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Elementi di analisi macroeconomica delle relazioni industriali. Crescita economica, produttività del lavoro e modello contrattuale – II parte Leonello Tronti Università di Roma Tre, A.a. 2017-18 [email protected]

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Elementi di analisi macroeconomica delle relazioni industriali.Crescita economica, produttività del lavoro e modello contrattuale – II parte

Leonello Tronti Università di Roma Tre, A.a. 2017-18

[email protected]

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Percorso – II parte

Torniamo ai classici: il modello di crescita della produttività di Sylos Labini

Distribuzione funzionale del reddito e regola di Bowley

Il modello contrattuale italiano e lo scambio politico masochistico

La rottura della regola d’oro dei salari e i suoi effetti macroeconomici

Consumi, investimenti e cooperazione per la crescita

Controprova: la redistribuzione dai salari ai profitti

Cinque passi per riprendere a crescere.

2Leonello G. Tronti

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Sono davvero solo la concorrenza e il progresso tecnico a spingere

la crescita della produttività?Un approccio differente, basato

sull’economia classica

Leonello G. Tronti 3

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Secondo Paolo Sylos Labini Il punto rilevante è la dinamica della produttività del lavoro, non quella della

TFP, troppo discutibile sotto il profilo teorico. I mercati attuali non sono di concorrenza, ma oligopolistici; la concorrenza

avviene anzitutto in termini di livello delle barriere all’entrata e il progresso tecnico viene prodotto in continuazione, ma viene effettivamente utilizzato per migliorare prodotti o processi soltanto in presenza di condizioni che rendono all’impresa necessario farlo e spingono l’impresa a riorganizzarsi.

Questo accade quando l’impresa:1. è trainata dall’espansione del mercato (Smith),2. è spinta da un aumento del costo del lavoro superiore a quello del prezzo

dei macchinari (Ricardo),3. è spinta da un incremento del clup (costo del lavoro per unità di prodotto)

superiore a quello dei prezzi.4. effettua investimenti di intensificazione dell’efficienza.

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Il modello di Sylos Labini (1984…2005)

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(con m<n,t)

pregressi tiInvestimenlavoro del assoluto CostoRicardo Effetto

Smith Effetto

)()( tmnma IeppucldpwcYba −−− +−+−++=

NB: il puntino soprascritto indica tassi di variazione %.

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21 differenti verifiche econometriche del modello pubblicate da PSL dal 1984 al 2005

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Fonte: Corsi e Guarini, 2007.

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1. L’“effetto Smith”

Per Adam Smith l’aumento delle capacità produttive del lavoro:◼ dipende dalla divisione del lavoro,

◼ che a sua volta dipende dall’estensione del mercato.

La divisione del lavoro aumenta la produttività del lavoroattraverso tre diversi effetti: 1. Il miglioramento della capacità del lavoro legato alla specializzazione,

2. le «piccole invenzioni» ideate dai lavoratori, che possono concentrarsi su un unico compito e studiarlo in modo approfondito,

3. Il risparmio di tempo dovuto al fatto che i lavoratori non devono più cambiare spesso le loro mansioni.

Leonello G. Tronti

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L’“effetto Smith” e le invenzioni

Per Paolo Sylos Labini (2004), nella valutazione del funzionamento dell’effetto Smith nei confronti del progresso tecnico è necessario distinguere

◼ Le grandi invenzioni (degli scienziati)

◼ dalle piccole invenzioni (di lavoratori e imprenditori).

Sono le piccole invenzioni ad essere endogene e più facilmente attivate dall’effetto Smith,

e quindi in generale più continue e più importanti ai fini della stabilità della crescita economica.

◼ Le grandi invenzioni consentono però alla produttività di fare salti di livello.

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E ancora, estensione del mercato ed effetti di domanda

L’intuizione di Adam Smith precorre di secoli le analisi sul ruolo della domanda nella determinazione della crescita della produttività;◼ L’estensione del mercato interno, ad esempio, dipende dalla dinamica

dei salari (consumi) e quindi da quella degli investimenti e della spesa pubblica,

◼ Mentre l’estensione del mercato estero traina la crescita della produttività nelle imprese esportatrici.

Dunque, sono la crescita del pil (nei suoi diversi componenti) o quella dei mercati esteri a determinare la dinamica della produttività, e non viceversa.

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La legge di Verdoorn (a)

L’effetto Smith combina il ruolo del progresso tecnico-organizzativo in termini di divisione e specializzazione del lavoro con quello della domanda.

Le analisi successive sull’influenza dell’estensione del mercato sulla produttività si sono soffermate anche sui rendimenti di scala crescenti, legati alla dimensione delle imprese e alle economie di scala, in termini sia fisici, sia organizzativi.

La legge di Verdoorn (dall’economista olandese Petrus Johannes Verdoorn), evidenzia, per l’appunto, che un’espansione della produzione aumenta la produttività a causa di rendimenti di scala crescenti.

◼ «Nel lungo periodo una variazione del volume della produzione, diciamo di circa il 10 per cento, tende ad essere associata con un aumento medio della produttività del lavoro del 4,5 per cento» (Verdoorn, 1949, p . 59).

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La legge di Verdoorn (b)

La legge di Verdoorn◼ si differenzia dall’«ipotesi usuale... che la crescita della produttività sia principalmente

spiegata dal progresso delle conoscenze in campo scientifico e tecnologico» (Kaldor, 1966, p . 290), come tipicamente ipotizzato nei modelli di crescita neoclassici (ad esempio, la funzione di produzione Cobb-Douglas che abbiamo visto in precedenza),

◼ Ed è invece associata con i modelli di causazione cumulativa della crescita, in cui è la domanda piuttosto che l'offerta a determinare il ritmo dell’accumulazione.

Un ‘coefficiente di Verdoorn’ vicino a 0,5 (e cioè che ad un aumento della produzione del 10% corrisponde un aumento della produttività di circa il 5%) si trova anche nelle stime successive della legge. ◼ Nicholas Kaldor (1966, p. 289), ad esempio, riporta un coefficiente pari a 0,484,

◼ E Sylos Labini, come abbiamo visto, riporta nelle sue stime dell’effetto Smith su diversi paesi, periodi e settori, coefficienti con un valore medio di 0,43 (in Italia il coefficiente medio è più alto: 0,55).

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Kaldor e Thirlwall: il ruolo della domanda estera

Nicholas Kaldor (1966) e Anthony Thirlwall (1979) hanno applicato la legge di Verdoorn anche a modelli di crescita export-led:◼ Per un dato paese, un'espansione del settore delle esportazioni può causare una

specializzazione nella produzione di prodotti destinati all'esportazione.

◼ La specializzazione aumenta il livello di produttività e il livello delle competenze nel settore esportatore (a causa della divisione e specializzazione del lavoro legata all’effetto Smith).

◼ Ciò può quindi portare ad una riallocazione di risorse dal settore non esportatore, meno efficiente, al settore esportatore, più produttivo;

◼ La riallocazione conduce a prezzi più bassi per i beni esportati e a una maggiore competitività delle esportazioni.

◼ L’aumento di produttività quindi porta all’espansione dell’export e alla crescita della produzione.

A volte la legge di Verdoorn viene chiamata legge o effetto di Kaldor-Verdoorn.

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Il ruolo delle relazioni industriali

Con riferimento all’effetto Smith:

◼ nel mercato interno, sono gli incrementi salariali – come estensione dei consumi delle famiglie - a trainare la crescita della produttività e non viceversa.

◼ Questo effetto, in termini diretti, si concentra nelle imprese che operano nel settore dei beni di consumo.

L’effetto di traino della produttività da parte dei salari, però, non vale per le imprese esportatrici.

Le relazioni industriali sono pertanto vincolate, nel fissare la crescita delle retribuzioni, alla considerazione degli effetti, più o meno espansivi degli aumenti salariali sui mercati di riferimento.

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Andamento del monte salari e della domanda autonoma a prezzi correnti

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Fonte: calcoli su dati Istat

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• Il monte salari è una quota crescente della domanda autonoma dell’economia (attorno al 40%).

• E la domanda autonoma cresce con i salari.

• Nella recessione il calo di spesa pubblica e investimenti ha accresciuto il peso della massa salariale.

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2. L’“effetto Ricardo”

Per David Ricardo la produttività cresce a causa di un risparmio diretto dell’input di lavoro a parità di produzione,◼ Il risparmio diventa necessario quando si verifica un aumento del costo relativo del

lavoro, Ossia un aumento del costo del lavoro rispetto al prezzo dei macchinari, che possono sostituirlo.

«le macchine e il lavoro sono in concorrenza permanente tra loro e spesso le prime non possono essere impiegate fino a quando il lavoro non sia diventatorelativamente più costoso». (Ricardo 1951, 395).

Sylos Labini riassume così questo effetto: «Nel ragionamento di Ricardo, la sostituzione delle macchine al lavoro diviene vantaggiosa sia quando i salariaumentano, sia quando viene inventata una nuova macchina, più efficiente ma non più costosa delle macchine esistenti, mentre i salari restano costanti: il secondo casoequivale a quello di una diminuzione del prezzo delle macchine esistenti: sia nelprimo che nel secondo caso, il rapporto w/pma aumenta» (36)

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Effetto Ricardo e occupazione

Nel breve periodo, e in presenza di una domanda stagnante o rigida rispetto al prezzo, la sostituzione può provocare la c.d. «disoccupazione tecnologica» (o «ricardiana») (v. anche la trattazione del tradeoff produttività-occupazione nelle lezioni precedenti).

◼ La concezione ricardiana presenta punti di contatto (ma non coincidenza) con la funzione progressiva del conflitto industriale in Marx: «Le macchine corrono là dove c’è lo sciopero».

Nelle stime di Paolo Sylos Labini, il coefficiente del costo relativo del lavoro, con un ritardo medio tra 2 e 3 anni, è pari a 0,43 (per l’Italia il coefficiente medio è di 0,41).

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Il ruolo delle relazioni industriali

Con riferimento al costo relativo del lavoro il ruolo delle relazioni industriali è quello di trovare un giusto equilibrio tra: ◼ il livello di pressione salariale che spinge l’impresa a modernizzarsi e a

riorganizzare i processi produttivi (la cosiddetta wage whip, o «frusta salariale»),

◼ E le previsioni di estensione del mercato che l’impresa o il settore possono attendersi anche in base all’aumento di produttività. A questo fine è importante che una parte degli aumenti di produttività conseguiti sia

destinata a contenere i prezzi.

I margini per aumenti salariali senza ripercussioni occupazionali(quando l’aumento del reddito supera quello della produttività, vedi lezioni precedenti) sono presenti in mercati in espansione (dei c.d. beni Engel-superiori) o in mercati poco contendibili, dove la spinta della concorrenza al taglio dei costi del lavoro è debole.

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Un’analogia con l’effetto Ricardo per le imprese internazionali (un altro tipo di costo relativo del lavoro)

Nel caso di imprese che operano a livello internazionale, a parità di mercato di sbocco, la redditività aziendale (n.b.: non la produttività) può crescere ◼ attraverso un processo di sostituzione di lavoro nazionale più

costoso con lavoro localizzato in paesi esteri, di qualità comparabile ma meno costoso.

Un processo di questo tipo aumenta la redditività modificando la distribuzione del valore aggiunto tra salari e profitti, ◼ Ma non modifica la produttività dell’impresa.

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Andamento del prezzo relativo del lavoro

19Fonte: calcoli su dati Istat Leonello G. Tronti

• Il prezzo di macchinari e attrezzature cresce in linea con il costo del lavoro nel 2006-2008 e nel 2013.

• Negli altri anni (8 anni su 11 considerati), il prezzo di macchinari e attrezzature cresce più del costo del lavoro.

• La moderazione salariale sfavorisce la crescita della produttività, in particolare nella fase di ripresa 2014-2017.

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3. Il costo assoluto del lavoro

Partiamo dal clup, o costo del lavoro per unità di prodotto (in termini nominali), un rapporto caratteristico che viene troppo spesso considerato l’indicatore principale di competitività di prezzo (o di costo) delle produzioni: di un’impresa così come di un territorio, di un settore o dell’intero sistema economico.

Il clup è dato dal rapporto tra il costo del lavoro per unità di lavoro (cl) e la produttività del lavoro (π): (clup=cl/π). Dovrebbe rispondere alla domanda: ◼ Che rapporto c’è tra quanto costa un’unità di lavoro dipendente e quanto produce?

Ma il clup è un indicatore non privo di un limite rilevante: ◼ la sua variazione è fortemente determinata dall’andamento dei prezzi al consumo,

rispetto ai quali il numeratore (costo del lavoro) è indicizzato (1°livello contrattuale),

◼ il clup è poco utile ai fini della diagnosi delle cause della competitività e tantomeno dell’efficienza dell’impresa.

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Clup e prezzi al consumo (I/2006-IV/2017)

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Fonte: calcoli su dati Istat

• Al netto di cadute (crisi 2009) o di accelerazioni della produttività (2017), la moderazione salariale (che schiaccia le retribuzioni sul salario di primo livello) fa sì che clupe prezzi al consumo abbiano una dinamica praticamente sovrapposta.

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Il costo assoluto del lavoro supera i limiti del clup

Per questo motivo Sylos Labini introduce come determinante della crescita della produttività il costo assoluto del lavoro, che misura l’andamento del costo del lavoro ◼ non in termini nominali,

◼ ma in relazione ai prezzi di beni e servizi.

Il costo assoluto del lavoro, non risentendo della variazione del prezzo del prodotto, aiuta a comprendere meglio cosa succede nell’impresa.

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Calcolo del costo assoluto del lavoro

Il costo assoluto del lavoro (cal) è uguale al costo del lavoro per unità di prodotto in termini reali.

Il movimento del costo assoluto del lavoro è dato dalla differenza tra la variazione del costo del lavoro per unità di prodotto (clup) e quella dei prezzi del prodotto (p).

𝑐𝑎𝑙 =𝑐𝑙𝑢𝑝

𝑝e ሶ𝑐𝑎𝑙 ≈ ሶ𝑐𝑙𝑢𝑝 − ሶ𝑝

Si può dimostrare che il cal è uguale alla quota del lavoro nel valore aggiunto, corretta per gli indipendenti.

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Costo assoluto del lavoro e distribuzione del reddito - 1

Siano Nd l’occupazione dipendente, Ni quella indipendente, w il costo del lavorounitario, Y il prodotto, p i prezzi, N l’occupazione totale e clup il costo del lavoro perunità di prodotto.

La quota del lavoro nel reddito (corretta per gli indipendenti) (Ql) si può scrivere nelmodo seguente:

Possiamo quindi esprimere la quota del lavoro corretta come rapporto tra il clup e iprezzi del prodotto:

𝑄𝑙 =𝑐𝑙𝑢𝑝

𝑝

Leonello G. Tronti 24

11)()( −==

=

+=

+= pclup

p

N

Y

w

pY

wN

pY

wNN

pY

wNWQl idi

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Costo assoluto del lavoro e distribuzione del reddito - 2

In termini di tassi di variazione abbiamo:

Poiché il moltiplicatore sul lato destro dell’equazione è molto prossimo all’unità, possiamo notare che la variazione della quota del lavoro totale approssima la variazione del costo assoluto del lavoro.

Inoltre, dall’equazione possiamo ricavare la condizione di stabilità:

Che indica che la quota sarà stabile se la variazione del clup sarà pari a quella dei prezzi; e dunque:

ovvero la quota crescerà/diminuirà se e solo se la variazione del clup sarà superiore/inferiore a quella dei prezzi.

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+−=

pppuclQl

1

1)(

ppuclQl == 0

ppuclQl 0

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Costo assoluto del lavoro/quota del lavoro corretta per gli indipendenti

26Fonte: calcoli su dati Istat Leonello G. Tronti

• La crisi del 2008 ha fatto aumentare la quota del lavoro/costo assoluto per la caduta dei profitti.

• Molte imprese sono fallite e hanno licenziato o non assunto, riequilibrando così il costo assoluto e la quota del lavoro dell’economia.

• L’aumento dei dipendenti per indipendente segnala una crescita della dimensione media delle imprese e che la crisi ha colpito più duramente il lavoro autonomo (o parasubordinato) di quello dipendente.

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L’effetto del costo assoluto del lavoro sulla produttività

Se il clup cresce meno dei prezzi, il cal si riduce e aumenta la quota dei profitti; le imprese aumentano i loro margini di guadagno, senza dover agire per aumentare la produttività.

Se, invece, il clup cresce più dei prezzi che le imprese possono fissare sul mercato, il cal aumenta e si riduce la quota dei profitti.◼ Gli imprenditori si attivano per salvaguardare i propri guadagni riorganizzando

la produzione per rendere il lavoro più produttivo o riducendo l’occupazione.

In genere l’effetto dell’aumento del cal sulla dinamica della produttività è abbastanza rapido (qualche trimestre-un anno).

Nelle stime di Paolo Sylos Labini, il coefficiente medio del cal, con un ritardo di 1 anno, è pari a 0,18.◼ Per l’Italia è di 0,15.

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Il costo assoluto del lavoro nella crisi

28Fonte: calcoli su dati Istat Leonello G. Tronti

• La crisi del 2008 ha fatto aumentare fortemente il clup, significativamente più dei prezzi del prodotto.

• Le imprese hanno potuto recuperare un po’ del divario aumentando i prezzi fino al 2011,

• Poi, dopo la successiva crisi del 2011-12, il recupero dei prezzi sul clup è stato continuo, fino al superamento nel 2017.

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Il ruolo delle relazioni industriali

Con riferimento al costo assoluto del lavoro va notato che, per la singola impresa o il singolo settore, ciò che conta ai fini dell’alterazione della distribuzione del reddito ai fattori

◼ Non è l’andamento dei prezzi al consumo (che conta invece per il potere d’acquisto dei lavoratori),

◼ E nemmeno quello generale dei prezzi di tutti i beni e servizi,

Ma conta invece l’andamento dei prezzi dei prodotti/servizi dell’impresa o del settore.

L’impresa o il settore saranno pertanto spinti a riorganizzarsi se i propri prezzi crescono meno del clup.

◼ E la contrattazione dovrebbe considerare l’entità della spinta salariale in relazione a questi prezzi (e ai prezzi al consumo) non a quelli generali.

29Leonello G. Tronti

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4. Gli investimenti pregressi

Secondo Sylos, dal lato della domanda, gli investimenticontribuiscono all’estensione del mercato (effetto Smith-Verdoorn-Kaldor) e quindi come moltiplicatori del redditoinfluenzano la produttività;

mentre, dal lato dell’offerta, l’effetto può essere di ampliamento (sviluppo) o di efficienza della produzione:◼ Nel primo caso gli investimenti espansivi fanno aumentare sia la

capacità produttiva sia la produttività, effetti che sono generatiprincipalmente dall’estensione del mercato;

◼ Il secondo tipo di investimenti (intensivi) influenza esclusivamentela crescita della produttività ed è la diretta conseguenza dell’effettoRicardo (prezzo relativo del lavoro).

30Leonello G. Tronti

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Investimenti e produttività

Leonello G. Tronti 31

Investimenti

Domanda Offerta

Effetto

consumo

Investimenti

di efficienza

(intensivi)

Investimenti

di sviluppo

(estensivi)

Crescita

della

produttività

Crescita della

capacità

produttiva

Crescita della

produttività

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Investimenti in macchinari e attrezzature e altri investimenti

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• Nella crisi del 2008-2009 sono caduti più rapidamente gli investimenti in macchinari e attrezzature, e poi si sono tendenzialmente stabilizzati.

• Gli altri investimenti, invece, hanno continuato a cadere fino al 2014,per poi riprendere sino ad oggi.

• Ma i livelli attuali sono ancora lontani da quello precrisi.

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Per valutare l’effetto diretto degli investimenti bisogna perciò considerare gli investimenti pregressi

Si tratta degli investimenti realizzati negli anni precedenti (t=2 o anche più anni);

◼ gli investimenti correnti, infatti, sono troppo recenti per causare effetti produttivi positivi, e pertanto svolgono un ruolo economico soltanto dal lato della domanda, in termini di ampliamento del mercato dei beni capitali (effetto Smith).

◼ Mentre soltanto gli investimenti realizzati in precedenza influenzano sia la capacità produttiva, sia la crescita della produttività nel periodo corrente.

◼ In generale, infatti, i nuovi beni capitali impiegano almeno 2 anni a integrarsi nei processi produttivi al punto da accrescerne la produttività.

Nelle stime di Paolo Sylos Labini, il coefficiente degli investimenti pregressi, con un ritardo di circa 2 anni, è pari a 0,08.

◼ Per l’Italia il coefficiente medio è di 0,06.

33Leonello G. Tronti

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Coefficienti dei regressori nelle stime di PSL della Funzione di produttività

Media tutte le stime Media stime Italia Ritardi

Effetto Smith 0,43 0,55 -

Effetto Ricardo

(Prezzo relativo del lavoro)0,43 0,41 2-3 anni

Costo assoluto del lavoro 0,18 0,15 1 anno

Investimenti pregressi 0,08 0,06 2 anni

Leonello G. Tronti

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Il modello di Sylos Labini in un grafico

35Fonte: calcoli su dati Istat Leonello G. Tronti

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Concetti e strumenti del mestiere.

6. Redditività e competitività di prezzo

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Misurare la redditività - 1

Misurare la distribuzione del reddito nell’impresa, nel settore, nell’economia:

◼ Redditi da lavoro (sia dipendente che autonomo o indip.): 𝑅𝐿 = 𝑅𝐿𝐷 + 𝑅𝐿𝐴

Da lavoro dipendente: 𝑅𝐿𝐷 Misto (da lavoro autonomo):

◼ Da lavoro degli autonomi: 𝑅𝐿𝐴 = 𝐿𝐴 ∙𝑅𝐿𝐷𝐿𝐷

;

◼ Da capitale degli autonomi: 𝑅𝐾𝐴 = 𝑅𝐴 − 𝑅𝐿𝐴.

◼ Redditi da capitale o profitti lordi;

𝑃 = 𝑉𝐴 − 𝑅𝐿𝐷 − 𝑅𝐿𝐴 = 𝑉𝐴 − 𝑅𝐿.

Leonello G. Tronti 37

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Misurare la redditività - 2

Distribuzione funzionale del reddito, ovvero quote nel valore aggiunto:

◼ Quota del lavoro dipendente: 𝑄𝐿𝐷 =𝑅𝐿𝐷

𝑉𝐴∙ 100

◼ Quota del lavoro (dip. e autonomo o indip.): 𝑄𝐿 =𝑅𝐿

𝑉𝐴∙ 100

◼ Quota del capitale: 𝑄𝐾 =𝑅𝐾

𝑉𝐴∙ 100 = 100 − 𝑄𝐿

Margine operativo lordo (MOL):◼ In valore assoluto (profitti lordi): 𝑃 = 𝑉𝐴 − 𝑅𝐿𝐷 − 𝑅𝐿𝐴 = 𝑉𝐴 − 𝑅𝐿.

◼ Come rapporto: 𝑀𝑂𝐿 =𝑃

𝑉𝐴∙ 100.

Markup (o ricarico): 𝑚 =𝑉𝐴

𝑅𝐿∙ 100 − 100 =

100

𝑄𝐿− 100.

Leonello G. Tronti 38

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Misurare la competitività di prezzo - 1

Costo del lavoro per unità di prodotto:

◼ Nominale: 𝑐𝑙𝑢𝑝 =

𝑅𝐿𝐷𝐿𝐷

𝑉𝐴𝑝𝑐

𝐿𝑇

=𝑟𝑙𝐷

𝜋; è un numero indice; si fissa pari a 100

in un anno base, e se ne osservano poi le variazioni nel tempo.

◼ Reale: 𝑐𝑙𝑢𝑝𝑟 =

𝑅𝐿𝐷𝐿𝐷𝑉𝐴

𝐿𝑇

= 𝑄𝐿𝐷 ∙𝐿𝑇

𝐿𝐷; è un rapporto tra due grandezze

nominali, dove l’influenza dei prezzi si elide; e dunque hanno significatività non solo il valore dell’indicatore, ma anche la sua variazione nel tempo.

Leonello G. Tronti 39

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Misurare la competitività di prezzo - 2

Indicatore Istat di competitività di prezzo, che indica la produttività apparente (nominale) per unità di costo del lavoro dipendente:

𝐼𝑐𝑐 =

𝑉𝐴𝐿𝑇𝑅𝐿𝐷𝐿𝐷

= 1𝑐𝑙𝑢𝑝𝑟

.

Costo assoluto del lavoro: ሶ𝑐𝑎𝑙 = ሶ𝑐𝑙𝑢𝑝 − ሶ𝑝◼ È un indicatore dinamico, che misura di quanto cresce il clup deflazionato, ovvero

depurato dall’aumento dei prezzi. È un indicatore della dinamica reale del clup.

◼ NB: Con quali prezzi è opportuno deflazionare l’andamento del clup? Poiché stiamo misurando la competitività di costo dell’impresa è opportuno deflazionare

la dinamica del clup con quella dei prezzi dell’impresa,

Ovvero utilizzare una misura reale del costo del lavoro per unità di lavoro (rlD) in

termini di product wage:𝑟𝑙𝐷

𝑝𝑖.

Leonello G. Tronti 40

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Distribuzione funzionale del reddito e legge di Bowley(o regola aurea

della distribuzione funzionale del reddito)

Leonello G. Tronti

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42

La legge di Bowley

Al nome di Arthur Bowley è associata l’ipotesi che la quota del lavoro nel reddito (QL) si dimostri sostanzialmente costante nel tempo, fondata sui suoi studi sui redditi in UK. ◼ Il principio è noto come legge di Bowley.

Perché QL dovrebbe essere costante?◼ Gli economisti post-keynesiani, considerano i movimenti di QL come dipendenti dal tasso

di crescita dell’economia.1. Dato che i contratti collettivi si muovono su orizzonti temporali pluriennali, un

imprevisto aumento del tasso di crescita del reddito non può essere compensato dalla dinamica salariale, e comporta quindi uno spostamento della distribuzione a favore del capitale.

2. La contrattazione sindacale tende però, con i contratti successivi, a riportare la quota del lavoro all’equilibrio precedente.

3. La validità della legge di Bowley dipende dalla forza del sindacato e, in particolare, dalla sua capacità di assicurare attraverso la contrattazione condizioni stabili di distribuzione del valore aggiunto tra salari e profitti.

Leonello G. Tronti

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43

Legge di Bowley e crescita

Le variazioni di breve periodo della distribuzione funzionale del reddito dovrebbero quindi accompagnarsi con una sostanziale costanza delle quote distributive del reddito nel medio periodo in funzione della forza del sindacato e della qualità delle relazioni

industriali.

Il rapporto tra legge di Bowley e qualità delle relazioni industriali è cruciale perché, ◼ se la distribuzione funzionale del reddito, come abbiamo visto,

dipende dalla crescita,

◼ a sua volta, la crescita dipende dalla distribuzione funzionale del reddito.

In altri termini, crescita e quota del lavoro nel reddito sono legate da un’influenza reciproca.

Leonello G. Tronti

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Effetti macroecomicidella legge di Bowley Poiché i lavoratori e gli imprenditori/capitalisti hanno diverse propensioni al

consumo (tendono cioè a spendere per il loro consumo quote diverse del loro reddito, più alte per i lavoratori),◼ l’andamento della quota del lavoro nel reddito influenza i consumi,◼ E un opportuno livello di QL consente di avvicinare i consumi al livello necessario per

conseguire il tasso di crescita dell’economia necessario ad assicurare il pieno impiego.

Di qui l’importanza del sostegno politico al sindacato e della politica dei redditi per favorire la crescita e l’occupazione. ◼ Questo tema è diventato particolarmente evidente in relazione alla crescente

disuguaglianza e all’enorme arricchimento della porzione più ricca della popolazione negli ultimi 30 anni (Piketty, 2013),

◼ Disuguaglianza che viene ritenuta la causa della cosiddetta «stagnazione secolare» della crescita nei paesi industriali avanzati (Summers, http://larrysummers.com/category/secular-stagnation/ ), con i conseguenti problemi occupazionali e sociali che essa causa.

Leonello G. Tronti

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Per tornare alla crescita, e a una «crescita bilanciata»

Nicholas Kaldor (1957) dimostra che la stabilità della distribuzione funzionale del reddito, è un elemento cruciale per assicurare all’economia un sentiero di crescita stabile e bilanciata (balanced growth):

ሶ𝜋∗ ↔ 𝑓 ሶ𝑄𝐿 = 0, ሶ𝐼∗ =ሶ𝐾

𝐿

Il tasso di crescita della produttività, che assicura una crescita stabile dell’economia, dipende dalla stabilità delle quote distributive (legge di Bowley) e da un flusso di investimenti tale da assicurare un rapporto stabile tra reddito e capitale.

◼ Se le quote del lavoro e del capitale nel valore aggiunto sono costanti e il rapporto capitale-prodotto è anch’esso costante, anche il saggio di profitto sarà costante.

◼ Ma il rapporto capitale-prodotto può mantenersi costante solo attraverso l’opportuno flusso di investimenti (assicurato dalle imprese o dallo Stato), che assicura anche la crescita del rapporto capitale-lavoro nella stessa misura della produttività del lavoro.

Leonello G. Tronti

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Il modello di «crescita bilanciata» di Kaldor (1957) - 1

Se le quote del lavoro e del capitale nel reddito (QL e QK) sono costanti nel tempo e il rapporto capitale-prodotto (K/Y) è anch’esso costante, anche il saggio di profitto (P/K) sarà costante:

◼ se ሶ𝑄𝐿 = 0, allora ሶ𝑄𝐾 =ሶ𝑃𝑌

= 0,

◼ e se ሶ𝑃𝑌

= 0 e ሶ𝐾

𝑌= 0, allora

ሶ𝑃𝐾

= 0.

Ma perché il rapporto capitale-prodotto sia costante è necessario che il tasso di crescita del rapporto capitale-lavoro (K/LT) coincida con quello della produttività del lavoro (Y/LT), ◼ ovvero che lo stock di capitale (K) cresca nella stessa misura del reddito (Y), attraverso

l’opportuno flusso di investimenti:

◼ ሶ𝐾 = ሶ𝑌 solo se ሶ𝐾

𝐿𝑇=

ሶ𝑌𝐿𝑇

, ovvero solo se ሶ𝐾

𝑌= 0.

46Leonello G. Tronti

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Il modello di «crescita bilanciata» di Kaldor - 2

Quindi, il tasso di crescita della produttività che assicura la crescita dell’economia rimane costante soltanto in presenza di quote distributive costanti (legge di Bowley),

ovvero: ◼ di investimenti tali da eguagliare la crescita del rapporto

capitale-lavoro a quella della produttività del lavoro e da mantenere costante il rapporto capitale-prodotto.

Come devono crescere le retribuzioni per assicurare la costanza della quota del lavoro nel reddito?

47Leonello G. Tronti

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La «regola d’oro» della politica salariale Sia w il salario di fatto, LD l’occupazione dipendente, Y il reddito reale totale e p i

prezzi; la quota del lavoro, o quota del lavoro dipendente nel reddito (QL), può essere definita nel modo seguente:

𝑄𝐿 = 𝑤 ∙ 𝐿𝐷 ∙1

𝑌∙1

𝑝,

da cui, moltiplicando e dividendo per l’occupazione totale LT, e sostituendo la produttività del lavoro al reddito reale per occupato, abbiamo:

𝑄𝐿 = 𝑤 ∙ 𝑙𝐷 ∙1

𝜋∙1

𝑝,

dove lD indica l’incidenza dell’occupazione dipendente sul totale.

Da questa equazione si ricava agevolmente la «regola d’oro» o condizione di crescita salariale che assicura l’invarianza della quota del lavoro:

ሶ𝑄𝐿 ≈ 0 ↔ ሶ𝑤 − ሶ𝑝 ≈ ሶ𝜋 − ሶ𝑙𝐷.

La quota dei salari nel reddito resta costante solo se la retribuzione media reale cresce nella stessa misura della produttività del lavoro, al netto della variazione dell’incidenza dell’occupazione dipendente.

48Leonello G. Tronti

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Legge di Bowley e «regola d’oro» dei salari

Dunque, la legge di Bowley si verifica soltanto se: ◼ la crescita del salario reale eguaglia la variazione

della produttività del lavoro («regola d’oro»), ◼ al netto della variazione dell’incidenza

dell’occupazione dipendente sul totale (che nel breve periodo può essere considerata pari a zero).

Questa condizione vale tanto a livello macro, per l’intera economia, quanto a livello micro, per la singola impresa.

49Leonello G. Tronti

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Legge di Bowley e regola d’oro - 2

La regola di Bowley può essere pertanto assunta come “regola aurea della politica salariale”, perché:◼ in parità di altre condizioni, assicura la massima crescita dei salari

(e della domanda interna) compatibile con l’assenza di pressioni sul saggio di profitto e, quindi, sui prezzi.

Questa condizione comporta come corollario che le retribuzioni reali crescano nell’esatta misura della crescita della produttività del lavoro («regola d’oro» della politica salariale), ◼ Ciò non tanto per un’implicita identificazione «marxista» dei

lavoratori come unici autori della crescita della produttività,

◼ ma per gli effetti delle retribuzioni sui consumi e sulla crescita.50Leonello G. Tronti

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Incentivo alla cooperazione e stimolo ai consumi

Oltre ad essere uno dei pilastri della crescita bilanciata à la Kaldor, la «regola d’oro»:

◼ preserva l’incentivo chiave alla cooperazionetra i partner sociali finalizzata al miglioramento della produttività e alla crescita,

◼ e consente il massimo aumento dei consumidelle famiglie raggiungibile senza esercitare pressioni inflazionistiche sul saggio di profitto.

51Leonello G. Tronti

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Concetti e strumenti del mestiere.

7. Relazioni tra indicatori

Leonello G. Tronti 52

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Relazioni tra indicatori

Ci sono molteplici relazioni analitiche tra redditività, distribuzione del reddito e competitività di prezzo.

In particolare, relazioni forti sussistono tra:

◼ Il clup reale,

◼ Il markup,

◼ L’indicatore Istat di competitività di prezzo,

◼ Il costo assoluto del lavoro,

◼ La quota del lavoro totale (corretta per gli indipendenti) nel reddito.

Leonello G. Tronti 53

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Clup reale, quota del lavoro dipendente e competitività di costo

Il clup reale è uguale alla Quota del lavoro dipendente nel Valore aggiunto moltiplicata per il reciproco dell’incidenza del lavoro dipendente sull’occupazione totale:

𝑐𝑙𝑢𝑝𝑟 =

𝑅𝐿𝐷𝐿𝐷𝑉𝐴𝐿𝑇

= 𝑄𝐿𝐷 ∙1

𝑙𝐷

Ed è anche pari al reciproco dell’indicatore Istat di competitività di costo:

𝐼𝑐𝑐 =

𝑉𝐴𝐿𝑇𝑅𝐿𝐷𝐿𝐷

=1

𝑐𝑙𝑢𝑝𝑟

Dunque, anche l’indicatore Istat di competitività di costo e la quota del lavoro dipendente nel VA sono legati tra loro.

Leonello G. Tronti 54

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Markup, quote del lavoro (totale e dipendente) e clup reale

Il markup è legato alla quota del lavoro totale sul valore aggiunto:

𝑚 =𝑉𝐴

𝑅𝐿∙ 100 − 100 =

100

𝑄𝐿− 100.

E poiché la relazione tra quota del lavoro totale e

quota del lavoro dipendente è pari a: 𝑄𝐿 = 𝑄𝐿𝐷 ∙1

𝑙𝐷, che è

una trasformazione della formula del clup reale,

◼ il markup è legato anche a questo indicatore, nonché alla quota del lavoro dipendente e all’indicatore Istat di competitività di prezzo.

Leonello G. Tronti 55

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Costo assoluto del lavoro e distribuzione del reddito - 1

Leonello G. Tronti 56

La quota del lavoro totale (corretta per gli indipendenti) nel reddito (QL) si può scriverenel modo seguente:

dove Nd è l’occupazione dipendente, Ni quella indipendente, w il costo del lavorounitario, Y il prodotto, p i prezzi, N l’occupazione totale e clup è il costo del lavoro perunità di prodotto.

Possiamo quindi esprimere la quota del lavoro corretta come rapporto tra il clup e iprezzi del prodotto:

𝑄𝐿 =𝑐𝑙𝑢𝑝

𝑝

11)()( −==

=

+=

+= pclup

p

N

Y

w

pY

wN

pY

wNN

pY

wNWQ idi

L

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Costo assoluto del lavoro e distribuzione del reddito - 2

In termini di tassi di variazione abbiamo:

Poiché il moltiplicatore sul lato destro dell’equazione è molto prossimo all’unità, possiamo anzitutto notare che la variazione della quota del lavoro totale approssima la variazione del costo assoluto del lavoro.

Inoltre, dall’equazione possiamo ricavare la condizione di stabilità:

Che indica che la quota sarà stabile se la variazione del clup sarà pari a quella dei prezzi. E inoltre:

ovvero la quota crescerà/diminuirà se e solo se la variazione del clup sarà superiore/inferiore a quella dei prezzi.

Leonello G. Tronti 57

+−=

pppuclQL

1

1)(

ppuclQL == 0

ppuclQL 0

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Il modello contrattuale del Protocollo di luglio 1993.

Lo «scambio politico» mai realizzato

Leonello G. Tronti

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L’architrave del modello contrattuale italiano

Il Protocollo di luglio 1993 - 1 Il meccanismo di negoziazione dei salari previsto dal

Protocollo di Luglio 1993 era basato su quattro pilastri:

1. Due sessioni annue di concertazione trilaterale (tra Governo, Organizzazioni datoriali e Sindacati) della manovra di politica economica (soprattutto salari e prezzi): una («di primavera») in preparazione del DPEF (oggi DEF) e una («d’autunno») in preparazione della legge Finanziaria

(oggi di Stabilità).

◼ Forse il risultato più importante: il sindacato aveva accesso alla «stanza dei bottoni» dell’economia (Tarantelli), e poteva partecipare a programmare lo sviluppo (applicazione dell’art. 46 Cost. «dall’alto»).

Leonello G. Tronti

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60

Il Protocollo di luglio 1993 – 2 e 3 Il Protocollo prevede poi due livelli negoziali, specializzati e non

sovrapposti:

2. Il contratto nazionale di categoria (o CCNL, Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) (primo livello), che stabilisce gli aumenti degli importi tabellari(minimi) per i diversi livelli di inquadramento, legati all’inflazione programmata (ma non solo), ◼ sostituisce la «scala mobile» e serve a mantenere nel tempo il potere d’acquisto

dei minimi salariali – ma non ad aumentarlo;

◼ con una forma di politica salariale d’anticipo (tasso di inflazione programmata e recupero degli scostamenti) che blocca la spirale salari-prezzi;

3. Il contratto decentrato, a livello aziendale o territoriale (secondo livello), che fissa il salario di risultato, destinato alla crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni, ◼ Legato a obiettivi contrattati di produttività, profittabilità e qualità del prodotto.

Leonello G. Tronti

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Il Protocollo di luglio 1993 - 44. L’ultimo pilastro (terza parte del Protocollo) non contiene regole ma

indica gli elementi di un programma di ammodernamento delle imprese e potenziamento del lavoro, attraverso:◼ Investimenti in ricerca e sviluppo,◼ Diffusione delle nuove tecnologie,◼ Formazione dei lavoratori e altro ancora.

❑ Questo pilastro configura, insieme ai due livelli contrattuali, una sorta di scambio politico (Tarantelli) tra le imprese e i lavoratori:

❑ I lavoratori accettano una regolazione stringente della dinamica salariale,❑ In cambio le imprese dovrebbero utilizzare i risparmi sul costo del lavoro per

modernizzare le imprese e renderle solide e competitive a fronte delle sfide della moneta unica e della globalizzazione. Manca qualunque riferimento alla «regola d’oro» della politica

salariale, e dunque alla stabilità delle quote distributive e alla crescita bilanciata.

61Leonello G. Tronti

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La concertazione della manovra economica (1°pilastro) non è mai divenuta prassi corrente

Esperienze di concertazione («partecipazione dall’alto») sparse e poco significative dal 1993 fino al Patto di Natale (1998),

◼ che decentra la concertazione a livello regionale, in combinato disposto con la riforma «federalista» del Titolo V (1999).

Il Patto per l’Italia (2002) non viene firmato dalla Cgil («accordo separato»).

◼ Viene quindi a mancare il presupposto dell’unità sindacale, indispensabile per rendere i sindacati interlocutori significativi del Governo (specialmente di governi poco amanti dei sindacati).

In seguito il governo passa dalla concertazione della politica economica al «dialogo sociale» per poi abbandonare del tutto l’idea stessa della concertazione della politica economica.

◼ Nel 2012 il governo Monti inaugura una prassi di esplicita non-concertazione: chiede ai partner sociali di mettersi d’accordo tra loro, ma senza firmare con loro alcun accordo.

Leonello G. Tronti 62

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La contrattazione di secondo livello (3° pilastro) non è mai decollata, anzi…

Purtroppo ancora non esiste un archivio statistico della contrattazione decentrata.

Tuttavia, secondo recenti valutazioni empiriche (D’Amuri e Giorgiantonio, 2013; Cnel-Istat, 2015), risultano privi di contrattazione decentrata:

◼ il 70% circa degli addetti nelle imprese sopra i 20 addetti (che occupano il 42% del personale delle imprese),

◼ E un numero certamente superiore al 70% di quelli nelle imprese tra i 10 e i 19 addetti (che occupano circa l’11%);

◼ Mentre ancora non esistono stime per le imprese da 1 a 9 addetti (che pure occupano più del 46%).

Dunque la contrattazione decentrata non può coprire che meno del 30%, e quindi lascia privo di strumenti contrattuali per aumentare il proprio potere d’acquisto più del 70% degli addetti del settore privato.

63Leonello G. Tronti

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Infine, il 4° pilastro…

È rimasto un bel libro dei sogni:

◼ Nessun Governo e nessun Parlamento hanno mai provato a varare nemmeno un elemento del grande piano di ammodernamento delle aziende e di potenziamento del lavoro previsto dalla seconda parte del Protocollo.

Anche il Piano Calenda, il primo esperimento di un certo rilievo di politica industriale da decenni, non fa alcun riferimento al protocollo del ‘93, anche se accoglie i sindacati nella Cabina di regia.

◼ Né tantomeno vi hanno provveduto autonomamente le imprese.

Così, dei 4 pilastri del protocollo del ‘93 è rimasto in piedi soltantoil secondo:

◼ i contratti nazionali ancorati all’inflazione;

E il potere d’acquisto dei salari italiani ha subito un arresto.

64Leonello G. Tronti

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La stagnazione salariale italiana - 1(retribuzioni lorde reali, indici in base 1990=100)

65Fonte: Eurostat Leonello G. Tronti

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La stagnazione salariale italiana - 2 (anni 1990-2016)

66

Crescita delle retribuzioni lorde reali Paesi euro e non euro; reddito medio da lavoro dipendente per ula; tassi di variazione % quinquennali, medie geometriche)

Fonte: OCSE (* periodo 1991-2016; ** periodo 1995-2016)

Leonello G. Tronti

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Analisi formale del modello contrattuale italiano

67Leonello G. Tronti

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In formule

68Leonello G. Tronti

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Modello contrattuale e legge di Bowley

69Leonello G. Tronti

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Modello contrattuale e legge di Bowley - 2

In termini discorsivi, se la produttività cresce, il Protocollo di luglio ’93 affida la possibilità di rispettare la legge di Bowley a due condizioni:1. che la contrattazione decentrata (aziendale o

territoriale) sia diffusa a tutte le imprese, e quindi sia disponibile per tutti i dipendenti una voce retributiva flessibile, aggiuntiva rispetto alle voci stabilite dal contratto nazionale di categoria;

2. che il salario di secondo livello cresca in misura tale da eguagliare la dinamica della retribuzione di fatto reale (comprensiva di primo e secondo livello retributivo) alla variazione della produttività del lavoro.

70Leonello G. Tronti

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Efficacia della contrattazione decentrata e legge di Bowley

Le due condizioni sono in generale poco probabili, ◼ in particolare nel sistema produttivo italiano, caratterizzato da un gran numero di imprese

piccole e piccolissime: ◼ su un totale di 4,4 milioni, circa 4 milioni sono fino a 9

addetti, di cui circa 3 milioni fino a 3 addetti,

dove la contrattazione collettiva incontra (e incon-trerà sempre) enormi difficoltà a svilupparsi,◼ a meno che la contrattazione di 2° livello non sia

territoriale anziché aziendale.

71Leonello G. Tronti

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Effetti macroeconomici della rottura della «regola d’oro» della politica salariale

72Leonello G. Tronti

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Il modello contrattuale tutela i profitti

I contratti nazionali di categoria (1° livello) non remunerano gli aumenti di produttività ma si limitano a prevenire la perdita di potere d’acquisto del salario fondamentale.

Gli incrementi di produttività vengono invece remunerati solo quando derivano da specifici accordi siglati in sede decentrata, aziendale o (assai più di rado) territoriale, e solo se si registrano i risultati attesi. ◼ Questi vincoli creano di fatto una clausola di salvaguardia dei

profitti che si è dimostrata insostenibile tanto quanto lo era, per i salari e vent’anni prima, la scala mobile con il punto unico di contingenza.

73Leonello G. Tronti

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Da un eccesso all’altro

Il modello negoziale italiano pone il costo del mancato aumento di produttività, in termini di corrispondente stagnazione del salario reale, in capo ai lavoratori e non alle imprese.

Queste infatti, in assenza di pressione salariale (wage whip), possono preservare i margini di profitto senza dover ricorrere a impegnativi recuperi di produttività. ◼ Gli imprenditori non affrontano costose riorganizzazioni alla leggera, non

sfidano il futuro con massicci investimenti, a meno che non abbiano forti motivi per farlo (v. funzione di produttività di Sylos Labini),

◼ tra i quali, nelle attuali economie oligopolistiche, quello salariale (in termini tanto di pull macroeconomico della domanda di consumi, quanto di push microeconomico della frusta salariale) è, come abbiamo visto, uno dei più rilevanti (si veda il ben diverso andamento delle retribuzioni reali nelle altre economie avanzate).

74Leonello G. Tronti

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75

Perché il modello contrattuale è stato applicato in modo tanto parziale e squilibrato?

Nel 1993 l’Italia si trovava nella doppia condizione:◼ di dover fronteggiare la più grave crisi occupazionale del dopoguerra (1992-95)◼ e di dover “accomodare” l’ondata di inflazione importata dovuta all’ultima grande

svalutazione della lira (settembre 1992), operata in vista dell’entrata nel “Club dell’euro” al primo turno.

In realtà l’accordo prevedeva la sua revisione dopo 5 anni (superata l’emergenza). ◼ Questa venne tentata dalla Commissione Giugni (1997), le cui raccomandazioni di

estensione della contrattazione territoriale (a livello regionale, provinciale, di distretto) sono però rimaste senza esito.

Sotto il profilo macroeconomico si può anche parlare di un’applicazione incompleta e dannosa (solo al mercato del lavoro) del modello delle riforme strutturali (v. sopra e articolo Blanchard-Giavazzi),

e/o della scelta di adottare un modello di sviluppo neomercantilista(povero).

Leonello G. Tronti

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Effettivo funzionamento del modello contrattuale (1 pilastro su 4)

In condizioni di normale funzionamento dell’economia, ◼ la produttività del lavoro cresce;

◼ e il modello contrattuale aumenta la quota del capitale (ovvero comprime la quota del lavoro) automaticamente, senza alcuna negoziazione di contropartite in termini di

investimenti, occupazione, formazione, riorganizzazione ecc.

Paradossalmente, questa tendenza si arresta o si riequilibra solo se si verifica una caduta della produttività del lavoro.

76Leonello G. Tronti

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Effetto combinato dei due livelli negoziali e della produttività sulla quota del lavoro

77

Casi possibili Contrattazione

nazionale

(primo livello)

Produttività

del lavoro

Contrattazione

decentrata

(secondo livello)

Quota del

lavoro nel

reddito

Caso 1:

Normale

Mantiene il potere

d’acquisto delle

retribuzioni di base

Cresce Non disponibile a tutti i

dipendenti e/o non in grado

di eguagliare la crescita

delle retribuzioni reali con

quella della produttività

Si riduce

Caso 2:

Non molto

probabile

Mantiene il potere

d’acquisto delle

retribuzioni di base

Cresce Disponibile a tutti i

dipendenti e/o di importo

tale da eguagliare la

crescita delle retribuzioni

reali con quella della

produttività

Rimane

stabile

Caso 3:

Improbabile

Mantiene il potere

d’acquisto delle

retribuzioni di base

Si ferma o si

riduce

Si ferma o distribuisce ai

salari aumenti maggiori

della crescita della

produttività

Cresce

Leonello G. Tronti

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Il rapporto inverso e anticiclico tra produttività e quota del lavoro

In altri termini, nel modello contrattuale italiano, il combinato disposto:

◼ della rigidità verso il basso in termini reali del salario “fondamentale” definito dai contratti nazionali (1° livello)

◼ e della mancata diffusione della contrattazione integrativa (secondo livello)

stabilisce un rapporto inverso e anticiclico tra crescita della produttività e quota del lavoro nel reddito,

◼ sfavorevole alla crescita.

78Leonello G. Tronti

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Il legame inverso e anticiclico tra produttività del lavoro e quota del lavoro nel reddito (numeri indice,

I/2006=100)

79

Fonte: Elaborazione su dati Istat, Conti nazionali trimestrali

Leonello G. Tronti

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Il meccanismo perverso del modello contrattuale disincentiva l’impegno dei lavoratori

Se la produttività cresce (come dovrebbe accadere sempre), la scarsa diffusione della contrattazione integrativa (secondo livello) fa sì che i guadagni di produttività vadano ad aumentare la quota del capitale nel reddito, indipendentemente da qualunque tipo di accordo tra le parti.

All’opposto, stante la rigidità verso il basso del salario reale fondamentale (1° livello), la quota del lavoro torna a crescere solo se la produttività si riduce (come non dovrebbe accadere mai).◼ In altri termini, la sottrazione della distribuzione funzionale del

reddito alla negoziazione collettiva: da un lato favorisce le imprese, che possono godere di un real wage cap

ovvero di un tetto imposto dal modello alla crescita delle retribuzioni reali, ma dall’altro crea un incentivo di equità a che i lavoratori non si impegnino

per far crescere la produttività, o addirittura la contrastino.

80Leonello G. Tronti

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Modello contrattuale investimenti, crescita, cooperazione tra lavoratori e imprese

81Leonello G. Tronti

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Evoluzione della quota del lavoro dipendente nel reddito – Anni 1970-20016 (punti percentuali)

Leonello G. Tronti 82

Fonti: IMF, 2017 e, per l’Italia, Istat, Conti nazionali e Statistiche storiche

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Produttività e quota del lavoro Dal 1975 al 2001, la quota del lavoro dipendente nel reddito è caduta in Italia di

10 punti. La caduta è iniziata prima dell’introduzione del modello contrattuale del Protocollo

del ’93, ma la caduta più intensa si è verificata proprio dal 1993. Dal 2001 e poi con la Grande recessione, in corrispondenza con la perdita di

produttività, gli effetti del modello contrattuale descritti nelle lezioni precedenti ne hanno fatti riguadagnare alla quota 4, riportandola al livello del 1995.

Ma la dinamica dei salari, come abbiamo appreso dal modello di Sylos Labini, influenza quella della produttività, e quindi la crescita, attraverso:◼ l’effetto Smith (i consumi), ◼ il prezzo relativo del lavoro (effetto Ricardo)◼ e il costo assoluto del lavoro (quota del lavoro).

E i salari influenzano anche, assieme alla crescita, la propensione all’investimento.

In altri termini, la compressione della quota del lavoro operata dal modello contrattuale «più che dimezzato» ha ostacolato la crescita.

83Leonello G. Tronti

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Quota del lavoro e propensione all’investimento (anni 1971-2006)

74,000

76,000

78,000

80,000

82,000

84,000

86,000

50,00

60,00

70,00

80,00

90,00

100,00

110,00

120,00

1971 1975 1979 1983 1987 1991 1995 1999 2003

Investimenti f.l./profitti lordi

Quota del lavoro (scala di destra)

++−= LSIfl ln4527,4124,15ln

7205,02 =R

84

Fonte: calcoli su dati Istat, Conti nazionali

Leonello G. Tronti

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Quota del lavoro nell’anno t e crescita media del pil nel triennio t_t+2 (anni 1971-2005)

1971

1972

19731974

1975

1977

1979

1982

1983

1987

1988 1984

1989

1990

1991

1992

1996

19761978

1985

19801993

19941995

2006

1999

2000

2001

2002

2003

2004

1998

2005

1997

1981

1986

0

1

2

3

4

5

6

42.0 44.0 46.0 48.0 50.0 52.0 54.0 56.0

Quota del lavoro dipendente

Tasso

di cre

scit

a d

el p

il n

el tr

ien

nio

su

ccessiv

o

vPIL t,t+2 = - 10,387 + 0,2599QL t

R2corr. = 0,4327

Relazione tra quota del lavoro dipendente nel reddito e crescita media del pil nel triennio t-t+2

85

Fonte: calcoli su dati Istat, Conti nazionali

Leonello G. Tronti

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Legge di Bowley e cooperazione sociale - 1

L’applicazione incompleta del Protocollo ’93 ha creato un meccanismo che:◼ viola di fatto la legge di Bowley,

◼ altera automaticamente la stabilità delle quote distributive,

◼ e istituisce un sistema di incentivi sfavorevole alla crescita:

Le imprese trovano un bilanciamento tra l’incentivo ad accrescere la produttività per spostare automaticamente a loro favore la distribuzione del reddito e quello ad occupare lavoro a basso costo (e bassa produttività);

I lavoratori sono esposti all’azzardo morale di poter riequilibrare la distribuzione del reddito solo frenando la produttività.

86Leonello G. Tronti

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Legge di Bowley e cooperazione sociale - 2

In altre parole, l’applicazione parziale dell’istituzione di regolazione delle retribuzioni frena i consumi, la propensione all’investimento e l’incentivo per i partner sociali acooperare per la crescita.

Il sistema economico viene sospinto dalle reciproche convenienze dei partner sociali a imboccare un sentiero di stagnazione economica.

È per questo che lo scambio politico alla base del «più che dimezzato» modello contrattuale italiano non può che definirsi, con le parole di Tarantelli, uno scambio masochistico:

un gioco in cui perdono tutti.

87Leonello G. Tronti

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Controprova: l’entità della redistribuzione

dal lavoro al capitale

88Leonello G. Tronti

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Il flusso di reddito dal lavoro al capitale

Non è difficile calcolare l’entità della redistribuzione di risorse dal lavoro al capitale operata nell’intera economia da questo meccanismo istituzionale malfunzionante, iniquo e ostile alla crescita e alla cooperazione sociale.

In prima approssimazione (e senza tener conto degli effetti di una diversa distribuzione del reddito sulla crescita, che pure abbiamo visto in precedenza [v. Kaldor]), il computo si può condurre in modo controfattuale,

◼ valutando la differenza tra il valore storico del monte del reddito da capitale e quello che si sarebbe verificato se i salari reali fossero cresciuti rispettando la regola d’oro, ovvero nella stessa misura dei pur modesti aumenti della produttività,

◼ e dunque lasciando inalterata la quota del lavoro nel valore aggiunto.

89

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Contributo dei redditi da lavoro dipendente agli altri redditi –

anni 1993-2016 (differenza tra il valore storico del monte dei redditi non da lavoro dipendente e quello che sarebbe risultato dall’applicazione della quota del lavoro dipendente del 1992; valori annuali in p.p. di pil e valori cumulati in milioni di euro a prezzi 2010)

90

Fonte: Elaborazione su dati Istat, Conti nazionali

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Un contributo davvero ingente

Il contributo del lavoro dipendente agli altri redditi offerto dalla compressione della wage share è davvero ingente:

nei dati dei Conti nazionali ISTAT dal 1993 al 2016, supera i 2,5 punti di Pil già solo due anni dopo la sigla del Protocollo, arriva a 4,1 punti nel 1998 e a più di 4,6 punti l’anno nel biennio 2001-2002 per poi stabilizzarsi attorno ai 3,2 punti l’anno tra il 2005 e il 2007.

Soltanto con la crisi (tra il 2008 e il 2009), data la tenuta dei salari di primo livello e dell’occupazione a fronte della caduta del reddito complessivo, il contributo si riduce rapidamente attorno a 1,5 punti l’anno e si stabilizza poi attorno a questo valore.

91

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Il valore complessivo

In termini monetari cumulati, nell’intero periodo 1993-2016 l’ammontare di questi trasferimenti causati dal real wage cap istituzionale - che, impedendo l’allineamento delle dinamiche salariali reali con quelle della produttività, deprime la remunerazione del lavoro al di là degli esiti di mercato - ammonta a ben

896.437 milioni di euro a prezzi 2010:

Ovvero più di 37 miliardi di euro l’anno.

92

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E l’economia, naturalmente, non cresce Si tratta di una cifra indubbiamente ragguardevole, alla quale

non ha corrisposto in alcun modo un parallelo aumento degli investimenti.

Anzi, il trasferimento ha rallentato la crescita:

◼ non solo frenando i consumi e favorendo l’indebitamento delle famiglie,

◼ ma anche (e forse soprattutto) ritardando l’innovazione e lo sviluppo della produttività,

Attraverso la tutela dei profitti e la sopravvivenza di imprese marginali e inefficienti;

◼ E ostacolando la capacità del «segmento sano» dell’apparato produttivo di crescere sino a trainare l’intera economia fuori dal tunnel.

93

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L’economia non cresce se non crescono continua-mente i salari reali e, con essi, la produttività del lavoro

Il confronto tra l’entità delle risorse trasferite e i risultati dell’economia conferma che:

◼ la distribuzione del reddito non è affatto neutrale ai fini della crescita (Kaldor, Sylos Labini, Piketty ecc.).

Il meccanismo perverso che garantisce i profitti a scapito dei salari (al di là dei meriti di mercato), ha minato l’incentivo a investire per migliorare la qualità di processi e prodotti per la larga maggioranza delle imprese, prive di contrattazione decentrata e al riparo dalla concorrenza internazionale.

◼ Il disincentivo ha influito tanto sulle scelte imprenditoriali, garantite sul lato dei profitti, quanto su quelle dei lavoratori, non remunerati in caso di performance produttive migliori.

◼ Il risultato è stato il prezzo altissimo in termini di disoccupazione e fallimenti che l’economia ha pagato alla crisi internazionale del 2008-2013.

94

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Verso la riforma del modello contrattuale

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Dopo l’accordo del 1993

La revisione del modello contrattuale varata il 22 gennaio del 2009 («Accordo separato»).

L’art. 8 della legge 148 del 2011.

L’accordo «Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia» del 22 novembre del 2012 (anch’esso «separato»).

I primi passi di un «patto dei produttori»:

◼ L’accordo Interconfederale del 28 giugno 2011,

◼ Il protocollo d’intesa del 31 maggio 2013,

◼ Il testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014.

Il Patto della fabbrica del 9 marzo 2018

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La riforma del modello contrattuale

varata il 22 gennaio del 2009

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Una lunga gestazione per un accordo poco innovativo ◼ (dalla Commissione Giugni del 1997 alla proposta di Patto

per la produttività della Confindustria del 2004, al documento unitario di Cgil-Cisl-Uil di maggio 2008).

Il “percorso dal basso”: 7 accordi unitari su principi e linee guida (Confindustria, Confapi, Confcommercio, Confartigianato, Funzione pubblica ecc.).

L’ipotesi di scambio politico: ◼ un accordo di sostanziale “manutenzione” tra i partner sociali ◼ e la comune richiesta al Governo di una politica fiscale

favorevole non solo alla contrattazione di 2° livello, ma anche più in generale al lavoro e alle imprese.

L’accordo quadro del 22 gennaio 2009 - Genesi

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Conferma del doppio livello contrattuale.

Durata triennale dei contratti (anziché quadriennale con due bienni economici)

◼ al fine di ridurre l’onere contrattuale per le parti.

Conferma della politica salariale d’anticipo ma abbandono della sua concertazione:

◼ indice previsionale al posto dell’inflazione programmata (Ipca depurato dal prezzo dell’energia importata).

Base di calcolo degli incrementi di primo livello da definire in specifiche intese di comparto.

Recupero degli scostamenti dell’indice previsionale rispetto all’inflazione effettiva entro il triennio.

Punti salienti - 1

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100

La previsione dell’Ipca - 1

Fonte: Isae, 21 maggio 2010

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101

La previsione dell’Ipca - 2

Fonte: Isae, 21 maggio 2010

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6.Ruolo guida del contratto nazionale.

7.Contrattazione in deroga.

8.Richiesta di incentivazione fiscale-retributiva del contratto decentrato.

9.Elemento di garanzia retributiva.

Punti salienti - 2

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103

Struttura del salario

Il risultato economico complessivo per il lavoratore deriva da:

1) gli aumenti previsti dal contratto nazionale, più

2) gli aumenti previsti dalla contrattazione decentrata,

3) oppure dall’“elemento di garanzia retributiva”.

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104

L’“elemento di garanzia retributiva” - 1

Nella misura e alle condizioni concordate dai contratti nazionali,

e con particolare riguardo per le situazioni di difficoltà economico-produttiva,

◼ l’egr andrà corrisposto ai dipendenti da aziende in cui non si esercita il 2° livello contrattuale,

◼ e che non percepiscono altri trattamenti, individuali o collettivi, oltre a quelli previsti dal contratto nazionale.

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105

L’“elemento di garanzia retributiva” – 2 (Linee guida Industria)

Il beneficio è determinato con riferimento alla situazione rilevata nell’ultimo quadriennio.

La verifica degli aventi diritto e l’erogazione stessa dell’egr avranno luogo al termine della vigenza del contratto nazionale.

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106

Procedure di raffreddamento dei conflitti.

Rafforzamento della bilateralità.

Le “specifiche intese” applicative per i diversi comparti: pubblico impiego, industria, artigianato ecc.

Riforma della rappresentanza.

Punti salienti - 3

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Leonello G. Tronti 107

Quanto dovrebbe essere grande l’egrper salvaguardare la legge di Bowley?

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108

Ampliamento del modelloAl fine di vedere come i salari nazionali possono e devono estendere il loro ruolo per affiancare i salari di secondo livello nel garantire la crescita del potere

d’acquisto delle retribuzioni, possiamo tornare al nostro modello del Protocollo ‘93 e partire da una definizione molto generale della crescita dei salari reali1:

))(1()( 21 pwpwpw −−+−=− . (7)

Poiché il salario reale di secondo livello varierà in un rapporto con la crescita

della produttività ( =− pw2 ) il cui valore dipende dall’efficacia della

contrattazione decentrata, la crescita della retribuzione totale in termini reali sarà:

)1()( 1 −+−=− pwpw . (8)

Sostituendo la (8) nella (2) espressa in termini reali, e mantenendo costante la quota dei salari, abbiamo:

Dnpw −=−+− )1()( 1 . (9)

Dunque possiamo risolvere la (9) per il tasso di crescita delle retribuzioni di

primo livello che assicura l’invarianza delle quote distributive ( *

1w ):

Dnpw

1*

1 −+= , dove

)1(1 −+= e 1 . (10)

1 Ho sviluppato i risultati che seguono in collaborazione con Giuseppe Ciccarone, anche lui impegnato

nella ricerca del modo migliore di collegare i salari di base alla crescita della produttività (cfr. Ciccarone,

2009).

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109

Il coefficiente δ

L’equazione (10) mostra in quale misura, al fine di preservare la stabilità della distribuzione del reddito ai fattori, le retribuzioni di primo livello devono crescere:

◼ non solo con i prezzi,

◼ ma anche in rapporto con la produttività.

Dunque possiamo risolvere la (9) per il tasso di crescita delle retribuzioni di

primo livello che assicura l’invarianza delle quote distributive ( *

1w ):

Dnpw

1*

1 −+= , dove

)1(1 −+= e 1 . (10)

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110

Come varia δ

Il coefficiente δ, che lega la crescita dei salari nazionali a quella della produttività raggiunge l’unità soltanto se le retribuzioni di primo livello coincidono con le retribuzioni totali.

Esso inoltre varia: ◼ inversamente rispetto al valore del moltiplicatore

della produttività sul secondo livello (β),

◼ e direttamente con la quota del primo livello sulla retribuzione complessiva (α).

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111

Il valore di δ Il valore medio del coefficiente δ nel periodo 1993-

2008 è di 0,4. ◼ In altri termini, nelle condizioni strutturali dell’economia

italiana del quindicennio prima della crisi, il potere d’acquisto delle retribuzioni di base (1° livello) sarebbero dovuto crescere di un importo pari al 40% della crescita della produttività, ovvero dello 0,4 per cento l’anno invece del dato storico dello 0,1.

Questo accorgimento avrebbe assicurato la stabilità delle quote distributive e quindi, attraverso l’incentivo alla cooperazione sociale, avrebbe concorso ad evitare che l’economia imboccasse il sentiero di stagnazione

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112

Coefficiente δ e egr Nel quadro della logica dell’accordo del 2009, si sarebbe dovuto

prevedere che il contratto nazionale definisse l’egr comparto per comparto, sulla base del valore del coefficiente δ calcolato per ogni comparto, sulla base dell’effettiva diffusione in esso del 2°livello contrattuale,

erogandone l’importo ai lavoratori privi di contrattazione integrativa.

In questo modo la contrattazione nazionale avrebbe agito in termini: ◼ sia di supplenza della contrattazione di secondo livello (δ è tanto maggiore

quanto è minore 1-α), ◼ sia di stimolo rispetto alla forza della contrattazione integrativa (δ è tanto

minore quanto è maggiore β).

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L’egr ha funzionato? Andamento delle retribuzioni reali tra il 2009 e il 2017(rtr per ula dip. a prezzi 2015)

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Fonte: Elaborazione su dati Istat, Conti trimestrali

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Il Patto della fabbrica

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Un nuovo modello di relazioni industriali

Il 25 gennaio 2016 Cgil, Cisl e Uil hanno presentato alle associazioni datoriali, al Governo e al Paese un progetto unitario di riforma del sistema di relazioni industriali che mira a realizzare “uno sviluppo economico fondato sull’innovazione e la qualità del lavoro”.

Il documento tocca molti ambiti di rilievo, tra i quali: ◼ la contrattazione (nazionale e decentrata),

◼ la politica salariale,

◼ la partecipazione e l’innovazione organizzativa,

◼ il recepimento del Testo unico sulla rappresentanza

◼ e la validità erga omnes degli accordi.

Da allora sono state concluse trattative tra le confederazioni e varie associazioni padronali, ma solo il 9 marzo 2018, a più di due anni di distanza, si riesce a chiudere l’accordo anche con Confindustria.

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Un patto bilaterale

L’accordo, che viene chiamato Patto della Fabbrica, riprendendo una terminologia tipica di Confindustria (v. Merloni, 1980), si distingue dai precedenti accordi del 1993 e del 2009 anzitutto perché è bilaterale e non trilaterale:◼ Viene sottoscritto solamente da sindacati e associazione padronale;

il Governo non vi ha alcun ruolo, nemmeno come datore di lavoro dei dipendenti pubblici.

◼ Va però ricordato che il Governo Renzi aveva più volte sollecitato i partner sociali ad accordarsi per dare attuazione al Testo Unico sulla rappresentanza, da loro concordato nel 2014;

◼ e aveva prospettato in alternativa di intervenire con una norma, che ha comunque trovato spazio nei programmi elettorali tanto del PD come dei 5 Stelle.

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Incentrato sulla rappresentanza - 1

La parte più impegnativa dell’accordo è probabilmente quella deputata all’attuazione del Testo Unico del 2014 su rappresentanza e rappresentatività, e della sua piena ed esplicita estensione all’organizzazione datoriale.◼ In particolare l’accordo vuole tutelare i partner sociali contro:

1. La c.d. pirateria contrattuale con il dumping salariale rispetto ai CCNLmesso in atto da organizzazioni datoriali e sindacali non rappresentative allo scopo di praticare una concorrenza sleale nei confronti delle imprese aderenti Confindustria,

2. Lo shopping contrattuale, ovvero la disinvoltura con cui alcune imprese decidono di applicare l’uno o l’altro CCNL a seconda della convenienza economica,

3. La diffusione di imprese (circa 20.000: Istat-CNEL 2015) che, a livello aziendale, praticano una contrattazione esclusivamente individuale,

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Incentrato sulla rappresentanza - 2

Implicitamente l’accordo vuole anche impedire che il governo vari per legge un salario minimo interprofessionale, sull’esempio dei tanti casi nel mondo: ◼ oltre a Stati Uniti e Gran Bretagna, nell’UE Spagna, Portogallo, Olanda, Grecia, Francia,

Germania;

◼ ma non in Svezia, Norvegia, Danimarca e Islanda, dove il salario va sempre contrattato con i sindacati.

Non si può evitare di notare che l’accordo evidenzi la necessità di reagire a un crescente stato di debolezza, non solo del sindacato, ma anche (se non soprattutto) dell’associazione padronale, colpita dalla fuoriuscita di aziende come FIAT-FCA, IBM e tutta la Nautica.

Va poi ricordata la difficoltà di misurare in modo efficace e corretto la rappresentanza, non solo sindacale ma anche datoriale (sarebbe prima volta).◼ L’accordo rimette al CNEL il compito di mappare i perimetri della contrattazione di primo livello

e di accertare l’effettiva rappresentatività dei firmatari di accordi compresi nei perimetri.

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Altri aspetti di rilievo

Un primo aspetto da notare è anzitutto la definizione di una social partnership, qui intesa come: ◼ capacità di coordinamento nei confronti di obiettivi comuni, proposta di una visione

macroeconomica condivisa (nella direzione della risoluzione del dilemma micro/macro tra singola impresa e associazione datoriale), capacità di autogoverno e forza di interlocuzione politica dei partner, in Italia e in Europa. Riconoscimento del ruolo fondamentale dell’unità sindacale.

Poi, dal lato della domanda: a) Indicazione della necessità di un rilancio degli investimenti,

pubblici (interlocuzione con il governo)

e privati (programmazione concertata dello sviluppo);

b) Indicazione della necessità di una crescita del salario reale e ampliamento del ruolo di autorità salariale del CCNL nella fissazione: del TEM, trattamento economico minimo (minimi contrattuali),

e del TEC, trattamento economico complessivo (comprensivo del welfare aziendale), con indicazione degli spazi per la contrattazione di 2° livello.

Accenno al ruolo di programmazione contrattata dello sviluppo del 2° livello (aziendale).

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Dal lato dell’offerta

Cognizione che si tratta di un patto per l’innovazione che, nella previsione degli effetti della digitalizzazione (v. piano Industria 4.0), individua la necessità: ◼ di mettere la persona al centro (lavoro 4.0),

◼ e di gestire al meglio, in modo coordinato, le future crisi aziendali.

Dal riconoscimento della necessità della digitalizzazione discende il riconoscimento del ruolo centrale1. Dell’economia della conoscenza, ovvero della formazione (ma senza il suo riconoscimento

come diritto soggettivo, come invece dal contratto dei metalmeccanici);

2. E anche della partecipazione organizzativa, che però, nonostante la ricca letteratura scientifica (su reingegnerizzazione dei luoghi di lavoro, pratiche di lavoro ad alta performance, partecipazione cognitiva ecc.), rimane in Italia de jure condendo.

3. E della bilateralità, da rafforzare:

a) nelle attività di formazione e accompagnamento del cambiamento,

b) come elemento di diffusione e pratica di una vera e propria cultura della sicurezza sul lavoro;

c) e anche (con riferimento alla previdenza integrativa) come fonte di investimenti nell’economia reale,

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Un ottimo accordo - almeno nei principi - ma…

Un accordo che ancora non indica alcune linee di riforma della contrattazione necessarie per favorire, da parte del sistema delle relazioni industriali, la ripresa di un ruolo economico di sviluppo,

tale da porre termine agli attuali disincentivi alla cooperazione sociale per la crescita,

E da favorire la crescita del mercato interno attraverso la manovra del salario reale.

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Per finire: cinque punti rimasti in sospeso

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1. Coordinamento della contrattazione con la politica economica

La prima linea è l’istituzione di momenti ben determinati di coordinamento macro e microeconomico della contrattazione con le politiche di sviluppo del Governo.◼ Ad esempio, una presentazione da parte del Governo ai partner sociali di

obiettivi della politica economica più ambiziosi, con la richiesta esplicita di comportamenti coerenti, ad esempio: nell’evoluzione di prezzi e salari in linea con gli obiettivi di inflazione

e crescita dei consumi, nella crescita dell’occupazione e della produttività, nel mantenere il livello ottimale della quota del lavoro nel reddito per

l’intera economia.

Un coordinamento macro di questo tipo può fornire anche la cornice per l’autocoordinamento della contrattazione a livello di comparto, territorio e azienda.

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2. Riorganizzazione dei luoghi di lavoro

Contrattare linee guida di riorganizzazione dei luoghi di lavoro (nuove tecnologie, organizzazione flessibile, produzione snella, lavoro in team polifuzionali, rotazione delle mansioni ecc.)

per agevolare, dal lato dell’offerta, oggi l’uscita dalla crisi, e in futuro la competitività e la sostenibilità delle imprese,◼ nel quadro di una strategia di politica industriale e di politica

economica promossa dal Governo (Industria & Lavoro 4.0),

che insista sulle indispensabili riforme strutturali ‘sul lato del capitale e dello Stato’,

Dato che quelle ‘sul lato del lavoro’ hanno ormai completamente esaurito la loro funzione (o peggio).

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3. Programmazione partecipata (della crescita, dell’occupazione, della produttività, dei salari reali)

Contrattare, sia sul 1° che sul 2° livello, valori obiettivo (target) di crescita: ◼ del reddito, dell’occupazione e della produttività, finalizzati a

ridurre il divario di produttività tra l’Italia e i maggiori paesi partner nell’euro, in accordo con il principio del coordinamento tra politiche economiche e politiche contrattuali,

◼ e di aumento del salario reale in linea con essi,

In relativa indipendenza dai risultati effettivi (v. proposta produttività programmata),

Per creare un forte stimolo salariale (wage whip) e una prospettiva di crescita dei consumi che spingano le imprese alla riorganizzazione.

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4. Contrattazione della distribuzione funzionale del reddito

Contrattare un rapporto prestabilito tra crescita delle retribuzioni reali e crescita della produttività del lavoro, in modo da:

◼ contrattare un valore obiettivo della quota del lavoro nel valore aggiunto (quota del lavoro programmata),

◼ a livello sia di azienda, sia di comparto, o di territorio,

per sostenere un percorso di crescita stabile, che rafforzi gli investimenti e favorisca l’uscita dalla presente congiuntura deflazionistica.

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5. Diffusione della contrattazione territoriale

Data la struttura dimensionale polverizzata delle imprese italiane, ◼ e le forti limitazioni che essa impone allo sviluppo della

contrattazione aziendale,

il sostegno alla domanda interna va realizzato anche – se non soprattutto – attraverso:◼ lo sviluppo della contrattazione territoriale, a livello

regionale, provinciale, di distretto, filiera, gruppo ecc., ◼ e con la previsione di clausole incentivanti nella

contrattazione nazionale di categoria. (v. coefficiente δper supplenza e stimolo della contrattazione decentrata –tanto aziendale che territoriale).

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