EDV 154 - Il dolore come strada per la speranza

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Abbracciare il dolore: via di salvezza e di speranza. Le famiglie in cammino verso la Santa Pasqua. A maggio la comunità in pellegrinaggio ad Assisi. E D V ESPERIENZE DI VITA IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA Periodico della Comunità il Piccolo Gruppo di Cristo | n°. 154 - anno XXXIII | Aprile 2012

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In questo numero affrontiamo il tema: la malattia come esperienza del dolore fisico,ma anche il dolore spirituale come cammino per arrivare alla speranza della fede, messaalla prova nella vocazione di ciascuno. Raccontiamo l’esperienza della sofferenzavissuta nel quotidiano, alla luce della speranza della nostra vocazione, del discernimentopersonale e comunitario.

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Abbracciare il dolore: via di salvezza e di speranza.

Le famiglie in cammino verso la Santa Pasqua.

A maggio la comunità in pellegrinaggio ad Assisi.

EDVESPERIENZE DI VITA

IL DOLORE

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EDITORIALE

Crisi economica. Dio ce ne chiederà conto

ATTUALITà

Al sicuro tra le braccia del Padre

L’ Amore senza maschere

La fragilità vista con gli occhi di un prete

Accanto ai malati terminali coltivando la speranza

Se non avessimo avuto la fede

Sostieni Signore la nostra famiglia

ZOOM

Nuove forme di vita consacrata tra tradizione e innovazione

RUBRICA

Se lo vuoi Tu, lo voglio anch’io

IN COMUNITà

Li amò fino alla fine

Portare la legna che serve per una fede robusta

Pellegrino, lasciati condurre

Le famiglie del mondo incontrano il Papa

Il Piccolo Gruppo di Cristo al tempo di Internet

Un mojito con il Signore

Settima di comunità 2012 a Villabassa

BACHECA

News dalla Comunità

Sommarioaprile 2012

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EDV

In questo numero affrontiamo il tema: la malattia come esperienza del dolore fisico, ma anche il dolore spirituale come cammino per arrivare alla speranza della fede, messa alla prova nella vocazione di ciascuno. Raccontiamo l’esperienza della sofferenza vissuta nel quotidiano, alla luce della speranza della nostra vocazione, del discernimento personale e comunitario.

COLLABORATORIGiovanni CattaneoLuigi CrimellaMichela BottaRosalba BeatricePaolo Cattaneo

PROGETTO GRAFICOE IMPAGINAZIONEPaolo Cattaneo

[email protected]

www.piccologruppo.it

Piccolo Gruppo di CristoVia San Pietro, 2020832 Desio, MB

SegreteriaTelefono: (+39) 0362 621651Fax: (+39) 0362 287322Mail: [email protected]

redazione

info PGC

N°154

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In questi ultimi anni la crisi eco-nomica e finanziaria che ha colpito il mondo occidentale sembra avere surclassato ogni altro argomento di discussione. Chiusure di aziende, perdita di posti di lavoro, trasferi-menti di macchinari all’estero per produrre a più basso costo: sono fenomeni che colpiscono perché hanno ripercussioni gravi sulla vita di tante famiglie. Viene meno il red-dito, ci sono gli “ammortizzatori sociali” ma non durano in eterno. Lo spettro della disoccupazione di lungo periodo per i più anziani, e della impossibilità di trovare un lavoro regolare per i più giovani è diventato nostro compagno di viag-gio. Se poi aggiungiamo il rischio di “fallimento” di una nazione come la Grecia (o il Portogallo, o l’Irlanda, o anche l’Italia come si è temuto a fine anno 2011) allora abbiamo tanti buoni motivi per riflettere su cosa significhi oggi l’economia nella no-stra vita.

Ebbene, noi vogliamo farlo qui bre-vemente, partendo non da un dato “economico” in senso stretto, ma più semplicemente umano e spiri-tuale. L’economia è il modo in cui gli uomini che lavorano insieme regolano i propri rapporti. Oggi è diventato un campo estremamente complesso, sempre più internazio-nalizzato, con problematiche che vanno molto al di sopra della cono-scenza comune. Anche imprendito-ri e politici competenti e smaliziati

Dio ce ne chiederà contoCRISI ECONOMICA

non sono riusciti a far fronte alle crisi economiche del 2001, del 2008 e oggi a quella dei “debiti sovrani”! Sono cose molto grandi, talmente grandi che si muovono le istituzioni internazionali come si è visto per il salvataggio della Grecia, per il quale non è stato affatto semplice organiz-zare ricette credibili e accettabili da parte dei vari soggetti in campo.Noi proviamo invece a riflettere sul-la crisi partendo da un altro punto di vista: il nostro apporto persona-

le alla creazione, grazie al lavoro di ciascuno di noi come risposta al dono della vita avuto da Dio e come nostro personale e originale contri-buto al perfezionamento del Creato. Da questa prospettiva tutto diventa più semplice: dovremmo essere in-vogliati a guardare al lavoro, al gua-dagno, alla carriera con umiltà, sen-za ambizioni sfrenate se non quelle lecite in un ambiente fraterno dove poter fare emergere i nostri requisiti e le nostre potenzialità.

IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

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5IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

Se vista così, la “crisi” stessa appa-re meno nera. Infatti, non avendo una visione troppo autoreferenzia-le, nemmeno pretendiamo di essere sempre “al top” nelle prestazioni, nei guadagni, nel riconoscimento professionale! Ci basta un giusto compenso, una moderazione nei rapporti economici, una giusta pro-pensione alla spesa che permetta al mercato di “girare”. Quando si parla oggi di “sobrietà” si intende probabilmente questa virtù di saper

accettare limitazioni che un tempo non erano gradite. Invece eccoci a far fronte a costi crescenti da ogni parte (benzina, tasse, Imu, ticket, prelievi fiscali vari ecc.) e quindi forzosamente dobbiamo rinunciare a qualche spesa voluttuaria, a qual-che “lusso” cui ci eravamo magari inconsciamente abituati.

Da un punto di vista cristiano, que-sta propensione alla vita semplice, frugale si può ulteriormente tra-

durre in una disposizione d’animo alla “povertà evangelica”, criterio non certamente contenuto nei libri di economia, bensì – appunto – nel Vangelo. In cosa si tradurrebbe oggi questa scelta? Nell’accettare i sacri-fici che la grande crisi finanziaria mondiale sta producendo per tutti. Inoltre anche nel renderci consa-pevoli che forse dobbiamo entrare nell’ordine di idee che bisogna fa-vorire la crescita delle economie dei Paesi più poveri, diminuendo un po’ lo stato di “affluenza” dei Paesi più ricchi: in breve, rinunciare noi a qualcosa perché i popoli poveri possano avere qualche soldo in più in tasca. Si tratta di un processo di grande redistribuzione della ric-chezza che non può essere imposto ma che deve trovare, anzitutto nei cuori delle persone, lo spazio per potersi tradurre in scelte politiche ed economiche.

Soltanto se sapremo diventare “più poveri” noi per primi in vista di far diventare un po’ “più ricchi” i poveri che lo sono davvero, andremo in-contro a una società fraterna dove la redistribuzione dei beni risponda davvero – come chiede il Papa – alla logica “del dono”. Altrimenti restere-mo prigionieri della logica dell’egoi-smo e le urla dei poveri si alzeranno e troveranno ascolto alle orecchie di Dio, come ci dice la Scrittura. E allora non avremo scuse, perché il Signore ci chiederà conto del nostro operato, anche se magari avremo vissuto e agito illudendoci di giudi-care con linearità di coscienza. In tal caso ci sarà mancato l’amore e la lungimiranza necessarie per por-tare un progressivo equilibrio nella distribuzione dei beni tra gli uomini e Dio ci porrà domande di fuoco a cui difficilmente sapremo trovare risposte in linea con la sua Parola.

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G i a n c a r l o B a s s a n i n i (nella foto qui a lato), impren-ditore, vive con la sua famiglia a Valera Fratta

(Lodi). Attuale Responsabile Ge-nerale del Piccolo Gruppo di Cri-sto, eletto nell’aprile 2008.Il mese successivo gli viene diagnosticato un cancro all’intestino tenue. Par-tendo da quell’epifania, Giancarlo racconta il suo rapporto con la ma-lattia, la vicinanza della sua fami-glia, l’esperienza di intimità con il Signore della vita.

Cosa hai pensato dopo che i medici ti hanno informato della malattia?Mi sono sempre chiesto cosa sareb-be avvenuto se avessi saputo in an-ticipo di essere portatore di quella patologia, prima del congresso in cui sono stato indicato alla guida del Piccolo Gruppo di Cristo. Cono-sciuta la diagnosi ho subito pensato: se il Signore ha permesso questo è certamente per il mio bene.

Come hai vissuto i primi mesi?Prima di partire per la settima-na aspiranti 2008 (esperienza di condivisione e vacanza rivolta alle persone che si avvicinano alla spiri-tualità di questa comunità, ndr) mi sono sottoposto per la prima volta ad un cocktail di farmaci. Di giorno tutto procedeva normalmente, ma

di notte ero avvolto da forti e con-tinue vampate di calore. Ne ha fatto le spese Mauro (il precedente Re-sponsabile Generale, ndr) col quale condividevo la stanza. Lasciavo le finestre aperte in cerca di refrigerio, ma lui costretto a dormire in mezzo alla corrente d’aria prese subito raf-freddore e tosse.

Personalmente pensavo si trattasse di clima caldo, in realtà era la rea-zione del mio fisico alle nuove pe-santi cure. Quelle notti non furono proprio quello che ci si aspetta dopo aver trascorso giornate impegnative con frequenti colloqui. Terminata la settimana raggiunsi mia moglie per un periodo di riposo in montagna.

Come hanno inciso le tue dif-ficoltà fisiche nei rapporti fa-miliari?Cominciai a stare molto male, il giorno precedente la festa della Ma-donna Assunta in cui dovetti fare un passaggio ospedaliero a Milano. Mi volevano trattenere, mi opposi per non rovinare le vacanze ai miei fa-miliari.

Rischiai un’occlusione intestinale che per fortuna si risolse spontane-amente con delle flebo. Dopo pochi giorni che non mangiavo e non riu-scivo neppure a bere mi sentii molto debilitato e i medici mi trovarono disidratato. Le vacanze le trascorsi uscendo solo per andare a Messa e per ricevere la santa Comunione.

TRA LE BRACCIAAL SICURO

DEL PADRE

IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

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7IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

E poi venne il momento dell’in-tervento chirurgico…Il 14 novembre 2008 venni opera-to, mi fu asportato un tratto di 120 cm. di intestino e dopo sette ore di intervento e 42 punti nella pancia fui ricondotto in camera. Al risve-glio trovai tutti i miei cari attorno al mio capezzale. I loro volti mi appa-rivano pieni di trepidazione. Pensai che la mia fine fosse imminente, ma mi sentivo sereno perché il Signore era con me e non mi aveva mai ab-bandonato, neppure per un istante.

Prima di entrare in ospedale andai dal mio confessore e feci una con-fessione straordinaria, poi gli chie-si di darmi l’unzione dei malati. Fu un’esperienza stupenda. Mi abban-donai fra le sue braccia senza timo-re. Ricordo che il mio confessore mi chiese se provavo paura, ma io gli risposi di no ! Mi sentivo proprio sicuro fra le sue braccia.

… e il periodo della riabilita-zione.Seguirono giorni di sofferenza, ma

più che la sofferenza fisica soffrivo per il Gruppo che mi era stato af-fidato. Il Signore mi faceva vedere quante cose in me e nella comunità non andavano bene.Gli offrivo le mie sofferenze in com-partecipazione a ciò che mancava alle sue.Ringrazio il Signore che mi ha uni-to a sé. In precedenza avevo potuto accompagnare Manuela - affetta da una patologia simile alla mia, ma più grave - al punto da condurla a 37 anni alla casa del Padre (il ricordo di Manuela nelle parole di suo mari-to Eugenio, nell’intervista a pagina 8). La sua testimonianza mi ha sem-pre accompagnato.

Come si convive con l’incertez-za sul domani?Il Signore guida da lontano i nostri passi. Ora conduco una esistenza buona, avverto il senso della mia precarietà, a volte sento che questo corpo lentamente va disfacendosi eppure sono sicuro di andare verso la pienezza della vita. Ogni giorno, quando non sono ingrato, ringrazio il Signore per lo stupendo dono del-la vita e lo ringrazio per il dono im-meritato di poterla contemplare nel suo dispiegarsi di albe e tramonti.

Ci avviciniamo al tempo pa-squale, come vivi questo pe-riodo?Al Signore della vita rendo grazie per l’esperienza di vicinanza che mi ha concesso di vivere. Sovente sento la nostalgia di quella presenza così esaustiva dentro di me. La vita eter-na sarà questo vivere Lui dentro di me ed io totalmente dentro di Lui. La sofferenza e la croce sono il pre-ludio per giungere alla Pasqua di ri-surrezione.

G.C.

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Eugenio Bar-dini (nella foto qui a lato), papà di Alessandro e Nikolai, sposo di Manuela. Impie-gato dell’Enel,

46 anni, vive a Treviso. Con sua mo-glie ha condiviso gioie e sofferenze di un cammino vocazionale ricco di prove e testimonianze di fede. Dopo la morte di Alessandro – affetto da gravi patologie congenite - un’altra prova attendeva la famiglia Bardi-ni: nel 2007 Manuela è salita alla casa del Padre al termine di un per-corso di malattia e discernimento che ha illuminato l’esistenza di chi è stato loro accanto in quel perio-do. Eugenio è tornato a riflettere su quell’esperienza, accettando di rac-contarne il senso e la profezia.

Cosa ha rappresentato per te l’esperienza della malattia in famiglia?L’esperienza della malattia, della di-sabilità e del limite fisico è entrata di prepotenza nella nostra vita di coppia con l’arrivo di Alessandro. Alessandro è stato un angelo san-to che il Signore ci ha mandato per aprirci a tutto ciò che va oltre la no-stra dimensione materiale, umana. La sua presenza, luminosa, invitava a guardare più in là, a scrutare il mondo spirituale alzando lo sguar-do a Dio. Abbiamo sofferto, fatto fatica a capire perché proprio a noi un bambino speciale, ma l’amore è

prevalso con prepotenza.

Come avete vissuto quel perio-do?Manuela stando accanto ad Ales-sandro ha dato il meglio di sé. La malattia di nostro figlio, i suoi silen-zi, la fatica di sentire i suoi lamenti quando stava male. In mezzo a tutto questo c’era la pretesa di Manuela che innanzitutto io, ma anche tutti i nostri familiari, imparassimo a ge-stire Alessandro. Provengo da una famiglia molto tradizionale, mio pa-dre era poco presente, non era pre-visto che fosse l’uomo di casa a cam-biare i pannolini. Ma tutto questo ha costruito solide fondamenta per le nostre relazioni. Gestire Alessan-dro non era semplice: era un bam-bino tracheostomizzato, alimentato con un sondino, ci siamo riusciti ed il merito è tutto di Manuela e del Si-gnore.

Da qualche parte dentro di noi si ha sempre paura che acca-da qualcosa di negativo a chi ci è più caro. Come hai vissuto i primi momenti della malat-tia di Manuela?E’ vero, abbiamo paura che accada qualcosa a chi amiamo di più. Ma questa paura non ci ha mai bloccato, al contrario, malgrado lo stato fisico di Alessandro prima e Manuela poi, abbiamo fatto veramente di tutto. La malattia di Manuela è stata la svolta della nostra fede. Stando ac-canto ad Alessandro abbiamo ini-

L’AMORESENZA MASCHERE

ziato a capire che dovevamo fidarci di Dio; con la malattia di Manuela il Signore ci ha detto che vuole tutto di noi, ci ha fatto entrare in una realtà di amore senza maschere.

Cosa comporta per i ritmi fa-miliari la presenza di una per-sona che soffre?I primi momenti sono sempre e co-munque di speranza, di fiducia in Dio e nelle capacità della scienza. Quando la malattia è tornata, dopo due anni, in quel momento abbiamo capito che ci dovevamo preparare ad un passaggio del cuore molto più alto.I ritmi calano quando accompagni persone ammalate. Tuttavia c’è una bellissima frase di Manuela che è proprio adatta per questi momenti in cui ti sembra di essere impotente: “nel camminare piano o con il ba-stone, c’è di bello che spesso ti puoi sedere con Gesù”.

La parola “speranza” ha as-sunto un senso nuovo?Assume un significato più ampio, diventa “occhi rivolti verso il cielo”, speranza di dimorare per sempre in Dio.

C’è un ricordo particolare del periodo in cui ti sei sentito maggiormente vulnerabile?Non ho ricordi di momenti partico-larmente faticosi è questo ho sem-pre pensato fosse il frutto di tutte le persone che pregavano per noi.

IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

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9IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

Mi ricordo che un giorno Francesco Corda disse scherzosamente a Ma-nuela: “Non è possibile, la comunità prega più per te che per il Respon-sabile Generale”. E penso fosse pro-prio la verità!

Come è cambiato, se è cam-biato, il tuo rapporto con il Si-gnore?La malattia di Manuela mi ha fatto dire: “Signore, adesso o ti credo ve-ramente o ti rinnego”. E poi siamo entrati nel Piccolo Gruppo di Cristo. Non l’avrei mai fatto senza Manuela, non riuscivo a vedermi in cammino senza la mia sposa.

L’esperienza in questa comu-nità ti ha aiutato in passag-gi così impegnativi sul piano emotivo e spirituale?È stato il grande dono di Gesù per il nostro cammino spirituale. Il sì più vero è stato quello al Signore

attraverso il Piccolo Gruppo. Non sappiamo cosa significhi fino in fondo ma siamo stati chiamati ad affidarci, a percorrere la prova con la preghiera di tutti e la vicinanza di alcune persone speciali della cui presenza ringrazio sempre il Signo-re. Lucia, Giancarlo e tanti fratelli del Piccolo Gruppo e della comunità parrocchiale.

C’è un brano della Scrittura a cui ti sei particolarmente af-fezionato alla luce dell’espe-rienza di dolore che stavi at-traversando?Mi ricordo spesso le parole di Gesù durante la lavanda dei piedi “Se dunque io, il Signore ed il Maestro, ho lavato i vostri piedi anche voi do-vete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. Sento che il mio essere cristiano, sposo, consacrato si consolida in questa frase. L’amore di chi si mette a lavare i piedi dei fratelli è l’amore

di Gesù, dobbiamo seguire l’esem-pio del nostro maestro soprattutto all’interno della nostra comunità per testimoniare il bene che ci vo-gliamo.

C’è un’invocazione a Dio che ti accompagna ogni giorno?E’ una frase di San Giovanni Criso-stomo che penso mi resterà stam-pata nel cuore, è il frutto spirituale che mi hanno lasciato Alessandro e Manuela: “Quanto più grande è il sacrificio tanto più abbondante è la grazia che santifica”.

G.C.

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“Hai mutato il mio dolore in danza e il mio vestito di sacco in abito di gioia” (salmo29).

Desidero innanzitutto ricordare in questo luogo che non sono nè uno psicologo, né un teologo, né un opi-nionista: sono un prete che dagli inizi degli anni ’90 accompagna uo-mini e donne giovani o più avanti degli anni, nelle loro fragilità, nei loro fallimenti, cercando di gestire i propri.

Di fragilità ne ho incontrate tante: di chi ha subito un lutto e sente il doloroso e drammatico strappo del-la scomparsa di una persona cara, di chi ha subito il dramma di una sepa-razione, di chi sta portando il peso di una grave malattia o di un male incurabile, di chi non riesce a matu-rare, di chi non sa gestire il proprio presente, di chi non sa e non riesce ad assumersi delle responsabilità, di chi ha perso il posto di lavoro e non riesce a trovarne un altro, di chi vive sempre tra mille conflitti, di chi vive il dramma della solitudi-ne (quanti anziani!), di chi vive alla soglia dell’indigenza o già in pover-tà, ecc. Potrei continuare purtroppo con un elenco ancora più lungo.

Quante fragilità nella vita di tutti e di ciascuno, mi verrebbe da chie-dere chi non ne ha? C’è una liturgia

delle fragilità ai giorni nostri. C’è una gara al lamento di un’insoddi-sfazione che sembra toccare tutti. Perché questo lamento direi conti-nuo, queste insoddisfazioni, queste fragilità?

Mi torna in mente che già nel primo patto la storia della salvezza inizia con il fallimento di Dio, (Gen.3) e poi ha capitoli che puntualmente ripropongono questo tema scanda-loso... quando il fallimento tocca il giusto come il profeta o un re come Giosia. Per non parlare della tra-gedia dell’esilio….. di molti salmi, di molte preghiere della Chiesa. La stessa figura dell’Addolorata nelle Deposizioni è figura di una grande fragilità e sconfitta.

Io non sento di avere una definizio-ne pratica capace di disegnare bene il volto triste di questa realtà, senza confonderla con le crisi normali o il disagio normale. A me piace un’im-magine della incrodatura, imma-gine alpinistica quando si è nella situazione di non poter più proce-dere né tornare indietro. E facendo un bilancio ci si sente come vinti. Le fragilità hanno il volto della depres-sione, dell’indifferenza, del cinismo, dell’angoscia, della paralisi scon-fortata, dell’amarezza che accusa e si autoaffonda e dell’evasione per sopravvivere. Forse si potrebbe ri-condurre queste esperienze negati-ve a un personaggio concreto come Giobbe: è dunque più facile alludere

LA FRAGILITàVISTA CON GLI OCCHI

DI UN PRETE

IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

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11IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

a situazioni o personaggi che dare definizioni.

E Dio in queste situazioni che spa-zio ha? Mi torna in mente la lezione di Bonhoeffer. Dio non va evocato come un tappabuchi, tamponan-do le nostre fragilità. “Se vi è uno spazio per Dio, questo va dunque ricercato al centro della vita e non al margine di essa”. Un aspetto che ritengo importante è che tante volte c’è il rischio grande di negare le fra-gilità e i fallimenti. Si deve iniziare riconoscendo con lealtà, limpidezza ed onestà le proprie ferite: senza fin-gere, minimizzare o... respingere su altri le proprie situazioni negative. A volte vedere in se stessi alcune emozioni impensabili... sconcerta.(Paura, disgusto, odio, rabbia, vo-glia di scomparire…). E’ importante a mio avviso imparare a fare i conti con le proprie emozioni. E’ tenden-za diffusa quella di esportarli, come fossero conseguenza di un contagio subito da altri. E’ importante capire

le proprie emozioni e da quali espe-rienze derivano. E’ importante sa-per riconoscere le proprie fragilità e non ripetere gli errori che si posso-no fare. E’ importante apprezzare i frutti che nascono dai fallimenti. In queste situazioni far crescere in se stessi la resilienza che è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinan-zi alle difficoltà. E’ la capacità di ri-costruirsi restando sensibili alle op-portunità positive che la vita offre, senza perdere la propria umanità. Persone resilienti sono coloro che immerse in circostanze avverse ri-escono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteg-giare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti. La fede e la fidu-cia in Dio quanto possono in queste situazioni! Per me né successo, né fallimento sono nomi di Dio. Sarà l’esperienza quotidiana della Parola a provocare sulla strada di Emmaus il cambiamento del cuore, divenuto ardente, ed il ritorno alla vita. Par-tire dalla Parola di Dio, perché solo in essa possiamo rilanciare quei processi vitali che le fragilità e le sconfitte tendono a bloccare. Solo

Lui può trasfigurare e rigenerarci: perciò crediamo nella forza trasfi-gurante della Sua vicinanza (pen-siamo alla Trasfigurazione!). La Parola riabilita quando ci si sente finiti, consola quando si è nella de-solazione, illumina le tenebre della sconfitta e ci chiama ad una condi-visione della Sua vicenda Pasquale, come sicura ed estrema risorsa per-ché la sconfitta sia luogo di fecondi-tà e di bellezza.

“Qualunque cosa faccia di me, io ti ringrazio”, pregava in sostanza fr. Charles de Foucauld. Come Lui molti giusti hanno trovato nell’ab-bandono la chance che ha fatto vive-re la crisi come opportunità. Volere la volontà di Dio, vivendola in una comunione amorosa, affettiva ed ef-fettiva. Perciò la mia esperienza mi porta ad affermare che la risposta a queste situazioni non è l’evasione o l’iperattivismo, non la disperazione ma la perseveranza della fede, l’in-vocazione, il lavoro, il saper rimane-re nelle situazioni, anche patendo. E vigilare nelle situazioni attenti ai cenni di Dio e ai suoi passaggi, che guariscono. Mi piace terminare con un pensiero di S. Giovanni della Croce che parla dell’anima che vuo-le vivere la Grazia dell’incontro con Lui. Egli la guida nelle purificazioni, anche le più notturne, per far uscire l’uomo da se stesso e liberare in Lui la gioia. Dio non si rassegna a ciò che abbrutisce l’uomo e, nella sua fedeltà, ne ha cura.

DON PIERPAOLO FELICOLOMembro della Fraternità del P.G.C. a RomaDirettore Ufficio per la Pastorale delle Migrazioni della Diocesi di Roma e del-la Regione Lazio

(nella foto a pag.10)

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L’attività professionale in un hospice, i drammi, le cure, le emozioni: parla un’infermiera

AI MALATI TERMINALICOLTIVANDO LA SPERANZA

Davanti e accan-to, come profes-sione, alla fra-gilità estrema: è la vita di Lucia Nicolao (nella foto qui a lato),

di Treviso, 53 anni di età e infermie-ra da 31 anni. Il suo primo lavoro è stato all’Istituto Tumori di Milano, dove è rimasta 3 anni e dove – ricor-da – “mi trovai ad accompagnare alla morte anche giovani di 16-30 anni. Questo mi segnò molto e com-presi che, se il malato non poteva sperare di guarire, io volevo spen-dere la mia professione per aiutarlo a morire con dignità”. Dopo questi primi impegnativi anni di attività professionale, Lucia è tornata a Tre-viso, sua città di origine. “Prima di riuscire a concretizzare questo ‘so-gno’, - ricorda - dovetti lavorare in ospedale per altri 7 anni. Nel 1991, quindi più di 20 anni fa, iniziai a in-teressarmi di assistenza domicilia-re e ho assistito molte persone, che sono poi serenamente spirate nelle loro case, con i propri affetti. Sette anni fa – Lucia prosegue nella sua breve auto-presentazione - ho ini-ziato l’avventura di lavorare solo con malati terminali, ricoverati in hospice, che è una struttura sa-nitaria che cerca di ripettare pie-namente la dignità delle persone”. Quella che segue è l’intervista a Lu-cia per cercare di capire da lei cosa significhi “lavorare” accanto a chi sta per morire.

Una prima domanda “bruta-le”: come riesci a lavorare ac-canto e per i malati terminali?Lavorando accanto e per il malato terminale, ricevo dalla loro debolez-za fisica tanta forza interiore: i loro volti mi mostrano il volto sofferente di Gesù sulla croce, che chiede di es-sere accolto e amato. Come ti guardano, come li guardi?Ti guardano in profondità, ti leggo-no dentro, se tu li guardi con verità e non hai paura di loro. In base a come si sentono guardati (con amo-re, con distacco o con espressione giudicante...), a loro volta ti prendo-no come interlocuotre privilegiato o tendono a rifiutarti. La parola “speranza” ha sen-so nel tuo specifico lavoro? Oppure è una parola assente?Certo che ha senso... intanto,la spe-ranza umana non va mai tolta, se la persona non è pronta a morire. E poi, va ascoltato l’anelito di chi, da cristiano, nutre la speranza di una vita più grande e bella di quella ter-rena. Ritieni che la scienza abbia fatto reali passi avanti nella cura di “quelle” malattie che non perdonano?Certamente! Ora alcune tipologie di tumori sono molto più curabili e anche guaribili, rispetto a 20-30 anni fa. Purtroppo per alcuni tumo-

ri, fin dalla diagnosi, si può dire che la prognosi sarà breve, esattamente come 30 anni fa. E questi non sono pochi, forse sono in aumento..tan-to più le persone che si ammalano sono giovani, più è alto il rischio di prognosi breve, per i tumori molto aggressivi. Ci descrivi brevemente una tua giornata di lavoro?Io da sette anni non faccio più l’in-fermiera a turni, ma sono respon-sabile del personale di un reparto di 12 posti letto (un hospice), e quindi seguo e coordino gli infermieri nel-lo svolgimento del loro lavoro. Sono responsabile di come lavorano, cer-co di favorire un clima di collabora-zione serena fra di loro, programmo i loro turni di presenza, ordino i farmaci di cui necessitano... Certo, conosco personalmente i malati e le loro famiglie, dedico del tempo an-che alla relazione con loro. Ti fai “contagiare” dal dolore o dall’angoscia della persona che hai davanti?Cerco di non farlo, perchè so che è deleterio e non la aiuterei più. A vol-te però l’emozione che mi arriva da lei è troppo grande e mantenere un mio equilibrio sereno e distaccato non è facile. Parlate mai di Dio, del futuro, dell’aldilà, della morte e risur-rezione?Certo, mi è capitato tante volte; se

ACCANTO

IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

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la persona è credente, coglie in me un’apertura al dialogo su questi temi e quindi facilmente mi comu-nica questi aspetti del suo credo. Se però non prende l’iniziativa lei...non è facile che mi senta spontaneamen-te di farlo io, per rispetto alla sua sensibilità. Diciamo che, nella re-lazione di prossimità con il malato che soffre, io da persona che appar-tiene al Signore, desidero cercare di avvicinarla a Lui, di offrirle il dono del suo amore, attraverso i gesti del-la mia cura. Il fatto di far parte del PGC ti ha aiutata in questo lavoro così difficile sul piano emoti-vo e spirituale?Sicuramente, perchè l’essere del Si-gnore e cercare di vivere la giornata in Lui, aiuta tanto a sentirsi stru-menti e non protagonisti del nostro operato. Il Salvatore è il Signore, noi solo piccoli segni del Suo amore. Cosa ne pensi dell’eutanasia e del cosiddetto “accanimento terapeutico”?Entrambi sono estremi da ricono-scere (e spesso non è facile) e quindi da evitare. Nel nostro settore, rara-mente i malati chiedono l’eutana-sia, se sono ben curati, ma a volte la chiedono perchè sono soli e di-sperati. L’accanimento terapeutico purtroppo è tanto diffuso dalle poli-tiche sanitarie ospedaliere e da cri-stiani dobbiamo avere più coraggio per contrastarlo. L’insegnamento della Chiesa circa la malattia e la “morte naturale” appare ragionevo-le agli occhi dei tuoi colleghi? Oppure ci sono prevenzioni e pregiudizi duri a morire?Nel nostro ambiente è molto chia-ro il concetto di ‘morte naturale’ e tutta l’equipe di lavoro si adopera in questo. Desidero specificare che nella mia Associazione, che si chia-ma ADVAR, nata 24 anni fa come realtà di cura e assistenza del mala-to terminale, basata sui criteri della

laicità e aconfessionalità, il valore della morte naturale fa parte del suo statuto. Ti è mai capitato di riuscire a “convertire” un malato termi-nale che magari aveva vissu-to lontano da Dio per tutta la vita?Sinceramente questo no; specifico che per malato terminale intendo la persona che ha davanti a sé circa 20 giorni di vita. Questo percorso di dialogo, di incontro è auspicabile che si apra prima del periodo della terminalità. Potrei aggiungere che, secondo la mia esperienza, si arriva alla fine con il proprio bagaglio di vita, nel bene e nel male. E quando il bagaglio è appesantito da tante rotture umane, divisioni, solitudini che hanno segnato la sua storia, lì chi lo assiste, se cristiano, in punto di morte è bene che lo affidi alla mi-sericordia di Dio. Ti sembra che nel futuro ci sarà maggiore bisogno di fi-gure come la tua nel campo sanitario?

Senz’altro! Dipenderà dalle politi-che sanitarie, da quanto si vorrà in-vestire in soldi pubblici per assiste-re con dignità il malato grave vicino alla morte. Ultima domanda: come ti ri-volgi a Dio, avendo nel cuore tante persone morenti: riesci a dirgli comunque grazie per il dono della vita o, qualche volta, ti sei ribellata al suo vo-lere e al mistero della malat-tia?Certo che esprimo al Signore il grazie per il dono della vita, per-chè penso alla mia vita, fortunata nell’essere in salute e gli chiedo di aiutare con la Sua grazia i malati che soffrono tanto e per i quali noi possiamo fare in fondo così poco.Mi è successo tante volte, in casi di persone giovani (madri o padri vici-ni alla morte che lasciano figli pic-coli), di essere arrabbiata con Dio e gliel’ho detto in preghiera, anche con le lacrime.

L.C.

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La testimonianza di una famiglia alle prese con gravi malattie degli anziani genitori

SE NON AVESSIMO AVUTO

Era l’estate del 1998 quando la mamma di Umberto cominciò a mo-strare i primi sintomi della lentissi-ma forma di Alzheimer che tuttora la affligge: per la nostra giovane fa-miglia, che fino allora aveva contato sul supporto dei genitori, era solo l’inizio di un periodo molto lungo di accompagnamento nella malattia e nella sofferenza. In questi quattor-dici anni abbiamo infatti dovuto af-frontare, sommando le patologie di tutti e quattro i genitori, due tumori alla prostata, un infarto, un’altra forma di demenza senile, un tumo-re all’intestino inoperabile con me-tastasi e la degenerazione di un’in-sufficienza renale cronica fino alla dialisi, per non contare piccoli in-terventi come cataratte, ernie, ecc. Sempre coinvolti in prima persona perché purtroppo Umberto è figlio unico, altri parenti non c’erano, e il fratello di Cinzia, pur vivendo con i genitori e quindi assicurando sul fronte pratico la massima collabora-

zione, non si trova a suo agio nell’in-teragire con i medici.

Contemporaneamente i nostri figli, Andrea e Chiara, hanno compiuto il delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza e perciò abbiamo sperimentato il cosiddetto ‘effetto sandwich’, cioè quella situazione in cui la coppia adulta si trova ‘schiac-ciata’ tra i problemi dei genitori an-ziani e quelli dei figli in crescita. La nostra presenza era spesso richiesta su più fronti, con problematiche as-solutamente diverse tra genitori e bambini, che però in qualche modo a volte dovevamo intrecciare; inol-tre le reazioni alla malattia varia-vano molto a seconda del carattere delle persone, quindi anche noi do-vevamo modulare di conseguenza i nostri interventi. Di una cosa siamo certi: se non avessimo avuto la fede, se non avessimo vissuto nella fidu-cia che il Signore ci accompagnava, non avremmo retto ad uno stress

psicologico e anche fisico di quella portata. Come dice il Salmo 123: ”Se il Signore non fosse stato con noi – lo dica Israele - quando ci assaliro-no, ci avrebbero inghiottiti vivi…”.

Programmi che “saltano”

La prima cosa che è ‘saltata’ sono stati i nostri programmi di vita: una simile situazione ci ha imposto scelte anche molto difficili sul pia-no familiare e lavorativo. Abbiamo rinunciato al progetto di un terzo figlio: non sappiamo se siamo stati troppo prudenti; ma di certo abbia-mo dovuto fare il conto con le nostre forze, che non sono eccezionali, e con i nostri limiti umani. Cinzia ha fatto una scelta lavorativa penaliz-zante sotto il profilo professionale, retributivo e contributivo, pur di mantenere quell’elasticità che per-mettesse di curare adeguatamente i figli e di essere vicina ai genitori nelle loro necessità; anche Umberto per lunghi periodi ha accantonato progetti di buona riuscita professio-nale ad esempio per assistere il papà durante la chemioterapia.

Per non parlare di spazi di svago e divertimento di fatto quasi inesi-stenti e di vacanze col fiato sospeso, mai troppo lontani da casa e sempre pronti a correre indietro per emer-genze o semplicemente per offrire un po’ di sollievo, o ancora, organiz-zare i turni con il fratello di Cinzia per consentire anche ai genitori di

LA FEDE …

IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

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andare in villeggiatura accompa-gnati. Naturalmente ci siamo fat-ti aiutare da badanti e colf, perché non siamo degli autolesionisti, ma non in tutti i casi era possibile e, comunque, la responsabilità prin-cipale rimaneva sulle nostre spalle. In pratica abbiamo sperimentato che “ i miei pensieri non sono i vo-stri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is. 55,8) e sentito sulla nostra pelle quella ‘distanza’ tra i nostri progetti e quelli che il Signo-re ci consegnava nella nostra vita concreta, “quanto il cielo sovrasta la terra così le mie vie sovrastano le vostre vie”.

La nostra obbedienza è quindi sta-ta innanzitutto alla nostra storia sacra, così come si dipanava, prima ancora che alla Costituzione del Pic-colo Gruppo. Così anche noi abbia-mo cercato di imparare l’obbedienza dalle cose che abbiamo patito, an-che se certamente la nostra risposta non è stata docile come quella di

Gesù: quante resistenze, quanta ar-rabbiature con Dio… Però speriamo di essere riusciti con la Sua Grazia ad andare a lavorare nel suo campo, nostro malgrado, quasi tutte le volte che ce lo ha chiesto. E ora siamo più disponibili ad accettare gli inconve-nienti che si presentano sul cammi-no, non solo per buona educazione.

Cammino di purificazione

Non siamo stati degli eroi perché in mezzo a questa situazione abbia-mo commesso molti errori e sono emersi gli aspetti peggiori del no-stro carattere, ma in tutto questo ci siamo affidati e ci affidiamo alla misericordia del Signore che tutto copre e perdona e sa scrivere diritto sulle nostre righe storte. Ed ora che alcuni dei nostri cari sono in Cielo possiamo confidare anche sul loro sguardo misericordioso e sono loro che ora di nuovo sostengono noi. Di certo è stato un cammino di puri-

ficazione dalla vanagloria di certi ideali (anche se apparentemente buoni come quello della ‘famiglia impegnata’) e della buona riusci-ta dei nostri sforzi; parallelamente questa esperienza ci ha insegnato a farci servi per amore, a ricono-scere i nostri limiti e ad accettarci con maggior compassione anche nel rapporto di coppia.

Una figura che ci ha spesso ispira-ti era quella del Cireneo: la croce (sofferenza fisica, malattia) non era la nostra, ma eravamo chiama-ti ad aiutare a portarla per chi da solo non ce l’avrebbe fatta, accanto-nando il nostro daffare e la nostra stanchezza per condividere il dolore dell’altro. Anche se sapevamo che non c’era via d’uscita, né possibile miglioramento ma, nella migliore delle ipotesi, un mantenimento per un certo periodo della situazione.

Dio ci ha fatto sperimentare lar-gamente il “lavora e prega, senza

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pretendere nessuna ricompensa”: cercando di rimanere fedeli alla re-gola di preghiera del Piccolo Gruppo e anche a incontri, ritiri ed esercizi (anche se nell’anno più critico il re-sponsabile aveva eccezionalmente esonerato Umberto dai nuclei per non minarne la salute), ci è stato possibile continuare l’impegno con ben poche gratificazioni. Purtrop-po la mamma di Umberto ha infatti sempre negato la propria malattia imputando a noi tutti i disagi che gliene derivavano, spesso con gran-de astio. In quei casi anche se con grande difficoltà cercavamo di ri-cordare la Scrittura “Se tuo padre/tua madre perdesse il senno, non disprezzarla”. Con lei, a causa di al-cuni preconcetti, ma anche per via della malattia, non è stato possibile fare un preciso percorso di accom-pagnamento spirituale, però ha sempre accettato alcuni gesti come il segnarsi con l’acqua di Lourdes oppure berne qualche goccia. Inol-tre, grazie al nostro parroco, che ci ha dato uno speciale permesso per amministrare l’Eucarestia ai nostri genitori infermi, le abbiamo sempre assicurato la Comunione festiva, quando non era possibile altrimen-ti, come già facevamo con il papà di Umberto e poi con la mamma di

Cinzia. Il papà di Umberto era di ca-rattere più dolce e docile, aveva una fede semplice ma serena e sapeva mostrare affetto e gratitudine, ma da un certo punto in poi gli diven-ne estremamente difficile parlare e comprendere i discorsi, quindi non ci restò che affidarlo. La mamma di Cinzia è passata dal rifiuto della vecchiaia e dal concepire la malattia come ‘castigo’ di Dio ad un graduale percorso di affidamento, attraverso un’intensificazione della preghiera, sua, della nostra famiglia e di alcuni amici e fratelli del Piccolo Gruppo. Per lei, come già per il papà di Um-berto, abbiamo fatto ricorso all’in-tercessione di Sabatino: “Pregate gli uni gli altri per essere guariti” e il frutto è stato sicuramente, come abbiamo appreso dalle parole dette da lei la notte prima della morte, una guarigione interiore, espressa da ringraziamenti per i doni ricevu-ti in vita, da affidamento a Dio, da sereno e affettuoso congedo dalla famiglia.

Una presenza fondamentale

Il cammino con il Piccolo Gruppo è stato fondamentale anche in questo lungo periodo di sofferenza: ci han-no sostenuto e indirizzato la presen-

za e il consiglio dei nostri responsa-bili (Augusta, Enzo, Renato e Toni), la vicinanza affettuosa di alcuni fratelli – Ireos e Augusto primi ma non certo unici – e la preghiera di molti di cui magari neppure verre-mo a conoscenza, ma che abbiamo chiaramente avvertito nei passaggi più difficili. E anche i nostri genitori hanno vissuto questo accompagna-mento concreto, quando ad esem-pio ricevevano le visite di Giancarlo Galli, di Sandro e Vilma, di Donatel-la, di Katia Lamberti, o, ancora, gli interventi tecnici e le battute ami-chevoli di Edoardo e i saluti di Anna Mondin. E anche spirituale, tant’è che la mamma di Cinzia nell’ultimo mese di malattia chiese più volte che ‘quelli del Gruppo’ pregassero per lei e ricevette con gioia la cartolina di Giancarlo da Lourdes. Un pensiero va anche a Andrea e Chiara che, giocoforza, sono rima-sti coinvolti in questa ‘avventura’: prima curati affettuosamente dai nonni, successivamente hanno sperimentato come la famiglia se ne prendesse cura, subendo anche i risvolti negativi della situazione, ma pure ricevendo doni in termini di crescita umana e spirituale. Un grazie a loro per aver sostenuto e as-sistito i nonni secondo le loro possi-bilità, a casa e in ospedale, sempre con grande affetto e fantasia: gratu-itamente hanno ricevuto (dai nonni) e gratuitamente hanno saputo dare.

UMBERTO E CINzIA POLETTO(nella foto a pag.14)

IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

Particolare della cappella di Desio

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17IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

Arianna Del Si-gnore, mamma e biologa, è spo-sata con Giusep-pe. Vivono con le loro due figlie in un piccolo

paese alle porte di Padova. Le cro-nache economiche degli ultimi mesi ci hanno abituati a notizie di crisi aziendali che coinvolgono famiglie e imprenditori. Arianna racconta lo stato d’animo di una giovane coppia di fronte alle piccole e grandi diffi-coltà del quotidiano. Un dialogo a tu per tu con il Padre, la preghiera di una mamma alle prese con pan-nolini, spesa e lavoro.

Il Signore disse ad Abram: “Vatte-ne dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò”...Allora Abram partì, come gli aveva ordi-nato il Signore (Gen 12, 1. 4)Queste parole, Signore, le hai rivolte a me quattro anni fa. Ed io mi sono fidata, siamo partiti.

Abbiamo lasciato la nostra prima casa, la mia famiglia di origine, gli amici di una vita, la Comunità che mi aveva accompagnato fino ad al-lora nel cammino verso di Te.Sono partita portando con me solo Giuseppe e Cristina, verso un luogo dove avevi già preparato per noi un altro lavoro, un’altra casa, un’altra figlia.... Ma poi Signore, sono co-minciate le fatiche: la solitudine, le

frequenti malattie delle bambine,la difficoltà a partecipare agli incontri di Comunità, la lontananza degli amici, e, ultimamente,anche l’insicurezza economica.A volte mi sembra che tuttequeste fatiche mi sovrastino.Fatico a capire il motivo per cuiTu mi hai voluto qui, anche se nel cuore ho la certezza che questo è il luogo dove mi chiedi, ora, di mettereradici.Aiutaci Signore, ad essere forti nel-le avversità e nelle sofferenze.Aiutaci a continuare ad affidarci alla tua Provvidenza.Aiutaci a restare sempre legati a Te, che sei l’essenziale.Aiutaci a credere davvero che tut-to passa, e solo il Tuo Amore resta, e che sotto la Tua protezione vera-mente nulla puòcolpirci.

Questa parola del Signore fu rivol-ta ad Abram in visione: “Non teme-re, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande” (Gen 15, 1)

ARIANNA DEL SIGNORE(nella foto in alto)

SIGNORE,LA NOSTRA FAMIGLIA

SOSTIENI

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IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA18

fRA TRADIZIONE E innovazione”VITA CONSACRATA

“LE NUOVE fORME DI

A margine dei lavori di due convegni svolti a Roma nel 2011tante del Piccolo Gruppo di Cristo ha potuto partecipare per un banale motivo: l’invito postale con il pro-gramma e le modalità di iscrizione è giunto alla segreteria di Desio trop-po tardi, quando ormai il convegno stesso si era già svolto.Per fortuna, ben diversa è stata l’esperienza dello scorso novembre, dove – seppure come già detto in forma limitata nel tempo – è stato possibile essere rappresentati e po-ter così cogliere il grande lavorio che sta dietro al progressivo pro-cesso di riconoscimento di queste “nuove forme di vita consacrata”.

L’attenzione da parte della Chiesa

Bisogna anzitutto dire che la Chiesa sta guardando con grande ed affet-tuosa attenzione a queste nuove re-altà. Ai due incontri di giugno e no-vembre, rispettivamente, sono stati presenti il Segretario mons. Joseph William Tobin e il Prefetto mons. Joao Braz de Aviz, vale a dire le due più alte autorità della Congregazio-ne per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (CIV-CSVA). Questa presenza attesta il grande interesse che la Santa Sede rivolge a queste esperienze comuni-tarie nelle quali si coltivano i valori evangelici fino al punto di abbrac-ciare, anche da parte di fedeli laici comuni che tali rimangono, i santi voti tipici della vita religiosa.

In secondo luogo occorre notare che

il tenore delle relazioni offerte ai partecipanti, l’alto livello dei rela-tori, l’articolazione dei temi, indica chiaramente la fiducia con la quale la Santa Sede guarda a queste realtà quasi volendo incoraggiarne il cam-mino, a partire dall’approfondimen-to teologico-spirituale. Ad esempio sono intervenuti l’arcivescovo mons. Vincenzo Bertolone (Catanzaro), p. Agostino Montan (Roma) oltre a di-versi docenti, studiosi ed esperti del campo della spiritualità e della vita consacrata (Vincenzo Battaglia, Ro-berto Fusco, Giuseppe Buffon, Llu-is Oviedo, Rick Van Lier, Giancarlo Rocca e altri).

Realtà eterogeneeUna ulteriore notazione riguarda il modo di impostare il convegno. Es-sendo le nuove realtà piuttosto ete-rogenee, nate alcune come “costole” di istituti già esistenti, altre come realtà completamente originali, le relazioni stesse hanno rispetta-to questa singolare genealogia. Si è così parlato di nuove comunità nelle realtà diocesane, di influssi carismatici preesistenti in ordini e congregazioni magari vecchie di se-coli, di percorsi formativi e identità in costruzione del tutto nuovi. Si è anche affrontato il tema della vita di queste “nuove comunità”, la loro na-tura a volte basata sulla vita comu-ne, altre sulla presenza e adesione individuale “restando nel mondo”; si è affrontato il tema difficile della presenza di sposati, coppie e fami-

“Le nuove forme di vita consa-crata fra tradi-zione e innova-zione” è stato il tema del conve-gno promosso

a Roma il 24-26 novembre 2011 da parte della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Antonianum, della Fraternità Francescana di Betania e del Coordinamento Sto-rici Religiosi (Csr). Anche il Piccolo Gruppo di Cristo è stato invitato a questo incontro e vi ha partecipato, seppure limitatamente, con la pre-senza in fasi diverse, di due aderenti alla comunità romana. I nostri Mar-co Appolloni ed Enrico De Angelis hanno infatti potuto prendere parte ad alcuni momenti della tre-giorni, cogliendo le complesse problema-tiche che la Chiesa sta affrontando circa la presenza e il riconoscimento progressivo delle cosiddette “nuove comunità” che si rifanno ai nuovi cammini di vita consacrata o altri-menti detta “evangelica”.

Il convegno “mancato”Anzitutto un antefatto: un analogo convegno si era svolto il 4 giugno scorso, sempre a Roma, con il coor-dinamento da parte della apposita equipe istituita a partire dall’elenco delle realtà presenti nell’Annuario Pontificio nella sezione denomina-ta “Altre forme di Vita Consacrata”. Purtroppo, a quel primo appunta-mento ufficiale nessun rappresen-

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glie al loro interno, con diverse con-figurazioni giuridiche.

Alcune problematiche aperteDagli atti dei due convegni emer-gono una serie di problematiche che sono all’attenzione su diversi versanti. Anzitutto l’aspetto che ri-guarda l’internazionalità delle espe-rienze, sorte in maniera spontanea e straordinariamente “contempora-nee” seppure a distanza di migliaia di chilometri l’una dall’altra. Basti pensare che al primo incontro di Roma (quello di giugno) erano pre-senti 22 istituzioni provenienti da 11 paesi diversi e da tutti i continenti esclusa l’Africa!

L’aspetto centrale sul quale la Chie-sa si interroga e sta “mettendo alla prova” queste nuove comunità ri-guarda – naturalmente – la pre-senza degli sposati in forme di vita “consacrata” o “evangelica”. Ciò ha evidentemente un grande rilievo perché va a toccare dimensioni qua-li la castità personale e coniugale, la povertà del singolo o della coppia stessa in rapporto ai figli e al con-testo di riferimento, l’obbedienza a una entità esterna al matrimonio. Sono questioni complesse, inerenti la natura sacramentale del matri-monio cristiano in rapporto a im-pegni ulteriori che uno o entrambi i coniugi assumono in ordine alla loro vita spirituale e comunitaria.Un’altra questione riguarda la natu-ra diversificata di tali “nuove comu-

nità”, alcune delle quali puntano più sulla “nuova evangelizzazione”; altre sul servizio alla carità, accoglienza e assistenza; altre ancora sull’aspetto “monastico” inteso in senso molto particolare specialmente laddove sono presenti degli sposati con una fervente vita di preghiera.

Ulteriore aspetto che è stato dibat-tuto riguarda il “governo” di queste nuove comunità, le quali possono essere a volte emanazione di un al-tro istituto ben strutturato, da cui dipendono in linea gerarchica, op-pure risultare realtà completamente nuove con propri organismi di pre-sidenza.

Il senso e il valore della “consacrazione”

L’aspetto forse più delicato riguarda il punto centrale che motiva la vita di tali comunità: quello della “con-sacrazione” come risposta alla uni-versale chiamata alla santità pro-clamata dal Concilio Vaticano II, in forma esplicita, formale, decisa. E’ il concetto stesso di consacrazione che viene chiamato in causa, perché esteso a quanti – fino ad ora – ne erano esclusi non in quanto imme-ritevoli, ma perché ritenuti adegua-tamente ricompresi in forme di vita con un proprio crisma sacramentale (gli sposati, in particolare). Il vinco-lo sacro specifico che in tali comuni-tà viene assunto dai propri aderenti pone domande nuove e chiama in causa quella “fantasia dello Spirito” che non può essere negata, ma che la Chiesa – giustamente – mette sotto stretto vaglio teologico-spirituale e giuridico-canonico.

Gli aspetti indubbiamente positivi

Di là da dubbi e domande cui l’au-torità ecclesiastica sarà chiamata a dare risposte autorevoli e universal-mente riconosciute, i due convegni hanno fatto emergere alcuni indu-bitabili “valori” che queste nuove comunità manifestano: la vita di preghiera, intensa e condivisa; un

forte impegno di annuncio e testi-monianza evangelica variamente manifestato secondo i singoli cari-smi comunitari; la devozione ma-riana e comunque alle pratiche di pietà come tratto distintivo della spiritualità della persona; un certo carattere “monastico” impresso alla vita laicale che contraddistingue pressoché tutte le esperienze e le rende in qualche modo un singolare richiamo di fede; il fascino e il ricor-so a una intensa direzione spirituale oltre che a percorsi formativi con-tinui, anche in presenza di persone avanti negli anni. Sono tutti aspet-ti indubbiamente positivi, che non solo non costituiscono “problema” ma anzi aiutano la vita cristiana, e che inoltre indicano spazi di appro-fondimento utili a tutti, a partire dai cristiani “comuni” che tali vogliono rimanere.

ConclusioniA mo’ di conclusione si potrebbe dire che appartenere a realtà di que-sto genere, se lo si fa con retta co-scienza e senza vanterie o malcelato orgoglio, costituisce uno sprone a interrogare le profondità spirituali di cui la Chiesa intera è portatrice. Il patrimonio storico da cui queste “nuove comunità” discendono pesca infatti in secoli di vita di fede di san-ti e sante, di martiri, di testimoni esemplari che sono un po’ i “fari” cui guardare per seguire una vita buona e santa. Senza inoltre voler esaltare il ruolo dei “fondatori”, occorre ag-giungere che le nuove comunità che hanno i propri ancora viventi (come nel caso del Piccolo Gruppo di Cri-sto con il nostro caro Ireos) possono interrogarsi sul mistero di essere parte di singolari manifestazioni dello Spirito per il bene di tutti. E questo è un “regalo” da non sciupa-re, accogliendo in umiltà una chia-mata che è certamente più grande di ciascuno di noi.

LUIGI CRIMELLA(nella foto a pag.18)

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IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA20

“C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare i giovani a trovare un orientamento e uno sco-po; a superare insicurezze e soli-tudine; i loro enigmi di fronte agli insuccessi, al dolore, alla morte; a tutte le loro inquietudini. È sor-prendente questa testimonianza di fede, di fortezza da parte di una giovane di oggi: colpisce, determi-na molte persone a cambiare vita, ne abbiamo testimonianza quasi quotidiana” con queste parole il Ve-scovo di Acqui Terme Mons. Mari-tano inizio la causa di canonizzazio-ne nel 1999 di Chiara Badano. L’eco della straordinarietà della sua vita nella normalità del quotidiano por-ta molte persone di tutto il mondo,

La testimonianza di Chiara “Luce” Badano.

LO VOGLIO ANCh’IO. “ SEGUIMI !”

specie giovani, a cambiare vita. Il 25 settembre 2010 la beatificazione.

Una breve ma intensissima vita , so-gnava di partire per l’Africa per fare la dottoressa dei bambini ed invece è diventata la Santa dei giovani, la loro Luce. Piena di vitalità, sportiva, a soli 17 anni le viene comunicato un doloroso verdetto dai Medici: sarco-ma osteogenico.

Chiara Luce ha impiegato venti-cinque minuti per dire il suo sì a Dio e non si è più voltata in-dietro. I ricoveri in ospedali sono frequenti e poche sono le speranze di guarigione, le cure sono doloro-se. Chiara vuole essere informata in

ogni dettaglio sul decorso della sua malattia ed ad ogni “sorpresa” do-lorosa la sua offerta è decisa: “Per te Gesù, se lo vuoi tu, lo voglio anch’io!”

Il male progredisce velocemente e si fa strada il presentimento di mor-te, Chiara domanda alla mamma “è giusto morire a 17 anni?” e lei : “Non lo so. So solo che importante fare la volontà di Dio, se questo è il suo disegno su di te”.

Ormai ridotta all’immobilità è at-tivissima, tanti sono gli amici che vengono a trovarla per consolarla e invece con il suo sorriso e le sue parole ricevono amore e conforto.

SE LO VUOI TU

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Segue tramite telefono la nascita di gruppi di Giovani per un Mondo Unito (GMU), partecipa a congressi con messaggi, cartoline. Con l’ag-gravarsi della malattia, caratterizza-ta da fortissimi dolori, occorrerebbe intensificare la somministrazione di morfina, ma Chiara Luce la rifiu-ta: “io ho solo il dolore da of-frire a Gesù - ecco - la morfina mi toglie lucidità e non posso”. E non l’ha più voluta fare proprio per questo: offrire a Gesù questo suo dolore. In un momento di par-ticolare sofferenza fisica confida alla mamma che nel suo cuore sta cantando: “Eccomi Gesù, anche oggi davanti a Te”. Con queste parole rivolte alla mamma: “Ciao, sii felice, perché io lo sono”. Chiara Luce parte per il cielo il 7 ot-tobre 1990. La sofferenza è sempre una dura prova per l’uomo. Cristo non abolisce la sofferenza dalla vita umana ma su ogni sofferenza get-ta una luce nuova, la luce del-la salvezza. Cristo va incontro alla sua passione e morte con tutta la consapevolezza e la forza della sua missione di sal-vezza che deve compiere per-ché: “l’uomo non muoia, ma abbia la vita eterna”.“Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.” dice S. Paolo.

Ogni uomo ha la sua partecipazione alla redenzione: “Vi esorto dunque, fratelli , per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacri-ficio vivente , santo e gradito a Dio.” S. Paolo ai Romani.

L’uomo scoprendo nella fede la sof-ferenza redentrice di Cristo, insieme scopre le proprie sofferenze arric-chite di significato e di senso. Nel-la sofferenza è come contenuta una particolare chiamata alla virtù della perseveranza che sprigiona speran-za. L’uomo muore quando perde la vita eterna e perdere la vita eterna vuol dire sofferenza definitiva. Ca-pita che si possa giungere nella vita

alla negazione stessa di Dio a cau-sa della sofferenza. L’uomo rivolge a Dio l’interrogativo del “perché la sofferenza?” con tutta la commo-zione del suo cuore e Dio aspetta questa domanda e l’ascolta come nel libro di Giobbe “ Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono”. Dobbiamo fare il salto

dal “sentito dire” all’esperien-za di Dio e “vedere” Dio. E’ l’ini-zio di qualche cosa di nuovo, la luce della salvezza.

ROSALBA BEATRICE

Bibbliografia: SALVIFICI DOLORIS Santo Giovanni Paolo II

Statua della Madonna nella cappella di Desio

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IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA22

Dalla famiglia di Cinzia e Rossano Da Re (Treviso)in missione in Perù

FINO ALLA FINE”(GV 13,1)

La famiglia di Cinzia e Rossa-no Da Re, del P.G.C. di Treviso, coi tre figli Federica, Leonar-do ed Elisabetta, da circa un anno si trova a Cusco, in Perù. Rossano e Cinzia hanno scelto di partecipare a una iniziativa di servizio dei missionari Ser-vi dei Poveri del Terzo Mondo, nel lontano paese dell’America Latina.Sono così diventati una del-le coppie di sposi missionarie aderenti a quella famiglia re-ligiosa che intende offrire una testimonianza di apertura, ac-coglienza e servizio ai più po-veri. Qui di seguito tre scritti: il primo è di Cinzia e Rossano, che narrano l’impatto con la nuova realtà peruviana; gli al-tri due sono dei figli Leonardo e Federica, con le considera-zioni di quanto sta loro avve-nendo.

Queste sono le prime parole che ci sono venute in mente quando il Responsabile Generale del P.G.C. Giancarlo ci ha chiesto di scrivere cosa significa prepararsi alla Pa-squa tra i poveri. Amare fino alla fine. Non dice amare tanto o fare tutto il possibile. Il vangelo di Gio-vanni dice chiaramente: “…li amò fino alla fine” e quindi “…si alzò da tavola, depose il mantello…versò dell’acqua nel catino e incominciò a lavare i piedi dei discepoli…” (Gv 13, 4-5).

Per noi, vivere la Pasqua qui, in Perù, accanto a gente molto povera, significa imparare ad amare come Gesù. Dal momento in cui siamo ar-rivati e per tutto il corso di quest’an-no, ci sono due parole che ci stanno perseguitando e che ritroviamo ad ogni angolo: Umiltà ed Obbedien-za. Ne avete mai sentito parlare? E’ esattamente quello che fa Gesù: si umilia, obbedendo fino alla fine.

Ricordo che una volta Giancarlo disse che non siamo noi a scegliere

i poveri, né il povero è colui che io decido di aiutare, dal quale possibil-mente mi aspetto una gratificazione e che mi permette di esercitare la mia carità. Il povero, generalmente, è colui che io vorrei evitare, è colui al quale faccio fatica ad avvicinar-mi, perché puzza, è sporco, forse ha delle malattie contagiose. Il po-vero non mi chiede qualcosa, ma mi chiede tutto; spesso è egoista, bugiardo, pronto ad approfittarsi di te, a suo vantaggio. Spesso abbiamo una visione romantica della pover-

“LI AMò

Da sinistra: Cinzia, Federica, Elisabetta, Leonardo, Rossano

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23IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

tà, in cui noi, come eroi, portiamo la salvezza a queste persone, gli in-segniamo a vivere e gli trasmettia-mo la Verità. Dopo un anno di vita missionaria, abbiamo appreso pro-prio questo, che prima di qualsiasi altra cosa, dobbiamo inginocchiarci di fronte alle tante persone povere che incontriamo, per lavare loro i piedi, per amarli fino alla fine. Que-sto significa non scandalizzarsi del loro modo di vivere, non aver paura di entrare nelle loro catapecchie o di infangarsi per arrivare alle loro case, significa non temere un ab-braccio perché sono sporchi e chissà cosa mi attaccheranno. Lasciare la nostra casa, il nostro lavoro, le no-stre famiglie è stato un passo diffici-le, ma non il più importante; ancora più difficile è lasciare le nostre idee, i nostri pregiudizi, i nostri progetti, per poter amare questa gente, così come Gesù amò i suoi discepoli, sa-pendo che poche ore dopo tutti lo avrebbero abbandonato, se non rin-negato o tradito.

L’altro giorno, entrando in un nego-zio del centro di Cusco, una bimba – non avrà avuto più di 4 anni – ha cercato di rubarmi (a me Cinzia) il portafoglio e solo la sua ingenua ine-sperienza ha impedito che questo accadesse. Guardandola in viso ho provato una forte compassione per lei, pensando a quello che le stan-no insegnando e come la sua anima viene addestrata al peccato. Ho cer-cato di spiegarle che non deve asso-lutamente farlo, che è Male, mentre lei mi fissava con questi occhioni puri e innocenti e sono rientrata a casa con un grande dolore nel cuore. Questo è il vero volto della Povertà: il non conoscere Dio e la sua lettera d’Amore, che sono i Comandamen-ti, l’insegnare ai piccoli a compiere il Male. “Chi poi avrà scandalizzato uno di questi piccoli, sarebbe me-glio per lui che gli appendessero al collo una pietra e fosse gettato in mare”. (Mc 9, 42)Amare i poveri del Perù, significa essere prima di tutto degli Adorato-

ri, come ben ci spiegava in una sua lettera l’ex vescovo di Treviso Bru-no Mazzoccato (Adoratori e Mis-sionari), perché non hai risposte da dare di fronte a tanta ingiustizia e a tanta miseria e solo sostando con Gesù, possiamo sperare di avere in noi i suoi sentimenti e confidare che la nostra vita e i nostri gesti possano parlare al posto delle nostre spesso vuote parole.

Amare i poveri del Perù, significa anche accettare il loro rifiuto, la loro diffidenza, a volte il loro odio. Abbiamo sempre letto storie mera-vigliose di missionari, ma nella re-altà che viviamo non è sempre così. Lungo questo cammino non manca-no gli insulti, gli sputi, la derisione, il “vediamo ora cosa fa, se il suo Dio interviene”, anche da parte dei sa-cerdoti locali. In realtà siamo con-tenti di questa cosa, perché così il nostro cammino assomiglia di più a quello di Gesù.

Questo amare fino alla fine, poi, è ancora più difficile, ma più urgen-te all’interno della Fraternità in cui viviamo. Attualmente siamo 12 famiglie e l’anno scorso, per la pri-ma volta, il Giovedì Santo abbiamo vissuto questo momento, lavandoci i piedi gli uni gli altri: le spose tra di

loro e gli sposi tra di loro. E’ stato un gesto simbolico, ma forte, perché ci ha richiamati all’amore e al servizio reciproco prima di tutto tra di noi, persone che non si sono scelte, con profonde differenze culturali e di abitudini, per non parlare della dif-ferenza di lingua, con tutti i rischi di incomprensioni. Anche per questo è molto meglio e più raccomandato il silenzio, non solo interiore, perché le molte parole sempre possono es-sere mal interpretate o mal pronun-ciate! Il Signore amò fino alla fine anche Giuda e Simone. Il Signore ci dice di amare i nostri nemici. “Che gloria c’è ad amare i propri ami-ci?”. Chi sono i nostri nemici? Sono le persone che vivono con noi o che incontriamo quotidianamente e che ci creano problemi o ci feriscono. Vivendo sempre insieme alle stes-se persone e avendo a che fare con loro molte volte durante la giornata è inevitabile diventare uno il nemi-co dell’altro. Anche noi siamo il ne-mico degli altri. Diventiamo nemici di qualcuno molte volte quasi senza accorgerci di questo, perché siamo differenti dagli altri, perché abbia-mo una storia personale diversa e perché siamo peccatori.

Anche tra marito e moglie si può diventare nemici, nel senso che ci

Cinzia in visita a una famiglia

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IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA24

si ferisce a vicenda. Come possiamo non perdonarci? Come possiamo non perdonare tutti gli altri? Non c’è altra via. E non possiamo perdo-narci tra di noi e non perdonare gli altri. Che senso avrebbe? Non posso perdonare il mio coniuge e invece gli altri no, quelli che posso per-mettermi di non perdonare, perché sopravviverò lo stesso, quelli posso fare a meno di perdonarli… No, il Signore ci dice di amare i ne-mici e di perdonarli 70 volte 7, cioè sempre. E di perdonarli col cuore e non con le labbra. Perdonarli vera-mente, cioè amarli.

Però il perdono possiamo donarlo solo con la grazia di Dio, cioè nutren-doci del Corpo di Gesù Cristo. Se lui non ci nutre non possiamo amare perché solo Lui è l’Amore. Noi ve-diamo ogni giorno i nostri collabo-ratori nei collegi, e nonostante siano delle persone “credenti” e compro-messe con il nostro Movimento missionario, nonostante partecipi-

no a catechesi, ritiri e messe, man-cano spesso della “capacità” (grazia) di amarsi e perdonarsi tra di loro. Perché? Ce lo chiediamo spesso. E’ perché non fanno la Comunione. Non la fanno per molte ragioni: per abitudine, perché non sono sposati in chiesa, perché non si sentono de-gni (il diavolo è sempre all’opera). E’ molto difficile fargli comprende-re l’importanza dell’ Eucaristia. In molte chiese del Perù le messe sono molto “sbrigative” e le liturgie molto povere. Le chiese sono tenute male, la gente arriva in ritardo durante tutto lo svolgimento della messa, cani randagi entrano ed escono, spesso fanno la pipì sui banchi, le persone sono sporche e puzzolenti, i bambini non stanno fermi (non ri-cevono alcuna educazione e rispet-to degli altri). Tutto ciò non aiuta la gente a comprendere l’importanza della celebrazione eucaristica. E in questo modo tutti sono abituati fin dalla loro infanzia. Molti paesi non hanno parroci e purtroppo lì proli-

ficano le sette cosiddette “cristiane”. Si chiamano con mille nomi simili e creano molta confusione tra la gen-te. Quasi nessuna di queste “religio-ni” vive la comunione eucaristica, spesso ne parlano male e dicono che noi cattolici siamo cannibali perché mangiamo del corpo di Cristo. Mol-ti dicono che Cristo non è realmente presente nel Santissimo Sacramen-to. Vi immaginate la confusione che creano tra questi popoli così sem-plici e incapaci di distinguere tra cristiani cattolici e cristiani di altre fedi ?

Spesso anche i ragazzi che stanno nei nostri collegi per molti anni non fanno la comunione nonostante tut-te le catechesi, le messe e le omelie che sentono. E’ perché i loro genito-ri non fanno la comunione. E’ tut-to inutile se le loro famiglie non si convertono veramente e si perdono, purtroppo. Certo ci sono le eccezio-ni e comunque noi dobbiamo fare la nostra parte e dare tutto quello che abbiamo, tutto quello che noi abbiamo ricevuto: dobbiamo amar-li fino alla fine. La Pasqua è morire a se stessi e donarsi tutti agli altri, essere come Gesù che è venuto ed è morto per i peccatori. Chiediamo le vostre preghiere, le preghiere di tutto il Piccolo Gruppo di Gesù per aiutarci a divenire piccoli, cioè umi-li ed obbedienti, cioè alter Christus per non scandalizzare i piccoli che ci vengono posti sul nostro cammino e affidati. Amen.

CINzIA E ROSSANO DA RE22 febbraio 2012Mercoledì delle Ceneri

Elisabetta nella mensa del collegio femminile

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25IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

NOI

LEONARDO DA RE

Per me venire qui in Perù non è sta-to facile: lasciare l’Italia, i miei ami-ci, i nonni… e tutte le cose che non avrei potuto portarmi via! All’inizio mi sembrava impossibile adattarmi: non capivo la lingua, mi sentivo solo e per me era molto difficile vivere in solitudine. Tre mesi dopo essere ar-rivati avevo già imparato a parlare e scrivere in spagnolo e questo mi-gliorava di molto la mia situazione, però essere figlio di una famiglia missionaria non mi era di aiuto. I miei compagni, molto poveri, era-no gelosi di me e secondo l’idea che mi sono fatto, quando si è poveri si desidera essere migliori degli altri e per ottenere questo mi umiliavano in tutti i modi: prendendomi in giro per il colore della pelle, per il mio modo di parlare, per le mie diffi-coltà. Fortunatamente il Signore mi sta aiutando molto, mi dà pazienza

per sopportare le prese in giro e mi conforta nelle umiliazioni. Grazie a Lui vedo i miei compagni con occhi diversi e quando penso tutto quello che soffrono – la fame, il freddo, la violenza da parte del papà, spesso sono orfani e quando tornano a casa non trovano una casa accoglien-te e neppure i loro genitori che gli chiedono come è andata la giorna-ta – mi accorgo che le mie fatiche sono molto piccole e che il loro com-portamento è dovuto spesso alla mancanza di amore. Certo, questa esperienza ha anche i suoi vantag-gi: all’interno della Fraternità posso stare con i miei amici quando voglio e grazie ad Internet posso rimanere in contatto con i miei amici in Italia. In conclusione, dal non voler venire qui, ora, poco a poco sto vedendo il lato positivo di questa esperienza. Finalmente sto dando la schiena a tutte le cose brutte e mi sto fissando solo in ciò che è bello e positivo.

FEDERICA DA RE

Non è stato facile per me accettare la decisione di mamma e papà di venire qui in Perù. La mia era una paura di cambiare vita così radical-mente. Mi dispiaceva lasciare i non-ni, gli zii e le mie amiche. Temevo anche di dover rinunciare a qualche libertà in più, però adesso che ci penso, in realtà mi rendo conto che non mi importa molto. Adesso che sono qui, tutto è cambiato ed in fon-do non è così male. Mi piace perché questa esperienza mi dà la possibi-lità di imparare una nuova lingua e di relazionarmi con persone di ogni parte del mondo, con mentalità, modi di fare ed esperienze di vita totalmente diverse. Un altro aspet-to positivo, anche se può sembrare strano, è conoscere la povertà da vi-cino, viverla e capirla. Ogni volta che esco da Villa Nazareth – il gruppo di case in cui viviamo – e mi guardo intorno, penso che la vita di queste persone è un’ingiustizia e mi rendo conto che io posso fare ben poco. Al collegio mi confronto ogni giorno con le mie compagne, che sono tra le persone più povere della città e mi accorgo che la loro cultura è così differente e difficile da comprende-re. Per questo ogni giorno chiedo aiuto al Signore, perché mi sostenga e mi aiuti a perdonare ogni ingiusti-zia. Sento la Sua presenza nella mia vita e il Suo sostegno, sebbene abbia tutte le ragioni per essere arrabbia-to con me, che di certo non sono una santa…cosa che mi ripeto spesso e che spesso mi aiuta a portare più pazienza con gli altri, pensando a quanta ne deve portare il Signore con me!

ECCO COSA NE PENSIAMO

Leonardo con Renè, un compagno di classe

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IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA26

Una testimonianza sul cammino di preparazionealla S. Pasqua in famiglia

Ci piace partire da questo umile scritto per raccontare cosa per noi, famiglia, racchiude la Pasqua che celebriamo ogni anno.

Nella notte di Pasqua del 1993 è sta-to battezzato il nostro primo figlio, Paolo. In quella notte, il cui rito prevede il passaggio dalle tenebre alla luce (passaggio rappresentato dall’ingresso in chiesa, con le luci soffuse che gradualmente aumen-tano d’intensità fino alla loro pie-nezza), e in cui preghiamo “che ci sia dato di camminare sulla strada

“Delle 365 notti che compongono l’anno c’è una che ne vale quattro. Esiste in

altre parole, una notte che ne contiene tre, in maniera che, quando soprag-

giunge questa notte, porta con sé le altre e le rende presenti… Questa notte

è la Pasqua della nostra salvezza: da essa scaturisce il giorno del Signore,

la domenica! Con essa è inaugurata per noi l’eternità!”.

(Tarcisio zanni, Che cosa c’è di diverso questa notte?)

della vita come figli della luce verso il Regno eterno”, abbiamo celebrato l’ingresso nella comunità di questa vita nuova col desiderio che resti per sempre nella luce di Cristo.

Ogni notte di Pasqua, che ricorda la notte della prima creazione, per noi si arricchisce di questo significato. Fin dai primi anni di vita la scelta di non alimentare il mercato con-sumistico con segni esteriori (uovo di cioccolato, colomba) ma di arric-chire il vissuto dei bimbi con la tra-smissione di riti familiari semplici

(torta con le uova vere come anti-pasto piuttosto che l’agnello arrosto per il pranzo), condivisi con i nonni, ha caratterizzato la dimensione del-la festa. La presenza di tutta la fa-miglia, piccola chiesa domestica e, a volte, del parroco ha voluto esser segno della comunità che accoglie e sostiene la crescita dei piccoli nella luce del Signore.

Ma la notte di Pasqua racchiude in sé anche la notte in cui apparve la fede sulla terra. Il sacrificio che Abramo fece sul monte Mòria, che ricordiamo ogni anno nella secon-da lettura della Veglia, ci rimanda al cammino di fede che ogni uomo è chiamato a compiere lungo il corso di tutta la sua vita per giungere al completo affidamento a Dio; quello di Abramo che lungo la storia diver-rà il Dio di Isacco di Giacobbe, … il mio Dio! Vivere come famiglia que-sto passaggio ha significato salire “il monte della crescita” dei figli stando accanto nel loro cammino dell’Ini-ziazione cristiana vissuta in comu-nità, portando la legna che serve perché la loro fede si irrobustisca. Vivere in prima persona la parroc-chia, partecipare agli incontri delle giovani famiglie, rendersi disponi-bili per i piccoli servizi come per le responsabilità più grandi, riteniamo che sia stato un esempio non trascu-rabile nel loro processo di matura-zione della fede.

Vivere in particolare la Quaresima,

FEDE ROBUSTAPORTARE LA LEGNA ChE SERVEPER UNA

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con i riti del digiuno, della rinuncia ai dolci, della preghiera più assidua, stimolati dai sussidi appositi dati lungo il loro cammino in prepara-zione ai sacramenti, per prepararci a celebrare con fede la Pasqua ha caratterizzato gli anni della fanciul-lezza dei nostri figli.

Ma ecco la terza notte, quella che ricorda la libertà donata da Dio al suo popolo prediletto, quella per cui il nostro Dio ha udito il grido del suo popolo ed è sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto. Sono ancora le letture della Veglia pasquale ad aiutarci a ricordare e, ancora di più, ad attualizzare la fede dei nostri Pa-dri che sperimentano la liberazione della schiavitù attraverso il “passag-gio” del Mar Rosso.Che gioia quan-do Israele passò “a piedi asciutti” perché il mare si ritirava riverente, di qua e di là, perché passavano i figli di Dio! Ma quante fatiche per giungere fin lì e quante fatiche ci sa-

rebbero state ancora.

Rileggere l’esperienza della liber-tà nel cammino di avvicinamento alla Pasqua come famiglia con figli adolescenti ha significato combat-tere contro le tentazioni di vanità, di possesso, di chiusura che sia noi adulti, sia i ragazzi, ogni giorno re-spiriamo negli ambienti in cui ci muoviamo.

Pur constatando la nostra fragilità e incostanza, cerchiamo di essere per loro testimoni credibili perché possano accogliere generosamente quelle iniziative di altruismo, di de-dizione e di preghiera (come i ritiri diocesani) che possono accompa-gnarli in un cammino di vera liber-tà. Con gioia ricordiamo ad esempio, i buoni frutti scaturiti dall’assistere in TV ai funerali delle vittime del terremoto a L’Aquila in prossimità della Pasqua 2009. Quanto impe-gno, sudore e riflessioni sono scatu-

riti sia in Paolo sia in Francesco da quella prima apertura della mente e del cuore!Infine, la notte in cui la luna piena ha visto rotolare via la pietra del sepolcro di Gesù e ha visto uscire il Signore dalla tomba. Ecco il triplice annuncio della Pasqua: “Cristo Si-gnore è risorto. Rendiamo grazie a Dio!” Noi che celebriamo la Pasqua della quarta notte, quella del SI defi-nitivo di Dio, ci rendiamo conto che questa Pasqua non è ancora finita, anela ad un compimento, “quando il mondo, giunto alla sua fine, rina-scerà per il nuovo giorno eterno”. Anche come genitori ci rendiamo conto della nostra opera incom-piuta, del necessario affidamento nostro e dei nostri figli al Signore Risorto, affinché anche nelle nostre vite “si realizzi in pienezza il motivo per cui Tu ci hai chiamati”.

ROSSELLA & ROBERTO GENTILI(nella foto a pag.26)

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IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA28

PELLEGRINO,LASCIATI CONDURRE DA DIO

Dal 25 al 27 maggio 2012 il Picco-lo Gruppo di Cristo si radunerà ad Assisi per vivere un pellegrinaggio nella fede sui luoghi di Francesco e Chiara. Padre Antonello, frate mi-nore conventuale, è originario di Assisi. Entra in convento a 28 anni, trascorre il suo percorso di forma-zione tra Padova, Assisi e Parigi. Da dieci anni cura la pastorale gio-vanile e vocazionale presso la Ba-silica di S.Francesco. Ci introduce al cammino verso Assisi facendo proprie le parole del Santo: “Pelle-grino, lasciati condurre da Dio”.

La Chiesa si sta preparando all’Incontro Mondiale delle Famiglie, a fine maggio, a Mi-lano. Come la storia di Chiara e Francesco parla alle fami-glie di oggi?Il cammino vocazionale di France-sco inizia con una rottura, in parti-colare con la figura paterna. I sogni di Pietro di Bernardone – la caval-leria e il titolo nobiliare – vengono infranti dalla scelta del figlio. Il de-siderio di seguire il Signore porta Francesco a iniziare il suo percor-so vocazionale, facendo i conti con una conflittualità che si risolverà solo molti anni dopo. Non abbiamo notizie chiare ma da alcuni atteg-giamenti di Francesco possiamo ri-costruire come suo padre abbia ten-tato, a distanza di tempo, qualche passo di riconciliazione.

Come si comporta Francesco

in quella situazione?Prosegue per la sua strada, cercan-do un modo per essere felice e per collocarsi nella società. E’ la perfet-ta letizia che espliciterà negli anni seguenti. Nel momento della spo-liazione – di fronte al padre – Fran-cesco sottolinea come “da questo momento ho come padre il Padre nostro che è nei cieli”. Nelle famiglie di oggi, soprattutto in Italia, assi-stiamo spesso a legami che rischia-no di soffocare l’azione dello Spiri-to, è importante invece sviluppare un’attenzione allo spazio di ciascu-no, nel rispetto dei ruoli educativi ma senza imposizioni che sviliscano le intuizioni che i figli portano den-tro.

Il cruccio di tanti genitori è trovare le risposte giuste alle domande dei figli.Francesco ci indica una grande li-bertà di cuore, capace di creare le-gami nuovi alla luce dell’insegna-mento del Vangelo. Nel suo caso la rottura è necessaria per dare corpo

al suo percorso vocazionale ma – per fortuna – esistono tante belle realtà di famiglia in cui genitori e fi-gli dialogano durante e dopo l’adole-scenza. Un momento di verifica è ad esempio il cammino dei fidanzati.

Ad Assisi incontrate tanti gio-vani alle prese con un discer-nimento vocazionale…Nella coppia che si sta formando è importante riconoscere la centra-lità del proprio amore, consapevoli che si sta camminando per formare una famiglia in cui marito e moglie “sono una cosa sola”. La famiglia di origine – pur con tutti gli aiuti e le bellezze che può dare al rapporto – non deve diventare troppo ingom-brante. Che tipo di relazione sto co-struendo con chi ho accanto, come rileggo il rapporto con le nostre fa-miglie di origine?

Assisi è attraversata ogni anno da migliaia e migliaia di visitatori: qual é il senso pro-fondo di mettersi in cammino verso questi luoghi?L’invito di Francesco è quello di “la-sciarsi condurre al Signore”. Fran-cesco non si sostituisce a Cristo ma ci aiuta a entrare in relazione con il Padre. Il pellegrino è chiamato a lasciarsi portare alla scoperta dei luoghi francescani per fare espe-rienza di Dio attraverso l’esperienza di Francesco.

G.C.

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29IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

Cresce l’atte-sa per l’arrivo a Milano del San-to Padre Bene-detto XVI. Per chi è abituato ad ascoltarlo in

piazza san Pietro potrebbe non es-sere una notizia. Così pure per chi ha avuto il dono di incontrarlo a Ve-nezia lo scorso anno.

Eppure c’è qualcosa di attraente, un’ostinazione del cuore, nel voler-mi stringere intorno al successore di Pietro insieme alla mia famiglia. La veglia e la messa con il Papa verran-no celebrate nella spianata dell’ae-roporto di Bresso, a pochi chilome-tri da Desio. Arrivando in elicottero mi piace pensare che il Santo Padre potrà gettare uno sguardo dall’alto anche sulla casa della nostra Comu-nità.

In un anno già ricco di attese e di impegni, ci è chiesto di rimodulare priorità e agende, prendendoci del tempo per fare esperienza di Chie-sa: nelle ultime settimane Michela ed io ci siamo lasciati coinvolgere più attivamente nella macchina or-ganizzativa, rendendoci disponibili per accogliere una coppia di sposi in casa nostra e dare una mano nella nostra comunità pastorale per co-ordinare arrivi e partenze dei pel-legrini.

La Comunità ha messo a disposi-

incontrano il PapaLE FAMIGLIE

del mondo

zione la casa di Desio per ospitare i fratelli e le sorelle di Roma e Tre-viso, alle comunità lombarde è stato chiesto di assecondare la richiesta della Diocesi di aprire le proprie case alle famiglie del mondo. Quan-do tuttavia abbiamo iniziato a par-larne, ci siamo resi conto delle dif-ficoltà logistiche per tante famiglie. La settimana precedente ci sarà il pellegrinaggio ad Assisi – momen-to preparato da tempo e occasione di conversione per tutti noi – e sap-piamo bene che le forze non sono infinite. Non lo erano nemmeno per i discepoli nel Getsemani e infatti si sono addormentati mentre Gesù pregava.

“Se il piede manca, è il cuore che si ostina” diceva Claudel: lasciamoci

Da Assisi a Milano, il Piccolo Gruppo si preparaad un mese di maggio ricco di doni spirituali

coinvolgere da questa proposta, su-periamo l’inerzia del pensare che sia rivolta ad altri, ai più giovani, ai più vicini. Ritroviamoci dunque all’om-bra della Madonnina per riconse-gnare alla Chiesa i frutti spirituali del pellegrinaggio ad Assisi.

Per esigenze organizzative è im-portante iscriversi per tempo: chi fosse interessato lo comunichi al più presto al proprio capo-nucleo o al responsabile locale. Aiutiamoci a vivere nella gioia l’incontro con il Santo Padre: i nostri figli e i nostri nipoti porteranno certamente nel cuore questo momento.

GIOVANNI CATTANEO(nella foto in alto)

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IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA30

Il sito ufficiale del “Gruppo” ha due obiettivi di comunicazione: da una parte far conoscere il cammino, la spiritualità e il fondatore del Piccolo Gruppo di Cristo, dall’altra mettere a disposizione articoli, materiale per pregare e le relazioni dei diversi incontri di comunità.

Essendo uno strumento dinamico per definizione, il sito nei prossimi mesi sarà sempre di più integrato con nuove pagine e contenuti an-che multimediali per permettere a chiunque di vivere una interazione intelligente, efficace e utile. Ecco

quindi alcune possibili interazioni con il sito www.piccologruppo.it

La prima paginaDalla home page, la prima pagina, abbiamo tre livelli di consultazione:1. in alto la barra per accedere alle

“pagine interne” (il cammino/il fondatore/esperienze di vita)

2. nell’area centrale “in primo pia-no” è presente una sorta di lava-gna dove quotidianamente viene inserito un articolo di riferimen-to pescato dalle notizie di Chiesa

3. nell’area laterale a destra sono presenti partendo dall’alto:

• “newsletter” ovvero la possibili-tà di iscriversi alla email per es-sere aggiornati

• “contatti”, con i riferimenti della segreteria del Gruppo e la mappa con l’indirizzo della casa di Desio

• il motore di ricerca (“cerca”) per recuperare più facilmente mate-riale all’interno del sito

• il “calendario” con gli appunta-menti del mese (Comunità/Fra-ternità/Cenacolo evangelico)

• “in bacheca” con segnalati il santo/i del giorno accompagnati dai riferimenti biblici

• “area riservata” con la possibili-tà di effettuare l’accesso o di re-gistrarsi

• “siti amici” con riferimento a siti web per ulteriori approfondi-menti

• una sezione con immagini della casa di desio e altre gallerie foto-grafiche.

Capiamo bene come già dalla home page il sito offra diverse soluzioni di approfondimento con la possibilità di condividere online qualsiasi pagi-na attraverso i bottoni dei maggiori social network (Facebook, Twitter, Google Plus) posizionati sopra ogni articolo o pagina. Il passaparola passa anche da queste semplici in-terazioni. Il camminoIn questa sezione, divisi per capito-li, si può approfondire la storia, la spiritualità, il carisma e la forma-

Come visitare e cosa trovare nel sito www.piccologruppo.it

INTERNETIL PICCOLO GRUPPO DI CRISTOAL TEMPO DI

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31IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

zione del Piccolo Gruppo di Cristo. È qui che si può trovare anche una presentazione sintetica del Gruppo (scaricabile in formato pdf) e visua-lizzabile con un documento multi-mediale.

Il fondatoreC’è anche un’area dedicata al nostro fondatore Ireos con una breve spie-gazione, diversi documenti su me-ditazioni, preghiere (diverse scari-cabili in formato pdf) e riferimenti a testi fondamentali “prodotti” da Ire-os che possono essere ulteriormente approfonditi al sito www.lavorae-prega.it, vero e proprio corollario al sito ufficiale del Gruppo.

Esperienze di VitaPrendendo in prestito il nome dall’omonimo periodico del “Grup-po” questa sezione offre contenuti multimediali e pubblicazioni anche da scaricare. Infatti in questa se-zione troverai foto, video e articoli delle esperienze che la comunità vive durante l’anno: incontri, pelle-

grinaggi, ritiri spirituali, esperienze estive e momenti di festa e molto al-tro ancora.

In particolare nell’area immagi-ni vogliamo condividere i volti e le esperienze che caratterizzano la co-munità, invece in quella dei video diffondiamo testimonianze di Chie-sa. Nell’area Pubblicazioni troverai le uscite di “Esperienze di Vita”, periodico della comunità con rifles-sioni e testimonianze di vita vissuta come anche nell’area degli Articoli. Infine la pagina Family 2012 vuole essere un utile riferimento e aggior-namento per il VII Incontro Mon-diale delle Famiglie.

Area riservataÈ questa la sezione dedicata ad ar-chivio dei documenti prodotti du-rante l’anno dalle diverse comunità del “Gruppo” e scaricabili. Infatti qui troviamo una cartella per ogni comunità con i testi e le meditazioni degli incontri, una cartella dedicata all’aspirantato con tutte le istruzio-

ni dei quattro periodi. La cartella segreteria contiene i calendari ge-nerali dell’anno e quelli specifici di ogni comunità come anche un do-cumento con riportati tutti i riferi-menti degli appartenenti al “Grup-po”. Infine la cartella Materiale di riferimento offre documentazione su figure care alla comunità. Tutte queste cartelle sono visibili a chi si è registrato e fa parte del “Gruppo”. Per chi si registra e non fa parte del “Gruppo” è comunque possibile vi-sionare la cartella Piccolo Gruppo di Cristo contenente una presenta-zione del PGC e qualche materiale pubblico.

È importante abituarsi all’utilizzo di questo strumento sia all’interno del-la “Gruppo” che per farlo conoscere all’esterno. Per qualsiasi problema di visualizzazione o accesso al sito non esitate a contattare Paolo Cat-taneo scrivendo alla email [email protected] .

PAOLO CATTANEO

Come visitare e cosa trovare nel sito www.lavoraeprega.it

Dopo la spiegazione di come si pos-sa usare il sito del Piccolo Gruppo di Cristo che si trova su Internet al seguente indirizzo www.piccolo-gruppo.it, eccoci alla spiegazione di cosa si possa trarre dal sito collega-to www.lavoraeprega.it

Anzitutto occorre dire che questo secondo sito è un importante corol-lario del primo (quello ufficiale del “Gruppo”). In esso è possibile tro-vare buona parte del materiale via via “prodotto” da Ireos nei suoi de-cenni di vita di fede e di preghiera. Con un paziente lavoro di raccolta e organizzazione, Andrea Di Maio ha schedato i vari scritti, discorsi, eser-cizi e ritiri spirituali tenuti da Ireos nel corso del tempo, organizzando-

li in vista di una pubblicazione che possa essere di utilità generale sia per gli attuali aderenti al Piccolo Gruppo di Cristo, sia per quelli fu-turi, sia inoltre per tutti coloro che vorranno studiare il carisma di que-sta comunità così come è stato pre-sentato da Ireos.

Ecco quindi alcune piste per entrare nel sito www.lavoraeprega.it in ma-niera produttiva.

La prima paginaAnzitutto la home page, vale a dire la prima pagina: dai menu in essa presenti (http://www.lavoraepre-ga.it/) si trovano le informazioni “minimali” per utenti sia interni sia esterni. Le varie “tendine” che

si aprono nella striscia orizzonta-le nera sotto l’immagine di Gesù in croce portano alle “novità”, al “benvenuto”, a quanto hanno detto o scritto i “Pastori”, alla persona di Ireos (breve biografia e descrizio-ne della spiritualità), agli “Scritti”, quindi alle “Meditazioni”, “Preghie-re”, alle “Fondazioni” (la “Comuni-tà”, la “Fraternità” e il “Cenacolo”), fino ai “Sussidi” con alcune fonti spirituali di cui si è nutrito Ireos, e infine uno spazio per la figura di Sa-batino, di cui è in corso la causa di beatificazione.

Già soltanto fermandosi a tali “ten-dine” c’è sufficiente materia per co-gliere, nel suo insieme, la ricca sto-ria del P.G.C. dalla sua fondazione

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ad oggi; le voci del Magistero della Chiesa che lo hanno riconosciuto e incontrato; le figure spirituali che lo hanno ispirato e sostenuto.

Le edizioni dei testiScendendo più al centro della home page si trova il piano completo di edizione (da cui si possono consul-tare già i testi “pubblicati”) e una antologia ragionata. Accanto c’è quindi un interessante repertorio di brevi pensieri di Ireos divisi nei seguenti temi: Amore Carisma Ca-rità Castità Celibato Comunione Consacrazione Conversione Croce Dio_solo Dio_soprattutto Euca-ristia Evangelizzazione Fede Fi-danzamento Fiducia Gesù Giovani Gruppo Imitazione_di_Cristo La-voro Libertà Maria Matrimonio Ob-bedienza Pace_della_gloria Pasqua Pazienza Penitenza Perdono Pove-ri Povertà Preghiera Riso Salvez-za Santificazione Secolarità Segni Servizio Testimonianza Totalmen-te_di_Dio Umiltà Vangelo_nudo Vocazione.

Cliccando su uno qualsiasi di que-sti rimandi si trovano belle e rapide citazioni da scritti o discorsi di Ire-os che permettono di comprendere meglio lo sviluppo della sua spiri-tualità. E’ un modo semplice e po-polare di presentarne la ricchezza del carisma.

I documenti “in lavorazione”C’è quindi un’area più “per addetti” ai lavori, quella dei documenti. Vi si trovano quelli tuttora in lavorazione e tale area è riservata, per evitare usi impropri dei testi non ancora del tutto elaborati.Ci vuole quindi una password per entrare. Comunque accedendo si incontrano le strutture dei trenta volumi previsti, ovviamente ancora in formato provvisorio e di lavoro – come si usa dire – “in progress”.

Le altre sezioni del sitoCi sono poi altre sezioni del sito molto interessanti: una sui “Docu-

menti della Chiesa” (dalla Bibbia al Concilio, a testi dei Papi ecc.); una seconda sezione sulle “Preghiere della Chiesa” (liturgia mensile, quo-tidiana e delle Ore). Infine una se-zione con la figura di Giuseppe Laz-zati, grande maestro di spiritualità laicale.

Le visiteDa aprile 2011, quando il sito è stato costruito, i contatti (cioè le “visite” esterne) sono stati quasi 6 mila, per la maggior parte dall’Italia ma an-che da Malta (12), Russia (11), Bie-lorussia (5), Germania (4), Francia (4), Svizzera (3), Regno Unito (3), Repubblica Ceca, Spagna, San Ma-rino, Romania (2) e diversi altri pa-esi una visita.

Bisogna dire che a partire dagli ade-renti al Piccolo Gruppo di Cristo sa-rebbe auspicabile che si accedesse maggiormente anche a questo sito, oltre a quello www.piccologruppo.

it. Il motivo è molto semplice: se si vuole approfondire la spiritualità del “Gruppo”, entrando qui non c’è bisogno di avere di fronte decine di libri, opuscoli, fascicoli ecc.: tut-to è facilmente a portata di mano. Bisogna quindi abituarsi all’uso di internet. Anche se si farà fatica, al-meno all’inizio, è possibile meditare e anche pregare stando davanti a un computer.

Ciò non toglie la necessità della preghiera liturgica e intima, fatte in chiesa o nel chiuso della propria stanza (come dice il Vangelo). Però anche uno schermo di computer puoi aiutarci. E il P.G.C. offre quindi questo strumento, molto ricco e ben organizzato. Sicuramente porterà anche lui frutto.

L.C.

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33IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

Gianluca ed Eli-sabetta hanno partecipato alla settimana co-munitaria 2011. Sono partiti da Roma con tre

bambini e la testa ancora piena di pensieri lavorativi. E il desiderio di riuscire a riposare, dopo un anno di impegni familiari e professionali. Nel ricordo di quelle giornate emer-ge la bellezza di essersi fidati, sce-gliendo l’esperienza della vacanza insieme ad aspiranti e celibi, su mi-sura di famiglia.

Non sempre, alla fine di un anno di lavoro e di vita familiare da so-stenere, capisci quale sia veramen-te il riposo. Per noi romani, poi, le vacanze estive “devono” essere al mare perché si fa meno fatica e ci si immerge nell’acqua per mitigare le alte temperature della città. L’idea di salire in montagna e affrontare la settimana comunitaria del Pic-colo Gruppo - con tutti i preparativi del caso - mi metteva veramente in difficoltà. Ha prevalso la decisione “facciamolo per i bambini, loro si divertono...” ignaro di ciò che il Si-gnore ha sempre in serbo per noi.Gli incontri per le famiglie, così come le passeggiate nelle bellissime montagne dell’Appennino tosco-emiliano mi hanno a poco a poco insegnato l’importanza di conqui-stare la vetta, di gustare la bellezza del paesaggio dopo tanta salita ma

IL SIGNOREsoprattutto di riscoprire a cosa sia-mo veramente chiamati, al perché Dio chiama i suoi figli sul monte per rivelarsi, per stargli vicino.Tutta la settimana è stata una cre-scita familiare, di amicizia e soprat-tutto spirituale: Dio è l’unico in gra-do di darci il vero riposo. Si rimane sempre colpiti da come possa funzionare, al di là di una per-fetta organizzazione, una “vacanza” con più di cento persone dagli 0 agli 80 e più anni. Eppure, col passare dei giorni, ci si accorge di essere ve-ramente in famiglia e soprattutto si avverte la gioia di esserne parte.Ognuno spezza una parte della pro-pria vita per l’altro, consapevole di riceverne altrettanto. Abbiamo vi-sto i nostri figli giocare in amicizia

con tutti, abbiamo incontrato perso-ne nuove con cui poter condividere tutto, abbiamo goduto della dispo-nibilità al servizio dei celibi - parte inscindibile di questa nostra fami-glia - abbiamo fatto giocare i ragazzi più grandi con i bambini. C’è stato spazio anche per il teatro – grazie alla rappresentazione per racconta-re la vita di Sabatino – in cui i nostri piccoli insieme ai “vecchi” ci hanno fatto emozionare. E l’ultimo giorno ci siamo ritrovati a giocare con l’ac-qua della vicina piscina comunale, sorseggiando un mojito a bordo va-sca. Questo è il progetto di Dio, noi siamo cosa molto bella.

GIANLUCA CALVANICO(nella foto in alto)

Un mojito con

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Settimana di Comunità 2012

28 luglio - 4 agosto

CaSa alpina piandimaiaScalabriniVillabassa - BZ

InformaZIonI utIlI• la casa può ospitare fino a 120 persone e verrà dunque data precedenza a chi si iscrive per primo e a chi sarà

presente per l’intero periodo.• Il modulo di iscrizione è da consegnare entro il 30 aprile 2012 al segretario locale della propria comunità unitamente

alla quota di iscrizione di € 50 per partecipanti singoli e € 100 per singola famiglia. Per informazioni rivolgersi a Paolo Cattaneo ( 340 6310505 – [email protected] ).

• E’ necessario segnalare la presenza di accompagnatori che dovessero fermarsi a dormire solo la notte del sabato 28 luglio.

La settimana di vita comunitaria, all’interno della quale si svolge sia la

settimana aspiranti che alcuni giorni dei nostri celibi, è sempre un grande

dono del Signore, il quale non ci fa’ mai mancare la sua vicinanza divina.

Vogliamo proseguire l’esperienza di condivisione tra le famiglie e per questo

invito tutti a valutare con attenzione questa proposta,

per un tempo di riposo e fraternità.

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ESPERIENZE DI VITA, LA RIVISTA è ON LINE

Gli appartenenti al Piccolo Gruppo di Cristo hanno la possibilità di accedere

al sito internet www.piccologruppo.it e poter leggere la rivista “Espe-

rienze di Vita” direttamente in rete, cioé senza avere materialmente tra le

mani la stessa rivista in formato cartaceo.

Anche un qualunque visitatore del sito internet può farlo. Naturalmente oc-

corre che qualcuno lo guidi a conoscere il sito e lo invogli a leggere le pagine

della rivista.

Considerato che ogni copia cartacea della rivista ha un certo costo, sarebbe

opportuno da un lato invogliare gli appartenenti al P.G.C. a leggere la rivista

su internet. La rivista in formato cartaceo che ognuno di noi riceve può di-

ventare un dono a qualche familiare, amico o conoscente che possa avere un

interesse per il discorso religioso e di vita evangelica, e che magari si intende

avvicinare al “Gruppo”.

Così facendo la spesa che la Comunità sostiene per la rivista avrebbe anche

un significato di annuncio e quindi “missionario” perché farebbe girare nel

mondo quanto viene elaborato.

Un secondo vantaggio consisterebbe nel ridurre il consumo di carta, almeno

in prospettiva, perché ognuno di noi si abituerebbe maggiormente all’uso dei

testi “in rete”, dove non sbiadiscono, non fanno polvere, non si perdono ma

sono sempre a disposizione di tutti.

La redazione di EDV

IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA

Prossimi appuntamenti da ricordare:

• 25 maggio - 27 maggio: Pellegrinaggio ad Assisi

• 30 maggio- 3 giugno: VII Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano

• 28 luglio - 4 agosto : Settimana di Comunità a Villabassa (BZ)

Tutti i contenuti sono di proprietà del Piccolo Gruppo di Cristo - copyright 2012 © - È espressamente vietata la riproduzione

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Gerusalemme, via dolorosa (foto per gentile concessione di Leonora Giovanazzi)

www.piccologruppo.it