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Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia 1 QUESTIONI SPECIALI DI ECCLESIOLOGIA 0. Introduzione Cfr. Note di ecclesiologia, 2.8. Le questioni ecclesiologiche nel periodo postconciliare 1. Teologia della chiesa particolare (I) Il Concilio Vaticano II I testi del Vaticano II, pur avendo come punto di riferimento la realtà e la nozione di Chiesa univer- sale, contengono sparsi qua e là spunti estremamente preziosi di una teologia della communio. Con ciò il Concilio ha posto i fondamenti teologici del modello della Chiesa communio ecclesiarum, in cui le Chiese particolari non sono semplicemente parti o meri distretti amministrativi di una confe- derazione di Chiese, chiamata Chiesa universale, ma la stessa realtà suprema dell unica Chiesa di Cristo presente e realmente attualizzata in un determinato luogo. (a) Chiesa locale «Questa Chiesa di Cristo è veramente presente nelle legittime comunità locali di fedeli, le quali, u- nite ai loro pastori, sono anch’esse chiamate Chiese nel Nuovo Testamento. Esse infatti sono, ci a- scuna nel proprio territorio, il popolo nuovo chiamato da Dio nello Spirito Santo e in una grande fi- ducia (cfr. 1 Ts 1,5) … In queste comunità, sebbene spesso piccole e povere e disperse, è presente Cristo, per virtù del quale si costituisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica» (LG 26). «Facendosi modelli autentici del gregge (cfr. 1Pt 5,3), [i presbiteri] presiedano alla loro comunità locale e ne siano al servizio, in modo che questa possa essere degnamente chiamata con quel nome che onora luno e unico popolo di Dio, cioè chiesa di Dio (cfr. 1Cor 1,2; 2Cor 1,1)» (LG 28). (b) Chiesa particolare o diocesi «Lunione collegiale appare anche nelle mutue relazioni dei singoli vescovi con le loro chiese par- ticolari e con la chiesa universale. Quale successore di Pietro, il romano pontefice è il perpetuo e visibile principio e il fondamento dellunità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli. I singoli vescovi invece sono il principio visibile e il fondamento dell unità delle loro chiese particolari, le quali sono formate a immagine della chiesa universale: in esse e a partire da esse esiste l una e uni- ca chiesa cattolica. Perciò i singoli vescovi rappresentano la propria chiesa, mentre tutti, insieme col papa, rappresentano la chiesa intera nel vincolo della pace, dell amore e dellunità» (LG 23). «La diocesi è una porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali di un vescovo coadiuvato dal presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore, e da lui, per mezzo del Vangelo e delleucaristia, riunita nello Spirito Santo, costituisca una chiesa particolare, nella quale è veramen- te presente e opera la chiesa di Cristo, una santa cattolica e apostolica» (CD 11). «Il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge, dal quale deriva e di- pende, in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò bisogna che tutti diano la massima im- portanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chie- sa cattedrale: convinti che la principale manifestazione della chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla mede-

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teologia

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Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

1

QUESTIONI SPECIALI DI ECCLESIOLOGIA

0. Introduzione

Cfr. Note di ecclesiologia, 2.8. Le questioni ecclesiologiche nel periodo postconciliare

1. Teologia della chiesa particolare

(I) Il Concilio Vaticano II

I testi del Vaticano II, pur avendo come punto di riferimento la realtà e la nozione di Chiesa univer-

sale, contengono sparsi qua e là spunti estremamente preziosi di una teologia della communio. Con

ciò il Concilio ha posto i fondamenti teologici del modello della Chiesa communio ecclesiarum, in

cui le Chiese particolari non sono semplicemente parti o meri distretti amministrativi di una confe-

derazione di Chiese, chiamata Chiesa universale, ma la stessa realtà suprema dell’unica Chiesa di

Cristo presente e realmente attualizzata in un determinato luogo.

(a) Chiesa locale

«Questa Chiesa di Cristo è veramente presente nelle legittime comunità locali di fedeli, le quali, u-

nite ai loro pastori, sono anch’esse chiamate Chiese nel Nuovo Testamento. Esse infatti sono, cia-

scuna nel proprio territorio, il popolo nuovo chiamato da Dio nello Spirito Santo e in una grande fi-

ducia (cfr. 1 Ts 1,5) … In queste comunità, sebbene spesso piccole e povere e disperse, è presente

Cristo, per virtù del quale si costituisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica» (LG 26).

«Facendosi modelli autentici del gregge (cfr. 1Pt 5,3), [i presbiteri] presiedano alla loro comunità

locale e ne siano al servizio, in modo che questa possa essere degnamente chiamata con quel nome

che onora l’uno e unico popolo di Dio, cioè chiesa di Dio (cfr. 1Cor 1,2; 2Cor 1,1)» (LG 28).

(b) Chiesa particolare o diocesi

«L’unione collegiale appare anche nelle mutue relazioni dei singoli vescovi con le loro chiese par-

ticolari e con la chiesa universale. Quale successore di Pietro, il romano pontefice è il perpetuo e

visibile principio e il fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli. I singoli

vescovi invece sono il principio visibile e il fondamento dell’unità delle loro chiese particolari, le

quali sono formate a immagine della chiesa universale: in esse e a partire da esse esiste l’una e uni-

ca chiesa cattolica. Perciò i singoli vescovi rappresentano la propria chiesa, mentre tutti, insieme

col papa, rappresentano la chiesa intera nel vincolo della pace, dell’amore e dell’unità» (LG 23).

«La diocesi è una porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali di un vescovo coadiuvato

dal presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore, e da lui, per mezzo del Vangelo e

dell’eucaristia, riunita nello Spirito Santo, costituisca una chiesa particolare, nella quale è veramen-

te presente e opera la chiesa di Cristo, una santa cattolica e apostolica» (CD 11).

«Il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge, dal quale deriva e di-

pende, in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò bisogna che tutti diano la massima im-

portanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chie-

sa cattedrale: convinti che la principale manifestazione della chiesa si ha nella partecipazione piena

e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla mede-

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sima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dal

suo presbiterio e dai ministri» (SC 41).

Sulle Chiese patriarcali: LG 23; sulla Chiesa Occidentale e Orientale: UR 14.18; sulla Chiesa come

“communio ecclesiarum”: Congregazione della dottrina della fede Mysterium ecclesiae (1973), n. 1,

in EV 4, §§ 2565-2566.

Riferendosi a questi passi del Vaticano II possiamo precisare anche gli elementi “costitutivi” della

Chiesa e di ogni Chiesa1.

(a) Essa è “creatura dello Spirito”: la Chiesa è radunata nello Spirito che ne è il primo “costruttore”

grazie al Vangelo e ai sacramenti, e al ministero apostolico che è al servizio di tutto ciò.

Confessando lo Spirito come principio attivo dell’edificazione della Chiesa, possiamo 1) pensare la

Chiesa come il “noi” profondo dei credenti, i quali tutti sono chiamati a prendere parte alla sua co-

struzione, ciascuno secondo il proprio dono spirituale; 2) dare il giusto rilievo ad una diversità di

ministeri, situando il ministero ordinato non al di sopra della Chiesa, ma in essa e di fronte ad essa

(questo ministero è indispensabile ma non autosufficiente); 3) percepire che, siccome lo Spirito è

dato a ciascuna delle Chiese locali, la loro vita comune deve essere retta dal vicendevole riconosci-

mento (le loro testimonianze di fede, le loro usanze dovranno essere oggetto di tradizione e di rico-

noscimento); 4) comprendere che lo Spirito di Pentecoste è colui che rende possibile la missione.

(b) Lo Spirito è il principio dell’efficacia del Vangelo, quale parola e messaggio (Mc 1,15; At 1,8;

Mt 28,19), che giudica il mondo (Gv 16,8) e lo riconcilia col Padre (2Cor 5,17-20), creando comu-

nione con Dio e i fratelli (cfr. 1Gv 1,1ss). In particolare lo Spirito è il principio dell’ispirazione del

corpo delle Scritture che attestano l’insuperabile verità di Gesù (fides ex auditu).

(c) Lo Spirito raccoglie la Chiesa per mezzo dell’eucaristia, fonte permanente del corpo ecclesiale.

1) La celebrazione eucaristica unisce sacramentalmente i cristiani alla Pasqua del Cristo; essa è per

eccellenza la confessione, da parte dei battezzati, del mistero della fede; essa unifica, in un luogo, i

credenti nella loro diversità (‘οί πολλόι) per mezzo della comunione ad un solo pane e ad un solo ca-

lice, per farne una κοινωνία: per tutti questi motivi, la comunione eucaristica è la fonte decisiva del

corpo ecclesiale. 2) A causa del suo radicamento eucaristico la Chiesa locale non può esser conside-

rata come una parte della Chiesa (cfr. LG 26). 3) A partire dall’eucaristia, bisogna considerare la

Chiesa universale come una comunione di Chiese locali, attraverso lo spazio e il tempo. 4)

1 Ci ispiriamo per questa tematica a H. LEGRAND, La realizzazione della Chiesa in un luogo, in Iniziazione alla pratica

della teologia. Dogmatica II, sotto la direzione di B. LAURET - F. REFOULÉ, Queriniana, Brescia 1986, 163-176.

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L’eucaristia manifesta l’impossibile autarchia della chiesa locale e la vera natura del diritto che tiene

insieme la comunione delle Chiese.

(d) Lo Spirito è infine è riconosciuto come colui che abilita all’esercizio del ministero apostolico e

il principio dell’unità e dell’indefettibilità della comunità di coloro che confessano che «Gesù è Si-

gnore» (1Cor 12,3). Il ministero pastorale fa parte della struttura della Chiesa locale, come ne fanno

parte lo Spirito santo, il Vangelo e l’eucaristia. Il pastore però ha un ruolo propriamente ministeriale

in rapporto a queste mediazioni di cui non può disporre a piacere. Costui 1) ha ricevuto un dono del-

lo Spirito ( ‘ηγεμονικόν = spiritus principalis; cfr. Traditio Ippoliti 3) per presiedere, con la

cooperazione del presbiterio, alla edificazione della Chiesa locale e 2) costituisce il legame di co-

munione tra le chiese locali (diacronicamente e sincronicamente).

(II) La Chiesa locale

Denominandosi «Chiesa del Signore», la prima comunità cristiana aveva trasferito su di sé l’idea ve-

terotestamentaria della «comunità di Dio», dandole però un significato cristologico pieno. Se ciò po-

té accadere, lo fu per il fatto che essa aveva la consapevolezza di essere la comunità acquistata da

Cristo col proprio sangue (cfr. At 20,28). Precisamente secondo quest’uso nel NT il termine Chiesa

indica senza dubbio l’intero popolo sparso su tutta la terra e radunato nel nome del Padre e del Fi-

glio suo Gesù Cristo. Esso, però, indica pure l’assemblea in atto, la riunione dei cristiani per la cele-

brazione del servizio liturgico, dell’eucaristia. La Chiesa è a Tessalonica, a Corinto o a Roma … ma

è sempre l’unica Chiesa a rendersi presente nelle singole comunità. A questa communio, che è lo-

calmente situata e ha la sua fonte e il massimo luogo espressivo nella celebrazione eucaristica, si dà

anche il nome di Chiesa locale.

L’espressione non è certamente registrata come tale dal NT. Non vi manca, però, il concetto; anzi la

più antica testimonianza della parola Chiesa si muove in questa direzione (1Ts 1,1; 2,14). In epoca

recente essa è divenuta d’uso comune, ricorrendo nei testi del Vaticano II e in quelli, successivi, di

dialogo ecumenico2. A prescindere da alcune questioni che saranno tra poco richiamate, è importan-

te sottolineare il significato del riferimento al luogo, richiamato dall’espressione Chiesa locale.

L’interrogativo è se esso sia una semplice constatazione, dovuta al fatto che una comunità di perso-

ne umane deve pure radunarsi in uno spazio determinato e che un’eucaristia può essere celebrata

soltanto in un luogo ben preciso. Se così fosse, l’elemento “locale” sarebbe, tutto sommato, da rite-

2 L’espressione, al singolare o al plurale, si trova in LG 23; UR 14 (2 volte anche in alternativa con particulares Eccle-

sias); AG 19.27.32. La terminologia tuttavia non è costante.

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nersi come un dato alla fin fine estraneo al mistero della Chiesa, quasi una condizione materiale

perché esso si lasci cogliere dall’uomo. Diversamente si dirà, invece, se il riferimento a un luogo

esprime un’istanza che mutua la sua necessità dalla legge dell’incarnazione e dalla natura della sal-

vezza, storica e insieme escatologica. Proprio da questo riferimento all’intima natura della Chiesa,

che come corpo di Cristo è intimamente legata al mistero del Verbo incarnato, nasce l’esigenza di

visibilità e di concretezza, di cui stiamo parlando.

Ciò detto è necessario precisare che nel nostro caso per “luogo” non s’intende solamente uno spazio

territoriale bensì anche, e soprattutto, uno spazio umano e culturale. La Chiesa, infatti, è al tempo

stesso Ecclesia de Trinitate ed Ecclesia ex hominibus. L’opera del Dio trinitario si compie in e at-

traverso forme e modelli vari di rapporto sociale, che sono del tutto umani. Sorvolare su questa

complessità del mistero ecclesiale comporterebbe il rischio d’intendere la Chiesa come un’entità a-

stratta, posta fuori dal mondo. Se, invece, si presta attenzione al fatto che la Chiesa non è soltanto il

frutto della libera iniziativa del Dio trinitario attuata per mezzo della Parola e della grazia, ma anche

il risultato della libera risposta suscitata da quella Parola e da quella grazia, allora non si può più

trascurare il fatto che ogni uomo risponde a Dio all’interno di una comunità di uomini che vivono in

un luogo, in un tempo e in una cultura ben precisi e determinati.

Per questo la Chiesa locale è la risposta a un vangelo ascoltato nella propria lingua in una determi-

nata cultura3. La parola di Dio giunge all’uomo sempre in parole umane, è trasmessa all’interno di

una cultura e solo così essa diventa e crea storia. Così come non si dà parola di Dio allo “stato pu-

ro”, altrettanto non si dà fede che non sia veicolante una cultura, giacché l’uomo risponde con tutto

se stesso a Dio che gli si rivela. Ciò vale anche per i sacramenti e per l’eucaristia i quali rinviano

non soltanto ai mirabilia Dei e alla storia della salvezza, ma pure si radicano nella profondità della

dimensione antropologica. In questo senso l’umano entra nella costituzione di una Chiesa locale.

Questo modo d’intendere la localizzazione della Chiesa, non già in un senso semplicemente topo-

grafico bensì anche e soprattutto in un senso antropologico e culturale, impedisce di concepire la

Chiesa locale come una semplice circoscrizione territoriale. Riferita, invece, a uno spazio umano o

culturale particolare essa è il luogo concreto a partire dal quale si realizza la cattolicità o

l’universalità della Chiesa. Si dirà di più, ossia che, «il locale esprime una vocazione alla visibilità e

alla storia, che non è solo fedeltà all’uomo, ma — prima ancora — fedeltà al piano di salvezza e

all’incarnazione … luogo non è solo una realtà a cui adattare, pastoralmente, il messaggio, ma una

3 H. LEGRAND, Inverser Babel, mission de l’Église, in Spiritus 11 (1970) 334.

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realtà da assumere per capire il messaggio: non solo fatto pastorale ma luogo di maturazione della

fede e di elaborazione teologica»4.

Tuttavia, poiché la Chiesa di Dio in Cristo Gesù è certamente la comunità che vive in un luogo ma

non, essenzialmente, una comunità determinata dal luogo in cui vive bensì dalla sua appartenenza a

Cristo, i testi del Vaticano II, pur usando l’espressione «Chiesa locale», le uniscono, talvolta alterna-

tivamente e talvolta come sinonima, l’espressione di «Chiesa particolare»5. La sua analisi aiuterà a

comprendere ciò che essa aggiunge a quanto è già incluso nell’espressione «Chiesa locale».

(III) La Chiesa particolare

Il testo conciliare più eloquente in proposito è il terzo capitolo della costituzione Lumen gentium,

dove l’espressione Chiesa particolare designa certamente una comunità episcopale, ossia una Chiesa

retta da un vescovo con la cooperazione del suo presbiterio e, perciò, la diocesi. Si tratta di LG 23,

dove si parla delle relazioni dei vescovi in seno al collegio episcopale, e di LG 27, dove si espone

l’ufficio proprio dei vescovi di reggere «le Chiese particolari a loro affidate, come vicari e legati di

Cristo». La stessa terminologia è adottata dal n. 11 del decreto Christus Dominus sul ministero pa-

storale dei vescovi, in un passaggio che sarà poi integralmente ripreso dal Codice di Diritto Canoni-

co per designare la diocesi6. Vi si dice, infatti, che

«la diocesi è la porzione del popolo di Dio, che è affidata alle cure pastorali del vescovo coadiuva-

to dal suo presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui per mezzo del vangelo e della

santissima eucaristia unita nello Spirito Santo, costituisca una Chiesa particolare, nella quale è ve-

ramente presente e operante (vere inest et operatur) la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apo-

stolica».

Come si vede nel definire una Chiesa particolare il Vaticano II porta l’attenzione su due elementi

precisi: la populi Dei portio e la persona del vescovo, strettamente congiunta alla realtà del presbite-

4 B. MAGGIONI, La chiesa locale nella Scrittura, in Vita e Pensiero 54 (1971) 240.

5 Per la questione se tali elementi culturali possano essere ritenuti elementi costitutivi caratterizzanti una Chiesa locale,

cfr. D. VALENTINI, Il nuovo Popolo di Dio in cammino. Punti nodali per un’ecclesiologia attuale, LAS, Roma 1984, 49-

68; J.A. KOMONCHAK, Chiesa locale e Chiesa cattolica. La problematica teologica contemporanea, in Chiese locali e

cattolicità, a cura di LEGRAND - MANZANARES - GARCIA Y GARCIA, EDB, Bologna: 1994, 433-457. 6 La scelta del CIC del 1983 supera le fluttuazioni terminologiche del Vaticano II e designa con l’espressione «Chiesa

particolare» unicamente la Chiesa diocesana. Si deve ritenere tale scelta come una soluzione di fatto, nonostante abbia

avuto tra i suoi principali promotori H. DE LUBAC (cfr. Les Églises particulieres dans l’Église universelle, Aubier, Paris

1971). I teologi preferiscono l’espressione «Chiesa locale». Sulla questione cfr. G. ROUTHIER, «Église locale» ou «Égli-

se particulière»: querelle sémantique ou option théologique?, in Studia Canonica 25 (1991) 277-334. Si veda come

J.M.R. TILLARD, L’Église locale. Ecclésiologie de communion et catholicité, Cerf, Paris 1995, si muove esplicitamente

nel senso della preferenza per «Chiesa locale», con cui indica la Chiesa presieduta dal vescovo, ossia la diocesi. Difen-

de, invece, la scelta lessicale e teologica di de Lubac e del CIC, G. CHANTRAINE, «La corrélation radicale» des Églises

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rio, cui essa è affidata. Pare quasi di risentire l’espressione di Cipriano: «La Chiesa è formata dal

popolo unito al suo vescovo e dal gregge che resta fedele al suo pastore» (Epist. 66,8: PL 4, 419).

Nel testo non si fa esplicita menzione di un determinato territorio. Questa assenza ha un suo signifi-

cato, che tuttavia non dev’essere sopravvalutato. Aiuta a capire, infatti, che, diversamente da quanto

farebbe pensare l’etimologia greca della parola, la diocesi non è per nulla un distretto amministrati-

vo della Chiesa universale. Essa, invece, è una comunità nella quale sono in primo piano i rapporti

personali tra una comunità di battezzati che professano la stessa fede cattolica e il suo pastore. Egli,

quale principio e fondamento visibile della communio di questa porzione del popolo di Dio, rende la

stessa un soggetto ecclesiale.

Per la costituzione di una Chiesa particolare il territorio, a differenza della Parola e del sacramento,

ha solo una funzione determinativa. Tuttavia la sua presenza non è priva d’importanza. Sembra per-

tinente in proposito l’osservazione di Legrand circa il fatto che, se la Chiesa locale diocesana si or-

ganizzasse su un principio diverso da quello territoriale, apparirebbe piuttosto come un “club”, i cui

membri si cooptano secondo la razza, la lingua, la classe sociale o altre qualità comuni. La territo-

rialità, invece, segnalata anche dalla presenza di precisi confini geografici che delimitano una Chie-

sa locale diocesana, è segno e insieme garanzia di cattolicità. Essa aiuta a capire la natura di “con-

vocazione” propria della Chiesa che raduna un popolo da ogni tribù, lingua, popolo e nazione, rea-

gendo efficacemente alla sfida delle divisioni umane di ordine culturale, sociale e politico7.

In verità, l’aggettivo «particolare» applicato alla Chiesa non appare, a un primo sguardo, molto feli-

ce. Esso, difatti, potrebbe essere frainteso in senso spaziale-quantitativo, facendo così pensare alla

diocesi come a una “parte” geografica all’interno di una più grande realtà che, in questo caso, sareb-

be la «Chiesa universale». Così malintesa la diocesi o Chiesa particolare altro non sarebbe che una

circoscrizione territoriale della Chiesa universale (in questo caso nel senso di “mondiale”) o una

parte separata di una grande struttura amministrativa, alla maniera di una determinata regione che è

una circoscrizione territoriale all’interno di uno Stato. In realtà, le cose stanno ben diversamente.

particulières et de l’Église universelle chez Henri de Lubac, in Ecclesia Tertii Millenni Advenientis. Omaggio al P. An-

gel Antón, Piemme, Casale Monferrato (Al.) 1997, 68-85. 7 Cfr. H. LEGRAND, La realizzazione della Chiesa in un luogo, art. cit., 178. Occorre, dunque, distinguere fra la struttura

essenziale di una Chiesa particolare, che comprende tutto ciò che le deriva per istituzione divina (iure divino), e la sua

figura concreta e mutevole o la sua organizzazione (ad esempio, all’interno di precisi confini territoriali), che può varia-

re. Di diritto divino è la Chiesa particolare, non una singola diocesi. Rimane il fatto, però, che «la struttura essenziale è

sempre implicata in una figura concreta, senza la quale non potrebbe sussistere. Per questo motivo la figura concreta non

è neutra nei confronti della struttura essenziale che deve poter esprimere con fedeltà ed efficacia, in una determinata si-

tuazione» (cfr. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, documento Temi scelti di ecclesiologia, 7 ottobre 1985,

5.1: EV 9/1712).

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Quando, infatti, il testo conciliare definisce la diocesi, tralascia volutamente il termine partem e im-

piega deliberatamente, anche per una maggiore corrispondenza con il linguaggio teologico, quello di

portionem. Con questo termine vuole designare una parte che conserva tutte le qualità e proprietà

dell’insieme. Così inteso, il termine portio dice che la Chiesa particolare è la presenza e la manife-

stazione integrale del mysterium Ecclesiae. Questo esser-ci della Chiesa tutta nella Chiesa particola-

re fa sì che questa sia veramente Chiesa, senza che, per questo, venga abolita la sua distinzione ri-

spetto al tutto, presente in essa. È precisamente questo il mistero della Chiesa particolare: il mistero

della presenza del tutto nella parte, pur restando quest’ultima parte del tutto. È questo il senso pri-

mo dell’espressione «Chiesa particolare».

Che, dunque, riguardo all’epifania del mistero della Chiesa, si parli di «chiesa locale» o di «chiesa

particolare», non pare eccessivamente rilevante. Il punto di riferimento è sempre e comunque il mi-

stero della Chiesa, che massimamente si esprime nella sacra sinassi, ossia nella celebrazione della

divina eucaristia, che vede l’adesione del popolo al suo pastore. I termini «locale» e «particolare»

servono non già come sostantivi bensì come qualificativi, la cui portata semantica non è alternativa

né concorrenziale ma complementare. Per questo, pur avvertiti della scelta linguistica fatta dal CIC,

noi useremo indistintamente sia Chiesa locale sia Chiesa particolare, nella convinzione che gli ag-

gettivi «locale» e «particolare» servono a qualificare la concreta realizzazione della Chiesa. Il primo

dice che la Chiesa di Cristo è sempre Chiesa che si realizza in un luogo, ossia in uno spazio umano;

il secondo specifica che ogni realizzazione locale non divide e non moltiplica la Chiesa giacché cia-

scuna è da intendersi non già come pars in toto bensì come pars pro toto8.

Ciò, evidentemente, alle condizioni enumerate da Christus Dominus 11, ossia la docilità all’azione

dello Spirito, l’accoglienza del vangelo, la celebrazione dell’eucaristia e la presenza del ministero

della successione apostolica9.

(IV) La Chiesa universale come «communio Ecclesiarum»

Quanto detto sin qui non conduce per nulla a una concezione autarchica della Chiesa particolare.

Per quanto, infatti, in ciascuna di esse sia veramente presente la Chiesa di Cristo, ciò non significa

che ogni Chiesa particolare sia la Chiesa intera o che essa sia tutta la Chiesa di Dio. Questo si dirà

8 Cfr. F. GUILLEMET, Théologie des conférences épiscopales. Une herméneutique de Vatican II, Médiaspaul, Montréal

1994, 131-143. 9 Sulla tipologia delle Chiese particolari descritte dal CIC, cfr. A. LONGHITANO, Le Chiese particolari, in Chiesa parti-

colare e strutture di comunione, EDB, Bologna 1985, 30-35. L’espressione «Chiesa particolare» è utile al CIC per inse-

rire nella nozione anche realtà come le prelature personali, abbazie territoriali, vicariati apostolici ecc.

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non semplicemente per il fatto che esistono pure altre Chiese particolari, ma soprattutto perché gli

elementi che costituiscono ogni Chiesa particolare la collocano essi stessi in relazione strutturale

con le altre Chiese particolari. Lo Spirito Santo, difatti, offre i suoi doni ben al di là dei confini di

una diocesi, il Vangelo non è sua proprietà e l’eucaristia la inserisce nel corpo indivisibile di Cristo.

Anche il ministero episcopale ha un’indole collegiale ed è tale da non permettere alcuna concezione

autonoma delle Chiese particolari, cui è preposto.

La Chiesa particolare è, dunque, strutturalmente rinviata alla comunione con le altre Chiese ed è

proprio la comunione di tutte le Chiese particolari, unite nel mondo intero in virtù della celebrazio-

ne della stessa Parola e degli stessi sacramenti sotto il ministero dei successori degli apostoli, che

assume il nome di Chiesa universale. Essa è «l’universale comunità dei discepoli del Signore, che si

fa presente e operante nelle particolarità e diversità di persone, gruppi, tempi e luoghi»10

.

Essendo una comunione, la Chiesa universale non può essere concepita come la somma delle Chiese

particolari, né come una loro confederazione o giustapposizione. È dunque da escludere l’unila-

teralità ecclesiologica di chi pensa che sia prima esistita la Chiesa particolare, quale soggetto com-

pleto in se stesso, e che soltanto dopo, a motivo del riconoscimento reciproco delle Chiese particola-

ri, sia risultata la Chiesa universale. Per la medesima ragione neppure le Chiese particolari possono

essere considerate come il risultato di un frazionamento di una Chiesa universale supposta anteriore

ad esse. In realtà, una Chiesa universale anteriore, o supposta come esistente in se stessa, al di fuori

delle Chiese particolari, non è altro che un ente di ragione11

.

Fin dal suo primo momento di apparizione nella storia la Chiesa si caratterizza, invece, per una re-

lazione costante di mutua interiorità tra universalità e località. Il NT, infatti, presenta così il volto

dell’originaria Chiesa di Gerusalemme nel giorno di Pentecoste. Qui l’unica Chiesa di Cristo si ma-

10 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, lettera Communionis notio, 28 maggio 1992, n. 7: EV 13/1784. Per

l’interpretazione del documento si veda il commento non firmato ne L’Osservatore Romano (23 giugno 1993), 1.4. Se-

gnaliamo che il Vaticano II adopera due diverse espressioni per indicare ciò che noi chiamiamo “chiesa universale”:

“ecclesia universalis” (25 volte) e “universa ecclesia” (23 volte). La seconda espressione indica la chiesa intera,

l’insieme di tutti i cristiani; la prima rimanda invece tanto a un soggetto chiesa localizzato quanto anche al soggetto col-

lettivo ovunque diffuso. 11

Cfr. DE LUBAC, Les églises particuliéres, op. cit., 54. E in proposito non vale affermare come Valentini riferirsi al di-

segno eterno di Dio prima della creazione: «dato che tutto ciò che è in Dio, dunque anche il suo pensiero è ontologico, il

disegno eterno di Dio circa la Chiesa di Cristo ha una sua esistenza ontologica; dato che questo disegno è anteriore

all’esistente storico (…), questo disegno eterno di Dio ha una priorità ontologica sull’esistente storico … Ci pare che

l’obiezione di platonismo per tale posizione non sia sostenibile»: D. VALENTINI, Chiesa universale e Chiesa locale:

un’armonia raggiunta?, in A.T.I., La Chiesa e il Vaticano II. Problemi di ermeneutica e recezione conciliare, a cura di

M. Vergottini, Glossa, Milano 2005, 183-239, qui 235. Orbene, a mio avviso questa è una tipica posizione platonica,

che pensa un universale ante rem. Secondo Tommaso, che su questo segue Aristotele, un’idea divina non è una realtà

ontologica distinta da Dio; lo diviene solo quando comincia ad esistere “extra causas”.

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nifesta simultaneamente come locale e come universale. Essa è locale, perché i «circa centoventi»

fratelli della Chiesa nascente sono riuniti in uno stesso luogo ( : At 2,1.44; cfr. 1Cor

11,20). Tuttavia essa è pure universale, perché quella che si mostra nel giorno pentecostale non è af-

fatto una portio populi Dei (e quindi non è una Chiesa particolare, nel senso attuale della espressio-

ne), bensì la universalis Ecclesia, che parla tutte le lingue e tutte, nell’amore, comprende (cfr. AG

4). Le due dimensioni della località e dell’universalità coincidono, dunque, pienamente in questa

condizione originaria della Chiesa, che è unica e irripetibile. Legata al suo momento fondativo, essa

ha i caratteri dell’ephapax, vale a dire dell’una volta per sempre, e, perciò, progetta normativamente

tutta la vita della Chiesa sino alla fine dei tempi. Da allora in avanti la Chiesa, fondata in una «prima

Chiesa» denominata perciò «Chiesa-madre», si espanderà e metterà radici nel mondo intero. Nel

giorno stesso della Pentecoste il numero dei discepoli aumenterà subito di circa tremila persone (cfr.

At 2,41) e, mediante la predicazione apostolica, continuerà a espandersi per addizione di nuovi

membri: «Il Signore aggiungeva ogni giorno coloro che saranno salvati» (At 2,47). L’unico gruppo

di quelli che erano stati col Signore sin dall’inizio aumenterà e si diffonderà su tutta la terra, spinto

dalla forza missionaria dello Spirito. Il libro degli Atti traccia idealmente il percorso espansivo della

Chiesa fuori di Gerusalemme. Nello svilupparsi della missione sono fondate le Chiese, tutte comu-

nicanti alla pienezza del dono fatto alla Chiesa-madre di Gerusalemme.

Partecipando della sua grazia, prenderanno dunque consistenza le diverse Chiese locali, ma sarà

sempre l’unica Chiesa di Cristo ad accrescersi e a diffondersi. Tutte queste comunità sparse nel

mondo, portando in se stesse l’immagine o — potremmo dire — la grazia di quella prima Chiesa e

ultimamente fondate nella medesima eucaristia, lungi dall’essere frammentate e divise in molteplici

parti, sono invece compaginate nell’unico corpo di Cristo12

. Per questo il Vaticano II ne parla come

di un corpus Ecclesiarum (LG 23b), intendendo così che tutte le Chiese particolari formano come

un corpo, ossia un tutto organico e articolato13

.

Questa comunione di Chiese ha come proprio elemento connettivo non soltanto elementi giuridici o

morali ma vincoli teologali, che possono essere richiamati a partire dal testo di Ef 4,4-6.

Nella prassi della chiesa antica, dove l’autorità ecclesiastica rilasciava le lettere di comunione e de-

cideva se le lettere che le pervenivano erano da accettarsi o meno, si vede chiaramente come la

communio che lega nella Chiesa universale le diverse Chiese particolari non era per nulla intesa co-

12 Cfr. LG 23. Sull’ephapax della prima Chiesa cfr. J.M.R. TILLARD, L’Église locale, 29-42.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

10

me «un certo vago “affetto” bensì come una “realtà organica”, che richiede forma giuridica e insie-

me è animata dalla carità»14

. La communio Ecclesiarum o la comunione universale della Ekklesia

tou Theou è, infatti, al tempo stesso una realtà sacramentale, perché fondata sull’eucaristia, e anche

una istituzione giuridica, giacché l’incorporazione e l’esclusione erano sempre fatte dall’autorità15

.

Così strutturata dall’intima connessione del sacramentale e del giuridico, la communio Ecclesiarum

ha come momento emergente la comunione dei vescovi di ogni Chiesa particolare, a sua volta fon-

data nel legame che singolarmente tutti li congiunge nel collegio episcopale cui, unitamente al suo

capo, è affidata la cura della Chiesa universale. L’unità dell’eucaristia e l’unità dell’episcopato cum

et sub Petro sono la radice sacramentale-istituzionale, che sostiene la realtà della Chiesa universale

quale communio Ecclesiarum e ne fanno, con le Chiese particolari, l’altro polo nel quale si manife-

sta il mysterium Ecclesiae.

(V) Chiesa universale e Chiese particolari

L’unico mysterium Ecclesiae si attua e si manifesta con distinte modalità tanto nelle Chiese partico-

lari quanto nella Chiesa universale. L’affermazione comporta la questione del loro reciproco rappor-

to. Infatti, l’accordo esistente riguardo alla reciproca inerenza di Chiesa universale e particolare non

ha impedito che nella riflessione teologica si continuasse a porre la domanda circa la priorità

dell’una o dell’altra. Esaminando le varie teorie al riguardo Joseph A. Komonchak avverte che

l’attribuzione della priorità alla Chiesa universale intende sottolineare, a seconda dei casi, che la

Chiesa locale dipende dalla Chiesa universale; oppure che questa ha un’assoluta preminenza e prio-

rità ontologica ed è causa esemplare, efficiente e finale della Chiesa locale; o che soltanto la Chiesa

universale è il generale sacramento di salvezza ed è assicurata per essere indefettibile e infallibile; o

che essa precede nel tempo le Chiese locali. D’altra parte c’è chi, difende la priorità della Chiesa lo-

cale in ragione del dinamismo di origine della chiesa e della natura dei suoi elementi costitutivi: la

Parola annunciata e l’eucaristia, che operano solo in luogo determinato. Valutando le differenti po-

sizioni, Komonchak osserva che l’intera questione è in realtà congiunta a specifiche preoccupazioni

per i bisogni e le sfide contemporanee. In concreto, se la scelta a favore della priorità della Chiesa

locale è motivata dal proposito di presentare un volto più accessibile e immediato della Chiesa dove

13 «La Chiesa universale è perciò il corpo delle Chiese, per cui è possibile applicare in modo analogico il concetto di

comunione anche all’unione delle Chiese particolari, e intendere la Chiesa universale come una comunione di Chiese»:

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Communionis notio, n. 8: EV 13/1785. 14

SEGRETARIO GENERALE DEL CONCILIO VATICANO II, Nota explicativa praevia, 16 novembre 1964, n. 2.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

11

tutti si sentono chiamati alla corresponsabilità, l’altra opzione, che assegna la priorità alla Chiesa

universale, esprime di solito l’interesse che l’unità della Chiesa non risulti compromessa da forme

varie di particolarismo e non rimanga indebolita l’autorità del papa. La legittimità delle preoccupa-

zioni esclude un’opzione alternativa16

. Una via di soluzione può trovarsi nella breve ma geniale

formula ecclesiologica usata dal Vaticano II, con la quale si mette in luce la comunicazione od o-

smosi o reciproca immanenza che vige tra la Chiesa particolare e la Chiesa universale:

«Le Chiese particolari sono “formate a immagine della Chiesa universale e in esse e da esse (in

quibus et ex quibus) è costituita l’unica Chiesa cattolica”» (LG 23).

La formula è geniale, ma rimarrebbe un semplice espediente verbale se non la si esaminasse atten-

tamente nelle sue varie parti. Con essa il concilio afferma anzitutto che le Chiese particolari sono ad

imaginem Ecclesiae universalis formatis. Nell’interpretazione di questo asserto è senz’altro da e-

scludere l’idea che il testo voglia ravvedere nella Chiesa universale una specie di forma platonica

sussistente che preesiste cronologicamente alle Chiese particolari e che poi si riflette, impoverita,

nella realtà storica. Sembra, invece, si debba dire che l’attuazione del mysterium Ecclesiae è il punto

di riferimento assiologico per le Chiese particolari, il loro analogatum princeps. In quanto pars pro

toto, la Chiesa particolare non possiede alcuna autocefalia radicale, dovendosi, per ragioni ad essa

interiori, necessariamente aprire alla communio Ecclesiarum e vivere in essa17

. Il richiamo alla si-

tuazione unica e irripetibile della Chiesa-madre di Gerusalemme sembra abbastanza eloquente per

farci dire che non esiste un prius cronologico da parte di una delle due grandezze, in virtù di cui

l’una sarebbe una derivazione dell’altra18

.

15 Cfr. L. HERTLING, Communio. Chiesa e papato nell’antichità cristiana, PUG, Roma 1961; J. RATZINGER, La Chiesa.

Una comunità sempre in cammino, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991, 60-68. 16

KOMONCHAK, Chiesa locale e Chiesa cattolica, art. cit., 441-446. Dello stesso autore si veda anche: À propos de la

priorité de l’Église universelle: analyse et questions, in Nouveaux apprentissages pour l’Église, Mélanges H. Legrand,

ed. G. Routhier et L. Villemin, Cerf, Paris 2006, 245-268. 17

Ciò appare chiaramente nel testo analogo di AG 20, dove il portare l’immagine della Chiesa universale è visto non più

soltanto come un dono ma anche come un compito della Chiesa particolare: «La chiesa particolare, dovendo rappresen-

tare nel modo più perfetto la chiesa universale …». Komonchak interpreta l’espressione «immagine della Chiesa univer-

sale» come un riferimento «ai principi generatori della Chiesa che possono essere descritti formalmente o euristicamen-

te, ma che sono solo concretamente universali in quanto effettivamente generatori di Chiese», KOMONCHAK, Chiesa lo-

cale e Chiesa cattolica, art. cit., 440, nota 23. 18

La lettera Communionis notio della CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, al n. 9 afferma che la Chiesa uni-

versale «è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare»: EV 13/1787. Al ri-

guardo, però, un commento non firmato su L’Osservatore Romano del 23 giugno 1993 spiega che tale priorità è affer-

mata per negare la concezione secondo cui la Chiesa universale sarebbe da intendersi come la somma o la confederazio-

ne delle Chiese particolari e, di conseguenza, come una realtà astratta contrapposta alla realtà concreta che sarebbe la

Chiesa particolare; e che per intendere bene la priorità cronologica di cui parla la lettera bisogna avere come punto di

riferimento la Chiesa-mistero e la Chiesa manifestatasi nel giorno di Pentecoste.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

12

D’altra parte, dal momento che la Chiesa particolare non è una semplice parte della Chiesa univer-

sale, e che in essa è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e aposto-

lica, è pure possibile dire che la Chiesa universale è costituita dalle Chiese particolari e nelle Chiese

particolari. In altre parole, la Chiesa universale trova la sua esistenza concreta ed è presente (in qui-

bus) nelle Chiese particolari, le quali, a loro volta, sono la sua base (ex quibus) storica. Chiesa parti-

colare e Chiesa universale, dunque, non si contrappongono fra loro ma sono entrambe, con modalità

differenti, realizzazione del medesimo mysterium Ecclesiae.

Al riguardo si ricorderà che, fra le 25 ricorrenze dell’espressione universalis Ecclesia presenti nei

documenti conciliari, vi è almeno un testo in cui essa non è certamente riconducibile alla Chiesa an-

cora pellegrina nella storia e diffusa su tutta la terra. Si tratta di LG 2, dove l’espressione «Chiesa

universale» ha un chiaro significato misterico e ciò all’interno di quella grandiosa visione, secondo

cui la Chiesa appartiene alla storia della salvezza e a ogni sua fase, dalla protologia all’escatologia.

Prefigurata dal principio del mondo, la Chiesa «otterrà il suo compimento nella gloria alla fine dei

secoli» quando tutti i giusti «saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa universale».

Per la mutua inabitazione che tale rapporto include è possibile dire che le Chiese particolari sono

costituite nella e a partire dalla Chiesa universale. È ad ogni modo evidente che la natura misterica

di questo rapporto tra Chiesa universale e Chiese particolari «non è paragonabile a quello tra il tutto

e le parti di qualsiasi gruppo o società puramente umana»19

. In ultima analisi:

«il vero confronto non può essere tra la Chiesa universale e la singola Chiesa locale, ma tra la

Chiesa universale e la comunione di tutte le Chiese locali. In questa prospettiva, la Chiesa univer-

sale non trascende la comunione delle Chiese locali: essa è quella comunione. Per questo motivo,

la Chiesa universale non costituisce un soggetto distinto per esistenza, attribuzione o attività; essa

non esiste “prima” delle Chiese locali e non “distribuisce” le sue caratteristiche alle Chiese locali

più di quanto queste ultime non “prendano parte” ad essa. Le affermazioni sulla Chiesa universale

sono vere solo nella misura in cui esse vengono verificate nelle Chiese locali... solo dentro e attra-

verso di esse essa è anche una, santa, cattolica, apostolica, indefettibile, impegnata nella sua mis-

sione ecc.»20

.

19 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Communionis notio, 9: EV 13/ 1789.

20 KOMONCHAK, Chiesa locale e Chiesa cattolica, art. cit., 444-445. Sulla questione si è acceso a cavallo del millennio

una controversia fra J. Ratzinger (cfr. L’ecclesiologia della Lumen gentium, in Il Regno/Documenti XLV (2000/7) 233-

238, qui 235) e W. Kasper (Das Verhältnis von Universalkirche und Ortskirche. Freundschaftliche Auseinandersetzung

mit der Kritik von Joseph Kardinal Ratzinger, in Stimmen der Zeit, dic. 2001, 795-804). Si veda la sintesi del dibattito

in K. MCDONNELL, The Ratzinger/Kasper Debate: The Universal Church and Local Church, in TS 63 (2002) 227-250

e, più diffusamente, in A. BUCHENMAIER, Universale Kirche vor Ort. Zum Verhältnis von Universalkirche und Ortskir-

che, Verlag Friedrich Pustet, Regensbug 2009.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

13

2. Chiesa “sacramento” della salvezza?

(I) Il recupero della tradizionale categoria di Chiesa «sacramento» prima del Vaticano II

Il Concilio Vaticano II, allo scopo di determinare la relazione specifica con l’azione salvifica Dio

nei confronti del mondo, descrive la Chiesa con il termine sacramentum, usato dieci volte: LG

1.9.48.59; SC 5.26; GS 42.45; AG 1.5 (cfr. anche: «ausilio generale della salvezza»: UR 3), perché

«[Gesù Cristo] risorgendo dai morti (cfr. Rm 6,9) infuse negli Apostoli il suo Spirito vivificante,

mediante il quale costituì la Chiesa che è il suo corpo, quale sacramento universale di salvezza» (LG

48). Si tratta di una importante descrizione della Chiesa, vista la storia stessa della incorporazione di

questo concetto nel testo conciliare, incorporazione radicata nella tradizione patristica e nella teolo-

gia più recente. La sua novità, inoltre, è data dal fatto che per la prima volta in un concilio viene ap-

plicata la parola «sacramento» a una realtà non liturgico-cultuale, e quindi legata più alla cristologia

che alla sacramentaria: per questo LG 1 premette l’avverbio «come» (veluti) alla parola «sacramen-

to» in quanto si tratta di applicarlo a una comunità di persone.

In effetti, il concetto di sacramento viene applicato alla Chiesa a partire dalla espressione mysterion

che ricorre in particolare nella lettera agli Efesini: «questo mistero [mysterion, nel testo greco; sa-

cramentum, nella versione latina] è grande, ma io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa»

(5,32; cf. 1,9s.; 3,3s.9s.; 6,19). Mysterion si riferisce al piano salvifico di Dio, così come è stato ri-

velato in Cristo e nella Chiesa (cfr. anche Col 1,26; 2,2; Rm 16,25s), ed è qui che poggia il nucleo

costitutivo della Chiesa come dispiegamento del mysterion paolino. Dato, quindi, che nelle antiche

versioni latine la parola mysterion veniva tradotta con sacramentum, risultava ovvio chiamare sa-

cramentum la Chiesa e lo stesso Cristo (mysterion si traduce sacramentum in Ef 1,9; 3,3.9; 5,32;

Col 1,27; 1Tm 3,16; nelle altre ricorrenze si fa una traslitterazione nella forma latina di mysterium).

La prima testimonianza orientale che abbiamo è quella della Didaché 11,11 (70 d.C.), che parla del

«mistero terreno della Chiesa». In Occidente la prima testimonianza esplicita è quella di Cipriano (†

258), il quale parla del «sacramento della unità» (De unitate Ecclesiae 7, con Ep. 66, 8, citati in SC

26, e Ep. 69, 6, citato in LG 9), che presenta la Chiesa come sacramento perché la sua «realtà ulti-

ma» significata è l’unità della Trinità. Da parte sua, Agostino commentando l’economia sacramenta-

le dà prevalenza al termine «sacramento» inteso come segno sacro, e porrà Cristo come l’unico mi-

stero o sacramento (cf. Ep. 187, 9.34) e, inoltre, sarà vedendo la Chiesa come madre dei viventi che

parlerà del «sacramento della Chiesa» (XVII Q. in Matt. XI, 2) e come «grande sacramento» (De

nuptiis et concup. II, 4.12). In questa linea, una preghiera del V secolo - che ispirerà quella della set-

tima lettura della vigilia pasquale vigente - chiede a Dio che guardi benignamente «il mirabile sa-

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

14

cramento della Chiesa intera», espressione raccolta dal Concilio Vaticano II (SC 5).

La tradizione agostiniana preciserà, inoltre, il concetto di sacramento nel genere dei signa, come si-

gnum rei sacrae e così giungerà alla prima scolastica; la concezione sacramentale della Chiesa, tut-

tavia, passa in secondo ordine, anche se perdura una certa tradizione agostiniana su Cristo come

«sacramento dell’incarnazione», quale fondamento di ogni sacramentalità (così, Abelardo, Ugo di

San Vittore, Pietro Lombardo, Uguccione). Sarà questo l’orientamento di Tommaso, quando affer-

ma che «il sacramento assomiglia in qualche modo al Verbo incarnato» (STh. III, q. 60, a. 6c.), e

sottolinea che Gesù Cristo è lo «strumento proprio e congiunto» della divinità, mentre gli altri segni

di salvezza sono «strumenti estrinseci e separati» (C. gent. IV, a. 41), precisando che in senso pro-

prio può esserci un solo sacramento, perché c’è solo una forza divina e solo una passione di Cristo:

per questo, Cristo sarebbe l’unico sacramento, il quale agisce attraverso i diversi sacramenti (cf.

STh. III, q. 65, a. 1). In termini analoghi, Lutero ricorderà significativamente che «la Scrittura cono-

sce un solo sacramento: Cristo, il Signore» (WA 6, 86, 5ss.) dal quale derivano i segni sacramentali.

Già nel Concilio Vaticano I si trovano indizi di una visione sacramentale della Chiesa: quando tratta

della credibilità della fede cattolica, il concilio elimina le teorie che ricorrevano essenzialmente

all’esperienza interiore, per affermare invece il valore duraturo dei segni esterni, e richiama il valore

universalmente riconoscibile di quel segno che è «la Chiesa in se stessa» come «un grande e perpe-

tuo motivo di credibilità», essendo essa «un vessillo levato tra le nazioni (cf. Is 11,12; DzH 3014)».

Questa citazione biblica sarà ripresa da SC 2; AG 36 e UR 2, ma si noti che il Concilio Vaticano II,

quando descrive la Chiesa come sacramento, usa come prima spiegazione del suo significato esat-

tamente la parola «segno», anche se con una sfumatura importante: dove il Vaticano I usa

l’espressione «essa stessa come segno» in chiave apologetica, il Vaticano II la sfuma con un riferi-

mento cristologico in questo modo: «in Cristo come un sacramento o segno» (LG 1)21

.

Oltre a ciò, due elementi di riflessione teologica favorirono la formulazione progressiva della teolo-

gia della Chiesa come sacramento. In primo luogo, viene approfondita l’analogia tra Cristo come

Verbo incarnato e la Chiesa, in quanto anche la Chiesa è in certo qual modo divina e umana, e ha

una funzione analoga a quella dell’umanità di Cristo come strumento della divinità. Su questa linea

Leone XIII parla della convenienza che la salvezza segua la logica dell’incarnazione e questo paral-

lelismo tra cristologia ed ecclesiologia emerse con forza soprattutto nell’anniversario del dogma

21 cf. S. PIÉ-NINOT, La teologia fondamentale. «Rendere ragione della speranza» (1Pt 3,15), Queriniana, Brescia 2006

3,

487-492.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

15

calcedonese, nel 195322

. In secondo luogo, si consolida l’affermazione della Chiesa come mediatri-

ce della salvezza, affermazione volta in particolare a ridare valore all’istituzione visibile, obiettivo

cui diede un posto preminente Pio XII con la Mystici Corporis (1943) in una formulazione che in

certo qual modo anticipava LG 1; questo testo, infatti, riprende anche la parola «strumento» per de-

scrivere la Chiesa come sacramento e lascia però trasparire un tono e una mentalità apologetici pro-

pri di quel momento, asserendo: «la Chiesa è lo strumento del Verbo incarnato nella distribuzione

dei frutti della redenzione, uno strumento valido e indefettibile» (n. 30).

In questo contesto, e a livello teologico già verso la fine del XIX secolo (J.A. Möhler, J.H. Oswald,

M.J. Scheeben) e a partire dagli anni Trenta del XX secolo, questo concetto riappare nella teologia

(C. Feckes, E. Przywara, E. Mersch, H. de Lubac, e già con la terminologia di Cipriano23

). Succes-

sivamente, Otto Semmelroth parla di Ursakrament (sacramento originario) e, dopo il Concilio Vati-

cano II, preferisce Würzelsakrament (sacramento radicale o fontale24

); da parte sua, Karl Rahner ap-

plicherà anche alla Chiesa l’espressione «protosacramento» (Ursakrament)25

, per differenziarla dai

sette sacramenti come «sacramento radicale e fondamentale» (Würzel- o Grundsakrament)26

, mentre

Y. Congar ispirerà l’espressione «sacramento universale di salvezza»27

, che ricorre tre volte nel

Concilio Vaticano II (LG 48; AG 1; GS 45).

Si noti che l’aspetto analogico dell’uso di «sacramento» risulta chiaro dall’aggiunta della precisa-

zione modale «come sacramento» (LG 1), vale a dire, a modo di sacramento, per ricordare che qui il

termine viene usato in un senso diverso da quello che ha nell’affermazione del concilio di Trento

secondo la quale esistono soltanto sette sacramenti istituiti da Cristo (DzH 1601; per questo B. Ghe-

rardini preferisce l’espressione «Chiesa sacramentale»28

). D’altronde, si parte dall’idea che la «sa-

cramentalità» della Chiesa ha le sue radici nel fatto che essa è mediatrice universale della salvezza,

tenendo presente la duplice dimensione dei sacramenti quali «causa» e «segno» (significando cau-

sant: STh. Suppl. q. 29, a 2c, e concilio di Trento: DzH 1606). Così per LG 1, per un verso, la Chie-

sa-sacramento è «segno» come espressione storico-simbolica del dono concreto di Dio (prospettiva

di J.A. Möhler e soprattutto di K. Rahner con H. Vorgrimler) che ricorda, seppure in un contesto di-

22 Cf. Y. CONGAR, Dogma cristologico ed ecclesiologico. Verità e limiti di un parallelismo, in Santa Chiesa. Saggi ec-

clesiologici, Morcelliana, Brescia 1967, 65-98. 23

Y. CONGAR, Chrétiens désunis, Cerf, Paris 1937, 108. 24

Cfr. Mysterium Salutis, vol. 7, Queriniana, Brescia 1972, 437. 25

Cfr. Chiesa e sacramenti, Morcelliana, Brescia 1969, 13-21. 26

Cfr. Corso fondamentale sulla fede, Paoline, Alba 1977, 522-523. 27

Il mistero della Chiesa, Edizioni Romane Mame, Roma 1961, 64. 28

La Chiesa è sacramento, PUL, Roma 1976, 100.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

16

verso, l’uso del Concilio Vaticano I (DzH 3014) della Chiesa come «segno», privilegiandone in tal

modo il carattere manifestativo; allora, per altro verso, LG 1 afferma il carattere mediatore di questa

Chiesa-sacramento quale «strumento» che comunica la presenza del dono di Dio (prospettiva priori-

taria per É. Mersch, O. Semmelroth e A. Antón), formula che recupera in una cornice più ampia il

termine «strumento» che nella Mystici Corporis, n. 30, è applicato alla Chiesa29

.

(II) Chiesa «sacramento» al Concilio Vaticano II

A. Contesto previo ai testi definitivi. Per quanto riguarda la SC, il primo luogo dove il tema appare è

lo schema della commissione liturgica preparatoria del 10 VIII 1961, in cui si afferma che la Chiesa

è «sacramento» e si citano le opere di P. Broutin, Mysterium Ecclesiae (1947) e di O. Semmelroth,

La Chiesa come sacramento originario (19552). Si fa riferimento a Cristo-sacramento e si cita l’o-

pera di E. Schillebeeckx, Cristo sacramento dell’incontro con Dio (1960), anche se si fa notare che

nel testo conciliare proposto il riferimento a Cristo non viene incluso «per non creare difficoltà»30

.

Questo schema previo passò fondamentalmente nel testo conciliare definitivo, sicché la qualifica-

zione della Chiesa come «sacramento» appare due volte e sempre con una citazione patristica. Da

un lato, in SC 5 si afferma che «dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sa-

cramento», espressione riferita sia ad Agostino (In Ps. 138, 2), e riportata già dall’enciclica di Leone

XIII Divinum illud munus (AAS 29 [1896] 649), sia alla preghiera citata del V secolo che chiede a

Dio di guardare benignamente «il mirabile sacramento di tutta la Chiesa». Dall’altro lato, in SC 26

si dice che «le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacra-

mento dell’unità”», espressione riferita a Cipriano (De unitate Ecclesiae 7; cfr. Ep. 66, 8, 3).

Per quanto riguarda la LG, è il testo preparatorio del 1963, base per il testo definitivo del 1965,

quello in cui ricorre in quattro occasioni la parola sacramentum riferita alla Chiesa. In questo testo

viene inclusa una nota esplicativa che diventa una presentazione formale della dottrina sulla sacra-

mentalità della Chiesa, poiché asserisce: «Sacramentum in senso ampio, o mysterium, o segno effi-

cace di salvezza si dice solennemente di Cristo in S. Agostino, in Ep. 187, 11.34; non est enim aliud

Dei mysterium (sacramentum) nisi Christus. Di frequente, nei Padri questa espressione designa tutta

l’economia salvifica che si sviluppa in diversi riti di culto nella Chiesa. Donde il fatto che la stessa

29 Cf. i due riassunti storici, il classico di L. BOFF, Die Kirche als Sakrament im Horizont der Welterfahrung : Versuch

einer Legitimation und einer struktur-funktionalistischen Grundlegung der Kirche im Anschluss an das II. Vatikanische

Konzil, Bonifatius, Paderborn 1972, e J.-M. CONGAR, La Chiesa è sacramento. 30

Secondo quanto racconta uno dei membri della commissione preparatoria, I. OÑATIBÍA, La Eclesiología en la SC, in

Costituzione liturgica: SC, Roma 1986, 171-182.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

17

Chiesa venga qualificata da Ireneo come “caparra di incorruttibilità, conferma della nostra fede e

scala per salire a Dio” (Adversus haereses III, 24, 1). Della Chiesa sacramento di unità, parla espli-

citamente S. Cipriano, Ep. 69, 6: “sacramento di unità inseparabile”, cfr. Ep. 55, 21. In senso stretto

esistono solo sette sacramenti istituiti da Cristo» (ASy II-I, 223s.). L’influsso della teologia tedesca e

più direttamente di K. Rahner in questa spiegazione conciliare è del tutto fuori dubbio31

. D’altra

parte resta anche chiaro l’influsso diretto di Y. Congar, redattore dei due testi chiave per l’uso della

parola sacramento: LG 1 e 9, l’ultimo dei quali cita precisamente Cipriano, Ep. 69, 632

.

B. Contesto immediato del suo uso nella LG. L’obiettivo di LG 1 è l’unità del mondo in Cristo, te-

nendo conto del fatto che «le condizioni del nostro tempo rendono più urgente questo dovere della

Chiesa: è necessario che tutti gli uomini […] raggiungano la loro piena unità in Cristo». La ragion

d’essere della Chiesa sta, quindi, nel risultato che essa in quanto sacramento produce: «l’intima u-

nione con Dio e l’unità di tutto il genere umano» (LG 1), vale a dire la filiazione da Dio e la frater-

nità universale di tutta l’umanità, espressione dell’unità tra i due maggiori comandamenti, amare

Dio e amare il prossimo (cfr. Mt 22, 34-40). Questo effetto sacramentale della Chiesa si presenta

due volte in chiave di «unità» (SC 26; LG 9), e cinque volte in chiave soteriologica con il concetto

di «salvezza» (LG 48.59; AG 1.5; GS 45).

C. L’uso della parola «sacramento» nel Concilio Vaticano II. Questo concilio si discosta

dall’insegnamento di scuola sulla teologia sacramentale e mira a una comprensione del sacramento

quale «disegno di Dio», come ricorda il relatore conciliare quando precisa che «mistero designa una

realtà divina trascendente e salvifica, che in qualche modo si rivela e si manifesta visibilmente».

Così nel Vaticano II la sua realtà sacramentale riferita alla Chiesa si manifesta attraverso queste tre

formulazioni:

1. La Chiesa come «sacramento di Cristo». Ricorre così la prima volta che appare: «dal costato

di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa» (SC 5, con la

citazione della preghiera del V secolo), e sarà l’affermazione centrale di LG 1; qui ne viene presen-

tata la finalità, con la citazione in GS 42 che specifica il contributo della Chiesa: «promuovere

l’unità (nella società umana) corrisponde, infatti, all’intima missione della Chiesa, la quale è appun-

to “in Cristo come un sacramento” (LG 1)».

31 Cf. G. WASSILOWSKY, Universale Heilssakrament Kirche. Karl Rahner Beitrag zur Ekklesiologie des II. Vatikanums,

Tyrolia, Innsbruck 2001, 330s. 32

Cf. Y. CONGAR, Diario del Concilio 2, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2005, 426.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

18

2. La Chiesa come «sacramento di unità». Appare due volte, l’una e l’altra suffragate da rife-

rimenti diretti a Cipriano, o come «sacramento di unità» (SC 26; cfr. De unitate Ecclesiae, 7; Ep.

66, 8, 3), o come «sacramento visibile dell’unità» (LG 9; cfr. Ep 69, 6). Il riferimento a Cipriano

mette in risalto il fatto che la Chiesa è sacramento la cui realtà significata è l’unità del Padre, del Fi-

glio e dello Spirito Santo, quella è la sua origine come disegno di salvezza (LG 2-4). In effetti, «è

per mezzo dei sacramenti che viene attuata la Chiesa», poiché l’Eucaristia è «fonte e culmine» che

mostra «in modo concreto l’unità del popolo di Dio» (LG 11); ciò comporta una cattolicità universa-

le ed ecumenica ( cfr. LG13; UR 3.4).

3. La Chiesa come «sacramento universale di salvezza dell’umanità e del mondo». Cinque vol-

te ricorre il qualificativo «di salvezza», come finalità e contenuto della Chiesa-sacramento con la

triplice ripetizione della formula «sacramento universale di salvezza» (LG 48), ripresa testualmente

in AG 1 e GS 45, alle quali si deve aggiungere «sacramento di salvezza» (AG 5) e «sacramento del-

la salvezza umana» (LG 59) nonché la formula analoga di «sacramento generale di salvezza» (UR

3). Inoltre, la triplice ripetizione dell’aggettivo «universale (LG 48; AG 1; GS 45) mette in risalto il

carattere unico di questa sacramentalità che viene offerta a tutta l’umanità. Per questo, nell’ultimo

riferimento del Concilio Vaticano II alla Chiesa-sacramento, si afferma che una simile comprensio-

ne è decisiva per il bene di tutta l’umanità dato che «tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offri-

re all’umanità […] scaturisce dal fatto che la Chiesa è “l’universale sacramento della salvezza”»

(GS 45, con citazione di LG 48).

(IV) La Chiesa «sacramento»: una categoria controversa

Abbiamo visto nel corso del nostro studio che la Chiesa appartiene al mistero della salvezza come

tale, come uno dei suoi elementi intrinseci. Il mistero pasquale ne è il fondamento: in esso la Chiesa

nasce come evento di salvezza destinata a portare visibilmente nel mondo, secondo la legge

dell’incarnazione, questo dono irreversibile di Dio agli uomini. Essa è evento di salvezza, perché

essa stessa appartiene all’evento di salvezza: in essa l’evento si fa istituzione e l’istituzione rimane

per grazia il luogo che «garantisce» la presenza dell’evento. Questa fede nella santità santificante

della Chiesa indefettibile, rimane malgrado tutte le manifestazioni di peccato in essa, cioè malgrado

la distanza, a volte scandalosa, tra questa santità santificante, dono di Dio che l’abita, e la sua santità

santificata, effetto ritardato della prima a motivo della resistenza peccatrice degli uomini. È per que-

sto che si può dire che la Chiesa è sacramento dell’evento fondatore, cioè segno effettivo ed efficace

del dono di Dio agli uomini. Così l’apostolicità le è essenziale, con le diverse forme di continuità

nella storia che ad essa appartengono, perché essa è il segno del suo rapporto all’evento fondatore.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

19

Sappiamo che il termine sacramento a proposito della Chiesa deve essere usato in modo analogico.

La teologia cattolica prima del Concilio lo ha adoperato per dire la natura della Chiesa mistero, con

O. Semmelroth e K. Rahner in Germania, e Y. Congar e H. de Lubac in Francia. Il Concilio l’ha ri-

preso in un senso un po’ differente, perché non dice che la Chiesa è sacramento di Dio o di Cristo,

bensì che essa è «in Cristo come un sacramento, segno e strumento dell’intima unione con Dio e

dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1); o ancora che essa è «il sacramento visibile di questa uni-

tà salutare» (LG 9); infine che essa è «un sacramento universale di salvezza» (LG 48).

Quest’uso è stato messo in questione dai teologi protestanti. In particolare in un articolo significati-

vo Eberhard Jüngel sottolinea che per Lutero l’unico e grande sacramento di Dio è il Cristo. La

Chiesa, quindi, non può essere chiamata sacramento in senso stretto, sotto pena di ricadere nella i-

dentificazione tipicamente cattolica della Chiesa al suo Signore33

.

Certamente Jüngel ha ragione nel dire che il Cristo è l’unico sacramento fondatore, cioè la potenza

attiva e originale, manifestata nel nostro mondo, di tutta l’economia sacramentale (Ur-sakrament);

la Chiesa è sacramento fondato (Jüngel propone Grund-sakrament), ciò significa che la sua attività e

la sua potenza sacramentale sono il frutto di un dono dapprima passivamente ricevuto, ma che tutta-

via le è confidato come la sorgente della sua vita e del suo agire.

Inoltre è vero pure, come osservano alcuni teologi cattolici, che quest’uso analogico di un termine

tecnico che aveva un preciso significato, rischia di sacralizzare in modo indebito tutte le istituzioni

ecclesiali come i comportamenti dei cristiani. È chiaro che non tutto nella Chiesa è sacramento (evi-

dentemente non si può attribuire alla chiesa-sacramento un’efficacia ex opere operato). Tuttavia

questo termine ha avuto nelle riflessioni ecclesiologiche di questi ultimi decenni un ruolo molto im-

portante, soprattutto nel dialogo ecumenico, ed è servito in particolare a far emergere la questione

della «mediazione» della Chiesa. Un esempio significativo in proposito lo offre il documento “Chie-

sa e giustificazione” della Commissione congiunta cattolica romana – evangelica luterana (11 sett.

1993). Il punto 4.2 del documento è espressamente dedicato alla delucidazione del tema “La chiesa,

«sacramento» della salvezza” e così presenta il punto di vista cattolico:

«Mediante il concetto di “sacramento” come segno e strumento di salvezza si esprime la missione

universale della Chiesa e la sua radicale dipendenza da Cristo. In tal modo, appare chiaramente che

né il fondamento della Chiesa né il suo fine si trovano in lei stessa; essa non esiste quindi da sé e

per sé. Solo in Cristo e attraverso Cristo, solo nello Spirito santo e attraverso lo Spirito santo, la

chiesa può comunicare efficacemente la salvezza. Questo vale anche e soprattutto quando certi teo-

logi cattolici parlano dei sacramenti come “auto-realizzazioni” (Selbstvollzüge) della Chiesa, allo

33 E. JÜNGEL, Die Kirche als Sakrament?, in ZTK 80 (1982) 432-457.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

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scopo di escludere in tal modo una comprensione puramente esteriore della Chiesa come “ammini-

stratrice” dei sacramenti, dei “mezzi della grazia”, e di esprimere un’intima affinità (non una iden-

tità) fra la Chiesa, come segno e strumento della salvezza, e i sacramenti, come segni e strumenti

della salvezza»34

.

(V) La “strumentalità” della Chiesa

Come esprime molto semplicemente il Concilio, il termine sacramento contiene insieme l’idea di

segno e di strumento. È senza dubbio sull’idea di strumentalità che si concentra la difficoltà. Certa-

mente è da riconoscere una priorità alla recettività della Chiesa sulla sua attività. Questa recettività

fonda un’attività, che non è esteriore al mistero e al dono, perché essa esercita in rapporto al dono

una causalità subordinata e seconda. Non si tratta semplicemente della necessità esterna che la Paro-

la sia annunciata e i sacramenti amministrati, ma di un legame intrinseco che fa dei gesti della Chie-

sa gli atti stessi del Cristo in ragione della sua parola: «Fate questo in memoria di me … Andate,

ammaestrate tutte le genti e battezzatele … A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati …». Il

Cristo ha affidato i suoi doni a degli uomini e ha fondato un ministero attivo, cioè un ministero che

non è di puro annuncio o di attestazione delle sue promesse, ma un ministero che pone degli atti

concreti di santificazione e di comunicazione di salvezza.

La divergenza che ancora ci separa dalla teologia di matrice protestante concerne certamente il mo-

do in cui comprendere questa causalità seconda della Chiesa in rapporto alla priorità dell’agire uni-

co di Dio nel Cristo. San Tommaso diceva dei sacramenti che essi sono degli «strumenti separati», a

differenza dello «strumento congiunto» che è l’umanità del Cristo. L’immagine è quella del corpo

umano e degli utensili di cui si serve per agire. In proposito potremmo rilevare un’analogia tra tre

causalità: ad esempio quella della mia riflessione; quella della mia mano e quella della penna. Le tre

non si situano sullo stesso piano; ma d’altra parte c’è pure una continuità: come la mia mano è in-

formata dall’intenzione del mio spirito, così la penna è interamente governata dalla mia mano. In

questa catena dinamica di causalità l’utensile gioca il ruolo di strumento, nel senso in cui si parla di

«causalità strumentale». Perché l’utensile, nella misura in cui è ben governato, ha un agire proprio.

Nessuna confusione è possibile tra ciò che fa lo spirito, ciò che fa la mano e ciò che fa l’utensile.

Tuttavia l’utensile è necessario a compiere ciò che l’uomo e la mano da soli non possono fare.

Simile è l’analogia che permette di capire che la Chiesa e i sacramenti, e quindi anche la Chiesa-

sacramento intesa qui in senso preciso, sono là per compiere attraverso la storia e il mondo ciò che

l’umanità temporale del Cristo non poteva compiere da se stessa. Certo, noi non dobbiamo dimenti-

34 Cfr. n. 122 in Enchiridion Oecumenicum III, § 1352.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

21

care anche il legame tra il segno e lo strumento, poiché la causalità della Chiesa e dei sacramenti è

precisamente quella del segno: essi sono causa in quanto segno (significando causant). Una diffe-

renza importante con l’analogia evocata viene anche dal fatto che la causalità della Chiesa è libera,

è quella della sposa. A questo titolo la Chiesa diviene soggetto dell’agire salvatore di Dio nel Cristo,

non nel senso che essa aggiungerebbe una causalità del medesimo tipo di quella di Dio, neppure nel

senso che essa interverrebbe accanto all’azione divina, ma in quanto essa esercita una causalità

strumentale, informata dalla causalità principale, cioè in quanto essa agisce sotto la grazia (LG 62).

Resta quindi un’importanza questione da chiarificare: quella della «gerarchia delle cause», o della

scala della causalità. Essa ci chiede di rinunciare ad un’alternativa troppo semplice tra Dio e l’uomo,

come se ciò che farebbe uno dovesse essere tolto all’altro.

Ultimamente questo punto ci rinvia al modo di comprendere la giustificazione per grazia e al rap-

porto tra grazia e libertà. Questa probabilmente è la ragione per cui la prospettiva della Chiesa sa-

cramento e strumento della salvezza fa subito difficoltà ad una sensibilità protestante.

(VI) La Chiesa ministra della mediazione

Il dibattito sulla strumentalità ci conduce inevitabilmente alla questione della mediazione. Come

comprendere la «mediazione» della Chiesa nel suo rapporto all’unica mediazione del Cristo (cfr.

1Tm 2,5)? L’evento salvifico, inteso come l’unico evento dell’unica mediazione del Cristo, è desti-

nato a raggiungere tutti gli uomini di tutti i tempi. Questo evento, compiuto visibilmente, deve, se-

condo la propria economia, rendersi visibile in tutta la storia. Chi dice mediazione incarnata dice in

effetti mediazione visibile. La Chiesa è così sia il luogo istituito in cui è ricevuta la realtà del dono

di Dio nel Cristo e il luogo istituito in cui si vive e si esercita l’unica mediazione del Cristo. La

Chiesa, frutto primo della grazia della salvezza, diviene su questo fondamento ministra della media-

zione di Cristo. Il ministero ordinato è in essa il ministero di questa mediazione, ministero «teologa-

le» del dono di Dio (cfr. «cooperatori di Dio»: 1Cor 3,9; «amministratori dei misteri di Dio»: 1Cor

4,1; «ministri della Nuova Alleanza»: 2Cor 3,6; «ministri della riconciliazione»: 2Cor 5,18…). At-

traverso il ministero la Chiesa è il sacramento della mediazione di Cristo.

In una tale prospettiva si capisce allora che gli elementi strutturali della realtà Chiesa siano essi stes-

si di «istituzione divina». Tale è il senso dell’affermazione dottrinale secondo cui la Chiesa è stata

fondata da Cristo. La Chiesa non può “inventare” i sacramenti: essa li riceve, poiché questi la costi-

tuiscono. Questo dato è la garanzia che la Chiesa non nasce semplicemente dal raccogliersi dei cre-

denti, che essa non dispone di sé stessa, perché essa ha la sua sorgente di vita da un Altro. Essa si è

ricevuta una volta per tutte dall’evento del Cristo e dal dono dello Spirito che l’hanno “convocata”

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

22

attraverso la predicazione apostolica e la celebrazione dei sacramenti. Ma essa deve pure riceversi

senza sosta nel corso del tempo dal medesimo avvenimento per la potenza dello Spirito del Risorto,

che agisce in una comunità riunita, visibile e identificabile attraverso la storia.

Per delucidare meglio questo punto sembra utile riferirsi ad alcuni risultati raggiunti congiuntamen-

te nel documento di dialogo cattolico – luterano “Chiesa e giustificazione”. Il documento approfon-

disce la questione del rapporto fra Chiesa e giustificazione in quattro ambiti: a) la continuità istitu-

zionale della chiesa; b) il ministero ordinato come istituzione della chiesa; c) l’insegnamento nor-

mativo e la funzione magisteriale del ministero ecclesiale; d) la giurisdizione ecclesiastica e la fun-

zione giurisdizionale del ministero ecclesiale. È sintomatico che l’elemento comune che si ritrova

nelle obiezioni formulate dalla parte luterana a proposito di ciascuno di questi ambiti esprime la dif-

ficoltà nel legare a determinate strutture e istituzioni ecclesiali la santità indefettibile della chiesa,

fondata sulla sua natura escatologica, e di riflesso, il pericolo di una fissazione di carattere giuridico

che pretenda di essere in quanto tale garanzia di corretta ricezione e trasmissione del Vangelo.

Le affermazioni fondamentali positive fatte nel documento (in particolare nella IV parte) sono molto

significative per il nostro tema perché riconoscono che non esiste contraddizione tra l’azione di Dio

che comunica la salvezza e santifica e la concreta realtà ecclesiale che, dopo essere stata costituita

dall’azione di Dio, riceve il compito di trasmettere questa salvezza. Anzi, l’azione di Dio crea degli

“strumenti” (anche di carattere istituzionale) e li abilita a servire alla comunicazione della salvezza.

In questo senso c’è una santità indefettibile della chiesa che coincide con la stessa realtà della chiesa

(almeno nei suoi elementi formali, la Parola, i sacramenti, i ministeri). D’altra parte la relatività de-

gli strumenti all’azione santificante di Dio esige una continua verifica della loro adeguatezza ad e-

sprimere l’azione divina e della loro trasparenza rispetto ad essa. Si tratta quindi di qualificare la

mediazione della chiesa, da tutti riconosciuta in linea di principio, ma a proposito della quale si ma-

nifestano anche delle differenze. I punti su cui permane il dissenso sono sostanzialmente i seguenti:

a) il ministero episcopale in successione storica, pur essendo riconosciuto come realtà che è risulta-

to di una evoluzione storica, viene considerato da parte cattolica necessario in quanto risultato di

uno sviluppo irreversibile, mentre i luterani non possono accettare che in questa concretizzazione

storica del ministero di governo della chiesa si veda qualcosa la cui esistenza è determinante per

l’essere della chiesa; b) riguardo all’autorità in campo dottrinale, la differenza non riguarda tanto la

possibilità di attribuire in linea di principio una competenza dottrinale al ministero; la teologia lute-

rana sostiene che le decisioni del magistero devono restare in linea di principio aperte a una verifica

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

23

da parte di tutto il popolo di Dio se si vuole evitare il sospetto che il magistero si collochi al di sopra

della parola di Dio35

; c) rispetto alla legislazione ecclesiastica, infine, l’esigenza critica che la dot-

trina della giustificazione fa valere si può formulare in questi termini: nessuna legislazione ecclesia-

stica può pretendere una normatività equivalente alla necessità per la salvezza e quindi alla normati-

vità assoluta del Vangelo; su questo c’è accordo in linea di principio, anche se tale accordo deve es-

sere corroborato dalla prassi (cfr. nn. 225-229).

In sintesi, la quarta parte del documento Chiesa e giustificazione dà un contributo significativo alla

riflessione sulla santità della chiesa. Il discorso infatti non rimane su un piano generale, ma cerca di

verificare nell’ambito della concreta realtà istituzionale della chiesa l’incidenza dei diversi modi di

pensare la santità della chiesa. Il risultato è una affermazione della santità della chiesa che è legata

alla sua realtà storica, alla sua continuità nel tempo e alle azioni che essa compie per testimoniare il

Vangelo; d’altra parte permane una riserva critica circa la forma storica assunta da alcuni strumenti

attraverso cui avviene la comunicazione del Vangelo e la loro pretesa di inattaccabilità e una diver-

sità fondamentale nel concepire la «mediazione» fra l’opera di Dio e la risposta libera e «cooperan-

te» dell’uomo salvato.

Anche nell’ultimo documento di studio della Commissione internazione di luterana-cattolico roma-

na per l’unità, L’apostolicità della chiesa (2006)36

, questa problematica è emersa quando si è cerca-

to di raggiungere un consenso differenziato sui quattro temi affrontati: 1) i fondamenti neotestamen-

tari dell’apostolicità; 2) il vangelo apostolico e l’apostolicità della chiesa; 3) la successione aposto-

lica e il ministero ordinato; 4) l’insegnamento della chiesa che rimane nella verità. Ebbene, in tutti e

quattro i casi si evidenzia questa tensione fra dinamica incarnatoria e riserva profetica37

. Nel primo

capitolo la riflessione si conclude con l’affermazione che:

«Nessuna autorità umana è in grado di garantire la verità del vangelo poiché la sua autenticità e la

sua forza di suscitare la fede è inerente al vangelo stesso (il suo extra nos). D’altra parte, comun-

que, la fedeltà della chiesa richiede certe forme di tradizione e un ministero particolare di procla-

mazione, riconciliazione e insegnamento al fine di assicurare la trasmissione ordinata degli inse-

35 Cfr. GRUPPO DI DOMBES, «Un solo maestro» (Mt 23,8). L’autorità dottrinale nella Chiesa, EDB, Bologna 2006.

36 THE LUTHERAN WORLD FEDERATION – PONTIFICAL COUNCIL FOR PROMOTING CHRISTIAN UNITY, The Apostolicity of

the Church. Study Document of the Lutheran-Roman Catholic Commission on Unity, Lutheran University Press, Min-

neapolis (Mn) 2007, apparso anche in «Information Service», n. 128 (2008/II) 60-134; in tedesco: Die Apostolizität der

Kirche. Studiendokument der Lutherischen/Römisch-katholischen Kommission für die Einheit, Otto Lembeck - Boni-

fatius, Frankfurt a. Main – Paderborn 2009. 37

Lo aveva notato a suo tempo Congar: «Il protestantesimo è costantemente incline ad attribuire al cristianesimo uno

stato profetico, che comporta cioè degli atti di Dio che, per rimanere veramente di Dio e liberi, siano privi di nesso con

le operazioni umane ed ecclesiali»: Y. CONGAR, Vera e falsa riforma nella Chiesa, Jaca Book, Milano 19942, 332-333.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

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gnamenti apostolici. Questo conduce alla tensione dinamica che ha costituito una sfida per la chie-

sa fin dal suo inizio» (n. 64)38

.

A riguardo del rapporto fra Vangelo e apostolicità della chiesa, si riconoscono che, pur nella sor-

prendente comunanza di vedute sul tema, rimangono ancora differenze che sollecitano un approfon-

dimento:

«Una prima limitazione si basa sulle differenze nella comprensione dell’ordinazione al pastorato,

del ministero in successione apostolica e dell’ufficio del vescovo nella chiesa. In secondo luogo,

mentre siamo d’accordo sul fatto che la Sacra Scrittura è la norma di ogni predicazione, insegna-

mento e vita cristiana, differiamo nella comprensione del genere e del modo in cui la Scrittura de-

ve essere interpretata in modo autentico, e il genere e la modalità in cui il magistero sta al servizio

della Scrittura, che guida l’insegnamento e la pratica della chiesa» (n. 162).

Circa poi il tema ostico della successione apostolica e del ministero ordinato, le differenze che per-

mangono sono l’affermazione cattolica della «successione apostolica nell’ufficio episcopale» (n.

283) e la conseguenza secondo cui «per i luterani la comunità locale è chiesa in senso pieno, per i

cattolici lo è la chiesa locale guidata da un vescovo» (n. 284), ed infine le modalità con cui la singo-

la chiesa locale è in comunione con la chiesa universale (nn. 285-287)39

. D’altra parte da entrambe

le parti si chiede, però, un’attenzione particolare:

«a riguardo della questione del ministero non è corretto ricercare un semplice aut aut tra questa o

quella comprensione del ministero oppure tra questa o quella struttura istituzionale del ministero.

Allora ci si deve chiedere se anche nella dottrina del ministero o dei ministeri non si possa dare un

consenso differenziato; visto che noi concordiamo sul fatto che la chiesa è apostolica sulla base

della fedeltà al vangelo apostolico, che tutti i battezzati che credono in Cristo partecipano al suo

ufficio sacerdotale, che il ministero ordinato è essenziale nella chiesa per la proclamazione pubbli-

ca del vangelo in parola e sacramento, e che questo ministero per il suo servizio di unità alla fede è

differenziato in una forma locale e una regionale. Certamente, sul ministero la situazione è diffe-

rente da quella della dottrina della giustificazione per il fatto che noi stiamo trattando qui non solo

di differenti forme di dottrina, ma di differenti figure di ministero, perciò con realtà istituzional-

mente ordinate che non sono, naturalmente, mai prive di una interpretazione teologica che le ac-

compagna. Perciò il problema è sia la possibilità di un consenso differenziato sulla dottrina del

ministero sia un approccio alle differenti configurazioni del ministero, in modo che si possa scopri-

re in esse un fondamento comune così ampio da rendere possibile un reciproco riconoscimento dei

ministeri» (n. 292).

Infine, sulla questione ancor più spinosa dell’insegnamento della chiesa che rimane nella verità, le

differenze che permangono sono riconducibili alle modalità concrete ― che sottendono però inter-

pretazioni teologiche differenti ― riguardanti l’esistenza di un ufficio di insegnamento pubblico a

livello locale e sopralocale (n. 450-453), il ruolo del magistero all’interno di differenti istanze testi-

38 La traduzione dei testi è ns.

39 Si noti che intenzionalmente è stata esclusa dallo studio la tematica del ministero petrino.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

25

moniali40

della parola di Dio (n 454-457) e l’ufficio di insegnamento nelle sue funzioni costruttiva e

critica (n. 458-460), temi sui quali la commissione propone di aver raggiunto non una «diversità ri-

conciliata», ma più modestamente «un progresso ecumenico» (n. 449)41

.

(VII) Conclusione

Non è certo un caso che il simbolo teologico in cui si concentrano le divergenze ecclesiologiche (ma

ultimamente di soteriologia e di antropologia) è la Vergine Maria. La difficoltà ecumenica in mario-

logia non viene tanto dai “privilegi” mariani definiti dalla Chiesa cattolica, ma più profondamente

dall’idea che una creatura possa “cooperare”, nella grazia e sotto la grazia, all’opera dell’unico Me-

diatore. Maria come figura della vocazione dell’uomo, come figura dell’umanità graziata, come tipo

della Chiesa, che riceve tutto da Dio, ma allo stesso tempo che riceve realmente la capacità di ri-

spondere attraverso la sua libertà all’opera della grazia al fine di poter partecipare, a questo titolo e a

questo livello, alla salvezza del mondo, è senza dubbio il simbolo di tutto ciò che ci separa ancora42

.

40 Nel recente dialogo ecumenico si sono indicate cinque istanze di attestazione della fede: la Sacra Scrittura, la tradi-

zione, il magistero, la teologia scientifica e il senso della fede dei credenti (sensus fidelium). Ciascuna di esse è a servi-

zio in un modo specifico, insostituibile da parte delle altre istanze, al rinvenimento e alla attestazione della fede della

chiesa, la quale è e deve essere permanentemente fede apostolica: cfr. Communio Sanctorum – Die Kirche als Gemein-

schaft der Heiligen, Bilaterale Arbeitsgruppe der Deutschen Bischofskonferenz und der Kirchenleitung der VELKD,

Bonifatius - Lembeck, Paderborn – Frankfurt 2000, 31-45, nn. 40-73 (trad. it. a cura di A. Maffeis, Communio sancto-

rum. La chiesa come comunione dei santi, Morcelliana, Brescia 2003, 58-70). 41

Il card. Kasper nella valutazione complessiva del lavoro ancor più modestamente considera che si è raggiunto più che

un “consenso differenziato” una “convergenza in elementi significativi”: W. KASPER, Raccogliere i frutti. Aspetti fon-

damentali della fede cristiana nel dialogo ecumenico, in Il Regno. Documenti 54 (2009/19) 585-664, qui 619 n. 21). 42

Gruppo di dialogo fra Cattolici romani e Luterani negli USA, L’unico mediatore, i santi e Maria (1990), in EO IV, §

3083ss; Gruppo di Dombes, Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi, Qiqajon, Magnano (Bl) 1998; Grup-

po di lavoro bilaterale della conferenza episcopale tedesca e della direzione della chiesa evangelica di Germania, Com-

munio sanctorum, op. cit.; ARCIC II, Maria: grazia e speranza in Cristo (2005), in Il Regno. Documenti, anno 50

(2005/11) 257-270.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

26

3. “Extra Ecclesiam nulla salus”?

L’affermazione della sua funzione specifica in ordine alla salvezza del mondo è stata espressa dalla

Chiesa in modi diversi lungo il corso della sua storia. Quasi come conseguenza della propria consa-

pevolezza di essere l’erede dei privilegi d’Israele, la Chiesa applicò a se stessa l’immagine dell’arca

di Noè, già presente nel pensiero tardogiudaico che la impiegava per individuare nel santo resto

d’Israele un’isola di salvezza nel mezzo della generale catastrofe. Il tema si trova esplicitamente ri-

chiamato, quale traccia di un’antica catechesi battesimale, in 1Pt 3,20, dove «l’arca nella quale po-

che persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua» è tipo del battesimo che salva i cri-

stiani (cfr. 2Pt 2,5; Mt 24,37-39; Lc 17,26-27; Eb 11,7). Anche la catechesi battesimale dei padri

amò presentare l’arca di Noè come il tipo della Chiesa e il suo legno come il tipo della croce di Cri-

sto43

. Ben presto, poi, l’immagine fu trasposta in linguaggio concettuale attraverso l’aiuto del-

l’assioma: «Fuori della Chiesa non c’è salvezza»44

.

(I) Origini e sviluppo dell’assioma

Le prime formulazioni esplicite si trovano in Origene e in san Cipriano45

, dirette come severo am-

monimento a coloro che, infrangendo la comunione ecclesiale, passavano in gruppi eretici o scisma-

tici. Da allora l’assioma si trova usato frequentemente presso i padri e i teologi medioevali. Divenu-

to il cristianesimo, nel frattempo, una religione di stato, l’assioma cominciò a essere applicato anche

ai pagani e ai giudei. Si distingueva, al riguardo, tra il tempo prima di Cristo e quello successivo alla

promulgazione del vangelo. In quest’ultimo caso, ritenendo che oramai l’annuncio del vangelo era

stato fatto su tutta la terra e che nessuno più poteva affermare di non averne avuto alcuna notizia

(cfr. Rom 10,18), tutti concordavano nel ritenere che un suo rifiuto non poteva che essere colpevole.

La tendenza fu ulteriormente rafforzata dalle discussioni antipelagiane sul peccato originale, che

sembravano fornire una risposta alla domanda su come mai Dio potesse lasciare perire tante persone

senza smentire la sua volontà salvifica universale.

43 Cfr. H. RAHNER, L’arca di Noè come nave della salvezza, in ID., L’ecclesiologia dei Padri, op. cit., 865-938.

44 Sulla storia e il senso dell’asserto: Y. CONGAR, La Santa Chiesa, Queriniana, Brescia 1967, 385-399; J. RATZINGER,

Il nuovo popolo di Dio. Questioni ecclesiologiche, Queriniana, Brescia 1971, 365-389; F.A. SULLIVAN, Salvation out-

side the Church? Tracing the History of the Catholic Response, New York 1992; G. CANOBBIO, Chiesa perché. Salvez-

za dell’umanità e mediazione ecclesiale, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1994; ID., Nessuna salvezza fuori della Chie-

sa? Storia e senso di un controverso principio teologico, Queriniana, Brescia 2009; B. SESBOÜÉ, «Fuori dalla Chiesa

nessuna salvezza». Storia di una formula e problemi di interpretazione, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2009. 45

Cfr. ORIGENE, In Iesu Nave, III, 5: PG 12, 841-842, a commento dell’episodio di Rahab nel libro di Giosuè, e CI-

PRIANO, De cath. Eccl unit., 6: PL 4, 519; Epist. 73, 21: PL 3, 1169.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

27

Saranno queste convinzioni a far sì che s’imponesse una comprensione rigorosa ed esclusiva

dell’assioma. La si trova formulata da un discepolo di sant’Agostino, Fulgenzio di Ruspe (437-532),

in un testo che avrà forte influenza sulla teologia successiva e che sarà ripreso alla lettera dal conci-

lio di Firenze nel 1442:

«Credi molto fermamente e non dubitare che non solo tutti gli uomini che hanno l’uso della ragio-

ne, ma anche i bambini … che muoiono senza avere ricevuto il battesimo, dovranno essere puniti

con fuoco eterno nell’eterno supplizio … non solo i pagani ma anche tutti i giudei e tutti gli eretici

e scismatici, che finiscono questa vita presente fuori della Chiesa cattolica, andranno al fuoco e-

terno preparato per il diavolo e per i suoi angeli»46

.

In un orizzonte limitato sia geograficamente sia psicologicamente, che ritiene coincidenti i limiti

della cristianità e quelli del mondo, e nel quale si presuppone come necessaria la colpevolezza di chi

ancora non ha accettato il vangelo, l’asserto riconduce alla responsabilità dell’uomo la mancata sal-

vezza, salvando così l’universale volontà salvifica di Dio.

La scoperta dei «nuovi mondi» nel XV secolo, però, e la conseguente constatazione dell’esistenza di

un vasto numero di popolazioni che non solo mai avevano ascoltato il vangelo, ma che neppure mai

avevano avuto questa possibilità, contribuì all’elaborazione di nuovi approcci e interpretazioni.

Tra i nomi di maggiore spicco in questo senso si ricorderanno almeno quelli di F. de Vitoria, A. Ve-

ga e D. Soto, che svilupparono il tema dell’ignoranza invincibile47

. Un’altra via di soluzione fu se-

guita, nello stesso periodo, da Roberto Bellarmino e da F. Suarez, mediante l’introduzione del tema

del «battesimo di desiderio», di cui aveva parlato già sant’Ambrogio nel suo discorso De obitu Va-

lentiniani48

. Per ambedue, l’affermazione che nessuno si salva fuori della Chiesa era da intendersi

riguardo a coloro che non appartengono ad essa né di fatto né in desiderio (almeno implicito).

La Riforma protestante, con la sua forte accentuazione della corruzione dell’uomo e, nella versione

calvinista, con la rigida teoria della predestinazione, come pure il riflesso che tutto ciò ebbe nella

Chiesa cattolica con il giansenismo, sembrò frenare questa tendenza a una maggiore apertura. I

giansenisti, infatti, continuavano a sostenere le posizioni tradizionali. Al contrario i teologi gesuiti,

46 FULGENZIO DI RUSPE, De fide ad Petrum 27, 68.38, 79: PL 65, 701.704. Per il concilio di Firenze, cfr. DzH 1351.

47 Il tema era già stato introdotto da Alessandro di Hales. Ipotizzando il caso di un bambino catturato dai saraceni e

nell’impossibilità di essere istruito sulle verità della fede, egli aveva affermato il principio: «Se fa ciò che può (quod in

se est), Dio lo illuminerà con una ispirazione nascosta, o tramite un angelo o tramite un uomo» (S. Th. II, 8, 1). S. Tom-

maso aveva ipotizzato analoga situazione per un uomo cresciuto nella foresta e nutrito dagli animali (cfr. De Veritate, q.

14, a. 11 ad 1). 48

S. Ambrogio sostiene che l’imperatore Valentiniano morto prima di ricevere il battesimo, doveva essere ritenuto sal-

vato in forza del «battesimo di desiderio»: «Non habet ergo gratiam quam desideravit, non habet quam poposcit? Certe

quia poposcit, accepit. Quod si [cathecumeni] suo abluuntur sanguine, et hunc sua pietas abluit et voluntas» (PL 16,

1374-1375).

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

28

la cui famiglia religiosa era fortemente impegnata nell’azione missionaria, sostenevano che Dio non

avrebbe mai negato, né mai negherà a nessuno, la grazia necessaria per la salvezza. Un appoggio a

questa posizione venne da Innocenzo X, che nel 1653 condannò la tesi giansenista, secondo cui sa-

rebbe semipelagiano «dire che Cristo morì o versò il sangue per tutti gli uomini senza eccezione»

(DzH 2005), e da Clemente XI, che nel 1713 condannò la tesi di Pascasio Quesnel, per il quale fuori

della Chiesa non ci sarebbe dono di grazia (DzH 2429).

I temi dell’ignoranza invincibile e del votum saranno ripresi in epoca più recente dal magistero della

Chiesa. Anzitutto da Pio IX, il quale, pur ribadendo fermamente, contro l’indifferentismo religioso e

il razionalismo, che la Chiesa è l’unica arca della salvezza, dichiarerà che «con altrettanta sicurezza

dobbiamo affermare che davanti agli occhi del Signore non incorre in questa colpa di non essere en-

trato nella Chiesa colui che vive nell’ignoranza invincibile della vera religione»49.

L’insegnamento è riproposto da Pio XII nell’enciclica Mystici corporis e da una lettera del 1949

all’arcivescovo di Boston dell’allora Sant’Uffizio50

.

Nell’enciclica Mystici corporis, Pio XII, riferendosi a «questi che non appartengono al visibile or-

ganismo della Chiesa» li esorta «a far di tutto per sottrarsi al loro stato in cui non possono sentirsi

sicuri della propria salvezza, perché sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano or-

dinati al mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di quei doni ed aiuti celesti che solo nella

Chiesa Cattolica è dato di godere»51

.

Diversi punti di questa tesi di Pio XII sono degni di nota. Anzitutto essa deve comprendersi alla luce

della stretta identificazione del corpo mistico di Cristo con la Chiesa Cattolica. In secondo luogo,

sebbene egli non lo dica così esplicitamente, vuole sottintendere che i non cattolici possono salvarsi

solo se sono ordinati alla Chiesa Cattolica con un «inconsapevole» (inscio) desiderio di appartener-

ci. Questo sembrerebbe conferire un’approvazione papale alla soluzione di Suarez, proposta diversi

secoli prima per questo problema.

Il Papa non spiega, però, quali disposizioni dell’anima debbono intendersi contenere un simile in-

consapevole desiderio di appartenere alla Chiesa Cattolica. Infine, il Papa non fa nessuna distinzio-

ne tra la situazione dei battezzati non cattolici, e dei non battezzati, per quanto riguarda la loro rela-

zione al corpo mistico di Cristo. In entrambi i casi, la salvezza dipenderebbe dal possesso di dispo-

49 PIO IX, allocuzione Singulari quadam del 9 dicembre 1854, ripresa e ampliata dall’enciclica Quanto conficiamur mo-

erore del 10 agosto 1863 (cfr. DzH 2867). 50

DzH 3821-3822; DzH 3866-3873. 51

AAS 35 (1943) 242-243; DzH 3821.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

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sizioni tali da poter essere interpretate come un implicito desiderio di appartenere alla Chiesa Catto-

lica.

La seconda affermazione ufficiale sulla questione viene sei anni dopo in una lettera del

Sant’Uffizio, l’organismo vaticano che si occupa di questioni di fede, indirizzata all’arcivescovo di

Boston, il cardinal Cushing52

. L’occasione della lettera era la controversia sorta a Boston sulla in-

terpretazione rigida che il gesuita Leonard Feeney e i suoi seguaci avevano messo in circolazione

come autentica posizione cattolica sul problema della salvezza fuori della Chiesa Cattolica. Feeney

insisteva che i pronunciamenti della Chiesa medievale come quelli di Papa Bonifacio VIII e del

Concilio di Firenze erano ancora obbliganti, e dovevano essere presi alla lettera. Egli respingeva

l’idea che protestanti e giudei possedessero un inconscio o implicito desiderio di appartenere alla

Chiesa Cattolica e che potessero salvarsi per un desiderio simile. Nella sua opinione solo i catecu-

meni e altri sinceramente intenzionati a diventare cattolici potevano salvarsi quali membri in deside-

rio della Chiesa.

Il Sant’Uffizio basò la sua replica sull’insegnamento di Pio XII, circa la possibilità di salvezza per

un «inconsapevole desiderio» di appartenere alla Chiesa Cattolica. Tuttavia chiarì ulteriormente

questo insegnamento sotto diversi aspetti. Esso spiegò che per «desiderio inconsapevole» si inten-

deva l’implicito desiderio contenuto nelle buone disposizioni dell’anima di una persona, per mezzo

delle quali la persona intendesse conformare la sua volontà a quella di Dio. Inoltre specificò che una

disposizione dell’anima sufficiente per la salvezza avrebbe dovuto includere la «perfetta carità» e la

virtù soprannaturale della fede.

(II) La dottrina del concilio Vaticano II

Col Vaticano II si giunge a una nuova fase del decorso dialettico assunto dall’assioma lungo i seco-

li. All’origine di questo pendolarismo è da ravvedersi, oltre alla forza interiore dello sviluppo stori-

co-dogmatico, anche l’inevitabile influsso di fattori storici e culturali. Proprio la sua storia, dunque,

ci rende convinti che è «necessario tener congiunte queste due verità, cioè la reale possibilità della

salvezza in Cristo per tutti gli uomini e la necessità della Chiesa in ordine alla salvezza»53

. Su que-

sto s’impegnerà il concilio trattando del rapporto tra Chiesa e salvezza.

Esso non riprende il tema del votum, limitandosi a richiamarlo solo riguardo ai catecumeni, i quali

«per questo stesso loro proposito (voto) ottengono di essere congiunti» alla Chiesa (LG 14). D’altra

52 Lettera Suprema haec sacra, 8 agosto 1949; cfr. DzH 3866-3873.

53 GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Redemptoris missio, 7 dicembre 1990, n. 9: EV 12/568.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

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parte, con la tradizione precedente, il concilio non trascura di affermare che «questa Chiesa peregri-

nante è necessaria alla salvezza». Il motivo è dato dal fatto che «solo Cristo, presente in mezzo a

noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salute. Egli stesso, inculcando espres-

samente la necessità della fede e del battesimo, ha insieme confermata la necessità della Chiesa, nel-

la quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta» (LG 14).

Sembra, dunque, che tutto sia riportato alla posizione iniziale. Invece la dottrina del Vaticano II con-

tiene almeno due novità. La prima riguarda l’affermazione che tutti gli uomini, anche quelli che an-

cora non hanno accolto il vangelo «sono ordinati al popolo di Dio in vari modi» (LG 16). Così, do-

po avere distinto quelli che, avendo lo Spirito di Cristo e accettando l’intero ordinamento della

Chiesa e i mezzi di salvezza in essa istituiti, le sono pienamente incorporati da quanti, in ragione

del battesimo, le sono per diverse e molteplici ragioni congiunti54

, il concilio tratta del rapporto del-

la Chiesa coi non cristiani e con gli atei in buona fede. Per loro LG 16 segue una gradazione, il cui

elemento di confronto è l’accettazione del Dio della rivelazione.

Analizzando le affermazioni conciliari è possibile individuare alcuni progressi compiuti. In primo

luogo si vede che laddove in precedenza si era presupposta la colpevolezza di quanti erano fuori

della Chiesa, il concilio sembra propendere verso la presunzione della loro innocenza. Più rilevante

è il fatto che il Vaticano II non risponde alla questione della salvezza dei non cristiani procedendo a

una dilatazione del concetto di Chiesa, ma piuttosto operando una ridefinizione del mondo a partire

dalla volontà salvifica di Dio. «È un mondo che Dio ha finalizzato a Gesù Cristo e pertanto riceve

da questi un’oggettiva qualificazione ontologica, un mondo per così dire impregnato di volontà di

Dio»55

. Si tratta, qui, dell’indicazione di un dato oggettivo, cui le persone possono aprirsi o chiuder-

si con le loro scelte. Precisamente in questa prospettiva il concilio riprende la dottrina del-

l’ignoranza invincibile, poiché come afferma sono esclusi dalla salvezza e non possono salvarsi sol-

tanto «quegli uomini i quali, non ignorando che la Chiesa cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù

Cristo fondata come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare» (LG 14). Per

quanti, invece, non ostacolano con le loro scelte la volontà salvifica di Dio, il concilio parla piutto-

sto di una «nascosta presenza di Dio in mezzo alle genti» e di beni seminati «nel cuore e nella mente

degli uomini, o nei riti particolari e nelle culture dei popoli», cui la Chiesa adempiendo al mandato

missionario si rivolge nella volontà di illuminarli con la luce del vangelo (AG 9).

54 Nel primo caso si tratta dei fedeli cattolici che vivono nella grazia, LG 14; nel secondo, dei catecumeni e dei cristiani

non cattolici, LG 15. 55

W. KASPER, “Il ruolo soteriologico della Chiesa e i sacramenti della salvezza”, in Euntes Docete 41 (1980) 411.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

31

La seconda novità si trova in un testo fondamentale della Gaudium et spes dove, al n. 22, si afferma

che nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà

«lavora invisibilmente la grazia. Poiché Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è

effettivamente una sola, quella divina, noi dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la pos-

sibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale».

Giovanni Paolo II ha così commentato il testo nell’enciclica Redemptoris missio, n. 10:

«L’universalità della salvezza non significa che essa è accordata solo a coloro che, in modo espli-

cito, credono in Cristo e sono entrati nella Chiesa. Se è destinata a tutti, la salvezza deve essere

messa in concreto a disposizione di tutti. Ma è evidente che, oggi come in passato, molti uomini

non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del vangelo, di entrare nella

Chiesa. Essi vivono in condizioni socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati

in altre tradizioni religiose. Per essi la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che,

pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li il-

lumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da

Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo: essa permette a ciascuno di

giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione».

È così che il concilio risponde alla domanda di chi è nella salvezza. L’ordinatio alla Chiesa non

consiste in un tortuoso procedimento mentale, per il quale si vedono immessi nella Chiesa tutti e a

qualunque costo, bensì nel riconoscimento di un agire misterioso di Dio che va oltre il dato istitu-

zionale della Chiesa, ma al quale la Chiesa non è estranea. Colui che opera, infatti, è sempre quel

medesimo Dio trinitario che ha convocato il popolo di Dio costituendolo nello Spirito corpo di Cri-

sto e sacramento universale di salvezza. Anche in questo caso, pur volendo il sacramento, Dio non

lega ad esso la sua potenza e la sua volontà salvifica, la quale può attuarsi anche oltre i suoi confini.

(III) La Chiesa e la salvezza

In questa prospettiva il principio dell’«extra Ecclesiam nulla salus» non è più una risposta alla do-

manda se quanti non appartengono alla Chiesa possono o no salvarsi, bensì la riproposizione di

un’altra domanda: perché c’è la Chiesa? A chi è stato affidato da Dio il mandato di esercitare il ser-

vizio della salvezza? Si tratta, in ultima analisi di riportare l’assioma al suo senso iniziale di appello

ai cristiani e non di teoria sui non cristiani. Alla domanda perché esiste la Chiesa, il concilio rispon-

de: per essere il sacramento universale della salvezza.

Essa non è la salvezza ma il suo sacramento. In quanto segno e strumento dell’agire salvifico di Cri-

sto, la Chiesa non è una qualunque, per quanto privilegiata, «via di salvezza» ma, piuttosto, la prima

beneficiaria della salvezza, il frutto della salvezza già realizzata in Cristo e la sua ministra, segno

che attualizza la salvezza di Dio in Cristo Gesù e strumento adatto per trasmettere questa salvezza a

tutti gli uomini. Per questo esiste la Chiesa: esiste in se stessa ma non per se stessa, scriveva Yves

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

32

Congar alla vigilia del concilio nella sua opera intitolata Vaste monde, ma paroisse56

. La sua mis-

sione soteriologica è, alla fin fine, quella di essere «sacramento», ossia segno efficace di salvezza.

La Chiesa è stata voluta perché Cristo sia annunciato al mondo intero.

Questo rapporto della Chiesa col mondo potrebbe essere descritto mediante l’idea biblica della pars

pro toto, o dell’inclusione rappresentativa, o anche con l’immagine della «primizia» o del «lievito»

capace di fare fermentare il tutto. La Chiesa è questo servizio all’unico Salvatore e l’umanità vive di

questo servizio. Se mancasse la Chiesa (ciò è da comprendersi anche nella sua continui-

tà/discontinuità con Israele) il mondo avrebbe un altro volto, osserva ancora J. Ratzinger. Ma la

Chiesa c’è appunto per questo: per essere universale sacramentum salutis, come sale che dona valo-

re di salvezza a tutto quanto di vero e di buono è nel mondo.

Piuttosto che risultare un giudizio su quanti non sono nella Chiesa l’assioma extra Ecclesiam nulla

salus è, dunque, un lieto messaggio per quanti sono nella Chiesa, perché non si ritengano dei privi-

legiati a buon prezzo ma dei responsabilizzati a caro prezzo:

«Coloro che sono incorporati nella chiesa cattolica devono sentirsi dei privilegiati, e per ciò stesso

maggiormente impegnati a testimoniare la fede e la vita cristiana come servizio ai fratelli e dovero-

sa risposta a Dio, memori che la loro eccellente condizione non è da ascrivere ai loro meriti, ma a

una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le

opere, lungi dal salvarsi, saranno più severamente giudicati»57

.

Necessaria per la salvezza di tutti gli uomini, la Chiesa è presente nella storia come lo spazio in cui

si rende manifesta e attiva la volontà salvifica di Dio. Senza di essa il mondo non saprebbe fino a

che punto e quanto è stato ed è amato. Con essa invece è notificato nel mondo il «mistero» che era

fin dal principio. «Senza la Chiesa non si avrebbe nella storia la certificazione che Dio vuol condur-

re tutti gli uomini alla comunione con sé … La Chiesa è nella storia il germe dell’unità di tutti gli

uomini, che Dio ha pensato come la meta verso la quale tutti, pur in forme diverse, sono incammi-

nati, ma che non si potrebbe conoscere se la Chiesa non ci fosse»58

. Sembrerebbe troppo poco, ma

«per potere essere la salvezza di tutti, non è necessario che la Chiesa si identifichi anche esterna-

mente con tutti. La sua essenza è piuttosto radicata nella sequela di quell’Uno, che ha preso

56 Y. CONGAR, La mia parrocchia vasto mondo. Verità e dimensioni della Salvezza, Paoline, Roma 1963, 41.

57 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, n. 11: EV 12/572.

58 CANOBBIO, Chiesa perché, 183-185. «Vi è nel mondo una realtà la quale rappresenta il dono che Dio ha destinato al

mondo per salvarlo, cioè farlo pervenire alla comunione di vita con lui: Gesù Cristo… morto e risuscitato per noi, mae-

stro di Verità il quale ha affidato alla Chiesa, sua sposa e suo corpo, il deposito della parola e dei sacramenti che salva-

no»: Y. CONGAR, La mia parrocchia vasto mondo, op. cit., 171; cfr. pure ID., Cette église que j’aime, Cerf, Paris 1968,

41-63.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

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l’umanità intera sulle sue spalle; la sua essenza consiste nell’essere la schiera dei pochi, tramite i

quali Dio vuole salvare i molti. La Chiesa non è tutto ma esiste per tutti»59

.

(IV) La Chiesa universale sacramento della salvezza

Un sacramento è un segno efficace di grazia. Se la Chiesa è l’universale sacramento di salvezza, es-

sa deve emergere come il segno della totale opera di salvezza che Dio sta compiendo nel mondo, e

in qualche modo esservi implicata come strumento di Dio in questa opera. La prima domanda da

porci è la seguente: in che senso la Chiesa è il segno di quella totale opera di salvezza che Dio sta

compiendo nel mondo? Usando il linguaggio di S. Paolo, noi possiamo definire l’opera di Dio come

«la riconciliazione del mondo con se stesso».

«È stato Dio a riconciliare con sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e af-

fidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come

se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con

Dio» (2Cor 5,19-20).

Il primo senso in cui la Chiesa è “segno” dell’opera di Dio, è che ad essa è affidato il messaggio del-

la riconciliazione. La missione della Chiesa è di proclamare al mondo intero che Dio sta offrendo la

sua pace e la sua misericordia all’umanità peccatrice, e che egli vuole riconciliare a sé, e tra di loro,

tutti gli uomini e tutte le donne. Ricordiamo che la Chiesa primitiva usò espressioni quali “pace” ed

“amore” come sinonimi della comunione ecclesiale.

La Chiesa è segno della salvezza per il mondo con l’essere una comunità che manifesta nella sua

stessa vita ciò in cui, secondo S. Paolo, consiste il regno di Dio: «Il regno di Dio non è questione di

cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). Un altro modo

d’intenderlo sarebbe dire che la Chiesa è segno di salvezza con l’essere un popolo santo, poiché la

santità consiste nell’amore di Dio e del prossimo. Gesù disse ai suoi discepoli che il loro amore gli

uni per gli altri sarebbe stato il segno che avrebbe condotto la gente a riconoscere in loro i suoi di-

scepoli (Gv 13,35).

Il Vaticano II scorge nel fatto che la Chiesa sulla terra è «adornata di vera santità, anche se imperfet-

ta» un segno che «la rinnovazione del mondo è irrevocabilmente fissata e in certo modo reale anti-

cipata» (LG 48). Il fatto che la Chiesa sia adornata di «autentica santità» e che questa santità, benché

imperfetta, è qualcosa che non potrà mai perdere, è il modo più efficace in cui la Chiesa diventa un

segno di ciò che significa “salvezza”. Il fatto che questa santità è imperfetta, naturalmente, significa

59 RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio, 387.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

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che pure la Chiesa è sempre un segno imperfetto di salvezza. Più efficacemente essa realizza i suoi

doni di santità, unità, amore e pace tra i suoi membri, più sarà un segno convincente della riconci-

liazione che Dio offre al mondo.

A questo punto può sorgere una domanda: come è possibile che la Chiesa sia un «segno universale

di salvezza» se ci sono molte persone che non hanno nessuna conoscenza di essa? La Chiesa, che

non è né presente né visibile a loro, può essere pure per loro un segno di salvezza? Una cosa è certa:

la Chiesa non può mai rinunciare alla sua universale missione di impegnarsi a diventare presente e

visibile in ogni parte del mondo. Ci sono molte aree della terra dove, al momento, alla Chiesa è pos-

sibile essere presente, ma non predicare pubblicamente il Vangelo o convertire persone alla fede cri-

stiana. La ragione per cui i missionari insistono, pur tra grandi difficoltà, a mantenere la presenza

della Chiesa in tali luoghi è proprio perché, anche privi della libertà di predicare il messaggio di

Cristo con le parole, possono essere, per quei popoli, un segno di riconciliazione con Dio, attraverso

una comunità di pace, condividendo la pace e l’amore di Dio in qualsiasi modo sia possibile.

Ci sono altri luoghi, comunque, dove alla Chiesa non è affatto permesso di essere presente, e tutta-

via il concilio ci assicura che anche lì lo Spirito Santo offre «a tutti la possibilità di venire a contat-

to, nel modo che solo Dio conosce, col mistero pasquale» (GS 22). C’è tuttora un senso in cui la

Chiesa è segno visibile di quella grazia invisibile: la Chiesa è stata stabilita da Dio come l’unico se-

gno sociale e pubblico di salvezza per tutta l’umanità. La Chiesa, dunque, rimane segno visibile an-

che dell’opera di salvezza che lo Spirito Santo sta compiendo nei cuori degli uomini «nel modo che

solo Dio conosce».

Perché la Chiesa sia il sacramento universale di salvezza, non è sufficiente che sia segno: essa deve

anche servire come strumento; in qualche modo deve attivamente coinvolgersi nel compimento del

proposito di Dio di riconciliare il mondo a sé. La prima ragione per definire la Chiesa «sacramento

universale di salvezza» viene suggerita dall’affermazione del Decreto sull’Ecumenismo, che «solo

per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottene-

re la pienezza dei mezzi di salvezza» (UR 3e). Nell’affermare la pienezza dei mezzi di salvezza per

la Chiesa Cattolica, il concilio non intendeva negare che molti di tali mezzi di salvezza si trovano e

sono esercitati con frutto in altre Chiese cristiane. Il Decreto sull’Ecumenismo lo riconosce esplici-

tamente, in una sezione precedente del medesimo paragrafo: «Anche non poche azioni sacre della

religione cristiana vengono compiute dai fratelli da noi separati, e queste in vari modi, secondo la

diversa condizione di ciascuna Chiesa o Comunità, possono senza dubbio produrre realmente la vita

della grazia, e si devono dire atte ad aprire l’ingresso nella comunione della salute» (UR 3c). Alla

luce di questo, possiamo dire che, malgrado la pienezza dei mezzi di grazia si trovi solo nella Chie-

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

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sa cattolica, la totalità dei mezzi ecclesiali di salvezza si trova nella Chiesa di Cristo, prendendo il

termine Chiesa nel suo senso più inclusivo.

Il fatto che tutti i mezzi ecclesiali che Dio ha stabilito per il compimento del suo piano di salvezza

entrino nella struttura della Chiesa come costitutivi di essa, giustifica la definizione della Chiesa

come «sacramento universale di salvezza». Qui il termine «universale» si riferisce alla pienezza di

quegli elementi di cui la Chiesa è fornita allo scopo di essere uno strumento efficace nell’opera di

riconciliazione dell’umanità con Dio.

Rimane la questione se la Chiesa possa essere chiamata «sacramento universale di salvezza» nel

senso che realmente è coinvolta nel causare la salvezza di chiunque si salva. Lumen gentium sugge-

risce un simile ruolo per la Chiesa nel disegno di Dio quando dice: «Costituito da Cristo per una

comunione di vita, di carità e di verità, è pure da Lui assunto ad essere strumento della redenzione

di tutti» (LG 9).

Non è difficile riconoscere un tale ruolo strumentale della Chiesa nella salvezza di tutti coloro che

sono raggiunti dal suo ministero della parola e dei sacramenti. Abbiamo visto che questo ruolo è e-

sercitato non solo dalla Chiesa Cattolica, ma anche dalle altre Chiese e comunità cristiane, delle

quali «lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi come di strumenti di salvezza» (UR 3d). Perciò la

Chiesa, in quanto «sacramento universale di salvezza», deve essere intesa come inclusiva di tutte le

Chiese e comunità ecclesiali che condividono il suo ruolo strumentale.

Una questione ulteriore è se la Chiesa possa essere detta possedere un ruolo strumentale o di media-

zione nella salvezza del grande numero di persone che non sono raggiunte effettivamente dal suo

ministero. Ricordiamo che in LG 16 il concilio ribadiva che Dio offre gli aiuti necessari alla salvez-

za sia a coloro che «non conoscono ancora il Vangelo di Cristo o la sua Chiesa», sia pure a coloro

che «non sono ancora arrivati ad un’esplicita conoscenza di Dio». Pur dichiarando che tutte le per-

sone sono in vari modi «ordinate alla Chiesa», tuttavia non diceva nulla circa l’esercizio da parte

della Chiesa di un ruolo strumentale nella loro salvezza. Analogamente, quando il concilio afferma

che lo Spirito Santo offre «a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col

mistero pasquale» (GS 22), non suggerisce che la Chiesa sia associata allo Spirito Santo come suo

strumento in ogni offerta di grazia salvifica.

Tuttavia c’è un’affermazione della Lumen gentium che può far luce sulla questione. Si tratta del

passaggio che propone un’analogia tra il mistero della Chiesa e il mistero del Verbo Incarnato. «In-

fatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a Lui indissolubil-

mente unito, in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che

la vivifica, per la crescita del corpo» (LG 8). Questo suggerirebbe che, come l’umanità di Cristo è

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

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strumento del Verbo divino nell’opera totale della salvezza, così pure la Chiesa può essere vista

come lo strumento dello Spirito Santo nell’opera totale di portare agli uomini la grazia di Dio.

Dobbiamo ancora chiederci in che modo la Chiesa può essere detta esercitare un ruolo strumentale o

di mediazione nella salvezza di tutte quelle persone che apparentemente non hanno nessun contatto

con la Chiesa. La risposta alla questione può essere trovata nel ruolo della Chiesa quale «popolo sa-

cerdotale». La lettera agli Ebrei dice: «Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito

per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati» (Eb

5,1). Ciò che è vero per il singolo sacerdote dell’AT è ora vero per tutto il Popolo di Dio della nuo-

va alleanza: «anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale,

per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1Pt

2,5). Pio XII, nella sua enciclica Mystici corporis, parlando di come il Salvatore «vuol essere aiutato

dalle membra del suo Corpo mistico nell’esecuzione dell’opera di redenzione», dice:

Mentre infatti moriva sulla Croce, donò alla sua Chiesa, senza nessuna cooperazione di essa,

l’immenso tesoro della redenzione; quando, invece, si tratta di distribuire tale tesoro egli non solo

comunica con la sua Sposa incontaminata 1’opera dell’altrui santificazione, ma vuole che tale san-

tificazione scaturisca in qualche modo anche dall’azione di lei. Mistero certamente tremendo, né

mai sufficientemente meditato: che cioè la salvezza di molti dipenda dalle preghiere e dalle volon-

tarie mortificazioni, a questo scopo intraprese dalle membra del mistico Corpo di Gesù Cristo60

.

Spingendoci oltre l’affermazione di Pio XII che la «salvezza di molti» dipende dalle preghiere e dal-

le penitenze, cioè dall’esercizio del sacerdozio di tutti i fedeli, abbiamo ancora di più ragione ad at-

tribuire al sacrificio dell’Eucaristia un ruolo universale nella salvezza dell’umanità. Noi crediamo

che nella celebrazione dell’Eucaristia si fa presente l’unico sacrificio in grado di assicurare la grazia

della redenzione per il mondo intero, e che l’Eucaristia è il canale principale attraverso cui la grazia

viene attualmente mediata per ogni generazione. Sulla scorta di queste nostre convinzioni, abbiamo

buone ragioni per concludere che tutta la grazia distribuita dallo Spirito Santo nel mondo sia in

qualche modo mediata anche dall’offerta eucaristica della Chiesa. Il Vaticano II, citando la preghie-

ra sopra le offerte della nona domenica dopo Pentecoste, dichiara che «Mediante la Liturgia, spe-

cialmente nel divino Sacrificio dell’Eucaristia, “si attua l’opera della nostra Redenzione”» (SC 2).

Poco più oltre, nello stesso documento leggiamo: «Dalla Liturgia, dunque, e particolarmente

dall’Eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene, con la massima efficacia,

60 AAS 35 (1943) 213.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

37

quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono, co-

me a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa» (SC 10b).

Le nuove preghiere eucaristiche, che sono frutto del rinnovamento liturgico conciliare, esprimono in

vari modi, la comprensione della Chiesa di questo sacrificio, offerto non solo per i presenti, né solo

per i fedeli cristiani, ma per la salvezza di tutti, cristiani e non cristiani, vivi e defunti. Nella terza

preghiera eucaristica troviamo espressioni di tale universalità: prima nella preghiera per i vivi: «Per

questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero»; e poi nel ricordo

dei defunti: «Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno

lasciato questo mondo». Qui «i nostri fratelli defunti» sono tutti quelli appartenuti alla famiglia cri-

stiana della fede; mentre tra «i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo» si include-

rebbero tutti quelli menzionati in LG 16, i quali, senza la fede cristiana e il battesimo, possono tut-

tavia aver lasciato questa vita nello stato di una soprannaturale amicizia con Dio.

La quarta preghiera eucaristica esprime allo stesso modo il fatto che l’Eucaristia viene offerta per la

salvezza del mondo intero: «Ti offriamo (Padre) il suo corpo e il suo sangue, sacrificio a te gradito,

per la salvezza del mondo … Ricordati di tutti quelli per i quali noi ti offriamo questo sacrificio …

dei presenti e del tuo popolo e di tutti gli uomini che ti cercano con cuore sincero. Ricordati anche

dei nostri fratelli che sono morti nella pace del tuo Cristo, e di tutti i defunti, dei quali tu solo hai

conosciuto la fede». L’ottimismo del Vaticano II circa la possibilità di salvezza dei non cristiani,

viene espresso, in modo inequivocabile, da queste due ultime preghiere.

In base all’insegnamento del concilio e alle preghiere eucaristiche che lo riflettono, abbiamo un le-

gittimo motivo per affermare che la Chiesa, a motivo del suo ruolo di popolo sacerdotale, offrendo

al Padre, insieme a Cristo Sommo Sacerdote, il sacrificio da cui la grazia della salvezza si diffonde

al mondo intero, viene giustamente definita sacramento universale di salvezza, nel senso che essa

esercita un ruolo strumentale nella salvezza di chiunque si salva.

(V) La Chiesa è l’unico strumento della salvezza

A questo punto può essere sollevata la questione se, definendo la Chiesa un «sacramento universale

di salvezza», intendevamo asserire che, fuori della Chiesa non vi è nient’altro nel mondo che lo Spi-

rito Santo possa usare come strumento nella sua opera di portare le persone a partecipare alla vita di

grazia. Dovrebbe già essere chiaro che noi non avanziamo una tale pretesa esclusiva per la Chiesa

Cattolica, dal momento che, insieme con il Vaticano II, riconosciamo che lo Spirito Santo fa uso

delle altre Chiese e comunità ecclesiali come mezzi efficaci della grazia e della salvezza. Noi di-

ciamo, invece, che solo la Chiesa di Cristo può offrire mezzi di salvezza, specificamente ecclesiali,

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

38

per i quali intendiamo cose come la fede cristiana, i sacramenti e il ministero, cioè gli elementi for-

mali della Chiesa. La questione, allora, riguarda lo Spirito Santo, se può fare uso di altri mezzi di

salvezza oltre quelli ecclesiali in senso proprio.

Definendo l’economia della salvezza come “sacramentale”, intendiamo dire che il termine “sacra-

mentale” fa riferimento alla scelta, operata da Dio, di un piano di salvezza in cui, a cominciare

dall’umanità di Gesù, certe realtà create diventano strumenti di Dio nell’opera di salvezza. Per le

persone che la Chiesa raggiunge con il suo ministero della parola e dei sacramenti, le realtà create

che Dio usa sono ciò che noi abbiamo chiamato mezzi ecclesiali di salvezza. Tuttavia esiste un gran

numero di persone che la Chiesa non raggiunge. Se a ragione crediamo che esiste una sola economia

della salvezza per l’intera umanità, e che essa è coerentemente “sacramentale”, allora dovremmo

aspettarci che, dove i mezzi ecclesiali di salvezza non sono accessibili, Dio faccia uso di altre realtà

create come mediazioni della sua grazia. In primo luogo Dio si servirà di altre persone, quali, per

esempio, buoni genitori, buoni insegnanti, buoni capi della comunità, al fine di esercitare un salutare

influsso soprattutto sulla generazione più giovane. Inoltre Dio si servirà degli elementi positivi pre-

senti nelle culture per instillare gli ideali di giustizia e di un’amorevole attenzione per i giovani, i

poveri, gli ammalati, gli anziani.

Questa linea di pensiero ci conduce al problema di come le religioni non cristiane convergano alla

divina economia della salvezza. È certo che la volontà salvifica di Dio include tutti i milioni di per-

sone che appartengono all’una o all’ altra religione. Come dovremmo considerare le loro religioni in

quanto tali? Per quanto riguarda la salvezza, sono utili o semplicemente irrilevanti? Qualcuna di lo-

ro può costituire un ostacolo sulla via della salvezza? Oppure, nella provvidenza di Dio, anche loro

possono servire come mezzi di salvezza, aiutando le persone ad aprirsi e a rispondere all’intima o-

pera della grazia nella loro vita?

Sarebbe senza dubbio imprudente trattare insieme indistintamente tutte le religioni non cristiane e

dare una risposta che vada bene per tutte. Con tutta probabilità, la risposta giusta sarebbe che, in va-

ria misura, pressoché tutte le religioni possiedono elementi in grado di servire come aiuti positivi

alla salvezza. Certamente non dovremmo esitare ad affermare questo delle religioni che si distin-

guono per una menzione speciale nella Dichiarazione sulle Relazioni della Chiesa con le Religioni

Non Cristiane del Concilio Vaticano Secondo (Nostra Aetate). Come c’era da aspettarsi, la religione

ebraica e quella islamica sono riconosciute come positivamente influenti, in quanto portano i popoli

alla conoscenza del vero Dio che si rivelò ad Abramo e a Mosè. Ma la dichiarazione parla in tono

molto positivo anche di altre religioni, come nel brano seguente tratto dal paragrafo 2:

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

39

Dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità di quella forza

arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana, ed anzi talvolta si ri-

conosce la Divinità Suprema o il Padre. Sensibilità e conoscenza che compenetrano la loro vita in

un intimo senso religioso.

Dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità di quella forza

arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana, ed anzi talvolta si ri-

conosce la Divinità Suprema o il Padre. Sensibilità e conoscenza che compenetrano la loro vita in

un intimo senso religioso.

Le religioni, invece, connesse col progresso della cultura, si sforzano di rispondere alle stesse que-

stioni con nozioni più raffinate e con un linguaggio più elaborato. Così nell’Induismo, gli uomini

scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti

tentativi della filosofia; essi cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attra-

verso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e

confidenza. Nel Buddismo, secondo le varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di

questo mondo materiale e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confiden-

te, siano capaci di acquisire lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazio-

ne suprema per mezzo dei propri sforzi e con l’aiuto venuto dall’alto. Ugualmente anche le altre

religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l’inquietudine del

cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri.

Le religioni, invece, connesse col progresso della cultura, si sforzano di rispondere alle stesse que-

stioni con nozioni più raffinate e con un linguaggio più elaborato. Così nell’Induismo, gli uomini

scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti

tentativi della filosofia; essi cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attra-

verso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e

confidenza. Nel Buddismo, secondo le varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di

questo mondo materiale e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confiden-

te, siano capaci di acquisire lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazio-

ne suprema per mezzo dei propri sforzi e con l’aiuto venuto dall’alto. Ugualmente anche le altre

religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l’inquietudine del

cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri.

La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con

sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in

molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un

raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.

Essa perciò esorta i suoi Figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e la collabo-

razione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cri-

stiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali

che si trovano in essi.

Alla luce dell’approccio positivo del concilio, possiamo concludere che i «valori spirituali e morali»

che i non cristiani trovano nelle loro religioni, nonché i valori sociali e culturali, che tutti i cristiani

sono esortati a riconoscere, conservare e promuovere, sono quelle realtà create di cui lo Spirito San-

to può servirsi come di mezzi per disporre le persone a rispondere alla grazia che egli offre loro. I-

nutile dirlo, tali mezzi non sono sufficienti a produrre in loro la salvezza, e nessuno può salvarsi per

la semplice buona volontà. La salvezza, qualsiasi possano essere gli aiuti creati, sarà sempre frutto

della grazia di Cristo, offerta e operata efficacemente nei cuori degli uomini dallo Spirito Santo. Ma

dal momento che Dio ha scelto un’economia della salvezza in cui le creature svolgono un ruolo di

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

40

mediazione, abbiamo ragione di ritenere che, laddove i mezzi ecclesiali non sono a portata di mano,

lo Spirito Santo troverà altri mezzi utili al suo scopo.

Questo significa che la Chiesa sarebbe giustificata se abbandonasse il suo sforzo di evangelizzazio-

ne del mondo non cristiano? Se esiste una salvezza senza la fede cristiana e l’appartenenza alla

Chiesa, e se le religioni non cristiane possono venir usate da Dio come mezzi di salvezza, per quale

motivo persistere in un opera missionaria ardua e poco fruttuosa?

(VI) La cattolicità quale motivo per la missione

Un’ultima considerazione su questa proprietà della Chiesa, la cattolicità, suggerisce di trovare in lei

il motivo per cui la Chiesa dovrà sempre continuare il suo sforzo di portare il messaggio evangelico

a coloro che non l’hanno ancora ricevuto. È evidente che occorre un grande sforzo per riaccendere

la fede e la pratica cristiana tra i già battezzati, ma la Chiesa non può mai limitare il suo ministero ai

propri membri. La cattolicità è un dono alla Chiesa, ma è anche un dovere: con esso la Chiesa catto-

lica efficacemente e senza soste, tende ad accentrare tutta l’umanità in Cristo Capo (cfr. LG 13).

Perciò la rinuncia della Chiesa al suo sforzo di evangelizzare il mondo non cristiano, sarebbe la ri-

nuncia alla realizzazione della sua cattolicità e questo la Chiesa non lo potrà fare mai.

Proprio nell’impegno missionario, la Chiesa attua la sua propria sacramentalità. A proposito

dell’attività missionaria, infatti, il concilio ha ripetuto le parole già dette riguardo alla sacramentalità

della Chiesa, e cioè che essa «non è né più né meno che la manifestazione, cioè l’epifania e la rea-

lizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia» (AG 9). Epifania e manifestazione non sono

diversi da segno e strumento; la salvezza, d’altra parte, non è che la realizzazione nel tempo e per

l’uomo dell’eterno disegno di Dio. Ne segue che la Chiesa è per sua stessa natura missionaria: mis-

sionaria perché sacramentale e sacramentale perché missionaria61

. Alla stessa maniera essa è in mis-

sione quando è in comunione ed è in comunione quando è in missione.

61 Per una teologia della missione, cfr. S. DIANICH, Chiesa in missione. Per una ecclesiologia dinamica, Paoline, Cini-

sello Balsamo (Mi) 1985; G. COLZANI, Teologia della missione. Vivere la fede donandola, Messaggero, Padova 1996;

D.J. BOSCH, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Queriniana, Brescia 2000; G.

COLLET, «…fino agli estremi confini della terra». Questioni fondamentali di teologia della missione, Queriniana, Bre-

scia 2004; S.B. BEVANS – R.P. SCHROEDER, Teologia per la missione oggi. Costanti nel contesto, Queriniana 2010

Brescia; G. COLZANI, Missiologia contemporanea. Il cammino evangelico delle Chiese: 1945-2007, San Paolo, Cinisel-

lo Balsamo (Mi) 2010.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

41

4. La riflessione teologica sui ministeri laicali

La diffusione di compiti ecclesiali affidati con una certa stabilità, ai laici dopo il Vaticano II, lascia

aperte diverse domande ma permette già di delineare alcuni tratti di una “teologia dei ministeri lai-

cali” e il rapporto problematico fra il ministero ordinato e gli altri ministeri62

.

I. I ministeri laicali prima del Concilio Vaticano II

Per comodità collochiamo i dati entro due grandi modelli ecclesiologici: il primo identifica sostan-

zialmente la chiesa con la gerarchia e il secondo con l’insieme dei battezzati.

I.1 Chiesa come gerarchia e laici come destinatari della sua missione salvifica

È il modello ecclesiologico prevalente nel secondo millennio, che trova la sua espressione più chia-

ra nell’effato del Decreto di Graziano: duo sunt genera christianorum.

«Ci sono due tipi di cristiani. Il primo, in quanto incaricato di un servizio divino e dedito alla con-

templazione e all’orazione, è conveniente che stia lontano da ogni tumulto delle cose temporali. Di

esso fanno parte i chierici e coloro che sono dedicati a Dio e cioè i religiosi (conversi). […] L’altro

tipo di cristiani è costituito dai laici, dal greco laós, che in latino significa popolo. A costoro è

permesso possedere beni temporali, ma solo per l’uso. Non c’è nulla di più meschino che disprez-

zare Dio per la ricchezza. A costoro è concesso sposarsi, coltivare la terra, giudicare tra uomo e

uomo, trattare cause in tribunale, deporre offerte sull’altare, pagare le decime: così potranno sal-

varsi, se però eviteranno il vizio e faranno del bene» (Decreto, can. 7, c. XII, q. 1).

La lotta contro la riforma protestante ha poi ulteriormente accentuato questa distinzione.

Sotto Pio XI si comincia a respirare un’aria diversa. Nell’intento di valorizzare l’Azione Cattolica

da decenni viva e operante in varie nazioni del mondo, papa Ratti riprende la dottrina del sacerdozio

comune anche per affermare che la santità è alla portata di tutti i battezzati. I laici cominciano a non

essere più annoverati solamente tra i destinatari della missione della chiesa, ma anche tra i suoi sog-

getti. Non però a pieno titolo bensì a titolo “partecipato”: i laici esercitano un apostolato nella parte-

cipazione a quello gerarchico. La missione salvifica rimane teologicamente fondata sull’ordine e

non direttamente sul battesimo, cosa che invece insegnò il Vaticano II.

62 Indichiamo solamente i testi che abbiamo consultato: B. SESBOÜÉ, N’ayez-pas peur! Regards sur l’Église et les

ministères aujourd’hui, Desclée de Brouwer, Paris 1996; ID., Rome et les laïcs. Une nouvelle pièce au début:

l’instruction romaine du 15 août 1997, Desclée de Brouwer, Paris 1998; A. BORRAS (ed.), Des laïcs en responsabilité

pastorale? Accueillir de nouveaux ministères, Cerf Paris 1998; L. TONELLO, Il «gruppo ministeriale» parrocchiale,

EMP; Padova 2008; Liturgia e ministeri ecclesiali - Atti della XXXV Settimana di Studio dell’Associazione Professori

di Liturgia: Vallombrosa, 26-31 agosto 2007, a cura di A.M. Burlini Calapaj, CLV, Roma 2008; A. BORRAS – G. ROU-

THIER, Les nouveaux ministères. Diversité et articulation, Mediaspaul, Montréal - Paris 2009; Ministeri laicali, in Cre-

dere oggi 30, n. 175 (2010) 3-118.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

42

II. I ministeri laicali dal Vaticano II in poi

II.1. Il Vaticano II

L’ecclesiologia conciliare del popolo di Dio ha superato l’identificazione tra Chiesa e gerarchia ed

ha permesso quell’abbozzo di teologia del laicato che è il cap. IV della Lumen gentium. Essa, in-

sieme con il decreto Apostolicam actuositatem, ha voluto ricordare l’unità interna del popolo di Dio

al di là delle frontiere degli stati di vita (clericale, laicale e religioso), che si realizza con la parteci-

pazione di tutti i fedeli battezzati al triplice ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo; una par-

tecipazione che riguarda anche i fedeli laici:

«Col nome di laici si intendono tutti i fedeli cristiani, a esclusione dei membri dell’ordine sacro e

dello stato religioso riconosciuto dalla chiesa: i fedeli cristiani cioè che, incorporati a Cristo col

battesimo e costituiti popolo di Dio, resi a loro modo partecipi della funzione sacerdotale, profetica

e regale di Cristo, esercitano nella chiesa e nel mondo, per la parte che li riguarda, la missione di

tutto il popolo cristiano [pro parte sua missionem totius populi christiani in Ecclesia et in mundo

exercent]» (Lumen gentium, n. 31).

Inoltre, il Concilio ha voluto affermare l’identica vocazione alla santità e l’uguale dignità dei battez-

zati e la dimensione di “servizio” all’interno del popolo di Dio che la gerarchia svolge:

«Se nella chiesa dunque non camminano tutti per la stessa via, tutti però sono chiamati alla santità

e hanno ricevuto in sorte la medesima fede nella giustizia salvifica di Dio (cfr. 2Pt 1,1). Anche se

per volontà divina alcuni sono costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori a vantaggio degli

altri, fra tutti vige però vera uguaglianza quanto alla dignità e all’azione nell’edificare il corpo di

Cristo, che è comune a tutti quanti i fedeli» (Lumen gentium, n. 32).

Il Concilio insegna, poi, che l’apostolato dei laici non è solo partecipazione alla missione della ge-

rarchia, ma più originariamente è partecipazione all’unica e medesima missione della Chiesa tutta:

«L’apostolato dei laici è partecipazione alla missione salvifica della chiesa, alla quale sono tutti

deputati dal Signore per mezzo del battesimo e della confermazione» (Lumen gentium, n. 33).

Nel decreto Apostolicam actuositatem si precisa che c’è «diversità di ministero» («diversitas mini-

sterii, al singolare !), ma «unità di missione»:

«C’è nella Chiesa diversità di ministero ma unità di missione» (Apostolicam actuositatem, n. 2).

Nello stesso documento, il concilio insegna che l’azione dei laici non è solo auspicabile, ma è persi-

no necessaria:

«In quanto partecipi dell’ufficio di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva

nella vita e nell’azione della chiesa. All’interno delle comunità della chiesa la loro azione è tal-

mente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più raggiungere

la sua piena efficacia» (Apostolicam actuositatem, n. 10).

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

43

Nel decreto Ad gentes il concilio iscrive la diversità dei ministeri nel processo di impiantazione del-

la Chiesa in un luogo:

Inoltre, per la costituzione della Chiesa e lo sviluppo della comunità cristiana, sono necessari vari

tipi di ministero, che, suscitati nell’ambito stesso dei fedeli da una aspirazione divina, tutti debbo-

no diligentemente promuovere e rispettare: tra essi sono da annoverare i compiti dei sacerdoti, dei

diaconi e dei catechisti, e l’Azione cattolica. Parimenti i religiosi e le religiose, per stabilire e raf-

forzare il regno di Cristo nelle anime, come anche per estenderlo ulteriormente, svolgono un com-

pito indispensabile sia con la preghiera, sia con l’attività esterna (Ad gentes, n. 15).

Il concilio, infine, prevede anche la possibilità che laici possano essere chiamati a collaborare più

direttamente con l’apostolato della gerarchia (LG 33 c):

Hanno inoltre la capacità [aptitudinem] per essere assunti dalla gerarchia ad esercitare, per un fine

spirituale, alcuni uffici ecclesiastici [munera ecclesiastica] (Lumen gentium, n. 33; cfr. AA 24).

Questa affermazione sarà ripresa una ventina di anni più tardi nel Codice del 1983 (cfr. CIC c. 228 §

1), e aprirà la via al principio dei ministeri affidati a laici che una nuova comprensione della nozione

di officium ecclesiasticum autorizzerà per il fatto che oramai, dopo il Vaticano II, una partecipazio-

ne al “potere di ordine” non è più richiesta per poter ricevere un compito (munus) o una funzione

ecclesiale (officium) al servizio della comunità ecclesiale e per la causa del Vangelo.

Il Concilio, inoltre, non si è limitato a fare dichiarazioni di principio, ma con la sua decisione di ri-

pristinare il diaconato come grado permanente del sacramento dell’ordine, ha superato anche la con-

centrazione esclusiva del ministero ecclesiale sulla figura del sacerdote (LG 29).

II.2. Dal Vaticano II alla “Chiesa tutta ministeriale”

La pluralità dei ministeri attestati nel NT, via via incanalatasi nella tradizione ecclesiale entro il sa-

cerdozio ministeriale o nell’ambito del percorso ad esso preparatorio, ha ispirato al Vaticano II

l’intuizione della possibilità di “ministeri” che non fanno parte del sacramento dell’ordine. Sebbene

ancora timidamente, il Concilio ha ipotizzato alcune aperture, con la possibilità di ministeri laicali e

di supplenza (cf. LG 33.35) e del ministero dell’Azione Cattolica (cf. AG 15). Ma negli anni succes-

sivi si affermò, a partire dalla stessa dottrina conciliare della missione ecclesiale fondata sul batte-

simo, l’idea che tutti i cristiani sono partecipi della ministerialità della Chiesa.

Lo slogan “una Chiesa tutta ministeriale” venne coniato e lanciato dall’assemblea dei vescovi fran-

cesi a Lourdes nel 1973 e di lì diffuso dovunque, compresa nella Chiesa italiana63

. L’idea che sotto-

63 Cfr. CEI, Documento pastorale Evangelizzazione e ministeri, del 15 agosto 1977, n. 18: EC 2/2764-2765.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

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stava a questo slogan è bene espressa dal titolo completo degli Atti di quell’assemblea, Tutti re-

sponsabili nella Chiesa? Il ministero presbiterale in una Chiesa tutt’intera “ministeriale”64

. Se il

limite principale dello slogan è di fare pensare che un laico “senza ministero” sia una figura minore,

il suo pregio consiste però nel fatto che ha contribuito alla maturazione di una “corresponsabilità”

ecclesiale nel popolo di Dio.

A seguito del Vaticano II, inoltre, accanto alla figura del diaconato permanente ― regolamentato da

Paolo VI con le lettere apostoliche «Sacrum diaconatus ordine» del 18 giugno 1967 e «Ad pascen-

dum» del 15 agosto 1972―, sono stati introdotti anche i “ministeri istituiti” del lettorato e

dell’accolitato con il motu proprio di Paolo VI «Ministeria quaedam» (15 agosto 1972). La grande

innovazione di questo documento, che si presenta come una riforma degli ordini minori, è quella di

affrontare la questione dei ministeri esercitati dai laici nella Chiesa. Mentre in precedenza non vi e-

rano ministeri se non esercitati da chierici (condizione che si acquisiva con la tonsura) il motu pro-

prio apporta un primo, importante correttivo spezzando un monopolio clericale che, se pur secolare,

non corrispondeva tuttavia all’insieme della tradizione, permettendo che dei ministeri ufficiali siano

esercitati da laici, a fianco del presbiterato e del diaconato che sono gradi del sacramento

dell’ordine. Si riconosce, inoltre, l’esistenza di diversi ministeri che possono essere conferiti ai laici,

e che non sono riconducibili solamente al lettorato e accolitato65

. D’altra parte il documento papale

porta con sé un grave limite: l’esclusione delle donne, con l’inconveniente di creare due classi di

laici, gli uomini e le donne. Nella pratica le chiese hanno aggirato l’ostacolo in diversi modi: o in-

troducendo una terza categoria, assente da Ministeria quaedam e dal CIC, quella dei “ministeri ri-

conosciuti”, oppure, più semplicemente, riconoscendo in pratica dei ministeri senza mai istituirli

formalmente. Quest’ultima soluzione, usata più di frequente, anche se a breve termine pare imporsi

per ragioni pratiche e motivi di prudenza, alla lunga si rivela insostenibile. Infatti, non accompa-

gnando le nuove pratiche ministeriali con procedure istituzionalizzanti, si rischia di porre le persone

in una posizione equivoca, riconoscendo loro nella pratica uno statuto che si rifiuta di conferire in

via di diritto. Ma anche la prima soluzione, quella dei ministeri riconosciuti, seppur migliore (inte-

gra infatti una dimensione simbolica con un rito di istituzione o di ingresso nella funzione; il diritto

64 Cfr. ASSEMBLEA PLENARIA DELL’EPISCOPATO FRANCESE, Tutti responsabili nella Chiesa? Il ministero presbiterale in

una Chiesa tutt’intera “ministeriale”, LDC,Torino 1975. 65

«Oltre questi uffici comuni della chiesa latina, nulla impedisce che le conferenze episcopali ne chiedano altri alla sede

apostolica, se ne giudicheranno, per particolari motivi, la istituzione necessaria o molto utile nella propria regione. Di

questo genere sono, ad esempio, gli uffici di ostiario, di esorcista e di catechista (cfr. AG 15; AG 17), come pure altri

uffici, da affidare a coloro che sono addetti alle opere di carità, qualora tale ministero non sia stato conferito ai diaconi»:

EV 4/1755.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

45

che precisa e formalizza la prassi; la conoscenza che tematizza e pensa criticamente queste nuove

forme emergenti; la pratica con il suo apprendistato) rimane sempre una scappatoia.

La CEI nel 1977 recepiva il documento pontificio a riguardo del lettorato e dell’accolitato; inoltre

sembrava prospettare altre forme non ben precisate di ministerialità laicale: «si apre senza dubbio un

orizzonte assai vasto per i ministeri dell’animazione cristiana dell’ordine temporale, e della promo-

zione umana, le quali, come tali, fanno parte della missione della Chiesa. Tutto ciò che entra infatti

nell’ordine dell’evangelizzazione, potrebbe essere oggetto di ministero ecclesiale»66

. Di fatto, però,

tali ministeri non sono stati istituiti.

II.3. Il Sinodo del 1987, la Christifideles Laici e il CIC

La complessità della questione dei ministeri emerse anche nel Sinodo sui laici del 1987. I ministeri

furono un punto caldo dell’assise; e se i vescovi ne trattarono più che altro in relazione alla possibi-

lità di ammettervi le donne67

, di riflesso questo problema coinvolgeva la domanda sulla natura dei

ministeri laicali: qualora infatti li si considerasse delle emanazioni del ministero ordinato, allora sa-

rebbe difficile estenderli alle donne, ma anche chiamarli “laicali”: in tal caso sarebbero piuttosto

ministeri “clericali” estesi ai laici. Qualora invece non li si consideri estensione del ministero ordi-

nato, si potrebbero estendere alle donne; ma in tal caso dovrebbero probabilmente cambiare volto e

diventare veramente “laicali”.

Davanti a questi problemi il Sinodo chiese una ridefinizione dell’intera questione, come si legge in

Christifideles Laici, dove il papa afferma inoltre che «in tal senso è stata costituita un’apposita

commissione non solo per rispondere a questo desiderio espresso dai padri sinodali, ma anche e an-

cor più per studiare in modo approfondito i diversi problemi teologici, liturgici, giuridici e pastorali

sollevati dall’attuale grande fioritura di ministeri affidati ai fedeli laici». Il papa termina ricordando

come, «in attesa che la commissione concluda il suo studio», ci si debba attenere ai principi vigen-

ti68

. Per quanto consta, la commissione non ha ancora terminato il suo lavoro … Per ora, dunque,

vige la normativa attuale del CIC, ispirata ai pochi cenni del Vaticano II e a Ministeria quaedam.

II.4. Un approfondimento canonico

Nel CIC libro I titolo IX (c. 145-196) si riprende la parte corrispondente del Codice del 1917 (c. li-

bro I titolo V c. 145-195), ma il dispositivo si fonda ormai su una nozione differente, più larga e

66 CEI, Documento pastorale Evangelizzazione e ministeri, doc. cit., n. 73: EC 2/2840.

67 Cf. P. EYT, La VII assemblée ordinaire du Synode des éveques, in Nouvelle Revue Théologique 110 (1988) 10-11.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

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meno “clericale” dell’officium ecclesiasticum. Secondo il can. 145 § 1 questo ufficio è una specie di

munus, un incarico che ha di specifico di essere costituito in maniera stabile per disposizione divina

o ecclesiale, per essere esercitata in vista di un fine spirituale. L’officium comprende dunque quattro

elementi costitutivi: l’incarico (o munus), la stabilità oggettiva (in quanto “posto”, certamente, ma

anche come determinazione di diritti e doveri afferenti, lat. stabiliter constitutum), l’istituzione di

diritto divino o di diritto ecclesiale (la grandissima maggioranza degli officia è di diritto ecclesiale)

e, infine, la finalità spirituale (in vista dell’edificazione della comunità e della realizzazione della

sua missione).

La differenza maggiore per non dire sostanziale è che il titolare di un officium non deve più essere

un chierico, salvo che l’incarico in questione richieda di per sé l’ordinazione (cfr. c. 150). Essa non

suppone più la partecipazione alle potestà di ordine e di governo, benché certi uffici li possano ri-

chiedere..

In proposito è molto importante il can. 230 che considera principalmente l’implicazione liturgica dei

laici.

Can. 230 - §1. I laici di sesso maschile che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla

Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai

ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sosten-

tamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa.

§2. I laici possono assolvere per incarico temporaneo la funzione di lettore nelle azioni liturgiche;

così pure tutti i laici godono della facoltà di esercitare le funzioni di commentatore, cantore o altre

ancora a norma del diritto.

§3. Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza

essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della pa-

rola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la sacra Comu-

nione, secondo le disposizioni del diritto.

Qui si considerano tre casi. Il primo caso, inteso dal primo paragrafo, è quello dei “ministeri istitui-

ti” secondo i termini della riforma dettata da Ministeria quaedam. Esso concerne in realtà sia mini-

steri attribuiti in maniera stabile o permanente, sia ministeri attribuiti in vista dell’ammissione agli

ordini sacri. Di fatto il primo caso è molto raro.

68 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione postsinodale Christifideles Laici, n. 23: EV 11/1699.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

47

Il secondo paragrafo tratta di ministeri che non sono né stabili né istituiti e che non sono conferiti

mediante un rito di istituzione. Si parla infatti di una funzione di lettore, tra le altre, che i laici pos-

sono adempiere o assumere in un’azione liturgica ex temporanea deputatione ossia «per incarico

temporaneo». A rigore non si tratta di compiti conferiti a laici «in maniera regolare». I ministeri del

canone 230 § 2 esercitati da laici sono dei veri ministeri liturgici.

Il contesto del canone 230 § 3 è relativo a “supplenze” in caso di necessità e per difetto di ministri,

ordinati e istituti. Giuridicamente parlando, una supplenza potrebbe essere definita come una «sosti-

tuzione temporanea di un agente impedito o assente da parte di un altro (nell’esercizio delle sue

funzioni) che si opera a pieno diritto in virtù di disposizioni statutarie che lo prevedono» (Borras).

Secondo il nostro canone i laici possono supplire a certe funzioni dei ministri.

Un altro canone, particolarmente importante per la nostra tematica, è quello che concerne la figura

del parroco.

Can. 519: «Il parroco è il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercitando la cura pasto-

rale di quella comunità sotto l’autorità del Vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipa-

re al ministero di Cristo, per compiere al servizio della comunità le funzioni di insegnare, santifica-

re e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l’apporto dei fedeli

laici, a norma del diritto».

A differenza del codice Pio benedettino69

questo canone evoca la collaborazione dei laici al compito

pastorale affidato al parroco.

Affermando il principio di una collaborazione da parte di altri fedeli, in particolare i laici, il Codice

riconosce implicitamente che il parroco non ha necessariamente tutti i carismi indispensabili

all’adempimento di tutti gli incarichi. Il suo ministero è essenzialmente un ministero sacerdotale di

presidenza. Benché egli sia titolare della plena cura animarum, il parroco non la esercita da solo:

egli deve avere dei collaboratori.

Cosa che si verifica espressamente per la situazione intesa dal can. 517 § 2: «Nel caso che il Vesco-

vo diocesano, a motivo della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di dover affidare ad un diacono

o ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una parte-

cipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca un sacerdote il quale,

con la potestà di parroco, sia il moderatore della cura pastorale».

69 Can. n. 451. par. 1: «Parochus est sacerdos vel persona moralis cui paroecia collata est in titulum cum cura animarum

sub Ordinarii loci auctoritate exercenda».

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

48

III. Tratti di una teologia dei ministeri laicali

III.1. La riflessione di Hervé Legrand

L’autore che, con altri70

e più di altri ha riflettuto sulla ministerialità di tutta la Chiesa, offrendo al-

cune linee di soluzione, è H. Legrand, che affronta il tema nel contesto delle sfide per una valoriz-

zazione del laicato71

. Il problema dell’articolazione dei ministeri, dice Legrand, non si risolve per-

correndo quelle vie che già hanno mostrato i loro limiti, come la coppia sacerdozio/laicato, che tra-

scurando il sacerdozio battesimale consegna il mondo ai laici e la Chiesa ai chierici; oppure il con-

cetto di supplenza dei laici al ministero ordinato, che degrada i laici a “tappabuchi”72

.

La via adeguata può essere soltanto l’ecclesiologia di comunione riscoperta dal Concilio, che com-

porta l’uguale dignità dei componenti della Chiesa e la diretta radicazione di ogni cristiano nella

ministerialità dell’intera Chiesa: da questa base comune si può costruire una teologia dei ministeri

che tenga conto delle diverse chiamate. II teologo prospetta tre livelli di ministerialità nella Chiesa:

il primo è quello dei servizi cristiani, o partecipazione attiva alla missione della Chiesa, che si fon-

dano sui tre sacramenti dell’iniziazione e sul dono dello Spirito e sono propri di ogni cristiano; il

secondo è quello più propriamente dei ministeri laicali, istituiti o esercitati di fatto, che hanno in

più, rispetto al precedente, il riconoscimento ecclesiale e quindi una certa rappresentatività; il terzo

è quello dei ministeri di presidenza alla costruzione della Chiesa, che si fondano sul sacramento

dell’ordine e vengono esercitati di fronte (vis-à-vis) alla comunità.

III.2. Per una fondazione teologica dei ministeri laicali

Su questa linea Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte colloca i ministeri nell’ecclesiologia

di comunione, «strettamente legata alla capacita della comunità cristiana di fare spazio a tutti i doni

dello Spirito (...) Accanto al ministero ordinato, altri ministeri, istituiti o semplicemente riconosciu-

ti, possono fiorire a vantaggio di tutta la comunità, sostenendola nei suoi molteplici bisogni: dalla

catechesi all’animazione liturgica, dall’educazione dei giovani alle più varie espressioni della cari-

tà»73

.

70 Non si può non ricordare almeno I’apporto, per vari aspetti convergente con quello di Legrand, offerto da J.M. TIL-

LARD, Eglise catholique et pluriformité des ministères, in AA.VV., Future Prospects and preparation for Ministries in

catholic institutions of theology, in Pontificia Universidad Javenana, Bogotà 1982, 135-147. 71

Cf. in particolare H. LÉGRAND, Réflexions théologiques sur la diversité des ministers dans l’Ég1ise, in AAVV, Future

Prospects and preparation for Ministères in catholic institutions of theology, op. cit., pp. 99-134. 72

Cf. H. LEGRAND, Crises du clergé hier et aujourd’hui. Essai de lecture ecclésiologique, in Lumière et Vie 33 (1984)

90-106. 73

GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, n. 46: EV 20/191.

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

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Una “teologia dei ministeri laicali” si può innestare nella presenza di quella molteplicità di doni, ca-

rismi e ministeri già attestata nel NT. È molto funzionale allora l’immagine della Chiesa come un

corpo, dove le membra collaborano pur rimanendo diverse le une dalle altre (cf 1Cor 12,1-30; Rm

12,4-8); ma anche quella della Chiesa come un edificio, formato però di “pietre vive” (1Pt 2,5), os-

sia non perfettamente squadrate ma di forme diverse. La comune dignità dei componenti della Chie-

sa, fondata sul battesimo, si esprime insomma in una pluralità di doni che, secondo la logica simbo-

lica, richiamano in maniera complementare le diverse dimensioni dell’esistenza cristiana.

La “comunione” ecclesiale non è uniformità e appiattimento, bensì convergenza delle diversità, cir-

colazione di doni differenti per l’edificazione comune. Nessun carisma può essere trattenuto per sé

o esercitato nel disordine (cf 1Cor 14,40), perché soffocherebbe in poco tempo; infatti i doni spiri-

tuali si alimentano e crescono nel momento stesso in cui vengono comunicati ai fratelli, attraverso la

testimonianza di vita, l’annuncio esplicito e l’azione concreta. L’esercizio di ogni carisma trova il

criterio fondamentale nella carità, la “via migliore di tutte” (1Cor 12,31).

Qualche carisma può essere esercitato in maniera stabile con un certo livello di rappresentatività, e

allora prende il nome di ministero. Il panorama dei ministeri ecclesiali è vario e mutevole, perché la

Chiesa ha ricevuto da Gesù il ministero apostolico nella sua globalità, articolandolo poi in varie

forme e diversi gradi già nel NT e poi nel corso dei secoli. Se dunque la Chiesa ha sempre conserva-

to e trasmesso il “ministero ordinato”, ha però modulato gli altri ministeri, fondati sul battesimo, in

modi differenti.

La classificazione affermatasi a partire dalla meta del primo millennio prevedeva nelle comunità gli

ostiari, i lettori, gli accoliti, gli esorcisti, i suddiaconi, i diaconi, i presbiteri e i vescovi. Oggi, man-

tenendo gli ultimi tre come gradi del ministero ordinato, la Chiesa riconosce oltre a questi anche i

ministeri di fatto (come i catechisti, i direttori di coro, gli educatori e i responsabili di associazioni e

movimenti, i responsabili della Caritas, i ministranti), i ministeri di supplenza (come i ministri stra-

ordinari della comunione) e i ministeri istituiti (i lettori e gli accoliti).

Il panorama ministeriale è quindi ricco e coinvolge la Chiesa a diversi livelli di impegno: i ministeri

di fatto non richiedono di per sé alcun mandato, mentre quelli di supplenza esigono un mandato da

parte di un sacerdote o del vescovo; quelli istituiti sempre da parte del vescovo e quelli ordinati, in-

fine, si basano su un sacramento nel quale la Chiesa si fa strumento efficace dell’azione di Cristo.

In ciascun ministero ecclesiale la Chiesa desidera sottolineare ed incrementare uno degli aspetti

fondamentali della sua vita e missione: l’annuncio della parola di Dio, la celebrazione e ammini-

strazione dei sacramenti, l’edificazione ecclesiale nella carità. I ministeri sono quindi richiamo e

sprone per tutta la comunità cristiana, perché non perda di vista il triplice grande dono attraverso il

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

50

quale Cristo risorto continua ad edificarla. Per questo oggi la Chiesa promuove e definisce i ministe-

ri attorno alla parola, alla liturgia e alla carità: e risulterebbe problematico “ministerializzare” forme

legate ad altri tipi di impegno.

III.3. Un approfondimento pastorale

Alcuni principi da mettere in campo.

(1) La diversità di ministeri presuppone la diversità di carismi. Peraltro il Vaticano II considera la

«diversità del ministero» come a servizio dell’«unità della missione» (AA 2b) e ricorda che «il com-

pito magnifico dei pastori» consiste, tra gli altri, «nel riconoscere i ministeri e le grazie proprie ai

fedeli, di modo che tutti a loro modo e nell’unità apportino il proprio concorso all’opera comune»

(LG 30). La «meravigliosa varietà» tende in effetti ― o dovrebbe tendere ― verso l’ammirabile

unità (LG 32a,c). Onorare questa diversità è non solamente avere una comprensione organica del

ministero ecclesiale che è intrinsecamente legato alla comunità e al suo servizio, ma anche superare

la separazione clero laicato, tra soggetti attivi e individui passivi. La diversità dei carismi e dei mi-

nisteri permette allora che prenda corpo una Chiesa “popolo di Dio” che non si fonda più sulla sepa-

razione fra clero e laicato, preti e laici, ma su un partenariato di tutti, ciascuno secondo la sua condi-

zione nella missione, in funzione dei suoi carismi propri e in virtù del servizio o del ministero che

gli è stato assegnato. Non v’è quindi solamente il ministero pastorale di presidenza della comunità,

ma anche un insieme di servizi e ministeri che contribuiscono alla edificazione della Chiesa e

all’annuncio del Vangelo in questo luogo. Onorare la diversità dei servizi e dei ministeri è allora su-

scitare e promuovere la “pluridimensionalità”: nella Chiesa nessuno ― neanche i pastori ― ha il

monopolio dei carismi e delle funzioni, dei servizi e dei ministeri. La messa in opera effettiva di

questa pluridimensionalità eviterà a lungo termine che i ministeri affidati ai laici siano assimilati a

delle supplenze del clero, che essi divengano dei sostituti del ministero presbiterale e che finiscano

per produrre una nuova nomenclatura, non più clericale ma laicale. Onorare la pluridimensionalità è

anche mettere in rilievo un dispositivo: tutti i ministeri non sono, di rigore, degli officia nel senso

del canone 145. La maggior parte di essi sono canonicamente parlando dei munera nel senso generi-

co del termine, che non includono né stabilità operativa, cioè una previsione formale di obblighi e

diritti inerenti, né una nomina episcopale del titolare dell’incarico: è , per es., il caso dei catechisti

parrocchiali, dei membri dell’equipe liturgica … A questo proposito si è parlato di «servizi e mini-

steri», espressione che, nel linguaggio corrente, potrebbe tradurre questa distinzione canonica tra in-

carichi (lat. munera) e funzioni ecclesiali (officia). Si noterà che questa attenzione alla pluriministe-

rialità nelle pratiche ecclesiali e nelle disposizioni canoniche deve condurre a un più grande rigore

Ecclesiologia 2012/2013. Questioni speciali di ecclesiologia

51

quanto alle condizioni di accesso a questi servizi e ministeri e, in particolare, all’idoneità richiesta

da parte dei candidati e dei titolari per l’esercizio degli incarichi, se non delle funzioni ecclesiali.

2) Un secondo principio da onorare è quello della triplice modalità dell’esercizio del ministero ec-

clesiale: tutti i ministeri ci guadagnano nell’essere esercitati secondo una dimensione personale, col-

legiale e comunitaria in una articolazione che potrebbe essere espressa dal rapporto tra “uno”,

“qualcuno” e “tutti”74

. Nella Chiesa latina noi siamo abituati da più di un millennio all’esercizio

personale del ministero. Ma vi è pure la dimensione collegiale in senso lato, ossia di squadra: si

prende parte a un incarico ecclesiale a cui si ha parte con altri. Il ministero non si riduce al suo tito-

lare: esso consiste in un insieme di compiti da svolgere e da significare, oggettivamente determinati,

che, nel caso di un officium (c. 145), acquistano pure ciò che il diritto canonico qualifica come stabi-

lità oggettiva, includendo obblighi e diritti. In questa prospettiva è il caso di chiedersi se non si deve

valorizzare l’idea di un corpo di ministri (dopo tutto il vescovo fa parte del collegio, come il presbi-

tero di un presbiterio …). Questo è un antidoto eccellente alla monopolizzazione dei compiti, alle

baronie che finiscono per far credere ai loro titolari che essi sono i soli suscettibili ad esercitarli.

Non si è ministri da soli. Non si esercita un ministero in maniera isolata.

3) Vi è infine la dimensione comunitaria del ministero nel senso che questo deve essere esercitato in

seno a e a servizio della comunità ecclesiale. Questa “evidenza” merita tuttavia di essere ricordata di

frequente. È qui che si misura l’importanza delle istanze sinodali come i consigli pastorali, organi di

concertazione in cui la comunità ecclesiale tiene consiglio per verificare il suo tono evangelico e la

sua capacità di portare la missione in questo luogo. L’apprendimento recente di un esercizio condi-

viso, collegiale del ministero non deve trascurare la promozione della corresponsabilità battesimale

di tutti né la sua espressione istituzionale nei consigli di chiesa. Trascurare questa riferimento a “tut-

ti”, sarebbe correre il rischio di far ripiombare in una separazione tra amministratori e amministrata-

ti, tra membri attivi, i ministri, e i soggetti passivi, il resto dei battezzati.

Oltre alla pluriministerialità e alla triplice modalità di esercizio dei ministeri, il diritto particolare

dovrà fare attenzione ad alcune altre questioni importanti: (1) i limiti delle attribuzioni, (2) la for-

mazione dei ministri e (3) la loro investitura liturgica (in special modo per gli officia e meno per i

munera).

74 Questa articolazione è stata suggerita dalla Commissione Fede e Costituzione: Battesimo Eucaristia Ministero, Testo

della Commissione Fede e Costituzione Lima 1982, n. 26, LDC – Claudiana, Leumann (To) –Torino 1984, 55s.