EDGAR MORIN · convenzione per ridurre la complessità del reale e com-prenderla meglio. La mente...

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. 1 / 8 Data Pagina Foglio 03-2020 6/13 PPOM€TEO Un sociologo della complessità EDGAR MORIN Vita e opere di un maître-à-penser quasi centenario che sa coniugare l incommensurabilità del cosmo alle debolezze umane Carlo Bordoni Una teoria non è la conoscenza ma permette la conoscenza. Una teoria non è un punto d'arrivo, è la possibilità di partenza. Edgar Morin A leggere la monumentale biografia di Edgar Nahoum, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Edgar Morin, quasi centenario maître-à-penser (essen- do nato l'8 luglio 1921 a Parigi), viene da osservare quanto spesso i grandi pensatori che hanno cambiato la storia umana non abbiano sempre seguito studi re- golari. Tantomeno erano enfants prodiges, avevano alle spalle famiglie agiate che li sostenessero. E soprat- tutto registrino una totale incoerenza tra gli studi se- guiti e il campo in cui sono eccelsi, assieme alla straor- dinaria capacità interdisciplinare che, proprio in con- segenza della frammentarietà e dell'assenza di specia- 6 lizzazione nei loro studi, ha permesso loro una visione d'insieme più vasta e priva di condizionamenti. Di questa ricetta, Morin è un esempio perfetto: Les souve- nirs viennent à ma rencontre (2019) raccoglie la vita, la guerra, la resistenza, gli eventi e le persone che egli ha incontrato in un volume di oltre 700 pagine che si legge come un romanzo. La sua longevità e la sua straordinaria lucidità di- mostrano quanto una vita attiva, ricca di interessi, emozioni, amori, contraddizioni e ostacoli possa con- durre a effetti positivi. Morin rivela i problemi alla sua nascita: la perdita della madre all'età di 10 anni, il rifiuto iniziale della scolarizzazione (incredibile per chi scriverà La testa ben fatta), il trasferimento da una città all'altra, il ri- fiuto per il nazifascismo, ma anche la diffidenza per il comunismo stalinista, come di ogni altra forma di to- talitarismo. L'adesione problematica al partito comu- Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. 120634 Trimestrale

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Un sociologo della complessità

EDGAR MORINVita e opere di un maître-à-penser quasi centenarioche sa coniugare l incommensurabilità del cosmo

alle debolezze umane

Carlo Bordoni

Una teoria non è la conoscenzama permette la conoscenza.Una teoria non è un punto d'arrivo,è la possibilità di partenza.Edgar Morin

A leggere la monumentale biografia di EdgarNahoum, meglio conosciuto con lo pseudonimo diEdgar Morin, quasi centenario maître-à-penser (essen-do nato l'8 luglio 1921 a Parigi), viene da osservarequanto spesso i grandi pensatori che hanno cambiatola storia umana non abbiano sempre seguito studi re-golari. Tantomeno erano enfants prodiges, né avevanoalle spalle famiglie agiate che li sostenessero. E soprat-tutto registrino una totale incoerenza tra gli studi se-guiti e il campo in cui sono eccelsi, assieme alla straor-dinaria capacità interdisciplinare che, proprio in con-segenza della frammentarietà e dell'assenza di specia-

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lizzazione nei loro studi, ha permesso loro una visioned'insieme più vasta e priva di condizionamenti. Diquesta ricetta, Morin è un esempio perfetto: Les souve-nirs viennent à ma rencontre (2019) raccoglie la vita, laguerra, la resistenza, gli eventi e le persone che egli haincontrato in un volume di oltre 700 pagine che silegge come un romanzo.

La sua longevità e la sua straordinaria lucidità di-mostrano quanto una vita attiva, ricca di interessi,emozioni, amori, contraddizioni e ostacoli possa con-durre a effetti positivi.

Morin rivela i problemi alla sua nascita: la perditadella madre all'età di 10 anni, il rifiuto iniziale dellascolarizzazione (incredibile per chi scriverà La testaben fatta), il trasferimento da una città all'altra, il ri-fiuto per il nazifascismo, ma anche la diffidenza per ilcomunismo stalinista, come di ogni altra forma di to-talitarismo. L'adesione problematica al partito comu-

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René Magritte, Riflessione, Collezione privata

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Ritratto di Edgar Morin

nista, culminata con la sua espulsione nel 1951, nongli ha impedito di mantenere un coerente pensiero disinistra, contro ogni tipo di oppressione, sempre in fa-vore della libertà.

Il tutto grazie a una memoria prodigiosa, ma anchea una straordinaria capacità di lavorare ad ogni età. Ilche mette in risalto un'altra qualità umana che gli haconsentito di diventare il grande Maestro che cono-sciamo: la facilità di rapportarsi con gli altri, di comu-nicare e di intessere rapporti personali con un'infinitàdi persone. Questa qualità lo ha arricchito, proprio acausa della sua assenza di "specializzazione", che gli hapermesso di tener conto, introiettare, assimilare e rie-laborare ogni informazione senza alcuna prevenzione.Si chiama, con un termine improprio, "curiosità intel-lettuale", ma nel caso di Morin ha costituito il veromotore della costruzione del pensiero complesso. Lasua più grande intuizione; la sua cifra, il suo successoplanetario. E anche, forse, il motivo della diffidenzanei suoi confronti di molti intellettuali, per i quali rap-presenta un troppo facile passpartout per tutte le scien-

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ze, cogliendone i tratti essenziali con semplicità, mamai con superficialità.

La sfida della complessità - Morin è un intellettua-le sorprendente: sociologo, filosofo, epistemologo, nel-la sua lunga attività ha combinato le scienze umanecon la fisica termodinamica, la cosmologia, la teoriadei sistemi, rompendo i confini innalzati fra le dueculture. Grazie a lui il tema della complessità è divenu-to preminente e ha assunto un'importanza decisiva, so-prattutto in seguito alla pubblicazione deí suoi studipiù prestigiosi, di cui il "corpus" sul Metodo in sei vo-lumi apparsi nel corso di quasi un trentennio (1977-2004) è parte essenziale. Caratteristica di questo la-voro, come di altri di Morin sullo stesso argomento, èl'interdisciplinarità, che si esprime attraverso un conti-nuo scambio tra la filosofia e la fisica, la biologia e lasociologia, quasi a dimostrare, di fatto, l'assenza diogni confine nelle scienze.

La nuova scienza della complessità non ha fonda-menti statici. Anzi, la sua base è costituita dalla presa

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di coscienza dell'assenza di basi certe. La struttura delreale non è più data dall'ordine, ma dal disordine.Queste affermazioni di Morin, solo apparentementesono rivoluzionarie e innovatrici: ciò non significa cheesse nascondano un significato ideologico preciso, masono figlie del nostro tempo. Di un tempo di incertez-ze e di insicurezze; di un tempo in cui ogni valore asso-luto appare messo in discussione. Infatti filosofie diquesto genere sarebbero state impensabili anche nel re-cente passato. Persino la scoperta del disordine è relati-vamente una novità. Non è un caso che la società con-temporanea abbia maturato il gusto per la trasgressio-ne e la contestazione, il piacere di scelte di vita e dicomportamenti culturali non ortodossi, rispetto allepiù rassicuranti "norme ordinarie". E tra l'assumerecerte forme di disordine sociale e culturale come fattileciti in sé e pertanto comprensibili, e il costruire unafilosofia del disordine, il passo è breve.

"In un secolo, il disordine — spiega Morin in La na-tura della natura, (primo volume del Metodo) — s'è in-filtrato a poco a poco nella physis. Partito dalla termo-dinamica, è passato per la meccanica statistica, ed èsfociato nei paradossi microfisici. Nel corso di questoviaggio, esso si è trasformato: da scarto del reale, essofa parte ormai del tessuto del reale" (Morin 1977,1983, p. 49). Il disordine è una condizione di cuiignoriamo la logica, il codice, il linguaggio. Qualcosache ci appare incerto, errato, caotico, casuale, impreve-dibile, disorganizzato, da cui siamo incapaci di trarrealcuna informazione, se non di tipo frammentario eparziale. L'idea di complessità è alla base del suo pen-siero; spiega e giustifica il disordine.

Una tale concezione si presta a mettere in funzioneil meccanismo tipico dell'assorbimento e dellaneutralizzazione di ogni aspetto eversivo, che aveva da-to origine alla stessa rivolta nei confronti dell'ordine.Se il motivo principale che ha mosso i fautori del di-sordine era quello di opporre a ogni determinismo delmondo reale l'apertura infinita e inconoscibile dellarealtà, è anche vero che tale effetto può, a lungo anda-re, produrre un senso di spaesamento di fronte all'in-comprensibilità e alla complessità del reale.

"La complessità — scrive Morin nel suo primo testointroduttivo a questa concezione — è una nozione lacui prima definizione non può che essere negativa. Lacomplessità è ciò che non è semplice. L'oggetto sempli-ce è l'oggetto che può essere concepito come un'unitàelementare non scomponibile. La nozione semplice èquella che permette di pensare questo oggetto in ma-niera chiara e distinta, come un'entità che può essereisolata dal suo contesto. La spiegazione semplice èquella che può ridurre un fenomeno composto alle sue

unità elementari, e concepire l'insieme come una som-ma del carattere delle unità. [...] Il problema dellacomplessità è quello posto dai fenomeni non riducibiliagli schemi semplici dell'osservatore. Si deve, dunque,supporre che la complessità si manifesterà all'osserva-tore, in primo luogo, sotto forma d'oscurità, d'incer-tezza, di ambiguità, ovvero di paradosso o dicontraddizione" (Morin 1974, p. 607).

La logica del disordine è così complessa che nonpuò essere ridotta in alcun modo a sistema: la suairriducibilità è anche la causa del senso di impotenza esgomento di fronte a ciò che non si può immaginare ocon prendere (fare proprio). Anche se al suo interno visono momenti a noi noti, ciò che resta per sempre aldi fuori della nostra portata intellettiva è la capacità dicogliere l'idea di ciò che non ha limiti, né spaziali nétemporali.

Così ogni altro aspetto dell'esistenza che conoscia-mo, dal momento che è parte del sistema universo,sarà strutturato allo stesso modo, in base al disordine,all'organizzazione casuale, alla creatività e all'entropia.Del resto le recenti acquisizioni in campo biologico(come l'opera di Jacques Monod, Il caso e la necessità,del 1970) lo dimostrano ampiamente.

Inoltre si può dedurre, attraverso le pagine di Mo-rin, che il disordine non sia strettamente irrazionale.Dal punto di vista dell'osservazione umana si è passatidalla "certezza dell'ordine" (propria della filosofia clas-sica) all'incertezza dell'ordine (illuminismo, relati-vismo). Ci troviamo ora di fronte a un approccio radi-calmente nuovo che non ha precedenti nel passato: la"certezza del disordine". La problematica non è più nelpensiero umano di fronte alla realtà, ma si è spostatanella realtà, lasciando il pensiero nella piena consape-volezza di dover affrontare un sistema estremamentecomplesso.

Per secoli il cervello dell'uomo si è misurato conl'ordine: le leggi della natura, la fisica, il moto degliastri, le regole della vita sociale. Adesso è necessario ri-pensare che quest'ordine è solo la fase finale di un lun-go processo fondato sul disordine, e che quindi non èné naturale, né giusto, né buono. E solo frutto di unaconvenzione per ridurre la complessità del reale e com-prenderla meglio. La mente dell'uomo dovrà alloraabituarsi, in modo razionale, a pensare "disordinata-mente".

La complessità del futuro - Siamo ancora in gradodi pensare il futuro dell'umanità? Linsicurezza del pre-sente lascia predominare il pessimismo. Abituati a tresecoli di pensiero positivo, l'incapacità d'immaginare ildomani ci annichilisce, spegne le speranze e la volontà

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di agire. Da queste considerazioni muove l'invito diMorin a rivedere il destino dell'uomo e costruire unnuovo umanismo (7 lezioni sul pensiero globale, 2015).

Da quando l'umanità si è votata alla ragìone, facen-done il suo principale strumento dì conoscenza, l'ideadi futuro è collegata a quella di progresso infinito. Laragione ha preteso di controllare la realtà e prevedere leconseguenze di ogni azione, secondo il principio dicausalità. Utile per assicurarsi contro gli imprevisti eindirizzarsi verso le scelte giuste.

Questa fiducia nel razionale ha portato a concepireuna "fine della storia", cioè la consapevolezza che nonvi sia più nulla da inventare e che tutto sia acquisito.Tanto che Morin ironizza sulla presunzione di conside-rare il liberismo come il miglior sistema economico ela democrazia rappresentativa come il miglior sistemapolitico. Ma la "fine della storia"" finisce per cancellareil progresso e vedere nel domani solo regressioni e con-flittualità insanabili. Così il presente ipoteca il futuro ene rende inutile il progetto.

Il futuro muore tutte le volte che si verificano even-ti inattesi. La stessa futurologia, disciplina incaricata dielaborare ottimistici piani di sviluppo (fino agli anni'70 la Rand Corporation prometteva previsioni a 20-30 anni), è naufragata miseramente di fronte alla finedi ogni determinismo. Il futuro si è atrofizzato e ripie-gato su sé stesso: sempre più vicino al presente, in cuialmeno valgono le esperienze acquisite.

Per Morin è necessario superare i limiti della razio-nalità umana e "pensare globale", non dimenticando lacomplessità dell'essere umano, la sua individualità, maanche il suo essere sociale e biologico. Perché il pensie-ro complesso non elimina le incertezze, ma può indivi-duarle ed evitare le trappole nascoste dentro la presun-zione di conoscere la totalità.

Eros e complessità - Dopo La testa ben fatta(1999), Edgar Morin torna sul tema dell'educazioneper confermare la sua proposta, già ispiratrice dei saggisul Metodo, dell'unicità del sapere e della trans-discipli-narità.

Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l educazio-ne (2014) riparte dalle conclusioni dei Sette saperi ne-cessari all'educazione del futuro (1999), dall'idea fortedi un "destino planetario dell'umanità", con qualchenovità. Trasferisce quel destino, estendendolo dal pia-no ecologico ("la terra è una patria in pericolo") aquello etico-politico ("la volontà di realizzare la citta-dinanza terrestre"), in cui si può intravedere il supera-mento dei nazionalismi e del dominio esclusivo sul ter-ritorio. Per un mondo dove non solo "tutti gli uominivivono una stessa comunità di destino", ma condivido-

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no questo luogo, senza confini e senza limitazioni.La sua finalità è l'acquisizione di un saper-vivere e

una presa di coscienza della realtà in cui viviamo, lanostra Terra-patria, permettendo — nelle parole di Mo-rin — "che questa coscienza si traduca in una volontà direalizzare la cittadinanza universale".Ma soprattutto Morin recupera l'idea di Eros, la

passione necessaria all'insegnamento. Lontano da ogniimposizione, insegnare è un gesto d'amore che rendequesta professione la più difficile e la più importante,perché prepara alla vita e ne determina il senso. Gran-de è il potere degli educatori; grande la loro responsa-bilità.

"Chi educherà gli educatori?", si chiedeva Marxnelle tesi di Feuerbach. Ogni insegnante conosce la ri-sposta: loro stessi, grazie alla relazione costruttiva congli studenti, in un processo di auto-educazione che siripete ogni volta che entrano in classe e iniziano a spie-gare.

Una lezione è sempre produttrice di conoscenza an-che per chi la impartisce. Costringe chi parla a un in-tenso lavoro intellettuale per rispondere all'esigenzanon rinviabile di alimentare la parola. Per cercarel'attenzione, sollecitare la curiosità, affascinare: la paro-la della lezione deve sedurre, nel senso letterale del ter-mine, "portare con sé", lungo il cammino della cono-scenza. Un cammino non sempre agevole, che per que-sto ha bisogno di un'opera di seduzione, di un "incan-to" che rapisca l'interesse di chi ascolta e lo attiri a sé.Del resto anche l'etimo di educare ("portare fuori") èaffine a quello di sedurre, fa parte della stessa famigliadi ducere, "condurre".

Ogni seduzione è propriamente anche un inganno:alletta, fa intravedere e poi, una volta raggiunto lo sco-po, lascia cadere.

L'inganno si perpetua nella vita quotidiana comenella conoscenza, ma in questo caso l'abbandono è ne-cessario, quasi di valore iniziatico, tanto che — una vol-ta attirato lo studente sul sentiero del sapere — il bravoeducatore lo lascia da solo, libero di fare le propriescelte. Libero di proseguire, di costruire il proprio sen-tiero mentre cammina (caminante no hay camino, ca-mino se hace al andar, nei versi di Antonio Machado),oppure di smarrirsi nei sentieri interrotti di Heidegger,quelli già tracciati che si perdono nel bosco. Il compitodel docente si limita al momento della seduzione. Ilvero maestro ha in sé la forza dell'Eros che ne fa unpunto di riferimento insostituibile. Tanto che il tri-buto affettivo nei confronti dei propri insegnanti chehanno "in-segnato", cioè lasciato un segno indelebile,si perpetua per tutta la vita.

Morin riprende l'idea platonica della passione edu-

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cativa e l'attualizza, ne richiama i principi, andando ol-tre l'interpretazione freudiana. Se per Freud l'Eros èsostanzialmente la pulsione verso l'autoconservazione ela sessualità, attraverso la quale continuare la vita,l'Eros di Morin, come in Platone, è una passione spiri-tuale, l'unica che non vincoli la civiltà alla repressionee alla sublimazione permanente degli istinti. Una pas-sione altrettanto vitale, protesa verso l'altro, nel deside-rio di condividere, far conoscere, trasmettere e quindidonare senza pretendere. Prendendo molto, in realtà.

Solo così l'insegnamento può avvicinarsi a una "an-tropo-etica", chiudendo il cerchio nei tre termini pro-pri dell'essere umano, in ossequio al principio di circo-larità dei sistemi viventi: specie/individuo/società, do-ve il singolo porta in sé le caratteristiche della specie("tutti gli esseri viventi dispongono dello stesso codicegenetico"), ma anche i tratti sociali (cultura, linguag-gio, tradizioni), che ne rivelano la sua complessità.

Complessità della crisi - Crisi è divenuto un termi-ne passepartout per giustificare ogni questione di nonfacile interpretazione. Per comprenderla è necessaria

Ritratto di Edgar Morin

una teoria della crisi, sull'interpretazione della qualeesiste anche qui una contrapposizione tra apocalittici eintegrati: i primi vedono nella crisi la fine di un mon-do, di una civiltà, dei valori esistenti; l'unica soluzioneè il ripristino dello statu quo ante.

Per gli integrati, invece, la crisi è una benedizione,perché mette in evidenza vizi e problemi che erano te-nuti nascosti sotto una coltre di silenzio per pigrizia,viltà o connivenza, e apre al cambiamento, al supera-mento di una condizione non più accettabile.

Edgar Morin si situa tra gli integrati, forse il più in-guaribile ottimista tra i sociologi del nostro tempo. Lasua teoria della complessità è un inno polifonico allapositività della vita in tutte le sue declinazioni:

L'idea stessa di crisi, in quanto messa in discussio-ne, turbamento e squilibrio di un ordine prestabilito, ècentrale nella sua costruzione epistemologica, una vi-sione globale della conoscenza che va dalla scienza allafilosofia, attraverso la biologia, la fisica termodinami-ca, la cibernetica, la cosmologia, la teoria dei sistemi edell'informazione.

Centrale perché coglie il nucleo stesso del motore

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dello sviluppo. La sua affermazione, l'ordre n'est plus roi.("l'ordine non è più re"), suona come uno slogan rivo-luzionario che invita a salire sulle barricate per sovver-tire il sistema politico, mentre invece è la ragione dellascienza contemporanea a dimostrare dovunque comela differenza, lo scarto dalla norma o la stessa crisi sia-no produttivi di effetti.

Inevitabile che di crisi Morin si sia occupato fin da-gli inizi della sua carriera e che torni oggi a parlarnecon la stessa intensità. L'occasione è fornita da unaconversazione con François L'Yvonnet (Per una teoriadella crisi, 2016), che riprende, quasi a confermare lacontinuità di un discorso iniziato mezzo secolo fa, untesto apparso nel 1976 sulla rivista "Communica-tions", fondata da Morin con Roland Barthes e Geor-ges Friedmann, assieme ai contributi di André Béjin,René Thom, Jacques Attali, Julien Freund e PierreGaudibert.

Si tratta di un testo propedeutico, d'estremo inte-resse documentario, poiché contiene in nuce concettiche saranno sviluppati da Morin successivamente. Se-gue a breve distanza la pubblicazione del Paradigmaperduto (1973), in cui affronta il tema della naturaumana e, soprattutto, il più significativo "La comples-sità", pubblicato dalla "Revue Internationale de Socio-logie" (1974), vero manifesto preparatorio del primovolume de Il Metodo, La natura della natura (1977).

Intanto conferma la persistenza della crisi nel tem-po, se già allora Morin sentiva il bisogno di proporreuna "crisologia", cioè una teoria della crisi a metà deglianni Settanta, appena a ridosso della più ampia crisipolitico-culturale del '68, di cui era stato testimonedurante la sua permanenza in California, dove Berke-ley era al centro della contestazione studentesca, primadi trasferirsi nel maggio francese.

La diagnosi di Morin è amara, ma non priva di spe-ranza: "Viviamo in una comunità di destino, ma la co-scienza non progredisce". Sembra anzi regredire, afronte di un sapere parcellizzato in una miriade diaspetti che hanno perduto la capacità di restare in con-tatto e interagire. È una "coscienza frantumata", degnadella "coscienza lacerata" di cui parla Hegel nella Feno-menologia dello spirito, che vive in funzione egocentricae ha perso ogni carattere sociale.

L'incapacità di mettere in relazione coscienza, pen-siero e sapere si manifesta nella sua gravità agli occhi dichi, come Morin, vede nell'organizzazione dei sistemiviventi il fondamento dell'esistenza. Lo stesso processovitale che conduce dal disordine creatore all'ordine diun sistema aperto, perde immediatamente ogni ragiond'essere in mancanza dì organizzazione. L'organizzazio-ne è una questione di rapporti reciproci che si armo-

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nizzano e si combinano, producendo un risultato mag-giore alla somma dei suoi componenti. Tutto vive infunzione delle relazioni, dalla materia ai processi biolo-gici, dall'equilibrio cosmico ai rapporti sociali. Qui è lacomplessità. Qui è il fondamento teorico, l'epistemeuniversale, su cui si basa il pensiero di Morin, svilup-pato attraverso i sei volumi del Metodo e le successiveintegrazioni (La Via, gli scritti sulla pedagogia, le le-zioni sul pensiero globale); qui la scoperta che l'orga-nizzazione, prodotta dall'interazione e dalle relazionireciproche, costituisce il nucleo dell'esistenza.

Col progredire della globalizzazione, la frammenta-zione della conoscenza induce a cogliere un solo aspet-to della crisi. Morin porta ad esempio l'affermazionedi Emmanuel Macron, allora ministro dell'economianel secondo governo Valls: "Terrorismo e populismo —scriveva Macron — la soluzione è economica". Ma il re-stringere alla sola dimensione economica le cause diquesti fenomeni è fuorviante, impedisce la reale com-prensione del problema e, per di più, lascia ritenereche la crisi sia una questione solo temporanea.A ben guardare la temporaneità e l'eccezionalità

della crisi — periodo problematico tra due periodi nor-mali — dovrebbe essere ovvia, proprio perché "la crisistricto sensu si definisce sempre in rapporto a periodi distabilità". Una teoria della crisi che tenti di trovare so-luzioni, si basa perciò sul postulato che ogni crisi fini-sca e lasci spazio alla normalità. Ma se perdurasse neltempo e si facesse endemica, snaturando l'idea stessa dinormalità e divenendo essa stessa la norma, nessunateoria sarebbe in grado di affrontarla. In questo caso lacrisologia non avrebbe alcuna possibilità di districarsida una crisi della crisi, in mancanza di punti di riferi-mento e di precedenti. Se la crisi che stiamo vivendo èper sempre, l'unica modalità per affrontarla è l'accetta-zione e la presa di coscienza di un mutamento epocaleche non porterà a nessun altro equilibrio, se non aquello che sapremo ritrovare in noi stessi. È più chemai necessario approfondire la crisi di coscienza per faremergere la "coscienza della crisi".

Per questo una versione rivista e aggiornata dellateoria, adeguata aí mutamenti in corso, dovrà tenerconto di molte incognite e ritrovare le certezze perdutenell'incertezza del presente. Come dire: non ha sensovivere nell'incertezza; l'aspettativa di una fine della cri-si rende penosa e inaccettabile l'esistenza.

Una teoria della crisi dovrebbe, più che trovare so-luzioni per uscirne, insegnare ad accettarla nel modomigliore. O, ancora meglio, a "vivere di crisi". Oggiche crisi ha assunto un significato negativo di "indeci-sione e incertezza", la nuova crisologia di Morin po-trebbe recuperare la nozione autentica di "scelta e deci-

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sione" che aveva in origine e restituirle così il suo si-gnificato pienamente positivo.

Uinconoscenza della conoscenza - Dopo averci do-nato quel monumento al sapere complesso che sono isei volumi del Metodo (1977-2004), ha applicato quel-la metodologia a una serie di piccoli testi. Il più recen-te, Conoscenza ignoranza mistero (2017), differisce daiprecedenti per la sua struttura comprendente. E davve-ro un distillato del suo pensiero e ne coglie tre aspettiessenziali: la conferma del concetto di complessità, in-cardinato nella sequenza ordine/disordine/ organizza-zione, l'illusione di una conoscenza scientifica dai pre-supposti razionali e infine un inatteso recupero dellaspiritualità.

Un Morin inedito, che si insinua nel dibattito sullafiducia nella scienza, ma anziché indicare un ritornoalla natura, salva la scienza condannando chi ne fa unuso deviato. "C'è un buco nero — scrive — in senoall'attività e alla mente degli scienziati quando essi so-no convinti di disporre delle Tavole della Ragione".

Dietro ogni presunzione si nasconde l'ignoranza,più grave quando emerge dalla conoscenza stessa. Eproprio quando il sapere raggiunge livelli elevati chesorge il dubbio, che si incrina la certezza di una cono-scenza assoluta. Anzi, l'unica certezza è data dall'incer-tezza di ogni sapere: il sapere porta al non-sapere. In-fatti le conoscenze si evolvono incessantemente, spessocontraddicendo o modificando quanto sembrava giàattestato.

C'è bisogno di una nuova fisica, avverte Morin, chesuperi quella novecentesca della relatività e dei quanti.Ed è singolare che a dirlo sia un sociologo, cogliendoin contropiede gli scienziati.Ma la sua opera di sintesi, proprio perché all'inse-

gna della complessità, dove non basta conoscere la par-te per dominare il tutto — visto che il tutto è maggioredella somma delle parti — non si limita al mondo visi-bile, determinato dalla trinità scienza/tecnica/econo-mia. Questa volta, con maggiore incisività, rivaluta ilmondo interiore: dal rapporto mente/cervello alleemozioni, al mistero che si nasconde nella psiche (co-nosciamo più dell'universo che del cervello umano,dirà), di cui sono ignorate le potenzialità e gli aspettiirrazionali, bollati come superstizioni e credenze.

Le capacità di intuire, prevedere, creare, guarire so-no anch'esse proprietà della mente. Lo sciamanismo,che nelle culture primitive era apprezzato e venerato,assieme a tutte le forme di preveggenza, trance ed esta-si che conducono a forme di conoscenza irrazionali,sono espressioni della cultura umana e come tali devo-no essere riconosciute.

Questo accorpamento "complesso" delle contraddi-zioni dell'esistenza, dove tutto si compie attraverso lamorte — gli individui muoiono affinché sopravviva laspecie, con un richiamo esplicito a uno dei suoi primilavori, L'uomo e la morte (1951) — trova in Morin unfiero difensore, che sa coniugare l'incommensurabilitàdel cosmo alle debolezze umane.

Si arrende solo di fronte al mistero della vita, colpi-to dall'inquietante círcolarità della storia umana, chepassa attraverso dolorose fasi di affrancamentodall'ignoranza e, una volta raggiunta la luce della ra-gione, la rimette in dubbio, recuperando il valoredell'irrazionale. Il fascino delle origini, del dissolvi-mento nella totalità e nell'incoscienza sono sempre là,dietro l'angolo, a dimostrare che nulla nell'uomo ècambiato.

Carlo Bordoni

PRINCIPALI OPERE DI EDGAR MORIN

L'uomo e la morte (1951), a cura di R. Mazzeo, Erickson, 2014.

Il cinema o l'uomo immaginario (1956), Raffaello Cortina, 2016.

Autocritica (1959), Moretti & Vitali, 1991.

Lo spirito del tempo (1962), a cura di A. Rabbito, Meltemi, 2017.

Maggio 68. La breccia (1968, 2008), Raffaello Cortina 2018.

Medioevo moderno a Orléans (1969), con un'intervista di Romolo Runcini,Eri, 1979.

Il paradigma perduto. Che cos? la natura umana? (1973), Feltrinelli, 1994.

"La complexité", in Revue Int. de Sociologie, n. 4, XXVI, 1974.

Il metodo 1: La natura della natura (1977), Feltrinelli, 1983; Raffaello Corti-na, 2001.

Il metodo 2: La vita della vita (1980), Raffaello Cortina, 2008.

Diario di un libro (1981), Moretti & Vitali, 1997.

Scienza con coscienza (1982), FrancoAngeli, 1984.

Per uscire dal ventesimo secolo (1984), Lubrina, 1990.

Il metodo 3: La conoscenza della conoscenza (1986), Raffaello Cortina, 2007.

II metodo 4: Le idee. Habitat, vita, organizzazione, usi e costumi (1991), Raf-faello Cortina, 2008.

/miei demoni (1994), Meltemi, 1999.

La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero (1999), Raf-faello Cortina, 2000.

I sette sapero necessari all'educazione del futuro (2000), Raffaello Cortina,2001.

Il metodo 5: L'identità umana (2001), Raffaello Cortina, 2002.

Il metodo 6: Etica (2004), Raffaello Cortina, 2005.

Cultura e barbarie europee (2005), Raffaello Cortina, 2006.

I miei filosofi (2011), a cura di Riccardo Mazzeo, Erickson, 2013.

La via. Per l'avvenire dell'umanità (2011), Raffaello Cortina, 2012.

Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l'educazione (2014), Raffaello Corti-na, 2015.

7 lezioni sul pensiero globale (2015), Raffaello Cortina 2016.

Per una teoria della crisi (2016), Armando, 20I7.

Sull'estetica (2016), Raffaello Cortina, 2019.

Conoscenza ignoranza mistero (2017), Raffaello Cortina, 2018.

Les souvenirs viennent à ma rencontre, Fayard, 2019.

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Trimestrale