EQUAZIONI DIFFERENZIALI A VARIABILI SEPARABILI E … · numero ci parla delle equazioni di...

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• Numero 7 – Agosto 2008 • EQUAZIONI DIFFERENZIALI A VARIABILI SEPARABILI E METODO URANG-UTANG © - PROJECT MANAGEMENT E PROBLEM SOLVING - PROVA MATEMATICA DELL’ESISTENZA DI DIO - EQUAZIONI DI NAVIER-STOKES – ENNIO PERES Prgibbs, Oceanside - http://flickr.com/photos/philipgibbs/2623281711/in/photostream/

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• Numero 7 – Agosto 2008 •

EQUAZIONI DIFFERENZIALI A VARIABILI SEPARABILI E METODO URANG-UTANG © -PROJECT MANAGEMENT E PROBLEM SOLVING - PROVA MATEMATICADELL’ESISTENZA DI DIO - EQUAZIONI DI NAVIER-STOKES – ENNIO PERES

Prgibbs, Oceanside - http://flickr.com/photos/philipgibbs/2623281711/in/photostream/

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Registrazione del 19.12.2006 al n.953 del Tribunale di Lecce

Direttore responsabileAntonio [email protected]

VicedirettoreLuca [email protected]

RedazioneFlavio [email protected] AlbertoLuca BarlettaMichele Mazzucato

Hanno collaborato a questo numeroLuca Barletta, Antonio Bernardo, Paolo Bonicat-to, Roberto Chiappi, Flavio Cimolin, Luca Lus-sardi, Fioravante Patrone, Alexander Pigazzini,Luciano Sarra, Gabriella Zammillo.

Progetto graficoAnna Gangale

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sommario

90. Sulle equazioni differenziali ordinarie a variabili separabili ......................... 5DI PAOLO BONICATTO – LUCA LUSSARDI

91. Un commento all’articolo di Lussardi-Bonicatto ....................................... 9DI FIORAVANTE PATRONE

92. Filosofia e Matematica per il Project Management ed il Problem Solving ........................................................................... 10DI ROBERTO CHIAPPI

93. La prova matematica dell’esistenza di Dio............................................. 19DI ALEXANDER PIGAZZINI

94. Le equazioni di Navier-Stokes .............................................................. 23DI FLAVIO CIMOLIN

95. La Matematica è un gioco, intervista a Ennio Peres ............................. 29DI GABRIELLA ZAMMILLO

96. Lo scaffale dei libri .............................................................................. 31A CURA DI ANTONIO BERNARDO

97. Enigmistica e giochi ............................................................................ 37DI LUCIANO SARRA E LUCA BARLETTA

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Questo numero si apre con un dibattito sulla rigorosità di unmetodo usato ‘alla buona’ per risolvere alcune equazionidifferenziali: Paolo, Luca e Fioravante ne discutono mettendo inevidenza limiti e possibili interpretazioni di quello cheFioravante Patrone ha battezzato metodo “Urang-Utang”.L’articolo di Roberto sui rapporti tra matematica e filosofia nelproblem solving avvia una collaborazione conMatematicamente.it su questi temi. Roberto ha da poco scrittodue interessanti libri che abbiamo recensito: “Il problem solvingnelle organizzazioni” e “Il foglio elettronico come strumento peril problem solving”. In questo articolo riporta qualcheosservazione sull’intreccio di queste tematiche. Speriamo dipoter avviare sul sito una sezione che tratti questi temi inmaniera continuativa. Alexander ci parla di un tema affascinantee che appassiona un po’ tutti: la prova matematicadell’esistenza di Dio. E’ possibile trovare questa dimostrazione?Alexander ci mostra il tentativo di Kurt Goedel, un matematicodiviso tra genio e follia. La cosiddetta prova ontologica Goedell’ha data ma è tutta da interpretare. Flavio continua il suoviaggio tra le equazioni più famose della matematica. In questonumero ci parla delle equazioni di Navier-Stokes, fondamentaliper la comprensione dei fenomeni che hanno a che fare con imovimenti dei fluidi, dal volo degli aerei, all’aerodinamica diauto, moto, caschi. Gabriella ha intervistato per noi il‘giocologo’ Ennio Peres uno dei pochi in Italia che ha preso ilgioco matematico sul serio e ne ha fatto una professione,realizzando tante idee divertenti che la matematica è in gradodi svelare. Non mancano poi un po’ di consigli per buoneletture e qualche sfida matematica ai lettori.

Antonio Bernardo

editoriale

1 Introduzione

Un’equazione differenziale ordinaria a variabiliseparabili è un’equazione del tipo

(1)

Talvolta si usa dire che un’equazione a variabiliseparabili è un’equazione che può essere scrittanella forma

(2)

In tale espressione appare di oscuro significato la

manipolazione della notazione come se si

trattasse di una frazione vera e propria. Si proce-de quindi integrando ambo i membri della (2),rispetto ad y a sinistra e rispetto a x a destra; infi-ne, magicamente, si trovano y ed x legate da unarelazione che fornisce le soluzioni dell’equazione

differenziale (1) con .

Il peggior difetto, a nostro modo di vedere, insi-to in questo metodo alternativo, sta nel fatto chenell’espressione (2) y ed x diventano variabili in-dipendenti entrambe, quando invece y dovrebbeessere funzione di x. Solo ad integrazione effet-tuata y ridiventa funzione di x e fornisce quindi lesoluzioni dell’equazione data.Questo metodo è assai traballante sotto ognipunto di vista; ma è completamente da buttare,come sembra affermare F. Patrone nel suo scritto3

o esiste una via d’uscita?Nella prossima sezione illustriamo anzitutto ilmetodo classico per risolvere questo tipo di equa-zioni; dopo aver proposto un esempio di applica-zione del metodo classico, diamo alcuni cenni diuna teoria che ci permetterà, in un certo senso, di

g(y) =h(y)1

dydx

h(y)dy = f(x)dx

y'(x) = f(x)g(y)

rendere rigoroso il metodo alternativo, che risul-ta quindi esposto nel paragrafo conclusivo.

2 Metodo classico

In questo paragrafo illustreremo il metodo classi-co di risoluzione delle equazioni differenziali a va-riabili separabili. Il paragrafo contiene alcune par-ti di carattere teorico, fondamentali per una com-prensione totale dell’argomento; in conclusioneriportiamo alcuni esempi espliciti di risoluzione.Consideriamo un’equazione differenziale del tipo

(3)

dove è una funzione continua (I è unintervallo non vuoto e aperto di R) mentre

è una funzione di classe C1 (con J in-tervallo aperto non vuoto di R). Tutte le equazioni differenziali che possono esse-re scritte sotto questa forma si dicono a variabiliseparabili.

Proponiamoci di trovare l’integrale particolaredella (3) che soddisfa alla condizione iniziale

dove x0∈I e y0∈J. In altre parole, stiamo risolven-do non solo l’equazione differenziale ma il proble-ma di Cauchy dato da:

(4)

Per risolvere il problema (4), mettiamoci anzitut-to nel caso in cui si abbia g(y0) = 0; allora, eviden-

y'(x) = f(x)g(y)

y(x ) = y0 0

⎧⎨⎩

y(x ) = y00

g : J → R

f : I → R

y'(x) = f(x)g(y)

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90. Sulle equazioni differenziali ordinariea variabili separabili

di Paolo Bonicatto1 – Luca Lussardi2

1 email: [email protected] 2 Dipartimento di Matematica, Università degli Studi di Brescia, via Valotti n. 9, 25133, Brescia. email: [email protected] www.diptem.unige.it/patrone/equazioni_differenziali_intro.htm

temente, la funzione costante y = y0 è un integra-le della (3): infatti, la derivata di una costante ènulla e, quindi, entrambi i membri dell’equazio-ne si annullano. Il grafico della funzione costantey = y0 è rappresentato da una retta parallela all’as-se x.Consideriamo ora il caso . Anche in talcaso esiste una ed una sola soluzione locale

del problema: questo risultato è garanti-to da un teorema (che non riportiamo) che ci as-sicura l’esistenza e l’unicità della soluzione (a livel-lo locale, cioè in un opportuno intervallo) deiproblemi di Cauchy. Da segue che anche in unopportuno intervallo . Quindi, sostituendo

nella (3) e dividendo i membri persi trae

A questo punto, possiamo integrare4 i due mem-bri da x0 a x:

(5)

Applicando la regola di integrazione per sostituzio-ne (si ricordi che e quindi )la (5) diventa

(6)

Infine, tenendo conto della condizione iniziale

(7)

Indicando con G(y) e F(t) le generiche primitive

di e di f (t ) la (7) diviene

[ ( )] [ ( )]

( ( )) ( ) ( ) (

( )G y F t

G x G y F x Fy

x

x

x

0 0

0

φ

φ

=

− = − xx0)

1g y( )

dyg y

f t dty

x

x

x

( )( )

( )

0 0

φ

∫ ∫=

y x y( )0 0

=

dyg y

f t dtx

x

x

x

( )( )

( )

( )

φ

φ

0 0

∫ ∫=

dy t dt= φ '( )y t= φ( )

φφ'( )

( ( ))( )

tg t

dt f t dtx

x

x

x

0 0

∫ ∫=

φφ'( )

( ( ))( )

xg x

f x=

g x( ( ))φy x= φ( )

S I⊆g x( ( ))φ ≠ 0g y( ) ≠ 0

y = (x)φ

g(y )0

0≠

Isolando abbiamo

La funzione G è iniettiva, e dunque l’ultimauguaglianza diventa

e fornisce quindi la soluzione in forma esplicitadel (4).

ESEMPIO 2.1. Si risolva il seguente problema diCauchy:

Riscriviamo l’equazione come

La funzione si annulla evidentementesolo nel punto y = 0. Quindi un integrale sarà da-to da y � 0 che è l’unica soluzione nel caso y0 = 0.Poniamo ora e dunque in tutto unintorno di y0. Dividiamo ambo i membri per y2.Si ha

Integriamo da x0 a x:

Integrando sempre per sostituzione si ha

da cui

−⎡

⎣⎢

⎦⎥ = −1

0

2

0yt

y

x

x

x

φ ( )

[ ]

dyy

tdty

x

x

x

20 0

2φ ( )

∫ ∫= −

φφ

'( )( )tt

dt tdtx

x

x

x

20 0

2∫ ∫= −

φφ

'( )( )xx

x2

2= −

yy

x'2

2= −

y ≠ 0y0

0≠

g y y( ) = 2

y xy' = −2 2

y xy

y x y

'

( )

+ ==

⎧⎨⎩

2 02

0 0

φ( ) ( ( ) ( ) ( ))x G G y F x F x= + −−1

0 0

G x G y F x F x( ( )) ( ) ( ) ( )φ = + −0 0

G x( ( ))φ

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4 Abbiamo cambiato la lettera di integrazione in t per evitare confusione.

cioè

Invertendo si ricava l’espressione che rappresentala soluzione del problema con condizione :

3 Forme differenziali lineari

La teoria delle forme differenziali lineari trova lasua fondamentale applicazione in ambito geome-trico-differenziale; lo scopo infatti è quello di ge-neralizzare il calcolo vettoriale anche a spazi chenon sono necessariamente immersi in un Rn. Inquesta sezione ci limitiamo a fornire alcuni cennisulla teoria delle forme differenziali lineari in R2,che rappresenta lo strumento adatto che ci con-sentirà di formalizzare il metodo alternativo ac-cennato nell’Introduzione.

Definiamo le applicazioni dx e dy come funzionida R2 in R ponendo

Le applicazioni dx e dy sono chiaramente linearie continue. Sia Ω un aperto in R2; una forma dif-ferenziale lineare è una generica combinazione li-neare delle applicazioni dx e dy, a coefficienti inC0(Ω), ovvero

con continue. Dunque ω è definitacome un’applicazione che manda il generico (x,y)nell’applicazione . È chiaroche in tale approccio non esiste nessun legame tray ed x: esse sono due variabili indipendenti a tut-ti gli effetti.

u x y dx v x y dy( , ) ( , )+

u v, : Ω → R

ω = +u x y dx v x y dy( , ) ( , )

dx x y x dy x y y( , ) , ( , )= =

φ

φ

( )

( )( )

xy

x y x y

xy

y x x

=− +

=+ −

0

2

0 0

2

0

0

0

2

0

2

1

1

y0

0≠

− + = − +

− = − + −⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

1 1

1 1

1

0

2

0

2

2

0

2

0

φ

φ

( )

( )

x yx x

xx x

y

φφ( )xx y x y

y=

− +2

0 0

2

0

0

1

ESEMPIO 3.1. Sia una funzione diclasse C1; allora il differenziale di F è una formadifferenziale lineare di classe C0, dal momentoche si ha

L’esempio precedente motiva la seguente defini-zione: una forma differenziale lineare ω di classeC0 si dice esatta se esiste una funzione di classe C1 tale per cui si abbia

dF = ω

Se allora ω risulta esattase e solo esiste di classe C1 tale per cui

Diciamo che la funzione F è una primitiva dellaforma ω e ovviamente non è unica, ma è definitaa meno di costanti additive. Infatti se F è una pri-mitiva di ω allora F+c è una primitiva per ω,

; viceversa se Ω è connesso e F1 e F2 so-no due primitive di ω allora F1 – F2 è costante.

4 Formalizzazione del metodo alternativo

In tale sezione conclusiva applichiamo il formali-smo esposto nella sezione 3 per cercare di giusti-ficare rigorosamente la risoluzione alternativa diun’equazione differenziale a variabili separabili.

Sia dato il problema di Cauchy

(9)

con di classe C1 su Ω aperto conte-nente (x0, y0). Supponiamo inoltre che sia

. v x y( , )0 0

0≠

u v, : Ω → R

yu x yv x y

y x y

'( , )( , )

( )

= −

=

⎧⎨⎪

⎩⎪ 0 0

∀ ∈c R

∂∂

= ∂∂

=Fx

x y dx u x yFy

x y dy v x y( , ) ( , ), ( , ) ( , ))

F : Ω → Rω = +u x y dx v x y dy( , ) ( , )

F : Ω → R

dFx

x y dxFy

x y dyφ = ∂∂

+ ∂∂

( , ) ( , )

F : Ω → R

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TEOREMA 4.1. Sia ω la forma differenziale di classeC1 data da

ω = u(x, y)dx+v(x,y)dy

Supponiamo che ω sia esatta, e sia F una sua pri-mitiva. Allora valgono i seguenti fatti.i. Se y=y(x) è soluzione locale del problema (9) al-

lora F(x,y(x)) = costante.ii. Sia c = F(x0, y0) e sia C la curva di equazione

F(x,y) = c. Allora C è, localmente, un grafico, epiù precisamente il grafico dell’unica soluzionelocale del problema (9).

Dimostrazione. Dimostriamo anzitutto che se y(x)è soluzione locale del problema (9) alloraF(x,y(x)) = costante. Infatti, sia G(x) = F(x,y(x));G è quindi di classe C1, pertanto ammette deriva-ta prima continua e si ha

Ne segue che G(x)=costante, da cui F(x,y(x))=co-stante.Resta da dimostrare che F(x,y) = c definisce, lo-calmente attorno al punto (x0, y0), in forma im-plicita l’unica soluzione y=y(x) del problema (9).Infatti, essendo per ipotesi v(x0, y0) � 0, si ha

e dunque per il Teorema del Dini5 esiste un’uni-ca funzione y=y(x) di classe C1 definita in un in-torno di x0 tale che F(x,y(x))=c. Derivando taleespressione si trae che

da cui si può affermare che y risolve il problema(9). ■Applichiamo a questo punto quanto abbiamo di-mostrato per risolvere equazioni differenziali a va-

= u(x, y) + v(xx, y) y' x⋅ ( )

0 =Fx

y y x +Fy

y y x y' x =∂∂

∂∂

⋅( , ( )) ( , ( )) ( )

∂∂

≠Fy

(x , y )00

0

= u(x, y)) + v(x, y)u(x, y)v(x, y)

=−⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

0

G'(x) =Fx

y y x +Fy

y y x y' x =∂∂

∂∂

⋅( , ( )) ( , ( )) ( )

riabili separabili. Sia dato il problema di Cauchy

(10)

e supponiamo g(y0) � 0. Intanto come sempreg(y) � 0 anche in un intorno di y0. In tal casol’equazione data può essere riscritta come

che è la forma che appare nel problema (9). Sia

; tale forma è esatta poiché

la funzione

è una primitiva di ω. Ne segue che, passando all’in-tegrazione indefinita, possiamo scrivere l’integralegenerale del problema dato mediante la relazione

(11)

che rappresenta la formula risolutiva sciagurata-mente diffusa anche sui libri di testo, dedotta dauna manipolazione formale delle quantità dx edy. Osserviamo invece che, seguendo l’approcciosopra esposto, tale formula risolutiva resta giusti-ficata in modo rigoroso, nonostante le variabili xe y siano, a tutti gli effetti, indipendenti tra loro.

ESEMPIO 4.2. Risolviamo ora con tale metodol’equazione differenziale data da

(12)

Trovato l’integrale singolare y = 0, possiamo sup-porre y � 0. Applicando direttamente la formula(11) otteniamo

che porge l’espressione dell’integrale generale:

dove C è un’opportuna costante reale.

yx C

=+1

2

12

2ydy xdx c= − +∫∫

y xy'+ =2 02

1g(y)

dy = f(x)dx + c , c∫ ∫ ∈R

F(x, y) = f t dtg s

dsx

x

y

y

( )( )0 0

1∫ ∫−

ω = −f(x)dxg y

dy1( )

yf x

g y

'( )

( )

= −− 1

y x f x g y

y x y

'( ) ( ) ( )

( )

==

⎧⎨⎩ 0 0

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5 Data F di classe C1 e (x0, y0) tale che F(x0, y0) = c e , allora esiste un’unica funzione y=g(x) di classe C1 definita in un in-

torno di x0 che soddisfa localmente F(x, g(x)) = c.

∂∂

≠Fy

x y( , )0 0

0

Interessante l’approccio di Bonicatto e Lussardi.Certo non nuovo come metodo risolutivo per

equazioni differenziali: lo si ritrova in molti libri eva al di là del caso delle equazioni a variabili sepa-rabili (pfaffiano è la parola magica).L’interesse sta nello scopo “giustificazionista” delmetodo urang-utang©. Direi che la logica retro-stante l’approccio di L&B è quella di trovare unmetodo corretto che si avvicini il più possibile,dal punto di vista dei passaggi risolutivi, alla stra-da seguita col metodo urang-utang©.Basta riflettere un poco e si comprende quali so-no le principali1 mascalzonate compiute col me-todo urang-utang©:– fare finta che y', ovvero , sia un quoziente

di due quantità aventi senso indipendentemen-te

– nascondere che y è funzione della x o usarequesto fatto, a seconda di cosa faccia comodo.

Indubbiamente il metodo illustrato da B&L evi-ta queste due mascalzonate. La seconda, senz’al-tro. La prima? Beh, sì. Come ho detto sopra, ilmetodo seguito è corretto2. Però un lettore chenon sia sufficientemente robusto in Analisi Mate-matica può avere l’impressione che qualcuno ab-bia fatto sparire il coniglio nel cappello, per poitirarne fuori due bianche colombe. In effetti, lafunzione lineare che loro (mica solo loro! An-ch’io3) chiamano dx non è altro che la funzione(x,y) � x che tutti chiamano x o, se proprio vo-gliono fare i saputelli, Proj1 (proiezione di

dy

dx

�2 = � � � sulla “prima coordinata”). Ecco do-ve uno può avere la legittima sensazione di esserepreso in giro, se non addirittura temere di essereingannato. Ovviamente non c’è nessun inganno,solo che probabilmente resta un po’ oscura la lo-gica che porta non tanto alla procedura seguitaquanto alla introduzione di quella specifica, nuo-va, notazione. In sintesi, osservo che sarebbe for-se stato opportuno dilungarsi un po’ di più suipreliminari, per tranquillizzare chi legge. Non hoinvece nessuna obiezione sulla procedura seguita.Si può fare di meglio? Più che altro, vorrei osser-vare che c’è un’altra strada percorribile, per pro-vare a capire come mai un metodo come quellourang-utang© stia in piedi, nel senso di offrireuna procedura sbagliata che però dà tipicamenterisultati corretti. La strada cui faccio riferimentoè quella di approssimare la derivata col rapportoincrementale, seguendo quindi l’idea di una riso-luzione approssimata. Si tratta di sostituire y' con

, dove . Se qualcuno

ha voglia di provarci, è benvenuto.Chiosa finale. La mia indignazione nei confrontidel metodo urang-utang© non è dovuta al fattoche venga proposta una strada risolutiva traballan-te (a voler essere molto buoni!!). Ma è il fatto chequesta strada, infarcita di erroracci da fare accap-ponare la pelle, venga sbattuta in faccia al lettore,al discente, come se fosse corretta! Questo portaa corrompere un sano spirito critico, scientifico.E, come tale, l’ho denunciata e va denunciata.

Δ Δy y x x y x= + −( ) ( )ΔΔ

y

x

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91. Un commento all’articolo di Lussardi-Bonicatto

di Fioravante Patrone*

* DIPTEM, Università di Genova, P.le Kennedy, Pad. D, 16129 Genova. http://www.diptem.unige.it/patrone/default.htm1 Ce ne sono altre, di marachelle, che assumono il ruolo di “damigelle d’onore”: dividere un po’ sportivamente per quantità di cui non si

è certissimi che siano diverse da zero; integrare alla sperandio, senza preoccuparsi di sapere su quale intervallo si stia integrando; trattarei valori assoluti in modi arditi (eufemismo); etc.

2 Secondo la liturgia in uso nella chiesa cui appartengono i matematici d’oggi.3 Magari qualcuno tra i lettori ha in casa degli appunti ciclostilati, ed ormai ingialliti, ricavati da un mio manoscritto intitolato “Chi è dx?”,

nel quale dico praticamente le stesse cose a proposito di questo elusivo dx.

Sommario

L’articolo presenta nell’introduzione i legamiesistenti tra filosofia, matematica e manage-

ment soffermandosi principalmente sulla circolari-tà bi-direzionale esistente tra project management,change management e problem solving. Le schededegli autori citati, che vanno da Mosè a Min-tzberg, sono riassunte nel corpo dell’articolo e cer-cano di mostrare le radici filosofiche e matemati-che di alcune idee, metodi e strumenti che hannoconsentito di sviluppare modelli e prototipi effica-ci per risolvere i problemi delle organizzazioni. Inconclusione si riportano alcune esperienze, vissutedirettamente dall’autore, che possono riportarsi al-la metafora della cassetta degli attrezzi e a quella del-l’amplificatore dell’intelligenza umana.

Philosophy and Mathematics forProject Management and Problem Solving

In its introduction the article points to the con-nections between philosophy, mathematics andmanagement focussing on the network of rela-tionships occurring between project manage-ment, change management and problem solving.The essay also picks up, and briefly outlines, so-me of the significant philosophical or mathema-tical ideas which have proved to be influentialand effective in solving the problems of organiza-tions. On the grounds of both philosophical/ ma-thematical knowledge and of personal experiencethe author argues finally that the methods invol-ved in problem solving should not be idealized ormythologized. On the contrary they should sim-ply be taken as tools in the box of Managementand as amplifiers of human intelligence.

IntroduzioneOggi molti, tra cui alcuni filosofi di professione,ritengono che la filosofia non abbia alcuna appli-cazione pratica e ne fanno questione di meritoperché essa, dicono, si occupa di temi più elevaticome quelli dell’essere e del sapere. La scienzapoi, e la matematica in particolare, non sono ge-neralmente considerate dagli intellettuali parteintegrante della cultura che sarebbe sempre e so-lo quella umanistica. In Italia questo stato di co-se si può far risalire alla disputa, avvenuta nellaprima metà del novecento, tra il matematico edepistemologo Federico Enriques ed il filosofoidealista Benedetto Croce; questa disputa ebbenegli anni successivi grande peso sullo sviluppodella cultura del nostro paese (1) ed ancora oggiil sistema della formazione e quello della ricercane sono segnati pesantemente. Come noto al-l’epoca vinse la disputa Croce sostenendo che so-lo le grandi menti hanno accesso ai grandi pro-blemi mentre agli “ingegni minuti” è solo con-sentito di interessarsi di botanica e di aritmetica.Mostrare che filosofia e matematica sono congiun-te, e che tra esse è sempre esistita una fertilizzazio-ne incrociata è compito facile basta pensare alle ri-spettive storie e ad esempio a personaggi come Ta-lete, Pitagora e in tempi moderni a Bertrand Rus-sel e, in Italia, Bruno De Finetti. Più difficile è mo-strare i legami esistenti tra matematica e filosofiada una parte e management dall’altra (Fig. 1) per

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9922.. Filosofia ee Matematica ppeerr iill Project Management eedd iill Problem Solving11

Roberto ChiappiRicerca sulle tecniche di Project management e Problem solving

1 La prima versione di questo articolo è comparso sul numero digennaio-febbraio 2006 della rivista impiantistica italiana.

acitametaMaifosoliF

Management

Fig.1. Filosofia, Matematica e Management

questo motivo è venuta l’idea scrivere il libro “Pro-blem solving nelle organizzazioni: idee metodi e stru-menti da Mosè a Mintzberg” (2). Il volume riportaoltre 100 schede nominative di pensatori e oltre300 argomenti che si riferiscono alle idee, i meto-di e gli strumenti utilizzati per sviluppare modelli(eventualmente su computer) e prototipi utili perrisolvere i molteplici problemi delle organizzazioni(Fig. 2). Il principale stimolo all’approntamento diquesto volume deriva dalla consapevolezza cheproblematiche tradizionalmente considerate sepa-rate come il Project Management, il Problem Sol-ving e il Change Management sono in realtà colle-gate da una solida circolarità bidirezionale: si può,ad esempio, partire con un problema e svilupparedei progetti per risolverlo, si può partire invece conun progetto di cambiamento e avere, per realizzar-lo, moltecipli problemi da risolvere (Fig. 3). Nelseguito sono riassunte alcune schede del volumeche possono dare una idea dei molteplici contribu-ti pratici che il problem solving ed il decision makingdelle organizzazioni possono trarre dalla filosofia edalla matematica.

Le schedeLa Bibbia, nell’ Esodo, racconta che Mosè impie-gava tutto il suo tempo ad ascoltare le persone delsuo popolo che gli proponevano i più svariatiproblemi in modo tale che lui, che ben conosce-va la legge di Dio, li aiutasse a risolverli. Il suoce-ro, vedendo che Mosè stava da mane a sera adascoltare le persone e a risolvere problemi, anche

i più minuti gli disse che quel modo di fare nonandava bene e che lui gli avrebbe suggerito comeprocedere. Devi individuare, disse il suocero aMosè, delle persone giuste e competenti e farne icapi di decine, di cinquantine, di centinaia e dimigliaia; ciascuno risponderà al suo superiore esolo i capi di migliaia risponderanno direttamen-te a te. Ciascuno risolverà tutti i problemi com-patibili con le sue capacità e tu avrai finalmente iltempo necessario per concentrarti sui problemipiù complessi e per affinare la conoscenza dellalegge di Dio. Si ha, in questo racconto, la primadescrizione pratica dell’utilità della struttura ge-rarchica e del principio di delega nell’affrontare erisolvere efficientemente i molti problemi di unaorganizzazione.La leggenda racconta che Talete, filosofo di Mile-to, si pose, durante un suo viaggio in Egitto ilproblema di calcolare l’altezza delle piramidi; na-turalmente all’epoca non esistevano strumenti dimisurazione a distanza. Talete osservò che le pira-midi, come tutte le costruzioni, generavano inpresenza del sole un ombra tanto più lunga quan-to maggiore era l’altezza della costruzione. Osser-vò pure che piantando un asta di uno o due me-tri nel terreno l’ombra cresceva con l’altezza del-l’asta. Infine osservò che esisteva un’ ora del gior-no in cui la lunghezza delle ombre di tutte le astepiantate nel terreno coincideva esattamente conla loro altezza; bastò allora misurare a quell’oral’ombra della piramide per conoscerne immedia-tamente l’altezza (Fig.4). Il primo insegnamentoche si può trarre da Talete e che quando, per ri-solvere un problema, non si può misurare unacerta grandezza si può sempre tentare di misurar-

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Fig.2 Idee, Metodi e strumenti

CircolaritàBidirezionale

Fig. 3. Project Management, Problem Solving, Change Ma-nagement

ne un’altra correlata più facilmente accessibile.Nel controllo dell’avanzamento fisico delle attivi-tà di un progetto, ad esempio, non sempre si puòmisurare il lavoro prodotto ed allora ci si accon-tenta di misurare lo sforzo effettuato valutando leore*uomo spese o i costi sostenuti. Il secondo in-segnamento è l’importanza delle proporzioni bennoto a chi deve risolvere qualunque problema distima ad esempio nei preventivi, nella stesura delbudget o nell’analisi dei progetti d’investimento.Il terzo e forse più importante punto è l’uso del-le aste come modelli in scala ridotta delle pirami-di. Un buon modello deve rappresentare le carat-teristiche principali del sistema in studio (nel ca-so deve essere dotato di altezza e deve generare unombra), deve essere piuttosto semplice e maneg-gevole (e le aste lo sono), deve consentire facil-mente l’esecuzione di misure e di simulazionicorrelate (nello specifico attraverso delle propor-zioni) con il più complesso e meno accessibile si-

stema oggetto di studio (l’altezza delle piramidi).A Pitagora è attribuita la frase “Tutte le cose che siconoscono hanno numero; senza quello nulla sareb-be possibile pensare, né conoscere”. Dunque il nu-mero (noi più in generale pensiamo alla matema-tica) è visto come base del pensiero e della cono-scenza e quindi, è da supporre, anche come baseper la risoluzione dei problemi. Si consideri quel-lo che è forse il più celebre teorema di tutti i tem-pi e che viene attribuito a Pitagora anche se è no-to che molte terne pitagoriche (ad esempio 3,4,5)erano già conosciute dai babilonesi. In uno spa-zio bidimensionale la distanza tra due punti (inFig. 5 la distanza tra “a” e “ideale” è pari a 5) sipuò agevolmente calcolare con il teorema di Pita-gora. Il concetto di “distanza” è forse il concettomatematico più utilizzato, esplicitamente o im-plicitamente, nel mondo delle organizzazioni do-po quello di “proporzione” attribuito a Talete.Nel problem solving qualunque procedura adot-tata deve tendere a ridurre quanto più possibile ladistanza tra la situazione problematica rilevata ela soluzione del problema. Per uscire dalle gene-ralità si consideri la situazione problematica di unmain contractor che deve acquistare dei motori escegliere tra quattro possibili fornitori (a,b,c,d); imotori dei fornitori potranno essere valutati sudiversi criteri, ad esempio: il minor costo, la mag-gior potenza, la maggior qualità/affidabilità, i mi-nori tempi di consegna, il minor impatto am-bientale, i condizionamenti politici locali, etc. Se

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Fig. 4. Proporzioni (Talete)

Fig. 5. Distanza (Pitagora)

un fornitore risultasse migliore su tutti i possibilicriteri il problema sarebbe risolto, ma il più dellevolte non è così: un fornitore è migliore per unospecifico criterio, uno è migliore per un altro etc..Siamo in presenza di un problema di scelta mul-ticriteri. Il primo passo per risolvere il problema èdefinire un fornitore ideale (non esistente nellarealtà) che è dotato di tutte le caratteristiche mi-gliori dei fornitori reali. Il secondo passo consistenel calcolare (in uno spazio n-dimensionale de-nominato spazio dei criteri) la distanza di ciascunfornitore reale da quello ideale. Infine si può sce-gliere quel fornitore (in Fig. 5, “b”) che dista me-no dalla soluzione “ideale”.La metafisica e la fisica di Aristotele sono rimastebasilari nel pensiero Occidentale per secoli (3) esono state confutate solo con la nascita dellascienza moderna (Bacone, Galilei, Newton). Lalogica, che peraltro Aristotele riteneva fosse partesecondaria del suo pensiero, continua invece asvolgere un ruolo importante anche nella logicamoderna sviluppata a partire da Leibniz, Eulero eBoole. Nelle moderne organizzazioni le personeper discutere dei loro problemi e per tentare di ri-solverli ricorrono consciamente e più spesso in-consciamente alla logica di Aristotele. Ad esem-pio sono largamente utilizzati il principio d’iden-tità, quello di non contraddizione e quello delterzo escluso (tertium non datur). Solo in tempirecenti sono state sviluppate delle logiche poliva-lenti in cui oltre a proposizioni vere o false si pos-sono avere proposizioni indecidibili o proposizio-ni con grado di verità sfumato. La logica di Ari-stotele è largamente basata sull’uso del sillogismo,ad esempio: “Se tutti gli uomini sono mortali e seSocrate è un uomo allora Socrate è mortale” e le

inferenze di tipo “if …… then” sono oggi alla ba-se di qualunque programma di computer, inoltrei sistemi esperti, tra i pochi successi concreti del-l’intelligenza artificiale, sono fondati su regole diproduzione molto simili ai sillogismi di Aristote-le. L’inferenza (vedi Fig. 6) induttiva procede dalparticolare al generale come nelle aziende moder-ne si fa nelle ricerche di mercato e nel controllodella qualità mentre l’inferenza deduttiva procedeal contrario dal generale al particolare comequando da proposizioni generali del tipo “scopodell’organizzazione è massimizzare il valore pergli azionisti” si deducono politiche, strategie etattiche operative.Guglielmo d’Occam è un filosofo e teologo bri-tannico nato nel 1290 ed esponente della scuoladi pensiero scolastica. Riflettendo su questioni dimetafisica giunse a formulare un principio meto-dologico di efficienza che è anche prezioso perqualunque tipo di organizzazione: “entia non suntmultiplicanda praeter necessitate”, in parole pove-re “non bisogna mai cercare di complicare le cosepiù di quanto sia necessario per comprenderle efarle funzionare” (Fig. 7). Il principio di econo-mia di Occam è quanto mai attuale oggi in tem-pi di economia globalizzata e scienza della com-plessità: le organizzazioni, pubbliche o private,

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Fig. 6. Logica (Aristotele)

“Gli enti non sono da moltiplicare... oltre la necessità”.

Fig. 7. Efficienza (Guglielmo d’Occam)

potrebbero trarre grande giovamento dallo snelli-mento delle strutture e dalla riduzione della bu-rocrazia, vedi in proposito il recente lavoro di Lu-ca Ricolfi (6); le metodologie di soluzione deiproblemi potrebbero partire dalla considerazionedei percorsi più semplici e diretti, i nuovi prodot-ti (ed in particolare quelli high tech) potrebberoessere sviluppati tenendo sempre presenti le effet-tive esigenze dell’utente finale e meno quelle didifferenziazione dai concorrenti, realizzate spessocon l’invenzione di bisogni non richiesti. Forseaccanto al paradigma, oggi dominante, dellacomplessità dei problemi bisognerebbe sviluppar-ne uno della semplicità delle soluzioni proposte.Per Bacone, a differenza di Aristotele, il processoinduttivo dal particolare al generale era necessa-riamente basato sulla osservazione sperimentale esulla precisa registrazione e tabulazione dei fattiosservati; si poteva così registrare presenza o as-senza dei fenomeni e loro eventuale correlazione(Fig. 8). Oggi il controllo statistico della qualitàprocede all’incirca nello stesso modo basandosisull’osservazione di presenza o assenza di difetti

tra vari campioni dei pezzi prodotti e sull’analisidi correlazione statistica che può portare alla sco-perta delle cause dei fenomeni osservati. Oltre asuggerire queste metodologie, che possono essereutili per migliorare il funzionamento di una orga-nizzazione (pars adstruens), Bacone individua ste-reotipi da cui ci si dovrebbe guardare e che do-vrebbero essere rimossi (pars destruens): consuetu-dini e luoghi comuni (idola tribus), mitizzazioneestrema dei bei tempi andati o del cambiamentoa tutti i costi (idola specus), comunicazione sca-dente e trappole del linguaggio (idola fori), enfa-tizzazione di miti, riti, visione e missione azienda-le (idola theatri).Cartesio è stato forse il primo filosofo ad occu-parsi esplicitamente di metodologie volte alla ri-cerca di soluzione dei problemi ed a questo temaè dedicato il celebre volume: “Discorsi sul meto-do”. Uno dei fondamentali precetti di Cartesio èquello di scomporre i problemi (Fig. 9) in sotto-problemi più semplici per poterli meglio risolve-re. Questa filosofia è quella che, nel Project ma-nagement, si chiamerà Work Breakdown Structure(WBS), cioè metodologia di disaggregazione delprogetto per poterlo gestire al meglio. Un altroprecetto di Cartesio e quello di affrontare prima iproblemi più semplici e poi, con la base di questesoluzioni salire man mano ad affrontare quellipiù complessi; in questa indicazione si può trova-re un interessante anticipo della tecnica del pro-totipo che nelle organizzazioni suggerisce, quan-do si vuole cambiare, di partire sempre con pro-

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Fenomeno Presenza Grado Correlazione

ABBBCC

20

30

10

C

A

B

Fig. 8. Osservazione e sperimentazione (Francesco Bacone)

y

0 x

Fig. 9. Il Metodo. La geometria analitica (Renato Cartesio).

getti/problemi reali, ma semplici in modo di avergarantito un successo che abbia effetto trainantesulla cultura aziendale. Nelle aziende è diffuso undetto che recita: “è spesso più comprensibile ungrafico che cento tabelle” ed a Cartesio si attri-buisce l’invenzione della geometria analitica e deigrafici ad ascisse e ordinate (Fig. 9). Ad esempiol’andamento di un progetto nel tempo potrà esse-re rappresentato da un grafico che sulle ascisse ri-porta il tempo trascorso dall’inizio e sulle ordina-te l’avanzamento fisico, le ore*uomo spese o i co-sti sostenuti: si tratta della curva ad “S” ben notaa tutti coloro che hanno lavorato per progetti.Se Cartesio può considerarsi il padre delle strut-ture gerarchiche ad albero circa un secolo dopoEulero lo è stato delle strutture reticolari. La leg-genda racconta che nella cittadina prussiana diKoenisberg ci si chiedeva se fosse possibile pro-grammare una passeggiata che attraversasse unaed una sola volta i sette ponti della città sul fiumePregel. Eulero dimostrò che tale passeggiata nonera possibile, ma nel frattempo aveva posto le ba-si matematiche della teoria dei grafi (Fig. 10), deisistemi e delle reti (4). Negli anni 50 dello scorsosecolo i lavori di Eulero furono la base per svilup-

pare le tecniche reticolari che sono una potentemetodologia di Problem Solving nell’ambito del-la pianificazione e controllo dei progetti. Se Car-tesio aveva permesso di scomporre problemi eprogetti nelle loro componenti elementari, la teo-ria dei grafi di Eulero consentiva di ricostituirnela trama attraverso la considerazione delle interdi-pendenze tra i vari elementi costituenti. Ad Eule-ro, forse il più grande matematico di tutti i tem-pi assieme a Gauss, è anche attribuita la formula-zione moderna degli algoritmi ricorsivi per la so-luzione dei problemi non risolvibili in formaesatta (ad esempio le equazioni algebriche di gra-do superiore al 3°). Il ricorso alla potenza degli al-goritmi, cioè all’idea di dividere i problemi arit-metici in sottoproblemi analoghi di dimensionepiù piccola, divenne fondamentale per lo svilup-po degli elaboratori a partire dalla “macchina alledifferenze” e “dalla macchina analitica” di Char-les Babbage (7) Anche in questo caso le applica-zioni pratiche sono molteplici, ad esempio se sidesidera calcolare il tasso di rendimento internodi un progetto d’investimento è necessario risol-vere una equazione di grado ennesimo, in cui “n”rappresenta il numero di anni di vita presuntadella iniziativa, e l’unico modo per farlo è ricor-rere ad un algoritmo ricorsivo che, implementatosu computer, permette di risolvere il problema inpoche frazioni di secondo.Durante la prima guerra mondiale Henry Gantt,un ingegnere americano, lavorava all’ufficio ordi-nazioni dei materiali e delle munizioni dell’eser-cito statunitense. Avendo collaborato con Taylorconosceva bene i principi dello Scientific Manage-ment ed era particolarmente attento a fornire rap-presentazioni grafiche e modellizzazioni che po-

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Fig.10. Teoria dei grafi (Leonardo Eulero).

1 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20Codice

A1

A2

A3

A4

A5

Durata

6

8

10

5

4

Fig. 11. Diagrammi a Barre (Henry Gantt).

tessero aiutare chi doveva prendere le decisioni edattuare le scelte. Gantt voleva trovare una formagrafica chiara ed evidente che potesse raccordarel’approvvigionamento delle munizioni (procure-ment) con le operazioni militari sul campo (con-struction) e per questo pensò che doveva rappre-sentare efficacemente il tempo che è la variabileprincipale che raccorda le due fasi di una campa-gna di guerra. I diagrammi di Gantt (Fig. 11) ri-portano sulla prima colonna a sinistra l’elencodelle attività costituenti il progetto sulla prima ri-ga in alto il tempo espresso in ore, giorni, setti-mane o mesi e al centro, nel corpo del grafico,una barra di lunghezza proporzionale alla duratadi ciascuna attività. Questo tipo di rappresenta-zione è ancora oggi quella preferita dai projectmanager e construction manager e per questomotivo tutti i principali softwares commerciali diproject planning (Winproject, Artemis, Primave-ra, Open Plan, etc.) prevedono degli output gra-fici in forma di diagramma di Gantt anche quan-do vengono utilizzate le più potenti tecniche reti-colari.Karl Popper è uno dei pochi filosofi che si sia oc-cupato esplicitamente di problem solving facen-done uno dei capisaldi della sua filosofia. Il suometodo si distingue perchè è basato sulla falsifica-zione (Fig. 12) delle affermazioni invece che sullaverifica delle stesse. Per verificare l’affermazione“tutti i cigni sono bianchi” non basta controllareche lo siano quelli che incontriamo o altre decineo centinaia, mentre per falsificare la stessa affer-mazione è sufficiente incontrare un solo cigno

nero (come quelli visti da Popper in Australia).Molto spesso anche nelle organizzazioni ci si osti-na a voler verificare e confermare delle idee e del-le teorie che si ritiene debbano essere vere e vali-de. Sarebbe meglio, sostiene Popper, cercare difalsificarle perché se si riuscirà a farlo esse dovran-no essere abbandonate, altrimenti saranno corro-borate e potranno essere assunte come valide (an-che se provvisoriamente) sino a prova contraria.Per Popper il processo di miglioramento della co-noscenza e anche della sopravvivenza degli indivi-dui e delle organizzazioni passa per continui pro-cessi di problem solving basati sulla tetrade (P1—->TP—->EE—->P2). P1 rappresenta il proble-ma iniziale che dobbiamo risolvere TP rappresen-ta la teoria provvisoria che formuliamo per risol-vere o spiegare il problema, a questo punto (EE)è necessario eliminare gli errori presenti nella no-stra teoria o nel modello della realtà che abbiamocostruito, questo processo può richiedere diversitentativi successivi di eliminazione degli errori eriformulazione della teoria sino quando, giuntiad una soluzione soddisfacente la ricerca si chiu-de, ma di solito nuovi problemi (P2) si aprono.Per Popper dunque qualunque ricerca si apre e sichiude con dei problemi così come succede mesedopo mese nella vita delle organizzazioni (la ricer-ca non ha fine).H.Mintzberg, Ingegnere canadese nato nel 1939,è assieme a Drucker e Peters uno dei massimi Gu-ru del management contemporaneo. Nei suoi la-vori ha esplicitato meglio di ogni altro la naturadel lavoro manageriale e i meccanismi attraversocui i top managers prendono le decisioni e risol-vono i problemi all’interno delle aziende. Lamaggior parte di loro impiega il proprio temponel disbrigo delle e-mail, nelle telefonate, in riu-nioni, viaggi, incontri formali e informali; quasinessuno usa metodi strutturati per prendere ledecisioni, preferiscono invece decidere rapida-mente in base ad intuizioni, sensazioni o contattiavuti con amici e colleghi. I managers di alto li-vello non prediligono le relazioni scritte, dannouna occhiata alle riviste e passano in rassegna so-lo la corrispondenza, amano fare tutto precipito-samente e con frequenti interruzioni in modo dapoter affrontare contemporaneamente più pro-blemi e solo una o due volte alla settimana si de-dicano ad una stessa questione per più di due ore

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P1 TP EE P2

Verificare per

induzione

NO

Tentare di falsificare

per corroborare

Fig. 12. Falsificazione e Corroborazione delle Teorie (KarlPopper).

consecutive. Preferiscono occuparsi di problemiconcreti e rifuggono da questioni astratte, masembrano privilegiare la parte destra del cervello,quella che presiede l’arte e l’intuizione, rispettoalla parte sinistra che governa la razionalità la lo-gica e le analisi quantitative. Per quanto riguardale strutture e le capacità complessive di una orga-nizzazione di risolvere i propri problemi e porta-re a buon fine i propri progetti Mintzberg nel1983 scriveva: “Se la struttura semplice e la buro-crazia delle macchine erano le strutture di ieri e laburocrazia professionale e la forma divisionale sonola struttura di oggi, allora è evidente che l’adhocra-zia (Management by Projects) è la struttura deldomani”.Tom Peters, in Italia per un convegno dell’otto-bre 2004, così concludeva il suo intervento:“….se è vero che le organizzazioni e l’economia delfuturo saranno meno burocratizzate e gerarchiche, ifuturi leader dovranno essere bravi a tirar fuori ilmeglio dalle persone con le quali lavorano. Questa èuna cosa che le donne fanno da sempre molto megliodegli uomini”

ConclusioniParticolare attenzione al Problem Solving dovreb-be essere posta nella nuova didattica della filoso-fia e della matematica (9). Bisogna evitare che irisultati ottenuti da una calcolatrice o da un com-puter siano accettati acriticamente come risultaticorretti senza pensare che dietro di essi esistonodei meccanismi di calcolo che dovrebbero essereconosciuti e compresi da chi li utilizza. Ricordo ilcaso di un giovane planning engineer , bravissimonell’uso del software aziendale, a cui fu richiesto,nell’ambito dell’uso di una tecnica reticolare, co-me mai una specifica attività di un progetto fosseposizionata proprio in quelle date. La risposta fu“non lo so, il risultato è stabilito dal computer”.Due metafore, sembra a chi scrive, debbono esse-re tenute presenti per meglio risolvere i problemidelle organizzazioni e per gestirne efficacemente iprogetti: la prima è quella della cassetta degli at-trezzi disponibili e la seconda è quella dello ampli-ficatore dell’intelligenza umana (Fig. 13).Gli attrezzi disponibili sono quelli della matema-

tica, della statistica, dell’informatica, della logica,della filosofia, dell’intuizione, della creatività e delbuon senso; i primi sono di solito chiamati meto-

di e attrezzi hard mentre gli ultimi sono conside-rati metodi soft o, se si preferisce, i primi sonoquelli pertinenti alla parte sinistra del cervello gliultimi quelli pertinenti alla parte destra (8).L’importante, per una organizzazione, è saper ge-

stire queste conoscenze e saper individuare qualeattrezzo usare ed in quale momento, attivando, ovepossibile, il talento dei singoli, la comunicazione,l’entusiasmo ed il lavoro di gruppo (5); certo è chenessuno dovrebbe usare il martello per inserire unavite o il cacciavite per piantare un chiodo. Natural-mente non è affatto detto che utilizzando le tecni-che di ricerca operativa o di brainstorming si possasempre arrivare a costruire dei modelli efficaci del-la realtà perché un modello deve sempre essere unarappresentazione semplificata della realtà, ma an-che sufficientemente complessa da rappresentarecompiutamente i fenomeni che si vogliono studia-re. Talora i tecnici e coloro che sviluppano i model-li finiscono per innamorarsi dei prodotti del lorolavoro arrivando anche a confonderli con realtà.Magritte, pittore belga considerato surrealista,pensava lucidamente e concretamente che la rap-presentazione di un oggetto non deve essere confu-sa con l’oggetto stesso e se qualcuno gli chiedevaperché sotto il suo bel quadro rappresentante unapipa avesse scritto questa non è una pipa risponde-va: perché nel quadro non posso metterci il tabac-co e neanche posso fumarlo.I modelli della realtà e i metodi sviluppati per rea-lizzarli debbono essere intesi unicamente e solo

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Fig. 13. Modelli e Metodi per il Problem Solving.

come utili strumenti o meglio come amplificatoridell’intelligenza umana per comprendere le situa-zioni e risolvere i problemi (10). Modelli, metodie computer si comportano proprio come amplifi-catori nel senso che se sono alimentati con buoneidee e buoni dati forniscono soluzioni interessan-ti ed armoniche, altrimenti generano solo un fa-stidioso ed incomprensibile rumore di fondo.

Bibliografia

(1) E. Bellone “La scienza negata: il caso italia-no”, Codice, Torino 2005.

(2) R. Chiappi “Problem solving nelle organizza-zioni:idee, metodi e strumenti da Mosè aMintzberg. Piccola antologia filosofica permanager e project manager”, Springer, Mila-no 2006.

(3) J.Gaarder “Il mondo di Sofia: Romanzo sullastoria della filosofia”, Longanesi, Milano 1994.

(4) Gritzmann, Brandenberg, “Alla ricerca dellavia più breve. Un avventura matematica”,Springer, Milano 2005.

(5) R.Chiappi “Innovazione, cambiamento e la-voro di gruppo” in Tecniche di Project Ma-nagement di Amato, Chiappi; F. Angeli, Mi-lano 2007.

(6) L.Ricolfi “Ostaggi dello Stato”, Guerini, Mi-lano 2008.

(7) C. Babbage “Passaggi dalla vita di uno scien-ziato”, Utet, Torino 2008.

(8) R. Chiappi “Matematica e neuroeconomianel problem solving” Impiantistica italiana,marzo-aprile, 2007.

(9) Bindo, Cerasoli, Costabile, “Per una nuovadidattica della matematica”, Magazine Mate-maticamente.it, N° 2 Aprile 2007.

(10)R.Chiappi “Il foglio elettronico come stru-mento per il problem solving: metodi e mo-delli per le organizzazioni”, F. Angeli, Milano2008.

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SUNTO. Questo articolo intendeesporre in modo molto breve edessenziale, senza scendere nei rigo-ri della logica, la prova ontologicadi Kurt Gödel (Brno,1906-Prin-ceton, 1978).La speranza è infatti quella di sti-molare, in poche righe, la curiosi-tà dei lettori su questa chicca ma-tematica del secolo scorso, ma so-prattutto di ricordare il grandematematico a trent’anni dalla suascomparsa.

Kurt Gödel, una vita tra genio e follia: breve biografia

(a cura di Luca Lussardi)

Trent’anni fa, Princeton (USA), 14 Gennaio 1978,a 72 anni di età muore, per denutrizione, uno deipiù grandi geni che la Logica, e forse l’intera Mate-matica, abbiano mai avuto. Kurt Gödel nasce a Brno, in Moravia, il 28 Aprile1906. Gödel fin da bambino dimostra di essere unapersona estremamente seria, riservata e al limite del-la paranoia circa le proprie condizioni di salute. E’pur vero che Gödel ha dei problemi di salute duran-te la sua vita, ma non tali da giustificare l’ossessio-ne verso la malattia.Nel 1924 comincia a studiare Fisica all’Universitàdi Vienna, anche se certe lezioni di Teoria dei nume-ri di Philip Furtwangler lo affascinano troppo. Do-po due anni comincia a frequentare il Circolo diVienna, ovvero un gruppo costituito per lo più da fi-losofi che discutono di Logica e questioni di linguag-gio. Un anno più tardi conosce Adele Porkert, balle-rina più vecchia di lui che lo sposerà nel 1938. Gö-del prende nel 1929 la cittadinanza austriaca e l’an-

no seguente si laurea in Matematicadiscutendo una tesi davanti ad Hahne Furtwangler nella quale dimostra lacompletezza della Logica del primoordine; la tesi di Gödel viene pubbli-cata nel 1931. Solamente un annopiù tardi ottiene la libera docenza(Privatdozent). Finalmente nel 1933ha inizio la sua carriera all’Insitute ofAdvanced Study di Princeton; primasu invito di Von Neumann; dopo va-ri rientri a Vienna e dopo vari proble-mi di depressione riesce a ottenere la

cittadinanza americana nel 1948, diventa professo-re all’I.A.S. nel 1953. L’ultima parte della vita diGödel è segnata da un rapporto totalmente squilibra-to con il cibo: Gödel soffre di ulcera duodenale, di de-pressione e teme continuamente di essere avvelenato;nel gennaio del 1978 viene lasciato solo a casa dallamoglie che rientra in Europa, e si lascia morire pro-babilmente di denutrizione.La vita di Gödel ci mostra un chiaro esempio di co-me una persona geniale si possa trovare in seria diffi-coltà di fronte ai problemi della vita quotidiana. Dalpunto di vista scientifico Gödel è passato alla storiagrazie ai suoi fondamentali risultati nel campo dellalogica matematica. La dimostrazione della comple-tezza della logica del primo ordine è solo il primogrande risultato che Gödel ottiene; Gödel chiarisce be-ne la differenza tra verità e dimostrabilità. Ma i risultati più significativi devono ancora arri-vare: i Teoremi di incompletezza. Se un sistema as-siomatico è coerente, ovvero da esso non si possonodedurre un’affermazione e la sua negazione contem-poraneamente, allora, sotto certe condizioni, il siste-ma è incompleto, ovvero esistono affermazioni chenon sono né dimostrabili né confutabili; questo è ilprimo Teorema di Gödel. Se uno pensa che il primoTeorema di Gödel sia un risultato negativo per ifondamenti della Matematica allora si deve prepa-rare a leggere il secondo Teorema di incompletezza:

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93. La prova matematicadell’esistenza di Dio

di Alexander Pigazzini

se un sistema assiomatico è coerente allora la coeren-za del sistema non è dimostrabile all’interno del si-stema stesso. Sostanzialmente non è possibile dimo-strare l’assenza di contraddizioni logiche restandoall’interno del sistema assiomatico. Gödel si occupa anche di Teoria degli insiemi, e del-lo studio del rapporto tra mente e macchina (Tu-ring). Nell’ultima parte della sua vita si interessaanche di Relatività, diventando amico di AlbertEinstein.

LA PROVA ONTOLOGICA

di Alexander Pigazzini

Uno dei punti più affascinanti della vita scientifi-ca di Gödel sta nel suo tentativo di dimostrarel’esistenza di Dio. Vari logici atei si erano cimen-tati nel problema, ma Gödel non era ateo, ed eglistesso afferma che il suo interesse per la prova del-l’esistenza di Dio è solamente logico. Gödel for-nisce una dimostrazione puramente logica, dettaanche prova ontologica, prima nel 1941, poi rivi-sta e conclusa nel 1970.Per introdurre questo notevole lavoro, anche senon il più brillante della sua carriera, vorrei in-nanzitutto spendere due parole sul concetto diprova ontologica.Per prova ontologica (dal greco òntos, genitivo diòn, participio presente di eimì, essere) si intendeuna dimostrazione logica dell’esistenza dell’esse-re, solo per mano della scolastica divenne la di-mostrazione a priori dell’esistenza di Dio.Partendo dalle origini, fu per opera di Anselmod’Aosta che, con il suo “credo ut intelligam” delProslogion e con quattro prove ontologiche a po-steriori nel suo Monologion, prese il via la vera ri-cerca di una prova ontologica riuscendo, nei ri-spettivi periodi, a coinvolgere menti straordinariequali Cartesio, Leibniz, Kant, e per l’appuntoGödel.Si presume che quest’ultimo iniziò a lavorarci neiprimi anni quaranta, ma solo nel febbraio del

1970, venne allo scoperto parlandone e mostran-do lo scritto a Dana Scott, forse perché in quelperiodo si dice che fosse molto preoccupato per lasua salute e temeva che morendo, la dimostrazio-ne svanisse con lui. A distanza di diciassette anni, nel 1987, la sua“Ontologisches Beweis” venne finalmente pubbli-cata negli Stati Uniti, all’interno di un volumeche raccoglieva diversi suoi lavori.Prima di iniziare un’analisi punto per punto del-la prova, ne riporto una sintesi1.

P(ϕ) ϕ è positivo (o ϕ ∈ P)

ASSIOMA 1. P(ϕ) . P(ψ) ⊃ P(ϕ . ψ)ASSIOMA 2. P(ϕ) ∨ P(∼ϕ) (Disgiunzione esclusiva)

DEFINIZIONE 1. G(x) ≡ (ϕ) [ P(ϕ) ⊃ ϕ(x) ] (Dio)DEFINIZIONE 2. ϕ Ess.x ≡ (ψ) [ ψ(x) ⊃ N(y) [ ϕ(y)⊃ ψ(y) ]] (Essenza di x)

p ⊃ Nq = N(p ⊃ q) (Necessità)

ASSIOMA 3. P(ϕ) ⊃ NP(ϕ)∼P(ϕ) ⊃ N ∼P(ϕ)

Poiché ciò segue dalla natura della proprietà.

TEOREMA. G(x) ⊃ G Ess.x

DEFINIZIONE 3. E(x) = (ϕ) [ϕ Ess. x ⊃ N (∃x) ϕ(x) ](Esistenza necessaria)

ASSIOMA 4. P(E)

TEOREMA. G(x) ⊃ N(∃y) G(y) quindi (∃x) G(x) ⊃ N(∃y) G(y)quindi M(∃x) G(x) ⊃ MN(∃y) G(y) (M = pos-sibilità)

M(∃x) G(x) significa che il sistema di tutte leproprietà positive è compatibile.Ciò è reso grazie a:

ASSIOMA 5. P(ϕ) . ϕ ⊃ Nψ : ⊃ P(ψ) che implicax = x è positivo x ≠ x è negativo

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1 Tratta interamente dal libro “la prova matematica dell’esistenza di Dio” a cura di G. Lolli e P. Odifreddi, Bollati Boringhieri Editore.

Ripartendo dall’inizio, Gödel introduce comeprima cosa il concetto di proprietà positiva, evi-denziandone i caratteri più importanti con unaserie di assiomi.

Primo Assioma: la composizione tra due proprietàpositive ci rende una proprietà positiva, per capir-ci meglio se “essere bello” è una proprietà positivae lo è anche “essere alto”, allora di conseguenza losarà anche “essere bello e alto”.

Secondo Assioma: è una disgiunzione esclusiva,una proprietà è positiva oppure lo è il suo contra-rio, ma entrambe non possono essere positive onon positive.

Prima Definizione: introduce il concetto di Dio;un ente è di natura divina se e solo se possiedetutte e sole le proprietà positive.

Seconda Definizione: ϕ è un’essenza di x se e sol-tanto se per ogni proprietà ψ, x include ψ neces-sariamente se ϕ implica ψ.Qui Gödel introduce il concetto di necessità, os-sia se “p” implica necessariamente “q” allora è ne-cessario che “p” implichi “q” .

Terzo Assioma: se una proprietà è positiva allora ènecessariamente positiva e di conseguenza se unaproprietà non è positiva, allora è necessariamentenon positiva. Una proprietà è necessaria se e solose è vera in tutti i mondi possibili, mentre è pos-sibile se è vera solo in alcuni di questi mondi.

Primo Teorema: se un ente è di natura divina, al-lora la proprietà dell’esistenza gli appartiene peressenza.

Terza Definizione: x esiste necessariamente se esoltanto se la sua essenza (o ogni suo elemento es-senziale) esiste necessariamente.

Quarto Assioma: l’esistenza necessaria è una pro-prietà positiva.

Secondo Teorema: se Dio esiste, allora esiste neces-sariamente; quindi se è possibile che Dio esiste diconseguenza è possibile che Dio esiste necessaria-mente, dunque Dio esiste necessariamente.

Quinto Assioma: se una proprietà positiva ne im-plica necessariamente un’altra, allora di conse-guenza anche quest’ultima è positiva.

Dopo aver svolto la “traduzione” in ogni sua par-te, ricapitolo il tutto dandone una mia interpre-tazione.Inutile dire che questa prova è valida solo se èpossibile che Dio esista, cioè se è possibile combi-nare tra loro tutte le proprietà positive esistenti.Come abbiamo visto, un ente per essere Dio de-ve possedere tutte e sole le proprietà positive; unaproprietà positiva è necessariamente positiva, os-sia è positiva in tutti i mondi possibili e l’interse-zione delle proprietà positive ci restituisce anco-ra una proprietà positiva. Detto questo si deduce che “Essere Dio” è unaproprietà positiva e grazie al quarto assioma sap-piamo che anche l’esistenza necessaria lo è.Tirando le somme, il tutto porta a dire che esiste-rà necessariamente un ente che tra tutte le varieproprietà positive possiederà anche la proprietà“Essere Dio”.Quanto esposto ha ovviamente la limitazione diesistere solo in un universo che ammettere un fi-nito numero di proprietà positive e Gödel infat-ti, per ovviare a questa costrizione, aggiunge unultimo assioma (il quinto), il quale prevede che seuna proprietà positiva ne implica necessariamen-te una seconda, allora anche quest’ultima è unaproprietà positiva.

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Raimondo Lullo (1232-1316), Prova logica dell'esistenza di Dio

Questa “clausola” finale riesce a raggirare brillan-temente il “blocco” della finitezza, permettendol’esito sperato alla prova.L’autore avvertì sempre l’urgenza di trovare unordine logico-matematico da porre a fondamentodell’esistenza dell’universo e forse un tale ordinegli sembrava fosse garantito solo dalla necessitàlogica dell’esistenza di Dio.Nonostante furono anche esigenze di carattere esi-stenziale e religioso a spingere il compimento diquesta prova, è giusto specificare che essa derivi dalconcetto di ultrafiltro (teoria degli insiemi) e non hamolto da spartire con la teologia tradizionale, d’altrocanto lo stesso Gödel, a scanso d’equivoci, ci tennea precisare in più occasioni che questo suo lavoro fuconcepito solo come un esercizio di pura logica.In conclusione, visto che troppe cose ci sarebberoda aggiungere sulla vita e sulle opere di questo

grande e controverso genio del ’900, vorrei limi-tarmi semplicemente nel ricordare che i suoi stu-di hanno segnato una svolta fondamentale nellastoria della logica, condizionando ogni successivaricerca e determinando la nascita di nuove e im-portanti discipline logiche.

BIBLIOGRAFIA

“Gödel”, Lettera matematica Pristem n.62/63,Aprile 2007, Springer.

Kurt Gödel, La prova matematica dell’esistenzadi Dio. A cura di Gabriele Lolli e PiergiorgioOdifreddi, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.

C. Boyer, Storia della Matematica, MondadoriEditore, 1990.

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Chi di noi, guardandoun’onda infrangersi

sul bagnasciuga di unabella spiaggia, non si è sof-fermato a constatare l’in-concepibile complessitàdel movimento dell’acqua,che a tratti sembra regola-

re, quando l’onda si avvicina alla riva, ma pochiistanti dopo diventa immediatamente imprevedi-bile, quando l’onda si infrange suddividendosi inmigliaia di correnti e bolle mentre supera l’ondaprecedente che nel frattempo si sta ritirando.Possiamo constatare la complessità del moto deifluidi in ogni momento della nostra vita, daquando apriamo il rubinetto del lavandino o ver-siamo l’acqua in un bicchiere a quando, uscendocon il vento, veniamo investiti da raffiche inco-stanti e provenienti da tutte le direzioni. L’aria el’acqua, i due fluidi fondamentali per la nostrastessa esistenza, hanno comportamenti incredi-bilmente difficili da descrivere, e per questo costi-tuiscono una delle sfide più interessanti della ma-tematica applicata, che ha appunto il compito ditrovare dei modelli in grado di spiegare i fenome-ni reali al fine di poterli prevedere.A confronto, il comportamento dei corpi solidi èdecisamente più semplice da descrivere: la mecca-nica razionale è una stupenda costruzione concet-tuale che consente di risolvere elegantementequalsiasi problema che coinvolge il movimento dicorpi rigidi soggetti a forze collegati fra loro tra-mite vincoli di diverso genere. Anche quando sipassa da un numero finito di gradi di libertà adun numero infinito, considerando cioè i “corpideformabili”, gli strumenti di indagine risultanoancora in grado di modellare con discreta accura-tezza i fenomeni che accadono all’interno dei ma-teriali soggetti a tensioni e di conseguenza defor-mazioni. Basti pensare a quanto stanno diventan-do importanti ai fini della prototipazione virtua-

le le simulazioni di crash test, grazie alle quali lenostre autovetture diventano ogni giorno più si-cure. Quando si abbandonano i corpi solidi perpassare a studiare il comportamento di liquidi ogas, ecco che immediatamente la complessità bal-za a un livello decisamente più alto. Un’intuizione del motivo per cui questo accade sipuò cercare direttamente dall’interpretazione mo-lecolare dei materiali. I solidi sono costituiti damolecole ben ordinate (quando la struttura è per-fettamente uniforme e regolare si parla di “cristal-li”), che possono muoversi dalla loro posizione,ma solo di poco. Per descrivere la deformazione diun solido, si può quindi utilizzare quello che vie-ne chiamato un approccio “lagrangiano”: ci siconcentra su di una particella del solido e si guar-da dove essa si sposta a seguito del campo di forzea cui la si sottopone. Quando invece si ha a che fa-re con dei fluidi, che possono essere liquidi o gas-sosi, le molecole, pur interagendo fra loro, non so-no più legate indissolubilmente, bensì libere dimuoversi ovunque all’interno del recipiente che lecontiene. Proprio per questo bisogna passare aquello che viene detto approccio “euleriano”: ci siconcentra su di un volume ben fissato nello spazioe si analizzano le sue proprietà mano a mano cheil fluido gli circola all’interno.La meccanica dei continui è quella disciplina ma-tematica che si occupa di descrivere per mezzo diequazioni il comportamento dei corpi continui,con formulazioni che possono basarsi su uno deidue approcci lagrangiano o euleriano descritti inprecedenza. Il “corpo continuo” non è altro chel’astrazione del concetto che tutti noi abbiamo inmente quando immaginiamo un materiale che siadistribuito uniformemente nello spazio e lo occu-pi in maniera omogenea. Per intenderci, riferen-doci ad un corpo continuo possiamo immaginareun blocco di marmo o un secchio pieno d’acqua,ma non un mattone o un pezzo di groviera: que-sti ultimi sono infatti caratterizzati da “buchi”,

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94. Le equazioni di Navier-Stokesdi Flavio Cimolin

cioè da parti non occupate dal materiale che con-sideriamo. Ai fini della modellazione è importan-te avere a che fare con corpi continui perché soloin questo modo si possono definire quantità comela densità, la velocità o la temperatura in modo“puntuale”, come se fossero applicabili a qualsiasipunto geometrico dell’oggetto che si vuole analiz-zare. L’ipotesi di corpo continuo è a tutti gli effet-ti la chiave di volta della meccanica dei continui,senza la quale non sarebbe possibile darne una for-mulazione elegante e potente con cui descrivere ilcomportamento dei corpi deformabili.Nonostante possa apparire come la cosa più natu-rale del mondo, l’ipotesi di corpo continuo non èovvia nel mondo in cui viviamo e può essere giu-stificata pienamente solo con avanzati calcoli dimeccanica statistica. Tutto dipende infatti daquale punto di vista ci poniamo per osservare ilfenomeno a cui siamo interessati.

Proviamo ad esempio aimmaginare di volerestudiare cosa accade al-l’acqua contenuta in unapentola messa sul gas nelmomento in cui essa si scalda. L’acqua vicina allabase della pentola si scalderà per prima e inizierà amuoversi, creando un ricircolo: l’acqua calda simuoverà verso l’alto e quella fredda verso il basso.

Per analizzare questo fenomeno, non possiamoconsiderare tutta l’acqua nel suo insieme, ponen-doci cioè su una scala macroscopica diciamo deidecimetri, perché in questo modo considererem-mo uguale dappertutto la temperatura dell’acquafacendone una media, e quindi non vedremmonulla. D’altro canto, non possiamo neanche con-centrare la nostra attenzione sulla scala micro-scopica, diciamo dei nanometri (10-9 m), laddo-ve si distinguono tutti gli atomi e tutte le mole-cole dell’acqua, perché avremmo un numero esa-gerato di particelle da seguire, che singolarmentenon darebbero alcuna informazione sul fenome-no che vogliamo comprendere. La scelta giusta èquella di metterci su di una scala intermedia, di-ciamo fra i 10-7 m e i 10-3 m, in modo da poterdefinire un piccolo volumetto che, dal punto divista macroscopico, possa essere consideratoun’unica “particella fluida” caratterizzata da ben

definite proprietà fisiche come la velocità e latemperatura, ma che, dal punto di vista micro-scopico, contenga un numero molto elevato dimolecole elementari. Il fatto che le molecole al-l’interno del volume siano tante consente di farela media di tutte le loro velocità e quindi di farein modo che le proprietà fisiche cambino in mo-do continuo fra questo volumetto e qualsiasi al-tro volumetto ad esso adiacente. Ecco che, permezzo del concetto di “particella fluida” così de-finito, in meccanica dei continui si è in grado didefinire “puntualmente” una quantità fisica co-me ad esempio la temperatura, che nella nostrapentola non è certo uguale dappertutto, ma ne-anche differente fra una molecola e un’altra im-mediatamente adiacente.

Siamo finalmente giunti alpunto in cui sfruttare que-sto approccio per realizzaredei modelli matematici ingrado di rispecchiare la real-tà, partendo da quelle chevengono dette “equazioni di bilancio”. Conside-riamo un volume di materia V e una quantità fi-sica Q, ad esempio la massa, la quantità di motoo l’energia. Fare un bilancio significa fornire unarelazione fra quello che della quantità considera-ta Q entra, esce, viene prodotto o distrutto all’in-terno del volume V considerato.Ad esempio possiamo dire che la variazione di Qnel tempo (cioè la sua derivata) è uguale al flussoF che entra nel volume più un termine di sorgen-te corrispondente a ciò che viene prodotto al suointerno:

Supponendo valida l’ipotesi del continuo, si puòora pensare alla quantità Q come distribuita uni-formemente su tutto il volume V considerato, equesto consente di riferirci ad una “quantità perunità di volume” q che, integrata su tutto il volu-me, dia esattamente Q. Ad esempio, se consideras-simo la massa (Q = M), allora q sarebbe la densità(massa per unità di volume). Riscrivendo l’equa-zione di bilancio in termini di quantità definite perunità di volume o di superficie, otteniamo la se-guente equazione di bilancio in forma integrale:

dQdt

F P= +

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Dove f·n è il flusso per unità di superficie della quan-tità q che attraversa verso l’esterno il bordo S del vo-lume V (dato che per convenzione lo si pone versol’esterno c’è il segno meno meno), e s è la sorgenteper unità di volume della quantità considerata.Abbiamo fin qui scritto un’equazione di bilancioper la generica quantità q in termini di integrali disuperficie e di volume, ma dove ci può condurrequesto? Ebbene, si può dimostrare, facendo ricor-so a teoremi di calcolo differenziale su più variabi-li, che la relazione precedente può essere riscrittain termini di soli integrali di volume e con la de-rivata temporale spostata sotto il segno di integra-le. In particolare il ruolo fondamentale è giocatodal teorema di Gauss, che consente di riscrivereun integrale sulla superficie esterna S di un volu-me chiuso in termini di un integrale sul volumestesso V, facendo comparire l’operatore differen-ziale di divergenza (∇ · ) e la velocità del fluido v:

Non bisogna lasciarsi spaventare dai simbolicomplicati che compaiono, perché essi servonosolo a rendere più compatta la scrittura matema-tica delle formule. Ad esempio l’operatore di di-vergenza significa:

Il bello del passaggio che abbiamo fatto è cheadesso abbiamo a che fare con un’uguaglianza fradue integrali di volume che deve valere per qual-siasi volume V considerato. Questo significa chepossiamo trasformare l’equazione di bilancio sul-la quantità Q “integrale” in un’equazione di bi-lancio sulla quantità q espressa in forma differen-ziale, eliminando in questo modo il volume V dicontrollo da cui eravamo partiti:

Il passaggio che è stato fatto è notevole, infatti oraabbiamo un’equazione che vale localmente in tut-

∂∂

+ ∇ ⋅ + − =qt

q s( )v f 0

∇ ⋅ =∂∂

+∂∂

+∂∂

vvx

v

yvz

x y z

∂∂

+ ∇ ⋅⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

= −∇ ⋅ +( )∫ ∫qt

q dv s dvV V

( )v f

ddt

qdv ds sdvV VS∫ ∫∫= − ⋅ +f n

to il corpo che vogliamo analizzare (ad esempiol’acqua contenuta nella pentola di cui parlavamoprima) e che esprime in modo continuo come va-ria la generica quantità per unità di volume q.Il discorso fino a qui è stato completamenteastratto (oltre che sicuramente difficile da seguireper chi non abbia solide conoscenze di calcolodifferenziale in più variabili), dunque è ora diconcretizzarlo sostituendo alla generica quantitàq qualcosa che diventi effettivamente interessanteal fine di illustrare il comportamento fisico delmezzo considerato. Proviamo a sostituire a q il va-lore della densità, solitamente indicata con la let-tera greca ρ, cioè il rapporto fra la massa e il vo-lume. Ovviamente non esistono “sorgenti di mas-sa”, e quindi s = 0, e non esiste neppure un “flus-so di massa” attraverso un volume ben definito,cioè f = 0. L’equazione che deriva dal bilancio lo-cale della massa è quindi la seguente:

Nel caso in cui si consideri la densità costante intutto il fluido, si può operare una ulteriore sem-plificazione, arrivando alla semplice equazione:

Questa equazione di “divergenza nulla” può esserepensata a tutti gli effetti come un “vincolo”, checorrisponde proprio al fatto che la densità è co-stante: il flusso che entra in qualsiasi volumetto de-ve essere esattamente uguale a quello che ne esce!Per determinare l’evoluzione di un corpo in mec-canica si deve scrivere un’equazione di conserva-zione per la massa e una per la quantità di moto,quindi anche noi dovremo ora scegliere la quan-tità di moto per unità di volume q =ρv. Tralascia-mo i passaggi matematici, che questa volta sonopiù complicati che nel caso precedente e richie-dono anche la modellazione delle “tensioni” sulbordo del dominio V, passiamo direttamente alrisultato che si ottiene unendo l’equazione diconservazione della massa a quella della quantitàdi moto: un sistema di due equazioni differenzia-li vettoriali che valgono localmente in tutto il cor-po e che definiscono univocamente il modo incui esso si comporta. Tali equazioni vengono det-

∇ ⋅ =v 0

∂∂

+ ∇ ⋅ =ρ ρt

( )v 0

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te “Equazioni di Navier-Stokes”, dal nome del-l’ingegnere e matematico francese Claude-LouisNavier (1785-1836), che per primo diede unadescrizione differenziale del moto dei fluidi in-comprimibili, e del fisico irlandese George Ga-briel Stokes (1819-1903), che ne derivò la for-mulazione matematica:

Si tratta di due equazioni (in realtà considerandoche la prima è vettoriale per le tre componentidella velocità, abbiamo in totale quattro equazio-ni scalari) tutt’altro che banali da risolvere dalpunto di vista matematico, soprattutto a causadella presenza del termine non lineare v·∇v, che è

ρ μ∂∂

+ ⋅∇⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

= −∇ + +

∇ ⋅ =

⎧⎨⎪

⎩⎪

vt

pv v v

v

Δ b

0

considerato una delle più forti sorgenti di non-li-nearità che appaiono in fisica. Abbiamo vistospuntare nel membro di destra della prima equa-zione due nuove quantità: una è la pressione p el’altra è la viscosità μ. Esse vengono introdotte nelmomento in cui si cerca di dare una modellazionedelle forze di interazione che ci sono fra due volu-metti fluidi adiacenti: sicuramente è presente unosforzo isotropo (cioè uguale in tutte le direzioni),a cui è associata la pressione, ma è anche presenteuno sforzo “di taglio” associato allo strisciamentofra i due volumi, che risulta tanto maggiore quan-to più viscoso è il fluido (basti pensare alla diffe-renza di comportamento fra l’aria, l’acqua e l’olio)a cui è associata appunto la viscosità.Come mai si usano tutti quei triangolini, cioè glioperatori differenziali di gradiente, divergenza e la-placiano e la notazione vettoriale? Beh, perché al-trimenti la scrittura delle stesse quattro equazionidiventerebbe questo bel guazzabuglio di derivate:

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Ritorniamo un momento sul concetto di non-lineatà, per approfondire meglio il suo significato e le con-seguenze che ne derivano. Quando un fenomeno è lineare il suo comportamento è, sotto un certo pun-to di vista, relativamente semplice da prevedere: se sappiamo che riscaldando un corpo con 10 J innalzia-mo la sua temperatura di 10 °C, allora ci aspettiamo che scaldandolo con 20 J ne innalzeremo la tempe-ratura di 20 °C, e così via… Vale cioè quello che viene chiamato “principio di sovrapposizione degli ef-fetti”. In un comportamento di tipo non-lineare non valgono invece regole di questo genere, ma sono in-vece sempre in agguato degli “imprevisti” che rendono difficile, e in alcuni casi impossibile, predire esat-tamente l’evoluzione del fenomeno. Quando la non-linearità è particolarmente significativa, come adesempio nelle equazioni di Navier-Stokes, si genera quello che in matematica è noto come “caos”: l’evo-luzione di due configurazioni che inizialmente differiscono di poco conduce in breve termine a due con-figurazioni lontane fra loro che non hanno più niente a che vedere l’una con l’altra. Il grado di predizio-ne a lungo termine di un sistema caotico è zero: non c’è alcuna speranza di conoscere con precisione checosa accadrà, indipendentemente dal grado di accuratezza che si sceglie di usare nei calcoli: tutti gli erro-ri vengono inesorabilmente amplificati con il tempo.Quanto detto riguardo alla non-linearità e al caos in fluidodinamica è ben lungi dall’essere un’astrazione ma-tematica, e per accorgersene basta tornare con la mente agli esempi con cui abbiamo esordito. Qualcuno

ρ∂∂

+∂∂

+∂∂

+∂∂

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

= − ∂∂

+vt

vvx

vvy

vvz

px

x

x

x

y

x

z

x μμ

ρ

∂∂

+∂∂

+∂∂

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

+

∂∂

+

2

2

2

2

2

2

vx

vy

vz

b

v

tv

x x x

x

y

x

∂∂∂

+∂∂

+∂∂

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

= − ∂∂

+ ∂∂

v

xv

v

yv

v

zpy

vyx

y

y

y

z

y μ2

2++

∂∂

+∂∂

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

+

∂∂

+∂∂

+

2

2

2

2

v

y

v

zb

vt

vvx

v

y y

y

z

x

z

∂∂∂

+∂∂

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

= − ∂∂

+∂∂

+∂∂

vy

vvz

pz

vx

vy

z

z

z z zμ2

2

2

2++

∂∂

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

+

∂∂

+∂∂

+∂∂

=

⎪⎪⎪⎪

2

2

0

vz

b

vx

v

yvz

z

z

x y z

⎪⎪

⎪⎪⎪⎪⎪

crede forse di essere in grado di predire con accu-ratezza dove andrà a finire una determinata “parti-cella fluida” (nel senso dell’ipotesi del continuo)che appartiene a un’onda che si infrange sul bagna-sciuga, o con quale intensità e distribuzione ci col-pirà la prossima raffica di vento durante un tempo-rale? Anche disponendo dei computer più potentidel mondo e dei migliori algoritmi numerici, vi as-sicuro che avrete ben poche speranze di farlo, sem-plicemente perché è eccessivamente complicato!I fisici del XX secolo hanno iniziato a parlare di“flussi turbolenti” in relazione a quei flussi in cuile fluttuazioni locali sono troppo complicate peressere prevedibili. Essi si generano quando le ve-locità in gioco sono tali per cui le forze di inerziadel fluido superano quelle viscose, che tendereb-bero invece a mantenere regolare il flusso. Faccia-mo un esperimento mentale per comprendere be-ne cosa significhi questo: immaginiamo dappri-ma di versare dell’olio in un canale largo pochicentimetri che degrada con una pendenza moltodolce, e poi di guardare un fiume in piena largouna decina di metri in cui l’acqua scorre veloce.Nel primo caso il flusso sarà “laminare”, ovverouniforme in tutto il canale, perché le velocità ingioco sono basse e le forze viscose mantengonocompatto il fluido costringendolo a muoversi or-dinatamente. Tutto il contrario accade nel casodel fiume in piena: la bassa viscosità dell’acqua,unita alla grande larghezza del fiume e alla velo-cità dell’acqua, fanno sì che si creino migliaia divortici, correnti secondarie, onde e increspatureche rendono irregolare il flusso. L’aggettivo “tur-bolento” associato a quest’ultimo tipo di flusso èquanto mai appropriato!Non tutti i flussi sono turbolenti, ma buona par-te di quelli con cui conviviamo quotidianamentelo sono. I fisici hanno individuato un parametro,il cosiddetto “numero di Reynolds”, dal nome delfisico e ingegnere inglese Osborne Reynolds(1842-1912), grazie al quale si può stabilire, inmaniera approssimativa, se un certo tipo di flus-so è laminare oppure turbolento. Esso si calcolanel modo seguente:

È cioè dato dal prodotto della densità ρ del flui-do moltiplicato per una velocità caratteristica v e

Re = ρμvL

per una lunghezza caratteristica L (ad esempio lalarghezza del fiume, o il diametro di un ostacoloche ostruisca il flusso) diviso per la viscosità μ. Sitratta come già detto di una definizione approssi-mativa, che serve a descrivere “qualitativamente”il flusso. Si osserva che per numeri di Reynoldsinferiori al migliaio il flusso è laminare, mentreper numeri maggiori diventa sempre più turbo-lento. Per esempio, se calcoliamo il numero diReynolds di un fiume in piena, assumendo unavelocità dell’acqua di v = 2 m/s e una larghezzadel fiume di L = 10 m, con le proprietà dell’acquaρ = 1000 kg/m3 e μ = 0.001 Pa·s, troviamoRe = 20 milioni, cioè un numero di Reynoldsenorme! Succede ancora di peggio quando si vuo-le cercare di dare una descrizione dei flussi meteo-rologici che attraversano intere zone geografiche evengono influenzati dalla presenza di mari, laghio montagne, senza i quali non potremmo pensa-re di fare le previsioni del tempo.Se dunque abbiamo ora trovato un modello,quello delle equazioni di Navier-Stokes, con cuisiamo in grado di modellare i flussi di tipo lami-nare, dobbiamo davvero perdere ogni speranzadi modellare tutta la categoria dei flussi turbo-lenti, che così spesso appaiono in natura? Perfortuna no, qualcosa lo possiamo fare, ricorren-do a quella che è la modellazione statistica dellaturbolenza. Si tratta di determinare dei modellicon i quali “filtrare” tutte le fluttuazioni impre-vedibili, oltre che sostanzialmente poco interes-santi, del flusso attorno al suo “andamento me-dio”, su cui invece ci si deve concentrare. Sareb-be sovrabbondante conoscere punto per puntola velocità dell’aria sopra il nostro paese quandoai fini delle previsioni del tempo è sufficienteconoscerne solo la direzione e l’intensità media,in modo da sapere da dove arriveranno le even-tuali perturbazioni.La prima formulazione statistica della turbolenzarisale al matematico russo Andrej Nikolaevic Kol-mogorov (1903-1987), che nel 1941 delineò lasua teoria della “cascata energetica”, in base allaquale la turbolenza va pensata come un trasferi-mento di energia attraverso varie scale di dimen-sione e tempo. Si tratta di un elegante modellomatematico in grado di fornire una soluzione alproblema; proviamo a darne brevemente un ac-cenno. A livello macroscopico, la turbolenza sul

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flusso medio si manifesta tramite la generazione digrandi vortici: le forze inerziali sono dominanti ela viscosità non riesce a regolarizzare il flusso. Igrandi vortici si suddividono poi in cascata in vor-tici sempre più piccoli, fino a quando la scala (ri-cordiamo la L che compare nel numero di Rey-nolds) non diventa sufficientemente piccola affin-ché le forze di viscosità diventino dominanti.Leonardo da Vinci, nel suo storico disegno rappre-sentato in figura, fu il primo ad intuire il processodi generazione dei vortici nella turbolentissima zo-na in cui ristagna l’acqua che cade da una cascata.A tutti gli effetti quello che si ha è un trasferimen-to di energia dalla scala macroscopica a quella mi-croscopica: viene sottratta energia dal flusso medioalle scale più grandi, poi viene trasferita da vorticigrandi a vortici sempre più piccoli, fino a veniredissipata per via della viscosità alle scale più picco-le, laddove essa diventa preponderante.

La matematica che sta dietro alla modellazionedella turbolenza è complicata e artificiosa, oltreche piena di piccole correzioni ad hoc ottenutetramite riscontri con i dati sperimentali. Graziead essa, però, si riesce a modellare la turbolenzacon discreta accuratezza, non facendo altro cheinserire un altro termine di viscosità nelle equa-zioni di Navier-Stokes proprio come se questotrasferimento di energia corrispondesse, dal pun-to di vista del flusso medio, ad un comportamen-to più viscoso del flusso. Per concludere vale la pena di fare un accenno al-le tecniche numeriche che si utilizzano per simu-lare i fluidi, grazie alle quali oggi, sfruttando lapotenza dei computer, siamo in grado di simula-re, con un livello di precisione accettabile, il com-portamento di buona parte dei fluidi con cui ab-biamo a che fare nel nostro mondo. L’idea di ba-se è di tornare al punto di partenza nella defini-

zione del modello, quando avevamo scritto leequazioni di conservazione su di un generico vo-lumetto V. Il metodo dei volumi finiti, di granlunga il più diffuso algoritmo per la simulazionedel moto dei fluidi, si basa sulla semplice ma ef-ficace idea di suddividere tutto il dominio delfluido che si vuole simulare, ad esempio una stan-za, un fiume o l’atmosfera intorno a una città, intantissime piccole celle, scrivendo all’interno diognuna di esse le equazioni di bilancio che abbia-mo visto in precedenza. Quello che ne deriva èun sistema di equazioni di dimensioni enormi,che tuttavia si può risolvere in maniera iterativacon sofisticati metodi numerici che possono esse-re implementati anche in modo da distribuire ilcalcolo su tanti processori diversi.

Per avere un’idea di quanto si riesce a fare allo statodell’arte, pensate che per simulare il flusso attornoad un’autovettura o a un aereo, il dominio fluidoviene suddiviso in decine o centinaia di milioni dipiccole celle, e il calcolo viene svolto nel giro di al-cuni giorni su enormi cluster di centinaia di proces-sori connessi fra loro! L’immagine qui sotto rendeun’idea della complessa mesh che può essere utiliz-zata ad esempio per simulare con un software com-merciale il flusso attorno ad un’autovettura (in mo-do da ottenere il campo di pressione sulla stessa).

Fonti delle immagini:1) Onda: http://www.coolchaser.com/themes/keywords/

crime+wave

2) Pentola: http://www.physics.arizona.edu/~thews/reu/

the_science_behind_it_all.html

3) Simulazione CFD: http://it.wikipedia.org/wiki/

Immagine:CFD.jpg

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E nnio Peres, giorna-lista e matematico,

dalla fine degli anni ’70svolge la professione di“giocologo” con l’obietti-vo di diffondere tra lagente il piacere creativodi giocare con la mente.Autore di libri di argo-mento ludico, ideatoredi giochi in scatola e di

giochi radiofonici e televisivi, collabora a varie te-state giornalistiche nazionali e del Canton Ticino.Suo il premio “Ludo Award 2006” per il libro L’el-mo della mente (Salani ed), scritto con Susanna Se-rafini; il premio “Personalità ludica 2005” e il pre-mio “Internazionale Pitagora sulla Matematica”per il migliore lavoro multimediale.Lo abbiamo incontrato dal vivo in diverse occasio-ni… Festival della Matematica di Roma, Notte deiRicercatori a Lecce, siamo riusciti però ad intervi-starlo solo via e-mail.

Carroll, Hamilton, Eulero, Cartesio, Fibo-nacci, Einstein… sono solo alcune famosegrandi menti per i quali il rompicapo mate-matico non ha rappresentato solo svago,bensì una fonte di ispirazione. Che cosa èun gioco matematico?

Se si considera che la Matematica stessa è un gio-co, o più precisamente, come afferma ThomasMann: «è un gioco nell’aria… o addirittura fuoridell’aria, in regioni senza polvere», il termine giocomatematico assume il sapore di una tautologia. Inpratica, in ogni aspetto della matematica, è possi-bile cogliere dei risvolti ludici. Attraverso i giochimatematici (enigmi, problemi, test, trucchi di ma-gia, ecc.), per loro natura accattivanti e coinvolgen-ti, è possibile dimostrare la verità di una tale affer-mazione anche alle persone non esperte in materia.

La regina delle scienze è riconosciuta damolti come una disciplina arida e noiosa, so-lo pochi, come Mister Aster, sostengono in-vece che “la matematica è un gioco e comu-nica totale magia”. Non a caso abbiamo scel-to come affermazione un anagramma. Puòfarci un esempio a dimostrazione del fattoche sotto i più comuni ragionamenti mate-matici di uso quotidiano “si nascondonoproprietà dalle implicazioni sorprendenti”?

Uno dei più semplici e sorprendenti giochi dimagia matematica può essere effettuato con le se-guenti modalità.1. Si sceglie un numero intero di due cifre (ad

esempio: 85).2. Si esegue la somma delle due cifre (nel nostro

caso: 8+5 = 13).3. Si sottrae il numero così ottenuto da quello

scelto prima (nel nostro caso: 85-13 = 72).4. Si esegue la somma delle cifre del valore otte-

nuto (nel nostro caso: 7+2 = 9).5. Se il risultato ottenuto è composto da una so-

la cifra (come nel nostro caso), il procedimen-to termina; altrimenti, si esegue anche la som-ma delle due cifre del nuovo valore ottenuto.

6. A questo punto, indipendentemente dal nu-mero scelto all’inizio, il risultato finale sarà(sorprendentemente…), comunque: 9.

Per capire come mai questo gioco funziona sem-pre, è necessario riflettere sul meccanismo di rap-presentazione dei numeri che siamo abituati adadottare in maniera acritica…

Lei è un matematico ed ex professore, ora èun giocologo di professione. Cosa l’haspinta a cambiare “mestiere”?

In realtà, non ho cambiato mestiere: io sono ungiocologo, praticamente da sempre… Fin dabambino, infatti, ho nutrito un profondo interes-se per i giochi di ragionamento (matematici, logi-ci, linguistici, enigmistici, ecc.), provando l’im-

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95. La Matematica è un gioco, intervista a Ennio Peres

di Gabriella Zammillo

pulso di sviscerare i meccanismi che sono alla lo-ro base. Quando ho cominciato a diventare adul-to (almeno per l’anagrafe…), ho usato l’accortez-za di svolgere dei lavori che non adulterassero lamia grande passione. Col tempo, però (dopoaverne cambiati tanti…), mi sono reso conto checiò non era sempre possibile e, quindi, ho decisodi fare il giocologo a tempo pieno.

Lucio Lombardo Radice (matematico e pe-dagogista) era un convinto sostenitore del-le valenze del gioco come strumento di mo-tivazione allo studio della matematica. Ilgioco consente infatti di stimolare curiosi-tà, interesse, logica, fantasia… tant’è chelei, condividendo appieno la tesi di Lom-bardo Radice, ha fatto del “diffondere ilpiacere creativo di giocare”, la sua missio-ne. Alla luce dei recenti ed allarmanti datiOCSE, perché pare sia ancora così difficilericonoscere all’introduzione del gioco nel-l’insegnamento a scuola, il ruolo di antido-to contro il disamore e il rifiuto dello stu-dio della matematica?

È ovvio che, per poter cominciare ad apprezzare ipregi della Matematica, bisogna possedere almenole basi più elementari del linguaggio con cui vieneabitualmente esposta. Così come si verifica, del re-sto, in ogni altro campo del pensiero umano. Semi leggessero una splendida poesia in cinese, nonsarei in grado di goderla, non perché io sia insen-sibile al fascino della poesia, ma semplicementeperché non conosco la lingua cinese…L’insegnamento tradizionale della Matematica fa ri-corso a un preciso formalismo, già dal primo mo-mento in cui introduce la rappresentazione dei nu-meri, mediante le cifre decimali. Di conseguenza,per sapere quanto fa, ad esempio: 3x5, un bambino

deve compiere uno sforzo di memoria; ma se que-sta lo tradisce, il risultato di tale operazione, per lui,può corrispondere a un numero qualsiasi. Se, inve-ce, avesse la possibilità di disporre sul proprio ban-co tre gruppetti di cinque oggetti ciascuno, per ri-cavare il risultato gli basterebbe contare quanti og-getti ci sono, in tutto, davanti a lui. Per questo mo-tivo, i bambini tendono a eseguire le operazioniaritmetiche, aiutandosi con le dita (si costruiscono,istintivamente, uno strumento di calcolo più co-modo e attendibile); in genere, però, il ricorso a ta-li mezzucci viene loro drasticamente proibito. E così, viene reciso sul nascere un collegamento traun procedimento puramente astratto e la realtà con-creta che questo dovrebbe servire a rappresentare.

Professore, è ovviamente fuori discussioneche una mente aperta, soggetta a continuistimoli che la sappiano emozionare ed edu-care al ragionamento porti notevoli benefi-ci nella società in cui vive. “L’anno duemi-laotto è arrivato”… anche se già da qualchemese, cosa si aspetta per il futuro?

L’anno duemilaotto è arrivato (*)L’ora è data! Entra il nuovo mito:urta il mondo alienato e troval’uomo e la donna, tra vita e rito;a loro muta doti e l’età rinnova.È nata l’era molto nuova? Ti dirò…amore e lavoro, non a tutti li dà;là, tanto ideale umano ritrovòma, notando rivolte, lo aiuterà?Tanto male radunato io rilevo:o l’odio eruttante va in malora,o andrà a rotoli il mutante evo…E non udrà il motto: «La vita è ora!».

(7 marzo 2008)

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(*) Ogni riga di questa composizione è un anagramma della frase: «L’anno duemilaotto è arrivato».

Giorgio Israel, Chi sono i nemici della scienza? Riflessioni su un disastro educativoe culturale e documenti di malascienza, Lindau, 2008

Giorgio Israel, per chi non lo conoscesse, è professore ordinario di Matematichecomplementari presso l’Università di Roma “La Sapienza”, autore di centinaia diarticoli scientifici e decine di libri, si occupa principalmente di storia della ma-tematica ed epistemologia. In questo libro attacca, senza esclusione di colpi, tut-ti quelli che, a suo avviso, stanno distruggendo la scienza. Ma chi sono i nemicidella scienza? Quelli dell’altra cultura? Della cosiddetta cultura umanistica? Pur-troppo no. A suo modo di vedere, molti nemici della scienza sono tanti suoi col-leghi, di formazione scientifica come lui, matematici anche loro. Un libro forte-mente polemico insomma – già dal titolo – principalmente contro chi in Italiasembra avere il controllo dell’informazione scientifica, un saggio contro la cosid-detta ‘cultura militante’, più di sinistra che di destra. Il libro ci ha interessato principalmente per la sua analisi spietata del sistema del-la formazione italiano, che viene definito ‘disastro educativo’. La crisi della scuo-la italiana, e in particolar modo dell’insegnamento della matematica, è un datodi fatto ormai condiviso da tutti: qualsiasi indagine e confronto si faccia, nazio-nale o internazione, sia che si tratti di un semplice confronto tra gli studenti dioggi e quelli di qualche decennio fa, sia che si contino gli iscritti alle facoltàscientifiche, il quadro che ne viene fuori è sempre quello di una crisi profondache non si riesce a frenare e per la quale i rimedi stentano ad arrivare. Come ri-corda lo stesso autore di questo saggio, la scuola italiana era una delle miglioridel mondo; il liceo classico ha formato, sebbene di indirizzo prettamente uma-nistico, generazioni di eccellenti studiosi anche nel campo delle scienze naturalie matematiche. Un laureato italiano in fisica o in matematica (secondo il vecchioordinamento universitario) si trovava sempre in ottima posizione nel concorrerealle prove d’ingresso per un dottorato (PhD) negli Stati Uniti, in quanto posse-deva un’ottima preparazione di base. La riforma Gentile, sostiene Israel, è statauna delle più intelligenti, organiche ed efficaci riorganizzazioni della strutturaeducativa che abbia prodotto la cultura europea del ‘900; dopo mezzo secolo diottime prove richiedeva delle correzioni per dare maggiore spazio alla compo-nente scientifica e tecnologica dell’istruzione, si è invece avuta una sua sistema-tica demolizione su diversi livelli.Stiamo diffondendo, scrive l’epistemologo romano, un’immagine della scienzache incoraggia a interessarsi alle applicazioni e alla tecnologia, mentre scoraggiacoloro che sono interessati alla scienza come impresa conoscitiva, conseguente-mente stiamo distruggendo ogni visione umanistica della scienza: “La cultura ela divulgazione scientifica che ci vengono propinate quotidianamente sono qua-si sempre orientate a diffondere un’ontologia materialista. […] Sembra che par-lare delle nuove acquisizioni della scienza sia soltanto un pretesto per dimostra-

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96. Lo scaffale dei libria cura di Antonio Bernardo

re che tutto è materiale, che tutto si riduce a neuroni, geni e particelle elemen-tari, in sostanza cattiva filosofia passata come scienza e rivestita di tecnologia.” A questo panorama di fondo si è aggiunto uno smantellamento dei programmiscolastici, che, sebbene antiquati, avevano una loro coerenza e una provata utili-tà. La causa principale è da attribuire, secondo Israel, al prevalere di gruppi dipedagogisti che sono riusciti ad attribuirsi il ruolo di stabilire contenuti e meto-di per l’insegnamento di tutte le altre discipline. Così la storia non è più narra-zione di fatti ma una specie di filosofia della storia e la geografia è divenuta undeposito teorico sulle forme della spazialità. Nel contesto di questa matematiz-zazione della storia e della geografia, la matematica, paradossalmente, è divenu-ta una disciplina empirica e pratica. Più precisamente, è stato rovesciato il per-corso di apprendimento: nell’insegnamento della storia e della geografia si partedall’astratto per arrivare al concreto, nell’insegnamento della matematica si par-te dalla pratica per arrivare ai concetti e all’astrazione.Il ‘disastro educativo’ è iniziato con i nuovi programmi della scuola primaria in-trodotti nel 1985, nei quali l’approccio pedagogico-didattico cominciò a preva-lere rispetto ai veri e propri contenuti disciplinari. In quei programmi si soste-neva che: “la vasta esperienza compiuta ha dimostrato che non è possibile giun-gere all’astrazione matematica senza percorrere un lungo itinerario che collegal’osservazione della realtà, l’attività di matematizzazione, la risoluzione dei pro-blemi, la conquista dei primi livelli di formalizzazione. La più recente ricerca di-dattica, attraverso un’attenta analisi dei processi cognitivi in cui si articola l’ap-prendimento della matematica, ne ha rivelato la grande complessità, la gradua-lità di crescita e linee di sviluppo non univoche”. Si dà per scontato, commentalo storico della matematica, che il percorso cognitivo segua la complessità, la gra-dualità e non univocità individuata dai didatti-pedagogisti; viene operato loscambio fra la storia reale e i processi cognitivi del soggetto; si confonde il per-corso lento, complesso, non univoco fatto dalla matematica, che da disciplinapratica è divenuta - già nell’antichità - astrazione matematica, con il percorso chesegue la mente di una singola persona. I percorsi di apprendimento, sostiene in-vece Israel, debbono prendere come punto di partenza lo stato presente dellascienza e non riproporre il suo percorso storico. Inoltre, quando nei programmidella scuola primaria si afferma che la matematica consiste nell’ ”osservare ogget-ti e fenomeni e individuare grandezze misurabili, effettuare misure con strumen-ti elementari e classificare oggetti in base a una proprietà, raccogliere dati e in-formazioni e saperli organizzare”, si sta definendo, commenta Israel, una scien-za di tipo sperimentale che con la matematica ha poco a che vedere.Già nel quadro della riforma Gentile la matematica veniva insegnata con un ap-proccio eccessivamente da problem solving e poco concettuale; la tendenza attua-le a far emergere la matematica come una sorta di prodotto dei problemi praticianziché come applicazione di schemi e metodi concettuali ne costituisce una pro-secuzione nella direzione sbagliata. Occorreva integrare le materie scientifiche inmodo che stessero sullo stesso piano delle materie letterarie e storico-filosofiche,occorreva valorizzare il significato culturale della fisica, della matematica, dellachimica, della biologia, evitando ogni approccio che le riducesse a meri saperi tec-nici e ne esaltasse al contrario la portata conoscitiva e anche filosofica.È paradossale, scrive l’autore di questo saggio-denuncia, che la demolizione si-stematica di una delle migliori scuole statali del mondo sia stata compiuta so-prattutto da governi di centrosinistra, ovvero da governi che dovevano avere a

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cuore più di altri la difesa della scuola pubblica. A onor del vero, continua lo sto-rico della matematica, la più rilevante picconata vibrata alla scuola italiana fu da-ta dal Ministro della Pubblica Istruzione Francesco D’Onofrio che nel primo go-verno Berlusconi - era il 1994 - abolì gli esami di riparazione introducendo i co-siddetti ‘debiti formativi’. Questo provvedimento fu visto come necessario pereliminare il mercato delle ripetizioni private ma comportò un crollo del livellodi preparazione degli studenti e contestualmente la demolizione di uno dei pila-stri della disciplina scolastica, poiché la minaccia degli esami di riparazione erauno degli strumenti più efficaci dell’insegnante per suscitare il senso del dovere.Proprio su questo senso del dovere si innesta un’ulteriore critica a una delle re-centi convinzioni pedagogiche: la teoria dell’allievo al centro del sistema, che de-ve costruire da se stesso i propri saperi mentre il docente deve limitarsi esclusi-vamente ad aiutarlo nel processo di apprendimento autonomo. L’immagine didocente che ne viene fuori, ironizza Israel, è quella di un animatore culturale,“una figura analoga a quegli animatori delle feste di compleanno dei bambiniche facilitano la socializzazione e il divertimento proponendo giochi e guidandola festa nel modo più gradevole possibile”. Per consolidare comportamenti eticispontanei sono necessari strumenti costrittivi e gli esami di riparazione costrin-gevano gli studenti a non trascurare nessuna materia. Ancora più critico controi ministri Berlinguer e De Mauro che hanno introdotto il ‘6 con asterisco’ e laconseguente promozione anche con insufficienze gravi, seguendo appunto l’ideache gli studenti siano in grado di costruire in autonomia il proprio percorso for-mativo, le proprie aspirazioni culturali. Tutto ciò, invece, ha indotto moltissimistudenti a decidere preventivamente di non studiare le materie più ostiche e im-pegnative, tra le quali quasi sempre la matematica.Un altro dei pilastri sui quali si fonda la nuova idea di scuola è la concezione del-lo studente-utente e della scuola-impresa. Secondo questa ormai diffusa conce-zione, la scuola non assolve tanto a una funzione educativa, bensì a una funzio-ne di erogazione di servizi che deve essere svolta con il massimo di soddisfazio-ne dell’utente, in modo da aumentare il numero dei clienti. La via più sempliceper ottenere questo risultato è stata purtroppo quella di offrire promozioni conil minimo sforzo. Di per sé, l’esigenza di introdurre criteri di efficienza e di te-nere conto delle opinioni di tutti i soggetti implicati nel processo dell’istruzioneè perfettamente comprensibile e giustificata, riconosce Israel, tuttavia, in sensogenerale, il sistema dell’istruzione fornisce cultura, e la cultura non è un prodot-to al pari di un’automobile o una scatola di tonno, né il lavoro di un docenteequivale alla prestazione di un servizio, come quello di un impiegato allo spor-tello: “Un voto insufficiente in una materia è come una scatola di pomodori ava-riata: l’utente protesta con il venditore.” Questo modo di concepire la scuolacomporta di fatto una riduzione delle responsabilità dello studente: le bocciatu-re e le valutazioni troppo basse vengono a ricadere sulla scuola e sui docenti chenella logica della scuola-impresa risultano i maggiori responsabili dei ‘prodotti’mal riusciti.Infine, l’ossessione di sottoporre la cultura, la ricerca scientifica e l’istruzione a unamisurazione quantitativa oggettiva e a processi di standardizzazione, aspetti cheerano estranei al sistema scolastico italiano, sono la conseguenza di una profondasfiducia nell’uomo e portano a eliminare la sua visibilità e le sue tracce. Ma così fa-cendo si elimina anche la creatività dell’uomo: “il docente della scuola standardiz-zata secondo i metodi di tipo docimologico-didattichese non è più un uomo di

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cultura che, sia pure entro certe finalità, programmi e metodologie, trasmette lesue conoscenze e la sua esperienza per formare persone, ma un ‘operatore’, un fun-zionario scolastico, un burocrate dell’istruzione che è tanto più apprezzato quantopiù cancella la sua soggettività, quanto più elimina le tracce della sua presenza”. Quale può essere allora il corretto ruolo dell’insegnante? Israel condivide il pen-siero di Hannah Arendt: “L’insegnate è una persona che si qualifica per conosce-re il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito, mentre è autore-vole in quanto, di quel mondo, si assume la responsabilità. Di fronte al ragazzoè una sorta di rappresentante di tutti i cittadini della terra che indica i partico-lari dicendo: ecco il nostro mondo.”

Antonio Bernardo

Daniele Funaro, Clara e l’Aeroplano. Divagazioni sulla Matematica e le altreScienze, Pitagora, 2007

Avevamo lasciato Clara qualche anno fa (Clara e il baricentro, Pitagora, 2003) invacanza in Umbria con un gruppo di amici a discutere, in una calda estate, dibaricentro e questioni affini. Clara ora è cresciuta, così come la sua passione perla fisica e la matematica. La incontriamo mentre tenta di sfuggire da Franco, gio-catore incallito di Lotto, Superenalotto e Roulette. Per ciascuno di questi giochiFranco ha trovato dei ‘sistemi’ infallibili per vincere, sistemi dei quali ogni voltaClara ne mette a nudo l’inutilità e l’infondatezza con argomentazioni semplicida poter sconvolgere ogni volta le false certezze di Franco. Ma la partita più dif-ficile è quella da giocare durante un viaggio negli Stati Uniti. Un viaggio offer-to dal suo datore di lavoro occasionale, Hans, verso il quale Clara ha un certointeresse affettivo o di amicizia non ancora ben definito, fino ad allora limitatoa qualche film visto insieme, qualche sortita in pizzeria. La proposta di Hans èveramente allettante: un viaggio in America, per motivi di lavoro, tutto gratui-to. Ma tra i due c’è una segretaria di troppo, Irene, truccata in maniera provo-cante, che passa la maggior parte del tempo a curare il suo aspetto fisico: ciglia,unghia, trucco e abiti da sfilate di moda. Clara invece è una ragazza semplice: unmaglione, un jeans sdrucito, scarpe da tennis e l’immancabile blocco di carta pergli appunti, il tutto in un borsone rappezzato. Già in aeroporto, in attesa del-l’imbarco, la conversazione tra Hans e Clara è dedicata ai misteri affascinantidella fisica e della tecnologia. Ogni volta che prendo un aereo mi domando co-me fa a volare, dice Hans; se non ci fosse l’aria a fare da resistenza si potrebbeandare anche più veloci, continua. Clara non può trattenersi di fronte a una si-mile idiozia e gli spiega il ruolo che l’aria gioca nel volo dell’aereo: il lift e il drag,l’angolo di attacco tra ala dell’aereo e l’aria, fino a penetrare i segreti della dina-mica dei fluidi. Durante il lungo volo Clara si addentra sempre di più nei miste-ri dei modelli matematici, delle cosiddette ‘formule’ ed ‘equazioni’. Hans sem-bra interessato e Clara continua vorticosamente nel suo viaggio matematico traequazioni differenziali, matrici, autovalori, distribuzioni di probabilità. All’arri-vo a New Haven Clara deve occuparsi ancora di modelli matematici: la fabbricadel loro ospite produce detersivi di tre tipi, quello plain, quello medio e quelloextra, come decidere quale e in quale quantità produrre i diversi tipi di detersi-vo? Per Clara è tutto semplice, non è più la ragazzina di qualche anno fa, è in

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grado di dominare e di spiegare con semplicità tecniche sofisticate di modellisti-ca matematica, è ormai una matematica esperta, … ma per affrontare le delusio-ni non si è mai esperti abbastanza.Un libro dalla lettura piacevole che tratta questioni anche complesse di fluido-dinamica e calcolo matriciale in modo semplice indicandone i concetti chiave,può essere particolarmente utile per chi vuole avventurarsi negli studi universi-tari di matematica, fisica o ingegneria.

a. b.

Michele Emmer, Visibili Armonie, Arte Cinema teatro e Matematica, Bollati Bo-ringheri, 2006, pp.430, euro 60,00

Michele Emmer, professore ordinario di Matematica presso l’Università La Sapien-za di Roma, si è occupato di calcolo delle variazioni ed è noto al grande pubblicoper aver realizzato numerosi film sulla matematica: Bolle di sapone, Flatland, ilfantastico mondo di Escher e altri. A Venezia organizza ogni anno il convegno“Matematica e cultura”. Questo libro è una specie di racconto, di viaggio quasi au-tobiografico lungo il confine tra matematica e arte. In parte si presenta come unaenciclopedia ragionata di tutto ciò che la matematica sembra avere in comune conforme d’arte quali cinema, teatro e arte visiva in senso stretto (sono oltre 600 gliautori citati, tra matematici e artisti) ma data la vastità del tema l’autore ha sceltodi seguire un percorso narrativo molto prossimo al suo percorso di uomo di cultu-ra. Non ha voluto impegnarsi in analisi storico-filosofiche sul senso della bellezza,non si è fatto contagiare dall’ambizione tipicamente matematica di catalogare il fe-nomeno osservato (in questo caso il rapporto tra matematica e arte), ha preferitoscegliere una forma di racconto più sfilacciato, più libero, più vicino al sogno, piùvicino allo stile narrativo di un film. Egli stesso presenta il tema del libro come “Unlegame sognante tra due mondi che sembrano così lontani e irraggiungibili”. Il sag-gio-racconto comincia addentrandosi nel labirinto dei rapporti tra matematica earte, seguendo forse il labirinto dei ricordi dell’autore: dal film “Bianca” di NanniMoretti si passa alla Melanconia di Dürer, si riprende con un altro film italiano po-co noto “Dopo mezzanotte” per arrivare a Fibonacci e con un ulteriore salto neltempo tornare a Mario Merz e la sua installazione sulla Mole Antonelliana di ne-on luminosi con i primi numeri della famosissima successione. Si parla di Paperi-no e della sezione aurea, del Partenone ma soprattutto di Le Corbusier. Si ripren-de con il film “Il senso di Smilla per la neve” per parlare di numeri, del contare,dell’aritmetica. Si comincia insomma con un racconto ingarbugliato, con improv-visi salti nel tempo e salti tematici: letteratura, arte, cinema, numeri, forme, archi-tettura, immaginazione, spazio. Sono questi i ‘fili di Arianna’ che il lettore dovràseguire nel libro per non perdersi in questo percorso dal contorno incerto, dai con-fini non delineati e non delineabili. Da appassionato di cinema, Emmer ha voluto usare lo stile narrativo del sogno,del labirinto, dell’inseguire l’immaginazione a qualsiasi costo, dovunque essaporti. Un libro ricco di immagini ma anche un libro eccessivamente costoso, co-sa che non ne facilita la diffusione e rischia di relegarlo nelle biblioteche e tra icollezionisti di libri.

a. b.

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Maurizio Mariani, Storia della scienza moderna, Laterza, 2002

La scienza moderna si fa iniziare solitamente intorno al 1600, con Copernico eGalileo, e da quel punto inizia un processo di sviluppo inarrestabile: non solonuovi fatti, ma nuovi modi di pensarli, come afferma Giulio Giorello nella pre-sentazione del libro. Dopo una interessante e curiosa parte introduttiva sull’ere-dità antico-medioevale, sulle cui radici affondano appunto le basi la nuova scien-za, l’autore passa ad una dettagliata descrizione di quei decenni fra la fine del1500 e la metà del 1600 in cui si ebbero i maggiori sviluppi concettuali nell’ap-proccio allo studio della natura. I capitoli sono suddivisi su macrotemi che con-sentono una lettura “trasversale” non necessariamente dall’inizio alla fine: il cie-lo, il mondo sublunare, la luce e i colori, la terra e gli altri elementi, i viventi.Ciascuno di essi è suddiviso in una parte descrittiva, L’ordine degli eventi, in cuisi delineano i fatti salienti con le loro interpretazioni in successione cronologica,e una più riflessiva, L’ordine delle idee e l’ordine delle cose, in cui l’autore appro-fondisce le procedure scientifiche descritte e aggiunge la sua personale riflessio-ne epistemologica su controversie e scelte concettuali. La parte finale del libro èdedicata alla descrizione della filosofia sperimentale e della filosofia meccanica,che pervadono la scienza dalla metà del XVII secolo ai primi anni del XVIII, ter-minando con degli accenni alle scienze più recenti come lo studio dell’elettrici-tà, della biologia e della chimica. Il libro di Mamiani non è certo di stampo di-vulgativo né tanto meno di semplice lettura, bensì un manuale di riferimentoper appassionati e studiosi di storia della scienza, su cui trovare, anche grazie aisuoi ben strutturati indici e collegamenti interni, tutte le informazioni necessa-rie ad effettuare una dettagliata analisi storica, filosofica ed epistemologica.

f. c.

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CRUCIVERBA CRITTOGRAFATO

di Luciano Sarra

4 22 28 10 15 6 15 8 19 15 5 28 14 4 22

5 5 5 14 28 10 19 5 15 22 19 28 13

4 28 8 28 5 28 13 22 13 15 6 10 10

8 22 28 10 28 14 15 10 28 8 19 28 14

22 28 10 5 4 22 13 15 10 28 14 14 28

19 2 28 14 15 13 19 5 19 10 28 22 13

8 19 15 13 22 4 28 6 19 14 22 13 15 5

6 5 14 28 8 19 2 28 10 22 13 15 22

15 1 22 4 22 5 22 10 15 13 22 28 4

10 19 10 28 10 19 13 19 14 22 5 10 19

19 6 15 6 22 14 28 14 19 13 19 15 13

8 22 10 19 28 10 14 22 1 28 4 5 1

8 28 5 19 10 10 1 22 28 14 28 5 22 10 28

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97. Enigmista e giochi matematici

In questo cruciverba non ci sono definizioni. Le parole da inserire sono crittografate secondo una preci-sa chiave: ad ogni numero corrisponde una lettera dell’alfabeto. Da notare che a numero uguale possonocorrispondere più lettere diverse.

Inviare la chiave della soluzione a [email protected]

CRITTONUMERO

di Luca Barletta

A lettera uguale corrisponde cifra uguale, e biso-gna rispettare tutte le definizioni date dalle frasi

“DUE è un numero di Fibonacci”“SETTE è un numero primo”

“OTTO è un cubo”

Inviare la risposta a [email protected]

QUANDO LE MONETE FANNO LE CURVE

di Luca Barletta

Si affianchino due monete da 1 € in modo taleda farle toccare in un punto A. Tenendo fermauna moneta si faccia ruotare l’altra attorno allaprima, senza strisciarla. Immaginando che il pun-to A sia solidale alla moneta mobile, dopo un gi-ro completo della moneta il punto A avrà traccia-to una linea chiusa. Qual è la lunghezza della li-nea e l’area racchiusa da questa? Nota: il diame-tro della moneta da 1 € è di 23,25 mm.

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matematicamente.it• Numero 7 – Agosto 2008 •

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Anno 2 Numero 7 – Agosto 2008 Registrazione n. 953 del 19.12.2006 – Tribunale di Lecce

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