Teone di Alessandria, è il simbolo della fine di un'era. Per essersi rifiutata di abbando-

nare la religione greca, cristiani fanatici la aggredirono nelle strade di Alessandria e la fecero a pezzi.

I libri greci venivano bruciati a migliaia. Nell'anno in cui Teodosio bandì le religioni pagane i cristiani

distrussero il tempio di Serapide che racchiudeva ancora l'unica grande raccolta esistente di opere

greche. Si ritiene che siano stati distrutti 300.000 manoscritti. Molte altre opere scritte su pergamena

vennero cancellate dai cristiani in modo da poter usare essi stessi la pergamena per i propri scritti.

Nel 529 l'imperatore romano d'Oriente Giustiniano chiuse tutte le scuole filosofiche greche, compresa

l'Accademia platonica. Molti studiosi greci lasciarono il paese e alcuni, come ad esempio Simplicio, si

stabilirono in Persia.

Il colpo finale ad Alessandria venne dato dalla conquista dell'Egitto da parte degli insorti musulmani

nel 640 e.v. I libri che ancora rimanevano vennero distrutti per il motivo enunciato da Omar, il con-

quistatore arabo: «O i libri contengono ciò che è nel Corano, e allora non è necessario leggerli, oppu-

re contengono l'opposto di ciò che è nel Corano, allora non dobbiamo leggerli». E così per sei mesi i

bagni di Alessandria vennero riscaldati bruciando rotoli di pergamena.

Dopo la conquista di Alessandria da parte dei maomettani la maggioranza degli studiosi emigrarono a

Costantinopoli, che era diventata la capitale dell'impero romano d'Oriente. Sebbene fosse impossibile

che nell'ostile atmosfera cristiana di Bisanzio fiorisse alcuna attività che proseguisse le linee del pen-

siero greco, il flusso di studiosi e la possibilità ivi trovata di lavorare con relativa tranquillità accreb-

bero enormemente il tesoro di conoscenze che doveva raggiungere l'Europa otto secoli più tardi. [...]

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Bonamici sulla pesantezza e leggerezza

[Citato in: KOYRÉ, Studi galileiani, Einaudi, Torino 1966, pp. 30-31]

Nell'antichità (poiché noi cominceremo col riportare le opinioni e le dottrine dei Greci), Timeo, Stratone di

Lampsaco ed Epicuro credettero che, in verità, tutte le cose fossero pesanti e che niente fosse di per sé leg-

gero; inoltre due sono i termini del movimento, l'uno, il più alto e l'altro, opposto al primo, il più basso; ma l'uno,

cioè il basso, è il luogo verso il quale tendono tutte le cose secondo natura, l'altro, al contrario, è quello verso il

quale sono trascinate con violenza; pertanto, poiché tutte le cose sono pesanti, si portano, secondo natura,

verso il basso; e se qualcuna di esse si trova più in basso o più in alto ciò deriva solo dal fatto che i corpi più

pesanti esercitano una pressione su quelli meno pesanti e perciò si sistemano al di sotto di quelli, ma non

perché qualcosa sia realmente leggero e si porti in alto grazie a una tendenza naturale, ma al contrario

ambedue i corpi appartengono alla specie dei corpi pesanti. Se uno dei due sembra leggero, è perché l'altro è

più pesante e questo invece meno; ora poiché uno dei due è più pesante, questo esercita una pressione su

quello che è meno pesante e si pone sotto, e quello che è meno pesante, sopra; così il moto [verso l'alto] si fa,

per cosi dire, per espulsione, poiché il corpo, tanto più è pesante, tanto più spinge e opprime quello che è me-

no pesante e ciò tanto più rapidamente. Cosi la velocità di questo moto [verso l'alto] non deriva in verità da

una causa interna, ma da una causa esterna e violenta e per niente naturale.

Del resto Aristotele ha criticato queste dottrine, partendo dai dati che il senso percepisce in ogni genere di

movimento; egli conclude che c'è un movimento naturale in tutti i corpi anche [in quelli che si dirigono] verso

l'alto, poiché laddove una cosa è mossa violentemente, è mossa più rapidamente quando è più piccola di

quando è più grande; inoltre, tutto ciò che è mosso violentemente è più rapido all'inizio del suo movimento, ma

quando l'impetus che lo fa muovere svanisce, anche il suo movimento si ferma, e gli subentra un movimento

naturale; quest'ultimo, al contrario, all'inizio è più lento, ma cresce progressivamente e diviene rapidissimo

verso la fine poiché ciò che è trasportato violentemente in qualche luogo, si muove di là secondo natura. Ora,

noi osserviamo che nel moto degli elementi, per esempio in quello in cui discende la terra, il movimento è

tanto più rapido quanto più grande è la massa. Inoltre, noi osserviamo che la terra si muove più lentamente

all'inizio che in seguito; [osserviamo] che raggiunge la massima velocità quando arriva alla fine del movimento

e che, infine, quando arriva al centro non se ne allontana più, a meno che non vi sia costretta; la stessa cosa

accade per le cose che si portano in alto. Così dunque, noi diremo che quei corpi si muovono non in seguito

ad oppressione o ad espulsione, o, infine, in seguito a qualche altra forza, ma per la loro natura.

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Crisi degli irrazionali

ò

Sfiducia nell'Aritmetica

Perdita di fondamento delconcetto di rapporto,

e quindi di proporzione,anche in geometria

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Critica eleatica del molteplice

ò

Sfiducia nell'evidenza dei sensi

Necessità di introdurresolo enti costruibili

con procedimenti finiti

«Complesso dell'infinito»

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A

B

C

D

A'B'C'P Q

Divisione del segmento PQ in5 parti uguali

D'

E

a

b

b²ab

ab

La formula del quadrato di un binomio in geometria:

(a+b)² = a² + 2ab + b²

a b

b

b² b

a-b

a+b

a-b

δ

δ

Illustrazione della formula del prodotto notevole:

(a+b)(a-b) = a² - b²

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Schema riassuntivo dei due paradigmi epistemici antichi.

DEMOCRITO ARISTOTELEVero ≡ Intelligibile Vero ≡ SensibileAtomismo finitista Divisibilità infinita in potenzaVuoto necessario Vuoto impossibile

Inerzia degli atomi Nessuna inerziaInfiniti mondi possibili Un solo mondo possibileMondo celeste simile al

mondo terrenoMondo celeste e mondo terreno

non sono similiRiduce differenze

qualitative a quantitativeDifferenze qualitative

irriducibili alle quantitativeMatematica applicabile

alla fisicaMatematica inapplicabile

alla fisicaSolo cause meccaniche Soprattutto cause finali

Non dèi fuori della natura Motore immobileAutosufficienza

della naturaEsistenza di unlivello superiore

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Esattezza, non-contraddizione, chiarezza

ò

Criterio di costruibilità con proc. finiti,per garantire l'esistenza dei concetti

÷ ø

Incapacità di cogliereinfinito e infinitesimo

òIncapacità di trattare inumeri irrazionali in

aritmetica

òDistinzione numero -

grandezza

òSeparazione algebra -

geometria

÷ ø

Limite alla capacitàdi astrazione(solo riga e

circonferenza)

ò

La matematica èun sistema chiuso

ñ

I concetti matematici nonsono invenzioni umane

(Platone, Teeteto)

Arresto sviluppo

dell'algebra

Geometria

sempre più

appesantita

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Società antica: società di consumi e non di produzione

ò

Scarse esigenze di miglioramento dei mezzi produttivi,solo esigenze di tecnica militare o di navigazione

ò

Separazione matematica - tecnica

ò

Ars geometricaPrivilegio dell'aspetto estetico

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Affermazione del paradigmaplatonico - aristotelico

contro quellodemocriteo - archimedeo

ò

Separazione matematica - fisica

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-776 prima Olimpiade -212 morte di Archimede-753 fondazione di Roma secondo la tradizione -210 inizio della Grande Muraglia cinese-740 (circa) opere di Omero ed Esiodo -180 (circa) cissoide di Diocle;

concoide di Nicomede;Ipsicle e il cerchio in 360 parti

-585 Talete di Mileto; geometria deduttiva (?) -166 rivolta di Giuda Maccabeo-580 (circa) nascita di Pitagora -150 (circa) spiriche di Perseo-500 (circa) morte di Pitagora -146 distruzione di Cartagine e di Corinto-480 battaglia delle Termopili -140 (circa) trigonometria di Ipparco-477 formazione della lega di Delo -121 uccisione di Caio Gracco-470 (circa) nascita di Democrito -75 Cicerone restaura la tomba di Archimede-461 inizio età di Pericle -60 Lucrezio: De rerum natura-450 (circa) terra sferica di Parmenide -60 (circa) Gemino sul postulato delle parallele-430 (circa) opere di Democrito; teoria atomica;

morte di Zenone; astronomia di Filolao;Elementi di Ippocrate di Chio

-44 morte di Giulio Cesare

-429 morte di Pericle; peste di Atene +75 (circa) opera di Erone di Alessandria-428 nascita di Archita; morte di Anassagora +79 morte di Plinio il Vecchio presso il Vesuvio-427 nascita di Platone 100 (circa) Nicomaco: Aritmetica

Menelao: Delle sfere-420 (circa) trisettrice di Ippia; incommensurabili 116 Traiano estende l'impero romano-404 fine della guerra del Peloponneso 122 inizio del vallo di Traiano in Gran Bretagna-399 morte di Socrate; Anabasi di Senofonte 125 Teone di Smirne e i matematici platonici-384 nascita di Aristotele 150 (circa) Tolomeo: L'almagesto-369 morte di Teeteto 180 morte di Marc'Aurelio-360 (circa) Eudosso su proporzione ed esaustione

(circa) morte di Democrito250 (circa) Diofanto: Aritmetica

-350 (circa) Menecmo sulle sezioni coniche;Dinostrato sulla quadratrice

286 divisione dell'impero da parte di Diocleziano

-347 morte di Platone 320 (circa) Pappo: Collezione matematica-335 (circa) Eudemo: Storia della geometria 324 fondazione di Costantinopoli-332 fondazione di Alessandria 378 battaglia di Adrianopoli-330 (circa) Autolico: Sulla sfera mobile 390 Teone di Alessandria-323 morte di Alessandro 415 morte di Ipazia-322 morte di Aristotele e di Demostene 455 i Vandali mettono a sacco Roma-320 (circa) Aristeo: Coniche 470 (circa) valore di π di Tsu Chung-chi-311 inizio dell'era dei Seleucidi in Mesopotamia 476 fine dell'impero romano d'Occidente

nascita di Aryabhata-306 Tolomeo I (Soter) in Egitto 485 morte di Proclo-300 (circa) Elementi di Euclide-287 nascita di Archimede-283 faro di Alessandria-264 inizio della prima guerra punica-260 (circa) astronomia eliocentrica di Aristarco-232 morte di Asoka, il "Costantino buddista"-230 (circa) crivello di Eratostene-225 (circa) Coniche di Apollonio

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E' utile scorrere rapidamente il ragionamento di Archimede poiché utilizza un'idea sugli infinitesimi che sarà ripresanel XVII secolo. Lo ripercorriamo solo in alcuni punti essenziali dell'applicazione fattane al calcolo dell'area di unsegmento parabolico.Si consideri un segmento parabolico ABC delimitato dalla corda AC (fig.). Sia D il punto medio di AC e siano DE e AFle parallele all'asse della parabola condotte fino ad incontrare la tangente alla parabola in C. Sia quindi B il punto incui DE incontra la parabola. Si tracci la semiretta DB fino ad incontrare AF in K e la si prolunghi di un segmentoKH=CK. Si mandi ora una qualunque1 parallela all'asse della parabola che incontri AC in P, CF in M, CH in N el'arco in O. Archimede dimostra che:

OP ⋅ HK = MP ⋅ KN R ⋅ bR = P ⋅ bPe studia questa relazione: in essa solo HK è costante e non dipende dalla parallela MP scelta. Egli dunque interpretala relazione in questo modo. Considera una leva di primo genere con il fulcro in K e bracci HK e KN. Agli estremi H eN considera applicate rispettivamente una resistenza pari al segmento PO e una potenza pari al segmento MP. Dallarelazione segue che la leva è in equilibrio2. Se ora si immagina di far scorrere la parallela MP da FA fino a C, ilsegmento PO (resistenza) percorrerà l'intero segmento parabolico mentre MP percorre l'intero triangolo ACF. Aquesto punto Archimede assume che il segmento parabolico sia la somma di tutti i suoi infiniti segmenti-sezionecome OP e il triangolo ACF sia la somma di tutti i suoi infiniti segmenti-sezione come MP e considera l'area dellefigure proporzionale alla forza che esercitano sulla leva. Dunque l'intero segmento parabolico, immaginatoconcentrato con la sua area nel punto H è bilanciato (uguale) al triangolo ACF, considerato tutto concentrato nel suobaricentro rispetto a K. Ora, essendo CK mediana di ACF, il baricentro di quest'ultimo si trova in un punto G tale cheCG=2⋅KG (il baricentro di un triangolo si trova sulla mediana a 2/3 della sua lunghezza dal vertice) e quindi il bracciodella potenza risulta 1/3 di CK. Si ricava infine l'area del segmento parabolico dalla formula della leva:

Area KH Area CKsegm parabol ABC triang ACF. . .⋅ = ⋅ 13

1 Nel seguito della dimostrazione quei segmenti che sono variabili con la scelta della parallela MP vengono per comodità indicati in grassetto.2 La formula di una leva di primo genere, cioè una leva che ha il fulcro tra il punto di applicazione della potenza e quello della resistenza, è laseguente: P⋅bP = R ⋅bR, dove P è la potenza, bP il suo braccio (distanza dal fulcro), R la resistenza e bR il suo braccio.

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Koyré sull'archimedeo Galileo

[KOYRÉ, Studi galileiani, Einaudi, Torino 1966, pp. 74-75]

Perciò non c'è da meravigliarsi che la realtà dell'«esperienza» non possa concordare interamente con ladeduzione. Ciononostante la ragione sta dalla parte di quest'ultima. La deduzione e i suoi concetti «fittizi» cipermettono di comprendere e di spiegare la natura, di porle delle domande, d'interpretarne le sue risposte.Di fronte all'empirismo astrattivo, Galileo rivendica il superiore diritto del matematismo platonico.Tuttavia, l'autorità del divino Platone non è ancora chiamata ad avallare le «licenze matematiche» dellanuova fisica (a garantire così la possibilità d'impiegare l'ipotesi del parallelismo delle linee di forza della pe-santezza), ma si richiama piuttosto l'esempio del «sovrumano» Archimede» [De motu, p. 300: «Hic autemnon me praeterit, posse aliquem obiicere, me ad has demonstratione tanquam verum id supponere quodfalsum est: nempe, suspensa pondera ex lance, cum lance angulos rectas continere; cum tamen ponderaad centrum tendentia concurrerent. His responderem, me sub suprahumani Archimedis (quem nunquamabsque admiratione nomino) alis memet protegere». Cfr. oltre, p. 306, N.d.A.]. Si può stabilire più chiara-mente di così la derivazione storica? Si può più nettamente mostrare il senso della rivoluzione scientificache è in procinto di compiersi? Dopo aver respinto la fisica di Aristotele, dopo aver tentato invano di co-struire lui stesso una fisica del senso comune, Galileo sta ormai cercando di fondare una fisica archimedea.Una fisica archimedea vuol dire una fisica matematica deduttiva e «astratta»: tale sarà la fisica che Galileosvilupperà a Padova. Fisica dell'ipotesi matematica; fisica nella quale le leggi del movimento, la legge dellacaduta dei gravi sono dedotte «astrattamente», senza ricorrere alla nozione di forza, senza ricorrereall'esperienza sui corpi reali. Le «esperienze» a cui si richiama - o si richiamerà più tardi - Galileo, anchequelle che realmente esegue, non sono, e non saranno mai, che esperienze di pensiero. Le sole, d'al-tronde, che si potevano fare con gli oggetti della sua fisica. Giacché gli oggetti della fisica galileiana, i corpidella sua dinamica, non sono dei corpi «reali». Non può infatti immettere dei corpi «reali» - reali nell'acce-zione del senso comune - nell'irreale dello spazio geometrico. Questo Aristotele lo aveva avvertito conchiarezza. Ma non aveva capito che si poteva presupporvi dei corpi astratti, così come aveva preconizzatoPlatone, così come farà il platonico Archimede. Ebbene, lo stesso Archimede non era riuscito a dotarequesti corpi astratti di movimento. Questa fu l'opera del suo grande discepolo, l'archimedeo Galileo.

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Bibliografia

KLINE MORRIS, Storia del pensiero matematico, Einaudi, Torino 1990, vol. I, capp. III-VIII

BOYER CARL B., Storia della matematica, Mondadori, Milano 1990, capp. 4-11

RUFINI ENRICO, Il "metodo" di Archimede e le origini del calcolo infinitesimale nell'antichità,

Feltrinelli, Milano 1961

ENRIQUES FEDERIGO, Questioni riguardanti le matematiche elementari, Zanichelli, Bologna 1983,

parte I, tomo I, articolo I

HEATH THOMAS, A History of Greek Mathematics, Dover, New York 1981

BUNT-JONES-BEDIENT, Le radici storiche delle matematiche elementari, Zanichelli, Bologna 1983

Sulla figura di Galileo archimedeo:

KOYRÉ ALEXANDRE, Studi galileiani, Einaudi, Torino 1966, studi I e II