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delle Libertà P O L I T I C A A P A G I N A 2 Tra immigrazione e Garanti dei detenuti P R I M O P I A N O M E L L I N I P A G I N A 3 Papale dietrologia: l’astio dietro la misericordia E S T E R I S O L A P A G I N A 5 Questione libica: Provaci ancora Barack Obama P R I M O P I A N O S A L A T T O P A G I N A 3 La crisi identitaria che attanaglia il mondo e la nostra politica E C O N O M I A P E Z Z A N I P A G I N A 4 Il Prodotto interno lordo, il conte “Lello” Mascetti e la “supercazzola” Il brodo di coltura del terrorismo in Italia N on ha torto il ministro della Giu- stizia, Andrea Orlando, quando sostiene che in Italia le carceri pos- sono diventare il brodo di coltura del- l’estremismo islamico e trasformarsi nell’equivalente delle banlieue fran- cesi o dei quartieri islamizzati di Bru- xelles. Ma la presenza negli istituti di pena italiani di parecchie migliaia di giovani musulmani a rischio di con- versione al peggiore radicalismo non è la causa della possibile prolifera- zione del terrorismo, ma solo la con- seguenza di un fenomeno molto più grave e drammatico su cui il Guarda- sigilli non spende una parola. L’alto numero dei giovani musul- mani in carcere è il frutto di un’acco- glienza indiscriminata e, soprattutto, mal gestita. Se a tutti i migranti che sono sbarcati e che hanno ripreso ad arrivare sulle coste italiane fossero state offerte condizioni di vita umane e dignitose, se avessero potuto e po- tessero usufruire di un periodo d’istruzione e di ambientamento e se avessero potuto o potessero essere in- seriti facilmente nel mondo del la- Emiliano, de Magistris e Marino contro Renzi voro, le carceri non sarebbero segnate dalla presenza di tanti giovani musul- mani. La criminalità è diventata l’am- mortizzatore sociale di quella parte dell’immigrazione che passa dai bar- coni ai centri d’accoglienza, troppo spesso simili ai vecchi campi di con- centramento, e non ha altra prospet- tiva di inserimento nel nostro Paese che quella offerta dallo spaccio o da altre forme di delinquenza più o meno violenta. Le banlieue italiane, dunque, non sono le carceri ma i centri d’acco- glienza in cui i migranti non vengono preparati ad una qualsiasi forma di integrazione, ma sfruttati da chi spe- cula sulla loro sorte. Ed il brodo di coltura del terrorismo non è la costri- zione carceraria, ma i criteri di un’ac- coglienza irresponsabile e dissennata che sotto i buoni sentimenti nasconde ipocritamente gli interessi più sordidi. Chi ricorda che anche gli italiani sono stati migranti ammonendo evangelicamente a non fare agli altri ciò che i nostri antenati hanno do- vuto patire nei secoli scorsi, dimen- tica che i Paesi dell’accoglienza di allora applicavano regole rigide di in- gresso, flussi limitati e controllati, nessuna apertura indiscriminata. Non si chiede troppo e non si tradi- scono gli ideali umanitari solleci- tando il Governo a prendere esempio dai modelli che hanno funzionato ed a tenere presente che dove questi mo- delli hanno fallito la nostra immigra- zione ha prodotto il fenomeno della mafia!

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delle Libertà

POLITICA

A PAGINA 2

Tra immigrazione e Garanti

dei detenuti

PRIMO PIANO

MELLINI PAGINA 3

Papale dietrologia: l’astio dietro

la misericordia

ESTERI

SOLA PAGINA 5

Questione libica:Provaci ancoraBarack Obama

PRIMO PIANO

SALATTO PAGINA 3

La crisi identitariache attanaglia il mondo

e la nostra politica

ECONOMIA

PEZZANI PAGINA 4

Il Prodotto interno lordo,il conte “Lello” Mascetti

e la “supercazzola”

Il brodo di coltura del terrorismo in Italia

Non ha torto il ministro della Giu-stizia, Andrea Orlando, quando

sostiene che in Italia le carceri pos-sono diventare il brodo di coltura del-l’estremismo islamico e trasformarsinell’equivalente delle banlieue fran-cesi o dei quartieri islamizzati di Bru-xelles. Ma la presenza negli istituti dipena italiani di parecchie migliaia digiovani musulmani a rischio di con-versione al peggiore radicalismo nonè la causa della possibile prolifera-zione del terrorismo, ma solo la con-seguenza di un fenomeno molto piùgrave e drammatico su cui il Guarda-sigilli non spende una parola.

L’alto numero dei giovani musul-mani in carcere è il frutto di un’acco-glienza indiscriminata e, soprattutto,mal gestita. Se a tutti i migranti chesono sbarcati e che hanno ripreso adarrivare sulle coste italiane fosserostate offerte condizioni di vita umanee dignitose, se avessero potuto e po-

tessero usufruire di un periodod’istruzione e di ambientamento e seavessero potuto o potessero essere in-seriti facilmente nel mondo del la-

Emiliano, de Magistris e Marino contro Renzi

voro, le carceri non sarebbero segnatedalla presenza di tanti giovani musul-mani. La criminalità è diventata l’am-mortizzatore sociale di quella parte

dell’immigrazione che passa dai bar-coni ai centri d’accoglienza, troppospesso simili ai vecchi campi di con-centramento, e non ha altra prospet-

tiva di inserimento nel nostro Paeseche quella offerta dallo spaccio o daaltre forme di delinquenza più omeno violenta.

Le banlieue italiane, dunque, nonsono le carceri ma i centri d’acco-glienza in cui i migranti non vengonopreparati ad una qualsiasi forma diintegrazione, ma sfruttati da chi spe-cula sulla loro sorte. Ed il brodo dicoltura del terrorismo non è la costri-zione carceraria, ma i criteri di un’ac-coglienza irresponsabile e dissennatache sotto i buoni sentimenti nascondeipocritamente gli interessi più sordidi.

Chi ricorda che anche gli italianisono stati migranti ammonendoevangelicamente a non fare agli altriciò che i nostri antenati hanno do-vuto patire nei secoli scorsi, dimen-tica che i Paesi dell’accoglienza diallora applicavano regole rigide di in-gresso, flussi limitati e controllati,nessuna apertura indiscriminata.Non si chiede troppo e non si tradi-scono gli ideali umanitari solleci-tando il Governo a prendere esempiodai modelli che hanno funzionato eda tenere presente che dove questi mo-delli hanno fallito la nostra immigra-zione ha prodotto il fenomeno dellamafia!

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Come garantire una dignità chedeve essere propria degli esseri

umani anche all’interno degli istitutipenitenziari italiani? Questo unodegli interrogativi che ha portato ilForum Nazionale dei giovani a isti-tuire un gruppo di lavoro sulla situa-zione carceraria ed a elaborare unreport che sarà presentato in tuttaItalia nei prossimi mesi. Il primo ap-puntamento di questo tour si terràgiovedì prossimo alle ore 11:30presso il consiglio regionale dellaCampania. “Nell’ultimo decennio”afferma il coordinatore del gruppo dilavoro l’avvocato Luigi Iorio “l’au-mento della popolazione penitenzia-ria italiana ha generato un fortesovraffollamento degli istituti dipena che ha contribuito ad un note-vole deterioramento delle qualitàdella vita dei detenuti, già provati perle condizioni di limitata libertà. In un

passato recente in una cella, dove sa-rebbe previsto il soggiorno di solidue detenuti, ve ne alloggiavano nor-malmente sei e, nel peggiore dei casi,otto. Questa condizione ha favoritoil proliferare di malattie, una vera epropria emergenza sanitaria ancheper tutti coloro che vivono e lavo-rano in carcere. Situazione che havisto condannare l’Italia dallaCedu”. “Nell’ultimo periodo - conti-nua il coordinatore del gruppo di la-voro - le cose sono certamentemigliorate”.

Il sovraffollamento carcerariodegli ultimi decenni ormai sembraattenuato anche grazie agli interventirecenti del ministro della GiustiziaAndrea Orlando e dall’interventodalla suprema Corte costituzionaleche ha cassato una legge restrittivacome la Fini-Giovanardi. Attual-mente sono 52.846 i detenuti, afronte di una capienza regolamentaredi 49.504 posti a disposizione nei195 carceri nazionali. Altro dato su

cui ci siamo soffermati è sulla per-centuale di stranieri sulla popola-zione carceraria che è del 32 percento. In Europa ci si ferma al 14 percento.

Altro capitolo, quello che ri-guarda i minori. I detenuti presentinegli Istituti penali per minorenni al28 febbraio 2015 sono 407, di cui168 (il 41 per cento) stranieri. Tra idetenuti presenti, 175 in attesa digiudizio, vale a dire circa il 43 percento del totale. Infine vi è la spiace-vole problematica legata allemamme detenute. Ci sono bambiniche scontano la pena insieme alleloro madri. Notizia positiva è lachiusura degli Opg, ospedali psichia-trici giudiziari istituiti in Italia a metàdegli anni settanta con il fine di so-

stituire i vecchi manicomi criminali.Purtroppo però non tutte le nuovestrutture denominate Rems sonofunzionanti. Per il futuro occorreabolire il reato di immigrazione clan-destina e intensificare la possibilitàdel rimpatrio dei detenuti stranierinel proprio paese di origine. Servepoi sollecitare le regioni e i comunicapoluogo a nominare più celer-mente i garanti dei detenuti; preve-dere delle attività formativeall’interno delle carceri che offranol’opportunità di acquisire compe-tenze spendibili nel mondo del la-voro: si pensi semplicemente, adesempio, all’insegnamento della lin-gua inglese o dell’informatica.

Dal punto di vista dell’esecuzionedella pena occorre porre l’attenzione

sulla carenza di magistrati di sorve-glianza, tale carenza limita i dirittidei detenuti e le loro istanze, materiadi pertinenza del Consiglio superioredella magistratura, implementare lavigilanza dinamica, colloqui educa-tivi e migliorare ancor di più le con-dizioni di vita dei detenuti comeaffermato nei motivi della sentenzaTorregiani della Corte Europea deiDiritti dell’Uomo del gennaio 2013.Serve una nuova concezione dell’ese-cuzione della pena, orientata al ri-spetto della dignità umana,informata ai valori costituzionali e inlinea con le risoluzioni internazionalimigliorando la condizione di vita deidetenuti senza metterli in condizionedi soffrire una doppia pena: quellasociale che si somma a quella penale.

Politica

Che la situazione sia abbastanza grave ed ènecessario intervenire adeguatamente al

fine di mettere in condizioni di non nuocerequanti guidano, alimentano e dirigono il ter-rorismo, sia esso dei tagliagole dello Stato isla-mico che dei talebani (comunque musulmani),è ormai una esigenza sentita dalla stragrandemaggioranza della popolazione mondiale, nonsolo di quella cosiddetta “occidentale” (piùesposta alla furia terroristica). A nulla servono,ormai, le chiacchiere del giorno dopo, né lestucchevoli panzane boldriniane o quelle al-trettanti inutili che ci riserva il Papa col suo“politicamente corretto”.

L’ultimo attentato, quello eseguito in Paki-stan, avviene contro la minoranza cattolica (4per cento della popolazione), reso più odiosocon la carneficina, in un parco giochi per bam-bini, di decine di innocenti. Un attentato che èun chiaro messaggio a Papa Francesco che in-

tenderebbe andare in visita proprio in quelPaese su invito di quel primo ministro. Forse ilcapo dello Stato Vaticano ha creduto bastasseblaterare sui trafficanti d’armi per poter cattu-rare la “benevolentia” dei musulmani del postoatta ad interrompere il genocidio perpetrato aidanni dei cattolici come, egregiamente, dimo-strato da Magdi Cristiano Allam, formidabilegiornalista divenuto da poco cattolico. Lungida noi, però, pensare che l’obiettivo unico deiterroristi islamici siano i cattolici. Sembra in-fatti che si stia preparando un’altra carneficinaa danno, stavolta, dei figli degli ebrei.

È chiaro, quindi, che si sta tentando di di-struggere la nostra convivenza pacifica, la no-stra quotidianità, il nostro stile di vita, la fededegli ebrei e la fede di quanti in Italia ed in Eu-

ropa hanno creduto opportuno abbracciare lareligione cattolica che, dopo il lungo periododell’Inquisizione che ha realizzato un milionedi donne torturate ed uccise dai Tribunali Ec-clesiatici, è tornata alle origini ridiventandouna religione non violenta ma basata sul per-dono e l’offerta dell’altra guancia. Se qualcunovuole offrire l’altra guancia faccia pure, noinon ci stiamo e, quindi, questo film, di cui co-nosciamo armai la trama, pensiamo debba es-sere interrotto. Non c’è però più tempo daperdere ed ognuno deve fare la sua parte senzaalibi e scuse varie come sa fare il Premier Mat-teo Renzi, che pensa che bastino contro il ter-rore i “maestri elementari” considerati uominidi cultura con... l’abbecedario.

Ma allora, si chiederebbe Lenin, “che fare?”.Sono urgenti due necessità. La prima è metterein piedi quella coalizione unitaria che da tempobisognava realizzare e la cui non realizzazioneaveva spinto la Russia a rispondere positiva-mente alla richiesta di aiuto del governo di Da-masco. I frutti si sono visti se è vero, come èvero, che il 40 per cento del territorio occupatoda Al-Baghdadi è ritornato ai legittimi pro-prietari ed alcune città simbolo, come Palmira,sono state riprese dall’esercito lealista di Assad.In questa coalizione, da realizzare e mettere su-bito in azione, devono far parte, come minimo,gli Usa, l’Europa, la Russia ed l’Arabia Saudita,senza paura delle bandierine arcobaleno che si-curamente sventoleranno su molti balconi.

La seconda esigenza deve portare l’Europaalla costruzione di un proprio ed unico eser-cito e prevedere, da subito, lo scambio di noti-zie dei rispettivi servizi di intelligence che lerecenti azioni terroristiche in Belgio hanno di-

mostrato che lavorano senza continuo scam-bio di informazioni, realizzando terribili buchiimmediatamente usati dai terroristi.

Senza questi due capisaldi si ripresenta lasolita “delega” a chi non vuole essere delegato(Barack Obama è un campione in questa dire-zione), e mai si potrà costruire quello che ognicittadino del vecchio continente vuole fortissi-mamente e cioè gli “Use” ovvero gli Stati Unitid’Europa.

Non serve a niente il bla-bla-bla del giorno dopo

Abolire il reato d’immigrazione clandestina e istituire Garanti dei detenuti in tutta Italia

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Primo Piano

Avevo già scritto delle dietrologiedel vecchio stalinista Giulietto

Chiesa, quando ho letto il commentodi Papa Bergoglio: “Dietro gli atten-tati e le stragi di Bruxelles ci sono ifabbricanti ed i mercanti di armi”. Ilpeggio viene sempre dopo.

Che Bergoglio sia filo-islamiconon è certo una novità. Che ciò loporti ad un atteggiamento assoluta-mente inaccettabile di mezzo “giusti-ficazionismo” del terrorismo piùbrutale in cui oggi si esprime la jihad,non è contestabile. Le sue dichiara-zioni, con ricorso all’imma-gine poco “misericordiosa epastorale” del “carcin’culosantissimo” (come avrebbedetto G.G. Belli), cui fece ri-corso per attribuire, almeno,l’attenuante della provoca-zione in occasione dell’ecci-dio dei redattori della rivistafrancese “impertinente”, sonopure ben noti. L’orrore per ilsangue versato a Parigi ed aBruxelles non può esseremesso in discussione e tro-vare attenuanti, con diver-sioni e dietrologie. Che lamisericordia consenta il per-dono nei confronti degli au-tori (pentiti) di tali orrori nonequivale ad assoluzione. Dif-fondere l’invito al perdonopima di quello alla necessariadifesa non è espressione dimisericordia. Certo non disaggezza. Affermare che,prima ancora di trovare unmodo adeguato di reagire e didifendersi, occorre vedere chic’è veramente “dietro gli as-sassini”, chi siano i veri col-pevoli, non solo non ha nullaa che vedere con la misericor-dia, ma oltre che di stoltezza,è espressione di astio.

Giorgio Bergoglio ha, dun-que, commentato l’eccidio diBruxelles affermando che“dietro (gli jihadisti) ci sono ifabbricanti e mercanti di

armi”. Ora, a parte il fatto che lestragi sono state perpetrate con ordi-gni fabbricati dagli stessi assassini econ esplosivi usati anche per scopi le-citi, questo è un modo per sviare erendere più difficili le reazioni, al-lontanandole dai responsabili, ricor-rendo alla solita solfa degna di unGiulietto Chiesa, degli sbandati dellasinistra, oltre che dei soliti inconte-nibili maniaci delle dietrologie. Nelcaso una dietrologia ispirata ad unastio profondo, tipico di certi am-bienti sudamericani, contro gli Usa,l’Europa e quello che si dice “l’Occi-dente”. Non dico questo perché sono

preso io da astio verso il Papa, ed ilPapa Gesuita in particolare (anche senon nego che questi non gode affattodella mia simpatia), ma lo affermo,lo ripeto e lo ripeterò perché la chia-rezza, cioè l’ostentata ambiguità, diquesta posizione di quasi neutralitànei confronti della guerra dell’Isis al-l’Occidente, oltre a non potersi giu-stificare dal punto di vista etico, nétrovare facile comprensione, è estre-mamente pericolosa.

Ormai, alcuni decenni fa la “com-prensione” per gli orribili delitti delregime sovietico, la giustificazioneche un’intellettualità contorta e ser-

vile non esitò a fornire allo stalini-smo, produsse, oltretutto, coperture,incentivi ed impunità anche al più ot-tuso ed inconcludente terrorismo chesi sviluppò in casa nostra. Benché levoci officianti del Partito Comunistalanciassero strali (in verità più chiari,fermi e concreti di quelli attuali diBergoglio) contro il terrorismo “deicompagni che sbagliano”, quella erala matrice.

Oggi, attorno a questo “giustifica-zionismo” dolciastro, a queste litanieche proclamano “che il problema èun altro”, che bisogna “vedere chi c’èdietro” ancor prima di reagire effica-

cemente, si raccoglie tutta la melmadelle distorsioni del sinistrismo e sialimentano le incertezze e le ambi-guità del Renzismo. È inutile do-mandarsi, almeno a questo fine, findove arrivi la simpatia di Bergoglioper i credenti, anche se in Allah, piut-tosto che per i “miscredenti occiden-tali, liberali, democratici, ecc.”. Ècerto però che la “modernità” diquesto Papa che sale sull’aereo por-tandosi in mano la borsa, la sua “mi-sericordia” fatta più di astionazionale che di equanimità, ritornaindietro di secoli. Ritorna al Sillaboed, anzi, a Gregorio XVI (il quale tra

l’altro accettò di ricevere ilsultano deposto che egli fecevinto ma non il suo fedeleVisir, perché questi era cri-stiano ortodosso cioè scisma-tico).

Lungi da me la pretesa,nientemeno, di voler inse-gnare al Papa il vero cristia-nesimo, ed anche, ma un po’meno, quella di sottolineareuna sua certa propensioneper il sincretismo, che, unavolta, era una eresia da finircisul rogo. Ma, se il mio Paese,l’Europa, l’Italia sono inguerra perché qualcuno hadichiarato loro una guerraspietata, essenzialmente con-tro i princìpi fondamentali,europei ed italiani, i mieiprincìpi, di libertà di pen-siero, di religione, di identitàdei popoli, io diffido di chi midice che “il problema è unaltro” e che invece di fronteg-giare adeguatamente, contutte le forze di cui dispo-niamo, questa sciagura, dob-biamo guardare “chi c’èdietro”. Io reagisco senzaipocrisie ed ambiguità, comeposso. Anche a costo di di-spiacere a chi sostiene che unPapa è un Papa e che bisogna,comunque, rispettarlo e dar-gli credito, ed ubbidire ai suoianche se ambigui ed astiosiprecetti.

Dietrologia di Bergoglio: l’astio dietro la misericordia

La confusione identitaria che at-tanaglia il mondo intero (Occi-

dente, Europa, Medio Oriente, ecc.)coinvolge anche il nostro scenariopolitico. Al di là, infatti, delle di-squisizioni giornalistiche o televi-sive, siamo in presenza di dueparticolari vicende con con-seguenze negative non indif-ferenti.

A sinistra l’identità delPartito Democratico è cam-biata radicalmente conl’azione svolta da Renzi ot-tenendo qualche apprezza-bile risultato che ancorapaga, non si sa per quanto,in termini elettorali. Una me-tamorfosi formale e sostanzialeche trova, comprensibilmente,l’opposizione culturale dichi, ideologicamente, è le-gato ad un passato che viavia si va estinguendo in unasocietà più attenta agli inte-ressi che non agli ideali.

Contemporaneamente, eancor più negativamente, nelcampo avverso, nel cosid-detto centrodestra, alberganoposizioni, presuntivamenteidentitarie, assolutamenteantitetiche che cercano diunirsi solo per ottenere uneffimero risultato elettoralevincente che, a mio parere,non resisterebbe in unaazione di governo comune.Come immaginare, infatti,

che quanti si riconoscono nel popo-larismo europeo del Ppe possanoconvivere con chi si identifica, nellamigliore delle ipotesi, nel “lepeni-

smo” francese? Questa mancanzadi originale identità non è, forse,la ragione della disaffezione digran parte di quell’elettorato

non di sinistra e non populistache, in quanto moderato e vi-cino al “Centro”, si rifugia nel-l’astensionismo perché privo di

chiari punti di riferimento?I temi che oggi sono macrosco-

picamente all’attenzione delle forzepolitiche, quali il modo di esseredell’Unione europea, il rapportocon l’epocale fenomeno dell’immi-grazione, l’egemonia della Finanzasulla Politica (per citarne solo al-cuni) sono compatibili, nella loro

soluzione, alla visione delnostro Centro alleato con lanostra Destra?

In Italia, dunque, o cisforziamo di trovare le iden-tità di ognuno o la Politicanon avrà più il suo ruolooriginario che la renda auto-revole, in grado di impedireche gli interessi, spesso cinicie crudeli, prevalgano sullamoralità, sugli ideali. Arri-verà, finalmente, una classedirigente capace di compren-dere la necessità di riscoprireuna propria identità a pre-scindere da qualsiasi previ-sione elettorale? Pronta aperdere nell’immediato, maa vincere in futuro? Questaè la scommessa dei prossimianni. Speriamo di vincerlanon tanto per noi quantoper le prossime generazioni.

“Ci sono due cose dura-ture che possiamo lasciareai nostri figli: le radici e leali” (William Hodding Car-ter II).

(*) Membro della PoliticalAssembly del Ppe

La crisi delle identità

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Economia

Il titolo del pezzo sembra ungioco di parole, una sorta di

“calembour”, ma l’accostamentoapparentemente audace e pococomprensibile può aiutare a capire ilparadosso di termini che, comeil “Pil”, vengono abitualmenteusati dai mediasenza la veracomprensionedi quello chestanno di-cendo, in unasorta di auti-smo ripeti-tivo.

Il conte Raf-faello Mascettidetto Lello, invece,era un dei protago-nisti dell’epico film“Amici miei” di MarioMonicelli, interpretato daUgo Tognazzi; il conte Mascetti,ammesso che conoscesse il signifi-cato del Pil, il suo l’aveva azzerato ri-manendo in miseria. Il Mascetti eraesplosivo quando si esibiva nellascena della “supercazzola”. Il ter-mine supercazzola è diventato, poi,di uso abituale un gioco di parole, un“divertissement” incomprensibile,come potrebbe essere il Prodotto in-terno lordo che ogni giorno vieneevocato da tutti come una sorta dimagia a cui legare la felicità e la con-tinuità di una società. Ma cos’è oggiil Pil e come lo definirebbe il conteMascetti? Proviamo a rispondere.

Il Prodotto interno lordo (Pil) è ilvalore totale espresso in moneta - daiprezzi - dei beni e servizi prodotti inun Paese da parte di operatori eco-nomici, pubblici e privati general-mente con riferimento ad un anno, edestinati al consumo dell’acquirentefinale, agli investimenti privati e pub-blici, e alle esportazioni. Non sonoconteggiati i consumi intermedi dibeni e servizi consumati e trasfor-mati nel processo produttivo per ot-tenere nuovi beni e servizi. Laqualifica di lordo sta a significare chenel suo calcolo non vengono presi inconsiderazione gli ammortamenti dibeni ad utilità ripetuta.

Il concetto di Pil e le sue modalitàdi calcolo si sono perfezionati neltempo di pari passo con un modellosocioculturale che ha fatto coinciderela felicità e il benessere di una societàcon la ricchezza prodotta in un arcotemporale - più “Pil” più felicità ed ilcontrario - finendo per essere presoa misura di valori non misurabili, lacomponente emozionale dell’uomo -e simboleggiare il benessere di unacollettività. Il primo a denunciare

l’esclusiva ina-deguatezza di una mi-

sura solo monetaria peresprimere la felicità ed il be-nessere sociale del Pil fuproprio Robert Kennedy in unfamoso discorso tenuto il 18marzo del 1968 alla Kansas Univer-sity.

“Non possiamomisurarelo spiriton a z i o -n a l es u l l abase del-l ’ i n d i c eDow Jones néi successi delPaese sulla basedel Prodotto in-terno lordo... IlPil non tieneconto della salutedelle nostre famiglie,della qualità della loroistruzione e della gioia dei loro mo-menti di svago. Non comprende labellezza della nostra poesia e la soli-dità dei valori familiari. Non tieneconto della giustizia dei nostri tribu-nali, né dell’equità dei rapporti franoi. Non misura né la nostra arguziané il nostro coraggio, né la nostrasaggezza, né la nostra conoscenza, néla nostra compassione. Misura tutto,eccetto ciò che rende la vita degna diessere vissuta”.

Kennedy in quel discorso rimar-cava che nel prodotto consideratoc’era di tutto, compresi i danni am-bientali, beni e servizi contro la vitacome le armi, l’alcool eccessivo…senza distinzioni di sorta nel rispettodella persona. Kennedy pronunciò

q u e ldiscorso il18 marzo del1968, solo quindici

giorni prima dell’omici-dio di Martin Luther King,leader dei diritti civili e dell’“Ihave a dream”, e 70 giorniprima di essere ucciso lui stesso;con loro finiva una storia e necominciava un’altra in cuil’“american dream” avrebbe la-sciato lo spazio solo alla ricercadi un’avidità illimitata, il cui

fine spirituale coincideva esatta-mente con il Pil condannato da

quei portatori di giustizia. BobDylan cantava “I tempi stavanocambiando e solo il vento potevaportare una risposta”, ma anchela risposta sarebbe finita nel vento(“The answer, my friend, is blowin’in the wind”).

Dovranno passare 40 anni (!) didisastri economici, finanziari, moralie sociali per riportare all’attenzionela questione posta al tempo, in so-stanza, da Robert Kennedy: Cosa è ilPil come misura? A cosa serve ai finidi indirizzare l’azione della politicaper portare una “societas” ad una di-mensione valoriale che possa coinci-dere con la felicità e il diritto aperseguirla come recita la Dichiara-zione di indipendenza degli StatiUniti? Per provare a rispondere allaquestione vitale della sopravvivenza

di una società venne costituita lacommissione Sarkozy, composta daillustri studiosi come Stiglitz, Amar-tya Sen ed il francese Fitoussi. Madopo alcune presentazioni e studisulla necessità di trovare nuovi indi-catori maggiormente in grado di“misurare” la felicità con lo slogan“Oltre il Pil” la commissione, comecantava Dylan, “è volata via con ilvento” e di essa non rimangonotracce. Così siamo ritornati, ogni sin-golo giorno, a parlare del Pil come lapietra filosofale che dovrebbe salvareil nostro mondo dal caos imperante;gli interessi e l’ignoranza sembranosempre essere una forza inarrestabile.Qui la menzogna diventa peggio

della “supercazzola”.Il Pil misura una produzione

senza fare riferimento allemodalità etiche, di rispetto

della persona e dell’am-biente; potremmo

avere un Pil am-

p i a -m e n t epositivo ma allostesso modo ampiamentedistruttivo del collante sociale edella vita nel pianeta. Si può arrivarea declinare il Pil pro-capite che rap-presenta la fotografia della sua totaleinadeguatezza alla misurazione delbenessere di una collettività. Bastaprendere New York, in cui il Pil pro-capite è 50mila dollari all’anno madove il 46 per cento degli abitanti si

trova sotto la soglia della povertà.Ma cosa stiamo misurando? Forsesolo l’ipocrisia degli interessi supe-riori che come bene comune hannosolo quello personale. Di conse-guenza il Pil non ci dice nulla sullapovertà, sulla disuguaglianza, sulladisoccupazione, sul degrado morale,sulla povertà di una politica inade-guata a realizzare il sogno anticodella “Polis” greca. In questo senso ilPil viene strumentalmente usato pernascondere i veri problemi alla basedella crisi che l’attenzione esclusivaall’arricchimento personale - anchecontro ogni legge morale - viene rea-lizzato. Il Pil, usato in questo modo,diventa un misuratore che nascondel’ingiustizia umana ma considera unsolo dato in modo asimmetrico allamolteplicità dei valori che rendonoricca di spirito una società.

Inoltre, avendo posto la finanzasopra l’economia reale, i prezzi checontribuiscono alla determinazionedel Pil non sono determinati dallequantità fisiche dei beni prodotti ed

offerti che ogni giorno compe-riamo ed usiamo, ma da infinite

scommesse speculativeche ogni singolo

giorno ven-g o n o

fatte permanipolarei mercati e

quindi iprezzi dei beni.

I prezzi fatti neimercati finanziari

dagli operatori che lianimano e li dominano

sono in funzione di realizzaresia il massimo interesse chel’esercizio di un potere geopoli-tico sovranazionale. Il prezzo

del petrolio, dell’oro, del grano,della farina, delle commodities in

generale è il frutto di scambi e scom-messe il cui sottostante è spesso ilnulla. Quindi i prezzi che contri-buiscono a determinare il Pil sonoil frutto di infinite speculazioni fi-nanziarie, ben lontani dalle realiquantità fisiche dei beni che do-vrebbero essere usate allo scopo.Anche per questo il Pil come tale èinaffidabile perché manipolabilenella sua valutazione.

La cultura della verità solo mi-surabile ci sta uccidendo perchéuna società multietnica e multiva-loriale non può essere ridotta aduna misurazione che può essereutile per le scienze positive magariper determinare il rischio di por-tata di un ascensore; semplice-mente una società non è misurabilein termini oggettivi e questo impe-disce di capire la “red line” delpunto di non ritorno. Possiamodire quale sia la percentuale di po-vertà, di disuguaglianza, di disoc-cupazione oltre la quale vi sia ilrischio di un punto di non ritorno?No, assolutamente no, il resto sonosolo chiacchiere di cattivo gusto edinteressate.

Alla fine di questo pensiero la“supercazzola” del conte Mascettisi può usare come metafora peresprimere il senso illusorio del Pil,ma rimane un divertissement men-tre il Pil, ogni giorno, così richia-mato, rappresenta solo la misuradell’inadeguatezza culturale e poli-tica di una società allo sbando.

(*) Professore ordinario di Programmazione e Controllo

Università Bocconi

Il Pil, il conte Mascetti e la “supercazzola”

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Matteo Renzi incontrerà BarackObama a margine del vertice in-

ternazionale sulla sicurezza nucleare,convocato a Washington per domani.È scontato che il presidente americanoriaprirà il dossier libico. La CasaBianca non accetta che l’inquilino diPalazzo Chigi possa continuare a fareil pesce in barile sulla crisi delPaese nord-africano nel quale stacrescendo la presenza dell’Is pereffetto del principio fisico dei vasicomunicanti. Le sconfitte che lemilizie jihadiste stanno subendoin Siria e in Iraq le spinge ad inse-diarsi in luoghi più ospitali dovepoter continuare la guerra all’Oc-cidente. E la Libia, che di fatto ènella totale anarchia, si presta per-fettamente a interpretare il nuovoscenario. Lo “scatolone di sabbia”è ricco di materie prime. Metterele mani sul petrolio e sui metallipreziosi di quella terra significhe-rebbe assicurarsi una considere-vole fonte di reddito da destinareal finanziamento della guerra glo-bale. Inoltre, sulle sue coste proli-fera il lucroso business del trafficodi migranti. Averne il controlloconsente non soltanto di gonfiarsile tasche di denaro, ma anche dipoter infiltrare in Europa colonnedi combattenti in grado di agiredietro le linee nemiche.

Ora, la situazione in Libiastride con l’ambizione di Obamaa concludere il suo secondo man-dato presidenziale con un suc-cesso vero nella lotta alterrorismo jihadista. Ma, per po-terlo ottenere, ha bisogno del-l’aiuto italiano. Aiuto che il nostropavido Renzi continua a negargli.C’è poco da fare, il governo dicentrosinistra ha paura di accol-larsi il peso di un intervento serionella crisi libica. Per mesi PalazzoChigi e, di conserva, la Farnesina,

si sono nascosti dietro la foglia difico della preventiva costituzione inloco di un governo di pacificazionenazionale quale condicio-sine-qua-non per la partecipazione ad

un’azione militare sul suolo libico.Lo hanno detto ben consapevoli chesarebbe stata una premessa irrealiz-zabile. I libici si stanno scannandotra loro e non hanno la benché mi-

nima intenzione di mettersi d’accordo.Nel frattempo, con l’arrivo della

bella stagione e la contestuale chiu-sura della rotta balcanica, una massagigantesca di migranti si prepara ad

invadere l’Italia dalle spiagge dellaLibia. Stando così le cose, Obama sadi non avere più tempo per star dietroalle furbizie del partner italiano.Quindi non è escluso che, nell’incon-tro di domani, userà toni meno ami-chevoli del solito. I ragazzi della ViaPàl, insediati a Palazzo Chigi, senten-dosi scaltri come volpi del deserto,avevano creduto di prendere per il

naso gli yankees con la storia dellarivendicazione della leadershipdella missione. Invece, gli ameri-cani hanno rispedito al mittente lafurbata rispondendo positiva-mente alla pretesa italiana. Se nonfosse drammatica, la situazionesarebbe ridicola: c’è un Paese,l’Italia, che ha chiesto e ottenutola guida di un intervento che,però, rifiuta di compiere. PerRenzi e soci si tratta della pate-tica sorte toccata al suonatoreche andò per suonare e fu suo-nato. Per placare l’ira di Barack,Matteo il chiacchierone ha esco-gitato l’ennesima trovata: l’im-piego di un gruppo di Tornado,un sommergibile d’appoggio e al-cune unità delle truppe d’élite perblitz mirati e sporadici. In con-creto: niente boots on theground, nessun dispiego di mezzie di uomini in grande stile. Piùdella sicurezza dell’Occidente,più degli interessi di lungo pe-riodo del nostro Paese, più del fu-turo della Libia, più della stimadel suo mito Obama, Renzi tienea non rompersi le ossa alle pros-sime elezioni amministrative.Anche i sampietrini di Romasanno che il Premier ha unapaura del diavolo a mandare alvoto gli italiani nel bel mezzo diun’azione bellica nella qualesiano coinvolte le nostre forze ar-mate. Ma l’incavolato Obama siaccontenterà della soluzione al ri-basso che l’amico Renzi gli sven-tolerà domani sotto al naso?

Esteri

Provaci ancora, Barack

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Cultura

Il suo vero nome è Barbara Milli-cent Roberts, ma per tutti è solo

Barbie. Barbie è molto più di unasemplice bambola. È un’icona glo-bale, che in 56 anni di vita è riuscitaad abbattere ogni frontiera lingui-stica, culturale, sociale, antropolo-gica. Per questo motivo la suafigura attrae sempre più l’atten-zione come fenomeno culturale esociologico tanto da dedicarle mo-stre come “Barbie. The Icon” che,appena conclusasi al Mudec –Museo delle Culture di Milano, ar-riva a Roma al Complesso del Vit-toriano - Ala Brasini dal 15 aprileal 30 ottobre 2016.

Nella sede romana la mostra,prodotta da Arthemisia Groupe 24 ORE Cultura – Gruppo24 ORE in collaborazionecon Mattel, curata da Mas-similiano Capella, si è ar-ricchita di nuovi prestitidalla serie Barbie Fashio-nista, tra cui i modelliCurvy, Tall e Petit, che ri-producono le diverse corpora-ture femminili, e le wedding dollsdella Coppia Reale inglese Wil-liam e Catherine.

“Barbie. The Icon” raccontal’incredibile vita di questa bam-bola che si è fatta interpretedelle trasformazioni estetichee culturali della società lungooltre mezzo secolo di storia, ma- a differenza di altri miti della con-temporaneità che sono rimasti stri-tolati dal passare del tempo - haavuto il privilegio di resistere alloscorrere degli anni e attraversareepoche e terre lontane, rappresen-tando oltre 50 diverse nazionalità, erafforzando così la sua identità dispecchio dell’immaginario globale.

Dal giorno in cui ha debuttato alNew York International Toy Fair,esattamente il 9 marzo 1959, Bar-bie ha intrapreso mille diverseprofessioni. È andata sulla luna,è diventata ambasciatrice Unicefe ha indossato un miliardo diabiti per 980 milioni di metri distoffa. Soprattutto Barbie ècambiata con lo scorrere deltempo, non solo delle mode odella moda, e si è trasformataper essere sempre al passo conil mondo. Ed è diventata unavera e propria icona.

Il percorso espositivo

è stu-d i a t oper of-frire di-

versi livellidi lettura: alleinformazionidi approfondi-mento storico e

culturale per ilpubblico adulto,

si affiancano po-stazioni p en sa t epe r i bamb in iche , a t t r ave r souna serie di attivitàcoinvolgenti, po-

tranno approfondirela storia di Barbie.

Orari mostra:dal lunedì al giovedì

9.30-19.30; venerdì esabato 9.30-22; do-

menica 9.30-20.30.Per informazioni e pre-notazioni: www.ilvitto-riano.com; telefono06/871511.

Barbie, un’icona di bambola

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