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01 Editoriale Acquaterrafuocoaria cattedrale naturale 04 I Sensi di Romagna 05 foto d’archivio foto d’archivio foto d’archivio foto d’archivio Angelamaria Golfarelli Territorio foto d’archivio foto d’archivio foto d’archivio 06 I Sensi di Romagna 07 Territorio foto d’archivio foto d’archivio foto d’archivio foto d’archivio foto d’archivio

Transcript of ee020

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01Editor ia le

uscita di questo numero suggella per ee il settimo anno di vita. Sette anni

trascorsi inseguendo un’ambizione: raccontare con leggerezza gli elementi da cui

origina ed attraverso cui evolve una cultura: quella romagnola. Senza alcuna “colta”

pretesa, ma lontani quanto più possibile dai folklorismi preconfezionati attraverso cui

un’identità si mercifica. Come cercando di afferrare un’essenza volatile e pungente perché

possa rimanerne un sentore tra queste pagine. Un profumo complesso, costruito dalle note

selvatiche della natura, dall’aroma barricato della storia, dalla penetrante emanazione delle

passioni, dal ricco retrogusto delle tipicità e affinato dalla finale fragranza delle arti.

Il bouquet, insomma, di un vino importante e raro, dedicato però in questo caso a tutti

palati interessati.

La Redazione di ee

L’

This issue marks the seventh birthday of ee. Seven years in pursuit of a single objective – to examine, in anaccessible fashion, the origins and development of the culture of a particular region: Romagna. Without any pre-established agenda, and in a spirit as far removed as possible from the quaint folksiness that’s so often used to commoditize identity. It’s an attempt, rather, to seize an essence, and somehow impregnate these pages with some of its scent. And this scent has all the complexity of a good wine: with notes of untamed nature, the rich, redolent strains of history, the penetrating overtones of passion, the aftertaste oftradition and the refinement of art. A rich and rewarding concoction, in other words – and guaranteed to pleasethe discerning palate.

The editorial staff of ee

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A c q u a t e r r a f u o c o a r i a

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05Terr i tor io04 I Sens i d i Romagna

Angelamaria Golfare l l i

Punte Alberetecattedrale naturale

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ra le oasi ambientali romagnole, Punte Alberete è senza dubbio uno dei luoghi più capaci di unire divino e terreno in

un unico concetto. Quando si entra infatti nel sentiero ad anello che ne consente la visita, quello che si prova è un

profondo senso di arrendevolezza a quanto di più mistico e poetico possa presentarsi ai nostri occhi.

Un percorso dentro il quale ci si sente nel tempio barocco di una natura per nulla misurata che esplode e si bea di se stes-

sa e della sua meraviglia, dove l’odore del muschio è pungente come quello dell’incenso in chiesa e dove il silenzio

dovrebbe sostituire ogni voce per un ascolto assorto di quanto ci circonda.

Ma è anche un paesaggio irreale, una foresta incantata rubata alla penna di Tolkien, ove in ogni stagione è un nuovo

prodigio quello che si compie, una gigantesca e mutante opera d’arte in movimento che in primavera esplode con le sue

mille sfumature di verde, con le sue acque trasparenti, i nuovi nati, i fiori, i profumi. Che in estate arde e brucia avvol-

gendo di fiacca canicola persino l’erba che si adagia stanca a terra e nelle acque circostanti. Che in autunno si amman-

ta di mistero coperta dalla coltre di nebbia e dai colori che sbiadiscono e mutano nelle calde tinte del giallo ocra, del

rosso, del marrone. Fino all’arrivo dell’inverno e del gelo, che tutto ricama e traduce in una trina di galaverna e neve che

evoca un velo di sposa.

Non c’è tronco senza più vita che langue le basse acque, né foglia morta, né sasso che restino esonerati dalla grande

“messa in scena” che questa raffinata regia propone. Uno spettacolo senza eguali a cui si partecipa in religioso silenzio

quasi allertati e consapevoli di trovarsi di fronte all’opera di un Grande Maestro. Ci si sente rapiti dall’incantesimo che

avvolge forme e colori, profumi dolci e muschiati, suoni soavi e agghiaccianti rumori amplificati dal silenzio. Se si sa

ascoltare si può avvertire distintamente il “tonfo” di una foglia cadente, lo sgocciolare della rugiada, un battito d’ali.

T

“La Natura è il più alto esempio di perfezione possibile perché anche laddove è

imperfetta risulta essere comunque talmente affascinante da farsi perdonare i

suoi piccoli nei.”.

La natura unisce qualche volta alle nostre azioni

effetti e spettacoli con una specie di

prefazione cupa e intelligente,

come se volesse farci riflettere.

Victor Hugo

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06 I Sens i d i Romagna 07Terr i tor io

Una poesia, un racconto fantastico, un quadro che non è possibile toccare senza la paura che tutto scompaia, senza l’am-

mirazione verso una grandezza superiore. Un luogo/non luogo dove la spiritualità si amplifica e l’unica cosa concreta

diventa il bisogno di rispettare quanto di così bello ci è stato dato non perché ce ne impadronissimo, ma solo per goder-

ne e trarne quel senso di pace assoluta che Punte Alberete sa esprimere. Uno scenario inconsueto esclusivamente creato

dalla forza della Natura, dove la vegetazione in eterna lotta per il sole e le ombre mette in evidenza vivi e morti in un

paesaggio di “rovine botaniche” non meno affascinanti di quelle dell’antichità.

Raggiungere Punte Alberete è invece quanto di più facile la nostra modernità, per una volta a servizio dell’uomo e non

sua padrona, possa offrirci. Si trova infatti sulla statale Romea, in direzione Ferrara, a circa 10 chilometri da Ravenna.

Un agibile parcheggio permette la sosta a pochi metri dall’ingresso del percorso fatto ad anello, percorribile soltanto a

piedi, che per circa tre chilometri, oltrepassato il ponte sullo Scolo Fossatone, si immerge immediatamente in questo bio-

topo naturale di rara bellezza. Ormai uno dei pochi esempi in Italia di palude che ha raggiunto, evolvendosi, una fase

matura e che tende a quella finale (visibile poco oltre) di bosco idrofilo (fascia occidentale della pineta di San Vitale).

Una foresta allagata a cui si giunge, come cita G. Lazzari, dopo aver attraversato un manufatto idraulico (chiavica) attra-

verso il quale finisce l’acqua derivante dal Lamone e che è elemento vitale di tutti i biotopi palustri. Punte Alberete ne è

uno dei siti più importanti assieme alla Valle di Mandriole e fa parte del Parco Regionale del delta del Po, come oasi natu-

ralistica dal 1968. Area di protezione della fauna, vede presenti esemplari in via d’estinzione quali il marangone minore

e la rana rossa nonché, allo stato selvatico, garzette, aironi e molti altri esemplari di avifauna palustre. Anche la flora a

Punte Alberete è unica e protetta, con soggetti che si possono incontrare solo qui (evitandone accuratamente raccolta e/o

danneggiamenti), come alcune specie di orchidee selvatiche, campanellini, iris d’acqua, ninfee comuni, erba saetta, ari-

stolacchia, clematide ed altre. Un grande patrimonio naturalistico da ammirare e proteggere perché di tutti e di nessuno.

Una perla che non si sacrifica per vestire nessuna scollatura poiché solo fino a quando resterà selvaggia potrà conserva-

re la sua bellezza. E lì deve restare, in quello splendido scrigno dove già si trova: Punte Alberete.

“Nature is the supreme example of perfection because even where it is imperfect it is so fascinating as to make us overlookits minor flaws.” Of Romagna’s many environmental treasures, Punte Alberete is without a doubt the place where the divineand the earthly seem to come together in perfect unison. Walking around Punte Alberete, it’s difficult not to be overtaken bya profound sense of rapture at the sight of so much poetical and mystical beauty.The sensation is akin to the awe we feel when we walk into a Baroque church – except here the untamed profusion of form iswholly natural, the smell of moss is as pungent as incense, and the silence invites total absorption in your surroundings. There’ssomething unreal about this place too. It’s like an enchanted forest straight out of Tolkien, where every new season brings anew miracle – a huge, living, ever-mutating work of art. In spring it explodes in a thousand shades of green, with flowers inbloom, new-born fauna and cascading, transparent water; in summer it’s hot and drowsy, the heat sapping the strength fromthe grasses and sucking the water from the streams. In autumn, it covers itself in mystery under a blanket of cloud, itsgreenery fading into warm tones of ochre, russet and brown. Then winter comes, with its frosts that touch the trees with adelicate, weightless whiteness like a bride’s veil.Not a dead trunk rising from the shallow waters, not a dead leave or stone remain excluded from this great spectacle stagedby nature herself. And to add to the theatricality of it all, the religious silence that enhances the sense of rapture felt by theobserver. The whole scene is an enchantment of forms, colours, sweet and mulchy smells, gentle noises that carry withuncanny sharpness over the crystalline air. If you really listen, you’ll soon be able to make out the “splash” of a falling leaf, thedrip of dew, the beating of a bird’s wings.So perfect it all seems, in fact, that you get the feeling that it would all crumble into nothing at the slightest touch; so youwatch, immobile, filled with admiration for a higher creative power. Punte Alberete is obviously a place – or the idea of aplace – where the spiritual side of our natures can breathe in great gulps of air, where the only desire we’re left with is theneed to respect all this beauty that’s been given to us – not to possess but simply to enjoy, and to take from it that sense ofabsolute peace it exudes. Punte Alberete was created by the force of nature alone, and force means conflict. The vegetation,locked in its eternal struggle for light and shade, is simultaneously a city and a necropolis, where the “ruins” of dead trees areevery bit as fascinating as those of classical antiquity.Getting here is now remarkably easy, thanks to modern technology – which for once serves humanity instead of enslaving it.Punte Alberete lies just off the Romea state highway, some 10 km from Ravenna in the direction of Ferrara. A car park islocated conveniently near the entrance. The visitor’s trail is circular, and can only be negotiated on foot. Past the bridge overthe Scolo Fossatone, the trail winds for 3 km through this natural biosphere of unmatchable beauty. It’s one of the fewsurviving examples in Italy of a marsh environment which has evolved into maturity and is now entering its final phase (whichcan be seen a little further away) as a riparian woodland (on the western reaches of the San Vitale pine forest). The tree trunkshere rise from a mirror of water which can be reached via a sluice through which water from the river Lamone is channelled,and which is a vital element in all marshy biospheres. Punte Alberete is one of the biggest biospheres in Italy, together withValle di Mandriole. It’s an integral part of the Po delta nature reserve and since 1968 has enjoyed protected status. Since alllocal fauna is protected, some endangered species have been introduced here, such as the shag cormorant and the red frog.Marsh birds living wild here include the little egret and the heron. The flora of Punte Alberete is unique too, and it too isprotected. Some species are not to be found anywhere else, and there are strict regulations against picking or damaging them.Several species of wild orchids can be found, together with the spring snowflake, the yellow iris, the water lily, the arrowhead,the aristolachia, and the clematis. It’s an enviable natural heritage which it’s our duty to protect – for since it belongs toeveryone, it belongs to no-one. And to protect it means to leave it untouched, for its beauty consists in its wildness and toseparate the two would be to destroy both, the jewel and its setting, which are ultimately the same thing: Punte Alberete.

PUNTE ALBERETE_ NATURE’S CATHEDRAL

O natura felice!

io non so che sia di me, quando sollevo lo sguardo innanzi alla tua bellezza,

ma tutta la gioia del cielo è nelle lagrime ch’io verso innanzi a te,

come l’amante dinanzi all’amata.

Friedrich Hölderlin

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Le Corbusier

09Terr i tor io08 I Sens i d i Romagna

Franco De Pis i s

Dozza dipintastrategico gio ie l lo architettonico

l suo nome, originariamente Ducia, deriverebbe dall’omonimo vocabolo latino altomedioevale, che indicherebbe l’antica presenza

di un condotto destinato a far confluire l’acqua in una cisterna a beneficio delle popolazioni locali. Dal primigenio insediamento,

attraverso le dominazioni galliche e romane, lungo i molteplici passaggi di sovranità in epoca medioevale, la forma architettonica di

questo antico centro si è plasmata fino all’attuale caratteristica forma a fuso, poggiata sul crinale di una collina che domina la valle

del Sellustra, alle porte di Imola. L’integrità dell’originale tessuto edilizio è rimasta intatta, mantenendo la simbiosi tra l’imponente

Rocca e il sottostante insediamento residenziale. Oltre a rappresentare una testimonianza dell’arte, perduta forse oggi dall’uomo, di

edificare i propri abitati in suprema armonia con l’ambiente circostante, Dozza ha saputo nel tempo affinare il proprio patrimonio

estetico vestendo d’arte le sue architetture. Da un’idea di Tommaso Seragnoli, nel 1960 si è tenuta infatti la prima edizione della

Biennale d’arte del Muro Dipinto, una manifestazione settembrina in cui gli artisti dipingono di fronte al pubblico i muri delle anti-

che case. Dagli esordi, la rassegna si è man mano nobilitata grazie alla partecipazione di importanti nomi della pittura, quali ad esem-

pio Sassu, Sughi e Schweizer, trasformando la formula dell’indiscriminata estemporanea d’arte in biennale d’arte moderna, una delle

prime in Italia ad abolire premi e graduatorie per puntare sul primato dell’artista. Scelta che ha fortificato il rapporto diretto tra gli

oltre 200 pittori che hanno partecipato alle 18 edizioni svolte fino ad oggi e la cittadina, trasformando il borgo in un museo en plein

air composto di oltre 90 affreschi, e arricchendo un corpus di opere oggi raccolte e catalogate da un apposito Centro Studi. Alcuni

“strappi” dei dipinti sono conservati nella Pinacoteca allestita all’interno della Rocca, che contiene anche le opere della donazione

Norma Mascellani, ma l’arte non è l’unico patrimonio qui serbato. Anticamente vitale per la risorsa idrica, con il passare dei secoli

Dozza è divenuta preziosa per il vino, dal 1970, nel cuore della Rocca è sorta infatti per iniziativa del Comune, supportato dalla Pro

Loco e da alcuni produttori locali, l’Enoteca Regionale dell’Emilia-Romagna, sancita nel 1978 dalla Regione, tramite un’apposita legge,

lo strumento più idoneo per promuovere il vino regionale sia in Italia che all’estero. La cantina dell’Enoteca ospita una mostra per-

manente. In uno spazio di oltre 1000 metri quadrati sono esposte più di 800 etichette rigorosamente prodotte in Emilia-Romagna, sud-

divise tra tutte le tipologie di vino, selezionate periodicamente da una commissione. Moderno tesoro da salvaguardare per l’antica

struttura fortificata.

I

Nonostante amministrativamente appartenga all’Emilia, dal punto di vista dell’ affinità

culturale Dozza, secondo la geografia dei sentimenti (vedi ee N° 13), può ben dirsi romagnola.

Although administratively it belongs to Emilia, in terms of cultural affinities and emotional geography (see ee issue 13) Dozza is a thoroughly Romagnolvillage. Its original name was Ducia, believed to derive from an early medieval Latin word signifying a conduit which conveyed water into a communal cistern– such a cistern would presumably have existed in the village. From the primitive settlement through its occupation by Gauls, Romans and the many changesof sovereignty in the Middle Ages, the layout of the village has gradually acquired its characteristic tapered shape, perched on the ridge of a hill overlookingthe valley of the Sellustra, not far from Imola. The village has retained all its architectural integrity, with the imposing fortress and the other buildings stillstriking a note of remarkable unity. Dozza is living testimony to the art – which modern society has perhaps lost – of building in harmony with thesurroundings. And a more recent initiative seeks to further enhance the architectural perfection of the village. From an original idea by Tommaso Seragnoli, in1960 Dozza held its inaugural Painted Walls festival, a biennial art show held every September in which artists paint the façades of the houses of the village.From humble beginnings the event has slowly grown into a major festival, thanks to the participation of prestigious artists including Aligi Sassu, Alberto Sughiand Riccardo Schweizer. Early editions were all about improvisation, and it’s this spirit which has helped establish the festival as a leading showcase for modernart. It was one of the first art festivals in Italy to abolish the shortlist-and-prize-winners blueprint to place the emphasis on the artist at work. It’s a formulawhich has strengthened the ties between the village and the participating artists – over 200 in the 18 festivals held to date – who every two years transformDozza into a giant open-air art gallery with as many as 90 wall paintings. A Study Centre has been specially created to conserve and catalogue the works.Other “scraps” of painting are conserved in the art gallery contained in the fortress, where works donated by the painter Norma Mascellani can also beadmired. But paintings aren’t the only treasure found in this hilltop village. Formerly of strategic importance for its water supply, over the centuries Dozza hasbecome more important for its wine. In 1970, on the initiative of the municipal authorities and with the support of local producers and the local Pro Locoassociation, the fortress became home to the Regional Wine Gallery of Emilia-Romagna. The gallery was given official protection in 1978 with legislation onthe promotion of regional wines throughout Italy and abroad. The gallery features a permanent exhibition: a 1000 m2 showcase of over 800 different wines,each and every one of them produced in Emilia-Romagna, classified by type and regularly selected by a specially-appointed committee. A modern treasureguarded behind the walls of the old fortress.

PAINTED DOZZA_ TREASURES ON THE HILLTOP

L’architettura è

un fatto d’arte,

un fenomeno

che suscita

emozione, al di

fuori dei problemi

di costruzione,

al di là di essi.

La Costruzione è

per tener su:

l’Architettura è

per commuovere.

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10 I Sens i d i Romagna 11Stor ia

omincia dal nulla, e cresce sempre di più, nei campi un assordante concerto eseguito da una invisibile e anonima orchestra sto-

nata a più non posso: sono campanacci di mucche, coperchi e piatti metallici, pentole, secchi, bidoni percossi, corna di bue

bucate nella punta che emettono potenti ululati.

Si aggiungono, ogni tanto, gli urli di invasati, in dialetto naturalmente, che traduco: “Cornuto, becco!” è il ritornello. Ma con

varianti come: “Arcibecco!” e ancora: “Becco ribattuto!”. E romanze come “Se i becchi avessero le corna saremmo tutti ciechi!”,

oppure “Se i becchi facessero lume non sarebbe mai notte!”. La chiassosa, forsennata processione si dirige verso una casa isolata.

I cani di guardia, impazziti, abbaiano furiosamente. D’improvviso si spalanca una finestra e, con due lampi, esplodono secchi i

colpi di un fucile da caccia. Attimi di terrore. I musicanti si dileguano col cuore in gola. Ritorna sovrano il silenzio.

Quella fu l’ultima “tampellata” che si ricordi nel faentino. Ho detto “tampellata” (tamplêda in dialetto), perché così era chiamata

questa selvaggia, beffarda, crudele processione notturna, questa chiassosa liturgia pagana che si faceva per dileggio ai becchi in

tutta la Romagna. Quando in chiesa si celebrava il matrimonio di due sposi avanti negli anni o magari vedovi, chissà perché, ma

la “tampellata” era inevitabile. A volte accompagnava addirittura la funzione sacra. I due tardivi candidati al matrimonio, che sape-

vano cosa li aspettava, oltre a tenere nascosto più possibile il momento della cerimonia, sceglievano le ore più antelucane per sfug-

gire a quell’indecoroso concerto “sinfonico”. Ma, ahiloro, quasi mai ci riuscivano.

Spesso la “tampellata” veniva eseguita l’11 novembre, il giorno della festa liturgica di San Martino (vedi ee N° 0), da tempo imme-

morabile considerata anche la festa dei cornuti, giorno nel quale si beveva il vino nuovo e si mangiavano le castagne arrostite.

Non solo. La sera si organizzavano le “corse dei becchi” per stabilire chi era il più cornuto tra i concorrenti, ma i partecipanti erano

gente di spirito, che stava allo scherzo. Gli sfottò si sprecavano, oltre alle bevute, oltre alle ubriacature.

La faccenda diventava antipatica quando, con la “tampellata”, si pensava di sfottere pubblicamente qualcuno che non era “uffi-

cialmente cornuto”. Anzi, il prescelto poteva avere la moglie più seria del mondo. Magari era detestato per un certo suo modo di

comportarsi. E allora, al buio, ecco la sgangherata processione dirigersi verso la sua casa. Se capitava in un paesino, il codazzo si

ingigantiva. E il chiasso finale era imprevedibile.

Oggi non si ha notizia di moderne “tampellate”, ma non si può certo escludere che simili iniziative possano ancora avvenire in

qualche sperduto borgo, di certo, infatti, né i promotori né i danneggiati avrebbero interesse a farsi pubblicità alla luce del sole.

C

Notte fonda dell’11 novembre di un cinquantina di anni fa in Romagna, nella campagna tra

Faenza e Forlì; è la notte di San Martino.

The setting was Romagna, somewhere in the countryside between Faenzaand Forlì; and the time was late in the evening of Martinmas – 11 November.It begins from nothing and rises in a deafening crescendo – across the fieldscomes the frightful din of an invisible and anonymous “orchestra”, with apercussion section made up of cowbells, metal plates and lids, pots and pans,buckets and milk churns, and a woodwind of hollowed-out bull’s horns thatwail terribly when blown. Every few moments comes the shriek of a possessedsoul – uttered in dialect, of course, but which we can translate as “Cuckold,billy-goat” (the refrain) and variations such as “Cuckold among cuckolds!” or“Billy-goat reject!” There are more complex locutions too, in the form of folkproverbs: “If cuckolds had horns we’d all be blind!” or “If cuckolds were lightsit would never be dark!” And on the rowdy uproarious procession goes,winding its way to an isolated house in the countryside. As it arrives, dogsbark furiously. Suddenly a window is thrown wide open and with two quickflashes a shotgun goes off, one barrel after the other. For a moment, theprocession is frozen in terror: then the “musicians” take off in every direction,fear at their heels. And once again, all is silent.The above is an account of the last tampellata known to have taken place inthe countryside around Faenza. The tampellata (tamplêda in the local dialect)was the name given to this cruel and barbaric night procession, a rowdy paganritual which poured scorn and derision on its victim: the cuckold. The pretextswere various – the marriage of a couple who could not exactly be described asyoung, or even worse, of a widowed couple, would inevitably be followed by a

tampellata. Or not always followed, for on occasion the tampellata took placeduring the wedding mass itself. Knowing the ordeal that awaited them, oldercouples who planned to marry would keep the date of their wedding a secret,and afterwards escape in the dead of night in an attempt to evade thesymphony of derision. They rarely succeeded.Naturally, a favourite date for the tampellata was 11 November, the feast ofSt Martin (see ee issue 0), when the tradition is to drink new wine and eatroast chestnuts, and which since time immemorial has been considered theday of the cuckold. And the tampellata was not the only ritual dedicated tothese unfortunates: in the evening “cuckold races” were held to determinewho was the biggest cuckold of all, although the participants in these racesusually entered for a lark. There followed an evening of leg-pulling, boozingand drunkenness. With the tampellata, though, things could turn ugly,especially when the idea was to heap public derision on a victim not yet“officially” a cuckold, and even if his wife was the most respectable woman inthe world. The real reason for the persecution might have been somethingelse: the victim’s behaviour may have been giving offence, for example. Andso, under cover of darkness, the crazy posse made its way to his house. To afrightened peasant, the mob would have appeared bigger than it really was,and the final, uproarious outcome was always unpredictable.Although it’s been years since the last report of a tampellata, it’s still possiblethat a similar ritual survives in a remote village somewhere – neither theperpetrators nor the victims would wish the event to be made public, after all.

THE “TAMPELLATA”_ PERSECUTION, OLD STYLE

Giul iano Bettol i

La “tampellata”ant ica process ione persecutor ia

Tradimento piace assai, traditor non piace mai.

Antico proverbio popolare

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foto d’archivio

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12 I Sens i d i Romagna

Stefano Borghes i

Linea Goticae gl i a l t r i f ront i in Romagna nel la bufera del la guerra

apprima le creste appenniniche, poi la pianura, resa insidiosa dalle colture intensive e dal susseguirsi parallelo di molteplici fiumi,

misero a dura prova le macchine da guerra e combattenti pur addestrati ed esperti.

Dopo la liberazione di Firenze nell’estate del ’44 c’era ad attendere gli alleati, nella risalita dello stivale, la linea difensiva voluta dal

Fürer, denominata simbolicamente “Linea Gotica”: una fortezza del nazismo che avrebbe dovuto impegnare la Wermacht in una tena-

ce resistenza. Essa si stendeva lungo tutta la dorsale appenninica da Pesaro a Massa. Gli alleati, che dovevano infrangerla per accede-

re alla pianura padana (Bologna era tra i principali obiettivi), avevano schierato sul fronte romagnolo l’8a Armata britannica, affian-

cata dal 5° Corpo d’Armata americano del generale Mark Clark nel settore imolese e bolognese. L’8a Armata era una fusione di solda-

ti di diverse nazionalità sotto il comando, dall’ottobre del ’44, del generale Richard McCreery. Il 25 agosto essa sferrò il primo attacco

alla Linea Gotica tra i fiumi Metauro e Foglia. Il 3 settembre superava il fiume Conca: per le difese tedesche si profilava la perdita di

controllo del settore adriatico. La strategia alleata si basava su una serie di attacchi in settori diversi per logorare la resistenza del nemi-

co e tenerlo nell’incertezza. Particolarmente cruenta fu la battaglia di Gemmano, un caposaldo tedesco ricordato come una seconda

Cassino. Tra i protagonisti dell’assalto furono gli Indiani del 5° Corpo britannico, che il 14 settembre conquistarono all’arma bianca il

paese completamente distrutto. Il 20 settembre gli inglesi entrarono nella Repubblica di San Marino, liberandola dai tedeschi, che ave-

vano violato la sua neutralità invadendone il territorio. Il giorno successivo anche Rimini venne liberata. Da parte alleata si andava

avanti speditamente e si aveva fiducia di arrivare alla valle padana prima dell’inverno. Hitler non avrebbe mai voluto vedere infranta

la Linea Gotica. Ma la possibilità di una vittoria nemica balenava sinistramente agli occhi dello stato maggiore della Decima Armata

di von Vietinghoff.

D

Dall’autunno del 1944 alla primavera del 1945 la Romagna fu teatro di battaglie decisive per

la vittoria degli alleati nella logorante campagna d’Italia.

13Stor ia

In guerra, la prima vittima è la verità.Gustav Hasford

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15Stor ia14 I Sens i d i Romagna

Fin dal giugno ’44 le truppe alleate erano in contatto con le formazioni partigiane attive in Romagna: l’8a Brigata garibaldina, la 28a

garibaldina “Gordini” di Ravenna, la 36a garibaldina “Bianconcini”, il battaglione Corbari. La grande espansione partigiana dei mesi

estivi fu molto temuta dai tedeschi. Per Kesserling, comandante delle truppe germaniche in Italia, l’eliminazione di quel pericolo era

di capitale importanza. Dura, pertanto, fu la repressione della Resistenza con il coinvolgimento di SS tedesche e di reparti fascisti della

Repubblica Sociale Italiana. Rappresaglie, azioni delittuose, case e chiese bruciate seminarono ovunque odio e lutti laceranti.

Contemporaneamente alla battaglia per Rimini le forze americane di Clark sfondarono la Gotica nell’Appennino centrale, assicuran-

dosi i passi della Futa e del Giogo. In un successivo attacco in direzione di Imola si trovarono impegnate ad espugnare alture strate-

giche, fra le quali Monte Battaglia, tra le valli del Senio e del Santerno, coronato dalle rovine di una rocca medievale. Dal 26 al 28

settembre ’44 un’altra piccola Cassino doveva così mettere duramente alla prova i combattenti di ogni parte. La battaglia, assai aspra

e sanguinosa, si concluse con la vittoria alleata, grazie anche al contatto tattico degli americani con i partigiani della 36a Brigata gari-

baldina. Nonostante la conquista del monte, il piano di Clark dovette rientrare: le prospettive non erano ancora favorevoli al rag-

giungimento di Imola e di Bologna. Nel frattempo si affievoliva anche il tentativo dell’8a Armata di un’offensiva dall’Adriatico per rag-

giungere Bologna da est. Lasciata Rimini alle spalle, gli alleati arrivarono a Cesena il 20 ottobre. In pieno autunno le operazioni di

guerra furono fortemente ostacolate da un maltempo incessante. La Romagna era diventata un mare di fango: fiumi in piena, ponti

interrotti, un terreno disadatto al movimento celere. Si dovettero aspettare il 9 novembre e il 4 dicembre per arrivare rispettivamente

a Forlì e a Ravenna. Dopo la battaglia del Lamone, Faenza venne liberata il 16 dicembre. Natale veniva a spegnere la speranza di una

liberazione promessa per la fine dell’anno. Gli alti comandi rinviarono la decisione di concludere la campagna. Il fronte si assestò lungo

il corso del fiume Senio sostandovi per oltre tre mesi. Ne pagarono le conseguenze popolosi centri abitati del Ravennate sottoposti a

logoranti bombardamenti, che mieterono molte vittime anche tra i civili. Subirono una distruzione pressoché totale Casola Valsenio,

Riolo Terme, Castel Bolognese, Solarolo, Cotignola, Fusignano, Alfonsine. Occorse attendere la primavera del ’45 per l’offensiva fina-

le. Il 10 aprile venne sferrato l’attacco decisivo su tutto il Senio. I tedeschi avevano schierato i loro temuti paracadutisti. L’8a Armata

entrò in azione insieme con la XII Brigata ebraica e i Gruppi “Cremona” e “Friuli”, che erano tra le prime unità del risorto esercito ita-

liano. Il fronte venne vittoriosamente sfondato dagli alleati nei settori di Riolo Terme e di Alfonsine. La successiva fase di insegui-

mento dei tedeschi in ritirata consentì la liberazione di Bologna. Il 25 aprile tutta l’Italia era libera.

From autumn 1944 to spring 1945, Romagna was the scene of some decisive battles inthe hard-won victory of the Allies’ Italian campaign. First the crests of the Apennines, thenthe plain, which intensive cultivation and a succession of rivers running in parallel made farmore treacherous than it appeared – breaking the Gothic Line was a tough test even for themost battle-hardened troops. After the liberation of Florence in the summer of 1944 the next obstacle facing the Allies asthey ascended the boot of Italy was the Nazi forces’ last and strongest line of defence. TheGothic Line marked the frontier of a region where support for fascism was strong, and theWehrmacht could therefore be expected to put up fierce resistance. It ran right across Italyfrom Pesaro to Massa, and the Allies had to pierce it if they were to get to the Po valley(Bologna was one of their principal objectives). In Romagna, the Adriatic front was mannedby the British 8th Army, while the United States 5th Army, under the command of GeneralMark Clark, held the Imola and Bologna sectors. The British 8th Army was a conglomerationof troops of various nationalities, and from October 1944 was led by General RichardMcCreery. The first assault on the Gothic Line took place on 25 August, between the riversMetauro and Foglia. On 3 September, the Allies crossed the river Conca: a serious setback forthe German forces, who now looked likely to lose the Adriatic front. The Allied strategy wasto pepper the offensive across the various fronts in an attempt to wear down the resistanceof the German forces by keeping them in a permanent state of uncertainty. One particularlybloody battle was fought at the Nazi stronghold of Gemmano, often remembered as asecond Cassino. Among those involved in the fighting were the Indian Infantry Division ofthe British Army’s V Corps, which on a bayonet charge on 14 September finally secured thevillage – by then completely destroyed – for the Allies. On 20 September the British forcesliberated the Republic of San Marino, which the Germans had occupied in violation of theterritory’s neutrality. Rimini was liberated the next day. The Allies were now advancingrapidly, and hoped to reach the Po valley before winter. The shattering of the Gothic Linewas a serious blow to Hitler, and the possibility of an Allied victory was now looming largefor the German 10th Army and its commander, Heinrich von Vietinghoff.By June 1944 the Allied forces had made contact with Italian resistance cells active inRomagna: the 8th Garibaldi Brigade, the 28th “Gordini” Garibaldi Brigade of Ravenna, the36th “Bianconcini” Garibaldi Brigade, and the Corbari Battalion. This resurgence of the localresistance in the summer months was a serious threat to the German forces. For AlbertKesserling, commander of the German forces in Italy, the elimination of the Resistance wasof capital importance. And so it was brutally repressed, with the participation of the GermanSS and the fascist cells of the Italian Social Republic. There were reprisals, crimes, housesand churches put to the torch, and hatred and harrowing struggle. While the battle forRimini was raging, the American forces under Clark broke through the Gothic Line in thecentral Apennine front, securing the passes of Futa and Giogo. Pushing towards Imola, theAmericans then stormed strategic high points such as Monte Battaglia, between the valleysof the Senio and the Santerno, topped by the ruins of a medieval castle. From 26 to 28September 1944 Allies and Axis were engaged in some of the fiercest fighting since Cassino.The battle was harsh and bloody and was eventually won by the Allies, due partly to tacticalcoordination between the American forces and the partisans of the 36th Garibaldi Brigade.Despite the conquest of the mountaintop, however, Clark’s plans stalled: the prospects ofreaching Imola and Bologna were not yet favourable. Meanwhile, the British 8th Army’sAdriatic offensive, an attempt to reach Bologna from the east, was also beginning to runout of steam. Leaving a newly-liberated Rimini behind them, the Allies advancednorthwards, reaching Cesena on 20 October. But by now the weather had turned foul andwas seriously hampering military operations. Romagna had turned into a quagmire, withrivers in spate, bridges destroyed, and rapid movement completely impossible in all the mud.Forlì and Ravenna were not reached until 9 November and 4 December respectively. Faenzawas liberated on 16 December, after the battle of the Lamone. By the time Christmas came,hopes of liberation by the end of the year had faded away. Both sides dug in and waited forthe weather to improve. For over three months, the front followed the course of the riverSenio. Local towns were extensively damaged by incessant bombardments, and civiliancasualties were high. Towns such as Casola Valsenio, Riolo Terme, Castel Bolognese, Solarolo,Cotignola, Fusignano and Alfonsine were almost completely destroyed. At last, in spring1945, came the final offensive. On 10 April the Allies launched a decisive assault all alongthe Senio. The Germans, meanwhile, had deployed their feared paratroopers. The British 8thArmy fought alongside the 12th Jewish Brigade and the Cremona and Friuli Groups, whichwere among the earliest units of the resurgent Italian army. The Allies finally managed tobreak through the front at Riolo Terme and Alfonsine. As the German forces retreated withthe Allies hot on their heels, Bologna was finally liberated. By 25 April, all Italy was free.

THE GOTHIC LINE_ AND THE THEATRE OF WAR IN ROMAGNA

La guerra

per me,

significava

proiettili

rombanti

e schegge

d’acciaio;

soprattutto

significava

fango,

pidocchi,

fame

e freddo.

George

Orwell

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17Stor ia16 I Sens i d i Romagna

Manl io Rastoni

Il Triangolo Maledettofenomeni non ident if icat i in Adr iat ico pprendiamo, infatti, dall’opera di Tito Livio che sin dal tempo dei Romani si osservavano strane formazioni luminose, pulsan-

ti, statiche od oscillanti, innalzarsi dalle acque dell’Alto Adriatico. Le stesse apparizioni presero, nel Medioevo, il nome di

“Madonne dei lumi”. Difficile dare una definizione del fenomeno, si è tuttavia osservato che le luci seguono una direzione prefe-

renziale N/NE, presentando picchi di visibilità in gennaio, agosto e settembre. L’ultima manifestazione eclatante di questi ed altri

simili fenomeni risale all’inverno del 1978. Fra novembre e dicembre, nel tratto di mare tra Pescara e Pesaro, furono avvistati globi

color rosso chiaro uscire dai flutti puntando verso il cielo, nella zona di Bellaria migliaia di spettatori assistettero alle evoluzioni

di tre grossi corpi luminescenti oblunghi, che il fotografo Elia Faccin riuscì anche ad immortalare. A San Benedetto del Tronto

alcuni marinai sostennero di essersi trovati in mare circondati da colonne d’acqua alte anche 20 metri. Il navigatore Carlo

Palestrini avvistò sul mare in bonaccia una grande macchia bianca, alta 40/50 metri e larga quasi un chilometro, che sembrava

unirsi al cielo. Lo stesso fenomeno, preceduto da un lampo rosso, fu descritto da Roberto Cinchella del peschereccio Padre Pio.

Persino la Capitaneria di Porto ammise ufficialmente che la motovedetta CP 2018 avrebbe notato in perlustrazione un globo lumi-

noso salire dal mare e alzarsi, a circa 45° verso il cielo, mentre sul posto non si trovavano imbarcazioni o segni di SOS. I fratelli

Scordella, imbarcati sul motopeschereccio Trozza di base a Pescara, si ritrovarono improvvisamente trascinati al centro di un gorgo

che per miracolo non travolse il loro natante, mentre il mare, piatto, ribolliva. Sorte peggiore toccò ai fratelli Vincenzo e Giacomo

De Fulgentiis, di 32 e 34 anni, che, usciti a pesca al largo di Montescuro, nonostante il mare tranquillo, furono trovati cadaveri a

circa venti metri di profondità, morti nel naufragio della loro imbarcazione, rinvenuta capovolta, ma inspiegabilmente intatta.

Durante tutti questi avvistamenti si riporta che le bussole e le apparecchiature radio e radar, civili e militari, “impazzivano” tem-

poraneamente. Tutti i giornali parlarono diffusamente di questi ed altri similari avvenimenti, tra le tesi propugnate: quella del-

l’attività metanifera sul fondo, delle armi segrete militari e, naturalmente, quella degli UFO; tutte indimostrate. Trent’anni dopo, i

moderni geologi, astronomi, militari e ufologi devono dunque concordare di saperne oggi ben poco di più delle genti che antica-

mente edificarono sulle alture di questo tratto di costa i numerosi santuari dedicati alle cosiddette “Madonne dei lumi”.

A

Dal 1800 la zona di mare denominata Triangolo delle Bermuda è ascesa agli onori delle

cronache mondiali per gli inspiegabili eventi che vi si manifestano, meno notorio è il

fatto che simili fenomeni si riscontrano in Adriatico, al largo del tratto di costa

compreso tra Romagna, Marche ed Abruzzo, fin dal 17 d.C.

For centuries, the Bermuda Triangle has been globally notorious for the many inexplicable events said to have taken placethere. What few people know is that similar phenomena have been recorded in the Adriatic, over a stretch of coastline rangingthrough Romagna, Marche and Abruzzo. The earliest reference to our very own “Devil’s Triangle” dates from 17 AD.From no lesser an authority than Livy, in fact, we know that as early as Roman times strange formations of light – pulsing,shimmering, stationary or moving – have been observed in this stretch of the Adriatic. During the Middle Ages, these“apparitions” became known as the “Our Ladies of the Lights”. Although the phenomenon is difficult to describe, the lights dotend to move in a north/northeasterly direction, and are most visible in January, August and September. The most recent majormanifestation of the lights was in the winter of 1978. Between November and December, at various sites all the way fromPescara to Pesaro, pinkish-red globes of light were seen to ascend skywards from the water. In Bellaria, thousands of spectatorswitnessed the appearance of three large oblongs of light, which were recorded for posterity by photographer Elia Faccin. In SanBenedetto del Tronto, a boating party claimed to have been surrounded by 20-metre-high columns of water. Yachtsman CarloPalestrini saw an enormous white wall, a kilometre long and 40-50 metres high, rise out of a perfectly calm sea and meld intothe sky. The same phenomenon, accompanied by a flash of red lightning, was described by fisherman Roberto Cinchella onboard his craft, the Padre Pio. Even the local port authorities have officially admitted to strange goings on: while out on patrol,the crew of one of their motor launches saw a ball of light emerge from the sea and rise skywards at an angle of 45° to thehorizon. No other vessels were present in the zone; and no SOS signals had been sent out. While out on their Pescara-basedmotor launch, the Trozza, two fishermen, the Scordella brothers, suddenly found themselves sucked into a whirlpool as apreviously calm sea erupted in seething foam all around them. Miraculously, they escaped sinking. Not so fortunate wereanother pair of brothers, Vincenzo and Giacomo De Fulgentiis, aged 32 and 34. They were last seen setting out on a fishing tripoff the coast of Montescuro. Although conditions that day were good, they were later found entombed in their own boat 20metres under the sea. It had capsized, but was otherwise strangely undamaged. One common denominator in all these eventswas that all on-board navigation equipment – compasses, radio and radar – on both civilian and military craft acted “bizarrely”for a time. Events so strange were bound to attract media attention, and theories abounded: methane vents on the sea bed,secret weapons testing and, naturally, UFOs. None was ever proved. And now, thirty years on, the geologists, astronomers,weapons experts and ufologists that studied the mystery known scarcely any more about it than the local communities who inthe Middle Ages erected along this stretch of coastline so many chapels dedicated to Our Ladies of the Lights.

THE DEVIL’S TRIANGLE_ OF THE ADRIATIC

Evelyn Waugh

È un istinto naturale il ritirarsi davanti all’ignoto.

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19Pass ioni18 I Sens i d i Romagna

Valent ina Santandrea

Meteorologia popolare romagnolauna sc ienza tradiz ionale meno rudimentale d i quanto non s i pens i

n mancanza di serre che producessero remunerativa verdura fuori stagione, era l’uomo ad adattare le proprie attività e i propri gusti

ai cicli naturali, e le stagioni procuravano croci e delizie ai contadini, ignari di molte delle dinamiche meteorologiche. Ecco allora

che in Romagna, terra tradizionalmente contadina, si rendeva vitale l’osservazione costante di quelli che venivano considerati segna-

li del tempo che sarebbe stato, assieme con la speranza di orientare, attraverso riti e preghiere, precipitazioni e soleggiate.

Era il sagrestano che per primo annunciava lo stato del cielo: un rintocco all’alba segnalava sole; due, nuvole; tre, pioggia; quattro,

neve; cinque, nebbia, con varianti “parrocchiali”. Il contadino, dal canto suo, si preoccupava di scandagliare i segnali del cielo. Alcuni

indizi si prestavano a pronostici ben precisi: rigorosamente dialettali e rimati, venivano tramandati oralmente di padre in figlio come

un frammento prezioso dell’atavica sapienza che avrebbe sfamato le generazioni a venire. Il sole pallido come un “tizzone spento”, era

indizio di pioggia sicura: “Quand e’ sol e’ fa e’ tez, tent’ aqua dov ch’la s’met” (quando il sole sembra un tizzone, pioverà tanta acqua

da non potersi contenere), recitava il saggio, che riteneva anche particolarmente attendibile il tramonto del giovedì: “se la zoiba e’ sol

u insaca e n’gnè sabti senza aqua” (se il giovedì il sole si insacca, non c’è sabato senz’acqua). Oggetto di secolari osservazioni anche

il cielo notturno, che forniva previsioni più empiriche e altre più “scientifiche”, documentate negli almanacchi, di grande popolarità

tra chi sapeva leggere: è nota la fortuna del faentino “Luneri di Smembar” (vedi ee N° 5), dal 1845 ininterrottamente diffuso. Compito

dell’azdora (donna di casa) era invece, decifrare i “segni” del focolare: se il fuoco presentava bagliori azzurri, il bel tempo era certa-

mente in arrivo. Il fumo che usciva dal comignolo, invece, era spia di umidità nell’aria, e dunque di pioggia imminente, se si dirigeva

verso il basso. Contro la furia degli elementi, alcuni antichi rituali di matrice pagana, unitamente alla fede nella divina provvidenza,

sedavano almeno gli animi: contro la grandine, ad esempio, era di grande utilità lo spargimento nei campi delle ceneri del ceppo nata-

lizio, noto come e’ zoch. Similmente, un paio di “schioppettate” (scariche di fucile) rivolte verso il cielo, sembravano inibire le saette

funeste. Se oggi tanta furia pare una risibile superstizione, basta consultare qualche anziano esemplare per saggiare come l’appren-

sione procurata da un meteo capriccioso tradisse una giustificata paura della fame, evento allora non raro presso realtà vulnerabili

come quella rurale dei nostri avi. Accadde persino che, in situazioni di grave siccità, le rogazioni collettive fossero ordinate addirittu-

ra dal sindaco.

I

Ci fu un tempo in cui la perfezione del disegno cosmico condizionava le umane faccende assai

più della televisione, e l’agricoltura era biologica per necessità.

There was a time, not so long ago, when the perfection of the cosmos influenced human affairs far more thantelevision, and when agriculture was organic because it had no choice. With no greenhouses to grow vegetables out ofseason, society had to adapt its activities to the rhythms of nature – the seasons that brought both joy and sorrow to thepeasants, ignorant as they were of the causes of many meteorological phenomena. In a traditionally rural region likeRomagna, the “signs” which pointed to the coming weather were monitored constantly, and there were rituals and prayersdesigned to bring rain or make the sun come out. In the rural communities, the sacristan of the local church would be thefirst to announce the state of the weather: one toll of the church bell at dawn signified sun; two, clouds; three, rain; four,snow; and five, mist – although this system often varied from one parish to another. The peasants, meanwhile, would scanthe heavens for signs of the coming weather. With some signs, the prognosis was quite precise: rhymed and articulated inthick dialect, they were passed from father to son as precious fragments of an age-old wisdom that would keep hungerfrom the door of future generations. A sun as pallid as a dying ember was a sure sign of rain: Quand e’ sol e’ fa e’ tez, tent’aqua dov ch’la s’met (“When the sun looks like an ember, it will rain so much that no-one will know where to put all thewater”), went one refrain. Thursday’s sunset was particularly reliable in its signs: Se la zoiba e’ sol u insaca e n’gnè sabtisenza aqua (“If the sun sets in a clear sky on Thursday, there’s no Saturday without water”). The long-observed night sky,meanwhile, yielded more empirical and “scientific” forecasts which were documented in the almanacs, widely read by thosewho knew how: one Faentine almanac, Luneri di Smembar (see ee issue no. 5), has been published without interruptionsince 1845. Housewives too had their part to play in the weather forecasting game, by reading the signs of the hearth fire:if the fire gave off blue flames, the good weather was on its way. The smoke which came out of the chimney also held itsmessage – if it drifted downwards it was a sign of humidity in the air, and therefore portended rain. Against the fury ofthe elements there were ancient rituals whose roots lay in pagan times, and which were incorporated into the faith indivine providence as a means of soothing anxiety: to prevent hail, for example, it was recommended to scatter the ashes ofthe Yule log, known in the dialect as e’ zoch, in the fields. Similarly, lightning could be warded off by firing a couple ofrifle shots into the sky. And if all this behaviour seems ridiculously superstitious nowadays, we need only talk to an oldermember of the community to appreciate how the anguish caused by fickle weather betrayed a well-grounded fear ofhunger: a scourge which was not unknown in the rural environments of our grandmothers and grandfathers. In times ofserious drought, the local mayor would even call the community together to collectively pray for rain.

FOLK METEOROLOGY IN ROMAGNA_ A TRADITIONAL SCIENCE THAT ISN’T AS PRIMITIVE AS YOU MIGHT THINK

Non si conosce a fondo una scienza finché non se ne conosce la storia. Auguste Comte

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21Pass ioni20 I Sens i d i Romagna

lla fine del 1800 Emilio Rosetti, studioso della Romagna e della sua cultu-

ra, elencava una decina di balli popolari: gavetla, manfrena, saltarel, furlana,

trescone, padovana. A questi, che potremmo definire “tradizionali” o “staccati”

per l’assenza di contatto tra i ballerini, Rosetti aggiungeva poi tre balli più

moderni, portati dai mutamenti sociali e dal declino dell’aristocrazia: valzer,

polka e mazurka. Nella seconda metà dell’Ottocento, le composizioni di Carlo

Brighi (1853-1915), detto Zaclén (anatroccolo), unirono con spontaneità l’anti-

co ballo saltato delle aie di campagna con il valzer dei saloni viennesi (vedi ee

N° 1) e sono oggi considerate il nucleo originario da cui in seguito ha tratto

ispirazione il moderno ballo liscio. Ma il vero artefice e il più grande interpre-

te della musica folkloristica romagnola è stato Secondo Casadei, classe 1906.

Grazie al suo innato talento, alla passione e alla dirompente vitalità, Casadei

passava dal debutto in orchestra con Emilio Brighi, figlio di Carlo, alla crea-

zione nel 1928 di un “complesso” tutto suo, che trionfando nella cosiddetta

“Disfida della Fratta”, storica tenzone musicale decisa dagli applausi del pub-

blico, tenutasi proprio contro Brighi e altre due famose orchestre, venne con-

sacrato il migliore dell’epoca. Nei primi anni ’30, dava origine al filone della

canzone dialettale romagnola. Famose diventeranno: “Burdèla Avèra”, “Un bès

in biciclèta”, “Balé burdèli” e tante altre. Si ballava di solito nei circoli, ma i

più poveri dovevano adattarsi ai vecchi magazzini e alle aie; c’era infine la

sala da ballo “popolare”, detta anche “è camaròn” o “piscaza”. Delio Ricci, leg-

gendario ballerino (oggi ultranovantenne), racconta che i pavimenti spesso

erano di mattoni rossi e l’illuminazione fornita da lampade a petrolio.

L’orchestra veniva messa su palchi molto alti per compensare la mancanza di

amplificazione e la polvere rossa che si formava durante il ballo saliva verso

l’alto, aggiungendosi al fumo delle lampade, così, come diceva lui, “u la

magnèva tota quenta l’urchestra” (la mangiava tutta l’orchestra). Il fascismo

esaltò il liscio per contrastare l’influsso della cultura musicale d’oltreoceano,

poi, con la guerra, i permessi vennero ritirati, e solo nel 1944 a Cesena si rico-

minciò a ballare nella sala del famosissimo Hotel Leon D’Oro. Con il dopo-

guerra, però, ciò che era definito “tradizionale” iniziò ad essere considerato

vecchio e il ballo liscio romagnolo diventò un genere “di nicchia”. Oggi le

logiche discografiche hanno prodotto un fenomeno di “osmosi” dalle realtà

provinciali alla grande città, con un impoverimento del “locale” in tutte le

espressioni musicali, eppure nelle campagne romagnole ancora sopravvive la

radicata passione per la musica “delle aie”.

A

Cercare tracce tangibili della musica di un territorio

attraverso i secoli non è semplice, soprattutto quando

si tratta di musiche popolari ballate nelle campagne,

di cui scarse sono le documentazioni scritte.

Ci vuole saggezza per comprendere

la saggezza. La musica non è nulla

se il pubblico è sordo.

Walter Lippermann

I ta lo e Vanna Graz iani

Musiche tradizionaliin Romagna

cos ì come suonano, cos ì s i ba l lano

Finding tangible traces of the musical history of a territory is no easy task, especially when the music in question was a rural phenomenon for which fewdocumentary records exist. In the late 19th century the scholar Emilio Rosetti, an expert on Romagna and its culture, listed among the folk dances of the region thegavetla, the manfrena, the saltarel, the furlana, the trescone and the padovana. To these dances, which we might define as “traditional” or “hands free” owing to theabsence of physical contact between dancers, Rosetti added three more recent dances which had been taken up as a result of changes in society and the decline of thearistocracy: the waltz, the polka and the mazurka. In the second half of the 19th century, the compositions of Carlo Zaclén (“Duckling”) Brighi (1853-1915) achieved aspontaneous fusion of the “leaping dance” of the threshing floor and the waltz of the Viennese salons (see ee issue 1). These compositions are now seen as the origin ofthe modern ballroom dance. But the greatest creator and exponent of Romagnol folk music was Secondo Casadei (b. 1906). A man of great natural talent, passion andexuberant vitality, Casadei made his professional debut in an orchestra with Emilio Brighi (the son of Carlo) before creating his own ensemble in 1928. This went on towin the Disfida della Fratta, a musical contest in which the victorious performers were decided by the strength of public applause, against competition from Brighihimself and two other well-known orchestras, to establish itself as the best orchestra of its day. In the 1930s, Casadei’s orchestra was instrumental in disseminatingsongs composed in the Romagnol dialect. Famous compositions included Burdèla Avèra, Un bès in biciclèta, and Balé burdèli. These songs would typically be danced toin unassuming village halls, although poorer strata of society also held dances in old barns and threshing floors; there was also the “popular” ballroom known in thedialect as è camaròn or piscaza. Delio Ricci, the legendary dancer now in his nineties, recalls that the dance floor was often of red brick, with oil lamps providingillumination. The orchestra would occupy a very high stage to compensate for the absence of amplification, and as the feet of the dancers scuffed the bricks a cloud ofred dust rose into the air, mixing with the smoke from the lamps until, as Ricci, remembers, u la magnèva tota quenta l’urchestra (“the whole orchestra ate it”). The fascists exalted the ballo liscio in an attempt to counter the influence of American music, but with the outbreak of World War II ballroom permits were withdrawn,and there would be no more dancing until 1944, when it was revived in the ballroom of the famed Leon D’Oro hotel in Cesena. After the war, what had previously beenconsidered “traditional” began to be seen as “old-fashioned”, and the ballo liscio became something of a niche genre. Nowadays, the imperatives of the music industryhave instituted a sameness in musical preferences which affects small towns and big cities alike, with all “local” forms of musical expression consigned to second-ratestatus. In rural Romagna, however, a deeply-rooted passion for the music of the threshing floor still survives.

TRADITIONAL MUSIC IN ROMAGNA_ DANCED THE WAY IT SOUNDS

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23Enogastronomia22 I Sens i d i Romagna

Car lo Zaul i

Tenuta Santiniverso i l r i scatto d i un ant ico retaggio

ui la presenza di vitigni autoctoni è testimoniata dal rinvenimento di tralci e frutti risalenti addirittura al

Paleolitico, mentre le prime attestazioni certe di viticoltura sono datate al VI secolo a.C. Proprio su queste

alture, in borgata Passano, si snodano i filari ordinati sui 22 ettari vitati della Tenuta Santini, sovrapponendo

le proprie geometrie ad un angolo di territorio che anche la presenza di una piccola base missilistica smilita-

rizzata ha contribuito a mantenere intatto nel tempo. Francesco, Enrico e Sandro Santini, eredi dei padri fon-

datori Giuseppe e Primo, dal 2001 hanno cominciato a riconvertire e rinnovare gli impianti secondo i moder-

ni criteri della vitivinicoltura e, ad oggi, sono 8 gli ettari destinati alla vinificazione interna. Il vitigno domi-

nante è naturalmente il Sangiovese, accanto al quale trovano un più circoscritto spazio alcuni vitigni interna-

zionali (Syrah, Merlot, Cabernet Sauvignon). Il metodo di allevamento è il cordone speronato, la densità è di

3.300 piante per ettaro e la resa per ceppo non supera i 2 kg. Condizioni necessarie, queste, se si vuole porta-

re alla luce il vero potenziale di questo “terroir”. Grazie anche alle competenze dell’agronomo Remigio Bordini

e dell’enologo Lorenzo Landi, i lusinghieri risultati sono tempestivamente giunti: oltre a numerose menzioni

sulle guide, la prima riserva di Cornellianum prodotta è entrata in finale per i tre bicchieri del Gambero Rosso,

meta raggiunta anche dal Battarreo che si è inoltre aggiudicato la Medaglia d’Oro alla Selezione del Sindaco.

Ora l’obbiettivo è quello di aumentare la quota di vigne dedicate alla vinificazione interna, un impegno che

non prescinde dalla volontà di celebrare questo prospero lembo di terra racchiusa tra la Rocca di Montefiore

e le torri di San Marino, come ben testimoniano i nomi dei vini prodotti: Beato Enrico (nobile pellegrino

ungherese del XV secolo, in odore di santità, sepolto in questi pressi), Battarreo (mutuato da Giovanni Antonio

Battarra, autore della illustre opera La pratica agraria in cui l’abate corianese del XVIII secolo dedica un impor-

tante capitolo alla coltivazione della vite) e Cornellianum (antico nome latino di Coriano).

Q

Nel territorio di Coriano, sulle colline alle spalle di Rimini, la

coltivazione della vite e dell’ulivo, si tramandano per tradizione millenaria.

BEATO ENRICO_ Sangiovese di Romagna Superiore D.O.C. 2006 _ Uve/Grapes: 100% Sangiovese

Ottenuto da cloni a grappolo spargolo, si presenta limpido, di un bel rosso rubino con riflessi porpora. All’olfatto si percepiscono note diviola mammola, prugna, ribes nero, foglie di tabacco e cannella. Al gusto rileva notevole struttura, offrendo buoni tannini e lasciando unpiacevole retrogusto amarognolo. Attraversa una fermentazione a temperatura controllata in botti di acciaio inox e otto mesi diaffinamento. Temperatura di servizio: 18°C. Abbinamento consigliato: petto d’oca scaloppato al timo.

Obtained from a Sangiovese clone noted for its loose-packed clusters. Limpid, ruby red with purple highlights. Aromas of sweet violet,plum, blackcurrant, humidor and cinnamon. In the mouth it’s well structured, with strong tannins and a pleasantly bitter aftertaste.Fermented at controlled temperature in inox vats and aged for eight months. Serving temperature: 18°C. Recommended with: goosecutlets with thyme.

BATTARREO_ IGT Rosso del Rubicone 2006 _ Uve/Grapes: 40% Sangiovese, 40% Cabernet Sauvignon, 20% Merlot

Il colore nero-violaceo, di trama fitta, rivela un frutto bordolese ricco e carnoso, che giunge al palato avvolgente e dolcemente polposo.Al naso si presenta nitido con sentori di spezie. Attraversa una fermentazione a temperatura controllata in botti di acciaio inox e 12mesi di affinamento in barrique di Allier. Temperatura di servizio: 18°C. Si sposa bene con le carni rosse e gli arrosti.

Violet-black in colour, close-knit in texture, with a rich and fleshy fruitiness; full and juicy on the palate. The bouquet is well-focussed,with notes of spice. Fermented at controlled temperature in inox vats and aged for 12 months in Allier barriques. Serving temperature:18°C. Goes well with red meats and roasts.

CORNELIANUM_ Sangiovese di Romagna Superiore D.O.C. Riserva 2006 _ Uve/Grapes: Sangiovese 100%

Mostra un consistente color rosso rubino, al naso è delicatamente fruttato, rivelando sentori di prugna, ciliegia, pesca matura e note ditostatura leggera. Pieno e morbido al palato rivela un’ottima struttura e una buona persistenza. Attraversa una fermentazione atemperatura controllata in botti di acciaio inox e 24 mesi di affinamento in barrique di Allier. Temperatura di servizio 18°C. Si abbinafelicemente ai piatti a base di cinghiale ed alla cacciagione in generale.

An even ruby red in colour, delicately fruity on the nose, with notes of plum, cherry, and ripe peach, and a hint of roast nuts. Full andsoft on the palate, with excellent body and good length. Fermented at controlled temperature in inox vats and aged for 24 months inAllier barriques. Serving temperature: 18°C. Goes well with wild boar and with game in general.

In Coriano, on the hills overlooking Rimini, vines and olives have been grown for thousands of years. The presence of indigenous vine species is testified byarchaeological finds, which have brought to light grapes and vine shoots dating from the Paleolithic Age. The earliest clear evidence of vine growing dates from the6th century BC. And it’s here, near the village of Passano, that Tenuta Santini stands – 22 hectares of vines in an out-of-the-way patch of countryside that the nearbypresence of a small missile base (decommissioned) has helped to preserve intact. When they took over the running of the estate from its founders, their father anduncle Giuseppe and Primo, in 2001, Francesco, Enrico and Sandro Santini set about revitalizing and renovating the business, introducing modern vine growingtechnology. At present, 8 hectares of vines are cultivated for on-estate production. The dominant grape variety is, naturally enough, Sangiovese, with a small corner ofthe estate given over to the growing of “international” grapes such as Syrah, Merlot, and Cabernet Sauvignon. The training method is spurred cordon, with density of3,300 vines per hectare and maximum yield per vinestock of 2 kg – all necessary conditions for tapping the full potential of the terroir. Thanks also to the skills ofagronomist Remigio Bordini and oenologist Lorenzo Landi, good results were not long in coming: besides a host of mentions in the wine guides, the estate’s firstreserve wine, Cornellianum, was a finalist for the Tre Bicchieri award from the Gambero Rosso guide. A similar accolade was earned by another wine, Battarreo, whichalso won the Selezione del Sindaco gold medal. Right now, the objective is to increase the quota of vines grown for estate production, in an attempt to restoreprestige to this fertile stretch of land enclosed between the castle of Montefiore and the towers of San Marino. The names of the wines produced here attest to theregion’s illustrious past: Beato Enrico (after a 15th-century Hungarian nobleman, Henry the Blessed, who is buried nearby), Battarreo (a variant of the surname ofGiovanni Antonio Battarra (a local abbot and author of the renowned 18th-century work La pratica agraria, which dedicates a chapter to the cultivation of vines)and Cornellianum (the Latin name for Coriano).

TENUTA SANTINI_ THE REVIVAL OF AN OLD ESTATE

Ogni bottiglia

è un individuo

irripetibile,

com’è individuo

a sé chi

la prepara.

Romano Levi

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24 I Sens i d i Romagna 25Enogastronomia

Tat iana Tomasetta

Casa Artusidedicata a l la cucina domest ica i ta l iana

La scienza in cucina e l’arte di

mangiar bene, scritto da Pellegrino

Artusi (vedi ee N° 1) è ancora oggi

il testo di riferimento della cucina

casalinga italiana. Nel suo paese

natale, Forlimpopoli, è sorto un

anno fa uno spazio a lui dedicato:

Casa Artusi.

n questo tempo si professa una vera e propria religione della tavole che ci porta a delibare, assaporare e sperimentare tutto ciò che

ci viene proposto da coloro che, definiti non più cuochi ma artisti della cucina, conquistano il palato, tra odori del passato e sen-

tori del futuro. Tuttavia pochi decenni or sono il cibo era il principe solo della sopravvivenza e il godimento del palato scaturiva da

un naturale piacere del gusto e del convivio. Di questo passato fa parte l’arte culinaria artusiana, assunta a regina delle cucine dome-

stiche, una gastronomia tipica del territorio, quindi legata alla stagionalità e all’appartenenza dei prodotti, incastonata tra i personag-

gi del tempo e colui che l’ha celebrata: Pellegrino Artusi. Aumenta negli anni la fama di questo acuto signore che scrisse per la prima

volta nella storia del Paese il ricettario della cucina popolare, così geniale da pubblicare 790 ricette, ma anche altrettanti spunti lin-

guistici come i menu chiamati “Note di pranzi”, per quanti fossero “imbarazzati sulla elezione delle vivande da offrire ai propri com-

mensali”. Al letterato la sua città natale dedica annualmente una rassegna gastronomica: la Festa Artusiana e ora anche una maison.

Casa Artusi, ricavata dalla ristrutturazione della chiesa dei Servi nel Centro Storico di Forlimpopoli, è un’opportunità per rivivere l’au-

tenticità del passato in un luogo contemporaneo. All’interno è stata collocata la biblioteca comunale, voluta in virtù di una clausola

del testamento di Artusi, che lasciò la sua libreria personale composta da, curiosità, non raccolte di ricette ma di letteratura. Nella

biblioteca sono stati ricostruiti lo studio e il salotto originale del gastronomo forlimpopolese. Una parte della casa-museo è adibita a

ristorante, i piatti numerati nel menu sono ricette artusiane, le stesse che si trovano nell’allestimento multimediale che permette di sce-

glierne una ed illuminarla. La filosofia della Casa è legata alla comunicazione visiva e alla polivalenza culturale, raccogliendo nello

stesso spazio, votato interamente alla storia dell’uomo e della sua governante (effettiva artefice dei piatti che dilettavano il palato dello

scrittore), biblioteca e mediateca, scuola di cucina, centro convegni, spazio eventi, negozio, ristorante, osteria ed enoteca. Progettato

per essere un centro di cultura gastronomica dedicato alla cucina domestica, offre dunque, in un’unica struttura, la possibilità di assag-

giare la “sfoglia di una volta”, assistere ad una lezione di raviggiolo, discutere di enogastronomia con famosi cuochi o magari parte-

cipare ad una lezione di cucina con le Mariette: un’associazione di oltre 40 azdore, che prendono il nome dalla fedele governante/cuoca

di Artusi: Marietta Sabatini.

I

Even today, Pellegrino Artusi’s La Scienza in Cucina e l’Arte di mangier Bene (Science in the Kitchen and the Art of Eating Well) (see issue 1 of ee) remains the standard text for Italian home cooking. Last year Artusi’s home town of Forlimpopoli opened a complexspecially dedicated to the great gourmet: Casa Artusi. In this temple, food is practically a religion for many people. We are discerning about our food and relish it like never before, and weexperiment recipes devised by chefs who enjoy the status of artists. Just a few decades ago, though, food was all about survival, and thepleasure we took in eating was part of an appreciation of natural flavours and the company in which we took our sustenance. Artusi’sclassic kitchen is a product of those bygone days. Its recipes reflected the origins of their ingredients and the seasons in which theygrew, and the wider cultural setting to which Pellegrino Artusi himself belonged. Over the years, Artusi’s fame increased as the firstItalian ever to commit to paper the recipes of traditional cooking – there are 790 recipes in all, full of linguistic as well as culinaryinterest, with a section entitled “Dinner Notes” offering menu ideas for those who might be “in difficulty about the choice of dishes tooffer to their table companions.” Artusi’s home town holds an annual gastronomy show in his honour, the Festa Artusiana. And nowthere’s a building dedicated to the great man too. Casa Artusi occupies the site of the former church of the Servi in the historic centreof Forlimpopoli, and it’s the perfect opportunity to relive the past in all its authenticity – in a contemporary setting. Inside is the librarywhich Artusi left to his home town in his will – comprised not as we might expect of recipe collections but of literature. In this librarythe gastronome’s study and drawing room have been recreated as they would originally have looked. In another part of the complex is arestaurant serving dishes made from recipes in Artusi’s book. These same dishes can also be appreciated in the multimedia section of themuseum, where visitors can select a dish and light it up. Casa Artusi is a visually-rich experience where culture is present in its manyfacets. Devoted to one man and his housekeeper (the woman who cooked the dishes that so delighted our gourmet), it includes acookery school, convention centre, events venue, shop, café and wine cellar as well as the aforementioned restaurant, museum andmediatheque. And since it was designed as a showcase for home cooking, it also offers visitors the chance to try “old-fashioned” pasta,learn how to make raviggiolo cheese, exchange views on food and drink with the resident chefs, and even take cooking lessons with theMariette: an association of 40 local women named after Artusi’s faithful housekeeper and cook: Marietta Sabatini.

CASA ARTUSI_ A SHRINE TO GOOD HOME COOKING

Se non si ha la pretesa di

diventare un cuoco di baldacchino,

non credo sia necessario, per riuscire,

di nascere con una cazzeruola in capo (...).

Pellegrino Artusi

foto d’archivio

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BEYOND SURFACE

AU DELA DE LA SURFACE

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29Arte28 I Sens i d i Romagna

di un’“anima” di rudimentali congegni, divengono meccanismi, che, azionati da una manovella, espri-

mono con sgangherata grazia il proprio cinetico messaggio. Meccanismi a basamento o a parete, che

inizialmente mostravano i propri organi di movimento, celati sotto il loro guscio nella più recente pro-

duzione, quasi ad evocare quegli antichi e rassicuranti giocattoli di latta, traslati però in una dimen-

sione quasi drammatica, per usare un termine dell’artista stesso. Sfidano il tempo armati solo di una

“corazza” di olio e cera, che ne protegge dalla ruggine la superficie senza snaturarla. Portano spesso

sulla “pelle” i nomi di filosofi oltranzisti del pensiero libero, affiancati da termini tedeschi, scelti più

spesso per l’effetto estetico reso dalla parola scritta che per il significato, talvolta sconosciuto allo stes-

so artista. Una commovente poetica anarchica, professata con disarmante spontaneità, a tratti lontana

dagli stilemi dell’arte concettuale più nei modi che non nei contenuti e alimentata da una sperimenta-

zione fatta di lavoro continuo, svolto in un laboratorio con le finestre aperte giorno e notte in estate,

e, d’inverno, riscaldato unicamente da una “stufa d’artista”, ovviamente, autocostruita.

Francesco Bocchini’s strange and eccentric creations take shape in the artist’s studio, an old ivy-clad millin the countryside near the village of Gambettola.This part of Italy is renowned all over the country for its scrap iron industry. Nowadays it’s also proving tobe fertile territory for a network of contemporary artists who find their inspiration – and in many casestheir raw materials – locally. One of the most intriguing of these artists is Francesco Bocchini. Born inGambettola in 1969, Bocchini showed signs of artistic talent at an early age. After attending art school inForlì, Bocchini studied at the Accademia delle Belle Arti in Bologna. He opened his own studio aged just 15,together with an older fellow artist, Luciano Comini, whose influence on Bocchini was perhaps more humanthan artistic. Bocchini’s work has been distinctive for its exploratory spirit since the earliest days of hiscareer, and in fact he kept working on the same 10 paintings until he was 19. It was during this period thata heap of old iron next to his studio caught Bocchini’s eye, and instinctively he began working on thebottom of a barrel, transforming it into a face. This marked the beginning of a phase of casualexperimentation driven more by impulse than by any pre-ordained stylistic precept, and by 1989 Bocchinihad found his preferred medium of expression: sheet steel, a humble, recalcitrant material if ever there wasone, which Bocchini folded and hammered and soldered into strange and wilfully unlikely shapes. Onecreation after another, one series after another, Bocchini’s contraptions make impressively provocativeinstallations; many are animated, with a rudimentary mechanism that adds kinetic appeal to theirramshackle charm. Freestanding or wall-mounted, Bocchini’s early creations left their mechanisms exposed;in his later works the movement is concealed, like old tin toys transfigured into an almost “dramatic”dimension, to borrow a term from the artist. They’re built to last, too, with a coating of oil and wax thatprotects them against rust without destroying the character of the surfaces. Their “skins” often feature thenames of libertarian and extremist philosophers, accompanied by German words selected more for theaesthetic effect of the word than its meaning, which is of no concern to the artist. The end result is astrangely moving poetic anarchy, articulated with disarming spontaneity, often very distant from thestylistic currents of the more fashionable conceptual arts – albeit less in its contents than in its methods –and nourished by continuous experimentation in Bocchini’s studio, whose windows are open day and nightin summer and which is heated only by a stove – built by Bocchini himself, of course – in winter.

THE STRANGE CONTRAPTIONS_ OF FRANCESCO BOCCHINI

La rivoluzione è sempre

tre quarti fantasia e

per un quarto realtà.

Michail Bakunin

uesto territorio è conosciuto in tutta Italia per la concentrazione di “ferri vecchi”, che, da sempre, vengono qui convogliati, oggi

prezioso giacimento per una fertile rete di artisti contemporanei che ne traggono l’ispirazione, quando non anche la materia prima,

per partorire le proprie opere. Uno dei nodi “cardine” di questo network è certamente Francesco Bocchini. Classe 1969, gambettolese,

la sua genesi artistica è segnata dalla precocità. Mentre frequenta l’Istituto d’arte di Forlì, sarà poi allievo dell’Accademia delle Belle

Arti di Bologna, a soli 15 anni apre il suo primo studio di pittore, dividendolo con un più anziano collega: Luciano Comini, che eser-

citerà su di lui un’influenza forse più umana che pittorica. La tensione alla ricerca è dominante sin dai primi lavori, Bocchini conti-

nuerà infatti fino a 19 anni a dedicarsi sempre alle stesse 10 tele. È in questo periodo che, osservando una catasta di rifiuti in ferro

attigua allo studio, incomincerà istintivamente a lavorare su di un fondo di botte, ricavandone un volto. Inizia così una serie di spe-

rimentazioni casuali, dettate più dall’impulso spontaneo che da un ragionato studio stilistico, che lo porterà nell’89 a eleggere defini-

tivamente la lamiera quale proprio esclusivo mezzo d’espressione. Piegandola, martellandola, saldandola e rispettando la recalcitran-

za di questo materiale, così poco nobile, a farsi plasmare docilmente, Francesco ricava forme spesso sghembe e volutamente improba-

bili. Ripetute in lunghe successioni, che fanno il verso alla serialità, compongono installazioni imponentemente provocatorie; fornite

Q

In uno studio ricavato da un vecchio mulino ricoperto di edera, sperduto tra le campagne

d’un sobborgo di Gambettola, vengono alla luce le eccentriche opere di Francesco Bocchini.

Tommaso Attendel l i

I giocattoli drammaticidi Francesco Bocchini

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31Arte30 I Sens i d i Romagna

Paolo Mart in i

La casa degli attori in legno,cuoio e stoffa

i l Museo dei Buratt in i e del le F igure

ulla strada che porta verso il mare, verso la pensione del “tutto com-

preso”, verso l’epicentro dell’aperitivo ad oltranza, prestate attenzione.

Siete sulla strada statale Cervese, e state per raggiungere la sospirata

vacanza. Poi appaiono, d’improvviso. La strada si apre per offrirvi uno

spettacolo raro, costituito da acqua salmastra, fenicotteri rosa e aironi:

sono le Saline di Cervia. Le hanno congegnate gli etruschi, e da oltre due-

mila anni salutano chi arriva al mare. Sostate un attimo, riempitevi gli

occhi della loro bellezza, poi osservate i vicini cartelli stradali: Cervia,

Cesenatico, Villa Inferno… Esatto: Villa Inferno. Se avete un minimo di

fantasia e un lacerto di curiosità, una capatina a Villa Inferno è il vostro

destino. E la vostra fantasia sarà ripagata: nel 2001 in quest’angolo di

terra prima dell’Adriatico è sorto il Museo dei Burattini e delle Figure.

Si comincia dalla storia, con burattini padani di fine ‘800, antichi copio-

ni, attrezzi di scena e fondali dipinti. Potrete ammirare marionette del

‘700 e dell’‘800, pupi siciliani e teste di legno della metà del diciannove-

simo secolo.

Poi i teatrini completi, composti di baracche tradizionali e mute di burat-

tini, provenienti dall’Italia e dall’Europa intera, ma non solo. Tant’è che

uno dei fondi più rari e preziosi proviene dall’estremo oriente, si tratta di

un teatrino d’ombre Giavanesi di fine Ottocento, completato da una col-

lezione integrale di sagome di cuoio, intagliate e dipinte a mano.

Un’intera sezione del museo è dedicata ai burattini di strada, autentici

attori fatti di legno e stoffa che albergano nella nostra fantasia.

Incontrerete Pulcinella, il britannico Punch & Judy, il rumeno Vasilache,

il portoghese dom Roberto, il russo Petrushka, il turco Ibis e l’ungherese

Laszlo Vitez. Una comunità allargata dove nessuno è straniero, compreso

un manipolo di burattini persiani capeggiato da Mobarak e Palhavan

Kaciàl. Sul vostro percorso farà capolino una grande baracca emiliana

corredata di burattini ottocenteschi, tutti appartenuti al grande studioso e

collezionista Alessandro Cervellati: Fagiolino, Sandrone, il Dottor

Balanzone. Insomma: tutta la grande famiglia bulgneisa.

Un piccolo mondo, dove tutto ciò che parla di burattini ha il suo posto,

come i disegni e i cartelloni che il grande pittore genovese, nonché sce-

nografo e costumista, Emanuele Luzzati ha dedicato a questo mondo. Un

mondo in continua e vitale evoluzione. Vitalità che questo museo testi-

monia con una selezione di foto di Mario Foli, con una biblioteca-video-

teca provvista di migliaia di volumi, opuscoli e riviste d’ogni parte del

mondo. E da ogni angolo della terra arrivano poster, locandine, cartoline

che hanno come tema i personaggi fatti di legno, stoffa e fantasia. Qui

hanno trovato asilo. A Villa Inferno, dove i sogni vi sorprendono al prin-

cipio del mare.

S

La Romagna è una terra che ti sorprende, ogni luogo

può nascondere una storia, ogni luogo è una storia.

C’eraunavolta...– Un re!– dirannosubitoimieipiccolilettori.

No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.

Carlo Collodi

Romagna is an endlessly surprising region where every place has a story to tell: where every place is astory, in fact. Next time you find yourself driving to the coast and its hotels, beaches and bars, payattention. This is the Cervia state highway, which is at its busiest during the holiday season. Suddenly, thelandscape changes – or perhaps “disappears” would be more accurate. On either side of the road, stretchingas far as the horizon, is a waterland populated by pink flamingos and herons. The salt pans of Cervia havegreeted coastbound travellers for over two thousand years, since they were built by the Etruscans. Acrossthis beautiful expanse of unbroken horizontal vistas, the road signs are among the few vertical features tobe seen: you’ll read signs for Cervia, Cesenatico, Villa Inferno… wait: Villa Inferno? That’s a place nameguaranteed to awaken the curiosity of anyone with even just a shred of imagination. And it’s well worth thedetour, for since 2001 this village a couple of miles inland from the Adriatic has been home to a fascinatingmuseum of puppets. Its collection includes locally-made puppets from the late 19th century, storyboards, props and paintedbackdrops. There are marionettes from the 18th and 19th centuries, Sicilian puppets, and mid-19th-centurywooden heads. There are also complete puppet theatres from all over Italy and Europe. One of the museum’s most preciousexhibits, however, is from much further away: a late 19th-century Javanese shadow theatre complete with afull set of hand-cut, hand-painted leather shadow puppets.A whole section of the museum is dedicated to the travelling puppet shows so beloved of bygonegenerations. There’s Italy’s own Pulcinella, Britain’s Punch & Judy, the Romanian Vasilache, the PortugueseDom Roberto, the Russian Petrushka, the Turkish Ibis and the Hungarian Laszlo Vitez. An eclectic communitywhich welcomes one and all – including a squad of Persian puppets headed by Mobarak and Palhavan Kaciàl.Another star attraction is a large Emilian puppet stall equipped with a host of 19th-century figures, whichformerly belonged to the collector and puppet scholar Alessandro Cervellati: you’ll see Fagiolino, Sandrone,Dottor Balanzone: in short, the whole bulgneisa family.It’s a world in itself where everything with anything to do with puppets has its place, including drawingsand posters by the illustrious Genoan painter (and set and costume designer) Emanuele Luzzati on the themeof puppet theatres. But it’s also a world that’s still evolving. The museum offers testimony to the vitality ofpuppet theatre in the form of a series of photos by Mario Foli, and a library/video archive with thousands ofbooks, monographs and magazines from all over the world. There are also posters, bills and postcards, all onthe theme of puppet theatre. This museum is where these “wooden” actors find their refuge: in Villa Inferno,just before the land ends, just before the sea begins.

ACTORS OF WOOD, LEATHER AND FABRIC_THE MUSEUM OF PUPPETS IN VILLA INFERNO

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04Territorio

Punte Alberete_cattedrale naturale

Punte Alberete_ nature’s cathedral

Dozza dipinta_strategico gioiello architettonico

Painted Dozza_ treasures on the hilltop

10Storia

La “tampellata”_antica processione persecutoria

The “tampellata”_ persecution, old style

Linea Gotica_e gli altri fronti in Romagna nella bufera della guerra

The Gothic Line_ and the theatre of war in Romagna

Il Triangolo Maledetto_fenomeni non identificati in Adriatico

The Devil’s Triangle_ of the Adriatic

18Passioni

Meteorologia popolare romagnola_una scienza tradizionale meno rudimentale di quanto non si pensi

Folk meteorology in Romagna_ a traditional science that isn’t as primitive as you might think

Musiche tradizionali in Romagna_così come suonano, così si ballano

Traditional music in Romagna_ danced the way it sounds

28Arte

I giocattoli drammatici_di Francesco Bocchini

The strange contraptions_ of Francesco Bocchini

La casa degli attori in legno, cuoio e stoffa_il Museo dei Burattini e delle Figure

Actors of wood, leather and fabric_the Museum of Puppets in Villa Inferno

22Enogastronomia

Tenuta Santini_verso il riscatto di un antico retaggio

Tenuta Santini_ the revival of an old estate

Casa Artusi_dedicata alla cucina domestica italiana

Casa Artusi_ a shrine to good home cooking

32 I Sens i d i Romagna