Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

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INDICE Introduzione 4 I. Lo spettacolo 1. Lo spettacolo come stadio ultimo dell’alienazione 12 II. Debord e Marx 2.1 La merce e lo spettacolo 25 2.2 Il feticismo della merce e la critica del valore: il contributo di Debord 33 III. Debord e Lukács 3.1 Il confronto con Storia e coscienza di classe 37 3.2 La questione del soggetto-oggetto 44 3.3 La condizione e il ruolo del proletariato nella società spettacolare 46 IV. I Commentari: l’avvento dello spettacolare integrato 51 V. Debord e il marxismo: novità e prospettive della teoria 56 Bibliografia 63 2

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INDICE

Introduzione 4

I. Lo spettacolo1. Lo spettacolo come stadio ultimo dell’alienazione 12

II. Debord e Marx2.1 La merce e lo spettacolo 252.2 Il feticismo della merce e la critica del valore: il contributo di Debord 33

III. Debord e Lukács3.1 Il confronto con Storia e coscienza di classe 373.2 La questione del soggetto-oggetto 443.3 La condizione e il ruolo del proletariato nella società spettacolare 46

IV. I Commentari: l’avvento dello spettacolare integrato 51

V. Debord e il marxismo: novità e prospettive della teoria 56

Bibliografia 63

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Oh gentiluomini, la vita è breve…Se viviamo, viviamo per camminare sulla testa dei re.

Shakespeare, Enrico IV

La critica non è una passione del cervello,è il cervello della passione. Il suo pathos

essenziale è l’indignazione, il suo compito essenziale è la denuncia.

K. Marx

Chi non fa che guardare il mondo persapere il seguito, non agirà mai.

Guy Debord

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INTRODUZIONE

L’opera del francese Guy Ernest Debord, nato a Parigi nel 1931,

rappresenta, nel nugolo delle teorie critiche della società che hanno solcato il

corso del XX secolo, uno dei contributi più affascinanti e ricchi di implicazioni,

che, nel confronto con l’attualità, hanno avuto modo di rivelarsi assai profetiche.

Accostarsi alla figura di Debord, nel tentativo di stilare un’analisi

esaustiva del suo pensiero, è un’operazione sicuramente complessa. La sua stessa

collocazione, peraltro, deve tener conto di diversi ambiti, che spaziano dalla

produzione teorica all’attività politica, passando per realizzazioni di carattere

artistico e cinematografico, che mettono in evidenza la poliedricità dei suoi

interessi.

In questo senso, allora, oltre ad applicare la dovuta attenzione nel

presentare l’opera di Debord, occorre, per raggiungere risultati fecondi, mettere

in relazione quest’ultima con quella che fu la sua esperienza di vita. Vi è infatti un

nesso inscindibile tra gli scritti del pensatore francese e la sua singolare parabola

esistenziale. Ne è la prova una delle tante testimonianze riscontrabili nelle pagine

che compongono la sua autobiografia, dove egli ebbe modo di scrivere di sé in

questi termini: “Mi sono fermamente tenuto, dottore in niente, lontano da ogni

parvenza di partecipazione agli ambienti che passavano allora per intellettuali o

artistici”1. Evitando sempre di inserirsi negli ambienti accademici del suo tempo,

Debord rifiutò ogni compromesso con quelli che erano ritenuti comunemente i

canali della cultura ufficiale, pronunciandosi inoltre contro ogni tentativo di

1 G. Debord, Panegirico, Tomo Primo Tomo Secondo, tr.it. Roma, Castelvecchi, 2005, p.14.

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attribuirgli un ruolo preminente nel campo della contestazione del ‘68 : “Troverei

altrettanto volgare diventare un’autorità nella contestazione della società, che

divenirlo in questa stessa società”2. Se non si può allora affermare che Debord

facesse parte di una schiera di eminenti critici della società dotati di vasta e

metodica erudizione, se non si può parlare di lui come uno scrittore prolifico, si

deve dare atto tuttavia della coerenza e dell’onestà del suo percorso intellettuale,

come ricorda lo studioso Anselm Jappe : “Debord si presenta come un esempio di

coerenza personale, la quale non nasce, come in altri casi, da un ideale ascetico,

ma da un autentico disgusto per il mondo circostante”3.

Il carattere stesso delle sua opera più importante, La Société du Spectacle,

pubblicata nel 1967 - libro “più citato che letto”–, e il suo percorso sotterraneo

durante il periodo del Maggio Francese, se da un lato escludono inspiegabilmente

Debord dal dibattito ufficiale, nello stesso tempo contribuiscono a creare una

sorta di vero e proprio mito intorno alla sua figura.

Un percorso intellettuale, quindi, animato da coordinate sfuggenti, atipiche

rispetto all’itinerario di altri pensatori e a cui si aggiungono, in maniera decisiva,

due fondamentali esperienze: in primo luogo, l’incontro nel 1951 di Debord con i

lettristi di Isidore Isou , la cui fazione più radicale (con a capo lo stesso Debord e

Michelle Bernstein) si distaccherà per fondare L’“Internazionale Lettrista” (I.L.),

che a sua volta, alla luce dell’unione con “Il Movimento Internazionale per una

Bauhaus Imaginista” (M.I.B.I.) e il “Comitato Psico-Geografico di Londra”, darà

vita, il 28 luglio 1957, all’ Internazionale Situazionista (I.S.).

2 G. Debord, Opere cinematografiche, tr. it. Milano, Bompiani, 2004.3 A. Jappe, Guy Debord, tr.it. Roma, Manifesto Libri, 1999.

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Principale intento del movimento dell’I.S. è la creazione di situazioni,

definite come “momenti di vita concretamente e deliberatamente costruiti

mediante l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di

eventi”4. Si tratta di un processo che si avvale di diversi strumenti, quali il

Détournement5, la Deriva6 e l’ Urbanismo Unitario7.

Nell’ambito dell’I.S., oltre a esserne uno dei fondatori - insieme a

Gianfranco Sanguinetti, Melanotte, il pittore Pinot-Gallizio, ad artisti del gruppo

“COBRA”8 (tra i quali spiccano Costant e Jorn) e all’unione dei movimenti

sopracitati -, Debord è anche una figura di spicco e uno dei suoi massimi

esponenti teorici. Sarà lui, infatti, a redigere la piattaforma provvisoria della

nuova organizzazione, in un testo di circa venti pagine dal titolo Rapporto sulla

costruzione di situazioni e sulle condizioni dell’organizzazione della tendenza

situazionista internazionale, pubblicato nel 1957. Si tratta della prima

presentazione sistematica delle idee di Debord, dove vengono delineati i vari

compiti dell’I.S., con la comparsa per la prima volta della definizione del concetto

4 Internationale Situationniste, n.1, Parigi, Giugno 1958; tr.it. Internazionale Situazionista 1958-69, Torino, Nautilus, 1994.5 In maniera preliminare possiamo definire il dètournement (dirottamento) attraverso le parole dello stesso Debord: “il reimpiego di elementi artistici preesistenti in una nuova unità, una tendenza permanente dell’avanguardia attuale, precedentemente alla costituzione dell’I.S. come in seguito. Le due leggi fondamentali del dirottamento sono la perdita d’importanza di ogni elemento autonomo traslato e riconvertito (détourné); e, nello stesso tempo, l’organizzazione di un altro insieme significante, che conferisce a ogni elemento la sua nuova portata” (“Il détournement come negazione e come preludio”, Internationale Situationniste, n.3, Parigi, 1959); il détournement è il contrario della citazione, un frammento strappato dal suo contesto, dal suo movimento, e in definitiva dalla sua epoca. 6 La Deriva si presenta come “un modo di comportamento sperimentale legato alle condizioni della società urbana: tecnica di passaggio improvviso attraverso ambienti diversi. In particolare, si usa anche per designare la durata di un esercizio continuo di questa esperienza” (“Definitions”, Internationale Situationniste, n.1, Parigi, Giugno 1958).7 “Teoria dell’impiego globale delle arti e delle tecniche che concorrono alla costruzione integrale di un ambiente in rapporto dinamico con esperienze di comportamento” (“Definitions”, Internationale Situationniste, n.1, Parigi, Giugno 1958).8 Il nome è ricavato dalle iniziali delle tre città da cui provenivano i suoi artisti e rappresentanti: Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam.

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centrale della sua teoria: lo spettacolo: “La costruzione di situazioni comincia al di

là del crollo moderno della nozione di spettacolo. È facile vedere in che misura

sia legato all’alienazione del vecchio mondo il principio stesso dello spettacolo: il

non-intervento”9. Nei dodici numeri della rivista Internationale Situationniste,

pubblicati tra il 1958 e il 1969, questo concetto assumerà man mano un posto

sempre più importante, fino a trovare il suo definitivo compimento nei 221

paragrafi dell’opera – come già accennato - più importante della produzione di

Debord, La Società dello Spettacolo. Essa si farà manifesto della “critica dello

spettacolo” maturata dall’I.S. a partire dagli anni sessanta e si proporrà come uno

dei testi cardine della teoria stessa, accanto al Trattato del saper vivere ad uso

delle giovani generazioni10 di Raul Vanegeim, pubblicato anch’esso nel 1967.

L’intento di questa tesi – senza alcuna pretesa di esaustività - sarà per

l’appunto lo studio dell’opera più famosa, plasmata dagli sviluppi teorici di

Debord e dell’I.S., destinata ad avere ampia risonanza nelle contestazioni del ’68 e

ad acquistare, come vedremo, il valore di strumento essenziale per comprendere

il mondo odierno.

Una ricerca che si occuperà innanzitutto di analizzare bene le fonti e le

influenze teoriche, memori delle parole dello stesso Debord (“Altri più sapienti di

me avevano ben spiegato l’origine di quanto è accaduto”11) cercando di giungere

a un’analisi chiara del concetto chiave di “spettacolo” e delle sue implicazioni,

allo scopo di evidenziare i contorni di un’attualità e di un’utilità per una teoria

critica della società contemporanea.

9 G. Debord, Rapporto sulla costruzione delle situazioni e sulle condizioni dell’organizzazione e dell’azione della tendenza situazionista internazionale, tr.it. Torino, Nautilus, 2007.10 Parigi, Gallimard 1967, Collection Folio 1992; tr.it. Firenze, Vallecchi, 1973.11 G. Debord, Panegirico, Tomo Primo Tomo Secondo, tr.it. Roma, Castelvecchi, 2005.

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Si dimostrerà, in partenza, che per comprendere in maniera adeguata le

teorie di Debord presenti ne La Società dello Spettacolo è indispensabile

determinare il suo posto nell’ambito delle teorie marxiste, riconoscendo la

presenza di uno stretto rapporto tra Debord e Marx. In particolare, questo studio

si occuperà della rilevanza dei concetti marxiani di “merce” e “feticismo della

merce”, ripercorrendo l’analisi che Debord fa di essi. In ciò si terrà conto anche

del rapporto del filosofo francese con quelle correnti minoritarie del marxismo

che si richiamano a tale parte del pensiero marxiano e che vedono nell’opera di G.

Lukacs, Storia e coscienza di classe12, uno dei riferimenti principali. Quest’ultima

aveva ripreso e rielaborato la critica marxiana del “feticismo della merce”

tenendo conto dei mutamenti che si erano verificati dopo Marx nella realtà

sociale.

Con tali strumenti teorici, Debord dimostrerà che lo spettacolo è la forma

più sviluppata della società basata sulla produzione di merci e del “feticismo

della merce” che ne deriva, portando avanti un doppio compito, quello di

comprendere e allo stesso tempo di combattere tale forma.

La teoria critica elaborata da Debord (e dai situazionisti) si inserisce

quindi nel complesso dibattito politico francese relativo al pensiero marxista e

non marxista della sua epoca, mostrandosi ora “controcorrente”, ora

oggettivamente vicino ad altri indirizzi teorico-critici. Infatti, negli anni sessanta,

molte delle teorie marxiste, o presunte tali, sembravano superate. Il capitalismo,

non si mostrava né incapace di sviluppare sempre più le forze produttive, né di

re-distribuire più equamente di prima la ricchezza e i suoi prodotti, smentendo

12 Der - Malik Verlag, Berlino, 1923; tr.it. Milano, SugarCo, 1967 (1991).

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così coloro che si aspettavano una prossima rivoluzione operaia. Sullo sfondo di

una società il cui potere appare nell’insieme come infinito, il singolo pare trovarsi

senza alcuna possibilità di gestire il suo mondo. Debord si distacca dalle

numerose interpretazioni che vedono in tutto ciò un rovescio inevitabile del

progresso, un destino dell’uomo che è senza rimedio. Egli legge gli eventi come

una conseguenza del fatto che l’economia ha sottomesso a sé la vita umana. Non vi

sarà nessun cambiamento finché non sarà l’economia stessa a passare sotto il

controllo cosciente degli individui. Alla luce di tali affermazioni, l’economia si

caratterizza come sfera separata, derivante da concetti quali la merce, il valore di

scambio, il lavoro astratto, la forma-valore.

Sarà questo un altro punto nodale della nostra analisi, che terrà pure conto

di quel filone minoritario del marxismo, che, a partire dalla prima guerra

mondiale, ha posto l’accento su tali concetti, rivalutando e assegnando

un’importanza centrale al problema dell’alienazione, considerandolo non un

epifenomeno dello sviluppo capitalistico, ma come il suo stesso nucleo. Debord si

inserirà in questa scia - qui ancora caratterizzata da una maniera molto teoretica

di concepire il problema, - partendo proprio dal risultato essenziale di queste

riconsiderazioni interpretative: lo sviluppo dell’economia resasi indipendente,

qualunque sia la sua variante, e – ciò che più occorre tenere presente – la sua

vittoria all’interno della società, tradotta ora dalla forma spettacolo.

Quest’ultimo si presenterà come “il risultato e il progetto del modo di

produzione esistente” (SdS ¶ 6)13, stadio supremo dell’alienazione ed espressione

della categoria dell’economia che, intesa come una parte dell’attività umana

13 SdS = G. Debord, La Société du spectacle, Paris, Gallimard, 1992; tr.it. La Società dello spettacolo, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 1997. Cit. secondo i paragrafi (¶).

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complessiva, decreta il suo trionfo su tutti gli aspetti della vita all’interno della

società.

Una lettura approfondita de La Società dello Spettacolo, purificata dai

“saccheggi” e dalle banalizzazioni avvenute nel corso degli anni, metterà allora in

evidenza come essa abbia seguito un certo filone marxista, condiviso alcune delle

sue problematiche e approfondito certe tendenze. In ciò non si vuole certo

negare l’originalità di Debord, di cui il merito consiste nell’aver adeguato queste

teorie a un’epoca ben diversa, leggendo in una realtà ancora arcaica le luci della

società dello spettacolo, fornendo indicazioni e strumenti la cui validità si scopre

soprattutto oggi. Tra l’altro, per sottolineare la prospettiva comunque autonoma

nel dialogo con gli altri pensatori della sua epoca, possiamo notare come ne La

Società dello Spettacolo non si faccia largo uso di citazioni. Di sicuro non vi è un

intento “dichiarato”: molte frasi di Debord, infatti, sono détournements14 di

citazioni altrui, e la loro presenza è finalizzata a dar sostegno alle proprie tesi,

piuttosto che indicare le proprie fonti.

Tuttavia, in questo lavoro sarà inevitabile fare uso di citazioni. L’opera di

Debord si presta male alla parafrasi, sia per la bellezza dello stile, sia per il rischio

di svalutare il contenuto con delle interpretazioni troppo rigide e devianti.

Un’altra possibile motivazione sta nell’atteggiamento della produzione di

Debord, che ha scritto soltanto quando gli sembrava necessario, come ricorda lui

stesso15, estraneo a qualsiasi obbligo di tipo editoriale.

La sfida, quindi, per una lettura e un’interpretazione della sua opera,

risiede nel confine sottile che vede da una parte la sua succinta produzione che

14 (si veda la nota 6)15 G. Debord, Panegirico, Tomo Primo Tomo Secondo, tr.it. Roma, Castelvecchi, 2005.

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pretende di aver detto tutto l’essenziale, e dall’altra il desiderio,

paradossalmente, di non essere interpretata, bensì presa alla lettera.

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I. LO SPETTACOLO

1. Lo spettacolo come stadio ultimo dell’ alienazione

A prima vista, il concetto di “società dello spettacolo” può essere ridotto

esclusivamente all’ambito “massmediatico” : riferito cioè alla “tirannia” dei mezzi

di comunicazione in generale e della televisione in particolare. Ciò, tuttavia,

rappresenta soltanto un lato marginale del problema: lo stesso Debord, infatti,

considera tale aspetto dello “spettacolo” come “la sua manifestazione sociale più

opprimente” (SdS ¶ 24). Di conseguenza, non possiamo intendere lo “spettacolo”

come una semplice azione invasiva portata da uno strumento neutrale ed

esterno come la televisione - magari male utilizzato - all’interno della società,

poichè questa dinamica ne costituisce solo il lato apparente. Bisogna invece

approfondire la questione, andando oltre la convinzione che vede lo spettacolo

come una parte esteriore, distaccata dalla società. Debord ne è perfettamente

cosciente, e fin dall’inizio opererà questa precisazione, nella quale sono già insite

le coordinate che daranno vita alla sua critica. Lo spettacolo, allora, “non può

essere compreso come un abuso del mondo visivo, prodotto dalle tecniche di

diffusione massiva delle immagini.” (SdS ¶ 5). Lungi dall’esserne causa, i mezzi di

comunicazione sono in realtà una delle diverse espressioni della struttura delle

società spettacolari di cui essi fanno parte. Andando più a fondo, Debord precisa

che “lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra

individui, mediato dalle immagini” (SdS ¶ 4). Decisivo appare in questo discorso

il ruolo dell’immagine: lo spettacolo, depurato da una visione meramente

superficiale, si presenta come il tipo di relazioni interpersonali costruito dalle

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immagini, in cui la contemplazione passiva di queste ultime, che per giunta sono

state scelte da altri, soppianta il vivere e la capacità di determinare gli eventi in

prima persona.

La constatazione di questo fatto rappresenta il cardine del pensiero e

dell’attività pratica di Debord: la sua volontà, fin dall’inizio, di esprimere un’arte

che sia la creazione di situazioni, e non l’espressione di situazioni già esistenti, è

la prima e principale risposta della critica situazionista alla nozione di spettacolo

e al suo principio stesso: il non-intervento. Questo è, secondo Debord,

strettamente connesso al problema dell’alienazione16.

È da questo terreno che egli riparte, sviluppando alcune idee che prima di

lui avevano visto in Hegel, Feuerbach e Marx degli esponenti fondamentali, ma

che nella storia del marxismo hanno goduto di poca fortuna.

La visione di Debord sulla società muove da una critica della vita

quotidiana, mostrandone i caratteri di impoverimento dell’esperienza, della sua

disgregazione in ambiti sempre più separati con la perdita di ogni aspetto

unitario della società. L’alienazione, in questo senso, va ad assumere una

caratterizzazione nuova rispetto al primo stadio della sua evoluzione storica,

descritto da Marx. Se in precedenza essa era determinata da una degradazione

dell’ “essere” in “avere”, con lo spettacolo abbiamo un’ulteriore slittamento

generalizzato, dell’ “avere” in “apparire”. In una realtà che si mostra

frammentata, alienata, lo spettacolo consiste nella ricomposizione degli aspetti

separati sul piano dell’immagine. Nel primo capitolo de La Società dello

Spettacolo, intitolato, quasi emblematicamente, “La separazione compiuta”,

16 G.Debord, Rapporto sulla costruzione delle situazioni e sulle condizioni dell’organizzazione e dell’azione dell atendenza situazionista internazionale, Torino, Nautilus, 2007.

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Debord scrive: “Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una

rappresentazione” (SdS ¶ 1). Ed è proprio lo spettacolo il corso comune, l’insieme

di rappresentazioni indipendenti in cui si ritrova tutto quello che manca alla vita.

Un esempio lampante è dato dai personaggi famosi, attori o uomini politici , che

vanno a rappresentare quell’insieme di qualità umane e di godimento della vita

che è assente dalla vita effettiva di tutti, imprigionata in miseri ruoli.

La separazione, la perdita d’unità del mondo, è “l’alfa e l’omega dello

spettacolo” (SdS ¶ 25). Essa è il luogo d’origine, la piattaforma, il terreno dove

trova linfa questa unità, che ricompone gli individui - separati l’uno dall’altro -

sotto il dominio dell’immagine. Lo spettacolo, quindi, riunisce gli individui

separati, ma lo fa anche in quanto separati (SdS ¶ 29). Esso dà vita a un

linguaggio comune, a una rappresentazione, di una parte del mondo davanti al

mondo stesso, e che si rivela superiore. La comunicazione che si instaura è del

tutto a senso unico, unilaterale: lo spettacolo la accaparra tutta per sé, essendo

l’unico a parlare, mentre gli individui, gli “atomi sociali”, ascoltano soltanto. E il

messaggio che si impone è essenzialmente uno solo: l’ininterrotta giustificazione

della società esistente, il monologo elogiativo del potere che giustifica se stesso.

Lo spettacolo è il suo autoritratto, l’immagine del modo di produzione che lo ha

generato, l’incessante discorso di affermazione del capitalismo e delle merci da

esso prodotte. La facilità con cui tutto ciò trova risonanza è disarmante, perché

determinata da un argomento molto semplice: basta che sia solo lo spettacolo a

parlare, e che non siano concesse repliche. Di conseguenza, il presupposto dello

spettacolo è nello stesso tempo il suo risultato principale: ossia l’isolamento, la

passività della contemplazione. Si può facilmente notare come lo spettacolo sia

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“il contrario del dialogo” (SdS ¶ 18), con l’individuo che è da parte sua ridotto al

silenzio, e non ha come altra destinazione che ammirare, contemplare le

immagini che sono state scelte per lui. L’altra faccia dello spettacolo è appunto la

passività, che porta a incarnare esclusivamente l’atteggiamento del pubblico, di

chi sta a guardare e non interviene, ponendosi come nient’altro che un

consumatore di immagini: lo spettacolo è “il sole che non tramonta mai

sull’impero della passività moderna” (SdS ¶ 13).

Tutto ciò mostra come lo spettacolo, pur prendendo le mosse dalla

frammentazione e dalla perdita d’unità del mondo, non sia soltanto uno

strumento d’unificazione. Esso si fa infatti portatore di una contraddizione,

poiché è allo stesso tempo un settore della società separato dagli altri, lo

strumento attraverso cui questa parte domina il tutto, concentrando ogni

sguardo e ogni coscienza, il che lo rende necessariamente falso e ingannevole. Nel

momento in cui si parla di unificazione, questa non assume certo dei connotati

positivi, ma si compie attraverso un linguaggio ufficiale di separazione

generalizzata che ripropone il suo presupposto.

La forza inquietante dello spettacolo risiede quindi nel fatto che esso non è

una semplice aggiunta al mondo, come a prima vista si potrebbe intendere, alla

luce della propaganda svolta dai mezzi di comunicazione. È tutta l’attività sociale,

nelle sue forme particolari, ad essere invece captata dallo spettacolo ai suoi fini.

Dall’informazione ai partiti politici di ogni schieramento, dalla pubblicità al

consumo diretto di distrazioni, dalla vita quotidiana alle passioni e ai desideri

umani, dovunque troviamo la sostituzione della realtà con la sua immagine. Lo

spettacolo “è il cuore dell’irrealismo nella società reale” (SdS ¶ 6) , non riflette

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quest’ultima nella sua interezza, ma struttura le immagini secondo gli interessi

di una parte soltanto della società, con effetti che si possono riscontrare

sull’attività sociale di coloro che contemplano le immagini. Tutto viene relegato

alla sfera delle esigenze spettacolari, e la falsificazione della realtà rivela così

tutta la sua forza, al punto che Debord, richiamandosi a Hegel, arriva a invertire

la sua famosa affermazione, sostenendo che “nel mondo realmente rovesciato, il

vero è un momento del falso” (SdS ¶ 9). La menzogna si pone come il fulcro di

ogni potere, il suo strumento per governare, e lo spettacolo da questo punto di

vista è il potere più sviluppato, quindi il più menzognero.

In un mondo che si è trasformato in immagini, il senso umano privilegiato

e protagonista diviene ora la vista, che Debord definisce “il più astratto e

modificabile, corrispondente all’astrazione generalizzata della società attuale”

(SdS ¶ 18). Lo spettacolo, infatti, sfugge al semplice sguardo , si sottrae all’attività

e al controllo degli uomini. Non possiamo quindi considerare l’ “immagine” e la

“rappresentazione” soltanto in quanto tali, ma è necessario sottolinearne invece

il bisogno che la società ha di esse e l’indipendenza che raggiungono, escludendo

ogni dialogo dalla vita.

A questo punto appare chiaro come lo spettacolo sia la ricostruzione,

l’eredità, dell’illusione religiosa. Debord si richiama in questo senso a Feuerbach,

tra l’altro citando, come epigrafe del primo capitolo de La Società dello Spettacolo

un passo de L’Essenza del Cristianesimo. Gli uomini, secondo Feuerbach, hanno

proiettato la loro potenza e le proprie aspirazioni nella religione, in un dio che si

mostra come un’entità estranea, immaginaria. In ultima analisi, è l’uomo, per

Feuerbach, a creare dio a propria immagine e somiglianza. Lo spettacolo,

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analogamente, non ha dissipato le nubi religiose, ma le ha soltanto riposte in una

base terrena. Così come avviene nell’immaginarsi una divinità superiore, così è

l’uomo a forgiare lo spettacolo, “a produrre una potenza indipendente”(SdS ¶

31), e nel momento in cui le riconosce sempre più potere, nello stesso tempo

sente aumentare la propria impotenza. La contemplazione di queste potenze,

rispettivamente nell’ambito della religione e in quello dello spettacolo, si situa in

un rapporto inverso a quanto il soggetto vive individualmente, al punto tale che

in questo mondo lo spettatore “non si sente a casa propria da nessuna parte,

perché lo spettacolo è dappertutto”(SdS ¶ 30). Ogni gesto, ogni idea, ogni

momento della vita trova quindi senso solo al di fuori di se stesso, palesando un

modo d’essere che è proprio dell’alienazione, sia nella religione, secondo la

visione di Feuerbach, sia nella sua forma ultima, quella “terrena”, dello

spettacolo.

Nel concepire lo spettacolo come l’ultima e suprema forma di alienazione,

Debord riscopre e sviluppa alcune idee che per Marx erano state una colonna

portante della sua speculazione, ma che nel dibattito marxista successivo hanno

trovato scarsa risonanza.

L’alienazione ha già un posto rilevante nella filosofia di Hegel, dove è

considerata come uno sviluppo del divenire dello Spirito. Essa è l’estraniarsi

dello Spirito a se stesso, e avviene quando questo, nell’oggettivarsi, si proietta al

di fuori di sé, divenendo natura, mondo oggettivo e sensibile. Questa fase

dell’alienazione è considerata da Hegel come negativa. In un secondo momento,

lo Spirito giunge a riconoscere il mondo oggettivo come prodotto del suo sé,

ritrovandosi infine in sé stesso e rivelando quindi la natura positiva del perdersi

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nel mondo sensibile. La visione sintetica dell’alienazione ha quindi un risultato

positivo. Nella dialettica hegeliana, essa è però un fenomeno connaturato

all’essere stesso del pensiero, che oltre ad avere una preliminare accezione

negativa, va considerata come un arricchimento dello Spirito, o dell’Idea, in un

superiore stadio di sintesi.

I “giovani hegeliani”, come Feuerbach, Moses Hess, e il primo Marx,

accetteranno da Hegel la concezione dell’alienazione intesa come inversione di

soggetto e predicato, concreto e astratto. Ma, a differenza del filosofo di Jena, per

loro il vero soggetto non sarà lo Spirito, ma l’uomo nella sua esistenza sensibile e

concreta. È questo il punto di partenza della critica all’idealismo hegeliano, che

secondo Feuerbach, offre una visione capovolta della realtà, perché fa figurare ciò

che viene prima - il concreto, la causa, l’uomo – come ciò che viene dopo, cioè

l’astratto, lo Spirito. Per Feuerbach la filosofia “deve iniziare dal finito, dal

determinato, dal reale”17. L’uomo è alienato quando diventa il predicato di un

astratto, che lui stesso ha posto e che non riconosce più come tale, al punto da

apparirgli dunque come un soggetto. L’alienazione, secondo la visione di

Feuerbach, sarà, come già detto, nella proiezione della potenza umana nella

religione, che rende l’individuo impotente; essa però è riscontrabile anche nelle

astrazioni della filosofia idealista, per la quale l’uomo nella sua esistenza concreta

è solo una forma fenomenica dello Spirito e dell’universale.

In questo cambio di passo che vede la filosofia imporsi come critica

dell’esistente, rivalutando i caratteri e i bisogni dell’uomo concreto laddove con

17 L. Feuerbach, Tesi provvisorie per una riforma della filosofia, tr. in Principi della filosofia dell’avvenire, Torino, Einaudi, 1948, p.67.

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l’idealismo non aveva trovato un riconoscimento adeguato, si inserisce l’ulteriore

e importante sviluppo apportato da Karl Marx.

Il punto di partenza del suo discorso si basa su una critica globale della

civiltà moderna e dello stato liberale, che rappresenta uno dei nuclei teorici più

importanti del marxismo. Nella Critica, e in maniera più rigorosa negli Annali

franco- tedeschi del 1844, Marx riprende la convinzione, mutuata da Hegel, che la

categoria del moderno si identifichi con quella della “scissione”, della

separazione quindi, che prende corpo tra società civile e stato. A differenza della

polis greca, dove l’individuo non conosceva distinzione tra ego pubblico ed ego

privato, tra sfera individuale e sfera sociale, ma si trovava in “un’unità

sostanziale” con la comunità di cui faceva parte, nello stato moderno egli è invece

costretto a vivere due vite: una in terra come “borghese”, nell’ambito cioè

dell’egoismo e degli interessi particolari della società civile, e l’altra in “cielo”

come “cittadino”, ovvero nella sfera superiore dello stato e dell’interesse comune.

Tuttavia il “cielo” dello Stato è puramente illusorio, poiché la sua pretesa di porsi

come organo universale che media gli interessi particolari della società è

verificabilmente falsa. Lo Stato, lontano dal perseguire mete generali, non fa

invece altro, secondo Marx, che riflettere gli interessi particolari dei gruppi e

delle classi più forti. La civiltà moderna si presenta, come rappresentante di una

società dell’egoismo e delle particolarità “reali” e al tempo stesso, della

fratellanza e delle universalità “illusorie”. La falsa universalità dello stato

moderno dipende dal tipo di società che si è formata nel mondo moderno. I suoi

tratti essenziali sono da scorgere nell’ “individualismo” e nell’ “atomismo”, ossia

nella “separazione” del singolo dal tessuto comunitario.

19

Page 19: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

Il tema dell’alienazione, fondamentale in Marx, echeggia in tutta la sua

importanza nei Manoscritti economico-filosofici, composti a Parigi nel 1844, ma

dati alle stampe soltanto molto tempo dopo, nel 1932. Quest’opera segna il

primo decisivo approccio del filosofo tedesco all’economia politica, con

l’applicazione degli schemi critico-dialettici che adesso mirano al campo più

strettamente economico.

Nella sua critica all’economia classica, sviluppata nei Manoscritti, Marx

sottolinea come questa sia incapace di cogliere la contraddizione che

caratterizza il sistema capitalistico della società moderna, ovvero l’opposizione

reale tra capitale e lavoro salariato. L’impossibilità di pensare in maniera

“dialettica” il mondo borghese, da parte dell’economia politica, impediva di

mettere in luce queste contraddizioni e di celare in tal modo l’alienazione che

esiste tra l’operaio e il suo lavoro e la sua produzione, concetto fondamentale e

specchio della conflittualità insita nel mondo capitalistico - borghese.

Come abbiamo visto, la tematica dell’alienazione affonda le sue radici nella

filosofia tedesca precedente. Marx si rifà in questo senso soprattutto a Feuerbach,

da cui accetta la struttura formale del meccanismo dell’alienazione, intesa

appunto come una condizione patologica di “scissione”, di “dipendenza”, di

“autoestraniazione”. Ma, a differenza di Feuerbach, per il quale l’alienazione è un

fatto ancora puramente coscienziale, derivante da una errata interpretazione di

sé, in Marx essa diviene un fatto reale, di natura socio-economica, in quanto si

identifica con la condizione storica del salariato nell’ambito della società

capitalistica.

20

Page 20: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

L’alienazione, quindi, è una caratteristica strettamente connessa al lavoro

nella società industriale moderna. Essa assume i caratteri del “diventare altro”,

del “cedere agli altri ciò che è proprio”. Nella produzione capitalistica

l’alienazione dell’operaio va ad assumere dei caratteri che Marx individua in

quattro tipi fondamentali. “L’operaio”, scrive Marx “diviene tanto più povero

quanto maggiore è la ricchezza che egli produce”18 , è alienato quindi rispetto al

prodotto della sua attività, in quanto, in virtù della sua forza-lavoro, produce un

oggetto che non gli appartiene e che “diviene di fronte a lui una potenza a sé

stante”19. La sua stessa attività è sinonimo di alienazione, in quanto lo vede

strumento di fini estranei, che coincidono con il profitto del capitalista, con la

grave conseguenza che l’uomo si sente “bestia” quando dovrebbe sentirsi

veramente “uomo”, cioè nel lavoro sociale. Il corollario che ne deriva è

l’alienazione del lavoratore rispetto al suo stesso Wesen, ossia la sua “essenza” o

“genere”: all’interno della società capitalistica il lavoratore è costretto a un lavoro

forzato, ripetitivo, unilaterale, a discapito di quello libero, creativo e universale

(in quanto egli “sa produrre secondo la misura di ogni specie”) che ne costituisce

la sua prerogativa “essenziale” che lo distanzia dagli animali20. Un’alienazione,

una separazione, dunque, che tocca il suo ultimo grado nella distanza che

caratterizza il proletario dallo suo stesso prossimo, poiché l’“altro”, per lui, è

soprattutto il capitalista, un individuo che lo tratta come uno strumento, un

mezzo, espropriandolo del frutto della sua fatica, facendo sì che il suo rapporto

con lui e con l’umanità in genere sia per forza conflittuale.

18 K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, Einaudi, 1968; Einaudi, 2004, p.72.19 Ivi, p. 72.20 Ivi, p. 75.

21

Page 21: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

Alla luce di tali caratteristiche, non è complicato intuire che, a parere di

Marx, la causa del meccanismo globale dell’alienazione risieda nella proprietà

privata dei mezzi di produzione, in forza della quale il proprietario della fabbrica

(il capitalista) può utilizzare il lavoro di una certa categoria di individui (i

salariati) per accrescere la propria ricchezza, secondo una dinamica che Marx,

nel Capitale, descriverà in termini di “sfruttamento” e “logica del profitto”.

È quindi la proprietà privata il fulcro di ogni tipologia di alienazione che

investe l’uomo nella società capitalistica. Essa frantuma quell’unità organica

dell’umanità che si realizza nell’attività e nei rapporti sociali, dando invece luogo

a una separazione dell’uomo dalle sue attività e dai prodotti di esse.

In una società basata sulla proprietà privata, vittima dell’alienazione, Marx

individua nel denaro il potere alienato dell’umanità: “quello che non posso come

uomo e quindi quello che le mie forze individuali non possono, lo posso mediante

il denaro. Dunque il denaro fa di ognuna di queste forze essenziali qualcosa che

essa in sé non è, cioè ne fa il suo contrario”21. Il denaro, nella società capitalistica,

caratterizzata da un’immensa accumulazione di merci, si presenta come ciò che

traduce tutti i desideri in realtà, trasformando ciò che è rappresentato in ciò che

è reale, rendendo, al contrario, ciò che è ascrivibile alla realtà in

rappresentazione. Echeggia in queste ultime parole l’affermazione di Debord

che, parlando dello spettacolo, lo definisce come l’ultimo e più compiuto sintomo

di una rappresentazione che ingloba tutto ciò che prima era direttamente vissuto

(SdS ¶ 1). Ed è innegabile da questo punto di vista la straordinaria influenza

21 Ivi, p. 154.

22

Page 22: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

filosofica che Marx e il concetto di alienazione, da lui condotta sul piano reale ed

economico-politico, abbia avuto sul filosofo francese.

Il denaro è il simbolo dell’estraneazione ora divenuta economica,

“l’universale confusione e inversione di tutte le cose”22, il rovesciamento

dell’individualità. Infatti, senza la sua necessità sociale, l’uomo sarebbe

considerato come uomo, e il suo rapporto con il mondo, nient’altro che un

genuino rapporto umano in cui “potrai scambiare amore con amore, fiducia con

fiducia. […] Ognuno dei tuoi rapporti con l'uomo e la natura dev'essere una

manifestazione determinata e corrispondente all'oggetto della tua volontà, della

tua vita individuale nella sua realtà”23. Il denaro si presenta come il sintomo più

evidente del fatto che le attività dell’uomo non hanno uno scopo in sé, ma

servono esclusivamente a fargli raggiungere il prodotto che egli stesso ha creato

nella società industriale e che, pur dovendo essere un mezzo, si presenta come un

fine.

Il percorso dell’alienazione, snodatosi principalmente nelle coordinate

filosofiche di Feuerbach e Marx, ha raggiunto un grado di sempre maggiore

astrazione. In tutte le sue forme, infatti, l’uomo singolo e concreto ha valore solo

in quanto partecipa dell’astratto, cioè, in quanto possiede denaro, egli è cittadino

dello Stato, è uomo davanti a Dio, è un “sé” in senso filosofico.

Lo spettacolo, teorizzato da Debord, è il destinatario ultimo, lo sviluppo

più estremo di questa tendenza all’astrazione. Suonano in maniera chiara le

parole della sua opera, che dicono dello spettacolo che il suo “modo d’essere

concreto è precisamente l’astrazione” (SdS ¶ 29). Lo spettacolo si fa condottiero

22 Ivi, p. 155.23 Ivi, p. 156-157.

23

Page 23: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

della svalorizzazione della vita che ha raggiunto i suoi massimi livelli,

coinvolgendo ogni aspetto dell’esistenza; e le astrazioni ipostatizzate non si

presentano neanche più come cose, ma sono diventate ancora più astratte,

essendo divenute immagini. Trascinando con sé tutte le vecchie alienazioni, la

scissione dello spettacolo le incorpora in sé: oltre a essere “la ricostruzione

materiale della religione” (SdS ¶ 20), essa è anche “inseparabile dallo Stato

moderno, prodotto della divisione del lavoro sociale e organo del dominio di

classe” (SdS ¶ 24), e “il denaro che si guarda soltanto” (SdS ¶ 49), l’equivalente

astratto, come vedremo, di tutte le merci.

24

Page 24: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

II. DEBORD E MARX

2.1 La merce e lo spettacolo

Il vero punto di svolta nell’itinerario della concezione di alienazione -

intesa come astrazione - si ha negli scritti di critica dell’economia politica del

Marx maturo, in cui viene rivelata anche l’origine storica del processo di

astrazione. Nel primo capitolo del primo libro del Capitale, Marx analizza la

forma della merce e la pone come nucleo di tutta la produzione capitalistica,

dimostrando come il processo di astrazione sia il cuore stesso dell’economia

moderna, invece di mostrarsi come uno dei diversi risvolti spiacevoli. Inoltre,

l’aspetto importante da tenere presente è che in quest’analisi della forma merce,

Marx non parla ancora né del plusvalore, né della vendita della forza-lavoro, né

del capitale. Le forme più sviluppate dell’economia capitalistica derivano tutte da

questa struttura originaria della merce, la cosiddetta “forma di cellula”,

corrispondente alla “cellula del corpo”, e dalla contrapposizione tra concreto e

astratto, produzione e consumo, tra quantità e qualità, tra il rapporto sociale e la

cosa che questo produce.

Nel Capitale, come è noto, Marx sottolinea il duplice carattere della merce,

distinguendo tra “valore d’uso” e “valore di scambio”. La merce deve possedere

innanzitutto un valore d’uso (“l’utilità di una cosa fa che essa abbia un valore

d’uso”24), cioè una sua utilità, che si realizza nel consumo. Tuttavia, per essere

veramente tale, la merce deve possedere anche un valore che determina la

relazione in cui viene scambiata con altre merci (“esse sono merci soltanto

24 K. Marx, Il Capitale, tr. it. Roma, Newton Compton, 2005, vol. I, p. 54.

25

Page 25: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

perché son qualcosa di duplice: oggetti d’uso e contemporaneamente depositari

di valore”25), il cosiddetto valore di scambio. La qualità concreta di ogni merce è

necessariamente diversa da quella di tutte le altre, che su questo piano risultano

tra loro incommensurabili. Tutte, però, hanno una sostanza comune, che

permette di scambiarle, in quanto rappresentano delle diversa quantità. Sulla

scia dell’equazione tra valore e lavoro, Marx individua “la sostanza del valore”

nella quantità di tempo di lavoro astratto che occorre per produrre la merce26. In

quanto valore, dunque, la merce non ha nessuna qualità specifica, ma ha il suo

criterio di differenza soltanto seguendo un punto di vista, un movimento

quantitativo. In questo modo, però, il valore del prodotto non è costituito dal

lavoro concreto di chi l’ha creato, ma da una mera quantità di lavoro indistinto,

astratto, con la perdita del carattere qualitativo dei diversi lavori che producono

prodotti diversi. Il valore della merce è la cristallizzazione del lavoro umano

indistinto, inteso come un “dispendio di cervello, muscoli, mani ecc.”, la cui unica

misura è il tempo speso. Nella formula apparentemente banalissima di “venti

metri di tela valgono quanto cinque chili di tè” Marx individua la forma più

generale di tutta la produzione capitalista: il lavoro astratto, che ingloba due cose

concrete e ha come forma finale il denaro.

Il fatto però che una merce debba avere comunque un valore d’uso e

soddisfare quindi un’esigenza, porta il suo valore a presentarsi necessariamente

sotto le spoglie di un valore d’uso che nel processo di scambio conta solo come

“portatore” del valore di scambio. In altre parole, all’utilità di una merce si

giunge soltanto attraverso la trasformazione di questa in valore di scambio, con

25 Ivi, vol. I, p. 55.26 Ivi, vol. I, p.56.

26

Page 26: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

la mediazione del denaro. Il valore d’uso deve diventare “forma fenomenica del

suo contrario, del valore”. È facile notare come questo processo porti a un

passaggio per il quale il concreto diventa predicato dell’astratto. Un’operazione

che, secondo Marx, non è intesa più in senso antropologico, ma come

conseguenza di un determinato fenomeno storico. La capacità di una merce di

essere venduta e di trasformarsi in qualche altra merce, a discapito della sua

utilità, è un fenomeno tipico dell’economia dell’epoca moderna. La

subordinazione della qualità alla quantità e del concreto all’astratto è insita nella

struttura e nella società della merce, dove il lavoro concreto diventa sociale, utile

per gli altri solo spogliandosi delle qualità proprie e diventando valore di

scambio.

Così non era nella società medioevale, o nelle comunità umane come i

villaggi, dove si produceva soltanto ciò che era destinato all’uso, al bisogno, in

uno scambio occasionale e limitato solo alle eccedenze. In quest’ambito, Marx

sostiene che il legame sociale viene prodotto insieme con la produzione

materiale. Soltanto quando viene superata una certa soglia nello sviluppo e nel

volume degli scambi, la produzione si dirige allora essenzialmente alla creazione

di valore di scambio. Quindi, il valore d’uso del proprio prodotto sta allora nel

suo valore di scambio, tramite cui si accede agli altri valori d’uso. Il lavoro stesso

entra nel giogo della mercificazione, come forza lavoro da vendere. Al concreto si

accede allora soltanto tramite la mediazione dell’astratto, cioè del valore di

scambio, del denaro.

In una società come quella moderna, in cui singoli agiscono in una

produzione isolati e animati soltanto dai propri interessi, il legame sociale si può

27

Page 27: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

stabilire soltanto a posteriori tramite lo scambio delle loro merci. Il loro essere

concreto, la loro soggettività, deve alienarsi alla mediazione del lavoro astratto

che cancella tutte le differenze. Ciò vuol dire che le caratteristiche della merce,

nell’ambito della produzione capitalistica, si estendono all’insieme della

produzione materiale, e soprattutto, dei rapporti sociali. Gli uomini si scambiano

unità di lavoro astratto, che si oggettivano in valori di scambio che possono poi

ritrasformarsi in valori d’uso. Ne deriva soprattutto un grande svantaggio: la

produzione non viene regolata dagli uomini secondo i loro bisogni, ma vi è

un’istanza anonima, il mercato, che regola la produzione post festum27. L’uomo

non è più il soggetto, ma lo è il valore, in quanto “soggetto automatico”.

Il fatto che il valore si presenti sempre sotto le sembianze di un valore

d’uso, rimandando cioè a una concretezza, fa nascere l’illusione che siano le

qualità concrete di un prodotto a decidere del suo destino. Questo è il famoso

“carattere di feticcio della merce e il suo arcano”28, che - attraverso un efficace

paragone con l’ illusione religiosa - porta Marx a sottolineare come i prodotti

della fantasia umana siano animati di vita propria. In una società in cui vi è

incontro, da parte degli individui, soltanto nello scambio, la trasformazione dei

prodotti e delle relazioni che ne presiedono, in qualcosa di “apparentemente

naturale”, comporta che tutta la vita sociale si riveli indipendente dalla volontà

umana, presentandosi come un’entità apparentemente autonoma che segue solo

le proprie leggi. Le relazioni sociali non solo appaiono, ma sono “rapporti di cose

fra persone e rapporti sociali fra cose”29.

27 Ivi, vol I, p. 79.28 Ivi, vol. I, p. 76.29 Ivi, vol. I, p. 77.

28

Page 28: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

Ne La Società dello Spettacolo, l’”immagine” e lo “spettacolo” di cui Debord

parla, sono da intendere come un ulteriore sviluppo della forma merce. Con essa

hanno in comune la caratteristica di ridurre la molteplicità del reale ad un’unica

forma astratta ed uguale. La prima frase dell’opera di Debord, infatti suona:

“Tutta la vita della società nelle quali predominano le condizioni moderne di

produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli” (Sds ¶ 1),

che è chiaramente un détournement della prima frase dal Capitale: “Tutta la vita

delle società moderne nelle quali predominano le condizioni moderne di

produzione si presenta come un’immensa accumulazione di merci”30.

Infatti, nel secondo capitolo della sua opera, Debord analizza il processo

per il quale lo spettacolo si dimostra il destinatario ultimo delle conseguenze

della vittoria della merce all’interno del modo di produzione, ponendosi come

l’espressione del trionfo della categoria dell’economia in quanto tale all’interno

della società.

Secondo il filosofo francese, il principio del “feticismo della merce” -

introdotto da Marx - trova il suo compimento assoluto proprio nello spettacolo.

Ciò è una conseguenza della vittoria della merce all’interno del modo di

produzione, di cui lo spettacolo ne è il risultato e il progetto, “l’affermazione

onnipresente della scelta già fatta nella produzione e il suo consumo

conseguente” (SdS ¶ 6). La classe che ha instaurato lo spettacolo, la borghesia,

deve il suo dominio al trionfo dell’economia e delle sue leggi su tutti gli aspetti

della vita, secondo un processo che segue uno sviluppo quantitativo, così come la

30 Ivi, vol. I, p. 53.

29

Page 29: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

merce aveva dimostrato di essere. La sua categoria, come sottolinea lo stesso

Debord, è il quantitativo, ciò in cui si sviluppa e può svilupparsi.

Lo spettacolo è l’espressione di questo processo, arrivato al suo

compimento: quello che fa vedere non è altro che il mondo della merce che si

pone su tutto ciò che è vissuto. Si afferma così il dominio della società mediante

“delle cose sensibilmente sovrasensibili”, dove il mondo sensibile viene

sostituito, con il movimento dello spettacolo, “da una selezione di immagini che

esiste ormai al di sopra di esso, e che nello stesso tempo diviene il sensibile per

eccellenza” (SdS ¶ 36). Con il suo carattere “fondamentalmente tautologico”

(SdS ¶ 13), lo spettacolo mira solo a riprodurre le proprie condizioni di esistenza,

interprete di una produzione economica che si è ormai trasformata da mezzo in

fine, rendendosi indipendente, dominando su ogni attività umana complessiva.

Ciò è avvenuto a causa del dispiegamento incessante che l’economia nella

forma della merce ha avuto nel corso della sua storia, modificando le condizioni

di esistenza dei gruppi umani. Infatti, se il progresso nella produzione di merci

ha risolto da una parte il problema della sopravvivenza immediata, liberando la

società dalla pressione della natura, dall’altra la questione della sopravvivenza in

senso lato si ripropone di nuovo e a un livello superiore, generando un surplus.

Questa eccedenza è data proprio dall’abbondanza della merce, che non cessa di

contenere la privazione, un richiamo al desiderio equipaggiato materialmente.

Con la rivoluzione industriale, la divisione manifatturiera del lavoro e la

massiccia produzione per il mercato mondiale, la merce appare, per Debord,

come una potenza che viene ad occupare realmente la vita sociale. Non solo il

lavoro, “trasfigurato in lavoro-merce, in salariato” (SdS ¶ 40), ma anche altre

30

Page 30: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

attività umane, come il cosiddetto “tempo libero” sono organizzate in modo da

giustificare e perpetuare il modo di produzione regnante. In particolare,

assistiamo al rovesciamento della posizione del proletario rispetto alla fase

primitiva dell’accumulazione capitalistica: se in precedenza era considerato

soltanto come l’operaio che doveva ricevere il minimo indispensabile per la

conservazione della sua forza-lavoro, ora la classe dominante prende in

considerazione anche “i suoi svaghi, la sua umanità” (SdS ¶ 43), in forza di quel

grado di abbondanza raggiunto dalla produzione di merci. Improvvisamente

“lavato dal disprezzo totale”(SdS ¶ 43) l’operaio si ritrova ad essere trattato con

cortesia, assumendo le vesti del consumatore. E il consumo, da materiale,

primario, diventa sempre più immateriale, trovando la sua manifestazione

generale nello spettacolo, dove “il consumatore reale diviene consumatore di

illusioni” (SdS ¶ 47) . A questo punto della “seconda rivoluzione industriale”,

l’alienazione data dal consumo è un supplementare che si affianca a quello della

produzione alienata. Abbandonata la dimensione materiale, anche il lavoro,

smentendo la sua etimologia che implica sofferenza e fatica, diventa sempre più

consumo, ma anche contemplazione di quel mondo della merce divenuto

visibile31. La prova è data dal fatto che il tempo di lavoro socialmente necessario è

sempre più sostituito dal “tempo del consumo di immagini, medium di tutte le

merci” (SdS ¶ 153).

In questo senso, nella realtà rovesciata dello spettacolo, Debord individua

il modello vincente in quello che garantisce una scelta abbondante tra le varie

merci. Ciascuna di queste merci promette l’accesso a quella “soddisfazione, già

31 C. Freccero D. Strumia (a cura di), Introduzione alla Società dello spettacolo, in G. Debord, La Società dello spettacolo, Milano, Baldini Castoldi, Dalai, 1997, p. 24.

31

Page 31: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

problematica, che si presume derivare dal consumo dell’insieme” (SdS ¶ 65) e nel

momento inevitabile della delusione è già pronta una merce che fa lo stesso

annuncio. Nella lotta tra vari oggetti, lotta in cui l’uomo è solo spettatore, la

singola merce si può logorare; lo spettacolo nel suo complesso si rafforza. Nel

mondo dello spettacolo, il valore di scambio ha finito per dirigere l’uso: il distacco

della merce da ogni autentico bisogno umano raggiunge un livello addirittura

pseudo-religioso con gli oggetti manifestamente inutili: Debord cita il

collezionismo di portachiavi pubblicitari, definendolo “l’accumulazione di

indulgenze della merce” (SdS ¶ 67). Ciò dimostra, secondo Debord, che la merce

possa a fare a meno del suo “nucleo” di valore d’uso - considerato necessario da

Marx - e che essa venga ormai consumata in quanto merce. Il valore di scambio

diviene quindi “il condottiero” del valore d’uso, secondo una delle espressioni più

significative de La Società dello Spettacolo. E se Marx ha parlato della legge della

caduta tendenziale del saggio del profitto, Debord parla di un abbassamento

tendenziale del valore d’uso come “costante dell’economia capitalista” (SdS ¶ 47),

cioè della subordinazione sempre più pronunciata di qualsiasi uso, anche del più

banale, alle esigenze dello sviluppo dell’economia.

A differenza di quanto sosteneva la teoria marxiana riguardo al denaro,

che, superando una soglia qualitativa, si trasformava in capitale, Debord sostiene

che l’accumulazione del capitale raggiunge un punto in cui diventa immagine

(SdS ¶ 34). Lo spettacolo infatti è l’equivalente non solo dei beni, come lo è il

denaro, ma di ogni attività possibile, rappresentante dell’equivalenza “di ciò che

l’insieme della società può essere e fare” (SdS ¶ 49), appunto perché essa è

diventata totalmente merce. Il carattere fondamentalmente tautologico dello

32

Page 32: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

spettacolo riflette quello autoreferenziale del lavoro astratto, che mira a

produrre una massa di lavoro morto oggettivato, trattando la produzione di

valori d’uso come mero mezzo a questo scopo. Lo spettacolo, in ultima analisi,

viene concepito da Debord come la visualizzazione del legame astratto che lo

scambio istituisce tra gli uomini, così come il denaro ne è la materializzazione.

Non si tratta di un insieme di immagini ma di “un rapporto sociale fra individui,

mediato dalle immagini” (SdS ¶ 4).

2.2 Il feticismo della merce e la critica del valore: il contributo di

Debord

Il concetto di “feticismo della merce” non ha goduto di molta fortuna nella

discussione marxista. Nelle poche volte in cui se n’è parlato, è stato sempre

trattato come un fenomeno appartenente alla sola sfera della coscienza, cioè

come una falsa rappresentazione della “vera” situazione economica.

Probabilmente, la sua rimozione dalla centralità del dibattito marxista è stata

determinata dal fatto che “il feticismo della merce” e dei suoi derivati – denaro,

capitale, interesse – occupano quantitativamente uno spazio molto ristretto

nell’opera di Marx, e non si può dire che egli stesso l’abbia messo come cardine

della sua teoria. Oltre questo aspetto, ve n’è uno più importante. Il concetto di

“feticismo” vuol significare – piuttosto - che l’intera vita umana è subordinata alle

leggi che risultano dalla natura del valore, e prima di tutte quella del suo continuo

bisogno di accrescersi. Il lavoro astratto, rappresentato nella merce, è totalmente

indifferente ai suoi effetti sul piano dell’uso. Il suo obiettivo è quello di produrre

alla fine del suo ciclo una quantità più grande di valore – sotto forma di denaro –

33

Page 33: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

di quanto vi fosse all’inizio32. Questo significa che già nella doppia natura della

merce è contenuta la caratteristica del capitalismo di essere necessariamente un

sistema di crisi permanente.

Come sottolinea lo studioso Anselm Jappe, il valore, lungi dall’essere -

come credevano i marxisti del movimento operaio - un dato “neutrale” che

diventa problematico solo quando porta all’estorsione di “plusvalore”, conduce

invece in maniera inevitabile a una collisione tra ragione “economica” (creazione

di sempre più valore, al di là del contenuto concreto) ed esigenze umane33.

Si comprenderà che il valore non è una categoria “economica”, ma una

forma sociale totale che determina essa stessa la scissione della vita sociale in

diversi settori. L’”economia” non è dunque, come la terminologia di Debord può

far pensare, un settore che subordina gli altri ambiti della società, ma è essa

stessa costituita dal valore.

Nella sua critica del valore, Marx ha messo a nudo “la forma pura” della

società della merce, dando vita a quella che a suo tempo era soltanto una

coraggiosa anticipazione, mentre è soltanto oggi che può cogliere effettivamente

la realtà sociale. Marx stesso non era consapevole - e tanto meno i suoi

successori marxisti - del contrasto tra la critica del valore e il contenuto della

maggior parte della sua opera, quella in cui esamina le forme empiriche della

società capitalista della sua epoca. Egli non poteva sapere quanto questa fosse

ancora piena di elementi precapitalistici, di modo che le sue forme erano ancora

lontane o opposte a ciò che sarebbe derivato dal trionfo della struttura della

32 Secondo la nota formula tautologica di produzione del valore: D (denaro) – M (merce) – D’ (più denaro) descritta ne Il Capitale.33 A. Jappe, Guy Debord, Roma, Manifesto Libri, 1999, p. 25.

34

Page 34: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

forma-merce. Per questo motivo, Marx considera come tratti essenziali del

capitalismo degli elementi che in verità erano dovuti alla sua forma ancora

imperfetta, quale la creazione di una classe necessariamente esclusa dalla società

borghese e dai suoi “benefici”. Il marxismo del movimento operaio ha tenuto in

considerazione solo questaAbb parte della teoria di Marx, pur avendo ragione nel

richiamarsi ad essa, perché questa corrispondeva effettivamente alla fase

ascendente del capitalismo, quando si trattava ancora di imporre le forme

capitalistiche contro quelle preborghesi.

Negli anni settanta si è assistito invece a una crisi che non è determinata

da elementi di imperfezione presenti nel sistema della merce, bensì dalla sua

totale vittoria. Viene allora alla luce la sua contraddizione di base derivante dalla

struttura della merce.

In quest’ottica si inserisce il contributo di Debord e il particolare più

attuale del suo pensiero. Egli è stato probabilmente tra i primi a interpretare la

situazione odierna alla luce di una critica marxiana del valore; mentre i suoi lati

più deboli e le sue contraddizioni si trovano là dove è rimasto troppo attaccato al

marxismo del movimento operaio. Debord si trovava in un certo senso in una

posizione intermedia: ultimo rappresentante di un filone di critica sociale, e

primo interprete del suo nuovo stadio.

Due sono le conseguenze che Debord ha saputo cogliere con molto

anticipo dalla critica del feticismo. In primo luogo, lo sfruttamento economico

non è l’unico male nel capitalismo, dato che quest’ultimo è necessariamente la

negazione della vita stessa in tutte le sue manifestazioni concrete. Di

conseguenza, e qui veniamo al secondo punto, nessuna delle varianti all’interno

35

Page 35: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

dell’economia basata sulla merce può operare un cambiamento decisivo.

Sarebbe vano aspettarsi una soluzione positiva dallo sviluppo dell’economia,

poiché l’alienazione e lo spossessamento sono il nucleo stesso dell’economia

mercantile, che non potrebbe funzionare diversamente, con il risultato che i

progressi di quest’ultima sono necessariamente i progressi di quelli. Ciò

costituiva un’autentica riscoperta, considerando che tanto la scienza borghese

quanto il “marxismo” non facevano della “critica dell’economia politica”, ma della

semplice economia politica in cui consideravano il lavoro soltanto dal suo lato

astratto e quantitativo, senza vederne la contraddizione con il suo lato concreto.

Questo “marxismo” aveva considerato la subordinazione della vita alle esigenze

economiche come un fatto puramente ontologico, interiorizzandolo,

considerandolo come un dato naturale di cui si poteva discutere il più o il meno e

soprattutto il “per chi”, la cui messa in evidenza e la contestazione dell’esistenza

in sé sembravano addirittura un fatto rivoluzionario.

36

Page 36: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

III. DEBORD E LUKACS

3.1 Il confronto con Storia e coscienza di classe

Il pensiero di Marx, come abbiamo visto, rappresenta una constatazione

della riduzione di tutta la vita umana al valore, cioè all’economia e alle sue leggi.

Tuttavia, per molti decenni, ogni analisi del feticismo è stata inglobata

nella più vasta categoria di alienazione, intendendolo come un fenomeno della

coscienza, una falsa opinione o valutazione delle cose in qualche modo

collegabile alla tanto discussa “ideologia”34. Generazioni di avversari e sostenitori

di Marx hanno inteso questa constatazione come un’ apologia di tale riduzione.

Il ritorno del concetto di “feticismo della merce”, a partire dagli anni

cinquanta non dovrebbe far dimenticare la vita difficile che esso ha avuto tra i

“marxisti”. Dalla morte di Marx fino agli anni venti cade in un oblio totale:

l’ultimo Engels, Rosa Luxemburg, Lenin e Kautsky non ne fanno mai menzione.

La condanna del capitalismo è per loro determinata dalla crescente

pauperizzazione, dalle difficoltà di accumulazione o dalla caduta del saggio di

profiitto.

Sarà Gyorgy Lukacs, con la sua opera Storia e coscienza di classe,

pubblicata nel 192335, a riprendere in termini seri il concetto di “feticismo”, a cui

si affianca un punto di vista interpretativo del pensiero di Marx molto simile a

quello che avrebbe avuto Debord. Lukacs ritiene che ciò che distingue in maniera

decisiva il marxismo dalla scienza borghese non sia il predominio delle

34 A. Jappe, “Le sottigliezze metafisiche della merce”, Ágalma, n° 1, Giugno 2000.35 Bisognerebbe ricordare anche un testo allora passato quasi inosservato, pubblicato nel 1924 in Unione Sovietica, che ha ugualmente ripreso questa tematica: I.I. Rubin, Saggi sulla teoria del valore, tr. it. Milano, Feltrinelli, 1976.

37

Page 37: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

motivazioni economiche nella spiegazione della storia, ma il punto di vista della

totalità36: una lettura molto simile a quella del filosofo francese, che, come si è

visto, concepiva la sfera economica come opposta alla totalità della vita.

Le vicende di Storia e coscienza di classe seguono un percorso tortuoso e

avvincente: la pubblicazione del libro desta scalpore, al punto da essere

condannato l’anno seguente dalla Terza Internazionale. Pochi anni dopo, lo

stesso Lukacs prende le distanze dalla sua opera, e questa diventa tanto

leggendaria quanto introvabile, di modo che solo pochi hanno l’occasione di

subirne l’influenza. Con la fine ufficiale dello stalinismo e la conseguente ricerca

di un “marxismo” diverso, alcuni capitoli del “libro maledetto del marxismo”

vengono pubblicati nel 1957 e 1958 sulla rivista francese Arguments.

Successivamente, nel 1960, esce la traduzione francese integrale, contro la

volontà di Lukacs, che, non potendo più impedire la riscoperta del suo testo,

acconsente nel 1967 a una riedizione tedesca.

Negli anni sessanta Storia e coscienza di classe diviene un vero e proprio

libro di culto, esercitando un notevole influsso su Debord. Qui, infatti, si trova il

nucleo della direzione in cui egli sviluppa gli spunti marxiani. Debord sottolinea

poco questa filiazione: le citazioni da Lukacs si limitano a due frasi, poste come

epigrafe del secondo capitolo de La Società dello Spettacolo, mentre tra le teorie

ricordate esplicitamente vi è quella che concepisce il partito come “la mediazione

finalmente trovata tra la teoria e la pratica” dove i proletari cessano di essere

“spettatori”; e Debord afferma che così Lukacs descrisse “tutto ciò che il partito

bolscevico non era” (SdS ¶ 112).

36 G. Lukacs, Storia e coscienza di classe, tr.it. Milano, SugarCo, 1967, p. 35.

38

Page 38: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

Inoltre, Lukacs viene citato anche sulle pagine della rivista Internationale

Situationniste, una sola volta, ma in maniera significativa: “Il dominio della

categoria della totalità è il portatore del principio rivoluzionario della scienza”37.

La categoria della totalità si rivela centrale tanto in Lukacs quanto in Debord.

Lo spettacolo, nella concezione di Debord, è allo stesso tempo economico e

ideologico, un modo di produzione e un tipo di vita quotidiana. Per i situazionisti,

quindi, è necessario portare avanti un giudizio di tipo globale che non si faccia

catturare soltanto da alcune delle diverse opzioni che apparentemente esistono

all’interno dello spettacolo; essi rifiutano perciò ogni cambiamento parziale. Per

questo motivo, ne La Società dello Spettacolo, Debord scrive che il grado di

alienazione degli operai ha raggiunto un punto tale che essi sono posti

“nell’alternativa di rifiutare la totalità della loro miseria, o niente” (SdS ¶ 112).

I vari aspetti in cui si presenta lo spettacolo (tendenze politiche diverse,

stili di vita e concezioni artistiche contrapposte) stimolano gli spettatori a

scegliere e a esprimere giudizi tra le alternative a disposizione, affinchè non

venga mai posto in dubbio l’insieme. I situazionisti, invece, sottolineano il loro

rifiuto in blocco delle condizioni esistenti, facendone un principio

epistemologico: “La comprensione di questo mondo non può fondarsi che sulla

contestazione. E questa contestazione possiede verità e realismo solo come

contestazione della totalità”38. Quest’affermazione è senza dubbio ripresa dalle

teorie di Lukacs, per il quale il pensiero borghese, più riesce a comprendere i

singoli “fatti” della vita sociale, meno è capace di afferrarne la totalità, con una

conseguente frantumazione dell’attività sociale e una parcellizzazione crescente

37 Internationale Situattioniste, n° 4, p. 31, Torino, Nautilus, 1994.38 Ivi, n° 7, pp. 9-10.

39

Page 39: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

del lavoro. Un difetto, quest’ultimo, non solo della scienza borghese, ma anche di

un certo “marxismo volgare” tipico della Seconda Internazionale, che si fa

ingannare dalle apparenti contraddizioni tra sfera economica e sfera politica. A

detta di Lukacs, solo il marxismo autentico - con un metodo esplicitamente di

derivazione hegeliana - riconosce in tutti i fatti isolati dei momenti di un processo

complessivo e totale.

La scienza borghese, che prende per vero l’apparente autonomia delle

“cose” e dei “fatti” - studiandone le leggi -, rimane invischiata in quel feticismo

della merce che la vera critica deve dissolvere. Risulta evidente allora, perché,

secondo Storia e coscienza di classe il capitolo del Capitale sul “carattere feticcio

della merce cela in sé tutto il materialismo storico”39: un’affermazione inaudita

nel 1923. Questo effetto del feticismo, che trasforma i processi in cose, viene

chiamato da Lukacs “reificazione”.

Individuando nella struttura della merce la questione a cui deve essere

rimandato ogni problema relativo a questo grado di sviluppo dell’umanità,

Lukacs “presuppone” l’analisi che ne ha fatto Marx, mentre il suo contributo sta

nel considerare la merce come “la categoria universale dell’essere sociale

totale”40 . Il passaggio della merce da scambi occasionali alla sua produzione

sistematica non era soltanto di carattere quantitativo, come avevano creduto gli

economisti borghesi. Si trattava di un passaggio qualitativo, in cui la merce da

mediazione dei processi produttivi si trasformava in elemento centrale.

La grande novità di Lukacs sta nell’aver accentuato il carattere

“contemplativo” del capitalismo, in cui la funzione dell’individuo si riduce a

39 G. Lukacs, Storia e coscienza di classe, tr.it. Milano, SugarCo, 1967, p. 224.40 Ivi, p. 111.

40

Page 40: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

quella di un ruolo passivo all’interno del calcolo produttivo, riconoscendo

soltanto un’infima parte del mondo come suo prodotto, mentre tutto il resto

rimane al di fuori dell’attività cosciente, nonostante tutto ciò non escluda una

qualche attività, anche frenetica e spossante.

Rispetto alle altre epoche, nel capitalismo sviluppato esiste tra le varie

classi sociali solamente una differenza di grado nella reificazione. Reificato non è

soltanto l’operaio, che deve vendere la sua forza-lavoro come una cosa, ma anche

l’imprenditore, che contempla l’andamento dell’economia e lo sviluppo della

tecnica, oppure il burocrate che nella vendita offre le sue capacità psichiche. Nel

capitalismo tutti si limitano a cogliere un vantaggio in un sistema che è già pronto

e “definito una volta per tutte”41. Una situazione per cui l’uomo diventa sempre

più spettatore dell’automovimento delle merci, il quale gli appare come una

“seconda natura”42.

La contemplazione è senza dubbio legata alla separazione, dato che il

soggetto può contemplare solo ciò che gli si oppone come separato da lui. Molto

più di Marx, Lukacs collega la reificazione con la divisione del lavoro, in cui è

pressoché impossibile produrre un legame sociale che veda gli uomini

incontrarsi nella loro individualità e concretezza.

Il filo comune che lega in modo specifico Debord e Lukacs è la netta

condanna di ogni forma di contemplazione, nella quale essi vedono

un’alienazione del soggetto. Identificando il soggetto con la sua attività, Debord

vede nella contemplazione il non-intervento, l’esatto contrario del vivere. Infatti,

41 Ivi, pp. 127-128.42 Ivi, p. 168.

41

Page 41: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

“non può esserci libertà al di fuori dell’attività, e nel quadro dello spettacolo ogni

attività è negata” (SdS ¶ 27).

La critica della natura contemplativa della società capitalista viene

ampliata da Lukacs con una dura messa in discussione della “dualità

contemplativa” tra soggetto e oggetto, in cui scorge l’errore fondamentale della

filosofia borghese. La filosofia precedente a Hegel, come già accennato,

considerava l’oggetto come entità a sé, separata e indipendente dall’attività del

soggetto. Solo la dialettica hegeliana ha scoperto come ambedue si risolvano nel

processo, poi identificato da Marx con il concreto processo storico che “sopprime

realmente l’autonomia già data e la rigidità delle cose”43. Lukacs sostiene che,

mentre la scienza non fa che cercare le leggi “che si realizzano nella realtà

oggettiva senza l’intervento del soggetto”, perpetuando la scissione tra soggetto e

oggetto, la lotta di classe invece ricostruirà l’unità di soggetto e oggetto,

ricomponendo l’uomo totale.

Nello spettacolo, la società frammentata viene illusoriamente ricomposta,

ed è questo il punto in cui Debord va oltre Storia e coscienza di classe. Si

confrontino, a questo proposito, due affermazioni, la prima di Lukacs: “La

meccanizzazione della produzione trasforma i lavoratori […] in atomi

astrattamente isolati che non si trovano più in una relazione reciproca, organica e

immediata, per via delle loro operazioni lavorative: la loro coesione è invece

mediata con crescente esclusività dalle leggi astratte del meccanismo nel quale

sono inseriti”44, la seconda invece di Debord: “Con la separazione generalizzata

del lavoratore e del suo prodotto, si perde ogni punto di vista unitario sull’attività

43 Ivi, p. 190.44 Ivi, p. 117.

42

Page 42: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

compiuta, come ogni comunicazione personale diretta fra i produttori[…] l’unità

e la comunicazione diventano attributo esclusivo della direzione del sistema”

(SdS ¶ 26). Qui le leggi “astratte” non sono più una mera mediazione, ma si sono

ricomposte in un sistema coerente. Di fronte alla denuncia della perdita di ogni

totalità di Lukacs, Debord afferma come anche in seguito la banalizzazione

continui a governare il mondo (SdS ¶ 59), ma ormai in maniera da presentarsi

come falsa ricostruzione della totalità, una dittatura totalitaria del frammento.

Un modo apparente di inglobare la totalità che è particolarmente evidente

nell’estensione della reificazione oltre la sfera del lavoro. Già il giovane Marx

aveva rimproverato all’economia politica di non vedere l’uomo, ma solo

l’operaio, e di interessarsene solo quando lavora. Lo spettacolo invece si prende

“cura” dell’uomo intero, riservandogli nella sfera del consumo e del tempo libero

quell’attenzione che gli viene negata nel lavoro come altrove (SdS ¶ 49). Perfino

la ribellione e il malcontento possono diventare ingranaggio del meccanismo

spettacolare (SdS ¶ 59).

Ricomporre la scissione è un processo che non può avvenire sul piano del

solo pensiero: l’attività supera in maniera unica la contemplazione e l’uomo può

conoscere solo quello che ha fatto. Il valore della teoria del proletariato sta

proprio nel fatto che è una “teoria della praxis”, che Lukacs sostiene debba

diventare una “teoria pratica che trasforma la realtà”45. L’Internazionale

Situazionista, allo stesso modo, sottolineava l’importanza fondamentale di una

partecipazione pratica, rimproverandone l’astensione a tutti quelli che si

dipingevano come detentori di verità più o meno esatte. Il giudizio di Debord, a

45 Ivi, p. 271.

43

Page 43: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

questo riguardo, è chiaro: “la teoria della prassi si conferma divenendo teoria

pratica” (SdS ¶ 90). L’unica possibile negazione dell’ordine esistente può essere

data soltanto dalla pratica rivoluzionaria.

3.2 La questione del soggetto-oggetto

La tesi filosofica di Storia e coscienza di classe è l’identificazione di

soggetto e oggetto, ossia l’esigenza che il soggetto non ammetta un oggetto

indipendente al di fuori di sé. Una concezione che Lukacs definirà idealista e che

lo porterà in seguito, come abbiamo visto, a rinnegare il suo testo. Questa

identificazione, secondo il filosofo, vuole abolire, insieme con l’alienazione, ogni

oggettività. Nella prefazione all’edizione del 1967, Lukacs spiegherà che tale

concetto accetta, senza accorgersene, l’identificazione hegeliana dei due termini

non tenendo conto della definizione marxiana di oggettivazione come “modo

naturale – positivo o negativo – di dominio umano nel mondo, mentre

l’estraneazione è un tipo particolare di oggettivazione che si realizza in

determinate circostanze storiche”46. Lavoro e linguaggio, ad esempio, sono

oggettivazioni, ma l’estraneazione nasce solo quando l’essenza dell’uomo si

oppone al suo essere. Con l’identificazione dei due concetti, Storia e coscienza di

classe ha involontariamente determinato l’estraneazione come una conditio

humana; Lukacs successivamente, vedrà in esso “un grossolano errore” che ha

contribuito in notevole misura al successo dell’opera.

Debord ha cercato di evitare quel grossolano e fondamentale errore e

ricorda che Marx si era liberato “dal percorso dello Spirito hegeliano che muove

46 Ivi, p. XL.

44

Page 44: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

incontro a se stesso nel tempo, la cui oggettivazione equivale alla sua

alienazione” (SdS ¶ 80). Debord, infatti, non vede l’oggettivazione come qualcosa

di necessariamente cattivo, anzi rivendica come propriamente umano il perdersi

del soggetto nelle mutevoli oggettivazioni apportate dal tempo e da cui torna

arricchito. Ben diversa è invece quell’alienazione in cui il soggetto si trova di

fronte a delle astrazioni ipostatizzate come un qualcosa di assolutamente altro:

Debord contrappone all’alienazione necessaria del tempo, individuata da Hegel,

un’ alienazione spaziale, quella per lui dominante, dove “la società che separa alla

radice il soggetto dall’attività che gli sottrae, lo separa innanzitutto dal suo

tempo” (SdS ¶ 161). Come già era stato per Lukacs, la spazializzazione del tempo

è uno dei modi fondamentali della reificazione. Pertanto, “all’inquieto divenire

della successione del tempo, che è un’alienazione necessaria” (SdS ¶ 170) si

oppone lo spazio, caratterizzato per il suo non-movimento. I situazionisti, in

effetti, hanno sottolineato in molte occasioni come il loro atteggiamento dovesse

identificarsi con il passaggio del tempo.

Debord deve presumere che la reificazione si infranga contro un soggetto

che nella sua essenza è irriducibile alla reificazione, portatore cioè di esigenze e

desideri diversi da quelli appartenenti a essa. Il sospetto che il soggetto possa

essere all’interno eroso dalle forze dell’alienazione sembra assente dalle pagine

sia di Storia e coscienza di classe, sia de La Società dello Spettacolo. Dalle parole di

Debord, notiamo come egli concepisca lo spettacolo come una forza che agisce

dall’esterno sulla “vita”, affermando che esso è al contempo una parte della

società ed è la società intera (SdS ¶ 3). Per quanto lo spettacolo tenda poi a

invadere materialmente la “realtà vissuta” (SdS ¶ 8), questa ne è distinta e ne è

45

Page 45: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

addirittura l’opposto. Deve dunque esistere un soggetto sostanzialmente “sano”,

altrimenti non si potrebbe parlare di falsificazione della sua attività. Alienato non

è il soggetto stesso, ma il suo mondo, quando quest’ultimo ne è il riflesso

“infedele” (SdS ¶ 16). Il mondo oggettivo, però, qualora non fosse che il “riflesso

fedele” del suo produttore, non avrebbe esistenza autonoma: vi ritroviamo

dunque la teoria del soggetto-oggetto identico.

3.3 La condizione e il ruolo del proletariato nella società spettacolare

Sia Debord che Lukacs individuano nel soggetto resistente alla reificazione

il proletariato, definendo la sua essenza non nelle condizioni economiche, ma

nella sua opposizione alla reificazione. La coscienza di classe, secondo Lukacs,

non è un dato empirico immediatamente riscontrabile nella classe, ma un dato in

sé che va ascritto di diritto alla classe stessa. Se la reificazione coinvolge tutte le

classi, la borghesia si trova però a suo agio, essendo quello della merce il suo

dominio. L’operaio, invece, si trova ad essere sempre e comunque un oggetto

dell’accadere: dovendo vendere la sua forza lavoro come merce, è sempre lui la

merce principale del capitalismo. Quindi, l’unica classe interessata al

superamento della reificazione è il proletariato, che, ridotto a semplice oggetto

del processo lavorativo, riconosce di esserne il vero autore : la sua coscienza è l’

“autocoscienza della merce”47. La reificazione è destinata ad essere superata

quando raggiunge il suo grado più alto: quando ogni aspetto umano si sarà

allontanato dalla vita del proletariato, questo può riconoscere in ogni

oggettualità un rapporto tra uomini, mediato da cose48. Dalla forma di

47 Ivi, p. 222.48 Ivi, p. 232.

46

Page 46: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

reificazione più evidente - il rapporto tra capitale e lavoro salariato - il

proletariato scoprirà tutte le altre forme di reificazione, ricostituendo la totalità,

ossia quel “processo complessivo nel quale la processualità arriva ad affermarsi

senza falsificazioni, la cui essenza non è intorpidita da alcuna fissazione [e che]

rappresenta una realtà più vera e più alta”49.

Superando gran parte degli osservatori degli anni sessanta, Debord

sostiene che il proletariato continui ad esistere, definendolo come “l’immensa

maggioranza di lavoratori che hanno perduto l’impiego sulla loro vita”, incapaci

di “modificare lo spazio-tempo sociale che la società concede loro di consumare”.

Sia Lukacs che Debord sono accomunati dalla convinzione che la condizione del

proletariato stia diventando quella della società intera. La sottomissione della

vita alla merce e alle sue regole di calcolabilità e quantificazione, ha fatto della

reificazione “il destino generale dell’intera società”50 , dando luogo a una vera e

propria “proletarizzazione del mondo” (SdS ¶ 26) che Debord vede come il

risultato della vittoria del sistema economico della separazione. Anche il lavoro

delle classi medie si svolge ormai in condizioni proletarizzate.

Una situazione che vent’anni più tardi nei Commentari alla Società dello

Spettacolo, Debord capovolgerà: se prima aveva annunciato la sparizione delle

classi medie nel proletariato, ora queste occupano tutto lo spazio sociale, con il

regno dello spettacolo espressione. Le loro condizioni si sono proletarizzate, nel

senso di privazione di ogni potere sulla vita, ma manca loro la coscienza di classe

del proletariato.

49 Ivi p. 243.50 Ivi, p. 118.

47

Page 47: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

Lo spettacolo non garantisce mai al proletariato una vita ricca in termini

qualitativi, dato che alla sua base vi è la quantità e la banalità. Nella società

spettacolare vi è stato un aumento dell’estensione della classe proletaria, e,

nonostante possano essere soddisfatte le sue richieste economiche, lo spettacolo

lo ha privato di tutte le possibilità di ricchezza umana di cui crea le basi,

impedendolo di usare per un libero gioco ciò che l’economia spettacolare utilizza

per un continuo incremento della produzione alienata e alienante. Per questo

motivo il proletariato si trova ad essere “il negativo all’opera”, il nemico

dell’esistente, che, dinanzi alla totalità dello spettacolo, non può che

contrapporre un’azione progettuale a sua volta totale. Una “redistribuzione delle

ricchezze” o una “democratizzazione” della società sarebbe poca cosa.

La vera contraddizione sociale è allora tra chi vuole - o piuttosto deve -

mantenere l’alienazione e chi vuole abolirla. In altre parole, tra coloro che non

possono andare oltre la separazione tra soggetto e oggetto, e coloro che invece vi

tendono.

Secondo Debord, si può supporre che il proletariato sia rivoluzionario

nella sua essenza, in sé: se lo dimostra poco, questo è dovuto al fatto che non è

ancora pervenuto al suo essere per sé, alla coscienza del suo vero essere, minata

dalle illusioni e da chi le maneggia per il proprio tornaconto. La questione “non è

sapere cosa gli operai sono attualmente, ma che cosa possono diventare: solo così

si può comprendere quello che sono già”51. Una tale definizione è evidentemente

molto lontana da quella di Marx, per il quale il proletariato è la classe

rivoluzionaria non per via della sua insoddisfazione, ma poiché il suo posto nel

51 G. Debord, La veritable scissions dans l’Intenrnationale, Paris, Artheme Fayard, 1997, p. 122.

48

Page 48: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

processo di produzione, la compattezza e la massiccia partecipazione in pochi

luoghi, gli danno i mezzi per rovesciare l’ordine esistente.

La figura concreta che il proletariato assume in quanto soggetto-oggetto

identico sono i Consigli operai attraverso i quali i proletari possono prima

condurre la lotta e poi amministrare una futura società libera. Nei Consigli sarà

centrale l’attività in prima persona, che sostituirà finalmente la contemplazione

delle azioni di un partito o di un capo. Sarà il luogo dove il movimento proletario

“è il proprio prodotto, e questo prodotto è il produttore stesso” (SdS ¶ 117) , e

verrà abolita ogni separazione e specializzazione, a favore della concentrazione

di tutte le funzioni di decisione e di esecuzione. I Consigli operai, lungi

dall’essere un’istituzione sociale che supera quelle borghesi, sono in realtà

qualcosa di più: la costituzione della comunità umana in cui tutto il mondo

oggettuale sarà creazione del soggetto52.

Se Debord vede nel processo storico l’identificazione in sé di soggetto e

oggetto, sarà invece la lotta storica a costituire lo sforzo per farli coincidere per

sé. Il soggetto della storia non può essere che il vivente che produce se stesso,

diventando in tal modo signore e padrone del suo mondo. Questo “farsi signore”

non può essere inteso nel senso di uno sviluppo delle forze produttive che porti

prima al potere la borghesia e poi il proletariato. Qui sta la maggiore critica che

La Società dello Spettacolo muove a Marx: quella di aver ceduto “dai tempi del

Manifesto” a una concezione lineare della storia, che identifica “il proletariato con

la borghesia dal punto di vista della conquista rivoluzionaria del potere” (SdS ¶

86). Debord invece sottolinea come “la borghesia è la sola classe rivoluzionaria

52 A. Jappe, Guy Debord, Roma, Manifesto Libri, 1999, p. 40.

49

Page 49: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

che sia mai stata vincitrice” (SdS ¶ 87), poiché la sua vittoria nella sfera politica

era una conseguenza della sua precedente vittoria nella sfera della produzione

materiale. Il proletariato non può impossessarsi degli strumenti della borghesia,

visto che la sua economia e il suo Stato non sono altro che un’alienazione e una

negazione di ogni vita cosciente. Il rischio sarebbe una nuova schiavitù, come è

avvenuto in Russia e in altri paesi.

Debord rifiuta una spiegazione solo scientifica della storia: il vero motore

della storia è la lotta di classe, la quale non è un mero riflesso dei processi

economici. Bisogna invece organizzare le “condizioni pratiche della coscienza”

(SdS ¶ 90) dell’azione proletaria, e non affidarsi a uno sviluppo che avviene come

un processo naturale.

IV. I COMMENTARI: L’AVVENTO DELLO SPETTACOLARE INTEGRATO

50

Page 50: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

Nel 1988, poco più di vent’anni dopo l’uscita de La Società dello Spettacolo,

Debord ritorna con i Commentari sulla società dello spettacolo, in cui porta avanti

e conclude le argomentazioni della sua prima opera. Il punto centrale dei

Commentari è la constatazione dell’ avvento dello “spettacolare integrato”. Infatti,

se ne La Società dello Spettacolo Debord aveva distinto due forme di spettacolo -

quello “diffuso”, proprio delle democrazie occidentali, dominate dal consumismo,

e quello “concentrato” dei regimi totalitari -, con lo “spettacolare integrato”

assistiamo a una fusione di entrambe in un’unica forma, che ha conosciuto il suo

trionfo in Italia e Francia.

A differenza dei due precedenti stadi, allo “spettacolare integrato” non

sfugge più nessuna parte della società reale: questa non gli sta più dinanzi come

qualcosa di estraneo, ma viene ricostruita dallo spettacolo a suo piacimento (“il

senso dello spettacolare integrato è che si è integrato nella realtà stessa man

mano che ne parlava”53). Il successo raggiunto dallo spettacolo sta dunque nella

sua continuità, che non risiede in un perfezionamento della sua strumentazione

mediale, ma nel fatto che ha potuto “allevare una generazione sottomessa alle sue

leggi”54. Ciò comporta che chi vi è cresciuto parli il linguaggio dello spettacolo,

anche se le sue intenzioni soggettive fossero completamente diverse. In un

sistema di governo così perfetto, le stesse aspirazioni a prenderne il possesso

sono regolate dagli stessi metodi spettacolari.

Nei Commentari assistiamo alla scomparsa dei toni ottimistici che pur

avevano accompagnato Debord sino al 1979. Come premessa alle sue

osservazioni egli sosterrà che “questi commentari non considerano ciò che è

53 G. Debord, Commentari sulla società dello spettacolo, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 1997, p. 194.54 Ivi, p. 193.

51

Page 51: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

auspicabile o semplicemente preferibile. Si limiteranno a rilevare ciò che

esiste”55. Debord non vede più alcuna forza all’opera organizzata contro lo

spettacolo, anche se non esclude la possibilità che esse possano rinascere, dato

che soltanto i governi sono fermamente convinti dell’assenza di condizioni per

una rivoluzione. D’altra parte, le lotte in corso nell’epoca dello spettacolare

integrato sono frequenti, ma la loro caratteristica è di celare l’essenziale

attraverso il segreto e la falsificazione. Di regola si tratta, secondo Debord, di

cospirazioni in favore dell’ordine esistente, ma che assumono i connotati di

controrivoluzione preventiva, come nel caso del terrorismo, alimentato per far

apparire, in confronto, lo Stato come male minore. In una situazione del genere,

la cosiddetta “concezione poliziesca della storia”, sintesi delle cospirazioni,

dell’attività dei servizi segreti e delle macchinazioni della polizia, passa da mera

visione riduttiva a “piattaforma centrale girevole” delle società spettacolari: sono

i servizi segreti, e tante altre formazioni che lavorano in quest’ambito, a

diffondere una grande quantità di informazioni contrastanti su ogni aspetto della

vita, con la conseguenza che è impossibile farsi un’idea precisa su qualsiasi cosa.

L’individuo, in tal senso, è in contatto con il mondo solo attraverso immagini che

sono state scelte da altri, i quali vi possono inserire qualsiasi contenuto.

Lo spettacolo lotta con il passato storico, cancellandone ogni traccia

autentica e creando un presente perpetuo, sperando così di farsi accettare, per

mancanza di confronto, come l’unica possibilità. In queste condizioni, con la

scomparsa di ogni memoria storica a favore di una continua ripetizione di

pseudo-novità, si assiste alla dissoluzione di ogni logica, non solo di quella

55 Ivi, p. 191.

52

Page 52: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

dialettica, ma anche di quella semplicemente formale.56 La verità è ora dettata

dallo spettacolo (“ciò di cui lo spettacolo può smettere di parlare per tre giorni è

uguale a ciò che non esiste”57) nella sua sequela di ripetizioni, pronte a

rimodellare anche il passato o l’immagine pubblica di una persona, e,

nell’occasione, a scagliare l’accusa di “disinformazione” nel caso in cui la verità

dovesse venire a galla58.

In una miriade di informazioni e falsificazioni che si sovrappongono le une

alle altre (spesso molte di queste sono “trappole” per distogliere da

qualcos’altro) diventa perciò impossibile una lettura genuina, con la conseguenza

che non può formarsi più neppure “un’opinione pubblica”. Nessuno scandalo

desta più implicazioni rilevanti, e quelli che prendono decisioni dicono anche “ciò

che ne pensano”59. L’essenza stessa dei “cittadini” è ormai compromessa, e così

anche la critica sociale, che rientra tra le vittime di questa opera di falsificazione.

Lo spettacolo elabora “una critica sociale da allevamento”, atta a soddisfare la

curiosità di coloro che non si accontentano delle solite spiegazioni, ma a cui

manca ugualmente l’essenziale.

“Chi non fa che guardare per sapere il seguito, non agirà mai: proprio così

deve essere lo spettatore”60: è questa, forse, la frase che più sintetizza l’ultimo

stadio raggiunto dallo spettacolo, un meccanismo deplorevole in cui anche

l’economia non riesce a far valere le proprie leggi di razionalità, togliendo allo

spettacolo ogni visione strategica, in un’azione che va sempre di più contro la

stessa sopravvivenza dell’umanità, come nel caso del nucleare. 56 Ivi, pp. 206-209.57 Ivi, p. 201.58 Ivi, pp. 220-221.59 Ivi, p. 192.60 Ivi, p. 203.

53

Page 53: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

Nonostante il pessimismo che aleggia nei Commentari, Debord non sembra

dichiarare in maniera esplicita la vittoria finale dello spettacolo, momento in cui

la forma-merce completa la sua occupazione della società. Anzi, lo spettacolo si

regge invece su una “perfezione fragile”, in cui non è riformabile nessun dettaglio.

Infatti, l’abbandono totale di ogni razionalità rende difficile la gestione della

società anche ai suoi stessi amministratori, in un sistema dove ormai si è

smarrito qualsiasi - benché minimo - riferimento. Inoltre, la contestatissima

affermazione di Debord, secondo cui le opposizioni siano ormai scomparse,

poiché tutti starebbero “dentro” il sistema, risiede nel fatto che si sono

definitivamente esaurite le opposizioni immanenti, come il classico movimento

operaio o “i movimenti di liberazione” del Terzo Mondo. Il ruolo delle opposizioni

immanenti finisce quando è il sistema della merce in quanto tale a entrare in

crisi. Parlando di “dissoluzione evidente dell’insieme del sistema”, Debord

individua nella crisi della forma-valore diverse conseguenze. Tra le più rilevanti

vi è sicuramente l’esaurirsi della “società del lavoro”: per mandare avanti la

produzione è necessaria solo una minima quota di lavoro, ma di contro vi è

bisogno di fortissimi investimenti di capitale fisso, possibile solo ai paesi più

progrediti. In tal modo, gran parte del mondo è già tagliata fuori dalla

competizione, poiché, nonostante crei beni d’uso, non riesce invece a impiegare il

lavoro vivo in modo da produrre valore di scambio sul mercato mondiale. Il

problema di straordinaria attualità che si pone oggi al capitale, riguarda proprio

cosa fare con la grande maggioranza dell’umanità di cui non ha bisogno come

lavoro vivo.

54

Page 54: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

Le affermazioni di Debord potevano apparire sorprendenti all’uscita dei

Commentari: in una critica che ha spinto tanto lontano la ricerca dei meccanismi

del potere, una concezione quasi “primitiva” del dominio - fatta di spie e di

intrighi - poteva apparire banale e riduttiva. Tuttavia, se si va al riscontro coi

fatti, è innegabile che Debord abbia trovato numerose conferme negli anni a

venire. Il lettore italiano, in particolare, è forse quello che ha meno bisogno di

ulteriori spiegazioni per rendersi conto della preveggenza dei Commentari: lo

stretto connubio tra mafia e politica, sommerso di logiche clientelari e avente

come base versioni contraddittorie, ne è una dimostrazione. Lo stesso si può

affermare per “Le Stragi di Stato” e, più recentemente, per le implicazioni

connesse all’avvento del “belusconismo” nella situazione politica italiana.

L’intento di Debord era quello di sottolineare la commistione tra antichi e

moderni metodi di dominio, e in Italia ne possiamo trovare un esempio

lampante61.

V. DEBORD E IL MARXISMO: NOVITÀ E PROSPETTIVE DELLA TEORIA

61 A. Jappe, Guy Debord, Roma, Manifesto Libri, 1997, p. 144.

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Page 55: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

Nei paragrafi precedenti si è messo in evidenza come la teoria critica di

Debord sia strettamente collegabile con le riflessioni della filosofia di Marx. È

opportuno allora considerare il posto di Debord e della critica situazionista

nell’ambito del dibattito marxista francese, al fine di individuarne possibili

assonanze e divergenze con i vari indirizzi di pensiero che ne hanno fatto parte.

Bisogna innanzitutto dire che il marxismo francese ha privilegiato alcuni

aspetti dell’opera di Marx rispetto ad altri. Infatti, si è sempre dato un posto più

rilevante al Marx critico dell’ “alienazione dell’essenza umana”, piuttosto che al

Marx della “critica dell’economia politica”. Ciò perché i marxisti francesi

preferivano attenersi alla sfera sociale e alla “sovrastruttura”, dando luogo ad

analisi più di carattere astratto e filosofico, con accenti talvolta etici ed estetici

(come Sartre, Lefebvre, Althusser). Alla base di questo atteggiamento vi era

l’equivoco insito nel rifiuto del determinismo economicistico, che, identificato

spesso con lo stalinismo, portava a confondere il carattere deterministico del

capitalismo con la sua approvazione. In tal modo, considerando il soggetto come

indipendente e l’autonomizzazione delle leggi economiche come pura parvenza, i

marxisti francesi non riuscivano però a fornire una valida risposta al carattere

feticistico della società della merce.

Debord non si sottrae a questa visione. Il suo pensiero è riconducibile a un

“soggettivismo” che crede di riportare l’automatismo del valore all’azione

cosciente di soggetti presupposti. Proprio da questa concezione è intuibile come

il pensiero di Debord sia radicalmente diverso da quello predominante negli

anni sessanta (che era anti-hegeliano, anche quando si voleva marxista),

presentando invece molte assonanze con la generazione filosofica degli anni

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Page 56: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

cinquanta, in particolare con la matrice esistenzialistica. Il marxismo umanista e

storicista di Sartre, ad esempio, presenta molti punti in comune con le idee dei

situazionisti, nonostante questi lo disprezzino a tal punto da definirlo un

“imbecille”62.

È innegabile, tuttavia, che i temi della situazione, del progetto, del vissuto,

della prassi, tanto cari ai situazionisti, sono presenti anche in Sartre, anche se in

termini diversi. La ferma convinzione che l’uomo crei nella storia il proprio

destino, la contrapposizione tra le cose e gli uomini, il ruolo centrale di un

soggetto forte, trovano dei riscontri effettivi in Debord.

Inoltre, gli equivoci relativi alla comprensione di Marx erano determinati,

in Francia, da una resistenza culturale nei confronti di Hegel. Quando il suo

pensiero è entrato a far parte del mondo intellettuale francese, lo ha fatto solo in

quanto “esistenzialista”. Così, in un ambiente in cui spesso essere marxisti

significava non essere hegeliani (e viceversa), Debord resta uno dei pochi hegelo-

marxisti francesi. La dimostrazione non sta soltanto nelle citazioni hegeliane

sparse nelle sue opere, ma anche e soprattutto nell’influenza dell’interpretazione

di Hegel fornita da Alexander Kojéve nei suoi corsi degli anni trenta. Questi

tendeva a sottolineare, nella filosofia hegeliana, il valore della lotta e dell’aspetto

tragico, in un’interpretazione centrata sull’uomo e sulla sua storia. Secondo

Kojéve, la direzione dell’agire umano sta nel desiderio, che si esprime come

consapevolezza di una mancanza, di un negativo. Nel negare la datità delle cose,

l’uomo crea, e crea pure la verità, giacchè anch’essa è un prodotto dell’agire

storico.

62 Internationale Situationniste, Paris, Arthème Fayard, 1997; tr.it. Torino, Nautilus, 1997, n.10, p.79.

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Page 57: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

In questo senso è possibile rintracciare anche in Debord e nei situazionisti

un rapporto con il negativo, che, seppur complesso e non privo di critiche, lo

pone come caposaldo della loro riflessione sull’agire. La negazione è infatti

intesa come distruzione dell’ordine esistente, processo necessario prima di

ricostruirne un altro.

Una tale concezione permette di comprendere anche le discordanze della

teoria di Debord con lo strutturalismo, definita “la principale ideologia

apologetica dello spettacolo” (SdS ¶ 196), che intende fissare le condizioni attuali

della società in strutture immutabili, nell’idea di una “storia senza soggetto”. Se

però sono le strutture, o il linguaggio, o le pulsioni libidinali (come nella critica

dei situazionisti alla psicanalisi) a essere il soggetto della storia, non può esistere

un’“essenza” dell’uomo a cui attentano strutture sociali inadatte. Infatti,

individuare le cause del male in fenomeni generalissimi e non in fenomeni storici

concreti (come lo Stato e l’economia mercantile) sarebbe insensato, soprattutto

nel momento in cui sia doveroso proporre il loro superamento.

Un altro grave errore sta nell’annettere Debord alle teorie “postmoderne”

centrate sulla comunicazione, l’immagine e la simulazione. Identificare lo

spettacolo con la dipendenza dai mezzi di comunicazione e ascrivere Debord a

“profeta” delle teorie dei mass-media può davvero indurre in confusione.

Il problema non sta soltanto nell’infedeltà dell’immagine a ciò che

rappresenta, ma nello stesso stato della realtà da rappresentare. È importante

distinguere la falsa rappresentazione della realtà data da una concezione

superficiale del feticismo della merce dalla distorsione che interviene nella

produzione della realtà da parte dell’uomo. Ciò che Debord condanna non è

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Page 58: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

l’immagine in quanto tale63, ma la forma-immagine in quanto sviluppo della

forma-valore. Come quest’ultima, la forma-immagine precede ogni contenuto e

fa sì che le lotte tra i diversi attori sociali non siano altro che lotte distributive.

D’altro canto, l’effettiva novità della teoria di Debord sta nell’aver posto

l’accento sul ruolo fondamentale dello scambio e del principio di equivalenza

nella società contemporanea. Ne è un esempio il ruolo centrale che aveva già per

i giovani lettristi il potlatch64, forma che voleva presentarsi come alternativa

all’economia di scambio. Costruire quindi una teoria che ruotasse attorno alla

categoria dello scambio era un importante progresso rispetto al marxismo del

movimento operaio, che teneva conto solo dello scambio “sbilanciato” costituito

dalla vendita della forza-lavoro. Secondo l’ottica di questi marxisti, la centralità

dello scambio dà rilevanza alla sfera sociale e ai rapporti intersoggettivi, a scapito

della relazione tre l’uomo e la natura, cioè dell’oggettività, a cui indurrebbe

invece l’analisi della produzione.

Se assunto da tale prospettiva, lo spettacolo sembra assolutizzare ciò che

si può chiamare la sovrastruttura, la sfera del consumo, il sociale. Tuttavia,

Debord, nonostante l’importanza data alla “sovrastruttura” nelle sue analisi,

respinge ogni tentativo di questo tipo, ricordando come lo spettacolo sia “un

63 In questo senso, Debord è molto chiaro: “Gli inganni dominanti dell’epoca sono sul punto di farci dimenticare che la verità può essere vista anche nelle immagini. L’immagine che non è stata intenzionalmente separata dal suo significato aggiunge molta precisione e certezza al sapere. Nessuno ne ha dubitato fino a pochissimi anni fa.” (Panegirico, Tomo secondo)64 Il potlatch è una pratica di alcune tribù canadesi, esistente all’inizio del secolo e rintracciabile in forme simili anche in molte altre culture. Si tratta di una particolare forma di scambio in cui vi si afferma il prestigio della persona o del gruppo tramite un dono fatto al rivale. Questo risponde a sua volta con un dono più grande, in un gioco al rialzo che sovverte il concetto stesso di valore. Invece che sull’equivalenza, il potlatch si basa sullo sperpero delle proprie risorse che vengono date via senza la certezza, o addirittura con il desiderio segreto, di non riceverne un valore equivalente. Il concetto fu introdotto nell’etnologia da Marcel Mauss (Saggio sul dono, 1924) e ripreso nella discussione francese da George Bataille (La parte maledetta, 1949).

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Page 59: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

momento dello sviluppo della produzione della merce” negando l’affermazione

secondo la quale “la produzione della fantasmagoria comanda quella delle merci”.

Il concetto di spettacolo analizza il modo in cui l’astrazione trasforma

tanto il pensiero quanto la produzione, andando in tal modo nella direzione di un

superamento dell’opposizione dualistica tra “base” e “sovrastruttura”, tra

“apparenza” ed “essenza”, peculiarità di un “marxismo” che non aveva compreso

che il valore è “un fatto sociale totale”, origine delle stesse divisioni in diverse

sfere. Il rifiuto di questa distinzione, della “dialettica” con cui questo marxismo

definiva i rapporti vicendevoli tra le diverse sfere, non è un difetto dei

situazionisti, ma un progresso teorico che si può a ragione richiamare a Hegel e

Marx. A questo si affianca la negazione di mettere alla base della propria teoria il

“lavoro”, inteso come “ricambio organico con la natura”, come affermato da

Lukacs nel 1967. Una concezione del genere trasforma in un’eterna necessità

ontologica ciò che è una caratteristica specifica del capitalismo. Se inteso invece

come modalità di organizzare questo ricambio, il lavoro è invece un dato storico,

impostosi a larga scala con l’avvento del capitalismo e potenzialmente superato

dal suo stesso sviluppo. Lo “scambio” di unità di lavoro oggettivate in merci

sarebbe superfluo in un modo di produzione immediatamente socializzato. Il

modo di produzione presente lo è già largamente sul piano materiale, ma non

riesce a liberarsi da un sistema in cui il singolo partecipa al prodotto complessivo

solo tramite la sua quota di lavoro individuale. In ciò Debord e i situazionisti

hanno anticipato, da una prospettiva marxista, un fenomeno attualissimo.

La novità apportata da Debord ha anche una motivazione, per così dire,

storiografica. Le sue idee sono state favorite dal fatto di essere partite da

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Page 60: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

considerazioni sull’arte, caratteristica frequente nella tradizione francese, che

generalmente privilegia l’aspetto sociale rispetto all’economia. In ciò si

nasconde, inoltre, una giustificata opposizione a un “marxismo” che si era ridotto

a garante della modernizzazione economica. Dall’estraneità e dalla frattura con

la critica sociale antecedente, Debord e i situazionisti sono riusciti a individuare

alcuni aspetti della teoria di Marx che nel dibattito marxista erano da tempo

seppelliti, vittime di un’eccessiva sofisticazione teorica. In tal modo, essi hanno

potuto dire qualcosa di nuovo in quell’ambito, inserendosi nel solco di una

continuità della riflessione su Marx in grado di aprire prospettive originali e di

straordinaria preveggenza. Ciò è riscontrabile nella convinzione che anche le idee

di Marx dovevano essere sottoposte a détournement, essere cioè stravolte e

inserite in un nuovo contesto. Una predisposizione che affonda le proprie radici

molto prima che Debord riflettesse sulla teoria marxista, nell’esperienza della

decomposizione delle arti. Questa origine artistica ha poi incontrato delle

difficoltà quando si è trattato di passare dalle parole ai fatti, o meglio, dalla

semplice setta a movimento di massa.

I diversi marxisti, inoltre, si sono mossi sempre all’interno di una

socializzazione creata dal valore, limitandosi a chiedere un’organizzazione più

giusta e una liberazione promessa per un lontanissimo futuro, solo dopo aver

esteso alla popolazione le forme sociali create dalla merce. È soltanto nelle

avanguardie artistiche, invece, che si è espressa, per quanto ingenuamente,

l’esigenza di una liberazione dal concreto che rimandasse oltre la società

industriale, oltre le categorie create dalla forma-merce. L’effettivo merito di

Debord e dei suoi amici situazionisti sta nell’essere arrivato là dove non erano

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Page 61: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

giunte altre iniziative di rivalutazione marxista, che lungo la strada avevano

dimenticato l’importanza di una critica della forma-valore o del feticismo,

assimilando elementi presi da altre discipline, quali l’antropologia o la psicologia.

Debord è stato uno dei pochi in grado di portare la critica sociale oltre le diverse

varianti del marxismo da movimento operaio che aveva vissuto i suoi ultimi

successi nel ’68 prima che il processo di modernizzazione si portasse verso la

catastrofe. Capire che quasi tutte le opposizioni al capitalismo avevano centrato

soltanto aspetti estranei a quello della forma-valore si è rivelata un’intuizione

non facile, in cui i meriti delle avanguardie artistiche, con la loro funzione critica

di distruzione delle forme tradizionali, rivendicano un posto di rilievo.

L’attualità di Debord sta nell’aver dato un nuovo fondamento

all’osservazione del giovane Marx secondo cui l’economia politica è “la negazione

totale dell’uomo”. Con due libri di irata sapienza, Debord è riuscito a tendere un

filo che riporta Marx nella riflessione contemporanea, nelle conseguenze che più

di trent’anni dopo l’avvento de La Società dello spettacolo sono diventate note

agli occhi di tutti. La necessità, dettata dai tempi, di una nuova teoria critica, e di

una prassi conseguente, non disdegnerà affatto di tener conto del valore del

contributo di Debord.

BIBLIOGRAFIA

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Page 62: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

Scritti di Guy Debord

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- G. Debord, Le Marquis de Sade a des yeux de fille, Paris, Fayard, 2004; tr. it. G. Debord, Il marchese De Sade ha occhi da ragazza, Roma, Casini editore, 2005.

Filmografia di Guy Debord

- Hurlements en faveur de Sade, Paris 1952. 90 minuti.

- Sur le passage de quelques personnes à travers une assez courte unite de temps, Paris 1959. 20 minuti.

- Critique de la separation, Paris 1960-61. 20 minuti.

- La société du spectacle, Paris 1973. 80 minuti.

- Réfutation de touts les jugements tant élogieux qu’hostiles qui ont été jusqu’ici portés sur le film “la société du spectacle”, Paris 1975. 30 minuti.

- In girum imus nocte et consumimur igni, Paris 1978. 80 minuti.

- Guy Debord, son art, son temps, 60 minuti.

64

Page 64: Economia politica e società dello spettacolo tra Karl Marx e Guy Debord

Studi critici su Guy Debord e l’Internazionale Situazionista

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- G. Marelli, L’Amara vittoria del situazionismo: per una storia critica dell'Internationale Situationniste, Pisa, BFS edizioni, 1996.

- A. Dall’Ara, Guy Debord. La riconquista della nostra storia, Pescara, Tracce, 1997.

- P. Stanziale (a cura di), Situazionismo. Materiali per un’economia politica dell’immaginario, Bolsena, Massari Editore, 1998.

- D. Blanc, L’internazionale situazionista e il suo tempo, Milano, Colibrì edizioni, 1998.

- M. Perniola, I situazionisti. Il movimento che ha profetizzato la “Società dello spettacolo”, Roma, Castelvecchi, 1998.

- S. Gonzalvez, Guy Debord ou la beauté du negatif, Paris, Mille et Une Nuits, 1998.

- C. Bourseiller, Vie et mort de Guy Debord, Paris, Plon 1999.

- M. Bandini, L’estetico, il politico. Da Cobra all’Internazionale situazionista, Genova, Costa & Nolan, 1999.

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- A. Jappe, L'avant-garde inacceptable - réflexions sur Guy Debord, Paris, Léo Sheer, 2004.

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- AA. VV., I Situazionisti e la loro storia, Roma, Manifesto Libri, 2006. Presenti, tra gli altri, articoli di G. Agamben, P. Virno, L. Passerini, E. Ghezzi.

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- A. Gasbarrini (a cura di), Guy Debord. Dal superamento dell’arte alla realizzazione della filosofia, Bolsena, Massari 2008.

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- K. Marx, Il Capitale, Newton Compton, Roma, 2005, vol. I.

- G. Lukacs, Storia e coscienza di classe, Milano, SugarCo, 1967.

- N. Abbagnano, Storia della filosofia, Torino, Utet, 2007, vol. III-IV.

Sitografia

- http://www.youtube.com/watch?v=1jON5y2fgn4 (Come salvarsi dalla Società dello Spettacolo. Appunti a margine. Una serie di filmati riguardante un ciclo di lezioni tenute da Mariangela Priarolo, docente all’università di Siena, su Guy Debord e La Società dello spettacolo).

- http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_3/18.htm (A. Pigliaru, In girum ... appunti su pensiero di Guy Debord, in “Giornale di confine", Anno II, N.3 Novembre-Febbraio 2003/2004).

- http://www.krisis.org/1998/le-sottigliezze-metafisiche-della-merce (vi si trova l’articolo di A. Jappe, Le sottigliezze metafisiche della merce).

- http://www.exibart.com/notizia.asp/IDNotizia/9394/IDCategoria/1 (M. Priarolo, Filosofia e arte. Ritorno a Debord).

- http://www.filosofico.net/socspettdebord.htm (A.Pesce, La Società dello spettacolo, da Pierpaolo Pasolini a Guy Debord: la metamorfosi neo-capitalistica in attività contemplativa).

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