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Paolo Sylos Labini: le forze della dinamica economica e della dinamica sociale Salvatore Biasco* Università di Roma “La Sapienza” 1. - La figura Federico Caffè amava spesso soffermarsi sulle vicende dell’ac- cademia italiana e narrare i tanti episodi che costellavano il mon- do dell’economia, quelli che avevano protagonisti Nitti e Pantalo- ni, o le vicende accademiche di Ricci, e, per i tempi più recenti, quelle di Napoleoni, ecc. Quando la sua ricostruzione del panora- ma toccava il periodo successivo alla guerra Caffè aveva come una folgorazione: “..E poi venne improvvisa l’esplosione di Sylos...”. Deve essere sostanzialmente stata tale l’apparizione di Sylos sulla scena accademica. Non era neppure giovanissimo (36 anni) quando il suo Oligopolio e progresso tecnico, trasformava i cano- ni di riferimento di una branca dell’economia. Ma, in più, egli ave- va rapidamente guadagnato la scena pubblica con la sua verve, con la sua capacità di incidere nella cultura del tempo, con la ca- pacità di suscitare discussione e trattare gli argomenti più sofi- sticati in modo da risultare intelligibili a vari livelli. Quel posto di protagonista nell’accademia e fuori Paolo Sylos Labini lo ha tenuto fino alla fine. È morto il 7 dicembre del 2005. Aveva appena compiuto 85 anni. La sua importanza negli studi economici di questo paese è difficile da sopravvalutare. A lui si deve, col concorso di pochi 7 * [email protected]

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Paolo Sylos Labini: le forze della dinamica economica

e della dinamica sociale

Salvatore Biasco*Università di Roma “La Sapienza”

1. - La figura

Federico Caffè amava spesso soffermarsi sulle vicende dell’ac-cademia italiana e narrare i tanti episodi che costellavano il mon-do dell’economia, quelli che avevano protagonisti Nitti e Pantalo-ni, o le vicende accademiche di Ricci, e, per i tempi più recenti,quelle di Napoleoni, ecc. Quando la sua ricostruzione del panora-ma toccava il periodo successivo alla guerra Caffè aveva come unafolgorazione: “..E poi venne improvvisa l’esplosione di Sylos...”.

Deve essere sostanzialmente stata tale l’apparizione di Sylossulla scena accademica. Non era neppure giovanissimo (36 anni)quando il suo Oligopolio e progresso tecnico, trasformava i cano-ni di riferimento di una branca dell’economia. Ma, in più, egli ave-va rapidamente guadagnato la scena pubblica con la sua verve,con la sua capacità di incidere nella cultura del tempo, con la ca-pacità di suscitare discussione e trattare gli argomenti più sofi-sticati in modo da risultare intelligibili a vari livelli.

Quel posto di protagonista nell’accademia e fuori Paolo SylosLabini lo ha tenuto fino alla fine. È morto il 7 dicembre del 2005.Aveva appena compiuto 85 anni.

La sua importanza negli studi economici di questo paese èdifficile da sopravvalutare. A lui si deve, col concorso di pochi

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* [email protected]

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coetanei, il rinnovamento degli studi di economia in Italia e lacongiunzione del pensiero economico italiano con le correnti piùavanzate del pensiero internazionale. Eppure Sylos non era inte-ressato al proselitismo, anche se in tanti finivano per richiamar-si a lui. Amava anche moderatamente l’insegnamento da dietro lacattedra, che lo costringeva a seguire binari pedagogici preordi-nati; amava invece il seminario e la conferenza; gli risultava in-naturale sistematizzare idee altrui, non gradiva gli allievi che glifacessero da codazzo, anche intellettuale. Amava produrre idee,ragionare sui fatti e sistemarli dentro uno schema concettualiz-zato che non prescindesse da storia, situazioni, dalla vita e com-portamenti di operatori differenziati, che prima di essere opera-tori collettivi erano operatori individuali. Amava l’accademia nelsuo complesso, dove ha trascorso tutta la sua vita e da cui nonha mai pensato di allontanarsi, anche momentaneamente, per oc-cupare cariche pubbliche, per le quali il prestigio, il ruolo nellasocietà e le sue doti personali tendevano a farne ricorrentementeun naturale candidato. Non ha mai gradito neppure di presiede-re la Società Italiana degli Economisti (cui pure tanto ha contri-buito). È dall’Accademia che, come studioso, persona di cultura eda ultimo, come Professore Emerito e Accademico dei Lincei, egliha condotto le battaglie civili in cui è stato impegnato.

2. - La formazione e le tematiche

Sylos aveva studiato all’Università La Sapienza di Roma e siera laureato in Giurisprudenza con tesi in economia (sull’innova-zione tecnica e l’organizzazione del lavoro). Si considerava allie-vo di Alberto Breglia, un economista scomparso prematuramen-te, a cui riconosceva un debito nella sua formazione. Ma non siera laureato con lui e ne era stato solo assistente volontario. Bre-glia era un economista difficilmente classificabile nel panoramadell’accademia italiana di allora imbevuta di curve statiche mar-shalliane e teoria corporativa; un economista che — pur risen-tendo dell’isolamento in cui erano vissuti gli accademici nostrani— aveva una sua modernità nell’incrociare forme di mercato, di-

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stribuzione del reddito ed economia sociale. Sylos si formò da su-bito in un ambiente internazionale, inaugurando (ma forse qual-che suo coetaneo lo aveva già fatto) quella che diventerà una con-suetudine dei migliori economisti italiani di perfezionarsi all’este-ro dopo la laurea. Studiò ad Harvard con una borsa di studiobiennale e, con l’intervallo di qualche anno, a Cambridge (G.B).

A Harvard fu allievo di Schumpeter, che imprimerà una im-pronta importante nella visione economica di Sylos (Ernesto Ros-si e Gaetano Salvemini la imprimeranno, invece, come figure diintellettuali). In realtà è difficile dire oggi se Sylos abbia sceltoSchumpeter in quanto lì lo portava per elezione la visione dell’e-conomia che andava costruendo, o se quella visione debba in ori-gine molto a Schumpeter. Probabilmente l’uno e l’altro. Vi è dadire che Sylos aveva certamente letto i classici (Marx e Smith so-prattutto); e li aveva letti alla sua maniera, in modo laico, cer-cando non verità o ideologie ma termini di riferimento per in-quadrare le forze di fondo dell’economia.

Schumpeter era, per impostazione e metodologia, assimilabileagli economisti classici per il fuoco che metteva sulle forze di fon-do del capitalismo (progresso tecnico, potere/i di mercato, investi-mento, ecc), sul dinamismo di questo sistema produttivo e sulla suainerente instabilità ciclica. Quelle spinte di fondo, essenzialmenteaccumulative, avvengono attraverso relazioni tra variabili reali, chedifficilmente toccano la finanza, se non in via derivata. A Schum-peter era estranea la visione di Keynes (la quale mal si inquadravanel suo schema dinamico), al centro della quale vi erano i compor-tamenti speculativi (come rapporto tra l’oggi e il futuro), i convin-cimenti convenzionali degli operatori e le aspettative (che perSchumpeter rimarranno sempre ancorate a una base reale), nonchéla rilevanza di questi fattori sulla produzione e l’accumulazione. Avolte la vulgata tende a concentrare la “rivoluzione keynesiana” nel“principio della domanda effettiva” (che altrettanto era un modo divedere l’economia che a Schumpeter sembrava parziale e riduttivo),mentre la vera rivoluzione di Keynes è stata in uno spostamento diottica nell’analisi del meccanismo di funzionamento di una econo-mia capitalistica, al centro della quale veniva posta Wall Street o laCity (o l’equivalente nei sistemi nazionali) e l’intero meccanismo fi-

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nanziario. A giudicare oggi dall’evoluzione che ha preso il pensierodominante in economia politica, è un vero peccato che queste duevisioni non si siano capite e integrate (se non parzialissimamente inMinsky, anch’egli allievo di Schumpeter al tempo di Sylos, così co-me allievo a quel tempo era Sweezy). Oggi le strade “ufficiali” sonoaddirittura divaricanti, con la teoria keynesiana ridotta a visione sta-tica sussunta nell’equilibrio generale e la teoria dell’accumulazionea teoria del sovrappiù che (pur negli indubbi meriti che ha avutonella critica all’economia politica corrente) rischia anch’essa di ri-manere una costruzione fondamentalmente statica.

Sylos non sarà mai un antikeynesiano, ma l’ombra della dif-fidenza di Schumpeter entrerà sempre nella sua lettura di Key-nes. Né certamente il suo soggiorno a Cambridge, dove avrà co-me supervisore Robertson — un antagonista scientifico di Keynes— risulterà in questa direzione un passaggio chiarificatore e lo in-durrà a incorporare pienamente Keynes nella sua visione. Ma Sy-los è l’autore che ha sfiorato tale sintesi. La lettura che nel tem-po risulterà sempre più dominante sarà, tuttavia, quella di Smith,a cui tenderà a ricondurre tutti i fili del suo pensiero.

Il suo interesse dominante rimarrà l’economia che si muovegenerando progresso tecnico e migliorando la produttività, un pro-cesso (tutt’altro che lineare) con legami di causa effetto sulla di-stribuzione del reddito e sulle sollecitazioni che ne ricadono sututte le variabili del processo economico. È in un certo senso sin-golare, sebbene sia lo studioso che ha cambiato il modo di stu-diare le forme di mercato, che l’interesse speculativo e teorico nonsia stato strettamente in quel campo, ma che egli si sia solo ser-vito degli esiti dei comportamenti di mercato (dei mercati) cometasselli da inserire (bestemmio se dico “strumentalmente”?) nel-l’individuazione delle forze di movimento e di distribuzione delreddito, in un contesto più ampio di messa a fuoco delle spinte econtrospinte dell’economia. Sulle forme di mercato tornerà infat-ti, dopo il 1956, solo all’interno di tematiche riflesse nel titolo deisuoi libri: Sindacati, inflazione e produttività, 1972; Le forze dellosviluppo e del declino, 1984; Nuove tecnologie e disoccupazione,1989; Progresso tecnico e sviluppo ciclico, 1993 (tutti tradotti in in-glese), a cui si affiancano tanti altri scritti su temi similari.

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3. - Oligopolio e progresso tecnico

Tuttavia, se “..poi venne improvvisa l’esplosione di Sylos..”, ildetonatore è essenzialmente Oligopolio e progresso tecnico, pub-blicato la prima volta nel 1956 e poi rivisto in occasione delle ri-pubblicazioni e delle traduzioni che ha avuto nelle più svariatelingue (la prima in inglese nel 1962 con la Harvard UniversityPress).

Non ho mai capito da dove lo spunto a lavorare in questa di-rezione gli sia venuto. Non è un tema schupeteriano in senso pro-prio, ne è di derivazione diretta dalle sue letture dei classici; è untema, come detto, solo di appoggio a quelli cui Sylos si mostreràinteressato tutta la vita. È vero che aveva in quegli anni lavoratoad un rapporto sul mercato del petrolio e osservato il ruolo deicosti fissi, ma l’oligopolio che egli tratta è pressoché specifico deimercati manifatturieri. Ho trovato anni dopo cenni furtivi sull’ar-gomento in un libro di Breglia, ma poiché il libro era la messa apunto delle lezioni fattane da Sylos oltre dieci anni dopo la mor-te, a scopo di adozione per la didattica, è fondato il sospetto cheSylos abbia semplicemente accennato all’argomento trasponendole proprie idee.

Quale che sia la genesi, Oligopolio e progresso tecnico è unasorta di teoria generale delle forme di mercato. In sé, i mercati,specie quelli manifatturieri, non sono né pienamente monopoli-stici, né pienamente competitivi. Il grado di competizione dipen-de dalle barriere all’entrata stabilite dalle indivisibilità tecnologi-che, le quali chiedono che almeno un certo break even di produ-zione sia raggiunto per rendere gli impianti competitivi e l’inve-stimento remunerativo; dipende dall’ampiezza del mercato in re-lazione al break even richiesto dalla tecnologia più efficiente; di-pende dalla elasticità della domanda; dipende da quale disconti-nuità presentino le tecnologie stesse per passare da quelle menoefficienti a quelle più efficienti. Per quanto questi elementi pos-sano portare il prezzo a fissarsi stabilmente sopra ai costi unita-ri (marginali e medi) un elemento di competizione esiste sempretra potenziali entranti in un mercato e coloro che vi sono già in-sediati. Ma chi è attratto da quel mercato deve scontare sia le di-

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mensioni necessarie a rendere la sua produzione profittevole siala riduzione di prezzo necessaria ad assorbire la sua offerta, percui la profittabilità esistente non è quella che vi sarà a ingressoavvenuto. Impianti più piccoli (e presumibilmente meno efficien-ti) producono minore sacrificio di prezzo, ma avranno per con-verso costi unitari di break even più alti. Una stabilità di prezzoe di composizione del mercato è quindi possibile anche in condi-zioni di rendimenti decrescenti. Imprese grandi e piccole posso-no convivere. Un prezzo superiore ai costi marginali può diveni-re un prezzo di equilibrio (qui inteso come stabile), pur in con-dizioni di competizione (potenziale). Tutte eresie, secondo l’orto-dossia dell’epoca, ma che diverranno acquisizione della teoria do-po Sylos.

La stella polare dell’equilibrio oligopolistico può mantenere iprezzi stabili, se non mutano le condizioni sottostanti, pur in pre-senza di potere di mercato. Il prezzo è di solito amministrato, malo è secondo comportamenti di prudenza imposti dalla concor-renza potenziale. Ma, anche se le condizioni mutassero, occorredistinguere tra i mutamenti continui che sempre avvengono (mi-glioramento della produttività, aumento dei salari monetari, ecc.)e un cambio di regime (salto tecnologico, entrata di un concor-rente “forte”, ecc.). I primi richiedono solo adeguamenti, per i qua-li serve da orientamento il margine di prezzo sopra i costi che siè stabilito in condizioni di equilibrio e che tende a essere mante-nuto dall’impresa leader o dalle imprese leader. I secondi sono piùcomplessi e producono una varietà di esiti. È difficile dare in po-che battute la ricchezza di argomenti del libro. Sylos esplora siala condizione in cui i prodotti siano omogenei sia le differenzia-zioni prodotte dal marketing e — diremmo oggi — dal marchio,alle quali è da ascrivere il ruolo di barriera che nel primo casogiocano le discontinuità tecnologiche e le indivisibilità. Esploraanche singolarmente la natura di quei mutamenti di regime a cuifacevo cenno prima e le conseguenze dinamiche che si produco-no nel lungo periodo negli esiti del mercato.

Dopo Oligopolio e progresso tecnico, una serie di fatti che aleg-giavano in modo un pò esoterico nella letteratura e nell’osserva-zione, hanno trovato come per incanto la loro spiegazione e il lo-

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ro fondamento concettuale. Così il costo pieno, un comportamentoriscontrato empiricamente che mal si conciliava con le teorie mi-croeconomiche dominanti. Così la domanda ad angolo, che ac-quistava un dignità nell’ambito della stabilità oligopolistica. Sen-za il lavoro di Sylos, non vi sarebbe stata la teoria dei mercaticontendibili. L’interpretazione alla Sylos del comportamento deimercati oligopolistici finiva per essere la base che dava chiarezzaa svariati fenomeni; ad esempio, l’andamento sfavorevole delle ra-gioni di scambio per i produttori di materie prime, che trovavaspiegazione nella settorializzazione dei benefici del progresso tec-nico quando a introdurlo sono i settori manifatturieri, dove, a cau-sa della prevalenza di forme oligopolistiche tende a vigere una vi-schiosità dei prezzi e una certa inelasticità di risposta alle condi-zioni di domanda, al contrario di ciò che avviene nei settori con-correnziali. O come, altro esempio, l’incomprimibilità strutturaledi una componente di inflazione, generata dalla diversa dinamicadella produttività settoriale e che opera come fluidificatore delcontinuo aggiustamento settoriale nell’economia.

4. - Il magistero

Di Sylos mi piace ricordare il suo essere economista vero, conuna capacità istintiva, direi innata, di ingerire fatti e teoria con-temporaneamente, impastando gli uni e l’altra senza soluzione dicontinuità per dar luogo ad affreschi che aprivano un’ottica ine-splorata nel campo trattato. Oggi ciò che viene chiesto a un eco-nomista è di proiettare nella teoria l’ombra di una opzione di co-modo (se non ideologica) riflessa nelle ipotesi di partenza e trar-re dai risultati idealizzati (in senso weberiano) della teoria un cri-terio per dedurre un giudizio normativo sui fatti correnti. L’in-grediente è la matematica “per costruire il modello” e l’econome-tria per “testarlo” (brutto termine entrato nell’uso che da solo in-dica una soggezione culturale). Sylos era l’esatto contrario: avevaurgenza di inquadrare i temi di rilevanza centrale per l’economianella loro dimensione reale e nelle loro sfaccettature. Scavava neifatti, nella teoria nelle sequenze causali. Sapeva che l’armamen-

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tario dell’economista è sterile senza una presa nelle scienze socialie nella storia; senza una cultura giuridica; senza la dovuta atten-zione alle istituzioni e alle loro evoluzioni. Questo non gli impe-diva di giungere alla semplificazione (o all’astrazione) che gli con-sentiva di isolare il punto, ma cio’ non doveva offuscare nessunadi quelle dimensioni. Apprezzava l’impiego di matematica e stati-stica se di ausilio a questo armamentario e a questo approcciometodologico, ma non se strumento per esercizi di astrazione fi-ni a sé stessi e per conclusioni artificiali.

Oligopolio e progresso tecnico non deve trarre in inganno; Sy-los è stato essenzialmente un macroeconomista, che ha presenteil quadro microeconomico sottostante. Non si tratta delle moder-ne “microfondazioni”; è qualcosa di più. Ho detto che il suo in-teresse si è indirizzato alle modalità in cui le interconnessioni trale variabili e tra decisioni dei singoli attori generano la dinamicadell’economia (soprattutto della produzione e della produttività),il ciclo la distribuzione del reddito. Dentro l’interconnessione tramacrovariabili è possibile, però, cogliere in azione un pullulare disoggetti che generano quotidianamente e singolarmente scambio,produzione, consumo o altro; il comporsi della loro attività; la plu-ralità di motivazioni e impulsi che prendono forma a livello di-saggregato; il formicolare di reazioni diverse di soggetti tra i piùdisparati agli eventi di cui ciascuno è partecipe, ma che vive co-me eventi esterni che lo condizionano. Attraverso la sua analisitrovano sistemazione e spiegazione le informazioni più aneddoti-che e i fatti più dispersi della vita sociale. L’operare della politicae delle istituzioni è sempre presente; ogni processo ha poi ha unaprospettiva storica in cui viene inquadrato: i percorsi precedentiproiettano i loro condizionamenti sugli sviluppi successivi.

Non a caso egli vorrà fotografare questo caleidoscopio di at-tori nella posizione che questi occupano nella società e nella sca-la sociale (con una incursione in campo apparentemente extra eco-nomico) nel libro Saggio sulle classi sociali (1974). A parte la vo-luta cesura culturale che il saggio rappresenta rispetto a alcuniluoghi comuni agitati soprattutto nel versante politico della sini-stra, di cui parlerò più avanti, nel libro si può cogliere una lettu-ra dei modi in cui le coalizioni si formano nella società (fra l’al-

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tro, variabili per singole questioni) e delle condizioni che portanoil potere decisionale a essere permeabile alle istanze di quella lacui forza finisce per essere dominante nel “tiro alla fune” (è unasua espressione).

Sylos è scienziato sociale in senso pieno e, infatti farà nel cor-so del tempo, non solo con l’insegnamento metodologico dei suoiscritti e del suo approccio istituzionalista, ma anche con manife-sti, le sue battaglie per riaffermare un’idea dell’economia comescienza sociale e combattere gli indirizzi metodologici dominantiche tendono a farne una scienza assiomatica e asettica, o una sor-ta di ramo dell’ingegneria. Non riuscirà mai a capire l’utilità diun indirizzo che ricerchi la posizione statica di equilibrio econo-mico generale di tutti i mercati (in condizioni peculiarissime diconcorrenza perfetta, piena flessibilità, massimizzazione dell’uti-lità e perfetta conoscenza e informazione) o che la presupponga.Ne riuscirà a accettare le quantità di forzature necessarie per uti-lizzare la curva a U o la funzione aggregata di produzione (chemetterà severamente in discussione non sulla base di una ripeti-zione delle critiche di teoria del valore, ma di una rielaborazionebasata sui suoi interessi, oligopolio e tecnologie, nonché sul me-rito degli argomenti statistici).

5. - Il modello dell’economia italiana e l’approccio quantitativo

Devo dire che io ho trovato non assonante con la sua impo-stazione metodologica l’atteggiamento che ha avuto verso l’eco-nometria, che è stato di sostanziale accoglimento. Certo una per-sona con la sua libertà di pensiero non avrebbe mai posto un’i-potesi interpretativa al servizio degli esiti di una prova econo-metrica, ma viceversa. Mi immagino le volte in cui la serie siastata cambiata o la stima rifatta se i risultati fossero stati in con-trasto con la sua percezione della realtà (ma non ho testimo-nianze in proposito). Tuttavia, a volte ha dato la sensazione dicredere in coefficienti o in gap temporali di risposta espressi dal-le sue stime come se quei coefficienti non esprimessero poi re-

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golarità di rapporto nel tempo tra due o più variabili. Regolaritànon riferite semplicemente a relazioni logiche nella catena cau-sale, ma quantitativamente identificabili. Sicuramente talvoltaquei coefficienti hanno costituito più che una variabile di con-trollo. Nella famosa polemica tra Keynes e Tinbergen degli anni‘40 temo che avrebbe dato più ragione a quest’ultimo. Eppure egliapriva ogni anno le sue lezioni mettendo in guardia gli studenticontro le “leggi” dell’economia e citando un episodio di vita per-sonale degli anni ‘50 quando gli era capitato di qualificarsi comeeconomista presso un responsabile dei pompieri (non ricordo diquale città, Lecce?). L’interlocutore ad un certo punto come cap-tatio benevolentiae, aveva esclamato: “Eh ... le leggi dell’economia!Che tempi! ... nessuno le rispetta più!” E ogni volta si divertivaa rilevare che forse le “leggi” dell’economia, se nessuno le rispetta,non esistono.

Sylos aveva affinato gli strumenti in questo campo costruen-do forse il primo modello dell’economia italiana a metà degli an-ni ‘60 (poi pubblicato nel 1967). Si toglierebbe qualcosa a quel-l’impresa se non fosse messa nel contesto dell’epoca, che ne face-va un’impresa eroica e artigianale per un singolo studioso. Le tec-niche econometriche erano meno sviluppate e sofisticate di quel-le odierne. Certamente non esistevano software econometrici, maneppure banche dati già pronte da utilizzare all’occorrenza; oc-correva costruirsele. Oggi un test econometrico o la sima di un’e-quazione nella parte di lavoro bruto potrebbe essere affidato dauno studioso alla sua segretaria, alla quale sia lasciato un appuntosulle serie da usare, il disco di programma da inserire nel lettoredel computer e la sequenza di tasti da pigiare; allora richiedevauna organizzazione complessa e in un certo senso audace. Sylosaveva una urgenza di porre in forma nitida e didatticamente frui-bile (non solo agli studenti, ma anche agli studiosi) tutte le rela-zioni causa-effetto e le interconnessioni che aveva individuato perl’economia italiana (distinta per settori e forme di mercato pre-valenti). Voleva mostrare come spinte e controspinte finissero perprevalere prima l’una e poi l’altra con spirali che a un certo pun-to si spezzavano per azione di fenomeni collaterali che esse stes-se generavano.

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Per questa operazione “pedagogica” aveva bisogno di para-metri quantitativi tratti dall’interpolazione di serie storiche pro-lungate, le quali ultime erano talvolta esse stesse frutto di co-struzioni econometriche. L’operazione di porre su basi di riferi-mento solide la discussione sull’economia italiana sicuramenteriuscì e il dibattito di politica economia ruotò attorno alle sue ideesul modo di funzionamento macroeconomico del Paese; e questonon sarebbe stato possibile senza la forza comunicativa dei nu-meri. Tuttavia, mi sono sempre chiesto con quali trasposizioni teo-riche egli potesse sentirsi a suo agio con un’idea di meccanicismoeconomico che ciò emanava e di riduzione dell’economia a ungrande congegno idraulico, che era quanto di più estraneo vi fos-se alla sua percezione dell’economia.

Avrei voluto discutere questo con Sylos e alcune volte vi hotentato, per quanto fosse possibile discutere con lui. Era troppoesuberante; la sua mente viaggiava a 1.000 all’ora e dopo pochebattute cominciava a esternare tutto ciò che nella mente gli si eramesso in moto a partire dal piccolo input, per ritornare sul fuo-co varie volte e abbandonarlo altrettante, ma comunque lascian-do poco spazio all’interlocutore. (Sylos era affascinante anche perquesto suo vagare di connessione in connessione, ognuna dellequali era imprevedibile, ma apriva possibilità di insospettate di in-quadramento degli argomenti che toccava). Per polemizzare conlui, e trovare il modo di argomentare adeguatamente nel merito,era però meglio scrivergli.

Selezionando nei suoi argomenti trovo, tuttavia, le sue rispo-ste ai miei mugugni. In primo luogo, c’è econometria e econo-metria e quella da scartare è solo quella che non parte dalla teo-ria e dalla concettualizzazione e pretende di trovare risposte ana-litiche nei risultati quantitativi. In secondo luogo, i processi sonostoricamente condizionati e il loro inquadramento quantitativopuò (e deve) mettere in luce la relatività storica degli stessi, giu-stificarla e attenersi strettamente al periodo di validità delle rela-zioni. (E semmai mostrare le differenze con periodi caratterizza-ti da contesti istituzionali diversi). Gli ho sentito poi usare ancheun terzo argomento in varie circostanze, che spero di riportarecorrettamente. Vi sono fenomeni fisici che se analizzati da vicino

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mostrano il movimento caotico (e comunque asistematico) delleparticelle. Il gas che scorre lungo un tubo ha questa natura; maquando poi sgorga il flusso composto da quelle particelle ha unaregolarità insospettabile.

Econometria o no, dove Sylos era insuperabile è nella lettu-ra dei fatti e quindi anche nel modo di interrogare e far parlarel’evidenza statistica “elementare” — talvolta tratta da fonti incon-suete o cercata in direzioni inconsuete dove il suo istinto gli con-sigliava di guardare. Talvolta ricostruita per incroci, perché inesi-stente sulla base dell’uso che intendeva farne. Quell’evidenza di-ventava tutt’uno con il suo legare fenomeni diversi, mostrare rot-ture e continuità, col suo procedere per indizi e per tappe argo-mentative fino alla conclusione, dove tutto trovava l’incastro giu-sto. Mai un utilizzo descrittivo ma sempre un modo per metterein luce certe sequenze di ragionamento economico e interpretati-vo, le congetture che sorgevano sulle connessioni tra fenomeni,oppure la peculiarità dei processi in esame. Lì c’era l’estrinsecar-si — me lo si lasci dire — “dell’economista con l’istinto innatodell’economista”.

6. - Smith e Sraffa

Sylos era per natura portato a costruire l’economia più che asoffermarsi su problemi di critica al pensiero altrui e all’econo-mia dominante se non per quel tanto che gli servisse a marcare iriferimenti. È fuori dubbio che Smith fosse per lui una fonte diispirazione e insegnamento ricorrente, anche se la scoperta che lesue radici fossero prevalentemente in Smith è avvenuta relativa-mente tardi. Nel suo libro Torniamo ai classici, 2005, l’ultimo scrit-to in una vena teorica, riprende e aggiorna tutti i suoi cavalli dibattaglia e ne mostra costantemente il filo con il pensiero dei clas-sici, ma di Smith in primo luogo.

L’influenza di Marx, letto con categorie schumpeteriane è piùforte di quanto egli sia disposto ad ammettere, ma di questa par-lerò poi. Col tempo arriverà alla conclusione che le pure forze eco-nomiche danno una visione parziale della realtà sociale e dei con-

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flitti che la percorrono. Altre forze sono parte rilevante di quellarealtà e agiscono in piena autonomia. Negli ultimissimi anni, ilgiudizio scientifico sarà sopraffatto da una vera antipatia per l’uo-mo Marx, capace di consigliare doppiezza ai socialdemocratici te-deschi e di mettere incinta la cameriera.

Personalmente non saprei classificare, invece, i suoi rapporticon l’opera di Sraffa (intendo lo Sraffa di Produzione di merci amezzo di merci; non gli articoli degli anni ‘20). Aveva una sorta dirispetto reverenziale e intellettuale per l’uomo e aveva incoraggiatoi suoi allievi a studiarne l’opera e a perfezionarsi a Cambridge.Quello tra gli allievi che gli sarà più vicino, Alessandro Roncaglia,diventerà un eminente cultore della materia, riconosciuto su sca-la internazionale. Non ricordo, tuttavia un solo punto in cui Sy-los utilizzi effettivamente l’impostazione di Sraffa, salvo per riba-dire che il sovrappiù prodotto è la base dell’accumulazione e hauna distribuzione soggetta ai rapporti di forza e altri fatti colla-terali dell’economia. Curerà — è vero — la raccolta di saggi (1973)che egli stesso aveva incoraggiato i suoi allievi a produrre sull’ar-gomento o su argomenti limitrofi, ma temo che fosse per omag-gio all’autore e all’importanza del suo lavoro di critica all’econo-mia marginalistica più che per vera passione diretta per l’argo-mento. E temo anche che il pensiero di Sraffa si trasfigurasse inSylos per ricomporsi nel pensiero sylosiano.

7. - La politica economica

Il ritratto della personalità di Sylos sarebbe incompleto se l’ac-cento si limitasse ai suoi contributi analitici e alla sua imposta-zione teorica in economia. Egli è stato anche teorico del sotto-sviluppo, partecipe del dibattito di politica economica, protagoni-sta e punto di riferimento nel dibattito culturale. In più ha pro-fuso energie e impegno nella vita civile.

Entrare nei temi della politica economica è stata in parte unaproiezione della sua attività speculativa. Sylos aveva da giovanecontribuito al piano del lavoro della Cgil e aveva condotto un’in-chiesta sul mercato del petrolio. Quando, al formarsi dei primi

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governi di centro sinistra, nel 1963, la programmazione diventa laparola d’ordine della politica economica egli partecipa a entusia-smi e speranze suscitate dal nuovo corso e scrive con l’amico Gior-gio Fuà il libro Idee per la programmazione (1963), che, seguendoquel misto di macro e micro economia che caratterizza i due au-tori, è di fatto uno studio sulle compatibilità macroeconomiche esull’insieme degli interventi (oggi diremmo “strutturali”) che gliautori giudicavano necessari per tenere elevata la crescita dell’I-talia. Egli farà parte del Comitato per la programmazione pressoil Ministero del Bilancio (1965), ma si dimetterà quando consta-terà che come sottosegretario al Governo (presieduto da Moro) èstato nominato l’on Lima.

Sylos prenderà costantemente posizione su temi e eventi del-l’economia italiana. Interverrà con un saggio sul punto unico del-la scala mobile del 1977 (pronunciandosi a favore della sua abro-gazione) e sulla tassazione di titoli di Stato del 1989 sulla qualesi dichiarerà contrario. Sarà sempre a favore della politica dei red-diti, che sosterrà anche attraverso i suoi lavori analitici sulla di-stribuzione del reddito, l’inflazione e la produttività. Metterà inluce che ci sono circostanze in cui il trade off tra salari e occu-pazione non è convalidato. Curerà un manifesto promemoria sul-le priorità nazionali destinato al primo governo Prodi, nel qualeè dominante l’attenzione alle politiche occupazionali (per le qua-li chiede flessibilità e regolazione) e la preoccupazione per la so-stenibilità degli schemi in essere di previdenza pubblica. Le ra-gioni dei ritardi del Sud saranno sempre presenti nella sua ana-lisi dei problemi strutturali dell’economia. Egli, a ragione consi-derato un meridionalista, ha vissuto il tema con la passione di chisi considerava figlio del Sud (anche se era nato a Roma, ma difamiglia proveniente da Bitonto nella cui ascendenza diretta daparte di madre vi era lo zio Giustino Fortunato). Manterrà sul te-ma un’analisi sempre orientata alle indicazioni di policy.

Il suo interesse per l’articolazione del paese e per i temi strut-turali non poteva non rivolgersi ai distretti industriali, forse l’ul-tima sua incursione nel campo della politica economica, in cuiegli perora il riconoscimento giuridico del distretto in quanto ta-le per procedere, attraverso questo, a semplificare gli adempimenti

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amministrativi, porre su base diverse l’imposizione fiscale, punta-re alla gestione consortile dei servizi e dar luogo, con l’aiuto pub-blico, a investimenti collettivi in ricerca. Forse i distretti non era-no più gli stessi da quando Sylos, anni addietro, aveva comincia-to a rivolgere la sua riflessione all’argomento, essendo diminuital’importanza dei fattori territoriali o monosettoriali, cui egli face-va riferimento, ed essendo ormai le reti sempre più riferibili a for-me flessibili di sistemi d’impresa, piattaforme produttive, rag-gruppamenti per filiera e rapporti contrattuali inediti di svariatanatura; per di più reti inserite in sistemi produttivi globali. Tut-tavia, le sue proposte, avanzate con un gruppo di lavoro che Sy-los aveva animato, conservavano carica innovativa, e trovavanoeco nell’ultima finanziaria approvata dal governo di centro destra(sebbene, Sylos disconoscesse in due articoli sul Il Sole 24 Ore(2005), ultimi tra i suoi interventi di politica economica, l’ade-renza a quelle proposte).

8. - La presenza nel dibattito culturale

Sylos è anche un pezzo della cultura italiana del dopoguerra.Non è solo un economista, né solo uno scienziato sociale, ma an-che persona presente nel dibattito culturale, un intellettuale a tut-to tondo. Dall’alto del suo prestigio e dirittura morale, sarà anchecoscienza critica del paese. “Presente nel dibattito culturale” è ri-duttivo perché alcuni suoi interventi sono stati una sferzata cheha sfidato e modificato i convincimenti culturali della sinistra delsuo tempo.

Il clima del dopoguerra era di forte contrapposizione ideolo-gica tra due “chiese” politiche e culturali. Sylos apparteneva allasinistra, ma con una visione riformista, convinto dell’insostituibi-lità del capitalismo e imbevuto di una impostazione positivistica,allora inconsueta in quello schieramento politico che guardava inprevalenza “oltre” il capitalismo e era imbevuto di cultura ideali-stica. Marx era sicuramente un autore di ispirazione e di riferi-mento per Sylos. Ma un Marx molto diverso da quello fatto pro-prio dai marxisti di allora (e marxista era l’intero Partito Comu-

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nista): non vi erano verità da cogliere e affermare dall’opera diquesto autore. In più, a Sylos era estraneo l’aspetto filosofico (alie-nazione e quant’altro), reinterpretava la lotta di classe come fi-siologico conflitto sociale; alla teoria del valore era scarsamenteinteressato. Marx era per Sylos uno scienziato sociale, le cui ana-lisi del capitalismo e delle leggi di movimento davano sicuramenteuna chiave di lettura e di inquadramento dei processi di lungo pe-riodo dell’economia e della stratificazione sociale che li accom-pagnava, ma in molti punti andavano corrette, relativizzate stori-camente, integrate con visioni più moderne tratte dal senno di poi.

I saggi raccolti poi nel suo libro Economie capitalistiche e pia-nificate, (1960), furono una scossa per la cultura di sinistra del-l’epoca (e potrebbero far riferire anche al campo culturale quellafrase di Caffè: “.. e poi venne l’esplosione di Sylos”). Si poteva es-sere in un certo senso ammiratori di Marx senza essere marxistipolitici e mantenendo una freddezza (e freschezza) analitica utilea inquadrare vari aspetti delle relazioni economiche contempora-nee. Per tanti giovani della mia generazione quel libro fu una ri-velazione illuminate che avrebbe segnato il corso della loro storiaculturale.

Lo stesso Oligopolio e progresso tecnico, letto in chiave politi-co-culturale, fu una sconfessione di quelle analisi (dominanti a si-nistra) condotte in termini di “grandi monopoli” e dell’ombra sta-gnazionistica e regressiva che essi proiettavano nell’economia.

La stessa miccia fu accesa anni dopo col saggio citato sulleclassi sociali (1974), in piena ripresa di ideologismo nel nome del-la classe operaia, vissuta come classe generale interprete dei de-stini della società. Sylos, dati alla mano, mostrò quanto si fosselontani da una evoluzione verso una crescente proletarizzazione,la quale non solo non aveva basi nel numero di coloro che vive-vano una “condizione operaia” o vi potevano essere assimilati, maneppure nell’“immiserimento” di tale classe. La società, invece —tutt’altro che dicotomica — diventava sempre più connotata da uncorpo maggioritario e variegato di “ceto medio”, con ciò che que-sta evoluzione portava con sé in termini di orientamenti politici eculturali, nonché di dinamiche sociali. All’interno di quel ventagliorappresentato dal ceto medio, sezioni differenziate di piccola bor-

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ghesia finivano poi per inserirsi in modo parassitario in tutti i gan-gli della macchina amministrativa e della vita sociale e erano ingrado di piegare a proprio vantaggio — utilizzando i meccanismidella democrazia rappresentativa e della mediazione sociale — con-quiste civili e economiche cui non avevano contribuito. Ritorneràsul tema e lo aggiornerà in Le classi sociali negli anni ‘80 (1987).

9. - L’impegno civile

Preso dalla molteplicità dei suoi impegni culturali, scientificie di scrittura, non ho mai capito dove Sylos trovasse il tempo perportare a fondo, senza mollare la presa, le sue battaglie civili, co-sì dispendiose di energie e di emozioni. Eppure, non sembravauna persona inseguita dall’ossessione del tempo. Poteva ricevereun allievo giovane tenendolo ore, ignorando che si avvicinava e siandava oltre l’ora della cena, che i figli e la moglie (la straordi-naria signora Marinella, il suo vero punto di forza) attendevanoe che cresceva l’imbarazzo nello spaurito interlocutore (tra gli an-ni ‘60 e ‘70 tremavo quando l’ora dell’appuntamento era intornoalle 18-19, sapendo che non sarei andato via prima delle 22). Erapoi sempre disponibile; accettava di buon grado un invito a cena(sempre dopo essersi accertato di non trovarsi in compagnia dipersone che non stimava), e non era difficile incontrarlo in casadi amici. Eppure la sua giornata era segnata anche da altro, ol-tre che dalla riflessione, lo studio, la scrittura o la lettura, e, ov-viamente, la famiglia. Sylos sentiva dentro di sé la missione di de-nunciare il malaffare dove aveva sentore che si annidasse, l’ac-quiescenza verso ciò che non andava, il patteggiamento, la ri-nuncia alla difesa dei principi.

Il suo impegno nell’Università non è stato solo la creazionedel Dipartimento di Economia Politica, l’insegnamento, il magi-stero e l’impegno per tenere limpidi e in ambito meritocratico iconcorsi a cattedra (significativa era la volontà che i suoi allievisi facessero strada da soli). L’Università della Calabria e quella diTor Vergata devono a lui la loro fondazione, in quanto membrodel Comitato Tecnico Ordinatore. Di solito non vi è gran merito

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a farne parte, quando tutto va secondo i canoni previsti e il Co-mitato si scioglie avendo esaurito i suoi compiti. Ma in entrambii casi egli si imbatté in una resistenza locale, fatta di delegitti-mazione e intimidazione; in coalizioni di piccoli proprietari i cuisuoli rischiavano di essere espropriati, sostenuti da personaggieminenti per fini non nobili; in tentativi di condizionamento e indenuncie fittizie (ma infamanti) a scopo dilatorio e di pressione,perfino in tentativi di corruzione. Nel sottofondo: la speculazioneimmobiliare. Solo la sua tempra e la grinta potevano consentirglidi non mollare tutto e tornare al tranquillo tran tran di professo-re. Diceva che aveva compreso attraverso queste vicende cosa vuoldire “sistema”, quegli intrecci perversi che possono stabilirsi trainteressi dispersi, potere locale, sistema amministrativo, media, ac-quiescenza di soggetti terzi, che gli avevano reso, ad esempio, dif-ficile in Calabria perfino trovare un avvocato disposto a difen-derlo; trovandolo poi in un avvocato missino (e quindi fuori dal“sistema”). Per Sylos le persone per bene non avevano colore po-litico.

Considerava un dovere adoperarsi negli stessi anni per con-sentire a colleghi dell’Est di avere permessi per venire in occi-dente, tempestando le loro ambasciate e procurando loro fondi.

Spese molto tempo negli anni ‘70 e ‘80 a ricostruire le trameoscure che si svilupparono nell’epoca dei servizi segreti deviati,massonerie, organi dello Stato coinvolti, P2. Era diventato un ve-ro esperto di quegli anni; ogni tanto qualche informazione trattadalle fonti più disparate arricchiva il suo dossier. Inseguiva suoisospetti (tutt’altro che infondati) e teneva una nutrita documen-tazione su un preminente personaggio politico del tempo, tutt’o-ra vivente.

D’altra parte egli era anche un esperto di mafia — che nonricordo bene se avesse connessione con queste sue ricostruzioni— al cui studio si era dedicato durante il periodo in cui, appenacattedratico, aveva insegnato a Catania.

Le tante battaglie civili in cui è stato coinvolto avevano sem-pre un bersaglio, oltre il malaffare: l’acquiescenza, l’arte italica delcompromesso, il tirare a campare, il voltarsi dall’altra parte. Pertutti si veda il suo libro-intervista: Un paese a civiltà limitata, 2001.

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Quasi sempre la sua è stata una posizione di resistenza civile. Ne-gli ultimi anni è riuscito a trasformare la sua indignazione versoil degrado della vita istituzionale e pubblica e verso l’abbassa-mento delle difese morali in una campagna nazionale. Era coin-volto in primo luogo come cittadino; ma era coinvolto anche co-me economista dello sviluppo che sa che la competitività di unpaese ha come precondizione un buon vivere civile. E che l’eticada cui sono pervase o meno le istituzioni è fondamentale per ilprogresso economico.

Egli era stato da sempre convinto che l’avvento del fascismofosse stato agevolato dall’assuefazione della pubblica opinione al-la corrosione della convivenza civile, con la complicità dei tantiche non ne avevano voluto comprendere la gravità, avevano avu-to atteggiamenti, magari avversi nell’intimo, ma di tepore civicoverso quanto si andava logorando quotidianamente nel tessuto ci-vile e culturale, anche a protezione della propria tranquillità per-sonale.

Gli ultimi cinque anni li ha vissuti da combattente all’inse-gna di questo convincimento. Si è speso con un fervore moralesalveminiano con interviste, articoli, appelli, libri (Berlusconi e glianticorpi. Diario di un cittadino indignato, 2003) e interventi re-citati in tutte le sedi consentite per tener desta l’indignazione mo-rale. È stato radicalmente intransigente e sferzante. In questo suoimpeto ha finito, tuttavia, per essere sospettoso anche verso co-loro che percorressero strade di opposizione al governo di cen-tro destra meno irriducibili e più politiche della sua. E, paralle-lamente, è stato poco disposto a esaminare le ragioni di chi ri-teneva che fosse stato giusto il tentativo del 1996-8 di rifondarele regole e le istituzioni in modo condiviso, avvenuto attraversola Bicamerale Istituzionale; tentativo che egli non riusciva a leg-gere altro che sotto il profilo della compromissione e dello scam-bio con chi non avrebbe dovuto essere legittimato. Fu toccatoprofondamente dal fatto che due suoi allevi, Michele Salvati e ilsottoscritto, che sentiva tra i più vicini alla sua lezione metodo-logica, allora fossero in Parlamento e non condividessero il suogiudizio.

La sua posizione ha avuto un eco straordinaria e sferzante

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nel Paese a riprova di quanto forte fosse il suo ascendente, il suoprestigio e la trasmissione di forza morale verso settori di pub-blica opinione, che avevano ormai travalicavano l’ambito intellet-tuale. Sylos non avrebbe mai accettato la compagnia di chi nonfosse specchiato, irreprensibile e genuino ma forse qualche ap-plauso gli è venuto anche da settori e movimenti che certo con-dividevano la sua intransigenza, ma che poco culturalmente avreb-bero potuto condividere con lui in circostanze diverse; egli rifor-mista nell’animo e nel pensiero; altri attraversati da correnti diminoritarismo e di estraneità a una cultura di governo. Due in-transigenze diverse.

11. - Ci mancherà

Ricordare Sylos solo come economista sarebbe stata una ta-le riduzione della sua personalità, da risultare impossibile a chiun-que. Personalità ingombrante e straripante, che riempiva la scenanell’accademia, come nella cultura e nella vita pubblica, Sylosmancherà a questo Paese.

Ma è al Sylos economista che voglio riandare in chiusura, conuno sguardo (amaro) al futuro, oltre che al passato. Quando eglicompì 70 anni, che allora comportava l’abbandono dell’insegna-mento, gli fu fatto omaggio di un libro in suo onore (Istituzionie mercato nello sviluppo economico, 1980, a cura di Biasco, Ron-caglia, Salvati), cui contribuirono con saggi inediti, scritti appo-sitamente per l’occasione, una serie di giganti del pensiero eco-nomico del dopoguerra: Goodwin, Kindelberger, Minsky, Steindl,Rotschild, Modigliani; Bharadwaj e, poi, Baumol, Eckaus, Godley,Rosenberg e Sachs (basterebbe questo elenco a capire quale riso-nanza internazionale abbia avuto la sua opera scientifica). Seescludiamo Modigliani — che pure è stato sempre molto attentoalla corrente di pensiero che Sylos ha rappresentato, al pari di Sa-muelson e Solow, che inviarono calorosi messaggi nell’occasione— quei nomi rappresentano un campionario di studiosi che, conSylos, ha imposto rispetto a un modo di concepire l’economia.Una “squadra” come questa — se di squadra si può parlare per

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tante individualità — nasce in una temperie particolare di ten-sione culturale e fervore teorico.

Nel frattempo sugli studi di economia è passato il rullo com-pressore della standardizzazione che li ha appiattiti e uniformatiin un unico paradigma di scienza normale (nel senso in cui Kuhnla definisce), sotto l’impulso di istituzioni accademiche e cultura-li statunitensi (e, per conformazione, europee) che ne hanno adot-tato e trasmesso il canone e che oggi stabiliscono lo standard pro-fessionale di chi si forma in questa disciplina. E poiché in epocadi globalizzazione, l’egemonia culturale tende a uniformare le cor-renti di pensiero, quel tipo di formazione finisce per pervadere —oltre che le accademie — le burocrazie, le sfere della politica, icentri di diffusione culturale, i media e dare la base al senso co-mune.

Se un Sylos muore non è sostituibile. Coloro che ho voluta-mente citato per primi nell’elenco precedente, ci hanno abbando-nato prima di Sylos. E ancor prima di loro erano scomparsi altrieconomisti, che, come Kaldor e Okun, apparterrebbero idealmen-te a quell’elenco.

Certo esistono altri fuochi di riflessione e indirizzi del pensierocritico. Sylos li avrebbe visti con simpatia (ma non indistintamen-te) e forse utilizzati. Tuttavia non sono approcci intercambiabili conquello che ha espresso la genìa di cui Sylos faceva parte, perché quisi tratta di un filone a sé con ingredienti sui generis. Quei gigantidel pensiero erano in ogni caso capaci, ovunque andasse la profes-sione, di dar forza di penetrazione alle loro posizioni, attrarre at-tenzione e rispetto, riempire da soli le caselle di una impostazionecreativa. Ma scomparsi loro una intera impostazione rischia di spe-gnersi o trovare approdo in altre discipline, perché oggi uno stu-dioso con una formazione multidisciplinare, induttiva e immagina-tiva, alla ricerca di risposte disciplinari per l’analisi sociale o per iproblemi (anche operativi) dello sviluppo e della crescita non elige-rebbe l’economia normale come proprio campo di studio.

Ma la ruota continuerà a girare e per fortuna la forza del pen-siero che Sylos e gli altri ci lasciano è tale da continuare a semi-nare e mantenere un patrimonio che ritornerà prezioso quandoquesta ondata di ideologismo si spegnerà.

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Scritti selezionati di Sylos Labini

SYLOS LABINI P., «The Keynesians (a Letter from America to a Friend)», Banca Na-zionale del Lavoro, Quarterly Review, vol. 2, n. 11, 1949, pp. 238-42.

— —, Economia capitalistiche e pianificate, Laterza, Bari, 1960.

— —, Oligopolio e progresso tecnico, Giuffrè, Milano, 1956; rist. 1957; nuova ediz.,Einaudi, 1964, 1967.

SYLOS LABINI P. - GUARINO G., L’industria petrolifera, Giuffrè, Milano, 1956.

SYLOS LABINI P. - FUÀ G., Idee per la programmazione, Laterza, Bari, 1963.

SYLOS LABINI P. (a cura di), Problemi dell’economia siciliana, Feltrinelli, Milano,1966.

SYLOS LABINI P., «Prezzi, distribuzione e investimenti in Italia dal 1951 al 1966:uno schema interpretativo», Moneta e Credito, vol. 20, 1967, pp. 265-344; trad.inglese, «Prices, Distribution and Investment in Italy 1951-1966: An Interpre-tation», Banca Nazionale del Lavoro, Quarterly Review, vol. 20 n. 83, pp. 316-75.

— —, Dispense di economia 1968-69, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1969.

— —, Problemi dello sviluppo economico, Laterza, Bari, 1970.

— —, Sindacati, inflazione e produttività, Laterza, Bari, 1972; trad. inglese Tra-de Unions, Inflation and Productivity, Lexington Books, Lexington (Mass.),1974.

— —, Saggio sulle classi sociali, Laterza, Roma-Bari, 1974.

— —, «Competition: The Product Markets», in WILSON T. - SKINNER A.S. (eds.), TheMarket and the State, Clarendon Press, Oxford, 1976, pp. 200-32; trad. it. in Sy-los Labini P., 1984, pp. 5-38.

— —, «Prices and Income Distribution in Manufacturing Industry», Journal of Po-st Keynesian Economics, vol. 2, n. 1, 1979, pp. 3-25.

— —, Il sottosviluppo e l’economia contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 1983.

— —, Le forze dello sviluppo e del declino, Laterza, Roma-Bari, 1984.

— —, «La spirale e l’arco», Economia Politica, n. 1, 1985.

— —, Le classi sociali negli anni ‘80, Laterza, Roma-Bari, 1986.

— —, «Anche la teoria della disoccupazione è storicamente condizionata», Mone-ta e Credito, vol. 40, n. 159, 1987, pp. 247-301; rist. in Sylos Labini P., 1993,pp. 184-241.

— —, Nuove tecnologie e disoccupazione, Laterza, Roma-Bari, 1989.

— —, «La riduzione dei tassi di interesse», Moneta e Credito, vol. 42, n. 168, 1989,pp. 445-477.

— —, Elementi di dinamica economica, Laterza, Roma-Bari, 1992.

— —, Progresso tecnico e sviluppo ciclico, Laterza, Roma-Bari, 1993; trad. ingleseEconomic Growth and Business Cycles, Edward Elgar, Aldershot, 1993.

SYLOS LABINI P. (a cura di), Carlo Marx: è tempo di un bilancio, Laterza, Roma-Ba-ri, 1994.

SYLOS LABINI P., «Why the Interpretation of the Cobb-Douglas Production Func-tion Must be Radically Changed», Structural Change and Economic Dynamics,vol. 6, 1995, pp. 485-504.

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SYLOS LABINI P., Sottosviluppo. Una strategia di riforme, Laterza, Roma-Bari, 2000.

— —, Scritti sul Mezzogiorno (1954-2001), Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma, 2003a.

— —, Berlusconi e gli anticorpi. Diario di un cittadino indignato, Laterza, Roma-Bari, 2003b.

— —, Torniamo ai classici, Laterza, Roma-Bari, 2005.

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