Educazione cinofila: premesse, modelli teorici, confronto ...LE VALENZE PSICO-SOCIO-AFFETTIVE DEL...

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1 Educazione cinofila: premesse, modelli teorici, confronto con l’ambito e le competenze del veterinario

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Educazione cinofila: premesse, modelli teorici, confronto con l’ambito e le competenze del veterinario

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Premesse: dal cane da utilità, difesa e lavoro al nuovo cane urbano e domesticoIl cane oggi fa parte della famiglia. Non è più solo un animale domestico: è un animale d’affezione o, meglio ancora, “da compagnia”. È un mem-bro della nostra società a tutti gli effetti, seppur speciale, il suo status è completamente diverso da quello che aveva solo qualche decennio fa. Millenni di convivenza e coevoluzione avevano creato un equilibrio nel quale il cane rappresentava la metà animale e naturale dell’essere umano, con cui collaborava offrendo il suo fiuto, la sua agilità, il suo istinto, la sua forza e le sue abilità a un essere umano che in cambio gli forniva prote-zione, cibo e riparo. Con la trasformazione sociale dovuta all’inurbamento, all’industrializzazione e al

consumismo, il cane si è ritrovato fuori dal suo contesto ancestrale e naturale. Molte cose sono cambiate per il cane con l’inurbamento di massa che dagli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso ha rivoluzionato la società moderna, insieme all’affievolirsi dei legami di vicinato, al generale raffreddarsi dei rapporti umani e alla frenesia inna-turale della vita metropolitana. Il cane è rimasto per lo più ozioso e annoiato, sempre più dipendente dall’essere umano, soggetto a uno stile di vita che lo anestetizza, privandolo, per esempio e prima di tutto, del soddisfacimento delle sue esigenze etologiche fondamentali (sensorialità, movimento, gioco e divertimento, territorialità, sperimentazione delle interrelazioni naturali con i conspecifici).

Il cane da compagnia conserva le sue carat-teristiche di specie animale, ma non svolge più una vita separata e distinta da quella umana. Non dorme più nella cuccia o nel rifugio esterno alla

EVOLUZIONE RECENTE DEL RUOLO E DELLO STATUS DEL CANE E CONSEGUENZE

Società rurale Società urbana

Alto ruolo del cane (caccia, guardia, performance, prestazione)

Basso ruolo (ruolo simbolico-affettivo, pet, ovvero “animale da compagnia”)

Basso status del cane (strumento-oggetto) Alto status (soggetto, membro della famiglia)

Conseguenze: maltrattamenti fisici Conseguenze: maltrattamenti psichici e comportamentali

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Educazione cinofila1casa ma nell’appartamento. Esistono ancora le cucce nelle ville e nelle villette a schiera o nelle case con giardino, ma hanno più che altro una funzione affettiva ed estetica, restando deserte per la maggior parte del tempo. La maggior parte dei cani vive in casa, alcuni dormono nella stessa stanza o perfino negli stessi letti dei proprietari. Mangiano insieme a loro ed escono sempre e solo con loro. Questa simbiosi ha effetti rilevanti sul comportamento e sulla vita psichica ed emozio-nale del cane, in un modo completamente nuovo rispetto al passato e con un’intensità inedita. Sta avvenendo una vera e propria mutazione nella sfera psichica del cane. Finora aveva sempre vissuto in funzione della sua cooperazione con l’essere umano, oggi invece spesso il cane non svolge più un ruolo di utilità per noi. Non fa la guardia perché viviamo al quarto piano nei condomini o abbiamo il sistema d’allarme; non cura il gregge, non viene a caccia perché oggi non andiamo più nel bosco a rifornirci di carne ma dal macellaio. Il cane è stato proiettato in questo scenario mutato.

La sua presenza intorno a noi da una parte s’è moltiplicata, dall’altra ha cambiato completamente natura. Per alcuni versi la sua condizione è miglio-rata (migliori cure mediche, maggiore rispetto, attenzione all’igiene, welfare), per altri aspetti il cane sembra diventato una sorta di ibrido che sta a metà fra il mondo umano e quello animale, senza poter appartenere completamente né a un campo né all’altro. Tutto ciò gli causa un disagio esistenziale e influisce negativamente sulla sua salute e sul suo benessere, al punto da portarlo a subire le perniciose conseguenze della modernità: obesità o inappetenza, perdita di vitalità, malattie cardiovascolari, disturbi del comportamento che possiamo variamente definire fobie, aggressi-vità, eccessiva reattività e stereotipie. Si tratta di segnali di disagio affini a quelli umani (e a quelli degli animali tenuti in gabbia), ma che hanno ovviamente una diversa origine e portano a esiti differenti. Troppo spesso li liquidiamo, appunto, come devianze o patologie, poiché sono sintomatici di comportamenti che non rientrano nei nostri

schemi (e che, perciò, riteniamo erroneamente di dover reprimere o comunque modificare), dei quali non sappiamo ancora leggere e interpretare bene il significato. Ovviamente esistono vere e proprie patologie della mente di origine neurologica e organica anche nel cane, ma accanto a queste emergono patologie e disturbi del comportamento dovuti a traumi maggiori quali abbandono, maltrat-tamento e violenza, precoce distacco dalla madre. Spesso la linea che distingue questi disturbi, cau-sati da una scorretta modalità di convivenza con l’uomo, dalle altre forme, anche gravi, è sottile e indefinita. Inoltre possono presentarsi sintomi diversi allo stesso tempo, rendendo ancora più difficile comprenderne la causa. Disturbi potenziali e latenti, infine, possono essere fatti emergere da situazioni contingenti o, al contrario, prevenuti e risolti con accorgimenti appropriati e adeguata conoscenza.

L’attuale vita del cane può diventare una sorta di maltrattamento domestico inconscio operato anche da persone che hanno i migliori propositi nei suoi confronti ma che per vari motivi, e a causa della struttura stessa della nostra vita sociale attuale e del contesto ambientale, non possono fare altro. Su questo crinale scivoloso si situa l’annosa que-stione dell’eccesso di antropomorfizzazione che, inevitabilmente, i cani sono portati a subire: ci aspettiamo che si comportino bene senza che da parte nostra ci sia altrettanta considerazione delle loro fondamentali necessità e caratteristiche etologiche e comportamentali. Per analogia con le altre figure umane e con il contesto sociale con cui interagiamo, proiettiamo su di loro attese e bisogni di ordine affettivo, identitario, esistenziale, terapeutico.

Oltre a mantenere il suo tradizionale ruolo di legame con la salute, la naturalezza e la socialità, oggi il cane viene sempre più integrato nel contesto umano; perciò ha assunto anche sia un forte ruolo affettivo/emozionale sia quello di facilitatore delle relazioni interpersonali (nonché, in alcuni casi, quello di status symbol), a volte debordante dai limiti delle sue possibilità. Ciò, naturalmente, è

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avvenuto senza che il cane potesse comprendere queste nostre nuove richieste, e senza che i pro-prietari fossero adeguatamente educati a ricono-scere e rispettare l’alterità animale che continua a caratterizzare la sua esistenza.

A queste carenze si propone di ovviare l’educa-zione cinofila, ispirata dalle più recenti acquisizioni scientifiche e resa necessaria dal nuovo status del cane all’interno della società (Fig. 1.1).

Le acquisizioni scientifiche e i modelli teorici. Etologia, cognitivismo, zooantropologia, neuroscienzeIl desiderio di una relazione profonda con la natura è uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano. È il risultato di centinaia di migliaia di anni vissuti in rapporto diretto con essa. Fa parte dell’eredità ancestrale dell’essere umano e, seppure oscurato dal nuovo stile di vita moderno urbano, riemerge in forme diverse e si manifesta, fra l’altro, nella ricerca di un rapporto con gli animali. Lontani

dalla natura e rinchiusi fra quattro mura, soggetti a ritmi accelerati e a relazioni frettolose e “liquide”, molto differenti da quelle del vicinato di un tempo, ricerchiamo con nostalgia la natura e le occasioni di socialità rilassate e dense di significato. Cerchiamo di ricostruire questi legami grazie alla presenza di un animale che viva con noi (così come di piante da appartamento). Desideriamo inconsciamente rinnovare quello rispecchiarsi nell’altro che ci fa sentire più vivi e felici ed è rappresentato oggi da esseri viventi che seguono altre logiche rispetto a quella utilitaristica e meccanicistica imperante,

Emozionalità Rappresenta una fonte di esperienze intense e gratificanti

Socialità Rappresenta un polo d’attrazione familiare, un facilitatore delle relazioni e un partner (“lubrificante sociale”)

Identificazione Rappresenta un punto di riferimento psicoaffettivo nel quale cogliere tratti di se stessi, un rispecchiamento della propria personalità

Naturalità Rappresenta una connessione con la naturalezza e la fisicità al di fuori della routine quotidiana e dei rigidi paletti imposti dall’ambiente urbano e artificiale

Benessere, Rappresenta una fonte di distensione psicofisica e salute per il calodistensione dello stress e dell’ansia favorito dalla sua presenzae salute

Autostima Rappresenta una conferma delle proprie risorse e competenze personali

LE VALENZE PSICO-SOCIO-AFFETTIVE DEL CANE

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Educazione cinofila1all’interno della società umana. A queste riflessioni e proposte si affiancano le nuove scoperte delle neuroscienze, che completano il quadro ampliando la nostra visione delle implicazioni del rapporto uomo-cane. (Scheda di approfondimento 1.1).

Nel panorama degli animali d’affezione, il caso del cane è unico e particolare: nessun animale domestico, come il cane, svolge un ruolo così marcato di referente psicoemozionale. Solo il gatto ha valenze affini – vive con noi in appartamento fuori da gabbie o ambienti confinati e condivide le nostre giornate – ma le sue caratteristiche di indipendenza ne fanno un animale per molti versi quasi semplicemente sinantropo, dal comporta-mento difficilmente condizionabile. Il cane ha la caratteristica di essere dipendente e condizionato dalla qualità e dall’intensità emozionale del rapporto che si crea con il proprietario. Nessun animale come il cane vive una così spiccata simbiosi psico-fisica con il referente umano. Non è semplicemente un animale addomesticato e, ancora meno, un animale ammansito o commensale-sinantropo, ovvero non vive con noi solo per convenienza, bensì condivide un campo affettivo-emozionale. Il cane vive con l’uomo perché l’evoluzione di entrambe le specie, umana e animale, a un certo punto della storia naturale e poi culturale, ha portato a una coesistenza e a un rapporto che travalica la mera condivisione di obiettivi comuni di sopravvivenza per entrare nel campo più sfumato e delicato dei tratti comportamentali acquisiti culturalmente e della condivisione di sentimenti ed emozioni. Una dimensione ancora tutta da definire, nella quale spesso i proprietari dei cani si trovano spiazzati.

Il ruolo del medico veterinarioIl medico veterinario, dunque, si trova a dover supplire alla mancanza di educazione sia del cane sia del proprietario e a intervenire quando questa mancanza di conoscenza reciproca genera malessere. Si trova a gestire cani timorosi, fobici, aggressivi o distruttivi; si trova a dover gestire le ansie del proprietario e a suggerire accorgimenti elementari, uscendo dal proprio tradizionale

esseri viventi che possiamo guardare e sentire per riconoscerci parte di un insieme ecologico e vitale più vasto. Al tempo stesso, però, siamo pressati dalle necessità della vita attuale e ten-diamo, senza rendercene conto, a inquadrare e irreggimentare questa alterità costringendola in schemi di comportamento e in spazi e tempi che poco concedono alla spontaneità, all’istintualità, all’imprevedibilità e alla “selvaggità” degli ani-mali (quest’ultima parola, poi, nella nostra Italia addomesticata e poco incline alla natura – da cui si fuggiva per vivere meglio – non esiste, mentre esiste in lingue di altri popoli più avvezzi al con-fronto con la natura non addomesticata).

Le nuove sensibilità ecologiche, zoofile e ani-maliste, insieme a una nuova attenzione da parte delle istituzioni sanitarie e politiche, cercano di porre rimedio alle conseguenze più negative della scarsa dimestichezza e della mancanza di rispetto che tuttora abbiamo nei confronti degli animali, selvatici così come domestici, dovute quasi sempre a ignoranza delle loro peculiarità. Molti adulti usano il pet come sostituto di altri rapporti di cui sentono la mancanza. Ciò è tanto più rilevante nel caso del cane, che per sua natura e storia, per la sua intelligenza, socialità e sensibilità ben si presta a rappresentare un surrogato di relazioni.

Infatti, il cane in particolare diventa una pre-senza naturale, da una parte rassicurante, bonaria ed emotivamente carica di significato, dall’altra può essere un serio problema per chi non ne valuti approfonditamente caratteristiche e necessità. Lo stesso rapporto fra famiglia/proprietario e cane può essere patologico e sfociare in malesseri dell’ani-male e della famiglia ospite, che si sommano alle naturali patologie di origine fisica e ambientale. Spesso questo circolo vizioso porta alla trascura-tezza, all’abbandono e al maltrattamento.

L’etologia insieme a una nuova branca della ricerca scientifica, la zooantropologia, da decenni si interroga su questa nuova realtà, avanza ipo-tesi e propone soluzioni a questi problemi per promuovere una corretta interazione fra umani e animali che salvaguardi il benessere animale

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ETOLOGIA, COGNITIVISMO, ZOOANTROPOLOGIA E NEUROSCIENZE

All’avanzamento delle nostre conoscenze sul comportamento animale hanno contribuito soprattutto tre filoni scientifici: etologia, cognitivismo e zooantro-pologia. Ciò vale naturalmente anche per il cane. Il suo comportamento, tuttavia, è particolarmente soggetto all’influenza umana rispetto a quello di molti altri pet, al punto da richiedere un particolare approccio, ancora in definizione, che chiamo cinogogia, ovvero l’arte di entrare in relazione con il cane per imparare insieme a convivere. La cinogogia prende le mosse dalle esperienze dell’educazione cinofila.L’etologia ha ampliato la nostra visione degli animali rimarcando il fatto che essi abbiano un proprio comportamento, condizionato dalle condizioni ambientali e connaturato alla propria eredità di specie. Il cognitivismo riconosce all’animale la caratteristica di essere vivente dotato di mente. Le risposte comportamentali non sono quindi semplici reazioni a condizionamenti ambientali o umani, ma contengono elementi di elabo-razione mentale: in questo senso, il cognitivismo supera il behaviourismo (o behaviorismo – “comportamentismo”), che intende le reazioni del cane quali semplici risposte “riflesse” a stimoli esterni. La zooantropologia è una nuova branca scientifica che studia la relazione uomo-animale con particolare attenzione agli animali domestici e d’af-fezione. Ha applicazioni in campo educativo e formativo, assistenziale e terapeutico. Le sue acquisizioni teoriche e le sue ricadute pratiche rivestono particolare interesse poiché indagano e cercano soluzioni ai meccanismi, anche inconsci, che guidano la nostra relazione con i non-umani (proie-zioni mentali, cornice culturale e sociale, atteggiamenti e comportamenti umani che influiscono sul benessere della coppia umano-animale e sulla società stessa). Rispetto al cane, la zooantropologia mette l’accento in parti-colare sulla qualità della relazione, che deve essere equilibrata e rispettosa dell’alterità animale, fondata sulla conoscenza delle caratteristiche specie-specifiche. In questo senso, l’approccio zooantropologico consente di uscire dalle opposte estremizzazioni della reificazione e dell’antropomorfizzazione per trovare una nuova forma di relazione con l’animale adeguata ai tempi e alle condizioni attuali. Questi contributi scientifici comportano alcune conseguenze manifestatesi in questi anni nella teoria e nella pratica dell’educazione cinofila: • dal cane non si può pretendere obbedienza né performance standard,

come nella vecchia pratica dell’addestramento classico caratterizzato da metodi coercitivi;

Scheda di approfondimento 1.1

(segue)

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• la comunicazione fra cane e uomo va compresa e approfondita quale strumento di conoscenza reciproca e quale mezzo di migliore interazione e di adattamento reciproco alle necessità di entrambi i poli del binomio;

• il cane va aiutato e stimolato nello sviluppo delle sue capacità mentali e cognitive e delle sue competenze comportamentali, offrendogli occasioni di gioco, svago, movimento e apprendimento adeguati alla sua natura etologica e rispettosi dei suoi specifici modi di interazione con l’ambiente, ma contemporaneamente disciplinando alcune aree comportamentali disturbate o carenti;

• la vita emozionale del cane va riconosciuta, rispettata e valorizzata, e il proprietario ha l’opportunità e la responsabilità di utilizzare l’emozione quale veicolo importante di comunicazione e quale perno di una migliore convivenza basata sulla conoscenza e sulla fiducia reciproche.

Tutto ciò vale, oltre che per l’educatore e il proprietario, anche per i profes-sionisti che si occupano a vario titolo della salute e del benessere del cane: il medico veterinario, l’addestratore, l’istruttore, il conduttore, il toelettatore, il dog-sitter, il responsabile di struttura cinofila, i responsabili sanitari e gli operatori di canile pubblico o privato. Alla conoscenza del mondo emozionale del cane hanno contribuito, infine, oltre alla pratica concreta di chi vive e lavora con l’animale, anche gli studi di neuroscienze mirati all’essere umano ma che hanno ricadute sulla con-siderazione dei meccanismi mentali degli animali superiori, fra cui il cane. Per esempio, le acquisizioni sui neuroni specchio (che portano a identificarsi e a condividere le emozioni altrui) e quelle sul ruolo delle emozioni e degli stress all’interno dei meccanismi dell’equilibrio neuroendocrino (psiconeuro-endocrinoimmunologia), che hanno ricadute importanti sulla salute fisica.

Il ruolo delle emozioniOgni emozione scatena meccanismi fisico-chimici precisi nel corpo, che si manifestano in atteggiamenti, posture, microespressioni, toni muscolari e vocali che possiamo decodificare. Il cane è capace di leggerle in modo più preciso di noi, perché le “annusa”: com’è ormai chiarito dagli studi di psiconeuroendocrinoimmunologia e da altri studi di neuroscienze (fra cui quelli sui neuroni specchio, capaci di rispecchiare, appunto, e riprodurre emozioni e stati d’animo altrui in un’immedesimazione subitanea e non mediata da informazioni coscienti), ogni emozione porta con sé un cor-redo di sostanze chimiche messaggere, ormoni e neurotrasmettitori, che non sfuggono all’olfatto potentissimo del cane. La comunicazione per via chimica è fondamentale per il cane, ma esso coglie con grande precisione le nostre emozioni anche dalle posture, dai toni di voce e dalle espressioni con cui ci rivolgiamo a esso. A nostra volta, senza saperlo, riceviamo dal

Scheda di approfondimento 1.1(seguito)

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a ignorare le necessità basilari di ordine etologico, all’eccessiva antropomorfizzazione, dall’ansiogena richiesta di performance fuori luogo (egomorfizza-zione) alla carenza di socializzazione, movimento e svago (per esempio, l’iperprotettività del proprie-tario verso il cucciolo). In questi casi, il medico veterinario può utilmente attingere alle evidenze empiriche dell’educazione cinofila, che lavora proprio su questo piano. L’educazione cinofila è soprattutto pratica ma ha basi scientifiche (fra cui il behaviourismo, il cognitivismo e l’etologia) che rappresentano una fetta rilevante della formazione dell’educatore. Tuttavia, in questi ultimi anni, dalle esperienze dell’educazione cinofila e dal confronto con altri nuovi filoni di ricerca sta prendendo forma una specifica teorizzazione, ancora in definizione, grazie al contributo di alcuni esperti e studiosi, fra cui l’Autore di questo libro. Quali riferimenti

ruolo di medico per entrare in quello, sfuggente e ancora poco definito, di comportamentalista o di psicologo del cane (e del proprietario stesso). In parte ciò è connaturato dalla stessa natura di qualsiasi professione di cura, ma nel caso del medico veterinario c’è necessità di un ulteriore sforzo di interpretazione e comprensione.

I medici veterinari si trovano ad affrontare spesso disturbi che non derivano tanto da errate e carenti condizioni igienico-sanitarie, malattie comuni o traumi (in questo campo i miglioramenti sono sostanziali), quanto da un contesto socio-relazionale che vede i cani soffrire, in particolare, a causa di errati comportamenti dei proprietari, di loro problematiche relazionali, di erronee convinzioni che hanno effetti nocivi e che si manifestano in un ampio spettro di ripercussioni negative sulla salute del cane: dalla semplice trascuratezza, che porta

Scheda di approfondimento 1.1

cane numerose informazioni emozionali che dobbiamo imparare a rico-noscere. Di fatto, la comunicazione emozionale è il canale più sicuro ed efficace che possiamo utilizzare per entrare in relazione profonda con il cane, poiché il canale verbale-razionale non è condiviso e quello dei gesti e delle posture è necessariamente soggetto a fraintendimenti. I nostri gesti e posture possono essere compresi dal cane solo per adattamento e ripe-tizione, in quanto segnali di una prestazione richiesta, ma lasciano ampio spazio a errori fondamentali nella comprensione reciproca: per esempio l’abbraccio, il bacio, la carezza, ma anche lo sguardo o la posizione eretta, hanno significati completamente diversi per noi e per loro. Basta ricordare che non hanno mani o piedi ma vanno a quattro zampe!Dell’esistenza e dell’importanza delle emozioni nel mondo animale parlano soprattutto l’etologo statunitense Marc Bekoff e, riguardo ai cani, l’Autore di questo libro (nel suo volume “Emozioni a sei zampe”, ed. Terra Nuova, Firenze, 2011): “a mio avviso e in base alle mie esperienze pratiche la con-divisione delle emozioni è il metodo di comunicazione e interazione con il cane più profondo, immediato ed efficace”. Nel mio insegnamento agli educatori cinofili metto l’accento sull’importanza delle tre E: empatia, educazione, esempio. Sono le basi di un approccio che tiene conto della natura del cane e delle sue relazioni con l’essere umano. Per educare occorre empatia e si utilizza l’esempio perché il cane ha bisogno di avere chiaro ciò che ci aspettiamo da lui.

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Educazione cinofila1dell’educazione cinofila e della medicina veteri-naria, naturalmente, restano distinti; tuttavia, il medico può contribuire in modo decisivo al miglio-ramento delle condizioni di vita del cane integrando nelle sue conoscenze alcune indicazioni pratiche scaturite dalle esperienze di educazione cinofila.

Educazione cinofila a confronto con il ruolo del medico veterinarioNegli ultimi decenni sono nate figure professionali che in parte sostituiscono e comunque si aggiun-gono a quella classica dell’addestratore, fra cui, in particolare, istruttori cinosportivi e di attività di utilità sociale ed educatori cinofili. Ciò risponde al bisogno di integrare il cane nella nuova dimensione sociale migliorandone la qualità della vita: occu-parlo in attività che valorizzano le sue peculiarità (di indole e razza) e migliorare la convivenza con i proprietari, la famiglia di appartenenza e la società intera. Infatti, la nuova condizione del cane all’in-terno della società è accompagnata da una nuova consapevolezza delle sue peculiarità e dei suoi bisogni di specie e individuali. Da tempo, sia fra gli studiosi di etologia, bioetica e zooantropologia, sia all’interno dello stesso mondo veterinario, si sta facendo strada la consapevolezza che il cane non ha semplicemente reazioni comportamentali più o meno corrette agli stimoli ambientali, bensì possiede una vita psichica, seppure differente dalla nostra, che ne fa un soggetto dotato di intelligenza, vita emozionale, diritti. Ciò spinge a far sì che si cerchi di soddisfare i bisogni fondamentali del cane (socialità, movimento, sensorialità, motivazione) trovandogli nuove forme di “occupazione” e attività che sostituiscano quelle tradizionali, e in parte desuete, della caccia, della difesa e della guardia (Fig. 1.2). (Scheda di approfondimento 1.2).

Le figure che si occupano professionalmente del cane negli ultimi anni sono aumentate e hanno mutato approccio, in parallelo al cambiamento del suo status. Ci si cura di più e meglio del suo benessere e della relazione fra il cane e la sua

concettuali e operativi dell’educazione cinofila sono di particolare importanza gli studi e le sistematiz-zazioni metodologiche dell’APBC (Association of Pet Behaviour Counsellors), l’associazione inter-nazionale dei consulenti comportamentalisti per animali domestici, fondata dall’educatore cinofilo inglese John Fisher e di cui l’Autore fa parte come unico membro italiano. Da essi scaturiscono metodi di intervento ormai consolidati e verificati, volti a risolvere situazioni di comportamento difficile.

Alcuni medici veterinari negli ultimi anni sono diventati anche educatori cinofili o hanno almeno seguito corsi, incontri o stage per informarsi e per modificare il loro approccio al cane. Gli ambiti

Il senso di responsabilità del medico veterinario è forte nel caso di situazioni nelle quali di fatto si trova “in trincea”, dovendo fornire anche sostegno emo-tivo ai proprietari in varie situazioni:• malattia grave;• lunga malattia;• intervento;• eutanasia;• morte dell’animale.

La sua competenza può portare un aiuto decisivo in momenti delicati e situazioni complesse quali: • scelta e arrivo del cucciolo;• adozione in canile o da situazione

di abbandono, maltrattamento, vio-lenza, trascuratezza;

• riproduzione e parto;• invecchiamento;• disturbi comportamentali;• distorsioni nella relazione proprietario-

cane;• lutto.

IL CONTRIBUTO DEL VETERINARIO

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Educazione cinofila 1famiglia umana; si impiegano i cani in nuove atti-vità in campo sia sociale sia medico-assistenziale (interventi assistiti dagli animali – IAA – fra cui la cosiddetta pet therapy, e ora anche il rilevamento precoce di malattie metaboliche), oltre ai tradi-zionali campi del socialmente utile (assistenza, salvataggio, ricerca di persone, sostanze o esplosivi, e sicurezza). Inoltre, si sta delineando una nuova dimensione intermedia ludico-sportiva-espositiva nella quale il cane viene utilizzato, o meglio viene reso protagonista o co-protagonista, all’interno di esposizioni, sfilate, sport cinofili e momenti di

Figura 1.2 Consulenza domiciliare di educazione cinofila.

EDUCAZIONE CINOFILA: PRATICA PROFESSIONALE, RISVOLTI SOCIALI, QUADRO ISTITUZIONALE

L’educazione cinofila è un approccio al benessere del cane e della sua famiglia umana di appartenenza che si è sviluppato e consolidato negli ultimi decenni. Prende le mosse da esperienze sul campo ispirate alle acqui-sizioni dell’etologia e della zooantropologia, e dal “metodo gentile” di adde-stramento (che prevede premi in sostituzione delle coercizioni e punizioni dell’addestramento classico), nato nei paesi anglosassoni. L’educazione cinofila si distingue man mano dal classico lavoro dell’addestratore (rivolto soprattutto ai cani da utilità e difesa) e da quello dell’istruttore-preparatore del cane, acquisendo una propria fisionomia fino a essere riconosciuta come professione a sé stante. L’educatore non è un bravo tecnico, seppure “gentile e sensibile”: è appunto un equivalente del pedagogo, che lavora con il cane e con i suoi proprie-tari allo stesso tempo. Con le dovute distinzioni, è assimilabile alle figure dell’assistente sociale e dello psicologo che si occupano della storia, della famiglia e dell’ambiente di vita della persona che seguono. Ha una grande utilità sociale perché previene e risolve alcuni fra i maggiori ostacoli a una serena convivenza: problemi con i vicini e all’interno della stessa famiglia del cane (l’educatore cinofilo preparato offre soluzioni preziose se il cane ha una storia particolarmente difficile, come quella di chi è stato preso al canile, o ha subito altri traumi, o ancora se in famiglia ci sono anziani, bambini o poco tempo a disposizione). Insieme al proprietario, elabora strategie per risolvere problemi di comportamento di origine non patologica di entrambi, cane e uomo, che possono causare disturbi nella relazione. In alcuni casi propone attività che hanno contenuti educativi,

Scheda di approfondimento 1.2

(segue)

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come giochi, passatempi e sport cinofili adatti al cane e all’uomo. Può diventare un esperto del comportamento dei cuccioli, dei cani anziani, di quelli che hanno disturbi particolari come l’iposensorialità (in tal caso, con una formazione codificata, può diventare rieducatore cinofilo). In ogni caso, collabora con il medico veterinario, rispettandone le attribuzioni senza invaderne il campo, evitando di fare diagnosi o di indicare cure, che sono di esclusiva competenza del medico. Tuttavia, deve conoscere le basi della veterinaria: anatomia, igiene, alimentazione, zoonosi. Ciò gli permette di dialogare, quando necessario o nelle emergenze, con il medico. Per gli educatori cinofili esiste un’associazione professionale di riferimento, l’Associazione Professionale Nazionale Educatori Cinofili (APNEC), regola-mentata ai sensi della legge 14 gennaio 2013 n. 4 e inserita nell’elenco delle associazioni professionali che rilasciano l’attestato di qualità del Ministero dello Sviluppo Economico (Ministero dello Sviluppo Economico – Direzione Generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore) e, con Decreto del Ministero della Giustizia, inserita nell’elenco delle associazioni rappresenta-tive a livello nazionale secondo quanto disposto dall’art. 26 D.Lg. 9.11.2007 n. 206. L’APNEC è la prima associazione professionale in ambito cinofilo in possesso della certificazione qualità ISO 9001. Di seguito uno stralcio del codice deontologico APNEC in merito ai rapporti con il medico veterinario.Di seguito uno stralcio del codice deontologico APNEC in merito ai rapporti con il medico veterinario. “Rapporti dell’educatore cinofilo con i medici veterinari e con le altre figure professionali. L’educatore cinofilo deve col-laborare con estrema correttezza e rispetto deontologico con le altre figure professionali eventualmente coinvolte. Nel caso in cui si trovi di fronte a cani con particolari problemi, deve avviare gli stessi a visita medico-veterinaria al fine di escludere ogni forma patologica prima di effettuare qualunque intervento su di essi. L’educatore cinofilo si asterrà altresì dal consigliare al cliente qualsiasi forma di terapia medica, compito questo di esclusiva competenza del medico veterinario”.

Scheda di approfondimento 1.2(seguito)

animazione collettivi. Fiere, ritrovi e raduni cino-fili sono eventi che rispondono a nuovi bisogni da parte dei loro proprietari, che intendono unire il divertimento e la socializzazione alle occasioni di benessere e svago e di iniziativa animalista. Non è un vero e proprio lavoro specializzato da parte del cane, ma ci si avvicina. In questi ultimi campi di impiego, infatti, il cane deve apprendere e applicare molte e diverse abilità che fino a poco tempo fa non gli erano proprie né richieste. Si tratta quasi di diventare atleta, giocoliere, intrattenitore,

attore e perfino infermiere. Tante cose nuove, che richiedono una formazione adeguata e allo stesso tempo un ottimo rapporto con il proprietario e le persone che lo conducono a svolgere questi ruoli; ovviamente richiedono anche salute e forma fisica, poiché possono causare traumi se non vengono gestite con competenza e rispetto.

Di questa nuova realtà del cane deve tenere conto anche il medico veterinario, che spesso in questi casi è chiamato a intervenire dal punto di vista sanitario. In ogni caso, anche per il semplice

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Educazione cinofila 1professionisti non medici, in particolare nella fase in cui sia identificata e somministrata una terapia cognitivo-comportamentale che richiede la colla-borazione del proprietario e della famiglia, i quali devono anch’essi modificare i comportamenti che possono essere concausa dei disagi del cane.

Quella della mente del cane, e quindi delle modalità di intervento terapeutico, è una que-stione aperta. Dopo alcuni anni, durante i quali aveva preso piede fra i medici veterinari una corrente “psichiatrica” di importazione francese, che spingeva anche all’utilizzo di psicofarmaci di sintesi per la modifica di comportamenti (con le case farmaceutiche interessate alla novità e al commercio), oggi questa impostazione compor-tamentalista appare da più parti non adeguata alle nuove conoscenze sulla psiche del cane. Le nuove scoperte e teorizzazioni sono all’ordine del giorno e il panorama è quanto mai mutevole e variegato. Le esperienze dell’educazione cinofila forniscono una solida base verificata sul campo.

Quando rivolgersi all’educatore cinofilo

Il medico veterinario, quando ne rileva l’esigenza, può consigliare al proprietario di ricorrere a un educatore cinofilo o a un altro professionista del cane. Per esempio, per migliorare il rapporto fra cane e proprietario o per migliorare la condizione del cane facendogli svolgere un’attività fisica appro-priata e consona alla sua razza. In tal caso è bene chiarire quali sono le rispettive aree di competenza. Spesso i proprietari sono confusi, anche a causa del proliferare di offerte sul web o degli effetti del “sentito dire”.

Facciamo il punto dunque sulle principali figure cinofile, poiché esistono alcuni punti fermi istituzionali.

Nel 2010, presso il Ministero della Salute e, successivamente, presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Pisa, si svolsero gli incontri del “Tavolo tecnico sugli educatori cino-fili”, comprendente i principali enti cinofili italiani.

cane da compagnia, il medico veterinario può integrare le conoscenze ed esperienze dell’edu-cazione cinofila nella sua pratica professionale: conoscere l’etogramma dell’animale, saper leggere i segnali di stress e interpretare i sintomi dovuti a maltrattamenti, abusi e abbandoni, padroneggiare i comandi base e la comunicazione, saper leggere il tipo di rapporto che intercorre fra il cane e il proprietario e saper proporre soluzioni semplici nei casi non gravi. Nei casi gravi può decidere di proporre al proprietario l’intervento di un educatore o esperto rieducatore (Fig. 1.3).

La legge non riserva al medico veterinario la possibilità di occuparsi del comportamento (e della mente) del cane, ma se ne possono fare carico altri professionisti, come il rieducatore cinofilo (la cui figura rientra fra quelle degli educatori cino-fili esperti sul tema e richiede una formazione e una pratica specifica documentate). A sua volta, il medico veterinario può essere esperto in comportamento animale, competenza che deve raggiungere tramite una specifica formazione indi-cata dalle linee guida della FNOVI (Federazione Nazionale Ordine Veterinari Italiani). Tuttavia, alcuni medici veterinari oggi parlano anche di “mente del cane”, non considerando il suo com-portamento come semplice frutto di reazioni a stimoli ma considerando le facoltà del quadru-pede, visto come essere senziente e, pertanto, potrebbero essere assimilati agli psicoterapeuti. In ogni caso ciò non esclude l’intervento di altri

Scheda di approfondimento 1.2

Figura 1.3 Educazione cinofila: la gestione del guinzaglio.

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crescere e migliorare le relazioni con il proprietario, la famiglia e l’ambiente di vita del cane.

A queste tre figure cinofile di base si aggiungono i dog-sitter, che interagiscono con il cane quando il proprietario non può, e che devono essere pre-parati; tuttavia, non esiste ancora una formazione obbligatoria, minima e certificata, per il dog-sitter o il dog-walker (Fig. 1.5).

La formazione dell’educatore cinofilo definita dal succitato tavolo tecnico prevede un percorso formativo, che le scuole sono tenute a seguire, di almeno 100 ore di formazione teorica e 100 di pratica. Le materie sono: • etologia generale; • etologia cognitiva; • etologia applicata (comportamento e appren-

dimento del cane – etogramma del cane o cinogramma, linguaggio e comunicazione intra-interspecifica, sistema sensoriale del cane, principi dell’apprendimento, età evolutiva);

• cinognostica (storia ed evoluzione del cane; le razze, cenni di genetica, morfologia funzionale);

• gestione sanitaria del cane (cenni di anatomia e fisiologia del cane, prevenzione e zoonosi, cono-scenza degli aspetti relativi all’alimentazione, primi interventi di pronto soccorso, introduzione alle più comuni malattie del cane);

• relazione uomo-cane (storia, teoria e principi); • metodologie applicate di educazione cinofila;

Si giunse così a una definizione condivisa degli ambiti per rendere riconoscibili e riconosciute a livello istituzionale le figure professionali cinofile.

Ecco, in sintesi, le definizioni delle figure e del loro profilo professionale su cui si è convenuto. • Addestratore cinofilo: opera al fine di ottenere

le prestazioni necessarie a un obiettivo specifico e lavora in rapporto diretto con il cane, senza la presenza del proprietario.

• Educatore cinofilo: opera nell’ambito della relazione uomo-cane al fine di orientarla a una migliore qualità della vita dell’animale e della sua famiglia adottiva, prevenendo comportamenti socialmente pericolosi e trasmettendo una corretta visione della relazione stessa. Opera, inoltre, nel pieno rispetto delle caratteristiche individuali di ogni singolo animale, evitando ogni genere di pratica coercitiva e sviluppando le competenze necessarie al corretto inserimento del cane nell’ambiente sociale (Fig. 1.4).

• Istruttore cinofilo: oltre alle competenze dell’e-ducatore, possiede specifiche competenze per lo svolgimento di attività di utilità sociale, cino-sportive o cinotecniche.

Riassumendo: l’addestratore è un tecnico, l’istrut-tore vede il suo ambito principalmente in coinci-denza con quelli cinosportivi, sociali e di utilità sociale, l’educatore invece ha il compito di far

Figura 1.4 Educazione cinofila: la comunicazione. Figura 1.5 Educazione cinofila: esperienze di gioco.

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Educazione cinofila 1Deve avere una conoscenza specifica dei pro-blemi comportamentali, essere esperto in attività rieducative, conoscere tutte le tecniche di modi-ficazione comportamentale ed essere in grado di elaborare percorsi rieducativi in caso di alterazioni o problematiche relazionali. Sempre il documento approvato nel succitato tavolo tecnico specifica: «La sua azione dovrà essere rivolta anche a favorire la cooperazione con il medico veterinario competente in medicina comportamentale».

Il medico veterinario può rilevare errori di comu-nicazione e problemi di interazione che intercor-rono fra il proprietario e l’animale. Essi sono utili indizi per valutare gli effetti che tali distorsioni possono avere sull’equilibrio psicofisico e sul com-portamento del cane, il quale inevitabilmente trae giovamento da un rapporto sano con il proprie-tario anche sul piano della salute fisica, poiché atteggiamenti e approcci sbagliati del proprietario si riverberano sulla sfera emozionale, quindi ormo-nale ed endocrina, del soggetto e sulla funzionalità del suo metabolismo (per esempio: un cane di piccola taglia tenuto sempre in casa o portato spesso in braccio perché si pensa che solo i cani di grossa taglia debbano correre molto, o perché non si considerano i suoi bisogni di movimento favorendo invece il suo ruolo di gadget vivente, patisce la situazione sul piano della motricità, della sensorialità e dello sviluppo psichico).

Alcune cosiddette patologie, insomma, così come alcuni comportamenti scorretti (evitamento,

• introduzione alle discipline cinofile; • problemi comportamentali (conoscenza dei

principali problemi comportamentali, inte-razione con il medico veterinario e con il medico veterinario competente in medicina comportamentale);

• professione (deontologia, aspetti normativi e fiscali);

• educatore cinofilo e proprietario del cane (com-petenze didattiche comunicative e relazionali) (Fig. 1.6).

L’istruttore cinofilo esperto in attività rieduca-tive, oltre a questa formazione, deve svolgere un ulteriore percorso formativo di almeno 100 ore di formazione teorica e 100 ore di pratica.

Figura 1.6 Educazione cinofila: esercizio dello scambio.

Distorsioni concettuali e relazionali Atteggiamento corretto da proporre al proprietario

Antropomorfizzazione-assimilazione all’es-sere umano («Deve imparare a compor-tarsi in modo civile»)

Valutazione e considerazione dell’alterità («Cerco di comprendere le sue esigenze e lui comprenderà meglio le mie»)

Sostituzione-surrogazione di rapporti («È come un figlio, un compagno, un amico»)

Accoglienza («Vive con me, è un animale, quello con lui non assomiglia a nessun altro rapporto, lo accetto così com’è»)

Generalizzazione («Tutti i cani fanno così») Individuazione («Ha le sue proprie caratte-ristiche – di razza, età, sesso – individuali»)

(segue)

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proprietari affinché collaborino alla prevenzione, alla cura e al mantenimento della salute psicofi-sica del cane. Non è, però, il compito specifico del medico veterinario, che può intervenire su semplici problemi aiutando ad attenuare sintomi anche rilevanti, e suggerire di rivolgersi a un esperto (rieducatore cinofilo o medico veterinario esperto in comportamento).

aggressività o meglio ostilità, reattività o eccessivi timori, comportamento di predazione fuori conte-sto, distruttività, comportamenti rigidi e ripetitivi) hanno spesso concause umane. È importante tenere conto, nei limiti del possibile, di questi fat-tori sia nella fase di visita ambulatoriale, sia nella successiva fase casalinga: il medico veterinario può fornire utili suggerimenti e preziose indicazioni ai

Distorsioni concettuali e relazionali Atteggiamento corretto da proporre al proprietario

Proiezione di contenuti umani («Mi fa i dispetti, è geloso, è disubbidiente, è ubbi-diente, è buono, è cattivo, non è ricono-scente, non può capire») e sfogo di frustrazioni

Ascolto e considerazione («Cosa vuole dirmi? Perché si sente male? Perché è a disagio? Perché è contento?»)

Reificazione, riduzione a oggetto («È solo un animale, non prova sentimenti né dolore quindi posso farne ciò che voglio, non ha diritti, è una mia proprietà, uno strumento alla mia mercé»)

Riconoscimento delle peculiarità e dell’iden-tità («È un essere vivente dotato di intelli-genza, sensibilità, emozioni e diritti seppure diversi dai miei»)

Idealizzazione («È buono, è migliore degli esseri umani, è sempre fedele, non farebbe mai del male a nessuno»)

Consapevolezza del limite e dell’alterità («Ha una sua natura, pregi e difetti, caratteristi-che non-umane»)

Pietismo («Povero cane, ha bisogno di me, di noi, gli abbiamo dato tutto»)

Rispetto («Ha accettato di vivere con me/noi! »)

Banalizzazione («Cosa vuoi che sia, è solo un cane»)

Attenzione e valorizzazione («È un animale straordinario, è un’occasione conoscerlo e viverci insieme, può insegnarci e donarci molto!»)

Iconomorfismo, vederlo come un’imma-gine/icona-standardizzata, tipo cartoni animati o pubblicità («Che tenero, sembra un batuffolo!»)

Limpidezza di visione («Odora e puzza, si sporca e bagna, pesa e fa confusione, abbaia e ringhia: per fortuna, visto che è un cane!»)

Egomorfizzazione, vederlo in funzione di se stessi e dei propri bisogni («Tu sei il mio cane, quindi devi obbedire, stare vicino a me») e caricarlo di responsabilità incom-prensibili e insostenibili (per esempio, quelli che parlano al cane: «Perché fai così?», «Ti ho detto di...»)

Comprensione dei suoi bisogni e della necessità di trovare forme adeguate e corrette di convivenza («Mi fa piacere se stai con me e giochi, te lo dimostro»)

(seguito)

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