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ENERGIA NUCLEARE E SALUTE Giorgio Trenta Presidente Associazione di Radioprotezione Medica Tra le motivazioni dell’avversione al nucleare (al di là degli interessi strumentali e di tornaconto personale e politico) vi sono: la paura degli incidenti, lo spavento per i rifiuti radioattivi, il timore della diversione per fini bellici del materiale fissile. Tutte queste motivazioni in modo diretto o indiretto chiamano in causa la preoccupazione per le sorti della propria salute e di quella dei propri discendenti; pertanto la preoccupazione per la salute diviene determinante nell’orientare un’attitudine verso il rifiuto, per cui il modo di percepire, di sentire e di atteggiarsi nei confronti dell’impiego energetico delle radiazioni, qualifica quell’impiego, aprioristicamente e per sua natura, malefico. È pertanto un argomento di indubbio interesse esaminare la correlazione radiazioni-salute al fine di indirizzare in modo più razionale e scientificamente motivato questa attitudine, che in modo prevalente è guidata dalla non conoscenza della realtà del mondo nel quale viviamo e da suggestioni di natura psicologica. Per entrare nel merito dell’argomento vanno messi in evidenza due temi di fondo: la grande variazione nell’esposizione alle radiazioni naturali e le nozioni sulle patologie che possono conseguire all’esposizione alle radiazioni ionizzanti. Il fondo naturale di radiazioni Fin dal suo primo manifestarsi la vita sulla terra è iniziata e si è sviluppata immersa in un mare di radiazioni ionizzanti provenienti da sorgenti naturali. Queste radiazioni, in relazione alla loro natura e alla loro provenienza, si distinguono in: radiazione cosmica (galattica e solare), radiazione cosmogenica, radiazione primordiale. La prima proviene attraverso gli spazi galattici dalle stelle della via Lattea, da stelle più lontane appartenenti ad altre galassie e soprattutto dal nostro Sole. La seconda è costituita dalla cascata a valanga di particelle prodotte nell’alta atmosfera a causa dell’urto della radiazione cosmica sulle molecole di aria; tra queste particelle vi sono anche i neutroni, che interagendo con vari elementi presenti nell’aria e nel suolo producono radionuclidi - quali trizio, carbonio-14, sodio-22, etc. - che, attraverso la catena alimentare, entrano nel metabolismo umano ed irraggiano l’organismo dall’interno. La terza proviene dai nuclidi radioattivi presenti sulla terra fin dalla sua formazione: ad esempio, potassio-40, uranio, torio (tutti radionuclidi caratterizzati da un periodo di dimezzamento confrontabile con l’età della terra), e loro figli radioattivi. Mentre, molto probabilmente, le radiazione cosmica e cosmogenica si sono mantenute sostanzialmente costanti nel corso dei millenni, quella primordiale sicuramente era molte volte superiore ai valori attuali quando, circa 4 miliardi di anni fa, è comparsa la vita sulla terra. Va anche considerato il fatto che la maggiore abbondanza di uranio-235 (circa 50 volte quella attuale) può aver dato luogo a “reattori nucleari a cielo aperto” in varie zone di Pangea; come noto, l’ultimo reattore di questo tipo si è estinto in Africa in epoca geologica abbastanza recente. È quindi ragionevole e scientificamente plausibile pensare che già i primitivi organismi viventi abbiano messo in atto sistemi di protezione e di autodifesa contro gli effetti delle radiazioni, sistemi che non solo hanno loro consentito di sopravvivere, ma addirittura di evolvere e di migliorare in senso positivo le loro funzionalità. L’evoluzione successiva ha affinato tali strumenti di difesa e gli attuali organismi viventi, compreso l’uomo - come unanimemente rilevano le discipline biologiche e la

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ENERGIA NUCLEARE E SALUTE

Giorgio Trenta Presidente Associazione di Radioprotezione Medica

Tra le motivazioni dell’avversione al nucleare (al di là degli interessi strumentali e di tornaconto personale e politico) vi sono: la paura degli incidenti, lo spavento per i rifiuti radioattivi, il timore della diversione per fini bellici del materiale fissile. Tutte queste motivazioni in modo diretto o indiretto chiamano in causa la preoccupazione per le sorti della propria salute e di quella dei propri discendenti; pertanto la preoccupazione per la salute diviene determinante nell’orientare un’attitudine verso il rifiuto, per cui il modo di percepire, di sentire e di atteggiarsi nei confronti dell’impiego energetico delle radiazioni, qualifica quell’impiego, aprioristicamente e per sua natura, malefico. È pertanto un argomento di indubbio interesse esaminare la correlazione radiazioni-salute al fine di indirizzare in modo più razionale e scientificamente motivato questa attitudine, che in modo prevalente è guidata dalla non conoscenza della realtà del mondo nel quale viviamo e da suggestioni di natura psicologica.

Per entrare nel merito dell’argomento vanno messi in evidenza due temi di fondo: la grande variazione nell’esposizione alle radiazioni naturali e le nozioni sulle patologie che possono conseguire all’esposizione alle radiazioni ionizzanti. Il fondo naturale di radiazioni Fin dal suo primo manifestarsi la vita sulla terra è iniziata e si è sviluppata immersa in un mare di radiazioni ionizzanti provenienti da sorgenti naturali. Queste radiazioni, in relazione alla loro natura e alla loro provenienza, si distinguono in:

− radiazione cosmica (galattica e solare), − radiazione cosmogenica, − radiazione primordiale.

La prima proviene attraverso gli spazi galattici dalle stelle della via Lattea, da stelle più lontane appartenenti ad altre galassie e soprattutto dal nostro Sole. La seconda è costituita dalla cascata a valanga di particelle prodotte nell’alta atmosfera a causa dell’urto della radiazione cosmica sulle molecole di aria; tra queste particelle vi sono anche i neutroni, che interagendo con vari elementi presenti nell’aria e nel suolo producono radionuclidi - quali trizio, carbonio-14, sodio-22, etc. - che, attraverso la catena alimentare, entrano nel metabolismo umano ed irraggiano l’organismo dall’interno. La terza proviene dai nuclidi radioattivi presenti sulla terra fin dalla sua formazione: ad esempio, potassio-40, uranio, torio (tutti radionuclidi caratterizzati da un periodo di dimezzamento confrontabile con l’età della terra), e loro figli radioattivi.

Mentre, molto probabilmente, le radiazione cosmica e cosmogenica si sono mantenute sostanzialmente costanti nel corso dei millenni, quella primordiale sicuramente era molte volte superiore ai valori attuali quando, circa 4 miliardi di anni fa, è comparsa la vita sulla terra. Va anche considerato il fatto che la maggiore abbondanza di uranio-235 (circa 50 volte quella attuale) può aver dato luogo a “reattori nucleari a cielo aperto” in varie zone di Pangea; come noto, l’ultimo reattore di questo tipo si è estinto in Africa in epoca geologica abbastanza recente. È quindi ragionevole e scientificamente plausibile pensare che già i primitivi organismi viventi abbiano messo in atto sistemi di protezione e di autodifesa contro gli effetti delle radiazioni, sistemi che non solo hanno loro consentito di sopravvivere, ma addirittura di evolvere e di migliorare in senso positivo le loro funzionalità. L’evoluzione successiva ha affinato tali strumenti di difesa e gli attuali organismi viventi, compreso l’uomo - come unanimemente rilevano le discipline biologiche e la

radiobiologia in particolare - hanno inseriti nel loro genoma specifici geni deputati a svolgere in modo dedicato questa azione difensiva.

Il fondo di radiazioni non solo è stato molto diverso nel corso del tempo, ma, come le misure dirette dimostrano, lo è anche spazialmente. Vi è intanto una notevole differenza per quanto riguarda la componente cosmica con riferimento alla quota: la popolazione di Città del Messico riceve annualmente una dose da questa fonte pari a circa tre volte quella che riceve la popolazione romana. Le differenze più vistose in senso geografico sono però dovute alla esposizione alla radiazione primordiale. In tabella 1 sono riportati alcuni valori del rateo di esposizione esterna dovuti principalmente a questa fonte, come indicato dall’UNSCEAR (1). (Per facilitare la lettura ed il confronto con altre indicazioni numeriche di dose riportati nel testo, i valori indicati vanno moltiplicati per 8760 per ottenere, in milliSievert all’anno, il valore della dose efficace annua).

Tab 1

AREE GEOGRAFICHE AD ALTO FONDO (nGy/h = 10-6 mSv/h)

Nazione Area geografica Valori Brasile Guarapari, Pecos de Caldas 90 – 90.000 Cina Yangjiang, Quangdong 370 Egitto Delta del Nilo 20 - 400 Francia Regione centrale e sudovest 20 - 10000 India Kerala, Madras 200 - 4000 Iran Ramsar 70 - 17000 Italia Lazio 180 media

Campania 200 media Orvieto 560 media Sud Toscana 150 - 200

Isole Niue Pacifico 1100 media Svizzera Tessin, Jura 100 – 200 Media mondiale 60

Differenze fino ad un fattore 5 sono state riscontrate anche tra le province italiane (2) come evidenziato nella tabella 2.

Tab. 2

DOSE EFFICACE MEDIA ANNUA DA FONDO-GAMMA IN ITALIA (mSv/a)

ANCONA 0,85 NAPOLI 2.13 AOSTA 0,49 PALERMO 0.90 BARI 0,83 PERUGIA 0.86 BOLOGNA 0,80 POTENZA 1.31 CAMPOBASSO 0,69 REGGIO CALABRIA 1.28 FIRENZE 0,77 ROMA 1.58 GENOVA 0,75 TORINO 0.86 L'AQUILA 0,82 TRENTO 0.84 MILANO 0,82 TRIESTE 0.76

VENEZIA 0.77

Tuttavia le più alte differenze geografiche nelle dosi annue da fondo naturale sono da attribuire ai figli di decadimento di alcuni radionuclidi primordiali e, in particolare, alla diversa concentrazione in aria del radon-222, figlio dell’uranio-238. Nella tabella che segue (Tab. 3), tratta sempre dall’UNSCEAR (1), sono riportate le concentrazioni medie e massime di radon riscontrate all’interno delle abitazioni di alcuni paesi.

Tab. 3

CONCENTRAZIONI DI Rn NELLE ABITAZIONI DI ALCUNI PAESI (Bq/m3)

Valore medio Valore massimo Canada 34 1720 Kazakstan 10 6000 Iran 82 3070 Estonia 120 1390 Finlandia 120 20000 Norvegia 73 50000 Svezia 108 85000 Belgio 48 12000 Francia 62 4690 Svizzera 70 10000 Regno Unito 20 10000 Repubblica Ceca 140 20000 Slovacchia 87 3750 Italia 75 1040 Spagna 86 15400 Portogallo 62 2700 Media 46

Assumendo una permanenza indoor di 7000 h/a, un fattore di equilibrio pari a 0.4 ed il fattore di conversione esposizione-dose efficace, indicato dalla stessa UNSCEAR in 9 nSv, è facile effettuare il confronto con le altre indicazioni numeriche di dose, espresse in milliSievert all’anno, riportate nel testo: basta infatti moltiplicare i valori indicati in Tabella 3 per 0.025. Per quanto riguarda la situazione italiana, l’indagine condotta congiuntamente da APAT e ISS ha portato a rilevare (3) la distribuzione di valori medi della concentrazione di radon indoor con massimi fino a 1040 Bq/m3 (Tab. 4). Come nel caso di radiazione gamma, anche per quanto riguarda la concentrazione di radon si rilevano differenze fino a quasi un fattore 5 tra i valori medi riscontrati nelle abitazioni italiane.

Tab. 4

CONCENTRAZIONE MEDIA DI RADON INDOOR IN REGIONI E PROVINCE ITALIANE

L’UNSCEAR (1), riunendo i dati della dose da fondo naturale provenienti dalle varie fonti, riporta, per la popolazione mondiale, la distribuzione di dose annua di cui alla Fig. 1. Da essa è possibile rilevare una differenza notevole di dose tra gruppi di popolazioni diverse in relazione alla loro locazione geografica. In particolare, indicazioni più puntuali indicano un intervallo di dose annua che va da 1 mSv/a a oltre 50 mSv/a. Il valore medio indicato dall’UNSCEAR è di 2,4 mSv/a. In Italia l’APAT valuta una dose media da fondo naturale pari a 3,4 mSv/a (4). Si tratta di valori che vanno considerati come punti di riferimento con cui si possono fare dei raffronti nelle situazioni in cui si siano ricevute o ci sia il timore di ricevere delle dosi dell’entità indicata: infatti, nessun essere vivente, vivendo in questo ambiente, manifesta segni di sofferenza.

Fig. 1

DISTRIBUZIONE DELLA DOSE DA FONDO NATURALE NELLA POPOLAZIONE MONDIALE

Gli effetti delle radiazioni Il capitolo della radiopatologia, nel vasto libro della patologia umana, ha ormai raggiunto una sua definitiva collocazione attraverso l’individuazione e la dettagliata definizione dei quadri nosologici che vengono raggruppati nei seguenti paragrafi:

Effetti deterministici

Somatici Effetti stocastici

Ereditari

Effetti psicologici Gli effetti somatici deterministici conseguono all'individuo entro "breve tempo" a seguito di esposizione di entità rilevante (> 1 Sv), la cui incidenza è caratterizzata da una relazione dose-effetto con soglia, e la cui gravità sul piano sintomatologico, clinico e prognostico è correlata con la dose. Per dose di entità rilevante si intende una dose dell’ordine del Sievert ed oltre. A tale valore di dose cominciano infatti a manifestarsi i segni di una sofferenza del sistema emopoietico, sofferenza che cresce e porta a morte l’individuo con una frequenza che è commisurata alla dose somministrata in modo acuto; tale frequenza raggiunge il 50% quando la dose raggiunge 4-5 Sv. L’andamento della frequenza di comparsa negli esposti a dosi elevate è ben rappresentabile con una curva “sigmoide”, come quella indicata nella figura 2, in cui per raffronto è riportata pure la precedente unità di misura: il rem. Va esplicitamente rilevato che effetti di questo tipo non si sono mai verificati tra la popolazione, neanche nei casi degli incidenti più gravi che sono occorsi nei reattori nucleari.

Fig. 2

RELAZIONE DOSE-FREQUENZA PER GLI EFFETTI DETERMINISTICI

Gli effetti stocastici raggruppano gli effetti che conseguono all'individuo (effetti somatici) o alla sua progenie (effetti ereditari) e che sono caratterizzati dai seguenti elementi:

− compaiono “a caso” tra gli esposti; − si manifestano in tempi lunghi (anni, decenni) dopo l’esposizione; − la loro incidenza è caratterizzata da una relazione dose-probabilità, il cui andamento è

interpolabile per lo più con una retta; − si suppone che possano manifestarsi anche a seguito di esposizioni di bassa entità; − si suppone che non vi sia la presenza di una soglia.

L’ipotesi dell’assenza di soglia riguarda sia gli effetti ereditari, che non sono mai stati osservati nella specie umana - neanche tra le popolazioni più esposte a radiazioni come i sopravvissuti alle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki - sia quelli somatici consistenti nella induzione di tumori sui tessuti o sugli organi dell'individuo esposto.

A questi due paragrafi canonici, anche a seguito delle reazioni riscontrate in situazioni incidentali, va aggiunto un ulteriore paragrafo, quello degli "effetti psicologici". Tali effetti sono caratterizzati dal fatto di essere immediati, di conseguire anche in assenza di un assorbimento di dose e di risultare correlati con le caratteristiche psicologiche, nonché con il livello di conoscenza specifica dell’esposto.

Effetti stocastici ed effetti psicologici sono il tipo di effetti che possono interessare anche la popolazione, merita pertanto soffermarci su di essi. Poiché il tema degli effetti stocastici è il tema dominante per gli interessi della collettività, merita precisare alcuni elementi di basilare importanza per la comprensione di questi effetti, che compaiono con incidenza casuale e per i quali, convenzionalmente e per i fini della radioprotezione, si assume una probabilità non nulla di comparsa anche per dosi molto piccole e prossime allo zero, e cioè si assume l'assenza di una soglia. E questo è il punto nodale.

I tumori radioindotti sono aspecifici, nel senso che presentano caratteristiche del tutto uguali a quelli “naturali” o a quelli indotti da altri agenti cancerogeni. Per valutare, in una popolazione

esposta, quanta responsabilità è attribuibile alle radiazioni e quanto invece è frutto di altri fattori, si fa ricorso al concetto di rischio relativo, definito come rapporto tra tasso oncogeno (TO) nella popolazione esposta e tasso oncogeno (TE) in una popolazione del tutto raffrontabile con la prima ad eccezione dell’esposizione a radiazioni:

Gli studi epidemiologici condotti su varie coorti di individui esposti hanno consentito di dedurre delle stime di rischio oncogeno per dosi medio-alte (tra 100 e 3000 mSv); in questo intervallo di valori l’andamento del rischio, che nella seguente figura 3 è rappresentato da punti di significato indicativo, è ben interpolabile con una retta.

Fig. 3

RISCHIO STOCASTICO CON LA DOSE E SUA ESTRAPOLAZIONE

La situazione non è invece altrettanto soddisfacente per le basse dosi, per le quali le indagini e gli studi effettuati, per mancanza di effetti chiaramente ed univocamente correlabili alle radiazioni, non sono riusciti a fornirci indicazioni statisticamente significative di un aumento del rischio oncogeno tra gli esposti. L’andamento dei punti indicativi del rischio nella regione delle basse dosi si sovrappone infatti alle fluttuazioni statistiche del “fondo naturale di tumori”, rappresentato nella figura 3 dall’area tratteggiata. A questi valori di dose, infatti, qualora vi fosse un rischio attribuibile alle radiazioni, questo sarebbe “mascherato” dal rischio oncogeno “naturale”. Non solo, ma in corrispondenza a detti valori di dose vi sono dati epidemiologici e di radiobiologia che depongono per l’assenza di rischio (R = 1) o addirittura per un rischio inferiore ad 1. Allora, ed è questo un punto molto importante perché sta alla base della impostazione filosofica della radioprotezione, ci si pone in una prospettiva di cautela e si introduce l'ipotesi che quel rapporto di linearità già riscontrato alle dosi medio-alte tra incidenza neoplastica e dose, possa esser estrapolato anche alle piccole dosi fino a dose zero, senza quindi una soglia al di sotto della quale considerare assenti gli effetti neoplastici. Prospettiva di cautela, in quanto è ben evidente, come appena accennato più

E

O

TTR =

sopra, che l’organismo ha delle risorse reattive alla noxa con le quali cerca di opporsi al danno o di ripristinare le condizioni "quo ante", risorse rappresentate da vari meccanismi di protezione, di riparazione e di eliminazione degli effetti elementari indotti dalla radiazione. La radiobiologia, l’immunologia e l’oncologia medica indicano infatti la presenza di almeno 4 livelli di intervento (Fig. 4) da parte di vari meccanismi biologici, il cui scopo è quello di salvaguardare l’omeostasi dell’organismo e di proteggere la specificità individuale, il “self”, compito quest’ultimo del sistema immunitario.

Fig 4

LIVELLI DI PROTEZIONE DELL’ORGANISMO NELL’INDIZIONE ONCOGENA

A sostegno della presenza di un sistema di difesa dell’organismo vi sono numerose indicazioni riconducibili ad un fenomeno già noto nei confronti di noxae “convenzionali”, come: il mitridatismo nei riguardi di specifici veleni, l’abbronzatura nei confronti delle radiazioni solari o la vaccinazione nei confronti di molte malattie infettive. Per quanto riguarda le radiazioni ionizzanti si parla di “risposta adattativa”. Si tratta di un modo di reagire degli esseri viventi evidenziato per la prima volta nel 1984 da Olivieri et al. (5) che hanno rilevato un numero ridotto di aberrazioni su colture di linfociti umani “pretrattate” con timidina triziata nel terreno di coltura e quindi irradiate con dosi medio-alte, rispetto a colture linfocitarie nel cui terreno di coltura non era presente timidina triziata (Fig. 5). Questo primo esperimento è stato seguito da altre ricerche, regolarmente riproducibili, condotte con altri diversi indicatori (“end points”) biologici (mutazioni, sopravvivenza, micronuclei, etc.) e con altri tipi di cellule (linfoblasti, cellule del midollo osseo, spermatociti, cellule embrionarie pre-impianto e fibroblasti) (6) e ha preso credito l’evidenza che questa era una nuova scoperta di grande interesse intrinseco e di grande importanza pratica nella comprensione di cosa può verificarsi a dosi molto basse e di come questo possa quindi influenzare le stime di rischio. A proposito di questo fenomeno l’UNSCEAR nel 1994 così riferiva ai membri delle Nazioni Unite (6): «C’è una sostanziale evidenza che il numero di aberrazioni e mutazioni radioindotte in cellule proliferanti, sia in vitro che in vivo, può essere ridotto da una precedente dose di condizionamento. Vi è una crescente evidenza che i meccanismi di riparazione cellulare sono

Livello chimico

Livello biochimico

Livello cellulare

Livello Sistemico

IInntteerrvveennttoo ddeeii ssiisstteemmii rriippaarraattiivvii ((eennzziimmii ssiinnggoollii,, ssiisstteemmii ppoolliieennzziimmaattiiccii))

IInndduuzziioonnee aall ssuuiicciiddiioo ((aappooppttoossii))

SSiisstteemmaa ddii iimmmmuunnoovviiggiillaannzzaa

BBllooccccoo ddeeii rraaddiiccaallii ee ddeellllee lloorroo rreeaazziioonnii.. MMoodduullaazziioonnee ddeellllaa rraaddiioosseennssiibbiilliittàà.. SSiisstteemmii aannttiioossssiiddaattiivvii

stimolati dopo un danno radioindotto […] Qualunque siano i meccanismi, essi sembrano capaci di agire non soltanto sulle lesioni indotte dalle radiazioni, ma, almeno in parte, anche su lesioni indotte da altri agenti tossici.»

Fig. 5

RISPOSTA ADATTATIVA

La risposta adattativi non è un fenomeno limitato solamente alle cellule in coltura, ma è stata riscontrata anche su animali irradiati in vivo, esaminando soprattutto, ma non solo, il comportamento delle cellule linfatiche. Gli effetti delle basse dosi sul sistema immunitario sono importanti in quanto un sistema immunitario potenziato può intervenire più efficacemente a distruggere le cellule mutate, che vengono riconosciute come non proprie da parte dell’organismo. Si vedano, ad es., i riferimenti (7), (8), (9), e la fig. 6 tratta dal riferimento (6).

Fig. 6

RISPOSTA DEL SISTEMA IMMUNITARIO ALLE RADIAZIONI

Riguardo a tale fenomeno, numerosi sono anche i dati che derivano da studi epidemiologici umani dimostranti un effetto di adattamento alle basse dosi. Tra i più rilevanti e discussi si può citare quello di Cohen (10) che mostra una correlazione inversa del tumore del polmone in funzione della concentrazione di radon indoor negli Stati Uniti, al contrario di quanto porterebbe a prevedere

l’ipotesi lineare senza soglia (fig. 7). Un’altra indagine emblematica, per spiegare i cui risultati è stato invocato l’Healthy worker effect (però con scarso convincimento trattandosi di confronti tra lavoratori dello stesso cantiere) è quello dei lavoratori del cantiere navale nucleare di Portsmouth (11). La ricerca, commissionata dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, ha posto a raffronto i tassi standardizzati di mortalità per la leucemia ed altri tumori (linfoma, tumore polmonare, mesotelioma) tra esposti al di sopra di 5 mSv ed esposti a dosi inferiori a 5 mSv. Il tasso di mortalità negli esposti a più di 5 mSv è risultato dell’85% inferiore, ad un livello statisticamente significativo, rispetto a quello degli altri lavoratori.

Fig. 7

MORTALITÀ PER TUMORE POLMONARE E CONCENTRAZIONE DEL RADON INDOOR IN 1729 CONTEE DEGLI STATI UNITI

Un altro studio epidemiologico è quello riportato da Kondo (12) relativo al raffronto tra due popolazioni cinesi geograficamente isolate e soggette a dose da fondo naturale, l’una doppia rispetto all’altra. La mortalità oncogena per diversi tumori nella popolazione esposta a fondo più alto è risultata più bassa (ad eccezione del tumore dell’utero) della mortalità nella popolazione a fondo di radiazioni più basso. Nello stesso testo ora citato (12) è riportata una mortalità da tumore significativamente inferiore nella popolazione di Misasa (Giappone), cittadina ricca di terme con radon, che tra la popolazione residente nelle campagne attorno a Misasa. Sono questi solo tre dei numerosi raffronti fatti tra popolazioni interessate da dosi da fondo naturale anche notevolmente diverse che, come i citati, non hanno mostrato effetti negativi in eccesso nelle popolazioni a fondo più alto (un altro esempio sono anche i raffronti tra le popolazioni delle varie regioni italiane rispetto al fondo di radiazioni).

Altri studi significativi nel senso della risposta adattativa sono quelli condotti in Canada (13) e nel Massachusetts (14) sull’incidenza del tumore della mammella nelle donne sottoposte, negli anni passati, a fluoroscopia per la tubercolosi, nelle quali il rischio relativo alle basse dosi è risultato inferiore a 1. È stato rilevato altresì che un pretrattamento con basse dosi di radiazioni, aumenta l’efficacia sia della radioterapia che della chemioterapia (15).

Una indicazione non congruente con l’ipotesi lineare deriva anche dagli esposti all’esplosione atomica di Nagasaki. La figura 8 riporta la mortalità della popolazione di Nagasaki non esposta (linea tratteggiata) rispetto alla mortalità tra i sopravvissuti (linea continua) esposti alle radiazioni dall’esplosione (16). La suggestione che si ricava è quella dell’allungamento della sopravvivenza tra gli esposti rispetto alla popolazione non esposta.

Fig. 8

TASSO DI MORTALITÀ TRA NON ESPOSTI ED ESPOSTI A NAGASAKI

Fig. 9

LA LEUCEMIA NEI SOPRAVVISSUTI ALLE ESPLOSIONI NUCLEARI

Una analoga indicazione contro la linearità si rileva per quanto riguarda l’incidenza e la mortalità per leucemia tra i sopravvissuti alle esplosioni atomiche, per i quali a basse dosi si evidenzia un rischio relativo inferiore a 1 (1), il che indica appunto assenza di rischio (Fig. 9).

Le indicazioni riportate non sono le uniche a dare indicazioni contrarie all’ipotesi lineare senza soglia: la letteratura scientifica è ricca di dati indicativi di una inconsistenza dell’ipotesi stessa

sia con riferimento ad esperimenti in vitro, che a evidenze radiobiologiche su animali, che, infine, a risultanze di indagini epidemiologiche su popolazioni esposte a basse dosi. Da esse prende forza l’ipotesi che la risposta adattativa agisca da una parte nel ridurre le aberrazioni cromosomiche, le mutazioni e la letalità cellulare e dall’altra nell’aumentare l’attività di riparazione del DNA, l’apopotosi, l’attività antiossidante e l’attività di vigilanza immunitaria (16).

Negli anni recenti un ulteriore fenomeno è giunto all’attenzione della radiobiologia: l’effetto bystander, che vedrebbe un coinvolgimento nel danno cellulare anche delle cellule vicine alla cellula direttamente colpita dalla radiazione ionizzante. Secondo una interpretazione, tale fenomeno dovrebbe amplificare gli effetti alle basse dosi aumentando il danno cromosomico e le mutazioni; ma non si capisce perché non dovrebbe verificarsi influenzando anche la probabilità di detti effetti alle dosi intermedie, dal momento che a tali valori di dose i fotoni (o le particelle alfa) colpiscono solo una frazione delle cellule dell’organismo. Inoltre vi sono altrettanti motivi per ritenere che tale effetto porti all’attivazione e alla regolazione dei geni coinvolti nella riparazione del DNA e alla attuazione del programma di apoptosi, stimolando quindi e potenziando un effetto protettivo. I giudizi al momento sono contraddittori e pertanto questo effetto è ancora da approfondire.

Non vi è dubbio comunque che la preoccupazione principale nei confronti degli effetti delle radiazioni è il tumore, preoccupazione indubbiamente motivata a dosi elevate. Tuttavia, quanto sopra esposto indica in modo chiaro che le indagini epidemiologiche condotte su popolazioni esposte a basse dosi di radiazioni non sono riuscite ad evidenziare alcun aumento dell’incidenza oncogena, e che anzi in molte popolazioni l’esposizione a basse dosi ha dato indicazioni a favore di una riduzione della incidenza di tumori. Il problema, come riportato da H. Habel (17) si muove tra posizioni che non è azzardato definire terroristiche. Come quella di J.W. Goffman, secondo la cui «personale previsione il numero di casi di cancro in Europa, più quelli dell’Unione Sovietica, conseguenti all’incidente di Chernobyl è di un milione». O quella di F. Wachsmann espressa in relazione al numero di morti (tra i cento e i mille ogni anno) stimati in Germania a seguito dello stesso incidente; Wachsmann rileva però che «in realtà, in base ad osservazioni odierne compiute in diverse parti della Germania Ovest, sembra che tra il 20 ed il 25 per cento, e cioè 30.000 casi di morte per anno correlata a cancro, potrebbero essere evitati aumentando la radiazione ionizzante naturale di un fattore da 2 a 3».

In relazione al beneficio del fondo naturale di radiazioni, vanno anche citati esperimenti in vitro che dimostrano un “effetto da deficienza di radiazioni”, secondo cui il tasso di crescita di cellule in coltura è più stentato quando esse sono schermate dalle radiazioni di fondo (18), una circostanza che secondo il riferimento (19) potrebbe pure dipendere dall’invecchiamento della coltura, fatto che avrebbe potuto comportare la selezione di cloni cellulari diversi. Non può non far riflettere, infine, il fatto che chi sostiene l’alta pericolosità delle basse dosi sostiene molto spesso anche l’alta efficacia delle terapie omeopatiche (anche se, sia chiaro, le dosi omeopatiche non sono basse dosi: sono dosi identicamente nulle). La cautela L’ipotesi lineare senza soglia è pertanto fortemente e a volte anche aspramente contestata in ambito scientifico, mentre trova la sua piena giustificazione in un contesto di precauzione. Ma nell’ambito dell’impiego delle radiazioni ionizzanti, ed in particolare nell’impiego energetico, la precauzione non può essere intesa in modo integralista. Essa fin dalle sue origini negli anni Cinquanta è basata su tre discipline (le tre p): previsione, prevenzione, protezione.

Se queste falliscono, segue la quarta p di un’altra disciplina: la patologia da radiazioni e quindi i successivi trattamenti terapeutici. Senza entrare nel merito del “principio di precauzione”, da tempo in vigore come raffronto rischi-benefici nel settore che ci interessa, si vuole qui soffermare l’attenzione sulla protezione e sulla cautela che ha spinto questa disciplina ad adottare l’ipotesi lineare senza soglia. Essa è maturata in modo graduale a partire dagli anni Cinquanta quando la letteratura scientifica ha cominciato ad evidenziare l’incremento degli effetti oncogeni (in

particolare leucemia) negli esposti alle radiazioni dalle esplosioni nucleari. La cautela che detto incremento ha indotto negli organismi di protezione ha portato alla formulazione del principio ALARA (As Low As Reasonable Achievable), secondo il quale l’“esposizione alle radiazioni ionizzanti deve essere mantenuta al livello più basso possibile, tenendo conto degli aspetti economici e sociali”. Quindi, non bando dell’impiego delle radiazioni, ma commisurazione di un effetto negativo “in ipotesi”, rispetto ai vantaggi (e svantaggi) di carattere economico e sociale. Questo principio è andato ulteriormente consolidandosi e precisandosi in modo più concreto negli anni successivi, quando si è cercato di quantificare il rischio sanitario dovuto all’esposizione a radiazioni: l’ipotesi lineare senza soglia è divenuto lo strumento cardine della radioprotezione e su di esso è stato sviluppato, prima, il “Sistema di limitazione della dose” e, successivamente, il “Sistema di protezione radiologica” fondato su tre principi: giustificazione, ottimizzazione e limitazione della dose. In particolare, in detto “Sistema” la cautela e la giustificazione dell’impiego delle radiazioni devono essere congiunte assieme attraverso lo strumento dell’ipotesi della linearità, sia per facilitare le valutazioni socio-economiche, sia per consentire in modo semplice la trattazione matematica delle valutazioni dosimetriche (specialmente di dosimetria interna).

Merita anche precisare come viene effettuata in pratica la valutazione numerica del rischio. Questa, come si può intuire da quanto detto, non è solo frutto dell’approccio statistico epidemiologico alle dosi medio-alte, ma è anche il risultato di ipotesi suggerite dall’andamento dei dati, da esigenze di modellazione dei medesimi, dalla introduzione di ipotesi che, anche se non ritenute da tutti verosimili, sono in ogni caso improntate al principio di prudenza. L’organismo di vertice che valuta e propone formalmente il modello valutativo è l’International Commission on Radiological Protection (ICRP). Nel valutare il rischio, questa Commissione parte dalla constatazione di una correlazione lineare tra esposizione a dosi medio-alte e mortalità oncogena, suppone l’assenza di una soglia, introduce un fattore di riduzione dagli alti ai bassi ratei di dose, adotta un criterio di proiezione nel tempo, formula il modello per il trasferimento da una popolazione all’altra, effettua le mediazioni tra popolazioni selezionate, dà una interpretazione analitica tra l’esposizione acuta e quella prolungata nel tempo, etc. Appare pertanto chiaro che il modello lineare senza soglia diviene uno strumento valutativo del rischio che risulta solo in parte legato alle evidenze epidemiologiche e molto alle ipotesi, ai modelli, e ai criteri di cautela; il che ne riserva chiaramente un impiego limitato alle sole esigenze di radioprotezione. Desta pertanto sconcerto e meraviglia il suo impiego in situazioni post-incidentali da parte di persone di cultura che se ne servono per predire il numero di morti che verranno riscontati negli anni futuri tra le popolazioni esposte. Pertanto questo è un esercizio sterile condotto o per ignoranza delle cose o per indurre ansia, paura e rifiuto nei confronti dell’impiego delle radiazioni.

La modellazione del rischio stocastico secondo le modalità, le ipotesi e le assunzioni sopra indicate riguarda valutazioni di tipo proiettivo fatte a priori cioè prima dell’esposizione. Esse hanno certamente lo scopo di stimare la probabilità di incorrere in un tumore radioindotto nel corso della vita futura, ma sono valutazioni lecite per i fini della radioprotezione. In particolare sono le valutazioni condotte nell’applicazione dei criteri di giustificazione e di ottimizzazione adottati nelle analisi previsionali di rischio in vista della realizzazione di una nuova “pratica”. Va detto pertanto in maniera esplicita ed enfatica che questo stesso strumento non può venir applicato in maniera acritica e semplicistica nelle situazioni a posteriori per stimare i morti per tumore in conseguenza di situazioni incidentali, senza incorrere nel sospetto di far dell’allarmismo o addirittura del terrorismo psicologico, magari per fini strumentali. Le situazioni post-incidentali sono infatti materia dell’altra disciplina alla quale si è fatto cenno più sopra: la radiopatologia, che ha ben altri strumenti di valutazione prognostica.

La radioprotezione, se presta i suoi strumenti ad altre discipline, può divenire essa stessa un rischio per la salute, producendo, contrariamente al suo obiettiv, “più male che bene”, come ora vediamo.

Gli effetti psicologici Il Comitato UNSCEAR e il suo rapporto del 2000 (1), più volte citato, a proposito dell’incidente di Chernobyl così commenta: «Se si esclude l’aumento del cancro tiroideo a seguito dell’esposizione dei bambini, non è stato osservato complessivamente nessun altro incremento di incidenza o di mortalità oncogena attribuibile alle radiazioni ionizzanti. Il rischio di leucemia, uno dei principali riferimenti (la leucemia è il primo tumore a comparire dopo l'esposizione alle radiazioni in conseguenza del suo breve periodo di latenza di 2-10 anni) non è risultato elevato, neanche tra i lavoratori impegnati negli interventi di recupero. Né esiste altresì alcuna altra prova di altre malattie non oncologiche che siano da correlare con le radiazioni ionizzanti. Tuttavia ci sono state delle diffuse reazioni psicologiche all’incidente, dovute alla paura delle radiazioni e non alle reali dosi da radiazione».

Le principali caratteristiche degli effetti psicologici che interessano il singolo individuo sono rappresentati dal fatto che:

• sono immediati, • conseguono anche a dose nulla, • sono correlati alla personalità dell’esposto, • dipendono dal grado di conoscenza che l’esposto ha sulle radiazioni.

Il termine "radiazione" unito poi al termine “cancro” è capace di stimolare una forte componente emotiva, che genera di per sé stessa una sintomatologia a volte evidenziabile anche sul piano clinico. È questo il tipo di effetti che condiziona in maniera determinante la risposta collettiva alla proposta di installazione di attività nucleari nel territorio. Mentre è ragionevole pensare che in alcuni individui questa avversione risieda in buona parte in interessi di tipo economico, sociologico e politico, a livello dell’uomo della strada la diffidenza ed il timore con la quale questi avverte il rischio da radiazioni, hanno una giustificazione essenzialmente su base psicologica. Tale atteggiamento potrebbe essere attribuibile a una o più delle seguenti motivazioni: - associazione mentale conscia o inconscia con la tragedia di Hiroshima e Nagasaki. Allora

all’aggettivo "nucleare" non si da il significato denotativo che esso obiettivamente ha, ma un significato connotativo che evoca sentimenti ed esperienze sinistre;

- incapacità, per mancanza di un organo di senso specifico, di percepire la presenza della noxa radiogena che, per questa suo caratteristica “fantasma”, viene assimilata a "spirito del male";

- difficoltà obiettiva di comprensione di un linguaggio esoterico come quello fisico e tecnologico che sta dietro le parole “nucleare” e “radiazioni”, e quindi rifiuto per incapacità di comprensione; va pure detto che quando la scienza e la tecnologia sono dominio di pochi, finiscono per generare paura nei molti, paura che pertanto è il risultato della mancanza di una adeguata formazione ed informazione;

- adozione, nella impostazione della filosofia di radioprotezione, di una cautela eccessivamente discriminante rispetto ai criteri di prevenzione adottati nei confronti di altre noxae patogene, tanto da meritare una legislazione a parte. La radioprotezione da “fiore all’occhiello” della protezione finisce per divenire un motivo di remora e di deterrenza nell’accettazione dell’utilizzo delle radiazioni.

Il modo anomalo di percepire questo rischio è di per sé stesso generatore di stress, di una situazione, cioè, di disadattamento biologico, psichico e sociale che richiede dall’organismo, dal sistema nervoso e dalla psiche uno stato di allerta, di tensione e di consumo energetico, e che comporta effetti patologici sia psichici che organici nel caso che la situazione sia intensa e protratta nel tempo. Lo stress, che di per sé è una fisiologica e positiva reazione di allarme di fronte al pericolo, in situazioni di incidente con radiazioni, specialmente se vi è il sapiente e mellifluo imbonimento

di navigati registi che diffondono informazioni strumentali, che fanno leva sulla paura della gente per scatenare malumori, rancori e furori, comporta un timore sproporzionato rispetto al reale oggetto; la paura degli effetti della radiazione genera così una reazione patologica per la quale è stato necessario coniare un termine ad hoc: radiofobia.

Il ciclo fisiologico dell’allarme, invece di riprendere la via dell’omeostasi, si trasforma nell’individuo in ansia che, da una parte, dà origine ad effetti somatici, dall’altra si trasforma in panico che coinvolge i vicini in una sorte di contagio psichico, generando nella collettività comportamenti e fenomeni psicosociali deleteri. Una rappresentazione schematica ed indicativa del ciclo dello stress è riportato in Fig. 10.

Fig. 10

RAPPRESENTAZIONE DEL CICLO DELLO STRESS

L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, nell’ambito del “Progetto Internazionale Chernobyl”, ha condotto inchieste tra la popolazione delle zone maggiormente contaminate rilevando le percentuali, non tutte statisticamente significative rispetto alle aree meno contaminate, per i seguenti possibili sintomi (21):

− Stanchezza 89% − Disappetenza 53% − Dolori toracici 53% − Anemia 8% − Alterazioni tiroidee 25% − Emicrania 81% − Depressione 42% − Diarrea/stipsi 27% − Perdita/aumento di peso 15 - 19% − Irregolarità mestruali 9% − Epistassi 16%

A questi aspetti, che hanno interessato gli individui singoli, si è sovrapposta una serie di percezioni collettive, di atteggiamenti sociali e di reazioni sociocomportamentali che, amplificandosi, hanno prodotto effetti devastanti sulle collettività nazionali. Tra gli atteggiamenti collettivi del modo di percepire l’evento hanno avuto rilevanza i seguenti:

− attesa di effetti sulla salute, − paura del domani incerto, − aspettativa secolare degli effetti e della contaminazione del proprio territorio, − disinformazione e sfiducia nella classe politica, nella scienza e nella medicina, − paura per gli effetti sui discendenti, − perdita di certezze già acquisite.

Questo modo collettivo di “sentire” le minacce incombenti sulla salute, se protratto nel tempo, rappresenta uno “stressore” cronico collettivo che si amplifica nel contatto sociale con gli altri e che orienta ad accettare solo le informazioni di tipo catastrofico, piuttosto che quelle rassicuranti che possono derivare dagli organismi istituzionali preposti, sui quali non si ha più fiducia; stressore che passando da individuo ad individuo per ritornare al soggetto iniziale dà luogo ad una riverberazione ciclica autoamplificantesi della paura che a sua volta si ripercuote sull’atteggiamento collettivo. L’esperienza di Chernobyl, nella quale questa situazione lascia strascichi a distanza di anni, ha suggerito l’individuazione di un quadro nosologico nuovo cui è stata assegnata la denominazione di “disordine da stress ambientale cronico” o, nel caso dell’incidente di Three Mile Island, di “neurosi da polluzione nucleare”. Il modo di “sentire” diviene poi il timone che determina l’orientamento dell’agire; agire che ha indotto:

− aborti, − suicidi per depressione, − aggravamento di patologie cardiovascolari, − rinuncia ad esami di radiodiagnostica, con le conseguenze derivanti da diagnosi tardiva, − conflittualità sociale, − accaparramento di beni, − confinamento dei bambini al chiuso, − eccesso di richiesta di assistenza sanitaria immotivata, con impedimento del normale

funzionamento delle strutture sanitaria, − riduzione della natalità, − incetta di prodotti dalle supposte proprietà terapeutiche, − frodi in commercio, − contenziosi giuridici strumentali, − creazione di esperti improvvisati, − overloading dei mezzi di comunicazione.

Basta solo il numero di aborti volontari (eugenetici), stimati in 150.000 in tutta Europa, per dare un idea dell’enorme danno sanitario prodotto, non certo dalle radiazioni ma dalla immotivata paura verso esse. Raffronto sanitario Probabilmente il comportamento nei confronti del nucleare è lo scotto che ogni nuova tecnologia deve pagare fino a che questa non si è ben consolidata, che non è liberamente accettata per una migliore conoscenza sui reali rischi e che non si impone da sé stessa per gli evidenti e tangibili vantaggi che offre. Al di là, quindi, degli aspetti psicologici, una pacata riflessione ed un raffronto tra i soli effetti sanitari attribuibili alle varie tecnologie energetiche dovrebbe mostrare chiaramente l’inevitabilità della scelta più favorevole. Senza successivi commenti si riportano di seguito alcune tabelle e figure di raffronto, indicative dei vantaggi e degli svantaggi associabili alle varie fonti energetiche, derivanti dalla storia degli ultimi anni e dalle valutazioni del loro impatto sanitario ed

ambientale. Dette tabelle sono tratte da un volume dell’IAEA (22) i cui dati, si spera, non vengano tacciati di falsità in quanto prodotti dell’Organismo, che a suo tempo le Nazioni Unite, a seguito della conferenza di Ginevra, ha voluto costituire per promuovere l’impiego della fonte nucleare in pace ed in sicurezza. Una prima tabella ci riporta il numero di morti acute dovute alle dirette attività di produzione di energia con riferimento alle varie fonti (Tab. 5). L’ultima colonna riporta il numero di morti per Terawattora (miliardo di chilowattora) elettrico prodotto.

Tab. 5

MORTI IMMEDIATE A SEGUITO DI INCIDENTI (1970-92)

Numero di morti Fonte eventi per incidente totali N. di morti per TWe/a Carbone 133 5-434 6418 320 Petrolio 295 5-500 10273 360 Gas naturale 88 5-425 1200 90 Idroelettrica 13 10-2500 4015 800 Nucleare 1 31 31 10

Un altro aspetto importante per la salute è rappresentato dall’effetto serra. Se questo fosse realmente dovuto all’inquinamento antropico di CO2, allora la figura 11 ci indica che la fonte nucleare e quella idroelettrica congiuntamente e quasi in pari misura negli ultimi anni, hanno comportato circa il 18% di riduzione delle emissioni di gas serra.

Fig 11

PERCENTUALE DI RIDUZIONE DI CO2 DA FONTI ENERGETICHE ALTERNATIVE ALLE FOSSILI

Altra indicazione sulla emissione di gas serra che ci si aspetta possa essere immessa non solo per la produzione di energia, ma anche per tutto il ciclo produttivo a monte e a valle dell’impianto di produzione e per la realizzazione dell’impianto stesso, è riportata nella figura 12. Le valutazioni proiettate nel tempo sono state eseguite in previsione delle migliori tecnologie disponibili da oggi al

2020 atte a ridurre la produzione di CO2. Le valutazioni qui indicate sono tratte, semplificando, da una pubblicazione dell’IAEA (23).

Fig. 12

PRODUZIONE DI GAS SERRA DA VARIE FONTI ENERGETICHE

Anche i volumi, in relazione agli ingombri ed alle masse necessarie per produrre energia

possono rappresentare dei rischi per la salute. A tal fine, nella tabella 6 sono riportati i chilowattora prodotti da eguali masse di materiali “combustibili”. Da notare che, qualora attraverso il riprocessamento si recuperasse il materiale fissile, l’energia producibile soddisfarebbe le esigenze dell’umanità per millenni.

Tab. 6

RELAZIONI TRA MASSE ED ENERGIA PRODOTTA

Per produrre si richiede: 1 kWh 1 kg di legna 3 kWh 1 kg di carbone 4 kWh 1 kg di petrolio 50 000 kWh 1 kg di uranio (3 500 000 kWh con riprocessamento)

Anche il trasporto del combustibile rappresenta un rischio per la salute (e per l’ambiente) soprattutto a seguito di incidenti, la cui frequenza aumenta con le masse da trasportare. La tabella 7 dà una indicazione dell’esigenza di movimentazione necessaria per produrre 1000 MW elettrici per anno.

Tab. 7

ESIGENZE DI TRASPORTO ANNUO DEL COMBUSTIBILE NECESSARIO PER ALIMENTARE UN’IMPIANTO DI 1000 MWe

2 600 000 t carbone 2000 carri ferroviari 2 000 000 t petrolio 10 superpetroliere 30 t uranio (nucleo del reattore) 10 m3 (1 carro ferroviario)

Infine anche la disponibilità di spazio ha a che vedere con la salute. Pertanto deve essere messo nel conto che la sottrazione di superfici di territorio, specialmente se utilizzabili per le primarie ed irrinunciabili esigenze umane, è unO spreco che paesi come il nostro non possono permettersi. La tabella seguente (Tab. 8), tratta sempre dalla già citata pubblicazione (22), indica la superficie necessaria per realizzare un impianto della potenza di 1000 MWe da varie fonti energetiche.

Tab. 8

SUPERFICIE RICHIESTA PER LA REALIZZAZIONE DI UN IMPIANTO DA 1000 MWe

per “fossile” e nucleare, un sito di: 1–4 km² per solare termico o fotovoltaico, un parco di: 20–50 km² per eolico, un campo di: 50–150 km² per biomassa, una piantagione di: 4000–6000 km²

Conclusioni La presente esposizione non vuole certo negare gli effetti negativi che possono derivare dall’esposizione ad elevate dosi di radiazioni ionizzanti; ciò che vuole invece evidenziare con onestà è il fatto che è tutt’altro che chiaro l’effetto negativo a dosi basse. Come rileva l’UNSCEAR (1), rischi statisticamente significativi per il tumore negli esposti alle esplosioni giapponesi vengono rivelati per dosi acute superiori a 100 mSv. Al di sotto di tale valore le indagini radiobiologiche ed epidemiologiche sono silenti, anzi, come si è visto, vi sono addirittura risultati che testimonierebbero la presenza di effetti positivi per la salute. L’adozione di criteri prudenziali alle basse dosi, come: la sorveglianza fisica, la sorveglianza medica, la limitazione della dose annua, etc., hanno solo un significato di cautela per fini di protezione, così come si verifica nei confronti di qualsiasi altra noxa. L’ipotesi lineare senza soglia ha essenzialmente questo significato e come tale non può essere impiegata per finalità diverse dalla protezione: essa rappresenta un insostituibile strumento per giustificare e per ottimizzare tutte quelle attività svolte con l’impiego delle radiazioni ionizzanti. Se questi concetti saranno ben compresi, allora verrà sconfitta la paura e con essa tutti coloro che sulla paura della gente cercano di raggiungere gli obiettivi del loro personale interesse economico e politico a svantaggio degli interessi della collettività.

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