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LEZIONI DI ECONOMIA POLITICA TESTO Stefano Fenoaltea Università degli Studi di Brescia Facoltà di Economia Copyright c 2001 by Stefano Fenoaltea. E' vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata.

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TESTO Università degli Studi di Brescia Facoltà di Economia Copyright c 2001 by Stefano Fenoaltea. Stefano Fenoaltea E' vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata. 6. L’equilibrio generale: il sistema dei mercati (B: produzione) 126 4. L’equilibrio generale: il sistema dei mercati (A: puro scambio) 72 5. L’equilibrio generale: impresa e industria in un sistema di mercati 90 2. L’equilibrio parziale: l’individuo e il mercato per un singolo bene 23 ,1',&( i

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LEZIONI DI

ECONOMIA POLITICA

TESTO

Stefano Fenoaltea

Università degli Studi di BresciaFacoltà di Economia

Copyright c 2001 by Stefano Fenoaltea.

E' vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata.

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1. L’analisi, la storia, la storia dell’analisi 1

2. L’equilibrio parziale: l’individuo e il mercato per un singolo bene 23

3. L’equilibrio generale: l’individuo in un sistema di mercati 44

4. L’equilibrio generale: il sistema dei mercati (A: puro scambio) 72

5. L’equilibrio generale: impresa e industria in un sistema di mercati 90

6. L’equilibrio generale: il sistema dei mercati (B: produzione) 126

7. La logica e la retorica: dall’interventismo al neoliberismo 153

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1. L’analisi, la storia, la storia dell’analisi 1

1.a. l’economia politica come scienza sociale 1 1.a.1. introduzione 1 1.a.2. l’oggetto dell’economia politica 1 1.a.3. il metodo dell’economia politica: i modelli 1 1.a.4. il metodo dell’economia politica: tra modelli e realtà 2 1.a.5. la matrice culturale dell'economia politica 2 1.a.6. il ciclo ideologico dell'economia politica 3

1.b. lo stato nell'economia politica 3 1.b.1. introduzione 3 1.b.2. lo stato associazione di tutti 4 1.b.3. lo stato predatore 5 1.b.4. la politica e il potere 6

1.c. i precedenti storici 7 1.c.1. il mondo antico 7 1.c.2. il medioevo feudale 8 1.c.3. le città medievali 8 1.c.4. il mercantilismo 9

1.d. la nascita dell'economia politica 10 1.d.1. i fisiocrati 10 1.d.2. Adam Smith 10 1.d.3. David Hume 11 1.d.4. David Ricardo 11

1.e. lo sviluppo dell'economia politica 13 1.e.1. industrializzazione, socialismo e economia borghese 13 1.e.2. Karl Marx 13 1.e.3. i marginalisti borghesi e socialisti 14 1.e.4. A. C. Pigou e Vilfredo Pareto 15 1.e.5. la microeconomia e l'eredità paretiana 16 1.e.6. la grande crisi e J. Maynard Keynes 17 1.e.7. la reazione a Keynes 18 1.e.8. gli esperimenti socialcomunisti 19

1.f. l'economia politica borghese nel secondo dopoguerra 19 1.f.1. l'apogeo dell'interventismo 19 1.f.2. gli inizi della controffensiva liberista 20 1.f.3. la crisi della macroeconomia 20 1.f.4. la teoria dell'informazione 21

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2. L’equilibrio parziale: l’individuo e il mercato per un singolo bene 23

2.a. l’analisi dell’equilibrio 23 2.a.1. il quadro generale 23 2.a.2. l’aspetto formale dell’equilibrio del singolo: la logica 23 2.a.3. l’aspetto formale dell’equilibrio del singolo: la geometria 23 2.a.4. le unità di misura 25 2.a.5. il mercato e il prezzo 25

2.b. l'equilibrio di concorrenza perfetta 26 2.b.1. definizione 26 2.b.2. l'equilibrio del compratore concorrenziale 26 2.b.3. l'equilibrio del venditore concorrenziale 27 2.b.4. l'equilibrio del mercato in regime di concorrenza perfetta 27 2.b.5. il mutamento degli equilibri: offerta stabile 28 2.b.6. il mutamento degli equilibri: domanda stabile 28 2.b.7. gli equilibri con intervento pubblico: i prezzi politici 29 2.b.8. gli equilibri con intervento pubblico: tasse e sussidi 29 2.b.9. la rendita e le tasse 30

2.c. l'elasticità 31 2.c.1. definizione 31 2.c.2. l'elasticità della domanda 31 2.c.3. l'elasticità dell'offerta 32 2.c.4. l'elasticità nel tempo 33 2.c.5. l'elasticità e le tasse 33

2.d. l'equilibrio di monopolio semplice 34 2.d.1. definizione 34 2.d.2. l'equilibrio di monopolio del compratore 34 2.d.3. il mutamento degli equilibri 35 2.d.4. gli interventi correttivi 36 2.d.5. l'equilibrio di monopolio del venditore 37 2.d.6. il mutamento degli equilibri 38 2.d.7. gli interventi correttivi 38

2.e. l'equilibrio di monopolio discriminante 39 2.e.1. definizione 39 2.e.2. l'equilibrio di discriminazione imperfetta 39 2.e.3. l'equilibrio di discriminazione perfetta da parte del compratore 40 2.e.4. l'equilibrio di discriminazione perfetta da parte del venditore 41 2.e.5. l'equilibrio di monopolio bilaterale 42 2.e.6. l'equilibrio di monopolio semplice sequenziale 42

2.f. considerazioni sulla domanda e sull'offerta 42 2.f.1. il rapporto tra domanda e offerta in generale 42 2.f.2. domanda e offerta nel singolo mercato 42 2.f.3. efficienza e redistribuzione 42

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3. L’equilibrio generale: l’individuo in un sistema di mercati 44

3.a. l’analisi dell’equilibrio 44 3.a.1. vincoli e obiettivi 44 3.a.2. la funzione obiettivo: problemi di metodo 44 3.a.3. la funzione obiettivo: rappresentazione analitica 44 3.a.4. il vincolo 46 3.a.5. l’equilibrio 46

3.b. l’equilibrio dell’operatore concorrenziale 47 3.b.1. il vincolo e l’equilibrio 47 3.b.2. l’operatore con disponibilità di danaro: l'equilibrio e il reddito 48 3.b.3. l'operatore con disponibilità di danaro: l'equilibrio e i prezzi 49 3.b.4. effetti di prezzo, di reddito, e di sostituzione 50 3.b.5. sostituti e complementi 53 3.b.6. la curva prezzo-consumo e l'elasticità della domanda 54 3.b.7. l'operatore con disponibilità di beni 56 3.b.8. il baratto, l'elasticità della domanda e l'elasticità dell'offerta 57 3.b.9. gli indici dei prezzi e il reddito reale 58 3.b.10. le tasse compensate e l'effetto di sostituzione 59 3.b.11. l'operatore con disponibilità di tempo e l'offerta di lavoro 60 3.b.12. la cultura, la tecnologia, l'offerta di lavoro 61 3.b.13. l'operatore e il mercato intertemporale 63 3.b.14. l'interesse e il valore attuale 64 3.b.15. l'incertezza e il valore atteso 65

3.c. l'equilibrio dell'operatore monopolista 67 3.c.1. il vincolo e l'equilibrio 67 3.c.2. l'equilibrio di monopolio semplice 68 3.c.3. l'equilibrio di monopolio perfettamente discriminante 68 3.c.4. domanda e domanda compensata 70 3.c.5. domanda, domanda compensata, e rendita del consumatore 70

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4. L’equilibrio generale: il sistema dei mercati (A: puro scambio) 72

4.a. gli equilibri di mercato 72 4.a.1. l’economia di puro scambio 72 4.a.2. l’efficienza paretiana 73 4.a.3. la concorrenza perfetta: l’equilibrio date le dotazioni 74 4.a.4. la concorrenza perfetta: le dotazioni dato l’equilibrio 75 4.a.5. il monopolio 77 4.a.6. l’esistenza degli equilibri 78

4.b. l’ottimizzazione sociale 79 4.b.1. i teoremi fondamentali e l’economia del benessere 79 4.b.2. la funzione obiettivo sociale 80 4.b.3. il vincolo e l’equilibrio 82 4.b.4. i teoremi fondamentali dell’economia politica 83 4.b.5. l’efficienza economica e l’efficienza paretiana 84

4.c. considerazioni sull’equilibrio 86 4.c.1. la natura dell’equilibrio economico 86 4.c.2. la natura dello sfruttamento 87 4.c.3. la natura della redistribuzione 87 4.c.4. la natura dei gusti e del progresso 88

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5. L’equilibrio generale: impresa e industria in un sistema di mercati 90

5.a. l’economia di produzione 90 5.a.1. i mercati e l’arbitraggio 90 5.a.2. la produzione e l’impresa 90 5.a.3. i beni, i servizi e i mercati 91 5.a.4. l’industria 92 5.a.5. il modello dell’impresa 93

5.b. la funzione di produzione 95 5.b.1. le cernite paretiane 95 5.b.2. i rendimenti di scala crescenti 97 5.b.3. i rendimenti di scala decrescenti 98 5.b.4. i rendimenti marginali dei fattori 99 5.b.5. la tecnica, la tecnologia e il progresso 101

5.c. la minimizzazione dei costi 103 5.c.1. la produzione a costo minimo 103 5.c.2. la sostituzione tra fattori e le quote della spesa 104 5.c.3. i costi medi e i costi marginali 106

5.d. l’equilibrio di concorrenza 107 5.d.1. l’equilibrio dell’impresa concorrenziale 107 5.d.2. l’impresa e i fattori di produzione 108 5.d.3. l’impresa e l’industria 109 5.d.4. il significato della concorrenza 111 5.d.5. il significato dei rendimenti variabili 112 5.d.6. il breve periodo e il lungo periodo 113 5.d.7. dal breve al lungo periodo: il mercato dei beni durevoli 116

5.e. una parentesi: l’analisi tradizionale del breve periodo 118 5.e.1. la logica e la prassi 118 5.e.2. le curve dei costi 118 5.e.3. l’equilibrio dell’impresa e l’offerta dell’industria 119

5.f. gli equilibri non di concorrenza 121 5.f.1. il monopolio semplice e la concorrenza monopolistica 121 5.f.2. potere di mercato e strategie d’impresa 122 5.f.3. l’oligopolio tra cartello e concorrenza 122 5.f.4. il modello di Cournot 124

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6. L’equilibrio generale: il sistema dei mercati (B: produzione) 126

6.a. dall’economia di puro scambio all’economia di produzione 126 6.a.1. i vincoli dell’economia di produzione 126 6.a.2. la concorrenza, i mercati e l’efficienza paretiana 126

6.b. la concorrenza nel mercato dei fattori e l’efficienza della produzione 128 6.b.1. la vendita dei fattori: concorrenza e pieno impiego 128 6.b.2. l’acquisto dei fattori: concorrenza e allocazione efficiente 129 6.b.3. gli equilibri con fattori specializzati 130 6.b.4. gli equilibri con fattori generici non sostituibili 132 6.b.5. gli equilibri con fattori generici sostituibili 133 6.b.6. la frontiera dei prezzi dei fattori 136

6.c. la concorrenza nel mercato dei beni e l’efficienza complessiva 137 6.c.1. l’acquisto dei beni: concorrenza e allocazione efficiente 137 6.c.2. la vendita dei beni: concorrenza e produzione ottimale 138 6.c.3. efficienza paretiana, produzione, e distribuzione 140 6.c.4. aspetti dell’equilibrio 142 6.c.5. i mutamenti degli equilibri 144

6.d. l’allocazione delle risorse 144 6.d.1. gli elementi dell’analisi 144 6.d.2. la trasmissione delle valutazioni 146 6.d.3. l’allocazione delle risorse e l’equilibrio generale 147 6.d.4. l’allocazione delle risorse e l’ottimo sociale 148

6.e. i modelli ricardiani 6.e.1. la crescita 6.e.2. il commercio estero

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7. La logica e la retorica: dall’interventismo al neoliberismo 153

7.a. l’interventismo del dopoguerra 153 7.a.1. le basi dell’interventismo 153 7.a.2. il valore normativo della domanda privata: la distribuzione della ricchezza 153 7.a.3. il valore normativo della domanda privata: i gusti privati 155 7.a.4. il funzionamento del mercato: il potere di mercato 157 7.a.5. il funzionamento del mercato: le esternalità in generale 158 7.a.6. il funzionamento del mercato: esternalità e mercati inesistenti 159 7.a.7. il funzionamento del mercato: problemi di informazione 161 7.a.8. il funzionamento del mercato: le attività puramente redistributive 162 7.a.9. il funzionamento del mercato: il secondo ottimo 162

7.b. la reazione liberista 163 7.b.1. la teoria positiva dell'intervento pubblico 163 7.b.2 le informazioni e i costi di transazione 165 7.b.3. le istituzioni private: i contratti 167 7.b.4. le istituzioni private: le organizzazioni 168 7.b.5. l'etica 169

7.c. la teoria dei giochi 170 7.c.1. il dilemma del prigioniero 170 7.c.2. considerazioni sul dilemma del prigioniero 171 7.c.3. una considerazione finale 173

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1. L’ANALISI, LA STORIA, LA STORIA DELL’ANALISI

1.a. l’economia politica come scienza sociale

1.a.1. introduzionePer capire cos'è una passeggiata, la cosa migliore è di mettersi in cammino; se

rimandiamo comunque il primo passo, è di poco, e nello spirito di avvertire chi ci seguirà distare attento ai rami bassi.

Fuor di metafora, si cercherà in questo primo capitolo di fornire una brevissimapresentazione della materia che ci accingiamo ad abbordare: per avvertire appunto il lettoresulla natura di ciò che incontrerà, o perlomeno sul modo di capirla dell'autore.

Alcuni dei vocaboli e dei concetti che incontreremo in questo primo giro d'orizzontesaranno sicuramente poco chiari; ma che questo non preoccupi. Si impara a "parlareeconomia" come qualsiasi altra lingua, e ci vuole un minimo di pratica prima di poter capiretutto.

1.a.2. l'oggetto dell'economia politicaL'economia politica studia l'attività economica sotto alcuni profili specifici, che

corrispondono ai problemi fondamentali che affronta.L'astronomia classica cercava di spiegare il moto apparente degli astri; l'economia

politica classica ha affrontato il problema del valore, espresso dal SDUDGRVVR�GHOODFTXD�H�GHLGLDPDQWL. La prima, necessaria alla vita, ha un prezzo basso, mentre i secondi, inutili, hannoun prezzo alto; perchè mai, ci si chiedeva, vale poco quel che vale molto, e vale molto quelche vale poco?

Con la catastrofe economica della Grande Depressione l'economia politica classica siè trovata di fronte al mistero della GLVRFFXSD]LRQH�GL�PDVVD; e per risolverlo venne creata unanuova analisi. Questa è chiamata "teoria dell'occupazione", o più comunementePDFURHFRQRPLD (perchè l'analisi considera variabili aggregate quali i consumi o il prodottonazionale); l'economia politica tradizionale è stata rietichettata "teoria dei prezzi" (o "delvalore") o più comunemente PLFURHFRQRPLD (perchè l'analisi considera i singoli consumatori,beni, mercati, e produttori).

A differenza però dell'astronomia, puramente contemplativa, l'economia politica nasceaffrontando anche e principalmente un fondamentale problema pratico. /HFRQRPLFR diSenofonte (c. 400 a. C.) tratta infatti della buona amministrazione del privato ("oikos" = casa,"nomos" = norma); l'oggetto dell'economia detta SROLWLFD ("polis" = città, stato) è dunque labuona amministrazione della società intera. Il nome stesso della disciplina la definiscepertanto come guida all'azione pratica dei governanti: con le parole di oggi, ormaiampiamente spogliate del loro contenuto etimologico, possiamo dire che l'oggetto madredell'economia politica è la politica economica.

1.a.3. il metodo dell'economia politica: i modelliL'economia politica, che si vuole scienza sociale, ragiona come le scienze naturali per

astrattismi detti "modelli". Il modello altro non è che il riassunto delle relazioni essenzialiche regolano, per ipotesi, il fenomeno in esame; si tende a esprimerle in forma matematica,per poterne dedurre le implicazioni con sicurezza e relativa facilità.

I modelli sono volutamente il più possibile semplici, compatibilmente con ilfenomeno da spiegare. Questa passione per la semplicità è fondamentale: il "rasoio diOccam" (monaco inglese del primo Trecento) prescrive appunto che le variabili vanno ridotteal minimo necessario (�HQWLD�QRQ�VXQW�PXOWLSOLFDQGD�SUDHWHU�QHFHVVLWDWHP�), e i modelli più

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semplici sono considerati per ciò stesso più "eleganti". L'illustrazione canonica ci vieneproprio dall'astronomia. Il modello tolemaico, geocentrico con orbite circolari, spiegavaperfettamente il movimento apparente degli astri, ma in modo poco elegante: ai pianeti sidoveva infatti attribuire non una semplice orbita circolare intorno alla Terra, ma un'orbitacircolare intorno ad un punto che seguiva un'orbita circolare intorno a un punto che seguivaun'orbita circolare (e così via) .... intorno alla Terra. Il pregio del modello copernicano,eliocentrico con orbite ellittiche, non era quello di accostarsi meglio alla realtà osservata(dalla Terra, unico punto di osservazione fino a tempi recentissimi), ma di spiegare la stessarealtà in modo assai più semplice, senza dover ricorrere agli "epicicli" tolemaici.

Peraltro la tendenza a preferire le spiegazioni semplici sembra caratteristica non solodella mente scientifica, ma della mente umana in generale. Si immagini una telenovela, conLui e Lei. Si moltiplicano i ritardi e le assenze di Lei, che ha in ogni occasione unaspiegazione: ha forato una gomma, ha perso la borsa ma poi l'ha ritrovata, e via di seguito. Lui prima ci crede, poi si insospettisce, alla fine si convince che Lei lo tradisce: proprioperchè il modello "Lei è fedele e dice la verità" si concilia con i fatti solo ipotizzando anchetutte le avventure che le sarebbero capitate, mentre "Lei è infedele e mente" spiega tutto conun'unica avventura, quella appunto con l'Altro.

E' ovvio comunque che le semplificazioni lecite dipendono dal problema in esame: chi studia il sistema solare può astrarre dal volume della Terra e ridurla a un punto, chi studiai climi e le stagioni deve considerarla sferica. Lo stesso modello può essere pertanto ottimoper certi usi e pessimo per altri, esattamente come un ottimo martello rimane un pessimocacciavite.

1.a.4. il metodo dell'economia politica: tra modelli e realtàLa manipolazione del modello--il passaggio dalle ipotesi alle loro implicazioni--è

opera di puro raziocinio; ma sull'intuito che fornisce le ipotesi di lavoro, e prima ancora sullascelta del problema da affrontare, incidono le passioni e l'inconscio, i gusti e la cultura. Circaun secolo fa, ad esempio, la scoperta di imponenti rovine nell'Africa sud-orientale portò glistudiosi a ipotizzare che fossero dovute ad un ignoto popolo bianco: per razzismo, diciamoadesso, ma quel razzismo era allora funzionale al mito della missione civilizzatrice invocatoper giustificare l'imperialismo. Lo stesso modello copernicano fu a lungo osteggiato perchètoglieva l'uomo dal suo giusto posto al centro del Creato: e Copernico può essere stato ilprimo non con il genio di intuire il modello eliocentrico, ma con il coraggio (o la perversità?)di svilupparlo.

Così pure rimane ampiamente arbitraria e oscuramente condizionata la scelta,all'interno delle implicazioni logiche del modello, di quelle cui si dà risalto e che siattribuiscono alla realtà. Alle conclusioni comode, poi, si contrappone meno scetticismo chenon a quelle scomode, e non ci si chiede se verrebbero ribaltate riportando nel modelloqualche considerazione esclusa. Si continua così a lavorare finchè non si è "dimostrato" ciòche si voleva dimostrare, e lì ci si ferma, come nei nostri giochi con i piccoli che continuanofinchè non hanno vinto loro.

Tali condizionamenti a monte e a valle dei modelli sono particolarmente pesanti per lescienze sociali, che come la storia non possono non toccarci da vicino. Per tutta la freddalogica dei modelli stessi, dunque, l'economia politica è calda, impegnata, viva; ed è cresciutanel tempo dallo scontro tra tradizionalisti e ribelli sui problemi del momento.

1.a.5. la matrice culturale dell'economia politicaL'economia politica moderna si è sviluppata in Occidente, in questi ultimi due secoli

caratterizzati dall'egemonia--militare, politica, economica, e, sempre più, culturale--del

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mondo anglosassone, inglese prima, e americano poi. Malgrado la nascita nella Francia delSettecento, malgrado i notevoli contributi di studiosi di tanti paesi fra cui sicuramente l’Italia,la disciplina rimane profondamente angloamericana, e non se ne possono capirel’impostazione e l’evoluzione fuori da quella specifica matrice culturale.

All’interno di quella matrice, infatti, l’analisi teorica appare in generale comeun'astrazione naturale; traslata alla realtà italiana appare invece spesso ben strana, conpostulati fantascientifici, e curiose cecità che la portano a non vedere, o a scoprire tardi e consbalordimento, cose che invece sanno anche i bambini. Tutto questo lo toccheremo conmano; ma è bene tenerlo sempre in mente.

Secondo poi, si nota all'interno della disciplina (o più precisamente del suo filonecentrale, ortodosso) un lungo ciclo nell'atteggiamento verso l'intervento pubblico,alternamente sollecitato e disapprovato, al quale corrisponde un alterno predominiodell'anima pratica e dell'anima contemplativa che in questa disciplina convivono. Questociclo è il ciclo dell'opinione pubblica e della politica inglese e poi americana, da noi assente osolo mutuato (per non dire scimmiottato).

1.a.6. il ciclo ideologico dell'economia politicaRiassumeremo più tardi in questa stessa introduzione l'evoluzione della dottrina

economica; ci limitiamo per ora a ricordare solo le tappe fondamentali del ciclo testèsegnalato della dottrina ortodossa.

L'economia politica moderna nasce nel Settecento contestando l'allora diffusointerventismo. L'intuizione di fondo è che anche l'economia, come la natura, ha i suoiequilibri naturali e benefici; gli economisti devono solo dimostrarli, i governanti rispettarli.

Questo liberismo, allora rivoluzionario, trionfa nell'Ottocento; e sul finire del secoloviene difeso in chiave sempre più conservatrice contro i nuovi rivoluzionari socialisti.

Nel prima metà del Novecento l'economia ortodossa scopre i limiti del liberismo eriprende la via dell'interventismo, sia pure limitato (a differenza di quello auspicato dallasinistra socialcomunista) a complementare i mercati. Si accerta infatti che questi possonofare molto, ma non tutto: possono allocare in modo efficiente le risorse scarse, ma solo acerte condizioni che non sempre si verificano, per cui compete allo Stato un ruolo allocatorequando i mercati "falliscono"; non possono comunque garantire una distribuzione "buona"della ricchezza, per cui compete comunque allo Stato un ruolo redistributore. Con la GrandeDepressione, poi, si riconosce pure, abbandonando la vecchia fede, che l'equilibrio naturalepuò essere disastroso; per contenere il ciclo economico e evitare la disoccupazione di massalo Stato deve assumere un ruolo stabilizzatore.

L'interventismo, trionfante nel secondo dopoguerra, scatenerà a sua volta la reazionepolitica e culturale: in questi ultimi decenni l'economia politica pure si è riavvicinata alliberismo, contestando con nuovi argomenti l'utilità e la necessità dell'intervento pubblico.

1.b. lo stato nell'economia politica

1.b.1. introduzioneAllo stato soggetto della politica economica l'economia politica attribuisce dunque tre

ruoli potenziali, riferiti rispettivamente alla redistribuzione, all'allocazione, e allastabilizzazione. Per la verità, questi tre momenti si riducono logicamente a due, in quanto ilproblema della stabilizzazione--il problema del ciclo economico e della disoccupazione--altronon è che un particolare problema di allocazione (tra ozio e lavoro); si distingue dal problemadetto dell'allocazione, che riunisce di fatto gli altri problemi di allocazione, per l'importanza

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in verità eccezionale di questo particolare "fallimento del mercato", e per il metodo di studioe gli strumenti di intervento altrettanto particolari (macroeconomici piuttosto chemicroeconomici).

I momenti fondamentali sono pertanto due, di allocazione e di redistribuzione; ecorrispondono in sostanza a due ruoli che lo stato (anglosassone) confonde. L'uno è quellodello stato come associazione di tutti; l'altro è quello dello stato come strumento dicoercizione.

1.b.2. lo stato associazione di tuttiNella teoria comune, di matrice appunto anglosassone, liberal-democratica, lo stato

compare come associazione, in sostanza volontaria, di tutti. Siccome gli associati sono taliper trarne qualche beneficio, e abbandonano l'associazione se dovesse danneggiarli, è chiaroche lo stato-associazione sarà dedito per natura a gestire quegli interventi che sono abeneficio di tutti o perlomeno che beneficiando qualcuno non arrecano danno a nessuno.

Nella realtà, ovviamente, nessun intervento è naturalmente di questo tipo: qualsiasiintervento, anche se aumenta l'efficienza dell'economia, modifica i prezzi e dunque danneggial'una o l'altra delle parti contraenti. Se aumenta l'efficienza, però, genera un prodottoaggiuntivo che crea la possibilità di compensare i danneggiati; gli interventi che aumentanol'efficienza e vengono accompagnati dalle dovute compensazioni sono pertanto accettabiliall'unanimità.

Nella realtà, pure, le compensazioni puntuali non sono facili, e si tende per così dire acontare sulla compensazione complessiva. Per fare un esempio specifico, ammettiamo che laliberalizzazione dei tassì comporti un beneficio netto, che comprende però oltre al beneficioper i consumatori anche una perdita per i tassinari stessi. La liberalizzazione si estende peròanche al commercio, ai notai, e via di seguito; alla fine, anche i tassinari dovrebbero starmeglio, guadagnando come compratori di carne o di case dalle "altre" liberalizzazioni più diquanto non perdano come tassinari dalla propria.

Lo stato allocatore, che elimina le inefficienze dovute ai fallimenti dei mercati,interviene dunque almeno tendenzialmente e potenzialmente a beneficio di tutti; lo statoredistributore interviene invece inevitabilmente in modo da danneggiare chi perde. Da qui lasostanziale corrispondenza tra stato-associazione e funzione allocatrice: funzione chel'economia politica (di matrice liberal-democratica) ha studiato prima e ben più volentieri deiproblemi connessi alla redistribuzione.

Occorre comunque aggiungere tre precisazioni.Primo, lo stato associativo tende ad avere una struttura federale, a più livelli, in quanto

l'associazione giusta è più o meno estesa a seconda del problema pratico da risolvere.Secondo, anche lo stato-associazione può trasferire reddito e ricchezza, ma solo se ciò

è desiderato da tutti, anche da chi ci rimette in termini monetari. In questo caso, ovviamente,chi vuol dare e far dare ottiene soddisfazione dal miglioramento della situazione deibeneficiari, e ci guadagna in termini di benessere anche se non in termini di reddito o diricchezza.

Terzo, anche lo stato-associazione può avere poteri coercitivi, concessi dai membri aproprio vantaggio: per esempio, il potere di esigere quote di sottoscrizione per pagare unbene che il mercato non fornirebbe (la difesa, la giustizia, e gli altri beni detti appunto"pubblici"). La coercizione è qui concordata, non subita, e rimane strumento di interventiallocatori accettabili all'unanimità; anzi, proprio perchè concordata e accettata la coercizionepuò essere maggiore di quella imposta e subita nello stato che è coercitivo senza essereassociativo. Notava già A. de Tocqueville ('H�OD�GpPRFUDWLH�HQ�$PpULTXH, 1836-39) quantoera forte lo stato della giovane Repubblica americana; ricordiamo che nelle ultime grandi

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guerre sono stati proprio i governi dei paesi democratici quelli che hanno potutomaggiormente ricorrere al finanziamento tramite imposte, e evitare dunque il prelievo tramitecreazione di moneta e inflazione.

Nell’ottica liberal-democratica, dunque, si accetta tranquillamente la coercizionepubblica. Anzi, essendo vietata la coercizione privata allo stato compete "il monopolio dellaviolenza": principio questo ovviamente condiviso dalle tradizioni non-democratiche, adesclusione del filone anarchico (che la democrazia giustamente teme: vedi Sacco eVanzetti...). Questo monopolio di violenza (potere, sovranità) fa sì che qualsiasi potereeconomico privato è legittimo solo se derivato dallo stato: da qui ad esempio la necessitàstorica di una decisione sovrana ad hoc per concedere ogni diritto di monopolio o diincorporazione, da qui pure l'illegalità, negli Stati Uniti, delle strategie aziendali mirate alraggiungimento del monopolio privato.

Peraltro il monopolio della violenza va qualificato, proprio nel contesto dello statoassociativo, che è tipicamente un'associazione tra uomini o comunque tra adulti: i minori, ledonne (minori fittizi) sono tipicamente sottoposti all'autorità non solo dello stato, o nonaffatto dello stato, ma del padre (o dei genitori) o del marito. Si arriva qui al problema di chiè cittadino, sottoposto direttamente allo stato e dunque da esso protetto, e chi, come glischiavi, non lo è; la famiglia era una volta sovrana nel suo interno, e anche ora lo stato èspesso restìo ad entrarvi. Il caso emblematico è quello di Roma antica, sorta sembra comeassociazione di clan internamente sovrani: l'autorità dei paterfamilias era assoluta, e lo statonon aveva nemmeno il diritto di tassare le terre di loro proprietà H[�MXUH�TXLULWLXP.

1.b.3. lo stato predatoreLo stato che viene definito dalla propria capacità coercitiva non strumentalizzata al

benessere di tutti è lo stato predatore.Nella storia si ritrovano degli stati associativi: ne sono esempi tipici, con Roma

appena ricordata, le repubbliche urbane greche e latine, le città medievali (scaturite daassociazioni giurate) e probabilmente anche le tribù germaniche, sempre però a livello diaristocrazie.

Il più delle volte, però, e specie agli albori della civiltà, lo stato appare comepredatore. Sorge infatti con la capacità di qualche banda armata di ricattare i produttori diricchezza, esigendone dei tributi pena la messa a ferro e fuoco. Questi produttori di ricchezzasono ricattabili in quanto non possono fuggire: si tratta dunque in sostanza di agricoltori, dicui si possono distruggere i raccolti e le scorte, e anche di mercanti, che passano per forzadove li obbliga la topografia.

Siccome i popoli dediti alla caccia e alla raccolta sono invece difficilmente ricattabili,i primi stati sorgono dove si esaurisce lo spazio per quel tipo di vita: esempio classico legrandi valli aride (l'Egitto, la Mesopotamia, l'India, la Cina) dove il popolo era non soloagricolo ma legato alle vicinanze del fiume. Altri stati sorgono dove vi è transito, ad esempioin Africa lungo le vie dell'oro e del sale; si ricorda come equivalente europeo la potenzatradizionale della Borgogna, a cavallo del valico tra il Mediterraneo e l'Atlantico.

In questi contesti particolari si crea, per mano di qualche violento, lo stato comestrumento di sfruttamento, e che come sfruttatore esige il monopolio locale dellosfruttamento. Accanto ai primi stati come l'Egitto, caratterizzati da una forte componenteredistributrice (al punto che c'è chi vi ha visto un modello alternativo al mercato...), sonochiaramente di questo tipo anche gli stati dell'assolutismo (in cui il monarca gestisce ilcartello dell'aristocrazia). Secondo i marxisti, poi, sono di questo tipo anche gli stati(democratici e non) caratterizzati da un'economia capitalista, chè lo stato rimane "il comitatoesecutivo della classe dirigente".

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Comunque sia, lo stato predatore è ovviamente e per natura redistributore piuttostoche allocatore; anzi, l'allocazione interessa al limite solo come mezzo per aumentare lapossibile redistribuzione, a vantaggio sempre della classe dirigente. Mentre lo stato-associazione è coercitivo e redistributore in quanto allocatore, dunque, lo stato predatore èallocatore in quanto coercitivo e redistributore; e in quanto allocatore è pur sempre interessatoall'economia politica.

Come redistributore, però, è interessato in particolar modo alla scienza delle finanze. Questa studia appunto gli strumenti privilegiati dello sfruttamento, ossia le imposte e imonopoli fiscali (occupandosi per esempio del problema della traslazione dell'imposta, chè senon si sta attenti una tassa che si vuol far pagare ai poveri potrebbe ricadere sui ricchi);ricordiamo che tali strumenti erano peraltro spesso appaltati, chè lo stato tradizionaleraramente disponeva di burocrazie efficienti. La redistribuzione ai potenti avviene invece siaattraverso i sussidi diretti, quali le rendite attribuite dal Re di Francia i suoi nobili, siaattraverso la concessione di monopoli (o di poteri amministrativi, che arricchiscono con lacorruzione).

1.b.4. la politica e il potereA prima vista, lo stato allocatore sembra naturalmente democratico, quello predatore

naturalmente monocratico (o aristocratico); ma la forma politica non è strettamente legata allafunzione dello stato.

Almeno teoricamente, ad esempio, un monarca assoluto ma benevolo potrebbe gestireil potere per il bene di tutti, limitandosi a funzioni di miglioramento allocativo; come esempi(o pseudo-esempi) storici si può pensare ai buoni imperatori romani (Augusto, gli Antonini),e magari anche ai signori "stranieri" chiamati dalle città-stato italiane altrimenti dilaniate dallelotte intestine.

Tutt'altro che teoricamente, purtroppo, bisogna ricordare la configurazione demo-predatrice: il caso cioè in cui il potere è attribuito con metodi democratici, ma gestito poi inottica redistributrice. Questo sembra essere il caso, comune, dei paesi che hanno mutuato aglianglosassoni le forme della democrazia liberale, ma non l'etica che ne è il supporto e lasostanza.

L'etica democratico-liberale nasce, come è noto, dalle sette protestanti chericonoscono il diritto alla propria visione del bene di tutti e dunque rispettano la libertà dipensare, e di esprimersi, secondo coscienza. Le maggioranze decidono, sui singoli punti, masempre in funzione del bene comune, nel pieno rispetto della minoranza e del singolo che èsempre libero di pensare diversamente senza che ciò sia visto come un tradimento.

Dove come ahimè da noi manca questa etica, il voto "democratico" serve solo adefinire la coalizione di maggioranza che poi gestisce il potere a proprio vantaggio, e a dannodella minoranza: da qui l'ansia dell'italiano di trovarsi sempre con i vincitori, da quil'esigenza di votare con i propri amici anche se si pensa diversamente, da qui l'atteggiamentodei potenti che esigono lealtà dai propri clienti piuttosto che coscienza dai propricollaboratori. Emblematico, per rendere la cosa concreta, il professore che si scaglia contro ilricercatore della sua area che ha avuto la sfrontatezza di non votare come lui: atteggiamentoimpensabile in una facoltà americana, dove ognuno vota come pensa senza che questominimamente incida sul rapporti professionali e le possibilità di carriera.

Tanto è lontana questa etica di mafia da quella anglosassone che la teoria dellapolitica economica maturata appunto in ambiente anglosassone tradizionalmente teorizza lostato solo come associazione di tutti, volta ad aumentare il benessere collettivo; l'uso delpotere a vantaggio di chi lo detiene è stato teorizzato solo di recente, da parte della destraamericana anti-interventista, e non a caso tale comportamento viene visto come un IDOOLPHQWR

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dello stato.

1.c. i precedenti storici

1.c.1. il mondo anticoNel mondo antico si ritrovano come si è detto due tipologie opposte: quella delle

monarchie o teocrazie predatrici, come l'Egitto; e quella delle repubbliche associative (anchese queste poi come Roma si presentano all'esterno come predatrici). Gli stati redistributorisono attivamente coinvolti nel processo di produzione, tassando il prodotto, esigendo corvées,e magari salariando i lavoratori delle terre demaniali; e tendono a dedicare parte del surplusestratto dal popolo a lavori "pubblici" di prestigio (piramidi).

La Roma classica si presenta invece perlomeno al suo interno come uno statoallocatore, liberista ante litteram: lo stato gestisce il settore pubblico "minimo" (difesa, lavoripubblici; il circo; le imposte sui territori conquistati), e definisce le regole che facilitano gliscambi di mercato lasciati all'iniziativa dei singoli (il diritto privato); gestisce inoltre laredistribuzione (il pane, a favore dei poveri--peraltro solo a Roma, per motivi di ordinepubblico).

Questo aspetto di massima va temperato da tre considerazioni. Primo, nella stessaRoma le lotte tra patrizi e plebei hanno sapore redistributivo, per cui almeno alle originil'associazione-stato era presumibilmente dei soli patrizi. Secondo, il tardo impero cerca diovviare alle sue difficoltà economiche limitando la libertà di contrattazione. L'editto diDiocleziano (c. 300 d.C.) limita i prezzi; viene visto come una sospensione del mercato, mapiù probabilmente era destinato a limitare solo i prezzi pagati dall'amministrazione dellostato. Con una serie di leggi sono rese ereditarie e obbligatorie certe professioni (connesseall'approvvigionamento e all'amministrazione), e legati al suolo anche i contadini liberi. Terzo, il modello romano non era universale. Cartagine, in particolare, era una potenzacommerciale che cercava di mantenere il monopolio di certi contatti (in particolare oltre lecolonne d'Ercole, donde giungevano l'oro dell'Africa e lo stagno della Cornovaglia). Rimane controversa la misura in cui l'economia classica fosse simile alla nostra(controversia sul capitalismo antico). Negli anni Venti il volume sull'economia della Romaantica di M. Rostovzeff (6RFLDO� DQG� (FRQRPLF� +LVWRU\� RI� WKH� 5RPDQ� (PSLUH, 1926) nesottolineava la modernità e le affinità con le economie capitaliste del nostro tempo: descriveva infatti l'economia classica come un'economia di mercato, che anche se agraria ecommerciale invece che industriale non era di fondo dissimile da quelle in cui viviamo.

Questa visione era naturalmente difficile da conciliare con lo schema marxista, chevede nella storia uno sviluppo lineare e obbligato: siccome il capitalismo non poteva esistereprima, oltre che dopo, il feudalesimo, l'idea di Rostovzeff che ci sia stato un capitalismoantico è sbrigativamente respinta con l'accusa di anacronismo. Per i marxisti il mondo anticoera caratterizzato dal sistema schiavistico, statico, e ben diverso dal capitalismo col suomercato del lavoro, la lotta di classe, e l'accumulazione (P. Anderson, 3DVVDJHV� IURP$QWLTXLW\�WR�)HXGDOLVP, 1974). La critica marxista a Rostovzeff sembra però molto debole, inquanto il mercato dei lavoratori (gli schiavi) si inserisce benissimo in un'economia capitalistaa fianco del mercato del lavoro (vedi gli Stati Uniti fino al 1865). Nell'economia antica, anzi,e a differenza del Nuovo Mondo, gli schiavi erano utilizzati massimamente in lavori cheesigevano non uno sforzo fisico ottenibile con la brutalità ma una collaborazione fattivaottenibile solo con un trattamento, e degli incentivi, simili a quelli che si usano con ilavoratori liberi. Per questo motivo la barriera tra schiavi e liberi era porosa (vedi gli artigianidi Ostia ricordati da una lapide che lasciò spazio per il nome che lo schiavo avrebbe acquisito

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con la libertà).Diversa è la critica accanita a Rostovzeff mossa dalla scuola di K. Polanyi, che

avversò il capitalismo e i mercati negando che fossero naturali all'uomo e storicamentecomuni (7KH� *UHDW� 7UDQVIRUPDWLRQ, 1944, e 3ULPLWLYH�� $UFKDLF�� DQG� 0RGHUQ� (FRQRPLHV,1968). M. Finley, titolare della cattedra di storia antica a Cambridge, si oppose in modoparticolare a Rostovzeff negando appunto agli antichi interessi e istituzioni simili ai nostri(7KH� $QFLHQW� (FRQRP\, 1973). Malgrado l'antipatia naturale per le tesi di Polanyi deglieconomisti (che proprio in quanto tali non amano ipotizzare differenze culturali), e malgradopure l'apparente superficialità degli argomenti di Finley (che nota ad esempio che Pliniocomprò una villa lodandone l'amenità piuttosto che il reddito: argomento che prova benpoco, visto che anche Rockefeller avrebbe potuto fare altrettanto), la sua interpretazione èstata largamente accettata: forse per l'autorevolezza della fonte, forse anche per la mancanzadi simpatia per gli antichi fra questa generazione di storici, economici e non, che non si èformata sugli studi classici. Sembra però aver visto giusto Rostovzeff.

Un problema analogo si è presentato per le economie dell'Egitto o della Mesopotamia,che i seguaci di Polanyi definirono economie di reciprocità e di redistribuzione (e non dimercato). Di fatto sembra ora abbastanza accertato che la redistribuzione coinvolgesse itrasferimenti verso le classi dirigenti, mentre il resto dell'economia funzionava con i solitimercati...

1.c.2. il medioevo feudaleE' controversa l'origine del feudalesimo. La fine dell'era antica, tradizionalmente attribuita alla calata dei barbari, venne invece

attribuita da H. Pirenne all'espansione dell'Islam, che spezzò l'unità del Mediterraneo(0DKRPHW�HW�&KDUOHPDJQH, 1937). Questo discorso è sicuramente valido in termini politici eculturali, in quanto è l'espansione dell'Islam che crea l'Europa come unità culturale ereligiosa; è molto discutibile invece in termini economici, in parte per gli elementiPolanyieschi dell'analisi di Pirenne. Secondo questi infatti senza il commercio esterno non viè quello interno, senza commercio interno non vi è circolazione di moneta, senza circolazionedi moneta non vi sono imposte e dunque non vi può funzionare lo stato...

La scomparsa dello stato è indubbia; se non è attribuibile alla chiusura delMediterraneo, lo è forse alla pressione militare sulle frontiere dell'Europa (da parte di Arabi,Vichinghi, Magiari...), e forse più probabilmente agli incentivi alle razzie di schiavi e dunqueall'anarchia creati dalla continuazione del commercio del Mediterraneo (ma questo è undiscorso lungo...). Comunque sia, lo stato scompare, e il potere sovrano di tassare e renderegiustizia passa ai signori locali; lo stesso re di Francia, ad esempio, dispone da sovrano solodelle sue proprie terre, come un barone qualsiasi. Con questa confusione tra pubblico eprivato, scompaiono praticamente lo stato, la politica economica, e dunque lo spazio perl'economia politica.

Notiamo peraltro che l'economia dell'Europa feudale non è più considerata statica: siriconosce adesso ad esempio il progresso tecnico e organizzativo dell'agricolturanordeuropea, e i marxisti come Anderson hanno teorizzato all'interno del feudalesimo unalotta di classe e dunque una dinamica affini a quelle del capitalismo. Non si capisce pertantoperchè marxisti e non marxisti debbano continuare a considerare diverso, e statico, il mondoantico (J. Mokyr, 7KH�/HYHU�RI�5LFKHV, 1990).

1.c.3. le città medievaliSempre secondo Pirenne, la città medievale (ri)crea il capitalismo in cui tuttora

viviamo, che distrugge da nemico il mondo feudale (0HGLHYDO�&LWLHV���7KHLU�2ULJLQ�DQG�WKH

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5HYLYDO� RI� 7UDGH, 1925). Altri studiosi hanno giustamente notato che le città medievalivivevano producendo o commerciando beni destinati alle élites feudali; piuttosto che diantagonismo tra capitalismo (urbano) e feudalesimo (rurale) si dovrebbe forse parlare disimbiosi feudale. Comunque sia, nelle città medievali, come nel mondo romano e nel nostro,la comunità organizzata a stato gestisce il settore pubblico (difesa, lavori pubblici,educazione). In quanto mercantili e capitaliste, poi, e dunque interessate a facilitare gliscambi, le città medievali recuperano il diritto romano (a controprova ovviamente dellavalidità delle conclusioni del Rostovzeff sul mondo antico).

Si nota inoltre che il capitalismo delle città medievali è, come il nostro, nonindividualistico e concorrenziale ma corporativo, monopolistico, e altamente regolamentato. Il potere di mercato e il controllo della qualità (che sono peraltro connessi) vengono gestitidai maestri artigiani organizzati in gilde; si è detto che tali organismi hanno contribuito allaformazione di un'etica produttivistica (mancante nei paesi come la Russia, che ne hannorisentito in periodi successivi).

Nel campo specifico del commercio estero, le città medievali sono eredi di Cartaginepiuttosto che di Roma: sono infatti tutt'altro che libero-scambiste, e buona parte della politicaeconomica guarda appunto al controllo del commercio estero. Il potere militare viene postospregiudicatamente al servizio del potere commerciale, debellando i concorrenti; leesportazioni (di beni di lusso, perchè gli alti costi di trasporto limitano il commercio dellemerci povere) vengono garantite anche dal controllo della qualità.

1.c.4. il mercantilismoCon la chiusura del medio evo la politica interventista delle città venne traslata al

livello dello stato nazionale: dopo il secolo aureo delle potenze iberiche saranno l'Olanda epoi l'Inghilterra regina dei mari, la Francia erede dell'Italia nelle manifatture di lusso. Questepolitiche vedono la concorrenza interstatale come gioco a somma zero, e mirano al surplusnei pagamenti (influsso di oro).

Gli economisti moderni hanno tradizionalmente tacciato i mercantilisti di ignoranzae/o stupidità, attribuendo la ricerca dell'oro al non aver capito che la ricchezza vera è ladisponibilità di beni e servizi, e l'idea della somma zero al non aver capito che il commerciocrea vantaggi netti per tutti.

Di fatto, gli stati nazionali lottavano per il potere e la sopravvivenza, e nelle lotte dipotere conta la graduatoria e non il livello; l'oro, ottenuto dal saldo dei pagamenti(inevitabilmente a somma zero), serviva direttamente a pagare le truppe mercenarie. L'interventismo mercantilista sembra pertanto assolutamente difendibile.

Anche il principio che il commercio crea vantaggi per tutti va temperato in un mondoin cui l'alto costo dei trasporti limitava in pratica il commercio interlocale ai beni di lusso: nella misura in cui questi sono beni utilizzati nella concorrenza sociale (caso tipico: igioielli), il gioco è di nuovo a somma zero. Se infatti noi ci contendiamo il rango socialeacquistando beni pregiati che dimostrano il nostro potere e la nostra ricchezza, i beniconsumati sono dal punto di vista del benessere l'equivalente preciso delle armi, o dellamoneta (le mie valgono di più se non le possiedi pure tu). La riluttanza della Cina, chetendenzialmente esportava manufatti e importava metallo, ad aprirsi al commercio esteroderivava forse in parte dall'aver capito proprio questo...

Nella visione mercantilista, peraltro, si tiene conto della mobilità delle risorse: silotta, anche con i sussidi, per attrarre e sviluppare le competenze necessarie per l'industriaesportatrice. Anche da questo punto di vista il mercantilismo sembra più valido delle criticheche gli sono state mosse (e comunque tutt'altro che morto: si pensi all'Airbus).

Occorre comunque distinguere tra vari tipi di interventi, variamente ispirati al

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mercantilismo (regolamentazione che si vuole efficace, per ottenere il surplus dei pagamenti),al fiscalismo (regolamentazione che si vuole inefficace, per lucrare le multe), e allacorruzione (regolamentazione che si vuole inefficace, per lucrare bustarelle--bustarelle cheperò possono sostituire lo stipendio, per cui possono far parte del disegno del sovrano).

In questo periodo, vari studiosi si occupano di questioni economiche, ma tipicamentesu questioni particolari (paradosso del valore reale e di mercato dell'acqua e dei diamanti;problemi di inflazione), senza che si sviluppi quello che noi chiameremmo una disciplinaeconomica.

Compaiono ciononostante dei contributi validissimi: va segnalata in particolare lateoria quantitativa della moneta, sviluppata già nel Cinquecento da J. Bodin (francese) perspiegare l'inflazione in Europa con l'enorme afflusso di oro e di argento dalle americhe(5HVSRQVH�j�0��GH�0DOHVWURLFW�VXU�OH�SDUDGR[H�GX�IDLFW�GHV�PRQQDLHV, 1569).

1.d. la nascita dell'economia politica

1.d.1. i fisiocratiL'economia politica intesa come disciplina ("economics"), figlia dell'illuminismo,

nasce nella Francia prerevoluzionaria (c. 1750) dalla fede neo-stoica nell'ordine naturale (epertanto ottimale) contro il quale l'intervento è dannoso o perlomeno inutile, nella sfera dellaproduzione e distribuzione umana come nelle altre. Questi primi economisti si chiamanopertanto ILVLRFUDWL ("deve governare la natura"); il loro primo e fondamentale principio è ilnon-intervento: ODLVVH]� IDLUH�� ODLVVH]� SDVVHU. Secondariamente, e nel contesto francese diappoggio all'industria (dei beni di lusso), insistono che l'agricoltura è l'unica fonte netta diricchezza; secondo loro industria e servizi trasformano senza creare benefici netti.

1.d.2. Adam SmithA. Smith (scozzese; 7KH�:HDOWK� RI�1DWLRQV, 1776) porta nella cultura anglosassone

(egemonica nei secoli successivi) il messaggio fisiocratico anti-interventista; il suo testo è ungrande libello antimercantilista (malgrado il titolo, mutuato al nemico da abbattere).

Per Smith, la ricchezza delle nazioni è il benessere dei consumatori, e non l'accumulodi metalli preziosi; vince il dibattito con il mercantilismo non solo contestandone i metodi,ma sostituendo altri obiettivi (il che a rigore di logica vanifica la critica...). Il benessere deiconsumatori dipende poi dal funzionamento corretto del mercato, ossia dalla FRQFRUUHQ]D,che come una benefica �PDQR�LQYLVLELOH� porta i singoli che fanno l'interesse proprio a fare difatto l'interesse comune; si profila dunque la funzione statale di controllo dei mercati inchiave antitrust, opposta a quella tradizionale, mercantilista, di creare e garantire i monopoliindustriali.

Con la concorrenza, sostiene Smith, si allarga il mercato, permettendo dunque inotevoli aumenti di produttività che accompagnano OD�VSHFLDOL]]D]LRQH: è rimasto famoso ilsuo esempio della divisione del lavoro in una fabbrica di spilli.

Dove poi per i fisiocrati solo l'agricoltura produceva ricchezza, per Smith sonoproduttive sia l'agricoltura che l'industria; i servizi, non produttori di beni, vengono invececonsiderati sterili. La parificazione dei servizi alla produzione dei beni avrà luogo solo con larivoluzione "marginalista", austriaca e inglese, alla fine del secolo successivo. Sfuggiràpertanto al filone marxista, allora già separato da quello liberista, con gravi conseguenze perla politica economica del mondo comunista: i sovietici avranno infatti una tendenza cronica asottoinvestire nei trasporti, e a gestire malissimo il terziario in generale (anche perchè è quelloche meno si presta alla pianificazione in termini quantitativi).

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Smith propugna il libero scambio all’esterno come il libero commercio all’interno, maarriva a dimostrarne i benefici solo ipotizzando differenze assolute di produttività nei diversipaesi (per cui il prodotto complessivo ovviamente aumenta se ognuno si specializza in ciòche produce a costo minore); l'argomento lascia pertanto spazio al protezionismo se ilconcorrente è più produttivo in tutti i settori.

Sulla teoria del valore, infine, Smith si ferma ad associare i prezzi relativi al contenutorelativo di lavoro (se ci vogliono in media due ore per catturare un daino e una per catturareun castoro, un daino vale due castori): una prima approssimazione non inutile ma nemmenosoddisfacente (si pensi ai beni rari, alle diverse remunerazioni orarie di professioni diverse...).

1.d.3. David HumeCompleta l'opera antimercantilista di Smith il suo connazionale e contemporaneo D.

Hume, che usa la teoria quantitativa della moneta per "dimostrare" la futilità delle politichetese ad ottenere un surplus nella bilancia dei pagamenti. La teoria dei flussi aurei di Humenota infatti che un surplus dei pagamenti crea un'afflusso di oro che a sua volta fa lievitare iprezzi, riducendo la competitività delle esportazioni e riportando in equilibrio la bilancia deipagamenti. Nell'allocazione internazionale dell'oro, come nel resto dell'economia, esistedunque un equilibrio naturale che non si può e non si deve disturbare.

Hume convince tutti, anche se la sua teoria è errata. Primo, l'oro acquisito eWHVDXUL]]DWR dalla corona non entra in circolazione e dunque non fa lievitare i prezzi. Secondo, il protezionismo aumenta il livello dei prezzi, e dunque l'oro circolante inequilibrio. Terzo, ogni paese ha un livello dei prezzi determinato dalla struttura delcommercio, in quanto i prezzi interni sono legati ai prezzi all'esportazione; i prezziall'esportazione sono i prezzi del mercato mondiale, detratti i costi di trasporto; e i costi ditrasporto incidono maggiormente sulle merci povere (perchè il trasporto è una costante pertonnellata, costante che è relativamente maggiore tanto minore è il valore unitario del benetrasportato). Il paese che esportava manufatti di lusso piuttosto che grano aveva pertantoprezzi medi più alti, e dunque uno stock di circolante maggiore...

Il trionfo dell'allora nuova economia classica sembra pertanto dovuto più ad unapredisposizione favorevole da parte dell'opinione pubblica che ad un merito intrinseco; e ci sichiede quanta influenza possono avere di fatto le idee in quanto tali...

1.d.3. David RicardoIl trattato di D. Ricardo (inglese; 3ULQFLSOHV�RI�3ROLWLFDO�(FRQRP\�DQG�7D[DWLRQ, 1817)

è visto come il primo trattato di economia analitica. Di fatto, non è un opera astratta, bensì,in tale veste, un potente attacco al protezionismo agrario dell'Inghilterra governata appuntodai grandi proprietari terrieri.

Ricardo adduce due argomenti. Contro il protezionismo in generale, completal'argomentazione di Smith dimostrando che il commercio è vantaggioso per tutti, anche se unpaese è poco produttivi in tutti i settori; basta infatti che ognuno si specializzi dove possiedeun YDQWDJJLR�FRPSDUDWR, ossia un maggior vantaggio o un minor svantaggio.

Contro il protezionismo agrario in particolare, Ricardo idea un modello di crescita incui l'economia cresce grazie all'DFFXPXOD]LRQH (ossia all'aumento delle risorse, e non solo allamaggior specializzazione delle risorse date). L'economia tende però ad uno VWDWR�VWD]LRQDULR. La produzione usa terra, capitale, e lavoro; la terra è limitata, per cui gli altri fattori sonosoggetti a UHQGLPHQWL�GHFUHVFHQWL (ossia: raddoppiando capitale e lavoro con terra costante ilprodotto aumenta ma non raddoppia). L'economia cresce finchè i rendimenti del capitale edel lavoro superano i minimi necessari per mantenerli; la crescita termina quando la pressionedemografica sulle limitate risorse agrarie convoglia l'intero surplus oltre il mantenimento dei

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lavoratori e del capitale agli agrari, visti come puri consumatori, e non, come i capitalisti,risparmiatori e investitori. Il protezionismo agrario, che impedisce di usare le terre altruicome se fossero proprie, tende pertanto a limitare la crescita.

Non si può non riconoscere l'assoluta genialità dell'analisi ricardiana. Con il modellodei vantaggi comparati, infatti, Ricardo non solo scopre un principio importantissimo, chevale nello scambio interno come in quello internazionale, ma prefigura anche altri concettiche come vedremo sono assolutamente fondamentali. Specializzandosi infatti ogni paesenella produzione in cui gode di un vantaggio comparato, si viene a minimizzare il costo diogni bene non in termini di risorse, ma in termini dei beni cui si deve rinunciare: se neminimizza insomma quello che si chiamerà poi il FRVWR�RSSRUWXQLWj. Bastando inoltre perchèil commercio sia vantaggioso che vi siano differenze nei costi opportunità, il modello nonsolo presenta di fatto un problema di PDVVLPL]]D]LRQH� YLQFRODWD (nel caso, lamassimizzazione della produzione complessiva dato il vincolo delle risorse e delleproduttività), ma ne prospetta la soluzione corretta che comporta OXJXDJOLDQ]D� GHL� WDVVL� GLVRVWLWX]LRQH (nel caso, tra i beni nei diversi paesi).

All'interno del modello della crescita, pure, Ricardo nota la differenza fondamentaletra i salari e il profitto, pagamenti necessari per mantenere i lavoratori e il capitale, e larendita della terra, senza la quale la terra esisterebbe comunque. Da allora si è capito che nonè solo la terra che può guadagnare più del minimo che basterebbe per ottenerne i servizi; main omaggio all'origine del concetto gli economisti chiamano UHQGLWD qualsiasi remunerazionein eccesso di tale minimo.

Si può anche notare, però, che l'analisi ricardiana è non poco tendenziosa. Il modellodella crescita, ad esempio, è come quello successivo di Marx un modello a classi socialiantagoniste, solo con capitalisti e lavoratori ("produttivi") da una parte e agrari ("parassiti")dall'altra. Questa schematizzazione rappresenta di fatto un notevole falso storico, in quantoerano stati proprio gli agrari a finanziare i grandi investimenti in opere di pubblica utilità(strade, canali) che avevano portato l'Inghilterra del Settecento alla rivoluzione commerciale epoi industriale. I ricchi proprietari terrieri erano di fatto risparmiatori e investitori non menodei capitalisti.

Nel modello del commercio, pure, i vantaggi generali del libero scambio notati daRicardo (e dai testi moderni) sono tali solo se non si guarda all'interno dei paesi. Rispettoall'autarchia, infatti, il libero scambio porta alla specializzazione, che modifica ovviamente leproduzioni relative; ma essendo diverse le proporzioni in cui le diverse produzioni usano ifattori di produzione, modificare le produzioni relative significa cambiare pure la scarsitàrelativa dei fattori, e dunque le loro remunerazioni relative. Questo lo vedremo meglio poi;ma è intuitivo che in un paese tendenzialmente manifatturiero come l'Inghilterra di allora lalibera importazione di prodotti agricoli avrebbe giovato non tanto "al paese" quanto aicapitalisti e ai lavoratori, con danno grave invece per gli agrari. L'antagonismo di classe sitrova dunque implicitamente anche nel modello del commercio, e non solo in quello dicrescita; lo stato allocatore è anche redistributore.

Forte comunque di questa dottrina economica liberista, l'agitazione del nuovo mondoindustriale (i tessili di Manchester) porterà l'Inghilterra al libero scambio (Reform Bill, 1832;abolizione del dazio sul grano, 1846); e con esso l'Inghilterra imbocca senza remore la viadella specializzazione industriale che ne farà "l'opificio del mondo".

1.e. lo sviluppo dell'economia politica

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1.e.1. industrializzazione, socialismo e economia borgheseNel corso dell’Ottocento lo sviluppo industriale si diffonde in Europa e in America.

Crescono come mai prima di allora la produzione, la ricchezza, anche infine il tenore di vitadei lavoratori; ma la crescita è turbata da periodiche crisi, legate non più come quelletradizionali al maltempo e ai fallimenti dei raccolti, ma a disfunzioni interne al mondo degliaffari. La nuova ricchezza industriale è pure molto concentrata (anche se meno forse dellaricchezza fondiaria, ma quella era antica), nelle mani della nuova borghesia.

Il liberismo un tempo rivoluzionario si trova scavalcato a sinistra dal socialismo, checonvoglia appunto due istanze: quella dell'uguaglianza, e quella della stabilità, e dunquedell'efficienza, economica. Oggi, notiamo, si tende a identificare l'equità con il socialismoma l'efficienza con il capitalismo; allora il socialismo nascente prospettava rispetto alcapitalismo un guadagno insieme di efficienza e di equità.

Allo stato liberale, nullafacente (o poliziotto), i socialisti contrappongono dunque unostato fortemente interventista, redistributore e stabilizzatore. E non solo: pensando chel'instabilità del capitalismo sia dovuta al mercato, anarchico e disordinato, pensano che persuperare quella vada superato questo; prospettano dunque uno stato pianificatore edirettamente allocatore.

L'economia politica liberale, di regime, che i socialisti chiameranno "borghese"rimane inevitabilmente condizionata da questa sfida da sinistra. Non privilegia, forse perchèintuisce tutta la sua debolezza in materia, lo studio dell'evoluzione temporale dell'economia,la crescita, il ciclo. Si concentra piuttosto sui problemi statici che rimarranno da allora quellicentrali della (micro)economia ortodossa: sviluppa cioè in chiave più o meno consciamenteantisocialista l'intuizione fisiocratica e smithiana dell'armonia naturale del mercatoconcorrenziale, che svolge automaticamente in modo ottimale la funzione allocatrice che isocialisti vorrebbero demandare allo stato, e approfondisce ovviamente il problema delvalore.

Il grande erede "borghese" di Ricardo sarà J. S. Mill (3ULQFLSOHV�RI�3ROLWLFDO�(FRQRP\,1848, con numerose edizioni nei decenni successivi). Mill mutua da Ricardo e arricchiscel'analisi del commercio estero, sviluppa il costo opportunità, generalizza la "rendita", spiega iprezzi con la domanda e l'offerta; ma del Ricardo della dinamica e dello scontro tra le classinon vi è traccia. Mill ritorna insomma alla statica e all'armonia, e il suo popolarissimo testosarà di fatto una ripresentazione perfezionata dell'opera di Smith.

1.e.2. Karl MarxL'altro grande erede di Ricardo, politicamente ed analiticamente speculare a Mill, è

ovviamente K. Marx ('DV�.DSLWDO���.ULWLN�GHV�3ROLWLVFKHQ�2HNRQRPLH, 1867).Marx vede intorno a se quello che Smith non poteva ancora vedere, e che i propri

contemporanei "borghesi" non vogliono vedere: che la dinamica è l'essenza stessa delcapitalismo. L'equilibrio statico di concorrenza contemplato dall'economia borghese è unachimera, chè le grandi imprese sono più efficienti delle piccole, per cui la stessa concorrenzaporta al monopolio. Il capitalismo poi aumenta la produzione e la produttività: non solo conla specializzazione (Smith) o l'accumulazione di risorse (Ricardo), ma stimolando invenzionie innovazioni, insomma il progresso tecnico, dal potenziale illimitato. Il capitalismo è unsistema per gestire la scarsità, ma secondo Marx la sua vitalità produttiva eliminerà la stessascarsità; dunque scomparirà.

Marx pone alla base della dinamica capitalista la lotta di classe, ma non quella diRicardo: Marx considera capitalisti anche i proprietari terrieri, e ad essi contrappone iproletari, ossia i lavoratori obbligati a vendere il proprio lavoro ai capitalisti, e dunque a farsi

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sfruttare, perchè sono stati privati dei mezzi di produzione. Il capitalismo è definito da questaspecifica contrapposizione di classi, con la conseguenza per noi paradossale che Marx nonconsidera capitalisti gli Stati Uniti di allora, dove chi voleva coltivare la terra poteva ottenerlagratis. L'economia capitalista è soggetta a crisi periodiche, che sono funzionali in quantocreano disoccupazione, riducono i salari, e dunque rigenerano lo sfruttamento el'accumulazione; nella crisi finale il proletariato prenderà il potere e "gli espropriatori sarannoespropriati".

Marx si presenta dunque come un figlio spurio della tradizione socialista, di cui èerede morale (ossia ne accetta i valori di fondo), ma non intellettuale e politico (ossia nerifiuta l'analisi e il programma). Infatti secondo lui il sistema ottimale (comunista) si potràinstaurare solo quando lo sviluppo capitalistico avrà risolto il problema economico dellascarsità; il programma che ne consegue è rivoluzionario ma solo "quando i tempi sarannomaturi," per cui nell'immediato non ha contenuti pratici.

Da questo punto di vista, si badi bene, il "socialismo scientifico" dei marxisti è moltopiù utopistico dei "socialismi utopistici" (così bollati dallo stesso Marx) di cui gli schemi, perquanto spesso fantastici, miravano perlomeno a risolvere il problema attuale e fondamentaledell'organizzazione ottimale in un mondo di risorse limitate.

Sempre da questo punto di vista, il 0DQLIHVWR�FRPXQLVWD (1848) è marxista solo doveinneggia ai trionfi della borghesia (che ha salvato l'umanità dall'imbecillità rurale: ricordiamoPirenne); le proposte di nazionalizzazioni e via di seguito che ricalcano gli altri socialismisono invece assolutamente ingiustificate dall'analisi marxista (anche se politicamentenecessarie: non si può fondare un partito con un programma di inazione...).

Sul problema del valore, infine, Marx identifica il valore "vero" con il contenuto inlavoro (più che altro per motivi ideologico-retorici, per dare al lavoro quel monopolio dicreazione del valore che i fisiocrati avevano invece dato alla terra). A differenza di Smithnon pretende che il valore-lavoro corrisponda al prezzo; anzi, distingue valore e prezzo, es'infogna nel problema fantastico della "trasformazione" dei valori in prezzi.

1.e.3. i marginalisti borghesi e socialistiIl problema del valore viene invece brillantemente risolto, verso la fine dell'Ottocento,

dall'economia borghese con i "marginalisti" (austriaci e inglesi).Si capisce infatti, per riprendere il vecchio paradosso, che il valore di mercato va

riferito non all'acqua in generale, ma all'unità in più o in meno--la cosiddetta XQLWj�PDUJLQDOH--nella situazione del momento. L'acqua è essenziale alla vita, ma siccome abbonda non èaffatto essenziale l'unità marginale: darmene ancora, o togliermene un litro, cambia ben pocoil mio benessere, e dunque l'acqua vale poco. Se fossimo persi nel deserto con un'unicaborraccia, quel litro marginale significherebbe la sopravvivenza, e varrebbe più di qualsiasidiamante; ma normalmente le posizioni dei margini di consumo sono tali che il diamantemarginale vale effettivamente molto, e l'acqua marginale poco o niente.

Da allora--e lo vedremo!--le disquisizioni (micro)economiche sono tutte in termini"marginali"; e nel gergo degli economisti le cose marginali sono proprio quelle importanti.

Nel mondo anglosassone il marginalismo verrà diffuso da A. Marshall (3ULQFLSOHV�RI(FRQRPLFV, 1890, con numerose edizioni successive), con però un'enfasi sull'analisi deisingoli mercati ("l'equilibrio parziale") piuttosto che del sistema dei mercati ("l'equilibriogenerale") che impoverisce l'analisi (e rimarrà a tutt'oggi caratteristica della tradizioneangloamericana).

L'analisi più profonda, del sistema dei mercati, viene invece portata avanti dallascuola austriaca, in aperta polemica con i socialisti. A tutt'oggi non esiste una presentazionemigliore della logica del valore, dell'interconnessione degli equilibri dei diversi mercati, e dei

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costi come riflessi della domanda per i prodotti alternativi dei fattori di produzione, di quellacontenuta nel volume di E. von Böhm-Bawerk (3RVLWLYH�7KHRULH�GHV�.DSLWDOHV, 1889).

Sempre in chiave antisocialista l'americano J. B. Clark studia le implicazionidell'analisi marginalista per la distribuzione del reddito. L'equilibrio efficiente del sistemaeconomico esige che la remunerazione dei fattori di produzione sia quella di mercato (checorrisponde appunto al loro "valore marginale"); pertanto, conclude Clark, il capitalista devericevere i profitti o interessi di mercato. L'errore palese di Clark sta nel confondere fattori epersone: è il capitale che ha diritto ai profitti, e rimane da dimostrare che il capitalista abbiadiritto al capitale. La confusione di Clark sembra peraltro perdurare, e di essere alla basedelle "controversie dei Cambridge" (fra Cambridge inglese, di sinistra, Cambridge americano,dove si trovano Harvard e M.I.T., di destra) sulla teoria del capitale negli ultimi anniSessanta. Gli inglesi sembrano infatti essere stati spinti a negare "il capitale" per negare icapitalisti; ma questa negazione non ha bisogno di quella.

Di fatto la logica del marginalismo non è necessariamente antisocialista, e compareben presto una piccola élite di marginalisti di sinistra, ben più lucidi di Clark. Poco dopo il1900, infatti, E. Barone nota che lo stato socialista allocatore ("il ministro della produzione inuno stato collettivista") deve "semplicemente" riprodurre le condizioni di equilibrio prodotteda un mercato concorrenziale. Così facendo, scinde capitale (che può essere pubblico) ecapitalisti.

Controbatte F. Hayek (austriaco) che ciò è tutt'altro che semplice: la chiavedell'efficienza del mercato concorrenziale è l'efficienza nell'uso delle informazioni. In talesistema infatti ogni operatore economico deve conoscere solo i propri gusti, se consumatore,o le proprie capacità tecniche, se produttore, e i prezzi di mercato, proprio perchè i prezzigenerati da un sistema concorrenziale riassumono tutte le informazioni utili relative ai gusti ealle capacità tecniche degli altri operatori. Per riprodurre i risultati del mercato l'allocatorepubblico baroniano dovrebbe conoscere di scienza propria i gusti e le capacità tecniche ditutti gli operatori presenti nell'economia.

Il punto che si farà lentamente strada è che il mercato stesso si può usare, comesistema di allocazione, in società ugualitarie o meno, rispondendo così anche alla critica diHayek. Questo è il contenuto del "socialismo di mercato" (O. Lange, polacco, c. 1930),implicito peraltro anche nella moderna economia del benessere (Bator, dopoguerra). Alivello di pubblico, però, il socialismo di mercato è rimasto poco capito, e i più continuano aconsiderare il mercato come strumento prettamente capitalista.

1.e.4. A. C. Pigou e Vilfredo ParetoA. C. Pigou è stato il successore di Marshall a Cambridge.Pigou è ricordato più che altro come reazionario per le sue critiche a Keynes; ma

prima ancora di Keynes, Pigou (7KH�(FRQRPLFV�RI�:HOIDUH, 1920) ha riportato l'interventismonell'economia politica borghese. Pigou infatti teorizza quei "fallimenti dei mercati" (dovutiper esempio all'inquinamento dell'ambiente) che richiedono un intervento pubblico neglistessi mercati, con tasse o sussidi, per modificare gli equilibri altrimenti non ottimali.

Ma questo intervento allocatore sarebbe il meno. Pigou modella direttamentel'ottimizzazione sociale, ponendo come obiettivo la massimizzazione del benessere collettivoche identifica, seguendo la tradizione britannica che risale a J. Bentham (contemporaneo diSmith e Hume), con la somma del benessere dei singoli. Presume che il benessere di ogniindividuo cresca con il suo reddito, ma con aumenti decrescenti (visto che si soddisfano perprimi i bisogni più urgenti); e considerando semplicemente uguale per tutti la capacità diottenere benessere dal reddito dimostra che l'ottimizzazione sociale richiede XQD� SHUIHWWDSHUHTXD]LRQH�GHL�UHGGLWL. Lo stato deve dunque essere redistributore; e in base al modello più

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banale deve seguire i dettami del socialismo più accanito!V. Pareto non apparteneva alla generazione di Pigou (era contemporaneo piuttosto di

Marshall), ma è utile considerarli insieme.Dal punto di vista del positivismo allora trionfante, che legava la scienza alla verifica

empirica, l'economia politica borghese aveva un punto dolente. I prezzi dei beni venivanoinfatti spiegati con gli aumenti di benessere legati alle loro unità marginali; ma queste XWLOLWjPDUJLQDOL non erano di fatto osservabili e misurabili.

Pareto ebbe il merito scientifico di VHPSOLILFDUH il modello che spiegava l'equilibriodei mercati: capì infatti che per generare le implicazioni dell'analisi marginalista bastaattribuire ai consumatori un RUGLQH� GL� SUHIHUHQ]H definito sui consumi possibili. Bastainsomma sapere se il consumatore, potendo scegliere tra il pachetto A (due mele e una pera) oil pacchetto B (una mela e due pere), sceglie A o sceglie B--cosa direttamente osservabile--ose invece è LQGLIIHUHQWH tra A e B (cosa pure osservabile, magari chiedendo o osservandoscelte ripetute); non è affatto necessario misurare l'utilità.

Come vedremo, questo scaturisce di fatto dalle condizioni già notate dei massimivincolati, ossia l'equivalenza tra i WDVVL�GL�VRVWLWX]LRQH. Per l'equilibrio del consumatore questitassi riguardano la sostituzione di un bene contro l'altro, mantenendo costante da un lato laspesa--per cui il tasso è dato dal rapporto dei prezzi, ���PHOD�����SHUD�, che si semplifica in�SHUH�PHOD�--e dall'altro il benessere, ossia paragonando consumi LQGLIIHUHQWL. Questosecondo tasso di sostituzione è il rapporto delle utilità marginali, �8�PHOD���8�SHUD�, che sisemplifica pure in �SHUH�PHOD�: non c'è bisogno di misurare l'utilità perchè le unità "utilità" sielidono.

A ben vedere l'analisi paretiana dice che per capire l'equilibrio economico "nonbisogna misurare l'utilità", nel duplice senso di questa frase ambigua: "non c'è bisogno dimisurare l'utilità", e dunque, ricordando il rasoio di Occam, "bisogna evitare di misurarel'utilità": il modello con meri ordini di preferenze è sufficiente, non bisogna complicarloinutilmente. Per l'economia politica borghese, però, "bisogna evitare di misurare l'utilità" èdiventato un principio autonomo: applicato non solo quando effettivamente tale misura non ènecessaria, ma anche per delegittimare le analisi che postulano tale misura quando di fatto ènecessaria.

Tra queste rientrano appunto le analisi della YDOXWD]LRQH degli equilibri dal punto divista dell'ottimizzazione sociale, e della desiderabilità della redistribuzione, ovviamenteimpossibili senza una misura del benessere di ciascuno (a prescindere dal modo con il qualevengono poi combinate per calcolare l'ottimo sociale: la sommatoria di Pigou è solo uno deisistemi possibili). Sull'ottimizzazione sociale esiste una letteratura, che incontreremo; ma èperiferica, lontana dal nocciolo della disciplina che pur nasceva come "l'oiko-nomia" della"polis".

1.e.5. la microeconomia e l'eredità paretianaL'economia politica borghese si è tenuta stretta, come vedremo, il Pigou

dell'intervento pubblico allocatore; ma pur di allontanarsi dal Pigou pericoloso redistributoreha sposato Pareto. I concetti fondamentali della attuale microeconomia sono infattil'efficienza paretiana, gli equilibri paretiani, gli ottimi paretiani, le mosse paretiane, lasuperiorità paretiana, e così via. In inglese, poi, si usa il sostantivo in apposizione dovel'italiano usa l'aggettivo, per cui si parla di "Pareto efficiency", "Pareto equilibrium", e cosìvia: il nome stesso di Pareto fa dunque parte del lessico degli economisti, forse più diqualsiasi altro (e sicuramente di qualsiasi altro nome italiano: per fortuna, chè in secondaposizione troviamo Ponzi, finanziere truffaldino).

Questi concetti "paretiani" sono tutti improntati al rifiuto di misurare con un metro

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comune, e dunque di valutare al netto, guadagni e perdite. Una situazione è pertanto �3DUHWR�VXSHULRUH� (si direbbe in inglese) a un altra se sono diverse, e WXWWH le diversità sono a favoredella prima (per esempio, nel caso in cui di due alberghi quello che costa di meno mi piace dipiù). Una PRVVD�SDUHWLDQD è uno spostamento da una situazione ad un altra ad essa "Pareto-superiore" (come quando essendoci scambiati gli impermeabili uscendo da teatro ognuno siriprende il suo). Un RWWLPR�SDUHWLDQR è qualsiasi situazione di HIILFLHQ]D�SDUHWLDQD, ossia non"Pareto-inferiore" a (o "Pareto-dominata" da) qualsiasi altra, ossia dalla quale non esistonomosse paretiane (anche se per mutuare un esempio famoso il pollo lo mangio tutto io, e tucrepi di fame).

La rilevanza di questi concetti per l'economia politica è ovvia: lo scambio di mercato(senza coazione e senza inganno) è ovviamente una mossa paretiana. Se lo scambio continuafintanto che sono possibili mosse paretiane, lo scambio porta necessariamente a equilibri chesono "Pareto-efficienti" e dunque ottimi paretiani; qualsiasi HTXLOLEULR� SDUHWLDQR ècorrispondentemente un equilibrio di mercato (per cui se la situazione iniziale è già unequilibrio paretiano non ci sono scambi possibili).

Siccome poi il monopolio riducendo lo scambio lascia spazi a miglioramenti paretiani(anche se non necessariamente per vie volontarie, ma questo lo chiariremo poi), questa analisiriporta naturalmente all'enfasi Smithiana sui benefici della FRQFRUUHQ]D (che lo statoallocatore deve dunque salvaguardare). L'economia borghese accetta pure, come abbiamo giànotato, l'intervento allocatore con tasse o sussidi pigoviani in presenza dei "fallimenti deimercati" (anche concorrenziali) che sono tali proprio perchè portano a equilibri non "Pareto-efficienti": peraltro con notevoli strappi alla pura logica dell'analisi proprio perchè (comeabbiamo visto) ogni intervento reale danneggia qualcuno e dunque non può essere difesocome mossa paretiana.

In tutto ciò quello che colpisce è l'escamotage retorico che porta l'economia borghesea identificare il bene con l'efficienza paretiana, che come abbiamo visto a proposito di Pigou edi polis (e di polli) è una cosa ben diversa dall'efficienza e basta. L'economista borghese sipresenta dunque alla società come si presenterebbe a un'azienda un ingegneremonomaniacale, che incaricato di migliorarne l'efficienza identifica questa con (poniamo)l'efficienza termica: spende un patrimonio per acquistare macchine che minimizzano l'usodel carburante, tralasciando ogni altra considerazione, e l'azienda va in rovina.

Il motivo presumibile di tutto ciò, lo ripetiamo, è che all'interno della matrice culturaleanglosassone i problemi di allocazione sono problemi comodi, mentre quelli diredistribuzione sono problemi scomodi. Poco importa peraltro se il lettore non condividequesta ipotesi: l'essenziale è che si sia comunque convinto che le scienze sociali vannoavvicinate con forte scetticismo e senso critico.

1.e.6. la grande crisi e J. Maynard KeynesLa grande crisi che si apre nel 1929 e porta la disoccupazione nei paesi industrializzati

fino al 25% della forza lavoro scuote finalmente la fede degli economisti borghesi nellacapacità di autoregolamentazione del sistema capitalistico liberista. J. M. Keynes (7KH*HQHUDO�7KHRU\�RI�(PSOR\PHQW�� ,QWHUHVW��DQG�0RQH\, 1936), erede della tradizione liberistadella Cambridge inglese, teorizza la possibilità di un equilibrio di sottoccupazione, che varotto dall'azione statale.

Il contributo di Keynes si può riassumere molto schematicamente in tre punti. Primo,il reddito aggregato è variabile, in quanto proporziona il risparmio agli investimenti; lo stato èdunque utilmente stabilizzatore. Secondo, il desiderio di aumentare le disponibilità di potered'acquisto liquido, che è alla base dell'eccesso di risparmio, si può soddisfare menopenosamente aumentando lo stock di moneta a prezzi costanti che non abbassando i prezzi a

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stock di moneta costante (perchè i prezzi calano solo lentamente, e con una disoccupazioneabbastanza forte da far calare i salari e dunque i costi); lo stato usa dunque utilmente lapolitica monetaria (ossia controlla lo stock di moneta) a fini anticiclici. Terzo, la domanda diliquidità può diventare infinita (a tassi di interesse minimi), in qual caso per raggiungere ilpieno impiego lo stato deve intervenire direttamente sulla domanda di beni e servizi; lo statousa dunque utilmente la politica fiscale (ossia controlla le entrate e le spese pubbliche) a finianticiclici.

Nasce così la macroeconomia, che considera all'interno dell'economia borghesel'intervento dello stato stabilizzatore. La politica economica anticiclica rischia peraltro diassorbire l'intera politica economica; porta con se più o meno casualmente un interesse allaredistribuzione, essendo i keynesiani generalmente interventisti e di sinistra moderata(perlomeno negli Stati Uniti), ma toglie attenzione dalla politica di allocazionemicroeconomica forse più importante per la crescita di lungo periodo.

Lo stato stabilizzatore è poi contemporaneamente redistributore, nella misura in cuinulla indebolisce la posizione contrattuale dei lavoratori più della disoccupazione diffusa. M.Kalecki, polacco contemporaneo di Keynes, ripropone infatti la tesi marxista che le crisiperiodiche sono necessarie al capitalismo, in quanto rimettono i lavoratori al posto loro, e nededuce che lo stato capitalista non può essere stabilizzatore. A rigor di logica, però, questaconclusione sembra troppo ampia, e sarebbe forse più corretto sostenere solo che lo statocapitalista non può tenere sempre bassa la disoccupazione.

In tempi più recenti, infatti, il nesso tra stabilizzazione e redistribuzione si èmanifestato su un fronte leggermente spostato: premesso che sono tutti d'accordonell'eliminare il ciclo e stabilizzare il tasso di disoccupazione, destra e sinistra hanno litigatosul tasso di disoccupazione da mantenere (anche a colpi di retorica: la destra è riuscita a farchiamare "naturale" una disoccupazione vicina al 10%, che un tempo sarebbe stata vista comeun'abominazione).

Negli ultimi anni, negli Stati Uniti, la crescita economica ha riportato ladisoccupazione a livelli bassissimi, e la controversia si è sopita; rimane il problema di capireper quali motivi l'Europa non riesce a crescere, e a generare l'occupazione, quanto gli StatiUniti...

1.e.7. la reazione a KeynesCol secondo punto di cui sopra Keynes riconosce la tendenza autoequilibratrice del

sistema economico, anche se solo in un lungo periodo nel quale "siamo tutti morti". Col terzopunto, invece, Keynes disconosce tale tendenza, colpendo al cuore la costruzione Smithianaalla base della scienza economica borghese. I difensori della visione Smithiana, capeggiatidal Pigou, attaccano dunque il terzo punto: col calare dei prezzi e l'aumentare del potered'acquisto della massa di moneta, nota Pigou, aumenta la ricchezza e dunque la spesa perconsumi, riportando l'economia al pieno impiego anche se non aumentano gli investimenti. Questo argomento ha valore filosofico ma non pratico, in quanto non tocca il secondo punto,che giustifica l'intervento monetario come sostituto preferibile alla lenta correzioneautomatica del sistema.

Poco nota ma meritevole di attenzione è invece la reazione di H. C. Simons(Chicago), che presenta "A positive program for laisser faire." Per Simons, l'aggiustamentoautomatico attraverso riduzioni dei prezzi è difficile in presenza di potere di mercato, edoloroso in presenza di debiti (il cui peso reale aumenta, facendo fallire anche imprese sane,quando calano i prezzi in modo inatteso). Per permettere il mantenimento indolore del pienoimpiego senza un intervento (discrezionale) dello stato, Simons propone pertantoun'organizzazione economica in cui lo stato mantiene rigorosamente la concorrenza (gestendo

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in proprio qualsiasi monopolio naturale), e proibisce il debito privato, permettendo alleimprese di finanziarsi solo con l’emissione di azioni...

1.e.8. gli esperimenti socialcomunistiSulla scia delle grandi guerre vanno al potere i marxisti in Russia (Lenin) dal 1917, in

Jugoslavia dal 1945 (Tito), nel resto dell’Europa orientale fra il 1945 e il 1948, in Cina (MaoTse Tung) dal 1949. In Russia, come in Francia dopo il 1789, le potenze estere intervengonoper ristabilire "l'ancien régime", ma senza successo: non è un caso che le rivoluzioniavvengono solo nelle grandi potenze (e poi con la protezione di queste: vedi Vietnam eCuba).

Si segnalano diversi modelli. In Russia, dopo vari tentennamenti, si instaura unregime di capitalismo di stato. Lo stato è proprietario dei mezzi di produzione; la produzione(sulla scia dell'analisi di Marx, che vede il capitalismo come tendente al monopolio delleimprese giganti) viene affidata a imprese enormi, anche in agricoltura, e pianificata attraversoindicatori quantitativi (a discapito della qualità). Il sistema rivela una capacità di innovazionemolto scarsa; si può capire come un'economia di guerra (vedi l'esperienza degli Stati Uniti nel1941-45, molto simile). L'interfaccia tra produzione e famiglie rimane affidata al mercato. Le persone scelgono gli studi e le carriere in base alla remunerazione attesa; i beni vengonovenduti in negozi (molto mal forniti, con beni scadenti e code a non finire: ciò rivela sia unascarsa capacità di recepire le esigenze dei consumatori, sia una forte inflazione soppressa). Insostanza, dunque, i sovietici sopprimono solo i mercati all'interno del settore produttivo, chesono peraltro proprio quelli che (per via della specializzazione delle imprese) funzionanomeglio degli altri. Come in Italia, peraltro, le classi dirigenti si mettono al riparo dai disagidel pubblico attraverso canali privilegiati.

In Jugoslavia, si attua un modello cooperativo: ogni impresa con più di cinquedipendenti deve essere di proprietà dei lavoratori, che si dividono pertanto il valore aggiunto(reddito da lavoro più reddito da capitale), al netto degli interessi sul finanziamento bancario. A livello teorico, rimangono vivi i risultati di efficienza del mercato, identici a quelli delmodello del capitalismo concorrenziale (anche se con una distribuzione della proprietà e delreddito ovviamente diversi).

In Cina e poi in Cuba si sperimenta invece un modello più avanzato, in cui si rifiutanogli incentivi materiali, e si cerca di far lavorare tutti per amore del prossimo. Ne consegueuna fortissima pressione ideologica, e una notevole coercizione pratica da parte dell'apparatolocale.

1.f. l'economia politica borghese nel secondo dopoguerra

1.f.1. l'apogeo dell'interventismoNei primi decenni del secondo dopoguerra l'economia politica borghese diventa

fortemente interventista: accompagna di fatto l'opinione pubblica che in America sostiene, daRoosevelt a Johnson, uno stato attivamente impegnato nel risolvere i problemi sociali,insomma, in quel contesto, "di sinistra".

Sul fronte analitico la teoria dell'equilibrio generale e la cosiddetta "economia delbenessere" scaturita dall'analisi pigoviana dell'ottimizzazione sociale stabiliscono i limitidella mano invisibile di Smith. Da un lato, si nota che vi è un numero infinito di possibiliallocazioni efficienti delle risorse, correlate con diverse possibili allocazioni della ricchezza,cosicchè il mercato può al massimo ottimizzare l'allocazione delle risorse per una datadistribuzione della ricchezza (riconoscendo così almeno implicitamente che l'efficienza non

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ha bisogno di disuguaglianza); dall'altro, si nota che il decentramento al mercato è sufficientesolo in condizioni abbastanza restrittive, fuori delle quali rimane spazio per un interventocorrettivo. La microeconomia appoggia così gli interventi allocativi e redistributivi.

La macroeconomia appoggia a sua volta gli interventi di stabilizzazione. Negli anni'50 e '60 lo schema Keynesiano diventa la nuova ortodossia, e negli Stati Uniti le controversiefra gli economisti sono solo sull'identità della politica stabilizzatrice più efficace (la destra èmonetarista, la sinistra fiscalista). La manovra fiscale di Kennedy, di matrice keynesiana etesa a ridar vigore all'economia, riesce pienamente; gli economisti parlano allora diaggiustamenti di perfezionamento ("fine tuning").

Nel contempo, si teorizza la convergenza dei sistemi (di mercato, pianificati) verso ununico modello, ottimale, di economia di mercato guidata da uno stato fortementeinterventista. In Francia, in particolare, si sviluppa la "pianificazione indicativa": nonobbligatoria come quella sovietica, ma solo di previsione autorealizzante. Notiamo peraltroche questo tipo di pianificazione può funzionare solo in un regime non concorrenziale, in cuigli obiettivi aggregati si traducono in obiettivi privati tramite la costanza delle quote dimercato...

Si diffonde infine la WHRULD�GHL�JLRFKL, che con l'esempio clamoroso del �GLOHPPD�GHOSULJLRQLHUR� dimostra che le scelte individuali possono portare a equilibri socialmentedannosi, e nega pertanto quell'armonia naturale intuita dai fisiocrati e da Smith e da allora alcuore dell'economia anti-interventista.

1.f.2. gli inizi della controffensiva liberistaAllo stesso tempo, e se si vuole allora controcorrente, si sviluppano le basi della

GHUHJRODPHQWD]LRQH, applicata per prima ai tassi di cambio e ai trasporti. Con riferimento aitrasporti ferroviari, in particolare, si sviluppa la teoria della regolamentazione frustrata dallatendenza alla simbiosi fra burocrati e industria.

Si sviluppano in parte su queste basi da un lato la WHRULD�GHOODJHQ]LD, che nota comel'interesse del mandatario non coincida con quello del mandante, e dall'altro la WHRULDGHOOD]LRQH�FROOHWWLYD, in cui si nota che lo stesso stato tenderà a servire interessi particolaripiuttosto che interesi generali. A complemento di queste la destra americana sviluppa lateoria della ricerca delle rendite ("rent-seeking"): dove lo stato interviene (e anche lo statoallocatore è inevitabilmente redistributore, chè ogni modifica dei prezzi comporta benefici peruna parte e danni per l'altra) i privati investiranno risorse per ottenere favori dallo stato, conun dispendio netto che comporta un danno complessivo.

Ne consegue un nuovo scetticismo nei confronti dell'azione pubblica, e laconsapevolezza che le imperfezioni del mercato non bastano da sole a giustificare l'interventodello stato anch'esso non scevro da costi e carenze; questo tipo di analisi è noto adesso comela teoria "positiva" dell'intervento pubblico (ossia la teoria di come funziona veramente).

Si riduce così lo spazio per l'intervento dello stato allocatore, almeno in senso statico. In senso dinamico, anche la pianificazione passa di moda, in quanto lo stato alla fine non èdotato di strumenti di previsione migliori di quelle dei singoli: le scommesse tecnologiche sirivelano spesso perdenti (almeno in Occidente...).

1.f.3. la crisi della macroeconomiaLa fiducia nelle capacità di previsione e di controllo, quasi intera al seguito

dell'intervento trionfale dell'amministrazione Kennedy-Johnson, dura ben poco: già nei primianni '70 la manovra antinflazionistica di Nixon non riesce affatto, e, subito dopo, la crisienergetica porta ad un aumento contemporaneo dell'inflazione e della disoccupazione checontraddice i modelli canonici. I sistemi di controllo macroeconomico sviluppati nel corso

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degli anni vengono poi scossi dalla deregolamentazione dei tassi di cambio e soprattutto deiflussi di capitale.

In parte per motivi tecnici che rendono vane certe politiche di controllo ove i capitalisiano altamente mobili, in parte per un riflusso filosofico che ridà forza alla fede pre-Keynesiana nell'ottimalità automatica del mercato, si diffonde un senso della scarsa efficaciadel controllo macroeconomico. Oggigiorno, si ha poca fede nella governabilità delleeconomie (e non solo di mercato!); i temi più sentiti riguardano forse l'assetto istituzionaleche favorisce la crescita.

1.f.4. la teoria dell'informazioneVari sviluppi specifici nella teoria economica (fra cui la teoria dell'agenzia e la teoria

dell'azione collettiva) sono stati riuniti e sistematizzati nella nuova teoria dei problemi diinformazione. A livello macroeconomico si richiede che l'equilibrio sia anche un'equilibrioinformativo, ossia in cui non vi siano errori sistematici e dunque prevedibili (teoria delleaspettative razionali). A livello microeconomico si abbandona invece l'ipotesi (dell'analisineoclassica marginalista) che gli operatori economici abbiano informazioni perfette perstudiare le conseguenza delle informazioni non solo limitate ma "asimmetriche" (ossia unaparte contraente sa cose che l'altra non sa).

Da questa premessa scaturisce l'analisi dei FRVWL� GL� WUDQVD]LRQH, ossia i costi che siincorrono nel negoziare i contratti e nel verificarne l'esecuzione; questi costi varianoovviamente a seconda del bene da trasferire (omogeneo/eterogeneo, semplice/complesso), edegli incentivi creati dalla struttura stesso del contratto. Si nota che le transazioni possonospesso avvenire con strutture contrattuali diverse, e che verranno usate le forme menocostose. Ad esempio, si può lavorare la terra con salariati, o affittarla a chi la coltiva; i costidi negoziato sono minori per la prima forma (non c'è bisogno di un inventario), quelli diverifica minori per la seconda (non c'è bisogno di controllare l'esecuzione del lavoro, inquanto l'affittuario, a differenza del salariato, è incentivato a lavorare dallo stesso contratto diaffitto, che lascia a lui tutto il prodotto ottenuto con uno sforzo aggiuntivo); essendo poi icosti di negoziato costi iniziali, e i costi di verifica costi correnti, è chiaro che si affitterà illavoro per periodi brevi e la terra per periodi lunghi.

Questa analisi è stata portata avanti (come quella simile della teoria positivadell'azione pubblica) da economisti prevalentemente di destra, che ne hanno ricavato ilmessaggio che lo stato deve lasciar correre non solo in materia di prezzi, ma anche in materiadi istituzioni. L'idea è che vi è concorrenza tra le istituzioni (forme contrattuali, mercati)come tra le imprese, e che tale concorrenza porta all'efficienza; quello che sopravvivesopravvive proprio perchè efficiente, per cui lo stato non deve intervenire (ad esempio comequello italiano, che ha bandito la mezzadria). Vicina a questa analisi vi è quella dei sistemilegali, che tende a vedere anche le leggi come strumenti di efficienza economica.

Allo stesso tempo, però, la teoria dei costi di informazione è fortemente corrosivadella base stessa della posizione di destra, ossia la fede nella mano invisibile. L'idea che bastila concorrenza a far coincidere interessi pubblici e privati assume infatti che le informazionisiano perfette, e solo su questo assunto si può giustificare l'affermazione di M. Friedman(economista di destra di grande talento) che le imprese hanno come unico dovere quello dimassimizzare i profitti, senza comportarsi in modo "responsabile". Se l'impresa ad esempiosa che le automobili che produce hanno freni difettosi, e i clienti non lo sanno, ecco chel'equilibrio desiderabile si ottiene con la responsabilità, l'onestà, ecc.., o con l'interventostatale.

Con la teoria dell'informazione, dunque, la teoria economica liberal-borghese siriavvicina alla posizione cattolica/popolare/socialista, che teme la ricerca del vantaggio

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privato e diffida dunque dei mercati. Si riconosce cioè che il buon funzionamento "deimercati" richiede un supporto etico, che riduca i costi di transazione: supporto etico che èforse la caratteristica specifica dei paesi sviluppati, e che manca a quelli sottosviluppati cheproprio per questo rimangono tali (Russia post-comunista; "familismo amorale" nelmeridione italiano). Da qui si configura un ulteriore ruolo dello stato ODWR�VHQVX allocatore,ossia quello dello stato educatore.

Un'ultima osservazione: la libertà dei singoli di contrattare a piacimento, senzaintervento pubblico, può naturalmente essere difesa, e da una certa destra lo è, direttamentecome principio etico: si può cioè affermare che il diritto alla libertà di contrattazione fa partedel diritto naturale alla libertà. Su questo si può concordare o meno; ma è una posizioneassolutamente diversa da quella liberal-democratica dai fisiocrati e Smith in poi, chegiustifica la libertà di contrattazione come modo migliore di raggiungere obiettivi sociali ("laricchezza delle nazioni"), ossia come strumento e non come fine a se stessa.

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2. L’EQUILIBRIO PARZIALE: L’INDIVIDUO E IL MERCATO PER UN SINGOLOBENE

2.a. l’analisi dell’equilibrio

2.a.1. il quadro generaleL’economia (moderna) nasce con due problemi fondamentali: quello della IRUPD]LRQH

GHL�SUH]]L (il paradosso dell’acqua e dei diamanti), e quello dell’DOORFD]LRQH�GHOOH�ULVRUVH (lamano invisibile). I due problemi sono ovviamente connessi, in quanto l’equilibrio di unsistema di mercati dipende da quello dei singoli mercati; la loro chiave è l'equilibriodell'individuo che opera nel mercato.

Questi equilibri sono stati capiti a fondo solo con la svolta marginalista (fine '800),che supera le teorie del valore connesse al costo di produzione (o al contenuto di lavoro; vediSmith, Ricardo, Marx); da allora, la (micro)economia si può considerare l'DQDOLVL�GHOOH�VFHOWH.

In genere, per la società come per l'individuo, scegliere implica una JDPPD di opzioni(il YLQFROR), e un criterio di scelta (la IXQ]LRQH�RELHWWLYR). Come meglio vedremo in seguito, lascelta effettivamente fatta è formalizzata come un equilibrio di RWWLPL]]D]LRQH, che comportal'equiparazione dei tassi marginali di sostituzione nel vincolo e nell'obiettivo (i prezzi, cometali, sono tassi di sostituzione tra merce e denaro).

Inizialmente consideriamo solo l'equilibrio parziale del singolo mercato, edell'individuo che opera in un singolo mercato, senza curarci del contesto più ampio(equilibrio complessivo dell'individuo, della società). Anche in questo contesto semplificato,però, l'equilibrio è caratterizzato da alcune equivalenze marginali.

2.a.2. l'aspetto formale dell'equilibrio del singolo: la logicaPer il momento, dunque, consideriamo una singola dimensione di azione ("quanto

gelato consumare", "quanta strada fare in bicicletta"...), e consideriamo solo la scelta dellaquantità di equilibrio, ossia del PDUJLQH fino al quale si sceglie di spingere quell'azione.

Notiamo che a qualsiasi (singola) azione portata fino ad un certo margine si possonoassociare vantaggi e svantaggi (benefici e costi) lordi. Il margine scelto sarà quello che nePDVVLPL]]D la differenza positiva, ossia il EHQHILFLR� QHWWR; e il beneficio netto raggiungeovviamente un massimo (locale) quando sono uguali il beneficio (lordo) marginale, ossia ilbeneficio DJJLXQWLYR per unità di azione, e il costo (lordo) marginale, ossia il costo DJJLXQWLYRper unità di azione. Se infatti l'unità di azione aggiuntiva porta più benefici che costiconviene proseguire, e non siamo ancora al punto di massimo (se il piacere di godermi lapasseggiata è ancora superiore al dispiacere della crescente stanchezza, vado avanti).

Una manifestazione dell'egemonia culturale anglosassone è che le sigle usate daglieconomisti, anche italiani, sono mutuate direttamente dall'inglese (che antepone l'aggettivo alsostantivo): il beneficio marginale si abbrevia dunque 0% ("marginal benefit"), il costomarginale 0& ("marginal cost").

5LVSHWWR�DOOD�VLQJROD�GLPHQVLRQH�GL�D]LRQH��GXQTXH��OHTXLOLEULR�FRUULVSRQGH�DOODFRQGL]LRQH�0%R� �0&R��GRYH��R��q�ORSHUDWRUH�FKH�GHFLGH�127$�%(1(���SHUFKq�OHTXLSDUD]LRQH�PDUJLQDOH�GHL�FRVWL�H�GHL�EHQHILFL�VLD�FRQGL]LRQHGL� HTXLOLEULR�� TXHVWL� GHYRQR� HVVHUH� ULIHULWL� DOOR� VWHVVR� RSHUDWRUH�� TXHOOR� DSSXQWR� FKH

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GHFLGH�

2.a.3. l’aspetto formale dell’equilibrio del singolo: la geometriaSi veda la Figura 2.a.3.1. Per convenienza di rappresentazione e di calcolo,

ipotizziamo che i benefici e i costi totali ("total benefit" 7%, "total cost" 7&), funzione dellaquantità da scegliere 4, abbiano ambedue la forma quadratica 7�4�� � D4� �� E4� (senzaintercetta, per cui l'azione "zero" ha conseguenze nulle). Questo implica che i correspondentivalori medi ("average benefit" $%, "average cost" $&), definiti come 7�4, hanno una comodaforma lineare $� �7�4� �D���E4. I valori marginali, che altro non sono che le derivate di 7rispetto a 4, sono allora pure lineari con la stessa intercetta e pendenza doppia delcorrispondente valore medio: 0� �D����E4. Siccome 7� �4 $�4�, in generale 0� �$��$4; con queste funzioni lineari $ si riduce appunto a E.

Per ottenere un equilibrio con una scelta precisa, con 4 > 0, assumiamo ovviamenteun coefficiente D maggiore per i benefici che non per i costi (D% > D&), e un coefficiente Epositivo per i costi (dunque marginali e medi crescenti) e negativo per i benefici (dunquemarginali e medi decrescenti). Ricordiamo che i valori medi sono crescenti (calanti) se e solose i valori marginali sono superiori (inferiori) ai valori medi: la media dei voti si alza (siabbassa) solo con l'aggiunta di un voto superiore (inferiore) alla media.

Il primo grafico illustra l'equilibrio con i totali. A sinistra e a destra di 4H le pendenzedelle curve sono diverse; il divario tra le due (misurato YHUWLFDOPHQWH) cresce verso destra asinistra di 4H, e verso sinistra a destra di quel valore; al divario massimo, le pendenze--ilbeneficio e il costo marginali--sono uguali.

Il secondo illustra lo stesso equilibrio col beneficio totale QHWWR--la distanza verticaletra le due curve del primo grafico--che ovviamente raggiunge un massimo in corrispondenzadi 4H.

Il terzo illustra lo stesso equilibrio con i valori marginali e medi: sulle ascisse rimanela quantità, sulle ordinate si misura il beneficio o il costo non più totale ma XQLWDULR. Confunzioni lineari, e data la pendenza delle curve marginali doppia di quelle delle curve medie,è ovvio che se le marginali si incrociano in corrispondenza di 4H le medie si incrociano incorrispondenza di 24H. In questo grafico, pure, è ovvio che se a un dato margine (ossia datauna certa quantità) il beneficio marginale supera il costo marginale, conviene aumentare laquantità (per lucrare appunto la differenza tra questi valori); il massimo beneficio netto siottiene dunque con la quantità per la quale si riduce a zero la differenza tra il beneficiomarginale e il costo marginale.

La Figura 2.a.3.2 riprende il primo e il terzo grafico della figura precedente, perillustrare meglio le corrispondenze geometriche tra di loro. Questi hanno le stesse ascisse; leordinate sono in alto i valori totali 7 (illustrati con i soli benefici, per alleggerire lapresentazione), in basso i valori unitari 7�4. Ne consegue che le altezze del grafico inferioresi trovano sul grafico superiore come pendenze: il valore medio < sulle ordinate in basso(dimensione: 7�4) è in alto la tangente dell'angolo <, ossia appunto il totale sulle ordinate 7diviso per il totale sulle ascisse 4 (da cui appunto la dimensione 7�4); e così pure il valoremarginale ;. Nel grafico superiore, notiamo, per qualsiasi 4 il valore marginale è lapendenza della tangente alla curva dei totali; il valore medio è la pendenza della retta dalpunto sulla curva dei totali al punto di origine. Notiamo che ; è minore di <: i benefici medisono infatti decrescenti.

Le altezze nel grafico superiore (dimensione: 7) si trovano invece sul graficoinferiore come aree: �7�4� 4� �7. Il totale =, in alto l'altezza della curva dei totali, è inbasso il rettangolo ottenuto appunto come il prodotto del valore medio e della quantità;questo rettangolo in basso corrisponde in alto precisamente all'altezza = raggiunta seguendo

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la pendenza < (il valore medio) per una distanza 4. In alto, però, l'altezza = si raggiungeanche seguendo la curva stessa per la distanza 4, ossia sommando gli incrementi marginali;in basso, dunque, l'area = si ottiene anche dal trapezio definito dalla curva dei valorimarginali fino a 4. Queste due rappresentazioni di = hanno ovviamente un'area identica, percui il triangolo rettangolo 9 (escluso dall'una) è ovviamente identico al triangolo : (esclusodall'altra); come già sappiamo, dunque, il valore medio per 4 è il valore marginale per 4��.

Ritornando alla Figura 2.a.3.1, notiamo dunque che per qualsiasi quantità il beneficionetto compare nel terzo grafico come la differenza tra l'area sotto la curva dei beneficimarginali e l'area sotto la curva dei costi marginali, ossia come il trapezio definito da questedue curve; è ovviamente massimo quando le curve si incrociano, e il trapezio si riduce atriangolo.

$YYHUWHQ]D�� � FRQWLQXHUHPR� D� ODYRUDUH� FRQ� JUDILFL� GL� TXHVWR� WLSR�� SHU� FXL� qHVVHQ]LDOH�HVVHUQH�SDGURQL�

2.a.4. le unità di misura0% e 0& possono essere misurati direttamente nel metro psichico dell'operatore, o

nel metro monetario; comunque vanno misurati in unità uniformi. Qualora le unità naturali di0% e 0& non siano le stesse, l'uniformità di misura dovrà essere imposta convertendo l'una ol'altra variabile dal suo metro naturale a quello dell'altra variabile. Il tasso di conversioneemerge esso stesso dal processo di ottimizzazione globale; ma questo si vede solo se taleprocesso viene preso esplicitamente in considerazione (vedi infra).

In molti casi il metro naturale dei benefici e dei costi è quello psichico: così adesempio chi al momento del trasloco decide quanto mangiare del gelato che rimane nelsurgelatore e altrimenti butta via, o chi in passeggiata decide quando tornare sui suoi passi.

Nel considerare l'individuo che opera nel mercato, il metro naturale dei costi di chicompra come dei ricavi di chi vende è il metro monetario (che è peraltro il metro naturale deiprezzi che l'analisi vuole spiegare). Per chi compra e rivende, dunque, benefici e costi sonoambedue naturalmente monetari; ma i benefici di chi compra beni di consumo, e i costi di chili vende privandosene, sono naturalmente in unità psichiche. A questo livello di analisi,questi costi e benefici psichici si presumono convertiti in unità monetarie, senza specificarecome.

Per il compratore di beni di consumo, dunque, l'equilibrio è raggiunto quando ilbeneficio e il costo marginali, misurati in termini monetari, sono uguali: 0%F� �0&F, dove0%F è il valore monetario che l'operatore dà al suo beneficio marginale psichico, e 0&F è ilcosto marginale associato direttamente ai prezzi pagati (l'unità di misura è dollari per unitàfisica).

Per il venditore che si priva di beni di consumo, pure, l'equilibrio è raggiunto quandoil beneficio e il costo marginali, misurati in termini monetari, sono uguali: 0%Y� �0&Y, doveinvece 0&Y è il valore monetario che l'operatore da al suo costo marginale psichico, e 0%Y èil beneficio marginale associato ai prezzi ricevuti.

2.a.5. il mercato e il prezzoL'equilibrio del mercato determina il prezzo. Perchè un mercato sia in equilibrio,

devono essere in equilibrio i singoli partecipanti (per ognuno di essi, 0%R� �0&R), e i loroequilibri devono essere coerenti. Per capire un equilibrio di mercato bisogna pertantocontrollare separatamente l'equilibrio di chi compra, l'equilibrio di chi vende, e la coerenza traquesti equilibri.

La coerenza degli equilibri individuali è mediata dalla struttura del mercato, in varimodi che vedremo appresso. In genere, le quantità scambiate devono essere coerenti, ossia il

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totale venduto deve corrispondere al totale comprato (distinguendo eventualmente un terzooperatore residuale, come la banca centrale che in regime di cambi fissi compra o vende ilsaldo delle quantità scambiate dagli operatori privati al prezzo prefissato); i prezzi pagati ericevuti devono essere coerenti, ossia il prezzo pagato deve essere uguale a quello ricevuto (oscostarsene dell'ammontare esatto dell'eventuale tassa sullo scambio--tassa che può esserenegativa, nel qual caso si parla di sussidi).

Inoltre, e in modo fondamentale, la struttura del mercato riflette il "potere di mercato"dei vari partecipanti, ossia i vincoli ai quali sono soggetti. Questo potere a sua voltadetermina il nesso tra prezzo di mercato e costo marginale per chi compra, e/o tra prezzo dimercato e beneficio marginale per chi vende; determina dunque l'equilibrio dei singolioperatori e pertanto l'equilibrio del mercato. In questo senso e per questo motivo, il valore(prezzo di mercato) dipende non solo dai benefici di chi compra e dai costi di chi vende("domanda e offerta"), ma anche dalla struttura del mercato (precisazione di E. Chamberlin,che nei primi anni '30, e contemporaneamente alla J. Robinson, sviluppò la teoria dellaconcorrenza monopolistica, che incontreremo poi).

2.b. l'equilibrio di concorrenza perfetta

2.b.1. definizione:La concorrenza perfetta è definita dall'DVVHQ]D� GL� SRWHUH� GL� PHUFDWR, per cui

l'individuo non può influire sul prezzo di mercato. Per estensione si definisce concorrenzialeil comportamento di qualsiasi operatore che, a torto o a ragione, prende il prezzo di mercatocome una variabile esogena, ossia non influenzata dalla propria azione. Siccome il prezzo è(considerato) dato, per il compratore il costo medio è costante, e coincide con il costomarginale; per il venditore il beneficio medio è costante, e coincide con il beneficiomarginale. Il costo marginale per il compratore e il beneficio marginale per il venditore siidentificano dunque direttamente con il prezzo di mercato: 0&F� �3, e 3� �0%Y.

2.b.2. l'equilibrio del compratore concorrenzialePer tale individuo, dunque, l'equilibrio che equipara beneficio e costo marginale

equipara il valore marginale psichico monetizzato del bene al prezzo di mercato: infatti il suoequilibrio esige 0%F� �0&F, la concorrenzialità implica 0&F� �3, per cui 0%F� �0&F� �3 edunque in equilibrio concorrenziale 0%F� �3.

L'equilibrio fra quantità acquistata e prezzo si trova dunque sulla curva dei valorimarginali psichici monetizzati, ciascuno dei quali indica quanto il compratore valuta inmoneta quell'unità marginale, come illustrato nel grafico superiore della Figura 2.b.2.1.

(� SHUWDQWR� XWLOH� LGHQWLILFDUH� OD� FXUYD� GL� GRPDQGD� FRQ� OD� FXUYD� GHL� EHQHILFLPDUJLQDOL� GHO� FRPSUDWRUH�� RVVLD� FRQ� OD� FXUYD� GHJOL� HTXLOLEUL� SUH]]R�DFTXLVWL� SHU� JOLRSHUDWRUL�LQ�UHJLPH�GL�FRQFRUUHQ]D�SHUIHWWD�

Per comodità, il valore marginale psichico monetizzato o beneficio marginale delcompratore si può chiamare �SUH]]R� GL� GRPDQGD�: è infatti il prezzo massimo al quale ilcompratore comprerebbe quell'unità marginale. In equilibrio, dunque, il compratoreconcorrenziale equipara prezzo di domanda e prezzo di mercato (i tassi di sostituzionedollaro/unità fisica nell'obiettivo e nel vincolo).

Comprando il compratore tutte le unità al prezzo di mercato, paga le unitàinframarginali al prezzo di mercato inferiore ai prezzi di domanda. La differenza tra quantoha effettivamente pagato e quanto sarebbe stato disposto a pagare, ossia il beneficio netto, sichiama la UHQGLWD del compratore. Questa è illustrata nel grafico inferiore della Figura, in due

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modi alternativi: corrisponde infatti al triangolo pari alla sommatoria dei benefici nettimarginali, o al rettangolo pari al prodotto della quantità e del beneficio netto medio. Ilbeneficio lordo è naturalmenta la somma del beneficio netto e del costo lordo(geometricamente il rettangolo) 3 4.

Ricordiamo che la rendita, un tempo, era quello che rendeva la terra. I classicinotarono che la rendita della terra non andava a coprire un costo di produzione, ma era inveceun sovrappiù (surplus) rispetto al prezzo minimo al quale sarebbe comunque disponibile(zero). La rendita era dunque un surplus; per estensione, nell'economia borghese, qualsiasisurplus analogo a quello della terra si è chiamato "rendita".

E' ormai ovvia la soluzione del paradosso dell'acqua e dei diamanti: l'acqua vale pocosul mercato perchè la sua abbondanza ne abbassa l'utilità PDUJLQDOH e il prezzo, anche seessendo necessaria alla vita rende una grandissima utilità WRWDOH, ossia al consumo di acqua èassociata una forte rendita; il caso dei diamanti è appunto quello speculare.

2.b.3. l'equilibrio del venditore concorrenzialeConsideriamo qui per simmetria il venditore di beni di cui è esso stesso consumatore

(il contadino, che produce grano, o meglio ancora il pescatore, per il quale i costi monetarisono irrisori).

Per tale individuo, l'equilibrio che equipara beneficio e costo marginale equipara ilprezzo di mercato al valore marginale psichico monetizzato del bene: 3� �0%Y (per via dellaconcorrenzialità), 0%Y� �0&Y (in equilibrio), per cui 3� �0%Y� �0&Y e 3� �0&Y, comeillustrato nel grafico superiore della Figura 2.b.3.1.

L'equilibrio fra quantità acquistata e prezzo si trova dunque sulla curva dei valorimarginali psichici monetizzati, ciascuno dei quali indica quanto il venditore valuta in monetaquell'unità marginale.

(�SHUWDQWR�XWLOH�LGHQWLILFDUH�OD�FXUYD�GL�RIIHUWD�FRQ�OD�FXUYD�GHL�FRVWL�PDUJLQDOLGHO� YHQGLWRUH�� RVVLD� FRQ� OD� FXUYD� GHJOL� HTXLOLEUL� SUH]]R�YHQGLWH� SHU� JOL� RSHUDWRUL� LQUHJLPH�GL�FRQFRUUHQ]D�SHUIHWWD�

Per comodità, il valore marginale psichico monetizzato o costo marginale delvenditore si può chiamare �SUH]]R�GL�RIIHUWD�: è infatti il prezzo minimo al quale il venditorevenderebbe quell'unità marginale. In equilibrio, dunque, il venditore equipara prezzo dimercato e prezzo di offerta (i tassi di sostituzione dollaro/unità fisica nell'obiettivo e nelvincolo).

Vendendo il venditore tutte le unità al prezzo di mercato, vende le unità inframarginalial prezzo di mercato superiore ai prezzi di offerta. La differenza tra quanto ha effettivamenteriscosso e quanto sarebbe stato disposto ad accettare si chiama la UHQGLWD del venditore(geometricamente un triangolo o un rettangolo, come nel grafico inferiore della Figura). Ilbeneficio lordo è ovviamente il ricavo 3 4 (un rettangolo), pari alla somma del beneficionetto e del costo lordo, che corrispode a sua volta al rettangolo 4 $&Y, o al trapezio definitodalla curva dei costi marginali.

2.b.4. l'equilibrio del mercato in regime di concorrenza perfettaL'equilibrio del mercato concorrenziale si ottiene combinando gli equilibri delle parti,

ossia mantenendo i compratori sulla curva di domanda e i venditori sulla curva di offerta. Notiamo che se compratori e venditori sono perfettamente concorrenziali (prendono i prezziper dati), le loro curve di domanda e di offerta sono sommabili orizzontalmente: infatti a undato prezzo la quantità complessiva comprata/venduta è la somma di quelle comprate/vendutedai singoli (Figura 2.b.4.1). Il numero di operatori concorrenziali, come tale, è pertantoindifferente (ossia non importa se una data offerta di mercato, ad esempio, proviene da uno,

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da cento, o da mille).Se il prezzo pagato è il prezzo ricevuto, e le vendite del venditore sono gli acquisti del

compratore, allora l'equilibrio del mercato corrisponde all'intersezione delle curve didomanda e di offerta: si definiscono cioè un'unica quantità scambiata ad un unico prezzo taleche 0%F� �0&F (equilibrio del compratore), 0&F� �3 (concorrenzialità del compratore), 3� 0%Y (concorrenzialità del venditore), e 0%Y� �0&Y (equilibrio del venditore), per cui 0%F� 0&F� �3� �0%Y� �0&Y (Figura 2.b.4.2, dove l'offerta è indicata da 6, "supply").

Si raggiunge così 0%F� � 0&Y: ovverosia, lo scambio attraverso il mercatoimpersonale massimizza la somma dei benefici netti (rendite dei compratori più rendite deivenditori), raggiungendo il risultato 3DUHWR�HIILFLHQWH che potrebbe raggiungere una trattativadiretta tra le parti, risultato che è efficiente proprio nella misura in cui vengono esauriti gliscambi che possono produrre benefici netti. Ricordiamo Hayek: il mercato riproduce ilrisultato che otterrebbe il pianificatore superinformato ipotizzato da Barone.

Si nota però che l'efficienza dell'equilibrio concorrenziale è limitata, nel senso cheprende per buone le curve di domanda e offerta che possono invece riflettere distorsioni divario tipo. Questo lo approfondiremo poi; per ora indichiamo a titolo di esempio che l'offertapotrebbe non tener conto di qualche effetto nocivo sull'ambiente, mentre la domanda potrebbeessere influenzata dal prezzo distorto di qualche succedaneo (vedi ad es. il problema delpendolarismo, in cui la domanda di trasporti pubblici è ridotta dal fatto che chi usa l'autoprivata non tiene conto del fatto che impone ritardi agli altri utenti).

2.b.5. il mutamento degli equilibri: offerta stabileUno scambio di una certa quantità a un certo prezzo è un equilibrio per un certo

periodo. Nel tempo, per mutamenti dell'offerta e della domanda, variano tipicamente sia laquantità che il prezzo, e può succedere di tutto; a fini pedagogici esamineremo qui solo deicasi particolari, in cui il mutamento di fondo è volutamente circoscritto.

Immaginiamo, seguendo il grafico superiore della Figura 2.b.5.1, un mercato diconcorrenza perfetta in equilibrio, nel quale la curva di domanda si sposta da ' a '. L'equilibrio si sposta ovviamente dalla combinazione �3��4� alla combinazione �3��4�, sullamedesima curva (appunto stabile) di offerta. Con l'aumento della domanda si genera alprezzo 3 un HFFHVVR�GL�GRPDQGD pari a �4����4�, che fa lievitare i prezzi; l'aumento dei prezzia sua volta porta i venditori a vendere di più (spostandosi lungo 6) e i compratori a compraredi meno (spostandosi lungo '), finchè non si raggiunge il nuovo equilibrio.

Sarebbe forse meno pesante dire "aumenta la domanda, che fa aumentare i prezziaumentando l'offerta e riducendo la domanda": ma l'espressione è ambigua, proprio perchèusa le stesse parole per indicare gli VSRVWDPHQWL� GHOOH� IXQ]LRQL, che rompono l'equilibrioiniziale ("aumenta la domanda"), e gli VSRVWDPHQWL� OXQJR� OH� IXQ]LRQL, che invece portano alnuovo equilibrio ("aumentando l'offerta e riducendo la domanda"). Nei testi anglosassoni siinsiste nell'usare "domanda" e "offerta" solo per indicare le stesse funzioni, per parlare invecedella "quantità domandata" e della "quantità offerta" nel caso di spostamenti lungo una curvaimmutata; il punto essenziale è comunque che bisogna stare attenti, e avere le idee chiareanche se le parole possono essere imprecise. Il grafico, in questo caso, è uno strumentoprezioso.

Immaginiamo ora che nel nostro mercato, sempre con curva di offerta stabile, la curvadi domanda si sposti ripetutamente, come nel grafico inferiore della stessa Figura. Gliequilibri sono gli incroci delle diverse curve di domanda, e la stessa curva di offerta; L�SXQWLRVVHUYDWL�ULYHODQR�GXQTXH�OD�FXUYD�GL�RIIHUWD.

2.b.6. il mutamento degli equilibri: domanda stabile

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Se invece è stabile la domanda e si sposta l'offerta si verifica il caso speculare,illustrato dalla Figura 2.b.6.1. Immaginiamo infatti, seguendo il grafico superiore dellaFigura, un mercato di concorrenza perfetta in equilibrio, nel quale la curva di offerta si spostada 6 a 6. L'equilibrio si sposta ovviamente dalla combinazione �3��4� alla combinazione �3�4�, sulla medesima curva (appunto stabile) di domanda. Con l'aumento dell'offerta si generaal prezzo 3 un HFFHVVR�GL�RIIHUWD pari a �4����4�, che fa calare i prezzi; la riduzione dei prezzia sua volta porta i venditori a vendere di meno (spostandosi lungo 6) e i compratori acomprare di più (spostandosi lungo '), finchè non si raggiunge il nuovo equilibrio.

Immaginiamo ora che nel nostro mercato, sempre con curva di domanda stabile, lacurva di offerta si sposti ripetutamente, come nel grafico inferiore della stessa Figura. Gliequilibri sono gli incroci delle diverse curve di offerta, e la stessa curva di domanda; L�SXQWLRVVHUYDWL�ULYHODQR�GXQTXH�OD�FXUYD�GL�GRPDQGD.

2.b.7. gli equilibri con intervento pubblico: i prezzi politiciA volte i prezzi sono fissati per legge, ossia per motivi politici.Il grafico superiore della Figura 2.b.7.1 illustra il prezzo politico superiore a quello di

mercato libero. Si constata che con l'imposizione di tale prezzo aumenta la quantità vendutae si riduce la quantità acquistata, e si registra dunque un HFFHVVR�GL�RIIHUWD nelle transazionifra privati. Per evitare che questo riporti il prezzo a quello del mercato libero lo stato devepresentarsi come FRPSUDWRUH�UHVLGXDOH, acquistando al prezzo politico qualsiasi quantità cherimarrebbe altrimenti invenduta; gli equilibri dei compratori (privati) e dei venditori sonodunque tutti allo stesso prezzo, ma per quantità diverse.

La perdità di benessere è ovvia. Nel grafico si riduce il beneficio lordo dei compratoridel trapezio definito da 4F, 4H, e la curva di domanda, e aumenta il costo lordo dei venditoridel trapezio definito da 4H, 4Y, e la curva di offerta. Se preferiamo, la rendita dei compratoricala del trapezio definito da 3, 3H, e la curva di domanda, la rendita dei venditori aumenta deltrapezio definito da 3, 3H, e la curva di offerta (per un guadagno netto pari al triangolodefinito da 3, e le curve di domanda e di offerta), e la rendita dei contribuenti viene decurtatadel costo della quantità comprata dallo stato, ossia del rettangolo definito da 3, 4F, e 4Y (peruna perdita netta equivalente alla misura precedente).

Gli esempi più ovvi di tali interventi sono i prezzi "europei" dei prodotti agricoli, chehanno portato appunto all'accumulo di "montagne di burro", "laghi di latte", ecc. Le "quotelatte" sono l'espediente per ridurre questo eccesso imponendo un limite diretto allaproduzione, ossia forzando la curva di offerta a diventare verticale per 4� � 4F (con unrisparmio per i contribuenti ma una perdita per i produttori).

Il grafico inferiore della Figura 2.b.7.1 illustra il prezzo politico inferiore a quello dimercato libero. Si constata che con l'imposizione di tale prezzo cala la quantità venduta eaumenta la quantità acquistata, e si registra dunque un HFFHVVR�GL�GRPDQGD nelle transazionifra privati. Nel caso speculare a quello precedente lo stato si presenta come YHQGLWRUHUHVLGXDOH, vendendo al prezzo politico qualsiasi richiesta che rimarrebbe altrimentiinsoddisfatta; gli equilibri dei compratori e dei venditori (privati) sono dunque sempre tuttiallo stesso prezzo, ma per quantità diverse. Un esempio di tale intervento è quello nelmercato della valuta straniera: il cambio lira/marco è fisso proprio perchè lo stato compra evende lire contro marchi al tasso predeterminato senza limite di quantità.

A volte, invece, lo stato fissa il prezzo politico ... e basta, come con gli affitti bloccatio i prezzi calmierati in tempo di guerra. Si crea così un'eccesso di domanda che rimanendotale tende a generare mercati neri, corruzione, privilegiati e frustrati...

2.b.8. gli equilibri con intervento pubblico: tasse e sussidi

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Se invece il mercato rimane tra privati, e il prezzo rimane libero, ma le transazionisono gravate da una tassa, l'equilibrio è quello illustrato dalla Figura 2.b.8.1: il prezzo pagatonon è il prezzo ricevuto, per cui la quantità di equilibrio corrisponde a 0%F� �0&F� �3F� �3Y��7�!�3Y� �0%Y� �0&Y. Il gettito fiscale è (il rettangolo) 4 7� ��4 �0%F���0&Y�.

In queso caso QRQ si raggiunge 0%F� � 0&Y: ovverosia, lo scambio attraverso ilmercato QRQ raggiunge il risultato HIILFLHQWH in cui vengono esauriti gli scambi che possonoprodurre benefici netti, proprio perchè una tassa unitaria riduce la quantità scambiata (nelcaso, al di sotto del livello ottimale). Si nota infatti un triangolo di rendita positiva, tral'equilibrio con tasse e l'equilibrio di mercato libero, che si potrebbe ottenere aumentando gliscambi.

Un sussidio unitario (una tassa negativa) ha l'effetto contrario, e porta ad un volume discambi superiore a quello (ottimale) di mercato libero (Figura 2.b.8.2). Si nota infatti untriangolo di rendita negativa (perchè i prezzi di offerta sono superiori ai prezzi di domanda),tra l'equilibrio con tasse e l'equilibrio di mercato libero, che si potrebbe evitare riducendo gliscambi.

Notiamo che le tasse e i sussidi XQLWDUL, proprio perchè gravano sulle unità marginali,spostano gli equilibri di mercato: sono dunque questi, come vedremo, gli strumenti diintervento dello stato allocatore pigoviano.

2.b.9. la rendita e le tassePer essere più precisi, in un mercato concorrenziale una tassa che deve essere

sopportata dall'unità marginale sposta il margine fino al punto in cui la stessa unità marginalegenera una rendita equivalente alla tassa. In generale, infatti, è solo la rendita che puòassorbire una tassa, e le tasse vengono pagate solo dalle rendite.

La prima conseguenza di ciò è che l'effetto della tassa unitaria sulla quantitàscambiata, e dunque il gettito della stessa tassa, dipende dalla pendenza FRPSOHVVLYD dellecurve di domanda e di offerta. Immaginiamo un mercato in cui con tassa zero si scambiano100 unità a $50 l'una, e consideriamo l'equilibrio con una tassa di $10/unità, come nellaFigura 2.b.9.1. Nel primo grafico, le curve sono ambedue così piatte che la rendita generataanche dallo scambio della prima unità non arriva a $10, per cui non verrà scambiatanemmeno la prima unità; la tassa, che come in questo caso distrugge la base imponibile edunque non ha gettito, è detta SURLELWLYD.

Nel secondo grafico, le curve di domanda e offerta sono ambedue in forte pendenza, ebasta una piccola riduzione dello scambio per far comparire la rendita necessaria sull'unitàmarginale; la quantità scambiata rimane vicina a quella con tassa zero (si riduce, poniamo, a95), e il gettito è corrispondentemente alto (nel caso, $950).

La seconda conseguenza è che la distribuzione dell'onere delle tassa fra le particontraenti dipende dalla pendenza UHODWLYD delle curve di domanda e di offerta. Nel terzografico, ad esempio, la pendenza complessiva è come nel secondo grafico, per cui la quantitàscambiata e il gettito saranno uguali; ma mentre nel secondo le pendenze delle due curveerano per ipotesi identiche, nel terzo sono molto diverse. Rispetto al prezzo con tassa zero,nel secondo grafico il prezzo pagato era superiore di $5, quello ricevuti inferiore di $5, con uneffetto dunque simmetrico sulle parti contraenti; nel terzo, con la curva di offerta quasi piatta,la tassa si ripercuote quasi interamente sul prezzo pagato, che aumenta poniamo di $9, mentreil prezzo ricevuto cala solo di $1. In questo caso, si può dire che la tassa la paga quasiinteramente l'acquirente.

Notiamo che il risultato illustrato dal terzo grafico dipende unicamente dalla pendenzadelle curve, e dunque dalla distribuzione della rendita, in prossimità dell'equilibrio diconcorrenza. Non dipende da chi per legge "deve pagare la tassa": anche se la legge dice che

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la tassa la paga il venditore, con siffatte curve sarà comunque il compratore a pagarla (inprevalenza), perchè il gettito è (prevalentemente) a scapito della rendita del compratore. Quando l'operatore che sopporta l'onere della tassa non è quello di legge, si dice che vi èWUDVOD]LRQH della tassa.

Il fatto che le tasse gravano comunque sulle rendite significa poi che possono esseregravate direttamente di tasse le rendite LQIUDPDUJLQDOL, con tasse non unitarie, al limite senzaspostare il margine e senza dunque possibilità di traslazione. Un esempio di tassainframarginale è la OLFHQ]D per operare sul mercato: se tu compratore ottieni una rendita di$100 in regime di concorrenza, io posso farti pagare fino a quella cifra il diritto di partecipareal mercato. L'equilibrio di questo mantiene le condizioni (equivalenze marginali) del mercatolibero, proprio perchè la tassa QRQ colpisce l'unità PDUJLQDOH; l'equilibrio potrebbe esserecomunque spostato se togliendoti (poniamo) $70 ti impoverisco abbastanza per ridurre la tuadomanda (ossia, a parità di beneficio marginale psichico, ne riduco l'equivalente in dollari).

Ricordiamo che la "rendita" (rent) era la remunerazione della terra, che si può tassareal limite del 100% senza perderne i servizi (a differenza dei salari, necessari per tenere in vitai lavoratori). Verso la fine dell'Ottocento si sviluppò negli Stati Uniti un movimento "per latassa unica" appunto sulla terra (H. George, che però sembra pensasse più all'incremento divalore dovuto allo sviluppo economico senza meriti del proprietario che non alle categoriericardiane); l'uso di "rendita" per indicare qualsiasi surplus ci aiuta a ricordare che la terra èun caso forse estremo ma non certo unico.

Siccome poi è rendita appunto ciò che si può espropriare con una tassa, è ovvio che lacomponente di rendita in una remunerazione dipende dal punto di vista. Si immagini adesempio un tale che guida benissimo, ma non sa fare altro. Lo ingaggia la Ferrari, a moltimiliardi l'anno; ma se questa cifra supera di solo un milione il minimo necessario per evitareche passi ad un'altra scuderia, allora solo quel milione è rendita GDO� SXQWR� GL� YLVWD� GHOOD)HUUDUL. Dal punto di vista della Formula Uno, però, è probabile che la sua remunerazionepossa essere di molto ridotta, prima di perderlo poniamo alla Formula Indy; per la FormulaUno, dunque, è rendita tutta quella riduzione possibile. E così via: per l'intero mondo dellecorse, è rendita quasi tutta la remunerazione del nostro, chè la sua migliore occupazionealternativa sarebbe quella di fare il tassinaro (Figura 2.b.9.2).

2.c. l'elasticità

2.c.1. definizioneGli economisti chiamano HODVWLFLWj il UDSSRUWR� WUD� OH� YDULD]LRQL� SHUFHQWXDOL di due

variabili funzionalmente collegate; si parla così dell'elasticità dell'occupazione allaproduzione, delle importazioni al cambio, e via di seguito.

Nel contesto presente rivestono ovviamente particolare importanza l'elasticità dellaquantità al prezzo lungo le curve di domanda e di offerta, definite ad un punto o lungo unsegmento. Nel primo caso, H� ��G4�4���G3�3�; nel secondo si mettono convenzionalmente aidenominatori le medie dei punti estremi del segmento, per cui H� �G4���4��4��������G3���3��3������. Tali elasticità normalmente variano lungo le curve diriferimento: le curve a elasticità costante sono infatti casi particolari.

2.c.2. l'elasticità della domandaSiccome le curve di domanda hanno una pendenza negativa, quantità e prezzo variano

in direzione opposta, e l'elasticità è negativa; siccome però un'elasticità "alta" indicanaturalmente una reattività forte, lontana da zero, per non fare uno strappo alla lingua se ne fa

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uno all'algebra, e parlando di elasticità della domanda gli aggettivi ne riflettono il solo valoreassoluto.

Il ricavo è a sua volta il prodotto del prezzo e della quantità: se la domanda è"elastica", ossia con valore assoluto superiore a uno, l'effetto quantità supera l'effetto prezzo eil ricavo varia con la quantità (per cui aumenta se cala il prezzo); se invece la domanda è"anelastica", ossia con valore assoluto inferiore a uno, l'effetto prezzo supera l'effetto quantitàe il ricavo varia con il prezzo (per cui aumenta se aumenta il prezzo).

Una curva di domanda orizzontale ha un'elasticità infinita (massima, in valoreassoluto), per cui tale elasticità caratterizza la domanda per il venditore in concorrenzaperfetta; una verticale, un'elasticità pari a zero ("minima"). Come si vede dalla Figura 2.c.2.1una curva con pendenza bassa ha dunque un'elasticità alta, e il ricavo segue la quantità,mentre una curva con pendenza forte ha un'elasticità bassa, e il ricavo segue il prezzo; maquesto linguaggio è impreciso.

Si consideri infatti la retta $( nel grafico superiore della Figura 2.c.2.2, che puòessere considerata o la stessa curva di domanda, o la tangente a questa al punto &. L'elasticitàdella domanda al punto & è il (valore assoluto del) rapporto �G4�4���G3�3�� ��G4�G3���4�3� ��%&�$%���2'�&'�� �2%�$%� �'(�2'� �&(�$&. Facendo scorrere il punto & si constatache l'elasticità aumenta verso $, e diminuisce verso (. L'elasticità lungo una curva didomanda lineare varia infatti come indicato nel grafico inferiore della medesima Figura: daun valore infinito al prezzo di domanda massimo, a uno a metà di tale prezzo, a zero a prezzozero. Il ricavo è zero se la quantità è nulla, e se il prezzo è nullo; è massimo quando ladomanda passa da elastica (per cui calando il prezzo il ricavo aumenta) a anelastica (per cuicalando ancora il prezzo il ricavo diminuisce), ossia al prezzo corrispondente ad un elasticitàunitaria �2$���.

Questo implica non solo che una curva di domanda lineare ha un'elasticità variabilesull'intera gamma da infinita a zero, ma che tutte le domande lineari con intercetta $ avrannoallo stessa prezzo la stessa elasticità, a prescindere dalla pendenza. Per tornare alla Figura2.c.2.1, dunque, a essere precisi la curva con poca pendenza non è una curva di domandaelastica, bensì il pezzo elastico (perchè vicino all'asse verticale) di una curva di domanda; lacurva con pendenza forte non è a sua volta una curva di domanda anelastica, bensì il pezzoanelastico (perchè vicino all'asse orizzontale) di una curva di domanda.

La curva a elasticità costantemente unitaria implica un ricavo (75, "total revenue")costante; essendo 75� � 3 4 e dunque 4� � 75�3, la costanza di 75 e dunque l'elasticitàcostantemente unitaria corrispondono a una curva di domanda LSHUEROLFD (Figura 2.c.2.3).

2.c.3. l'elasticità dell'offertaSiccome le curve di offerta hanno (normalmente) una pendenza positiva, quantità e

prezzo variano insieme; risalendo lungo una curva di offerta la spesa aumenta sempre ecomunque, a prescindere dal valore dell'elasticità.

L'elasticità indica dunque abbastanza banalmente la reattività. Una curva di offertaorizzontale ha un'elasticità infinita (massima), per cui tale elasticità caratterizza l'offerta per ilcompratore in concorrenza perfetta; una verticale, un'elasticità pari a zero (minima). Come sivede dalla Figura 2.c.3.1 una curva con pendenza bassa ha dunque un'elasticità alta, mentreuna curva con pendenza forte ha un'elasticità bassa; ma questo linguaggio pure è impreciso.

Si consideri infatti la retta 6 nel grafico superiore della Figura 2.c.3.2, che può essereconsiderata o la stessa curva di offerta, o la tangente a questa al punto &. L'elasticitàdell'offerta al punto & è il rapporto �G4�4���G3�3�� ��G4�G3���4�3�� � �$'�&'���2(�&(�� &(�&'� �2%�$%�!��. Facendo scorrere il punto & si constata che l'elasticità aumenta versosinistra, diventando infinita al punto $ (2%� �2$, $%� ��), e cala verso destra, tendendo a

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uno (aumentando 2% e $% con 2$� �2%���$% costante, 2$�2% tende a zero); e questo è veroper qualsiasi offerta lineare con intercetta positiva �$�!���, a prescindere dalla pendenza.

Nel grafico inferiore della stessa Figura al punto & l'elasticità è il rapporto�$'�&'���2'�&'�� �$'�2'� �2%�$%����. Facendo scorrere il punto & si constata chel'elasticità diminuisce verso sinistra, diventando zero al punto $ (2'� � 2$, $'� � �), eaumenta verso destra, tendendo a uno (aumentando 2% e $% con $2� �$%���2% costante,$2�2% tende a zero); e questo è vero per qualsiasi offerta lineare con intercetta negativa ($���), a prescindere dalla pendenza.

E' ovvio pure che qualsiasi offerta lineare con intercetta zero ha un'elasticitàcostantemente unitaria, in quanto $% (o $%) � 2%, anche questo a prescindere dallapendenza.

Per tornare alla Figura 2.c.3.1, dunque, a essere precisi la curva con poca pendenza ècomunque elastica (intercetta positiva), ma è PROWR elastica perchè ne osserviamo il pezzovicino all'intercetta; la curva con forte pendenza è comunque anelastica (intercetta negativa),ma è PROWR�SRFR elastica perchè ne osserviamo il pezzo vicino alle ascissi.

2.c.4. l'elasticità nel tempoUna regola generale è che l'elasticità delle curve di domanda e di offerta aumenta con

il tempo considerato, appunto perchè nel tempo aumentano i possibili margini diaggiustamento. Anche questo lo vedremo meglio poi; ma il concetto stesso si spiegafacilmente.

Si ricordi l'aumento repentino del prezzo del petrolio, e dei suoi derivati, a operadell'OPEC. Nell'immediato, io consumatore posso fare ben poco: evitare le gite in macchinala domenica, scaldare meno casa... ma per il resto posso solo subire il prezzo più alto. Nelbreve periodo, dunque, la domanda è molto poco elastica. Con più tempo, posso fare piùcose: sostituire la macchina con una che consuma meno, rivestire casa di pannelli isolanti e/osostituire l'impianto termico con uno più efficiente, cambiare casa o lavoro per ridurre ilpendolarismo...

In un contesto concorrenziale possiamo illustrare tale fenomeno con la Figura 2.c.4.1. L'equilibrio iniziale è �3��4��; l'offerta cala da 6 a 6. Nel breve periodo la curva di domandaè '%3, che ci porta a �3��4��; nel lungo periodo la curva di domanda è '/3, e arriviamo a�3��4��. Notiamo che gli spostamenti sono prima lungo '%3, poi (spostandosi la stessa '%3)lungo 6; la quantità cala e poi cala ancora, il prezzo sale e poi (parzialmente) ricala.

2.c.5. l'elasticità e le tasseRicordando quanto detto sulle tasse unitarie e le pendenze delle curve di domanda e di

offerta, è ovvio che dal punto di vista del gettito (ossia dello stato predatore) i consumi piùimponibili sono quelli a domanda fortemente anelastica anche nel lungo periodo.

Fra questi spiccano tre categorie di beni. La prima, ovvia, è quella che possiamochiamare dei GLVWLQWLYL� GL� UDQJR� VRFLDOH ("status symbol"), necessari a chi vuole circolaredignitosamente nell'alta società. La seconda, appena meno ovvia, è quella dei EHQLDVVXHIDFHQWL, come il tabacco, gli alcoolici, le droghe, necessari a chi ne è dipendente. Laterza, forse la più interessante, è quella degli DGGLWLYL, che rappresentano una piccola quota diun consumo congiunto.

Ipotizziamo, per fare un esempio, che consumiamo oggetti di bronzo, lega del rame edello stagno; che l'elasticità della domanda per il bronzo sia unitaria; e che senza tasse il costodel bronzo è costituito per il 90 percento dal rame e per il 10 percento dallo stagno. L'elasticità della domanda per lo stagno è il prodotto dell'elasticità della domanda per ilbronzo, e della quota dello stagno sul suo costo: se infatti il prezzo dello stagno aumenta del

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100 per cento il prezzo del bronzo aumenta del 10 per cento, il consumo di bronzo cala del 10per cento, e il consumo di stagno cala del 10 per cento, per un'elasticità pari a 0,1.

L'esempio più ovvio di un additivo, oggidì, è la benzina, componente del consumo ditrasporti, e non a caso stratassata. Storicamente, l'esempio più significativo è il sale: non èun caso che le rivenditorie dello stato italiano fossero appunto di "sali e tabacchi", come peraltri versi non è nemmeno un caso che non fossero "sali, tabacchi, e visoni".

2.d. l'equilibrio di monopolio semplice

2.d.1. definizione:Il SRWHUH� GL�PHUFDWR�PLQLPDOH, identificato con il PRQRSROLR� VHPSOLFH, consiste nel

SRWHUH� GL� VFHJOLHUH� LO� SUH]]R, che rimane XQLFR, ODVFLDQGR� VFHJOLHUH� OD� TXDQWLWj (oppure discegliere la quantità, lasciando che un'asta definisca il prezzo). Per l'individuo conscio diavere tale potere il vincolo non è pertanto il prezzo di mercato, ma un continuo di binomiprezzo-quantità; sceglie pertanto non la quantità dato il prezzo, ma quantità e prezzo insiemedato il vincolo che è la controparte che definisce le combinazioni possibili scegliendo una diqueste variabili in funzione dell'altra.

Si distinguono il monopolio in senso stretto o monopolio di vendita, in cui il potere dimercato è appunto di chi vende, e il monopsonio o monopolio di acquisto, in cui il potere dimercato è di chi compra; i due casi sono ovviamente speculari.

L'individuo dotato di tale potere di mercato può scegliere una quantità e il prezzo adessa associato lungo una curva di equilibri quantità-prezzo definiti, si noti bene, da operatoriFRQFRUUHQ]LDOL ("price-takers"), che scelgono appunto la quantità dato il prezzo. La curvadegli equilibri possibili è dunque per il monopolista una curva di valori PHGL (costi secompra, benefici se vende); la curva dei suoi valori marginali è pertanto la curva marginalecorrispondente a tale curva dei valori medi (per cui se questa è una retta sarà la retta con lastessa intercetta e pendenza doppia).

Gli esempi di tale potere di mercato ci vengono normalmente non dagli scambi traproduttori-consumatori (i nostri pescatori), ma dalle aziende: qualsiasi azienda che "ha ilmonopolio" dei propri prodotti (come la FIAT delle FIAT) può sceglierne il prezzo divendita; qualsiasi azienda che domina il mercato della propria materia prima (come un tempol'American Tobacco Company quello del tabacco in foglia americano) può modificarne ilprezzo di acquisto.

Ricordando che si possono sommare le curve di domanda o di offerta degli operatoriconcorrenziali, si nota che se accanto (ad esempio) al compratore monopolista vi sono altricompratori, concorrenziali, la curva di offerta che il compratore monopolista ha di fronte a seè l'offerta netta definita da tutti gli operatori concorrenziali (ossia ad ogni prezzo la quantitàlorda offerta dai venditori, meno la quantità acquistata dai compratori concorrenziali), comenella Figura 2.d.1.1. Un esempio fra i mercati dei beni è dato dalla MacDonald's, che comprada sola una quota molto cospicua del raccolto di patate statunitense, mentre gli agricoltori chevendono e gli altri compratori sono tutti individualmente insignificanti; casi simili siritrovano nei mercati locali del lavoro ovunque questi sono dominati da una grande azienda(come la FIAT a Torino).

2.d.2 l'equilibrio di monopolio del compratoreIn questo caso, i venditori rimangono concorrenziali, e il loro equilibrio è come

descritto sopra (2.b.3. e Figura corrispondente): il prezzo di mercato sarà un prezzo diofferta, ossia la combinazione prezzo-quantità sarà sulla curva di offerta �3� �0%Y� �0&Y�.

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L'equilibrio scelto dal compratore dotato di potere di mercato è illustrato dalla Figura2.d.2.1. Per tale compratore prezzo e quantità variano insieme, ossia può far ridurre il prezzoriducendo gli acquisti (lungo la curva di offerta, che è per il compratore la curva dei costimedi $&F); rimanendo unico il prezzo, il costo marginale per il compratore è 0&F� �3���G3�G4�4, ossia il prezzo effettivamente pagato per l'unità marginale più l'aumento di spesa(dato che G3�G4�!��) per le unità inframarginali. Per tale individuo, dunque, l'equilibrio cheequipara beneficio e costo marginale equipara il prezzo di domanda (che per il consumatore èil valore marginale psichico monetizzato del bene) al costo marginale, superiore al costomedio che è il corrispondente prezzo di mercato: 0%F� � 0&F� � 3� �� �G3�G4�4� !� 3. L'equilibrio fra quantità acquistata e prezzo QRQ si trova pertanto sulla sulla curva di domanda(la curva dei valori marginali psichici monetizzati), e il prezzo di domanda eccede il prezzo dimercato, come illustrato nel grafico superiore.

Comprando il compratore tutte le unità al prezzo di mercato inferiore ai prezzi didomanda, gode anche qui di una rendita (nel grafico inferiore della Figura 2.d.2.1, il triangolopiù il rettangolo).

Rimanendo concorrenziale il venditore, si verifica ovviamente che 0%F� �0&F�!�3� 0%Y� �0&Y. In questo caso QRQ si raggiunge perciò 0%F� �0&Y: ovverosia, lo scambioattraverso il mercato QRQ raggiunge il risultato efficiente in cui vengono esauriti gli scambiche possono produrre benefici netti (per cui potrebbero esserci scambi ulteriori; su questotorneremo).

Si nota che rispetto al regime di concorrenza, con l'equilibrio all'incrocio delladomanda e dell'offerta, aumenta la rendita del compratore; per il venditore diminuisce, conuna perdita maggiore del guadagno della controparte (da cui appunto la perdita secca,"inefficiente", che compare come il triangolo fra domanda e offerta a destra dell'equilibrio).

Notiamo che la rendita del compratore è geometricamente la somma del triangolodefinito dalla curva di domanda e da 0%F� �0&F, e del rettangolo definito da 4 e da 0%F��0&Y. Questo rettangolo corrisponde al gettito fiscale nel regime concorrenziale in presenzadi tasse: si capisce così lo sdegno di Simons di fronte al monopolista che si comportaappunto da sovrano, e si capisce anche perchè le patenti di monopolio erano elargizionisovrane.

Notiamo infine che il compratore ha potere di mercato proprio nella misura in cui ha(e sa di avere) di fronte una curva di offerta di elasticità limitata (ossia con pendenzapositiva). In equilibrio, il divario tra il prezzo di domanda e il prezzo di mercato è appuntofunzione dell'elasticità dell'offerta: infatti 0%F� �3����G3�G4�4, e 0%F�3� ������G3�G4�4�3 ��������H6�.

2.d.3. il mutamento degli equilibriLa Figura 2.d.3.1 illustra il mutamento degli equilibri di monopolio del compratore.

Nel grafico in alto a sinistra la curva di offerta è stabile, e si sposta la curva di domanda; lacombinazione quantità-prezzo di equilibrio, che non è l'incrocio domanda-offerta, ma ècomunque sulla curva di offerta, si sposta lungo la curva di offerta. Se rimanendo semprestabile la curva di offerta si sposta ripetutamente la curva di domanda, come nel grafico inbasso a sinistra, allora i diversi equilibri rivelano la curva di offerta (come nel mercatoconcorrenziale, proprio perchè il venditore è anche in questo caso concorrenziale).

Nel grafico in alto a destra la curva di domanda è stabile, e si sposta l'offerta. Sequesta aumenta, conservando la sua pendenza, allora calerà il prezzo e aumenterà la quantitàscambiata, FRPH� VH lo spostamento fosse lungo una curva di domanda; di fatto, però,ambedue gli equilibri sono sotto la curva di domanda. Se rimanendo stabile la curva didomanda lineare si sposta ripetutamente la curva di offerta, conservando sempre la sua

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pendenza, come nel grafico in basso a destra, allora i diversi equilibri descriveranno unaSVHXGR�GRPDQGD anch’essa lineare, con la stessa intercetta della curva di domanda, e unapendenza maggiore di questa. L’angolo tra domanda e pseudo-domanda dipende a sua voltadalla pendenza della curva di offerta, e dunque dal potere di mercato: l'intercetta è comuneperchè in quel punto l'elasticità dell'offerta diventa infinita, e il potere di mercato nullo.

La distinzione tra domanda e pseudo-domanda dimostra che bisogna scegliere tra duedefinizioni della domanda, che troppo spesso vengono confuse: il luogo degli equilibriprezzo-acquisti QRQ corrisponde sempre al luogo dei benefici marginali del compratore. Ladomanda si potrebbe definire come il luogo degli equilibri prezzo-acquisti, per cui gliequilibri dei compratori sarebbero sempre sulla curva di domanda, ma questacorrisponderebbe ai benefici marginali dei compratori solo se questi sono concorrenziali; noiabbiamo scelto invece di identificare la domanda con i benefici marginali dei compratori, checorrisponde agli equilibri prezzo-acquisti solo se i compratori sono concorrenziali. Ladefinizione in tal senso (2.b.2) poteva sembrare inutilmente complicata; vediamo adesso chenon lo è.

2.d.4. gli interventi correttiviSi nota che una tassa o un sussidio unitari spostano la quantità di equilibrio come in

regime concorrenziale. Si può pertanto ristabilire l'equilibrio efficiente sussidiando gliscambi, come nella Figura 2.d.4.1. Questo aumenta notevolmente la rendita: quella delvenditore passa da &'( a (*+, che corrisponde ovviamente a quella di concorrenza; quelladel compratore monopolista passa da $%'& a $)*(, ossia diventa quella del regime diconcorrenza più l'intero sussidio 4 �3Y���3F� (sussidio si può peraltro confiscare con una tassache non incide sulle curve marginali, ad esempio obbligando il compratore ad acquistare dallostato una "licenza a comprare").

Vi è anche una soluzione più semplice, che consiste semplicemente nell'imporre perlegge il prezzo di equilibrio concorrenziale: con questo espediente infatti il compratore perdeil suo potere di mercato, e al prezzo di concorrenza compra la quantità di concorrenza.

All'atto pratico, però, e come vedremo meglio poi, queste interventi correttivi sonotutt'altro che facili: richiedono ad esempio che il legislatore conosca la curva di domanda delmonopolista, che i prezzi di mercato non rivelano (perchè sono come sappiamo incroci diofferta e pseudo-domanda); e richiedono pure che la realtà non sia più complessa del modello.

Per dare un esempio delle difficoltà pratiche consideriamo un mercato locale dellavoro, caratterizzato da un equilibrio di monopolio del compratore; nella Figura 2.d.4.2, ilsalario ("wage") sarebbe Z0 e l'occupazione /0. Un salario minimo pari a Z& dovrebberistabilire l'equilibrio concorrenziale, con occupazione /&; sarebbe dunque ottimale? Neidibattiti recenti sulle proposte di aumentare il salario minimo negli Stati Uniti, si nota, isindacati sono favorevoli, gli economisti generalmente contrari, e non solo da posizioni "didestra".

Di fatto, gli economisti rifutano l'analisi rappresentata dalla nostra Figura, perchèquesta considera il lavoro RPRJHQHR, cosa che di fatto non è. Immaginiamo cha vi siano duetipi di lavoratori, "normali" e "disgraziati"; ogni disgraziato vale, come lavoratore, la metà diun normale. Possiamo sempre usare la nostra Figura, misurando l'occupazione in "normaliequivalenti"; in un equilibrio concorrenziale il salario "normale" sarebbe Z&, ma ognidisgraziato sarebbe pagato Z&��. Il salario minimo, superiore a tale cifra, rende inutilizzabilitali lavoratori; di fatto, dunque, il salario minimo è gradito ai sindacati e avversato daglieconomisti perchè sembra proteggere i lavoratori più qualificati dalla concorrenza dei menoqualificati (i giovani, gli immigrati...).

Per fare un secondo esempio, si dice a volte che un sindacato, imponendo un salario

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maggiore di quello di mercato, potrebbe far aumentare l’occupazione. La Figura in esamesembra illustrare esattamente tale possibilità: se infatti il mercato locale del lavoro èdominato da una grande impresa con potere di mercato, che sceglie appunto l'equilibrio �Z0�/0�, il sindacato potrebbe portare l'occupazione al livello concorrenziale /&�!�/0 imponendoil salario concorrenziale Z&�!�Z0.

Ma sceglierebbe il sindacato proprio questa soluzione, tendenzialmente efficiente? Non necessariamente: possiamo immaginare che invece di fare così l'interesse generale ilsindacato faccia l'interesse particolare dei suoi membri, che sono solo i lavoratori occupati. In tal caso se può imporre il salario impone Z%, che trasferisce ai membri il rettangolo"fiscale" senza aumentare l'occupazione (e se può fissare salario e occupazione impone Z$,sul beneficio medio del datore di lavoro, trasferendo dunque ai suoi membri anche la renditainframarginale).

Potrebbe pure fare l'interesse particolare della (sola) maggioranza dei suoi membri: sevige la regola che l'ultimo assunto è il primo cacciato, i membri più anziani che rappresentanoil 51 per cento degli occupati potrebbero mettersi d'accordo per far imporre dal sindacato ilsalario massimo per un'occupazione ridotta appunto del 49 per cento (gioco al massacro cheperaltro può continuare, risalendo la curva di domanda di 51 per cento in 51 per cento, finchèi due più anziani non fanno cacciare il terzo...).

E ricordiamo poi per completezza che il sindacato potrebbe anche fare l'interesseparticolarissimo dei propri dirigenti, che in cambio di un cospicuo versamento in Svizzeraaccettano Z0 e raccontano agli operai che era impossibile ottenere di più...

2.d.5. l'equilibrio di monopolio del venditoreIn questo caso, i compratori rimangono concorrenziali, e il loro equilibrio è come

descritto sopra (2.b.2. e Figura corrispondente): il prezzo di mercato sarà un prezzo didomanda, ossia la combinazione prezzo-quantità sarà sulla curva di domanda �0%F� �0&F� 3�.

L'equilibrio scelto dal venditore dotato di potere di mercato è illustrato dalla Figura2.d.5.1. Per tale venditore prezzo e quantità variano in opposizione (ossia può far aumentareil prezzo riducendo le vendite, lungo la curva di domanda, che è per il venditore la curva deibenefici medi $%Y); rimanendo unico il prezzo, il beneficio marginale per il venditore è 0%Y �3����G3�G4�4, ossia il prezzo effettivamente ricevuto per l'unità marginale meno il calo diincassi (dato che G3�G4� �� �) per le unità inframarginali. Per tale individuo, dunque,l'equilibrio che equipara beneficio e costo marginale equipara il prezzo di offerta (che per ilvenditore-consumatore è il costo marginale psichico monetizzato del bene) al ricavomarginale, inferiore al ricavo medio che è il corrispondente prezzo di mercato: 3�!� 3� ��G3�G4�4� �0%Y� �0&Y. L'equilibrio fra quantità venduta e prezzo QRQ si trova pertantosulla curva di offerta (la curva dei valori marginali psichici monetizzati), e il prezzo dimercato eccede il prezzo di offerta, come illustrato nel grafico superiore.

Vendendo il venditore tutte le unità al prezzo di mercato superiore ai prezzi di offerta,gode anche qui di una rendita (nel grafico inferiore della Figura 2.d.5.1, il triangolo più ilrettangolo).

Rimanendo concorrenziale il compratore, si verifica ovviamente che 0%F� �0&F� �3!�0%Y� �0&Y. In questo caso QRQ si raggiunge perciò 0%F� �0&Y: ovverosia, lo scambioattraverso il mercato QRQ raggiunge il risultato efficiente in cui vengono esauriti gli scambiche possono produrre benefici netti (per cui potrebbero esserci scambi ulteriori; su questotorneremo).

Si nota che rispetto al regime di concorrenza, con l'equilibrio all'incrocio delladomanda e dell'offerta, aumenta la rendita del venditore; per il compratore diminuisce, con

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una perdita maggiore del guadagno della controparte (da cui appunto la perdita secca,"inefficiente", che compare come il triangolo fra domanda e offerta a destra dell’equilibrio).

Notiamo che la rendita del venditore è geometricamente la somma del triangolodefinito dalla curva di offerta e da 0%Y� �0&Y, e del rettangolo definito da 4 e da 0%F���0&Y. Il monopolio del venditore è dunque analogo a quello del compratore, solo che cambia laparte che cattura il rettangolo di rendita "fiscale"; anche qui, l'equilibrio è modificabile contasse e sussidi.

Notiamo poi che il venditore ha potere di mercato proprio nella misura in cui ha (e sadi avere) di fronte una curva di domanda di elasticità limitata (ossia con pendenza negativa). In equilibrio, il divario tra il prezzo di mercato e il prezzo di offerta è appunto funzionedell'elasticità della domanda: infatti 3����G3�G4�4� �0&Y, e 0&Y�3� ������G3�G4�4�3� �������H'� con, ovviamente, H'����.

Notiamo infine che al punto di equilibrio la domanda è necessariamente elastica. Geometricamente, sappiamo che se la domanda è lineare è elastica, e il beneficio marginaledel venditore è positivo, per i prezzi superiori alla metà del prezzo di domanda massimo; se icosti marginali del venditore sono positivi lo saranno anche, in equilibrio, i suoi beneficimarginali, e dunque l'elasticità della domanda sarà positiva. La logica di fondo èsemplicissima: se i costi marginali del venditore sono positivi, questo risparmia riducendo levendite; fintanto che la domanda è anelastica, riducendo le vendite riduce i costi e aumenta ibenefici, per cui non può essere in equilibrio.

2.d.6. il mutamento degli equilibriLa Figura 2.d.6.1 illustra il mutamento degli equilibri di monopolio del venditore.

Nel grafico in alto a sinistra la curva di domanda è stabile, e si sposta la curva di offerta; lacombinazione quantità-prezzo di equilibrio, che non è l'incrocio domanda-offerta, ma ècomunque sulla curva di domanda, si sposta lungo la curva di domanda. Se rimanendosempre stabile la curva di domanda si sposta ripetutamente la curva di offerta, come nelgrafico in basso a sinistra, allora i diversi equilibri rivelano la curva di domanda (come nelmercato concorrenziale, proprio perchè il compratore è anche in questo caso concorrenziale).

Nel grafico in alto a destra la curva di offerta è stabile, e si sposta la domanda. Sequesta aumenta, conservando la sua pendenza, allora aumenteranno il prezzo e la quantitàscambiata, FRPH�VH lo spostamento fosse lungo una curva di offerta; di fatto, però, ambeduegli equilibri sono sopra la curva di offerta. Se rimanendo stabile la curva di offerta lineare sisposta ripetutamente la curva di domanda, conservando sempre la sua pendenza, come nelgrafico in basso a destra, allora i diversi equilibri descriveranno una SVHXGR�RIIHUWD: una rettache avrà la stessa intercetta della curva di oferta, e una pendenza maggiore di questa, facendocon questa un angolo che dipende a sua volta dalla pendenza della curva di domanda (edunque dal potere di mercato: l'intercetta è comune perchè in quel punto l'elasticità delladomanda diventa infinita, e il potere di mercato nullo).

Vale anche per l'offerta quanto detto rispetto alla domanda. La distinzione tra offertae pseudo-offerta dimostra cioè che bisogna scegliere tra due definizioni dell'offerta, chetroppo spesso vengono confuse: il luogo degli equilibri prezzo-vendite QRQ corrispondesempre al luogo dei costi marginali del venditore. L'offerta si potrebbe definire come il luogodegli equilibri prezzo-vendite, per cui gli equilibri dei venditori sarebbero sempre sulla curvadi offerta, ma questa corrisponderebbe ai costi marginali dei venditori solo se questi sonoconcorrenziali; noi abbiamo scelto invece di identificare l'offerta con i costi marginali deivenditori, che corrisponde agli equilibri prezzo-vendite solo se i venditori sonoconcorrenziali. La definizione in tal senso (2.b.3) poteva sembrare inutilmente complicata;vediamo adesso che non lo è.

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2.d.7. gli interventi correttiviSi nota che una tassa o un sussidio unitari spostano la quantità di equilibrio come in

regime concorrenziale. Si può pertanto ristabilire l'equilibrio efficiente sussidiando gliscambi, come nella Figura 2.d.7.1. Questo aumenta notevolmente la rendita del monopolista(che diventa quella del regime di concorrenza più l'intero sussidio 4 �3Y� �� 3F�; ma questosussidio si può confiscare con una tassa che non incide sulle curve marginali (ad esempio,dunque, obbligando il venditore ad acquistare dallo stato una "licenza a vendere").

Vi è ovviamente anche in questo caso la soluzione più semplice, che consistesemplicemente nell'imporre per legge il prezzo di equilibrio concorrenziale: con questoespediente infatti il venditore perde il suo potere di mercato, e al prezzo di concorrenza vendela quantità di concorrenza.

Anche in questo caso, però, sorgono come vedremo difficoltà pratiche, per problemisia di informazione (rimane ignota la curva di offerta), sia di eterogeneità del bene cui siriferisce il prezzo: bloccato il prezzo, infatti, si incentiva il risparmio sui costi a scapito dellaqualità, molto meno facilmente misurabile che non il prezzo per unità di peso o la semplicequantità.

2.e. l'equilibrio di monopolio discriminante

2.e.1. definizioneNella teoria del valore LO� SRWHUH� GL� �GLVFULPLQDUH�� q� LO� SRWHUH� GL� SUDWLFDUH� SUH]]L

GLYHUVL� LQ� PHUFDWL� RSSRUWXQDPHQWH� VHJPHQWDWL. La "segmentazione" consistenell'impossibilità di scambio tra le diverse controparti del monopolista discriminante, ed èdunque essenziale; se non ci fosse, ad esempio, la controparte più favorita farebbe gli acquistio le vendite per tutti gli altri. La discriminazione è dunque difficile nella fornitura di merci,che si prestano facilmente agli scambi molteplici; è facile invece nella fornitura dei servizi(da cui la complicazione delle tariffe aeree, che segmentano appunto il mercato separando iclienti in varie categorie in funzione del prezzo di domanda).

L'equilibrio nei singoli mercati rimane comunque quello di monopolio, come sopra,con la cattura del "rettangolo fiscale", la perdita netta di benessere rispetto all'equilibrioconcorrenziale, e via di seguito.

Le cose cambiano, e diventano interessanti (almeno a livello teorico), nel caso delpotere di mercato detto di �GLVFULPLQD]LRQH� SHUIHWWD�. In questo caso il monopolista puòimporre XQ� SUH]]R� GLYHUVR� SHU� RJQL� XQLWj� VFDPELDWD (o come vedremo equivalentementespecificare contemporaneamente il prezzo e la quantità, a SUHQGHUH� R� ODVFLDUH). Diconseguenza tale monopolista, conoscendo i pezzi di domanda o di offerta dell controparte,SXz�FDWWXUDUH�WXWWL� L�EHQHILFL�JHQHUDWL�GDOOR�VFDPELR--ragion per cui ha interesse a generarlitutti, e dal punto di vista dell'efficienza (anche se non della distribuzione della rendita,catturata appunto tutta dal monopolista) l'equilibrio assomiglia a quello concorrenziale.

2.e.2. l'equilibrio di discriminazione imperfettaSi consideri il grafico superiore della Figura 2.e.2.1, che illustra una situazione

abbastanza comune. Il venditore è l'unico nazionale, ma uno dei tanti del mondo. La suacurva di offerta è 6, mentre ' è la domanda interna (e 0 è la curva ad essa marginale); ilprezzo mondiale, al quale può vendere all'estero qualsiasi quantità, è 3H.

Notiamo che in regime di libera importazione i consumatori nazionali possono ancheimportare a 3H, per cui questa retta orizzontale diventa la domanda netta per il nostro

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produttore (che è dunque privo di potere di mercato). Immaginiamo dunque, per dargli talepotere, che un governo compiacente vieti la importazione del bene che produce.

A questo punto la domanda netta per il nostro diventa la spezzata $%&��� Se costuinon discrimina, ma pratica un unico prezzo, cerca l'incrocio tra i suoi costi marginali (6) e isuoi benefici marginali, che sono appunto la curva marginale alla sua curva di domanda netta,ossia il segmento $) (marginale alla domanda fino al punto %) e poi la semi-retta %&���(marginale a se stessa, in quanto a pendenza zero). Il punto di equilibrio è dato da &: vende4& al prezzo 3H (ossia essendo comunque concorrenziale al margine, col vincolo del prezzounico rimane concorrenziale). A quel prezzo unico vende 4% unità sul mercato interno, e ilresto all'estero.

Così facendo, però, non massimizza il suo beneficio. Sul mercato estero, infatti, ilbeneficio marginale è 3H, ma sul mercato interno è solo 0%; se a parità di vendite complessivesposta un'unità dal mercato interno a quello estero, lucra �3H� ��0%�. Questo discorso valeovviamente fintanto che non sono uguali i due benefici marginali.

,Q� JHQHUDOH�� LQIDWWL�� OD� FRQGL]LRQH� GHOORWWLPR� SHU� XQ� RSHUDWRUH� q� OXJXDJOLDQ]DPDUJLQDOH�D�WXWWL�L�PDUJLQL�GHO�FDVR���0%�� �0%�� ����� �0%Q� �0&�� �0&�� ����� �0&Q

�WXWWL�ULIHULWL�DOOR�VWHVVR�RSHUDWRUH��Nel caso, il suo ottimo si ottiene con l'uguaglianza dei due benefici marginali, ossia,

riportando quello delle vendite all'interno a 3H. L'equilibrio sul mercato interno è dunquedefinito dal punto ,, e quello complessivo sempre da &; vende pertanto solo 4, all'interno, alprezzo 3L, e il resto all'estero a 3H. Col prezzo unico, il beneficio lordo era 3H4&;discriminando, diventa (a parità di vendite e di costi complessivi) 3H4&����3L���3H�4,.

In sostanza, senza discriminazione il venditore considera unico il mercato, e dunquedecide quanto vendere usando la marginale alla somma delle domande; il beneficio lordo èdunque l'area sotto $)%&, uguale a 3H4&. Discriminando separa i mercati, e dunque decidequanto vendere usando la somma delle marginali (invece che la marginale della somma); ilbeneficio lordo è dunque l'area sotto $,&, e il guadagno dalla discriminazione è precisamenteil triangolo ,%), uguale a �3L���3H�4,.

Il grafico inferiore della Figura 2.e.2.1 illustra il caso più generale, in cui ambedue ledomande separabili hanno pendenza non-zero. Anche in questo caso con la discriminazionesi passa da prezzi uguali e benefici marginali diversi a prezzi diversi e benefici marginaliuguali, e si guadagna il triangolo che è la differenza fra l'area sotto la somma delle curvemarginali alle domande e l'area sotto la curva marginale alla somma delle domande.

Il monopolio discriminante del compratore è ovviamente il caso simmetrico, chelasciamo al lettore.

2.e.3. l'equilibrio di discriminazione perfetta da parte del compratoreIl compratore perfettamente discriminante è ad esempio l'unico datore di lavoro della

zona, che può assumere ogni lavoratore ad un prezzo diverso; conoscendone i prezzi diofferta, paga ovviamente solo questi. La curva di offerta che ha di fronte è dunque quellagenerata dai lavoratori, ordinati appunto per prezzo di offerta, incominciando dal più basso.

L'equilibrio corrispondente è illustrato dalla Figura 2.e.3.1.Il costo marginale per il compratore è 0&F� �3P, ossia il prezzo effettivamente pagato

per l'unità marginale (senza incidere sui prezzi pagati per le unità inframarginali); tale curvadei prezzi è dunque per il compratore anche la curva dei costi marginali (alla quale èovviamente associata una curva dei costi medi, che però non ha particolare interesse).

Per tale individuo, dunque, l'equilibrio che equipara beneficio e costo marginaliequipara il valore marginale psichico monetizzato del bene al prezzo che ne è il costomarginale: 0%F� �0&F� �3P.

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L'equilibrio fra quantità acquistata e prezzo marginale (massimo) si trova pertantosulla curva dei valori marginali psichici monetizzati, ossia sulla curva di domanda, ma per leunità inframarginali i prezzi di domanda eccedono i prezzi di mercato. Comprando ilcompratore tutte le unità inframarginali a prezzi di mercato inferiori ai prezzi di domanda,gode anche qui di una rendita, che è appunto tutta quella generata dallo scambio. L'equilibrioè pertanto efficiente come quello concorrenziale, ma se ne differenzia per la distribuzionediversa della rendita.

Qualora il monopolista avesse di fronte una curva di offerta generata da un singoloindividuo che ne subisce il potere, otterrebbe lo stesso risultato offrendo un dato prezzo peruna data quantità (quella appunto che genera tutta la rendita), per cui la controparte non puòscegliere la quantità in base al prezzo, ma solo prendere o lasciare (Figura 2.e.3.2). A voleressere precisi, e come vedremo meglio in seguito, in questo caso la curva di offerta nonrimane quella del mercato concorrenziale se la valutazione monetaria del costo psichicocambia perchè il venditore è impoverito dalla confisca della rendita.

2.e.4. l'equilibrio di discriminazione perfetta da parte del venditoreQuesto caso è ovviamente speculare al precedente.Il venditore perfettamente discriminante è ad esempio il chirurgo, che può far pagare

prezzi diversi a ogni paziente: io non posso ovviamente mandare te al posto mio, anche se tupagheresti di meno. Conoscendo il chirurgo i prezzi di domanda dei diversi pazienti, esigeovviamente esattamente questi (da cui la nota conversazione fra chirurghi: "Per cosa haioperato quel paziente?" "Per quaranta milioni." "Ma che aveva?" "Quaranta milioni."). Lacurva di domanda che ha di fronte è dunque quella generata dai pazienti, ordinati appunto perprezzo di domanda, incominciando dal più alto.

L'equilibrio corrispondente è illustrato dalla Figura 2.e.4.1.Il beneficio marginale per il venditore è 0%Y� � 3P, ossia il prezzo effettivamente

ottenuto per l'unità marginale (senza incidere sui prezzi ottenuti per le unità inframarginali);tale curva dei prezzi è dunque per il venditore anche la curva dei benefici marginali (allaquale è ovviamente associata una curva dei benefici medi, che però non ha particolareinteresse).

Per tale individuo, dunque, l'equilibrio che equipara beneficio e costo marginaliequipara il costo marginale psichico monetizzato del bene al prezzo che ne è il beneficiomarginale: 3P� �0%Y� �0&Y.

L'equilibrio fra quantità venduta e prezzo marginale (minimo) si trova pertanto sullacurva dei valori marginali psichici monetizzati, ossia sulla curva di offerta, ma per le unitàinframarginali i prezzi di mercato eccedono i prezzi di offerta. Vendendo il venditore tutte leunità inframarginali a prezzi di mercato superiori ai prezzi di offerta, gode anche qui di unarendita, che è appunto tutta quella generata dallo scambio. L'equilibrio è pertanto efficientecome quello concorrenziale, ma se ne differenzia per la distribuzione diversa della rendita.

Qualora il monopolista avesse di fronte una curva di domanda generata da un singoloindividuo che ne subisce il potere, otterrebbe lo stesso risultato chiedendo un dato prezzo peruna data quantità (quella che genera tutta la rendita), per cui la controparte non può sceglierela quantità in base al prezzo, ma solo prendere o lasciare (Figura 2.e.4.2). Anche qui, a voleressere precisi, la curva di domanda non rimane quella del mercato concorrenziale se lavalutazione monetaria del costo psichico cambia perchè il compratore è impoverito dallaconfisca della rendita. Questo è facilmente intuibile: nel caso limite in cui spenderei tutto ilmio reddito per il bene in esame, la mia curva di domanda concorrenziale è iperbolica (infattila quantità che compro è una costante, divisa dal prezzo); ma è chiaro che se rimango senzasoldi avendo comprato una certa quantità il mio prezzo di domanda per un'altra unità è

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semplicemente zero.

2.e.5. l’equilibrio di monopolio bilateraleIn questo caso, nessuno si comporta in modo concorrenziale: il venditore QRQ è

vincolato dalla curva di domanda, nè il compratore dalla curva di offerta. Contrariamente haquanto potrebbe sembrare (anche a tanti autori di testi di economia!), dunque, l'equilibrio dimonopolio semplice dell'uno o dell'altro è assolutamente irrilevante.

Se il negoziato continua fintanto che si possono fare proposte accettabili da ambo leparti, la quantità e i prezzi limite sono quelli che corrispondono ai due equilibri di monopolioperfettamente discriminante: ossia, si presume che tutta la rendita venga generata, e chevenga o divisa o ai limiti assorbita interamente dall'uno o dall'altro (Figura 2.e.5.1).

2.e.6. l'equilibrio di monopolio semplice sequenzialeNotiamo a questo punto che se lo stesso monopolista semplice può ripetere

l'operazione fintanto che vi sono accordi raggiungibili, anche qui per definizione si generatutta la rendita.

I beni vengono infatti venduti (acquistati) a prezzi progressivamente ridotti(maggiorati), per cui si tratta in pratica di una forma particolare di discriminazionesequenziale (Figura 2.e.6.1). Peraltro questa soluzione è abbastanza artificiale, perchèpresume che l'operatore concorrenziale non si accorga mai che il prezzo cala continuamente,e reagisce ad ogni prezzo come se fosse l'ultimo; se si vuol è proprio perchè la contropartenon è così tonta che il monopolista semplice si ferma all'equilibrio iniziale anche seteoricamente ci sarebbe spazio per uno scambio ulteriore.

2.f. considerazioni sulla domanda e sull'offerta

2.f.1. il rapporto tra domanda e offerta in generaleNell'ottica comune, l'offerta si oppone alla domanda: si pensa a chi offre come chi ha

beni e vuole danaro, a chi domanda come chi ha danaro e vuole beni. A ben pensarci, però, ildanaro è solo [?] uno strumento di scambio; a monte della domanda c'è l'offerta, a montedell'offerta la domanda: anzi, l'offerta è domanda, la domanda è offerta.

Di base, però, il movente è sempre il desiderio di consumare, non di togliersi: comeavevano capito i marginalisti, il fondamento dello scambio, e dunque della valutazione, è ladomanda.

2.f.2. domanda e offerta nel singolo mercatoQueste considerazioni sono trattate naturalmente in un contesto di equilibrio generale;

ma l'identità di fondo tra domanda e offerta si può osservare anche al livello del singolomercato, postulando un individuo con una data curva di domanda e una data disponibilità delbene in questione (l'esempio ovvio è il contadino che ha prodotto una certa quantità di vino,poniamo, e deve decidere quanto vino consumare).

Nella Figura 2.f.2.1 questa disponibilità 4R corrisponde ovviamente al consumo diequilibrio (concorrenziale) 4H per un certo prezzo 3R. Se 3���3R, 4H�!�4R; se invece 3�!�3R,allora 4H���4R. Nel primo caso, l'individuo acquista una quantità [aggiuntiva] 4F� �4H���4R;nel secondo, invece, vende 4Y� �4R���4H, dal che è ovvio che la curva di offerta altro non èche [l'immagine speculare de] la curva di domanda per 3�!�3R.

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2.f.3. efficienza e redistribuzioneRiassumendo quanto sopra, si nota che GDWH� OD� GRPDQGD� H� ORIIHUWD� YL� VRQR� YDUL

HTXLOLEUL� SRVVLELOL�� D� VHFRQGD� GHOOD� VWUXWWXUD� GHO� PHUFDWR, come aveva sottolineato a suotempo Chamberlin.

Tralasciando il monopolio perfettamente discriminante e il monopolio semplicesequenziale, che sono più che altro una curiosità teorica, notiamo che VRQR�WHQGHQ]LDOPHQWHHIILFLHQWL��RVVLD�JHQHUDQR�WXWWD�OD�UHQGLWD��JOL�HTXLOLEUL�GHL�PHUFDWL��OLEHUL���VRQR�LQYHFHLQHIILFLHQWL�TXHOOL�GHL�PHUFDWL�JUDYDWL�GDO�SRWHUH�SULYDWR��PRQRSROLR��R�SXEEOLFR��WDVVH�� Ritroviamo qui la "mano invisibile" di Smith, nel senso che in regime di concorrenzal'individuo è portato a comportarsi in modo socialmente utile.

La rendita ottenuta, ossia il beneficio netto ottenuto dallo scambio, aumenta con ilpotere di mercato relativo (da zero per chi ha di fronte un potere illimitato al massimo per chidispone di tale potere con di fronte un imbelle). ,O�EHQHVVHUH�LQGLYLGXDOH�GLSHQGH�GXQTXHDQFKH�GDO�SRWHUH��UHODWLYR��GL�PHUFDWR� Non a caso la redistribuzione viene operata anche eforse principalmente tramite la distribuzione del potere di mercato: ovviamente per motivipolitici, chè un sussidio esplicito è una voce in bilancio che fa parlare di se ogni volta che sirifà il bilancio, mentre la distribuzione del potere di mercato è una legge di cui si parla soloquando si fa...

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3. L’EQUILIBRIO GENERALE: L’INDIVIDUO IN UN SISTEMA DI MERCATI

3.a. l’analisi dell’equilibrio

3.a.1. vincoli e obiettiviCome già indicato, l'analisi delle scelte che è il fondamento della microeconomia

viene formalizzata come una ottimizzazione vincolata, ottimizzazione che implical'uguaglianza tra tassi di sostituzione marginali (nella funzione obiettivo e nel vincolo). Percapire l'equilibrio complessivo (generale) di un operatore economico bisogna pertantospecificarne la funzione obiettivo e i vincoli.

L'RELHWWLYR del singolo viene identificato con la PDVVLPL]]D]LRQH� GHOOXWLOLWj. Aseconda del livello di analisi, invece, il YLQFROR di fondo può essere identificato con unadisponibilità ("dotazione") di reddito monetario, di beni, di tempo...; gli stessi mercatitrasformano poi questi vincoli fondamentali in una JDPPD�GL�RS]LRQL (il vincolo decisionale),in un modo che varia a seconda della struttura del mercato.

3.a.2. la funzione obiettivo: problemi di metodoLa massimizzazione dell'utilità è discussa e poco compresa.Molti la prendono alla lettera: i non economisti spesso attribuiscono all'economia il

postulato di un KRPR� HFRQRPLFXV "razionale", per poi negarne l'esistenza (sempre, o inpassato: vedi la scuola di Polanyi); anche Sen ha scritto che bisogna superare il postulatodella massimizzazione dell'utilità.

Questa concezione sembra però errata, a due livelli. Primo, nella misura in cui lafunzione di utilità non è vincolata, "massimizzare l'utilità" significa solo fare ciò che si vuole: eventuali restrizioni e ipotesi comportamentali compaiono solo nella specificazione dellafunzione di utilità, e non nel principio della sua massimizzazione.

Secondo, a livello di metodologia scientifica, il modello da scegliere è sempre quellominimalmente complesso (rasoio di Occam). Anche il postulato (secondario) che l'utilità siasolo funzione del consumo di beni materiali è pertanto giustificato quando basta per capireciò che si vuole capire (ad es. il comportamento dei mercati), così come il modello di unastrofisico può ridurre la Terra ad un punto nello spazio: è un astrazione, scelta in quantosufficiente per risolvere il problema in esame, e non una rappresentazione esauriente dellarealtà alla quale si crede.

Il punto metodologico fondamentale, lo ricordiamo, è che il modello di spiegazionenon è unico ("quello vero"), ma funzionale (che prendiamo per "vero" nella misura in cui perampliarne la portata empirica basta complicarlo in modo esteticamente "naturale"). Sonoaltrettanto "vere", ad esempio, due cartine diverse dell'Italia, una colorata per distinguere irilievi, l'altra con ogni regione colorata a tinta unita: ognuna infatti tralascia ciò che esiste manon interessa.

3.a.3. la funzione obiettivo: rappresentazione analiticaPer mettere a fuoco il problema della scelta vincolata, basta considerare un operatore

di fronte a due "beni-obiettivo", ossia due beni che sono entrambi argomenti della funzioneobiettivo. Possiamo dunque postulare 8� �8�;�<�, con derivate positive, generalizzabile a Qbeni-obiettivo.

Graficamente, si segue la convenzione cartografica, in cui la terza dimensione(l'altezza nelle piantine, l'utilità nel caso nostro) viene proiettata sul piano definito dalle altredue con curve di livello (iso-altezza, iso-utilità), come nella Figura 3.a.3.1. Essendo l'unicocriterio l'utilità, tra le combinazioni di ; e < che comportano la VWHVVD� XWLOLWj l'individuo è

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LQGLIIHUHQWH; le curve di iso-utilità sono pertanto note appunto come FXUYH�GLQGLIIHUHQ]D.L'obiettivo è la massimizzazione di 8, ossia il raggiungimento del livello di utilità

(graficamente, la curva di indifferenza o isoutilità) più alto possibile. Come ha notato Pareto,questa massimizzazione in termini di beni è invariante a qualsiasi trasformazione monotonicadi 8 (ossia qualsiasi trasformazione che conservi la graduatoria tra le varie combinazionipossibili, e dunque lasci invariate le curve d'indifferenza); nulla dipende dagli scarti di utilitàtra più preferito e meno preferito, per cui basta una misura RUGLQDOH dell'utilità.

La funzione di utilità si assume FRPSOHWD (ossia senza buchi), GLIIHUHQ]LDELOH (ossiacon curve d'indifferenza senza spigoli), WUDQVLWLYD (ossia non incoerente, come vedremoappresso), VHQ]D� VD]LHWj (ossia si escludono G8�G;� �� � e G8�G<� �� � per qualsiasicombinazione di ; e <), e FRQYHVVD (ossia con curve d'indifferenza a pendenza non crescenteverso destra). La collina descritta dalle nostre curve di iso-altezza è insomma regolare,tondeggiante, e sempre in salita tra nord e est, come appunto nella Figura.

La non sazietà si ricollega alla logica dei paragoni paretiani: significa infatti che se unpacchetto �;�<� ne domina un altro in senso paretiano, ossia contiene più di un bene e nonmeno dell'altro (per cui nel grafico nel quadrante a nord-est del pacchetto dominato), ad essosi associa un'utilità maggiore (o come minimo non minore). Nella realtà, ovviamente, ciò nonè vero: se non smetto di mangiare a un certo punto sto peggio. Per giustificare comunquel'ipotesi della non sazietà gli economisti l'appoggiano spesso all'ipotesi dello "smaltimentogratuito" ("free disposal"), per cui se possiedo più cibo ma non sono obbligato a mangiarlonon posso stare peggio, anche se posso essere sazio e non stare meglio. In tal caso la miacurva di indifferenza definita sui beni a mia disposizione, consumabili ma nonnecessariamente consumati, è al limite parallela agli assi; l'eventuale angolo acuto conpendenze positive definito sul consumo effettivo (di zucchero e caffè, per esempio) si riporta,con lo smaltimento gratuito, all'angolo retto dei paragoni paretiani. Lo smaltimento gratuitonon è però più credibile della non sazietà: non solo sto peggio se continuo a mangiare gelato,ma chi me ne scaricasse una tonnellata in cucina mi farebbe un grosso dispetto.

Di fatto, è essenziale all'equilibrio solo la transitività: infatti se l'individuo preferisce$ a %, % a &, e & a $, diventa incapace di scegliere. La transitività è una caratteristicacomune, ma non universale: vale per esempio per le grandezze (se Tizio pesa più di Caio, eCaio più di Sempronio, Tizio pesa più di Sempronio), ma non per l'agonismo sportivo (laLazio batte il Milan, il Milan batte la Juve, ma la Juve batte la Lazio). La morra cinese è ungioco senza strategie vincenti proprio perchè intransitivo: la carta copre il sasso, il sassospunta la forbice, la forbice taglia la carta.

Le altre caratteristiche attribuite alla funzione di utilità servono piuttosto comevedremo a ottenere equilibri pedagogicamente illuminanti: precisi, e sensibili a qualsiasimutamento del vincolo. Tutto qui: se il consumatore solo davanti a una tavola imbandita aun certo punto smette di mangiare, o mangia solo dolci, non crolla la microeconomia.

Per qualsiasi punto del grafico, dunque, passa una curva d'indifferenza convessa, conpendenza negativa. Questa pendenza è il WDVVR�PDUJLQDOH�GL�VRVWLWX]LRQH tra ; e < lungo lacurva d'indifferenza (706R, dove "o" indica "obiettivo"), e corrisponde al rapporto tra leutilità marginali (08;� �G8�G;): infatti G8� �08;G;���08<G<, per cui se G8� ��, allora ��G<�G;�� �706R� �08;�08<.

La dimensione di 08;, si badi bene, è "unità di utilità per unità di ;", e il suo valorerimane ignoto in quanto dipende dalla specificazione esatta (cardinale) di 8. La dimensionedi 08;�08<, invece, è "unità di < per unità di ;": le "unità di utilità" al numeratore e aldenominatore infatti si elidono. Il 706R pertanto non dipende dalla specificazione cardinaledi 8, per cui possiamo (e secondo la regola di Occam dobbiamo) fermarci al livello ordinale--a meno ovviamente di voler considerare problemi diversi, per i quali la forma cardinale

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diventa invece rilevante.La Figura 3.a.3.2 ripropone la collina dell'utilità, nel piano ;�<, e di nuovo nel piano

8�; per <� �< . Il significato dell'ordinalità è che l'asse 8 è elastico: possiamo allungarlo ocomprimerlo, modificando l'altezza della collina, senza nulla cambiare alla proiezione dellastessa sul piano ;�<, e dunque senza cambiare le curve d'indifferenza, i 706R, e gli equilibri.

Come è ovvio peraltro dalla Figura, "allugando" a sufficienza l'asse 8 la pendenza di8�;� può passare da calante a crescente, ossia con utilità marginali crescenti. L'analisiordinale non ha infatti bisogno di, e non implica, il "principio dell'utilità marginaledecrescente": è questo un principio a parte, che nasce dal presupposto ragionevole chequalsiasi bene viene usato prioritariamente dove è più utile. Notiamo però che questo stessopresupposto presuppone a sua volta che i diversi usi non interagiscano: se immaginiamo adesempio una terapia che rimane senza effetti se non raggiunge una certa intensità, ecco che ilbeneficio marginale può essere crescente.

Ritorneremo sul problema dei rendimenti crescenti nel contesto della produzione, chesi misura senza problemi. Nel contesto ordinale, peraltro, è la FRQYHVVLWj che coglie lasostanza intuitiva del principio dell'utilità marginale decrescente: lungo la curva diindifferenza (per cui G8� ��, e evitiamo di dover misurare G8), cambia il 706R (il rapportodelle utilità marginali) nel senso che il bene di cui è aumentato il consumo vale relativamentemeno in termini dell'altro bene, di cui il consumo si è ridotto.

3.a.4. il vincoloIl vincolo, come l'obiettivo, è funzione di ; e <; l'operatore può scegliere qualsiasi

punto sul vincolo, o all'interno di esso.Il vincolo si modella per ovvi motivi come un vincolo di spesa (5) per il consumo: 5

�5�;�<�; come vedremo tra breve tale vincolo può essere definito direttamente in danaro ("ilconsumatore"), o invece da una disponibilità di beni �;��<�� convertibili in danaro (il nostrocontadino che si ritrova con grano e vino), o anche, in un contesto più ampio, di tempoconvertibile in danaro, ovviamente lavorando.

Il vincolo di spesa non è l'unico concepibile. Si ricorda a Harvard che a questo puntodel corso il futuro Aga Khan alzò la mano per chiedere cosa succede se uno non ha vincolo dispesa; la risposta giusta è che diventa allora determinante il vincolo di tempo, 7� �7�;�<�. Normalmente, però, il vincolo di spesa è quello che determina effettivamente l'equilibrio; ed ècomunque quello che interessa una disciplina che studia i prezzi e gli scambi. All'internodel vincolo di spesa, pure, vi è un WDVVR�PDUJLQDOH�GL�VRVWLWX]LRQH �706Y�, al quale l'operatorepuò sostituire ; con <, e viceversa, a spesa costante. Se rinuncio a un'unità di ;, risparmio0&;; con tale risparmio 0&; il numero di unità aggiuntive di < che mi posso permettere è0&;�0&<, per cui 706Y� �0&;�0&<. Infatti G5� �0&;G;���0&<G<; se G5� ��, allora ��G<�G;�� �706Y� �0&;�0&<. La dimensione di 0&; è ovviamente "dollari per unità di ;";quella del 706Y è "unità di < per unità di ;", esattamente come il 706R, perchè i dollari qui sielidono come li si elidono le utilità.

3.a.5. l'equilibrioIl punto scelto, ossia l'equilibrio, corrisponde per definizione al punto accessibile

preferito a ogni altro punto accessibile.Geometricamente, VH� OH� IXQ]LRQL� VRQR� ORFDOPHQWH� GLIIHUHQ]LDELOL la scelta che

corrisponde al massimo dell'utilità permesso dal vincolo è caratterizzata da una tangenza travincolo e curva d'indifferenza. Se infatti il vincolo incrocia la curva d'indifferenza,spostandosi opportunamente lungo il vincolo si raggiunge una curva d'indifferenza più alta;pertanto ogniqualvolta vi è qualche differenza tra i tassi marginali di sostituzione

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nell'obiettivo e nel vincolo, vi è la possibilità di miglioramento (vedi il principio dei vantaggicomparati). Ne consegue che OHTXLOLEULR� GL�PDVVLPL]]D]LRQH� YLQFRODWD� q� FDUDWWHUL]]DWRGDOOXJXDJOLDQ]D�WUD�706�RELHWWLYR�H�706�YLQFROR��706R� �706Y��

Data la funzione obiettivo, dunque, l'equilibrio dipende dal vincolo, ossia dalledisponibilità iniziali (beni, danaro...) da un lato e dalle possibilità che offre il mercato (anchein funzione della sua struttura) dall'altro; variando il vincolo, o la funzione obiettivo, varial'equilibrio.

L'atteggiamento positivista della disciplina economica fa sì che l'economista applicatoscelga di spiegare le diversità (interlocali, intertemporali) fra gli equilibri in base a differenzedi vincoli, osservabili, e non a differenze di obiettivi (gusti) non osservabili. Il cambiamentoo la differenza di gusti è infatti per l'economista l'equivalente del miracolo per lo scienziatodella natura: è sempre possibile, può spiegare tutto ciò che non si capisce, ma proprio perquesto è una spiegazione sterile, che non aiuterà mai a capire di più.

Notiamo inoltre che l'economista assume che l'individuo fa sempre quello che vuole,per cui ogni scelta è quella voluta ("che massimizza l'utilità") nel momento in cui è fatta(atteggiamento peraltro condiviso dal psicanalista, che spiega al paziente perchè quello che hafatto è quello che realmente voleva fare...). Dati i vincoli, dunque, OHTXLOLEULR� ULYHOD� OHSUHIHUHQ]H: conoscendo il vincolo e la scelta dell'operatore, sappiamo che in quel punto lasua curva d'indifferenza ha la pendenza del vincolo; e variando sperimentalmente il vincolopossiamo teoricamente ricostruire tutta quella curva d'indifferenza, e come quella le altre.

Notiamo infine che questo principio che il comportamento è sempre razionale (nelsenso debole e convenzionale della parola) è universalmente accettato dagli economisti perquanto riguarda l'operatore consumatore. Non lo è invece per quanto riguarda l'operatorestato: posizione forse poco coerente, ma necessaria per giustificare la critica delle scelte dipolitica economica (e le consulenze per migliorarle). Se lo stato venisse trattato come ilsingolo, infatti, l'economista potrebbe solo studiare la politica come l'astronomo studia lestelle, per risalire ai gusti dei governanti, senza pensare di poter intervenire per migliorare lescelte che si assumono ottimali (e che possono dunque sembrare strane solo a chi non lecapisce).

A questo punto è ovvio il valore pedagogico della forma particolare della funzione diutilità: questa garantisce infatti un equilibrio interno, sensibile (in quanto tangenza) concontinuità a ogni mutamenti del vincolo. La Figura 3.a.5.1 illustra alcuni casi esclusi dainostri postulati. Nel primo grafico, l'individuo è sazio, per cui il vincolo di spesa diventaininfluente. Nel secondo, l'utilità è concava. Se il vincolo è meno concavo delle curve diutilità (come nel grafico, in cui il vincolo è una retta), il massimo si raggiunge dove il vincolotocca uno degli assi; una rotazione del vincolo intorno a quel punto potrebbe non mutarel'equilibrio, o spostarlo con un salto all'incrocio con l'altro asse. Nel terzo, l'utilità non èovunque differenziabile: le curve di indifferenza sono non vere curve, ma spezzate, Se ilvincolo è una retta, l'equilibrio sarà ad uno spigolo (che può essere su uno degli assi);ruotando il vincolo intorno a quello spigolo l'equilibrio rimane immutato, o salta ad un altrospigolo.

3.b. l'equilibrio dell'operatore concorrenziale

3.b.1. il vincolo e l'equilibrioL'operatore concorrenziale in quanto tale ha di fronte a se dei prezzi parametrici, sulla

base dei quali decide le quantità: 706Y è pertanto costante (il vincolo è una retta) e uguale alprezzo relativo dei due beni (706Y� �0&;�0&<� �3;�3<, dove 0& è il costo marginale per

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quell’operatore).In equilibrio, dunque, 08;�08<� �706R� �706Y� �3;�3<: la combinazione di ; e <

scelta dall’operatore in HTXLOLEULR�FRQFRUUHQ]LDOH è data dal punto di WDQJHQ]D�WUD�OD�FXUYDGL�LQGLIIHUHQ]D (pertanto la più alta raggiungibile) H�OD��UHWWD�GHL�SUH]]L� (Figura 3.b.1.1).

Questa condizione di equilibrio equivale ovviamente a 08;�3;� � 08<�3<, piùfacilmente intuibile. La dimensione di questi rapporti è (utilità per unità di ; o <)/(dollari perunità di ; o <), che si riduce a (utilità/dollaro): si massimizza insomma l'utilità uguagliandoil rendimento (l'utilità marginale) per unità di spesa a tutti i margini di spesa (;��<���). Questoè ovvio, in quanto se al margine l'utilità ottenuta per unità di spesa non è uguale da unmargine all'altro posso spostare un dollaro da dove rende di meno a dove rende di più, con unguadagno netto.

La stessa analisi vale anche per l'Aga Khan, solo che i prezzi sono misurati non indollari ma in unità di tempo (una partita a squash richiede mezz'ora, un concerto due ore...);l'allocazione ottimale del tempo richiede ovviamente un'uguale soddisfazione per unità ditempo a tutti i margini di attività.

3.b.2. l'operatore con disponibilità di danaro: l'equilibrio e i redditoImmaginiamo che l'operatore disponga direttamente di una somma di danaro (5).

Questa somma corrisponde alla spesa possibile; nella prassi (che seguiremo) si identifica conil reddito, che si presume interamente speso.

Il vincolo 5� �;3;���<3< ha come intercette sugli assi �5�3;� e �5�3<�. Il vincolo el'equilibrio rimangono ovviamente immutati se 5, 3; e 3< cambiano tutti nella stessaproporzione, lasciando pertanto immutati i loro rapporti. Si esprime così il concetto del"reddito reale", che corrisponde al SRWHUH�GDFTXLVWR: il benessere dipende da questo, e nondal "reddito nominale" in dollari, che vale di meno se i prezzi sono più alti.

Il vincolo si sposta invece conservando la pendenza se cambia 5 o se cambiano 3; e3< con �3;�3<� invariato, ossia se cambia il reddito reale a prezzi relativi invariati. NellaFigura 3.b.2.1 immaginiamo che 5 aumenti da 5� a 5�. L'equilibrio si sposta, cambiando iconsumi di ambedue i beni; G; e G<, dovuti a G5, si chiamano HIIHWWL�GL�UHGGLWR.

Da un equilibrio all'altro, cambiando solo il reddito, 706R� �706Y rimane immutato. Il luogo dei punti delle diverse curve d'indifferenza con quel 706R è dunque il luogo degliequilibri, dato quel 706Y (ossia quei prezzi relativi), se varia il reddito; tale luogo si chiama,con forma anglosassone, la FXUYD� UHGGLWR�FRQVXPR. Con prezzi relativi diversi, la curvareddito-consumo pure è diversa (Figura 3.b.2.2); comunque tutte le curve reddito-consumopartono dall'origine degli assi, per il semplice motivo che con reddito zero anche i consumisono zero.

Se cambiando il reddito, con prezzi invariati, il consumatore varia i suoi consumi,vuol dire che si spostano le curve di domanda. Il consumo del bene ; è dunque funzione delreddito oltre che del prezzo: ;� ��5��3;�. Questa relazione è tridimensionale, e dunque unacollina; la singola curva di domanda ne è uno spaccato bidimensionale, che varia dunque conla variabile esclusa (il reddito). Nella Figura 3.b.2.3, la curva di domanda è 3���;� con 5� 5�, e 3���;� con 5� �5�; essendo in questo caso la collina un piano inclinato, le curve didomanda sono lineari e a pendenza costante.

Variando il consumo con il reddito, a prezzi costanti, si può calcolare OHODVWLFLWj�DOUHGGLWR del consumo, ad esempio di ;: H5� � �G;�;���G5�5�. Nel caso normale, la curvareddito-consumo ha una pendenza positiva, per cui H5�!�� per ambedue i beni: il consumo diambedue aumenta con il reddito, e ambedue sono detti dunque beni "normali" o "superiori". Se invece la curva reddito-consumo ha una pendenza negativa, come nella Figura 3.b.2.4,l'elasticità al reddito è positiva per uno dei beni (<, nel grafico), e negativa per l'altro (;, nel

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grafico); il bene con l’HODVWLFLWj� DO� UHGGLWR� QHJDWLYD è detto un EHQH� LQIHULRUH. Siccome ilreddito che aumenta è sempre interamente speso, non tutti i beni possono essere inferiori: almeno uno deve essere superiore. Di esempi di beni inferiori il mondo è pieno: sono infattitali tutti i beni che consumiamo quando e perchè siamo poveri, e che smettiamo di consumarecome ci possiamo permettere di meglio. Un esempio ci viene dall'Europa settentrionale, doveuna volta il pane bianco, di grano, era il pane dei ricchi, e i poveri mangiavano il pane nero, disegala. Da questo esempio è ovvio che lo stesso bene può essere normale entro certi limiti direddito, e inferiore entro altri: infatti i poverissimi mangiavano pure pane di segala, ma inquantità ridotte, che aumentavano se e come potevano.

Interessa anche sapere se l'elasticità al reddito è superiore o inferiore a uno. Se per ilbene ; infatti ����H5����, come aumenta il reddito aumenta la spesa per ; (il consumo, aprezzo costante), ma diminuisce la quota di ; sulla spesa complessiva; con H5�!��, invece,tale quota aumenta. I beni con HODVWLFLWj� DO� UHGGLWR� EDVVD sono dunque i EHQL� GL� SULPDQHFHVVLWj, mentre i beni con HODVWLFLWj�DO�UHGGLWR�DOWD sono i EHQL�GL�OXVVR, e fra i due si trovaovviamente una fascia intermedia. Infatti i poveri spendono gran parte del loro reddito pernutrirsi, poco per coprirsi, e nulla per la barca; i medi spendono relativamente di meno pernutrirsi, di più per coprirsi, e forse ogni tanto affittano una barca; in proporzione al reddito iricchi spendono quasi niente per nutrirsi, forse quanto i medi per coprirsi, e una tombola permantenere la flotta da diporto.

Perchè "sale e tabacchi", e non "sale, tabacchi e visoni"? Sale, tabacchi, e visonihanno tutti una domanda con bassa elasticità al prezzo, per cui sono tutti e tre tassabili; ma ladomanda di sale e tabacchi ha anche un'elasticità bassa al reddito, mentre la domanda divisoni è altamente elastica al reddito. Ne consegue che le tasse sul sale e i tabacchi assorbonouna quota maggiore del reddito dei poveri che non dei ricchi, ossia sono WDVVH� UHJUHVVLYH,mentre una tassa sui visoni, beni di lusso, sarebbe stata WDVVH�SURJUHVVLYD.

Le curve che per i diversi tipi di beni legano la quota di spesa al reddito, come adesempio nella Figura 3.b.2.5, sono note come FXUYH�GL�(QJHO (da non confondere con Engelscollaboratore di Marx). Le quote sommano a uno; tutte le elasticità al reddito (o meglio allaspesa complessiva) possono essere unitarie, ma se tale elasticità è maggiore di uno per unbene deve essere minore di uno per almeno uno degli altri beni, e viceversa.

3.b.3. l'operatore con disponibilità di danaro: l'equilibrio e i prezziCambiando invece solo 3; con 5 e 3< invariati, il vincolo cambia pendenza ruotando

intorno all'intercetta del bene < con prezzo immutato. Nella Figura 3.b.3.1 immaginiamo che3; cali da 3;� a 3;�. L'equilibrio si sposta, cambiando i consumi di ambedue i beni; G; e G<,dovuti a G3 (nel caso, G3;), si chiamano HIIHWWL�GL�SUH]]R.

Da un equilibrio all'altro, cambiando solo 3;, rimane fermo 5�3< ma varia 706Y edunque 706R. Il luogo dei punti in cui 706R� �706Y, ossia di tangenza fra le diverse curved'indifferenza e i diversi vincoli con intercetta 5�3<, è dunque il luogo degli equilibri, datoquel reddito e quel prezzo di <, se varia il prezzo di ;; tale luogo si chiama, con formaanglosassone, una FXUYD� SUH]]R�FRQVXPR. Cambiando il reddito, ovviamente, l'intercettaverticale sarebbe diversa, e l'intera curva prezzo-consumo si sposterebbe (Figura 3.b.3.2).

Dati 5 e 3< e cambiando solo 3;, uno spostamento lungo la curva prezzo-consumocorrisponde ad uno spostamento lungo la FXUYD� GL� GRPDQGD per ;. Nella Figura 3.b.3.3,infatti, sotto il grafico della curva prezzo-consumo compare il grafico con lo stesso asseorizzontale, riferito appunto al consumo di ;, e sull'asse verticale i diversi prezzi di ;; illuogo di tali consumi di equilibrio per il compratore concorrenziale è ovviamente la sua curvadi domanda.

Notiamo pure il grafico in alto a sinistra, che porta sugli assi il prezzo e la quantità di

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<: rappresenta dunque lo spazio della curva di domanda per < (con una rotazione di novantagradi: basta girare il foglio in senso orario per ritrovarlo in forma "normale"). La curvaprezzo-consumo rivela che cambiando il prezzo di ;, cambia anche il consumo di <; esiccome il prezzo di < non è cambiato, LO�PXWDPHQWR�GHO�SUH]]R�GL�;�VSRVWD�OD�GRPDQGD�SHU<. Il consumo del bene < è dunque funzione, oltre che del reddito e del prezzo di <, anche delprezzo di ;: <� � �5�� 3<�� 3;�. Questa relazione è quadridimensionale, e dunque unaipercollina; la singola curva di domanda ne è uno spaccato bidimensionale, che varia dunquecon ambedue le variabili escluse (il reddito, il prezzo di ;). In generale, con Q beni, ilconsumo di ognuno di questi è una funzione a (Q + 2) dimensioni: ogni consumo è infattifunzione del reddito e di tutti i prezzi.

/HTXLOLEULR�HFRQRPLFR�q�XQ�HTXLOLEULR�JHQHUDOH�SURSULR�SHUFKq�JOL� HTXLOLEUL�GHLVLQJROL�PHUFDWL�VRQR�LQWHUGLSHQGHQWL� Lo vediamo qui per quanto riguarda il consumo, lovedremo poi per quanto riguarda la produzione. Il punto è fondamentale: chi non capiscel'economia come un sistema di equilibri interdipendenti non la capisce, e rimane "naïf". Immaginiamo una falda aquifera che rende comunicanti diversi laghi: il naïf che non necapisce le implicazioni pensa che se cala il livello dell'acqua del lago che ha davanti agliocchi la spiegazione pure deve essere davanti ai suoi occhi, e incolpa magari il ragazzino colsecchiello.

Variando poi il consumo di < con il prezzo di ; si può ovviamente calcolareOHODVWLFLWj�LQFURFLDWD, ossia �G<�<���G3;�3;�. Il vincolo di spesa vincola pure il rapporto tratale elasticità incrociata e l'elasticità della domanda di ; (l'elasticità "propria", ossia dellaquantità rispetto al proprio prezzo). Se, come nel grafico, la pendenza della curva prezzo-consumo è positiva, l'elasticità incrociata è negativa �G<�!����G3;�����, e l'elasticità propria èinferiore a uno: infatti se la spesa complessiva è costante ma calando 3; aumenta il consumodi <, e dunque dato 3< aumenta la spesa per <, allora diminuisce la spesa per ;, per cui ladomanda di ; è anelastica. Se la domanda di ; fosse invece elastica, calando 3;

aumenterebbe la spesa per ; e diminuirebbe dunque quella per <, per cui dato 3< cala ilconsumo di <; G<���� per G3;����, e l'elasticità incrociata è positiva. La pendenza negativa(zero, positiva) della linea prezzo-consumo corrisponde insomma a un'elasticità incrociatapositiva (zero, negativa) e propria superiore (uguale, inferiore) a uno.

Questi vincoli che vengono dalla spesa complessiva si applicano ovviamenteall'elasticità propria di un bene, da un lato, e l'elasticità incrociata del complesso degli altribeni, dall'altro: se 8� � 8�;�<�=�, rispetto a 3; potrebbero essere contemporaneamentesuperiore a uno l'elasticità della domanda di ; (per cui calando 3; la spesa per ; aumenta) enegativa l'elasticità incrociata di < (per cui aumenta pure la spesa per <), ma allora l'elasticitàincrociata di = sarebbe per forza fortemente positiva (per ridurre abbastanza la spesa per = damantenere costante la spesa complessiva).

Approfittiamo di questo esempio per ricordare che i modelli sono volutamentesemplici, ma diventano troppo semplici quando portano a conclusioni che dipendono propriodalla semplificazione, e si perdono se si arricchisce il modello: il modello delle scelte su duesoli beni è utilissimo, ma come tutti i modelli va usato con giudizio.

3.b.4. effetti di prezzo, di reddito, e di sostituzioneI mutamenti dei consumi dovuti al mutamento di un prezzo, tenendo fermo il reddito e

gli altri prezzi--ovvero le proiezioni sugli assi ; e < degli spostamenti lungo la curva prezzo-consumo--sono come abbiamo detto gli HIIHWWL�GL�SUH]]R. Per approfondirli, studieremo il casoin cui cala il prezzo di ;, per cui aumenta il potere di acquisto (il reddito reale) del nostroconsumatore; quanto diremo si applicherà ovviamente, mutatis mutandis, anche alleconseguenze di un aumento del prezzo di ;, e ai mutamenti del prezzo di <.

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Cala dunque il prezzo di ;, e il consumatore si sposta lungo la curva di prezzo-consumo, con due risultati: da un lato, raggiunge una curva d’indifferenza superiore;dall’altro, modifica il tasso di sostituzione interno (706R, il rapporto delle utilità marginali)per adeguarlo a quello esterno (706Y, il rapporto dei prezzi). Questi risultati sono ambedueinevitabili, il primo per la non-sazietà (di fronte all'allentamento del vincolo), il secondo perla differenziabilità.

Questi due aspetti sono utilmente considerati separatamente, come nella Figura3.b.4.1. Calando 3; il consumatore si sposta da � a �: 8 aumenta da 8� a 8�, il consumo di; passa da ;� a ;�, il consumo di < da <� a <�; �;����;�� e �<����<�� sono gli effetti di prezzo. Per isolare l'effetto corrispondente all'aumento di utilità, si immagina che questo avvenga aprezzi costanti, con un incremento di reddito, e dunque con uno spostamento lungo la curvareddito-consumo; per isolare l'effetto corrispondente al mutamento del tasso di sostituzione siimmagina che questo avvenga a utilità costante, e dunque con uno spostamento lungo la curvadi indifferenza.

Nella Figura, dunque, si costruisce il punto �, sulla curva di reddito-consumo chepassa per i punto � e la curva di indifferenza che passa per il punto �. Il punto � sarebbel'equilibrio su 8�, con un adeguato incremento di reddito, ai prezzi iniziali; ;� e <� sarebbero iconsumi corrispondenti, con 8� �8� come nel punto �. Il movimento dal punto � al punto �si decompone in un movimento dal punto � al punto �, "di reddito", e dal punto � al punto �,"di sostituzione".

Considerando le proiezioni sugli assi di questi movimenti, JOL� HIIHWWL� GL� SUH]]R� VLGHFRPSRQJRQR� LQ� HIIHWWL� GL� UHGGLWR� H� HIIHWWL� GL� VRVWLWX]LRQH. Nella Figura, l'effetto diprezzo �;����;�� si decompone nell'effetto di reddito �;����;�� e l'effetto di sostituzione �;���;��; l'effetto di prezzo �<�� �� <�� si decompone nell'effetto di reddito �<�� �� <�� e l'effetto disostituzione �<����<��.

Al posto del punto �, peraltro, si potrebbe costruire il punto �, sulla curva diindifferenza iniziale, e sulla curva di reddito-consumo corrispondente ai prezzi finali (ossiaquella che passa per il punto �: nel punto �, la pendenza di 8� è uguale alla pendenza di 8� alpunto �). Gli effetti di sostituzione diventano dunque le proiezioni dello spostamento dalpunto � al punto � invece che dal punto � al punto �, e gli effetti di reddito le proiezioni dellospostamento dal punto � al punto � invece che dal punto � al punto �. L'effetto di prezzorimane lo stesso, ma si decompone diversamente. Che si possano ottenere due risultatidiversi è fastidioso ma non grave; il problema è simile alla differenza percentuale tra 5 e 10,che è del 100 per cento per un verso e del 50 per cento per l'altro. Come in quel caso,peraltro, la differenza scompare per mutamenti infinitesimali.

Notiamo varie cose. Primo, nel caso illustrato dalla Figura l'effetto di reddito èpositivo per ambedue i beni: sono dunque ambedue "normali", ma potrebbero anche nonesserlo. Secondo, l'effetto di sostituzione è negativo per < ma positivo per ;; e questo nonpuò essere diversamente, visto che dipende dall'adeguamento del 706R al 706Y, e la funzionedi utilità è convessa e differenziabile. /HIIHWWR�GL�VRVWLWX]LRQH�q�VHPSUH�D�IDYRUH�GHO�EHQHFKH�GLYHQWD�UHODWLYDPHQWH�PHQR�FDUR�

Terzo, l'effetto di reddito dipende dalla pendenza della curva reddito-consumo (ossiadell'elasticità al reddito del bene in questione), e dall'aumento del reddito reale (ossia, per nonparlare di utilità, del divario tra la curva effettiva dei prezzi e quella ad essa parallela costruitaper localizzare il punto � o il punto �); e questo dipende ovviamente dal rapporto tra ilrisparmio a consumi immutati e il reddito complessivo, ossia da �G3;�3;� e �3;;�5�. Il miopotere d'acquisto aumenta infatti notevolmente se si dimezza il prezzo di un bene che assorbela metà della mia spesa, per cui i consumi che esaurivano il mio reddito adesso ne assorbonosolo i tre quarti; ma se si riduce del due per cento il prezzo di un bene che assorbe la metà

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della mia spesa, o se si dimezza il prezzo di un bene che assorbe il due per cento della miaspesa, il mio potere d’acquisto cambia di poco, chè i consumi che esaurivano il mio reddito neassorbono tuttora il novantanove per cento.

L'espressione algebrica della decomposizione dell'effetto di prezzo (per mutamentiinfinitesimali) è nota come OHTXD]LRQH�GL�6OXWVN\, che si può scrivere nella forma seguente:

�G;�G3;�� ��G;�G3;�XWLOLWj�FRVWDQWH���;�G;�G5�SUH]]L�FRVWDQWL

o anche, in termini di elasticità (sempre riferite a ;), moltiplicando ogni elementodell'equazione per �3;�;� e l'ultimo elemento per �5;�5;�,

H'� �H&����3;;�5�H5

dove H& è l'elasticità del consumo di ; al proprio prezzo per spostamenti lungo la curva diindifferenza.

Come abbiamo visto, �G;�G3;�XWLOLWj� FRVWDQWH è necessariamente negativo (se 3; cala,lungo la curva di indifferenza ; aumenta). Se ; è un bene normale, �G;�G5��!��; dunque �;�G;�G5�����, e siccome anche �G;�G3;�X�F�����, se cala il prezzo aumenta il consumo. Se ; èun bene inferiore, invece, la pendenza negativa "normale" della domanda richiede che l'effettodi sostituzione (positivo per G3;��� �) ecceda l'effetto di reddito (negativo per G3;��� �); equesto è molto probabile ma non assolutamente inevitabile. Se infatti il consumatore, povero,spende quasi tutto il suo reddito per un bene spiccatamente inferiore, calando il prezzo diquesto bene, l'effetto di reddito, forte e negativo, potrebbe eccedere l'effetto di sostituzione,necessariamente positivo. Alla riduzione del prezzo seguirebbe dunque una riduzione deiconsumi, per cui la curva di domanda avrebbe (localmente) una pendenza positiva (Figura3.b.4.2).

Questo caso anomalo è noto come il SDUDGRVVR�GL�*LIIHQ, dal nome dello studioso cheinterpretò così il mercato dei beni di prima necessità nei paesi poveri. L'idea di fondo èsemplice. Io povero del nord-Europa spendo tutto per comprarmi pane di segala, nero e duro,riuscendo giusto giusto a sfamarmi. Si dimezza il prezzo del pane di segala, per cui potreimangiarne il doppio; ma sono comunque sazio, per cui piuttosto che mangiare di più vogliomangiare meglio. Compro dunque anche pane bianco (da mangiare a sandwich tra due fettedi pane nero), e riduco in proporzione gli acquisti di pane nero.

In tutto ciò, comunque, il punto essenziale è che i mutamenti dei prezzi hanno siaeffetti di reddito, perchè mutano il potere di acquisto, sia effetti di sostituzione, perchèmutano i prezzi relativi. L'effetto di reddito è ovvio, e ben capito dal pubblico, che strillaogni volta che aumenta il prezzo della benzina; l'effetto di sostituzione è purtroppo più sottilee meno ovvio, e troppo spesso pubblico e politici non ne tengono conto. Eppure ODVHQVLELOLWj� GHOOH� VFHOWH� DL� PXWDPHQWL� GHL� SUH]]L� UHODWLYL�� FKH� FKLDPLDPR� OHIIHWWR� GLVRVWLWX]LRQH�� q� XQ� DVSHWWR� IRQGDPHQWDOH� H� XQLYHUVDOH� GHO� IXQ]LRQDPHQWR� GHL� PHUFDWL,anche perchè causa l'interdipendenza dei mercati anche in assenza di effetti di reddito; lovediamo qui per il consumo, lo vedremo poi per la produzione.

Non si può dunque sovrastimare l'importanza dell'effetto di sostituzione, e dei danniche fanno gli interventi che non ne tengono conto: far pagare la rimozione dei rifiutiingombranti incentiva la discarica abusiva, sussidiare i bambini delle donne sole incentiva leseparazioni, e via di seguito. Negli Stati Uniti, a ragion veduta, hanno deciso di non rendereobbligatorio sugli aerei il seggiolino per bebè, anche se potrebbe salvare la vita in caso diincidente: infatti il costo aggiuntivo avrebbe spostato dei viaggiatori dall'aereoall'automobile, mezzo meno sicuro, e al netto i morti sarebbero aumentati invece che

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diminuiti.Aggiungiamo che ogni punto del piano ;�< è un equilibrio possibile, in quanto per

quel punto passa una curva d'indifferenza con una data pendenza. Ne consegue che variandoa piacere l'intercetta e la pendenza del vincolo, ossia VIUXWWDQGR� LQGLSHQGHQWHPHQWH� L� GXHHIIHWWL�GL�UHGGLWR�H�GL�VRVWLWX]LRQH��VL�SRVVRQR�SRUWDUH�JOL�RSHUDWRUL�D�TXDOVLYRJOLD�HTXLOLEULR: la decomposizione degli effetti di prezzo è dunque alla base degli interventi di politicaeconomica.

3.b.5. sostituti e complementiNel linguaggio comune, e una volta tanto anche nel gergo degli economisti, si

distingono EHQL�VRVWLWXWL, ossia che VL�FRQVXPDQR�LQ�DOWHUQDWLYD, e EHQL�FRPSOHPHQWL, ossia cheVL�FRQVXPDQR�LQVLHPH: sono ad esempio sostituti il treno e l'automobile, sono complementil'automobile e la benzina. La distinzione è ovvia, ma per riportarla nel nostro modellobisogna procedere con cura, e specificare ciò che varia e ciò che rimane costante.

Se rimane costante la struttura dei prezzi, e varia il reddito, le variazioni dei consumirispecchiano le elasticità al reddito. La distinzione tra sostituti e complementi al variare delreddito si riallaccia dunque a quella tra beni superiori e inferiori: gli uni sono sostituti deglialtri, chè come aumenta il consumo dei primi si riduce quello dei secondi, mentre sono invececomplementari tra di loro sia gli uni che gli altri, di cui i consumi aumentano insieme, o siriducono insieme; e sono indipendenti, ossia nè sostituti nè complementi degli altri, i beni conelasticità al reddito zero, e consumo dunque invariato. Da questo punto di vista, però, anchetreni e automobili saranno complementi, se e perchè con un reddito più alto si viaggia di piùcon ambedue i mezzi; eppure è ovvio che per ogni viaggio rimangono mezzi alternativi,mentre l'uso dell'automobile implica l'uso congiunto della benzina.

Se invece si tiene costante il reddito, e varia la struttura dei prezzi, la distinzione trasostituti e complementi verte sul segno dell'elasticità incrociata: se cala il prezzo di ; edunque (escludendo i casi Giffen) aumenta il consumo di ;, il bene < è un sostituto di ; se ilconsumo di esso cala (elasticità incrociata positiva), un complemento se invece aumenta(elasticità incrociata negativa), e indipendente se non cambia (elasticità incrociata zero). Se siriduce il prezzo del treno, il consumatore farà in treno viaggi che altrimenti avrebbe fatto inautomobile, mentre se si riduce il prezzo della benzina farà un uso maggiore dell'automobile,e fin qui tutto bene; ma la riduzione del prezzo del treno ha anche un effetto di reddito, chepotrebbe portare a viaggiare di più anche in automobile. Anche in questo caso, dunque,possono essere complementi anche i mezzi che sono di fatto alternativi.

Il problema creato dagli effetti di reddito si può ovviamente aggirare definendosostituti e complementi in base al segno dell'elasticità incrociata al netto dell'effetto direddito, ossia lungo una curva d'indifferenza. Sorge però un problema diverso, chè se 8� 8�;�<� e la scelta è dunque tra due soli beni, tale elasticità incrociata non può essere negativa: se il consumatore si sposta lungo la curva di indifferenza fra ; e < perchè è calato il prezzodi ;, comprando più ;, compra per forza meno <, e i due beni sono necessariamente sostituti. Possiamo solo valutare il grado di sostituzione, che si ricollega alla grandezza dell'effetto disostituzione per un dato mutamento del 706: meno è incurvata la curva d'indifferenza,infatti, maggiore sarà lo spostamento necessario per ottenere un dato mutamento di pendenza.

Notiamo i casi limite. Se la curva d'indifferenza è una retta, i beni sono VRVWLWXWLSHUIHWWL, ossia indistinguibili dal punto di vista dell'uso, nelle proporzioni indicate dallapendenza costante della curva d'indifferenza. Per esempio, se l'affrancatura della posta è permultipli di mille lire, per il consumatore ogni francobollo da mille lire è sempre l'equivalentedi due da cinquecento. In tali casi, sono costanti sia il 706R che il 706Y, per cui l'equilibrio èindifferentemente lungo l'intero vincolo �706R� �706Y�, come appunto per i francobolli, o su

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uno degli assi (se i francobolli da cinquecento costassero quattrocento lire, il consumatorecomprerebbe solo quelli, come nel grafico superiore la Figura 3.b.5.1). Al limite opposto lacurva di indifferenza è ad angolo retto: i beni sono utili solo se consumati in una certaproporzione, la sostituzione possibile è nulla, e i beni sono ovviamente VWUHWWDPHQWHFRPSOHPHQWDUL (come nel grafico inferiore della Figura). In questo caso, si noti bene, i benisono complementi stretti se non sono affatto sostituti, e sostituti perfetti se non sono affattocomplementari (ossia non è mai preferito il consumo congiunto al consumo di uno solo);complementarietà e sostituibilità sono due modi di considerare un'unica cosa, come nel casodi un bicchiere che tanto più è pieno tanto meno è vuoto, e scompare il concetto diindipendenza.

Per recuperare il quadro più ricco bisogna considerare almeno tre beni: 8� �8�;�<�=�. In questo caso la curva di indifferenza è una superficie tridimensionale, e OHODVWLFLWjLQFURFLDWD�D�XWLOLWj�FRVWDQWH�SXz�HVVHUH�QHJDWLYD��]HUR��R�SRVLWLYD: se è negativa, i beni sonocomplementari (se cala il prezzo della benzina, si usa di più l'automobile al netto dell'effettodi reddito); se è positiva, sono sostituti (se cala il prezzo del treno, si usa di menol'automobile, al netto dell'effetto di reddito); e se è zero, sono indipendenti. In questo caso,dunque, complementarietà e sostituibilità corrispondono di nuovo a due cose diverse, e nelcaso dei beni indipendenti sono nulle sia l'una che l'altra: come nel caso di un foglio di carta,che se è bianco non è nè nero nè rosso.

Come sopra, però, il rapporto tra un bene e l'insieme degli altri non può essere che disostituzione: possono dunque essere complementi non tutti i beni ma al massimo tutti menouno, sostituti dell'ultimo, mentre tutti possono essere sostituti.

3.b.6. la curva prezzo-consumo e l'elasticità della domandaAbbiamo visto al punto 3.b.3 che la pendenza della curva prezzo-consumo, positiva,

zero, o negativa, corrisponde a un valore dell'elasticità ("propria") della domanda inferiore,uguale, o superiore a uno; e abbiamo visto al punto 2.c.2 che se la domanda è linearel'elasticità cala col calare del prezzo.

Consideriamo adesso l'intera curva prezzo-consumo, sempre per il bene ; dati 5 e 3<,come nel primo grafico della Figura 3.b.6.1. Variando 3;, il consumatore può sempreacquistare la stessa quantità massima di <, <0� �5�3<; il suo vincolo ruota pertanto intorno aquel punto ���<0�. Con prezzi positivi per ambedue i beni, la pendenza del vincolo ènecessariamente negativa; diventerebbe verticale per un prezzo infinito di ;, e orizzontale perun prezzo nullo di ;. Da (��<0�, dunque, il consumatore si può spostare solo verso il basso everso destra; lo stesso punto ���<0� è l'equilibrio per un prezzo infinito, o comunquesufficientemente alto, di <. Supponiamo poi che per ���<0� passi la curva di indifferenza 8�;siccome gli equilibri con consumi diversi da �;� �;0��<� ��� sono necessariamente preferiti aquesta combinazione, sempre possibile, la curva prezzo-consumo è necessariamente al disopra della curva 8�, tranne che allo stesso punto <0. Riassumendo, la curva prezzo-consumo parte da <0, e si trova interamente sopra a 8� e sotto a <0.

Notiamo che il prezzo massimo di ; al quale il consumatore compra la prima unità,3;0, corrisponde (dato 3<) alla pendenza di 8� al punto ���<0�; e che nelle vicinanze di quelpunto, ossia per prezzi vicini a quel massimo, la curva prezzo-consumo ha necessariamentependenza negativa. Ritroviamo il risultato già notato per le curve di domanda lineari: perprezzi alti e consumi bassi, la domanda è elastica. Ne vediamo adesso il motivo: perconsumi bassi l'effetto di reddito è poca cosa, e l'elasticità incrociata (per il complesso deglialtri beni) è positiva perchè dominata dall'effetto di sostituzione.

Se poi i beni sono abbastanza complementari, sia nel senso che sono ambeduesuperiori con elasticità al reddito simili (e dunque giocoforza prossime all'unità, nel qual caso

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limite le curve reddito-consumo sono rette che partono dal punto di origine degli assi), sia nelsenso che le curve d’indifferenza sono abbastanza convesse (per cui anche a prezzi moltobassi di ; il consumatore non consuma solo ;), allora abbassandosi a sufficienza il prezzo di; e aumentando dunque a sufficienza il consumo di ; e l’effetto di reddito positivo sulconsumo di <, quest'ultimo effetto domina l'elasticità incrociata: in tal caso, come nellaFigura 3.b.6.1, OD�FXUYD�SUH]]R�FRQVXPD�VL�DSSLDWWLVFH�H�SRL� ULVDOH. Per prezzi calanti di ;l'elasticità della domanda di ; è dunque inizialmente alta, poi unitaria (per 3;� � 3;�, nelgrafico), e poi inferiore a uno, appunto come la GRPDQGD�OLQHDUH. Quest'ultima è dunque unarappresentazione semplificata di una domanda dominata inizialmente dall'effetto disostituzione, come è inevitabile, ma poi dagli effetti di reddito. L'unica stranezza delladomanda interamente lineare è la limitazione del consumo anche a prezzo zero, che èpalesemente in violazione dell'ipotesi della non sazietà; a essere precisi la stranezza ènell'asimmetria che esige che le curve di indifferenza diventino parallele all'asse ; (da cui ilconsumo limitato anche a prezzo zero) ma non all'asse < (da cui il prezzo di domanda limitatoanche a consumo zero). Di fatto, dunque, per preferenze "normali" simmetriche e convesse,la domanda lineare è una buona approssimazione della curva di prezzo-consumo a forma di"U", tranne che per prezzi o consumi quasi nulli.

Il secondo grafico della Figura rappresenta appunto la domanda lineare per ;, conprezzo di domanda massimo 3;0, e elasticità unitaria a 3;�� ��3;0���: calando il prezzo da3;0 la spesa 3;; aumenta, è massima per 3;�, e poi ricala. La spesa residua è destinata alconsumo di <, per cui in ogni equilibrio <� ��5���3;;��3<; fermo restando il denominatore,calando 3; il numeratore dapprima cala e poi risale, con un minimo a 3;� �3;�; a quel prezzodi ; il consumo di < è dunque al minimo dato 5 e 3<. Nel primo grafico, tale consumominimo è indicato da <P. Il terzo grafico rappresenta invece la domanda per <, che si sposta,dato 5, come cambia 3;. La domanda '<0, la più a destra, corrisponde a un prezzo di ; pario superiore a 3;0; dato 3<, <� �<0� �5�3<. Calando 3;, '< si sposta verso sinistra, fino a '<�

per 3;� �3;�, nel qual caso <� �<P; calando ancora 3;, '< si risposta verso destra.Se invece come nella Figura 3.b.6.2 l'elasticità incrociata rimane sempre dominata

dall'effetto di sostituzione, o perchè i beni sono abbastanza sostitutivi, o perchè l'effetto direddito è forte per ; e debole per <, allora la curva prezzo-consumo non risale mai. Ladomanda di ; è dunque sempre elastica, almeno finchè l'operatore consuma anche <; se(come appunto nella Figura) a prezzi di ; abbastanza bassi consuma solo ;, la curva prezzo-consumo coincide allora con quell'asse, e con ;3;� �5 l'elasticità della domanda di ; è perforza pari a uno.

Riassumendo, dunque, OHODVWLFLWj� GHOOD� GRPDQGD� FUHVFH� FRQ� OH� SRVVLELOLWj� GLVRVWLWX]LRQH�H�JOL�HIIHWWL�GL�UHGGLWR�SURSUL. I beni a domanda anelastica sono dunque nonsolo senza sostituti, ma anche sazianti: il mio consumo di sale varia poco, sia con il suoprezzo, sia con il mio reddito.

Come la rendita, poi così pure l'elasticità della domanda varia con il livello diaggregazione considerato: è tipicamente elastica la domanda per ogni marca di sigarette, fortisostituti tra di loro, ma anelastica la domanda per le sigarette (e ancor più per i tabacchi) nelloro complesso.

A scanso di equivoci ricordiamo che la linearità della domanda è un'ipotesi utileperchè facilita i calcoli, così come può esserlo la linearità nei logaritmi, che corrisponde adun'elasticità costante: infatti se la domanda è data da �ORJ4�� � D� �� E�ORJ3� allora E� G�ORJ4��G�ORJ3�� ��G4�4���G3�3�. La linearità (nelle variabili o nei logaritmi) è tipicamenteaccettabile come DSSURVVLPD]LRQH�ORFDOH, ossia per calcoli su variazioni piccole; per calcolinon locali, come quelli riferiti alle rendite complessive dei compratori o dei venditori, lalinearità è tutt'altro che scontata, e l'elasticità può variare in modo anche discontinuo, proprio

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perchè possono comparire o scomparire sostituti a prezzi diversi.Consideriamo ad esempio la domanda di trasporti merci su strada ('V), ipotizzando

che la domanda di trasporti ('W) sia fortemente anelastica, ma che il trasporto su rotaia sia unsostituto perfetto disponibile al prezzo 3U. A prezzi bassi, inferiori a 3U, 'V coincide con 'W,ed è dunque anelastica; ma 'V diventa piatta, con elasticità infinita, al prezzo 3U (Figura3.b.6.3, grafico superiore). Tornando poi alla domanda per visoni ('Y), possiamo ipotizzareche sia anelastica a prezzi abbastanza alti per farne uno "status-symbol", mentre a prezzi bassitroverebbe un sostituto perfetto nella pelliccia di coniglio disponibile a prezzo 3F (Figura3.b.6.3, grafico inferiore). In ambedue i casi la domanda per il bene in esame è elasticaquando quel bene è uno di un insieme di beni funzionalemente simili (trasporti, pellicce senzastatus), e anelastica quando quel bene coincide con il complesso del caso (unico mezzo ditrasporto usato, unica pelliccia con status).

3.b.7. l'operatore con disponibilità di beniNel considerare l'effetto del cambiamento del prezzo di ; abbiamo immaginato finora

che l'operatore fosse dotato di un reddito monetario 5, e che il prezzo di < rimanesseimmutato; di conseguenza, variando 3; la retta dei prezzi ruota intorno al punto fisso dato da�5�3<�, che corrisponde alla quantità di < che l'operatore può consumare a qualsiasi prezzo di;.

Nulla cambia, nei grafici, se invece di definire tale punto fisso specificando 5 e 3< lodefiniamo specificando direttamente una disponibilità iniziale di ; e <, con ;R� ��� e <R� 5�3<; e nulla cambia se immaginiamo un'economia monetizzata, in cui l'operatore converte lasua intera dotazione in una somma di danaro 5� �3<<R con la quale può sempre ricomprare ladotazione iniziale, o un'HFRQRPLD�GL�EDUDWWR, in cui il prezzo relativo dei due beni è dato nondal rapporto dei due prezzi in moneta ma direttamente dalla UDJLRQH�GL�VFDPELR.

Per qualsiasi prezzo relativo, infatti, l'operatore sceglie le quantità di ; e di < chevuole consumare esattamente come prima. La differenza è solo nel racconto: invece di direche l'operatore decide quanto comprare dei due beni spendendo danaro dato, diciamo checonverte i suoi beni dati in danaro per poi decidere quanto comprare dei due beni spendendoquel danaro, oppure che decide quanto < scambiare con ; al tasso definito dal loro prezzorelativo. Partendo dal punto ���<R�, infatti, compra comunque ; vendendo, al netto, �<R���<�;la curva prezzo-consumo rappresenta nel contempo la domanda per ; e l'offerta di <, chesono appunto come si diceva due modi di vedere un'unica cosa.

Questo caso si può ovviamente generalizzare immaginando un punto fisso checorrisponda ad una dotazione iniziale con quantità positive di ambedue i beni, �;R�!����<R�!��, come nella Figura 3.b.7.1. Nel grafico superiore sono indicate solo tali dotazioni, e lacurva di indifferenza corrispondente, 8R.

Il vincolo dell'operatore è dato ovviamente dalla retta dei prezzi che passa per �;R�<R�,equivalente, in in un'economia monetizzata, alla somma di danaro 5� �3;;R� ��3<<R. Nelgrafico inferiore sono indicati tre vincoli possibili, numerati �������: le pendenze sono datedal prezzo relativo dei due beni, la posizione, lo ripetiamo, dal punto fisso che corrispondealla dotazione iniziale.

Il vincolo � è tangente a 8R nel punto �;R�<R�: l'equilibrio corrisponde alla stessadotazione iniziale, e il mercato non offre all'operatore nulla di utile, proprio perchè il 706Ynon è diverso dal 706R. Con il vincolo �, invece, ; vale relativamente poco, e <relativamente tanto; l'operatore si avvantaggia spostandosi lungo il vincolo fino a �;��<��,vendendo dunque �<R� �� <�� e comprando �;�� �� ;R�. Questo equilibrio si trova ovviamentesulla curva prezzo-consumo che nasce in �;R�<R� e si trova nello spazio a sud-est di tale puntoe sopra a 8R.

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Ma la curva prezzo-consumo non è tutta qui. Con il vincolo �, infatti, ; valerelativamente tanto, e < relativamente poco; l'operatore si avvantaggia spostandosi lungo ilvincolo fino a �;��<��, vendendo dunque �;R���;�� e comprando �<����<R�. Questo equilibrio sitrova ovviamente sulla curva prezzo-consumo che nasce in �;R�<R� e si trova nello spazio anord-ovest di tale punto e sopra a 8R. Ricordiamo il contadino che si presenta sul mercatocon il suo raccolto (2.f.2): in questo caso il contadino possiede, poniamo, grano e vino, peripotesi gli unici beni di consumo: compare a seconda dei prezzi relativi come venditore digrano e compratore di vino, o viceversa.

Va segnalato a questo punto un problema semantico. In inglese, "domanda" e"offerta" riferite alle curve nello spazio prezzo-quantità si chiamano "demand" e "supply". Lacurva prezzo-consumo nello spazio dei beni si chiama "price-consumption line", ma anche,nel contesto del baratto con disponibilità iniziali di beni, "offer curve": che si traduce purecon "curva di offerta", creando però in italiano una confusione fra "offer curve" e "supplycurve", confusione che si risolve appunto controllando le variabili sugli assi.

3.b.8. il baratto, l'elasticità della domanda e l'elasticità dell'offertaAbbiamo visto, al punto 3.b.6., che preferenze "normali" simmetriche e convesse

danno luogo a curve prezzo-consumo a "U" approssimabili (tranne che proprio accanto agliassi) con curve di domanda lineari. Se le curve di domanda lineari o quasi sono in questosenso "normali", e in un'economia di baratto la curva prezzo-consumo è una curva insieme didomanda e di offerta, si potrebbe pensare che sono simmetricamente "normali" le curve diofferta anch'esse lineari; ma non è così.

Nella Figura 3.b.8.1 rappresentiamo un operatore dotato di �;R� � ��� <R� !� ��, conpreferenze "normali" su ; e <, curva prezzo-consumo a "U" (grafico superiore), e domandalineare per ; (grafico centrale), come nella Figura 3.b.6.1; è diverso il grafico inferiore, cherappresenta non più la domanda per < del consumatore dotato di reddito, ma l'offerta("supply") di <, 6<.

Nel caso del consumatore dotato di reddito, il prezzo 3; che compare sull'asseverticale del grafico centrale ha dimensione "� (ceduti) per unità di ; (ricevuta)", e ilrettangolo di spesa 3;; (che calando il prezzo aumenta e poi ricala) ha dimensione �. Nelcontesto del baratto, il prezzo 3; è direttamente un prezzo relativo (la ragione di scambio),con dimensione "unità di < (cedute) per unità di ; (ricevuta)", per cui il rettangolo di spesa3;; ha dimensione "unità di <", e corrisponde appunto alla quantità complessiva di <venduta, ossia all'offerta di < a quel prezzo relativo (parametrico); e così pure il ricavo per lavendita di <, ossia 3<<, ha dimensione "unità di ; (ricevute) per unità di < (cedute), per unitàdi < (cedute)", ossia "unità di ;". Ne consegue che LQ�XQ�FRQWHVWR�GL�EDUDWWR�DOOD�VSHVD�SHUOD� TXDQWLWj� DFTXLVWDWD� FRUULVSRQGH� OD� TXDQWLWj� YHQGXWD�� DO� ULFDYR� SHU� OD� TXDQWLWjYHQGXWD�FRUULVSRQGH�OD�TXDQWLWj�DFTXLVWDWD�

Già dal grafico centrale, dunque, sappiamo che calando il prezzo relativo di ;, ossiaaumentando il prezzo relativo di < che è l'inverso di quello, data la domanda lineare per ; laspesa per ;, ossia la quantità venduta di <, aumenta e poi ricala: come nel grafico inferiore,dove i tre prezzi indicati sono gli stessi (invertiti) del grafico centrale. In questi grafici laspesa massima per ;, ossia la vendita massima di <, si ottiene per 3;� �3�; con prezzi più altio più bassi di ; si spende di meno, ossia con prezzi più bassi o più alti di < se ne vende dimeno.

Le stesse informazioni si trovano nel grafico superiore, dove le vendite di < simisurano da <R. Il consumo minimo <P, e dunque la vendita massima �<R���<P�, si ottiene conla retta dei prezzi 3�; l'operatore vende meno < non solo a prezzi di < più bassi (la retta 3�)ma anche a prezzi di < più alti (la retta 3�). Come la curva prezzo-consumo cambia

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direzione, da sud-est a nord-est, l'elasticità della domanda di ; passa da maggiore di uno aminore di uno, e l'elasticità dell'offerta di < passa da maggiore a minore di zero. Ne consegueche LQ�XQ�FRQWHVWR�GL�EDUDWWR�IUD�GXH�EHQL�QRUPDOL, superiori e poco sostituti, OH�FXUYH�GLGRPDQGD� VRQR� DSSURVVLPDWLYDPHQWH� OLQHDUL�� H� OH� FXUYH� GL� RIIHUWD� FRUULVSRQGHQWL� DSHQGHQ]D�LQL]LDOPHQWH�SRVLWLYD�PD�SRL�QHJDWLYD.

Notiamo pure che se la curva di domanda è lineare fino all'asse, e a quell'intercettacome sappiamo perfettamente elastica, la curva di offerta pure avrà un'intercetta con elasticitàinfinita, come nel grafico inferiore per 3<� � ��3�; l'elasticità dell'offerta sarà a sua voltaunitaria a un prezzo ovviamento intermedio tra quel prezzo, al quale iniziano le vendite, equello più alto al quale la quantità venduta à massima e l'elasticità dell'offerta pari dunque azero. Nel grafico, l'elasticità unitaria dell'offerta si verifica per 3<� ���3�.

Tutto ciò non è irrilevante, anche perchè il commercio nasce sempre come semplicebaratto. Nel caso particolare del commercio tra Europa e Africa precoloniale, per esempio, sinota un tendenza all'aumento continuo del prezzo pagato per gli schiavi (misurato nei benicontro i quali venivano scambiati), mentre da ogni singola zona costiera le esportazioni dischiavi prima esplodevano e poi calavano. Gli storici anche economici, pensando che lecurve di offerta "normali" sono sempre a pendenza positiva, ci vedono la prova che la trattaspopolava l'Africa; l'economista avveduto capisce che le correlazioni osservate si concilianopure con l'ipotesi molto meno drammatica che per gli Africani i beni importati e gli schiavierano ambedue superiori, e poco sostituti.

3.b.9. gli indici dei prezzi e il reddito realeL'inflazione è un aumento del livello generale dei prezzi, e dunque un concetto

prettamente macroeconomico; la consideriamo in questo contesto solo per gli aspetti chechiarisce appunto la teoria microeconomica del consumatore.

L'inflazione si misura normalmente in termini percentuali, da un periodo (un anno)all'altro. Abbiamo visto che se aumentano i prezzi a parità di reddito nominale (5) si riduce ilpotere di acquisto, ossia il reddito reale, e dunque il benessere (8). Sarebbe intuitivo definirel'inflazione in funzione dell'obiettivo, identificandola dunque con l'aumento percentuale delreddito nominale necessario per mantenere 8 in presenza dell'aumento dei prezzi; il problemaperò è che il benessere non è direttamente osservabile.

Di fatto, dunque, l'inflazione si misura con un LQGLFH�GHL�SUH]]L, ossia dal UDSSRUWR�GLVRPPH� SRQGHUDWH� GHL� SUH]]L�� FRQ� SHVL� FRVWDQWL. I pesi usati per ponderare i prezzi sononormalmente le quantità corrispondenti; e in un paragone molto semplice con due soli periodipossiamo usare le quantità del primo, o le quantità del secondo. Dati i prezzi 3 nei dueperiodi � e �, i due indici possibili sono ,�� �6200$�3L�4L��6200$�3L�4L� e ,�� �6200$3L�4L��6200$�3L�4L�, dove L identifica i beni e le quantità 4 sono appunto i pesi.

Immaginiamo che tra i due periodi ci sia inflazione. Se non cambiano i prezzi relativiqualsiasi prezzo, e dunque qualsiasi ponderazione, ne dà la stessa misura, che è poi come giàsappiamo esattamente l'aumento di 5 necessario per riportare il consumatore all'equilibrioprecedente. Le cose diventano invece interessanti se i prezzi relativi cambiano; ipotizziamodunque che sia aumentato solo il prezzo di ;.

La Figura 3.b.9.1 illustra cosa succede se il consumatore è stato compensato con ,�,ossia portando il suo reddito da 5 a ,�5. Nell'anno � il consumatore si trovava con il vincolo9$, e dunque l'equilibrio in $, con consumo �;��<�� e benessere 8$. Dato l'aumento di 3;,con reddito immutato il vincolo passerebbe da 9$ a 9%, e l'equilibrio passerebbe dal punto $al punto %, con una perdita di benessere. Siccome 5� �3;�;����3<�<�, la compensazione con,�� ��3;�;����3<�<����3;�;����3<�<�� gli permette di ricomprare nell'anno � i beni compratinell'anno �: ,�5� � �3;�;�� ��3<�<��. Il vincolo 9&, con il reddito compensato, è pertanto

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parallelo a 9% ma passa per �;��<��, come 9$. Di fatto, dunque, la compensazione con ,�trasforma il nostro consumatore da uno con disponibilità di reddito in uno con disponibilità dibeni �;��<��, come il contadino al punto precedente; e siccome i prezzi relativi sono diversi daquelli che facevano di quella combinazione un consumo di equilibrio il nostro consumatorene trae vantaggio. Nel grafico si sposta lungo 9& fino a &, e si ritrova con 8&�!�8$. Se conla compensazione vogliamo solo ripristinare 8$, la compensazione con ,� è eccessiva: taleindice sovrastima l'aumento di reddito necessario per evitare una perdita di benessere. Sedefiniamo l'inflazione dall'aumento necessario del reddito, in termini percentuali, l'indice lasovrastima; se definiamo l'inflazione dall'aumento dell'indice, la compensazione necessaria èminore dell'inflazione.

La Figura 3.b.9.2 illustra cosa succede se il consumatore è stato compensato invececon ,�, ossia portando il suo reddito da 5 a ,�5. Le lettere $, %, e & hanno lo stessosignificato che nella Figura precedente; ma in questo caso conviene ragionare a ritroso. Conil reddito compensato, e i prezzi dell'anno �, dunque, si trova in &, tangenza di 8& e 9&, econsuma �;��<��; ,�5� ��3;�;����3<�<��, così come 5� �3;�;����3<�<�. Siccome però ,�� �3;�;����3<�<����3;�;����3<�<��, ovviamente 5� �,�5�,�� �3;�;����3<�<�� �3;�;����3<�<�: la compensazione con ,� è tale che l'anno precedente, con il reddito e i prezzi di allora,avrebbe potuto comprare sia �;��<�� che �;��<��, ossia scegliere tra $ e &. Il vincolooriginale, 9$, passa dunque per $ e per &; e con quel vincolo aveva preferito $, per cui 8&��8$. Se con la compensazione vogliamo ripristinare 8$, la compensazione con ,� èinadeguata: tale indice sottostima l'aumento di reddito necessario per evitare una perdita dibenessere. Se definiamo l'inflazione dall'aumento necessario del reddito, in terminipercentuali, l'indice la sottostima; se definiamo l'inflazione dall'aumento dell'indice, lacompensazione necessaria è maggiore dell'inflazione.

Segnaliamo a questo punto un'altra ambiguità semantica. Si capisce da quanto soprache ripristinare il SRWHUH�GL�DFTXLVWR, il UHGGLWR�UHDOH, e il EHQHVVHUH sono la stessa cosa conprezzi relativi invariati; non è così, però, se cambiano i prezzi relativi. L'unico usoconsolidato è quello di identificare il benessere con la curva di indifferenza; per potere diacquisto si intende normalmente la possibilità di comprare un paniere particolare (che è poi ilsignificato degli indici), ma a volte si intende invece la possibilità di raggiungere un certobenessere; e per reddito reale si intende o l'una cosa o l'altra, a seconda del contesto (in genereil paniere in un contesto statistico-applicato, come nell'analisi macroeconomica, più spesso ilbenessere in un'analisi teorica, microeconomica). Come per l'inflazione, o le stesse curve didomanda e offerta, sta sempre al lettore chiedersi cosa esattamente ha in mente l'autore,sperando che non abbia le idee confuse.

3.b.10. le tasse compensate e l'effetto di sostituzioneAbbiamo detto che l'effetto di sostituzione è meno ovvio, e meno noto, dell'effetto di

reddito. Immaginiamo che di fronte ad una crisi del petrolio il governo aumenti il prezzodella benzina, con un aggravio per le famiglie (calcolati sui consumi dati) di molti miliardi,che il governo restituisce ad esse riducendo le aliquote dell'imposta sul reddito. Molticonsidererebbero tale operazione assolutamente inutile, senza conseguenze nè per il consumodi benzina nè tanto meno per il benessere delle famiglie, visto che quel che lo stato toglie conuna mano lo restituisce con l'altra; ma questo ragionamento non tiene conto appuntodell'effetto di sostituzione.

L'operazione è infatti l'equivalente di una compensazione con ,�, illustrata al puntoprecedente con la Figura 3.b.9.1: l'aumento del prezzo riduce il reddito reale, ma lo sgraviofiscale che restituisce alle famiglie la maggior spesa con consumi dati permette loro dimantenere esattamente i consumi precedenti. Nella Figura, la benzina sarebbe il bene ;, tutti

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gli altri beni il bene <. Se il vincolo iniziale era 9$, con equilibrio in $, e l’aumento delprezzo della benzina sposta il vincolo in 9%, lo sgravio fiscale risposta il vincolo per farlopassare di nuovo per $; ma il vincolo non ritorna a 9$. Diventa 9&, e il nuovo equilibrio sarànon $ ma &, con un minor consumo di benzina e un maggior benessere, grazie appunto allasostituzione.

Per capirne la logica, immagini il lettore di disporre di 50 milioni l'anno, di cui nespende uno per andare una settimana a sciare. Lo stato interviene, per ipotesi, portando ilcosto della settimana bianca a un miliardo e un milione, e regala al lettore un miliardo l'anno,che gli permette di pagarsi esattamente i consumi precedenti, compresa la settimana a sciare,ma che può spendere come vuole. Che farebbe il lettore? Manterrebbe immutati i suoiconsumi reali, o ridurrebbe il consumo dello sci per aumentare clamorosamente tutti gli altriconsumi?

3.b.11. l'operatore con disponibilità di tempo e l'offerta di lavoroPrendiamo ora in considerazione l'equilibrio dell'operatore che è vincolato non da un

reddito fisso (come se fosse pensionato), ma da una disponibilità di tempo e una capacità diguadagno. Il giorno comprende 24 ore; il mercato presenta all'individuo concorrenziale nonsolo i prezzi dei beni, ma anche il suo salario orario, e sta all'individuo scegliere quantolavorare.

Il modo più diretto di ricondurre il tutto a quanto già descritto è di includere il tempolibero nella funzione di utilità come qualsiasi altro bene, e di identificare il suo prezzounitario con il salario orario al quale l'operatore rinuncia se non lavora. Il vincolo di redditodiventa allora il guadagno massimo teoricamente possibile, ossia, al giorno, 24 volte il salarioorario; e l'operatore alloca questo "reddito" tra i beni, compreso il tempo libero. Assumendo8�;�<�7�, dove ; e < sono beni "veri" e 7 è il tempo libero, e dati i prezzi di ognuno di questi,il vincolo diventa 5� ���37� �3;;���3<<���377, equivalente ovviamente, risolvendolo per iflussi effettivi, 37������7�� �3;;���3<<.

Considerando 7 come un bene qualsiasi è ovvio che nell'equilibrio il beneficiomarginale di un dollaro speso di 7 deve essere uguale a quello di un dollaro speso per ; o per<. Se l'individuo lavora troppo poco, significa che al margine il dollaro speso per ; e per <rende tanto, quello speso per 7 rende poco: ovvero, se sacrifica un'ora di tempo libero ilcosto marginale di quei dollari aggiuntivi è minore del beneficio che ottiene spendendoli. Daquesto punto di vista, dunque, nulla di nuovo; ma vale comunque la pena di approfondire ilproblema per capire meglio l'offerta di lavoro.

Semplificando il problema dell'equilibrio complessivo del singolo l'offerta di lavoropuò essere analizzata come una scelta tra due soli beni superiori (come sopra, al punto 3.b.8): nel caso, il tempo libero 7, e un bene complesso 4 che rappresenta gli altri consumi, comenella Figura 3.b.11.1. Nell'analisi più banale si attribuisce all'individuo una dotazione di 24ore al giorno e niente beni, per cui la curva prezzo-consumo inizia appunto al punto ������. Aumentando il salario reale �4�7�, ossia il tasso di sostituzione tra tempo e beni nel vincolo,l'individuo si sposta prima verso nord-ovest, poi verso nord-est: è cioè dominante all'iniziol'effetto di sostituzione, e poi l'effetto di reddito, che porta l'individuo ben pagato a consumarepiù tempo libero oltre che più (altri) beni.

Il tempo lavorato è semplicemente ������7�: si misura sull'asse adi 7 verso sinistra,partendo da ��. La curva di offerta di lavoro ha dunque una forma speculare a quella dellacurva prezzo-consumo: con salari bassi un aumento dei salari porta a lavorare di più, e consalari alti a lavorare di meno--come certi dentisti americani che lavorano solo tre giorni asettimana, e si godono il fine-settimana da giovedì a martedì.

La cosa strana di questa analisi è che per salari abbastanza bassi l'individuo sceglie di

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non lavorare per niente, e campa di solo tempo libero: l'ipotesi implicita che ciò sia possibilesignifica dunque che tale individuo può nutrirsi nel suo tempo libero, o coltivando la propriaterra, o andando a caccia e raccolta. L'analisi non coglie dunque il proletario di Marx, che persopravvivere deve lavorare, nel senso preciso di vendere il suo tempo sul mercato.

Passiamo dunque alla Figura 3.b.11.2, nella quale la collina dell'utilità si alza sopra illivello zero solo se 4�!�4P: 4P rappresenta dunque il consumo minimo di beni materiali percontinuare a vivere. Per simmetria, poniamo pure che ci sia un tempo minimo di riposo, 7P;l'origine della collina è dunque �7P�4P�. Nella Figura compaiono tre curve prezzo-consumo,definite per tre diversi punti di origine; quella intermedia, che parte da ����4P�, corrispondealla Figura precedente, è ovviamente riferita all'individuo che ha un reddito indipendente, nonda lavoro, equivalente a 4P, che gli permette appunto di sopravvivere (e basta) anche se nonlavora. La curva prezzo-consumo più a destra, che parte da ����4��!�4P�, è riferita ad unindividuo ancora più ricco, che pertanto offre meno lavoro; come nel caso precedente, però, lacurva prezzo-consumo è a forma di "C", per cui la curva dell'offerta di lavoro conserva laforma a "C" rovesciata.

Il caso del proletario è ben diverso: se non lavora ha 24 ore al giorno di tempo libero,ma non consuma (altri) beni, per cui il suo vincolo ha come punto fisso l'origine ������. Lasua curva prezzo-consumo non inizia però in quel punto, bensì al punto �7P�4P�, ossia ailimiti della sussistenza: con un salario minore di 4P�������7P�, infatti, muore, perchè o nonmangia o non dorme. Come il salario si alza oltre quel minimo, la curva prezzo-consumo hanella Figura una pendenza iniziale positiva, a differenza di quelle dei borghesi; ha unapendenza positiva anche per salari molto alti, come quelle dei borghesi, quando il redditoindipendente diventa relativamente ininfluente; e nella fascia intermedia può avere unapendenza sempre positiva, o, se a forma di "S", anche un tratto a pendenza negativa.

Riassumendo, si nota che D�TXDOVLDVL�VDODULR�L�SRYHUL�ODYRUHUDQQR�SL��GHL�ULFFKL, eche OD�SHQGHQ]D�GHOOD�FXUYD�GL�RIIHUWD�GL�ODYRUR�WHQGH�DG�HVVHUH�QHJDWLYD��D�VDODUL�DOWL�SHUWXWWL�� D� VDODUL� EDVVL� DQFKH�SHU� L� SRYHUL� Storicamente, infatti, i periodi di salari reali altitendono a coincidere con orari di lavoro limitati, mentre a salari reali bassissimi si associanoorari di lavoro massacranti.

Questa analisi spiega la logica delle politiche coloniali inglesi, mirate ad aumentarel'offerta di lavoro: in Africa imposero una tassa sulle persone per impoverirle, nelle colonie"bianche" vietarono la libera occupazione della terra (col risultato peraltro di dirottare gliemigranti verso gli Stati Uniti).

3.b.12. la cultura, la tecnologia, l'offerta di lavoroLa Figura 3.b.12.1 riprende la Figura 3.b.11.2, illustrando preferenze diverse. Nel

grafico superiore, le curve d'indifferenza sono ripide, e (al limite) traslazioni orizzontali l'unadell'altra; le curve reddito-consumo sono dunque (al limite) piatte. Tali individui si sazianorapidamente di beni, e (al limite) il tempo libero è l'unico bene superiore.

Con tali preferenze chi può campare senza lavorare offrirà solo poco lavoro, e a salarialti; lavoreranno molto solo i poveri, e per loro l'offerta di lavoro sarà non solo a pendenzanegativa ma, per salari bassi, addirittura iperbolica. Siccome e fintanto che la pendenza dellacurva d'indifferenza per 4� � 4P è maggiore di quella del vincolo (il salario), infatti,l'equilibrio rimane a quel livello di 4: io voglio guadagnare $10 al giorno, e se il salarioraddoppia il mio impegno si dimezza.

Nel grafico inferiore troviamo il caso speculare. Le curve d'indifferenza sono piatte, e(al limite) traslazioni verticali l'una dell'altra; le curve reddito-consumo sono dunque (allimite) verticali. Tali individui si saziano rapidamente di tempo libero, e (al limite) ilconsumo materiale 4 è l'unico superiore.

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Con tali preferenze, siccome e fintanto che la pendenza della curva d’indifferenza per7� �7P è minore di quella del vincolo (il salario), l'equilibrio mantiene quel livello di 7. Ipoveri lavoreranno allora sempre a tutto spiano, e i ricchi pure, per un salario che supera uncerto minimo. Nel caso illustrato, anzi, il G4 che compensa G7� �������7P� è minore di 4P, e iricchi potranno permettersi di lavorare per un salario minore di quello di sussistenza!

Se vogliamo divertirci possiamo provare a ricollegare questi due grafici a differenzeculturali. Uno spunto ci è dato dai cimiteri, che ricreano l'ideale di vita: quelli italiani sonopiccole città murate, con tutti gomito a gomito anche se con palazzi per i ricchi e mini-appartamenti per i poveri; quelli germanici (e anglo-sassoni) sono distese in cui ognuno sta incampagna, lontano dai suoi simili. Ipotizziamo pure che il tempo libero sia l'occasione dellasocializzazione, palesemente (non sia mai detto a ragion veduta) un bene superiore per noi enon per loro: ecco che noi siamo pigri, e loro lavoratori.

Un altro spunto ci è dato dalla religione. Il Dio Padre dei cattolici è buono eperdonatore, quello dei protestanti giusto e vendicatore. Ipotizziamo pure che il tempo liberosia quello del godimento e del peccato: riecco che noi siamo pigri, e loro lavoratori. Anzi,nessuno lavorerà di più, a prescindere dalla propria ricchezza, dei calvinisti protestanti allospasimo, con curve di indifferenza addirittura in salita; e siccome non avranno nemmeno iltempo di spendere i loro guadagni accumuleranno. Così M. Weber ('LH�SURWHVWDQWLVFKH�(WKLNXQG� GHU�*HLVW� GHV� .DSLWDOLVPXV, 1904) collegò la nascita del capitalismo alla Riforma nelEuropa del nord, scordandosi peraltro l'Italia medievale.

Gli inglesi in Africa, che si lamentavano della pigrizia degli indigeni, ritenevanosicuramente di avere di fronte persone rappresentate dal grafico superiore; e si capiscel'efficacia delle tasse come sostituto, direbbe un marxista, dell'espropriazione dei contadiniche creò il proletariato nella stessa Inghilterra. Gli spagnoli in America ebbero peraltro giàsecoli prima lo stesso problema, cui trovarono la soluzione brutalmente semplice dei lavoriforzati; s'impietosì degli Indios il buon Bartolomé de las Casas, che per salvarli propose disostituirli, nelle miniere e nei campi, con schiavi africani.

Di fronte allo stesso problema, sempre in America Latina, delle imprese statunitensihanno recentemente distribuito cataloghi di grandi negozi: strategia impostata ovviamentesullo spostamento delle preferenze del nostro grafico, per trasformare "pigri" in "lavoratori". Con questo spunto l'economista si chiede se non si può riportare le differenze osservate dallepreferenze ai vincoli: cosa ovviamente possibile, in quanto le "preferenze" dei nostri graficisono una riduzione a due dimensioni di una funzione di fatto a moltissime dimensioni.

Un modo di impostare l'analisi è quello di riconsiderare 4, che come tutte le variabiliaggregate può nascondere una serie di problemi. In particolare, possiamo ipotizzare unafunzione di utilità 8� �8�)�0�7�, in cui 7 è sempre il tempo libero, e al posto del generico 4abbiamo due beni distinti, il cibo ) ("food") e i manufatti 0. Ipotizziamo pure che il cibosazi, e i manufatti no, o perlomeno non nei paesi tecnologicamente avanzati, in cui la gammadi manufatti comprende non solo i prodotti tradizionali ma sempre più prodotti un tempoinconcepibili: a pancia piena, insomma, non lavoro di più per guadagnarmi un'altra banana,ma lavoro volentieri di più per guadagnarmi la televisione, la lavatrice, e via di seguito. Gliindigeni dei paesi arretrati sono allora pigri non perchè sono diversi, ma perchè vivono inpaesi arretrati.

Questo schema spiegherebbe non solo appunto la tradizionale "pigrizia" dei popoliprimitivi, e la logica della distribuzione di cataloghi per stuzzicare la voglia di beni primaignoti, ma forse anche quel che sembra lo spostamento nel tempo della curva di offerta dilavoro. Oggidì, infatti, si lavora anche per acquisire redditi reali superiori a quelli che unavolta corrispondevano alla ricchezza e giustificavano l'ozio; una ragione potrebbe essereappunto che i beni di oggi sono obiettivamente più appetibili di quelli di una volta. Non è

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l'unica spiegazione possibile: un'altra è la competizione sociale, che è uno stimolo a vincere aprescindere dalla posta--discorso che peraltro porta molto lontano, e sul quale torneremo.

Ritorniamo infine, prima di passare ad altri temi, al problema dei regimi maoisti ecastristi. In quei paesi molto poveri, una produzione adeguata per eliminare la miseriarichiede un notevole impegno lavorativo; ma la politica garantista e ugualitaria disincentiva illavoro da parte di individui egoisti. Dei nostri grafici, infatti, quello adatto è quello superiore: i beni, ridotti al riso e alla divisa blu, saziano rapidamente; il reddito garantito porta anche ilnullafacente a 4�!�4P, per cui l'offerta di lavoro del cittadino medio sarebbe quella più adestra; ma essendo poi i suoi consumi praticamente indipendenti dai suoi sforzi il salarioreale è praticamente zero. Gli individui egoisti, non più obbligati a lavorare dallo spettrodella fame, devono essere dunque obbligati a lavorare per costrizione diretta: se ilcomunismo sovietico che usava il salario per incentivare il lavoro era di fatto per un marxistaserio un volgare capitalismo, sia pure di stato, il comunismo cinese che si voleva più avanzatoera di fatto un ritorno al primitivo sistema schiavista, sia pure di stato. L'unico modo diuscire da questa trappola era la rieducazione, che avrebbe portato come si è detto al lavoro peramore del prossimo: e questa si può vedere sia come la creazione dell'uomo nuovo delNLEEXW], nobile e idealista, sia come il lavaggio dei cervelli orwelliano, che interiorizza lacompulsione senza renderla perciò meno opprimente e odiosa.

3.b.13. l'operatore e il mercato intertemporaleAbbiamo finora considerato l'equilibrio dell'operatore che ottimizza l'allocazione della

spesa tra due beni; almeno implicitamente, il problema era tutto contenuto in un unicoperiodo di tempo. Nulla cambia, nell'analisi formale, se si passa ad un'analisi su piùperiodi: basta infatti considerare gli stessi beni in periodi diversi come beni diversi, el'operatore ottimizza la spesa intertemporale esattamente come quella intratemporale, ossiaequiparando come sempre i tassi marginali di sostituzione nell'obiettivo e nel vincolo.

Il mercato intertemporale rimane però interessante per vari motivi particolari. Uno èl'aspetto politico: è infatti nel contesto intertemporale che si ritrovano il capitale e l'interesse,e che l'economia borghese affronta dunque il problema di giustificare il reddito di chi nonlavora. Fra gli aspetti più puramente economici spiccano invece il problema della valutazionedegli effetti dilazionati o scaglionati nel tempo, e il problema della trasformazione dellasequenza delle disponibilità nella sequenza preferita ("ottimale") dei consumi.

Incominciamo da questo secondo problema. Si considerano dati sia la sequenza (ingergo, il "sentiero intertemporale", dall'inglese "time path") delle disponibilità, sia il vincolo,tecnico o di mercato, di trasformazione intertemporale dei beni. Si presume inoltre che iconsumi dei diversi periodi siano fortemente complementari, per cui si mira in sostanza aspianare i consumi nel tempo. Riprendendo l'esempio di Friedman (che ci costruirà sopra unateoria macroeconomica del consumo e del risparmio), immaginiamo che io venga pagato ognivenerdì. Preferisco di gran lunga tre pasti al giorno, piuttosto che ventuno pasti tutti divenerdì; trasformo dunque il sentiero delle disponibilità (poniamo $700 di venerdì, e $0 glialtri giorni) nel sentiero preferito dei consumi ($100 ogni giorno), ovviamente con unfortissimo risparmio positivo ogni venerdì ($600), e un notevole risparmio negativo (- $100)gli altri giorni.

Si consideri la Figura 3.b.13.1. I beni sono come sempre ; e <; immaginiamo peròche l'unico bene di consumo sia il grano, e che ; sia il grano consumato quest'anno, e < ilgrano consumato l'anno prossimo. Il sentiero delle dotazioni è indicato dal punto �������; laretta tratteggiata, di riferimento, indica la pendenza del vincolo se il grano si può spostare daun anno all'altro a costo e guadagno zero. La retta solida ipotizza che 100 unità di grano ; sipossono trasformare in solo 90 di grano < (tenendolo in magazzino, con perdite ai topi);

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l’operatore sceglie comunque di dividere i consumi tra i due anni, consumando dunque menodi 100 unità complessive, ma con un sentiero temporale preferito. Se per ipotesi i topicolpiscono solo a Capodanno, potrebbe consumare ad esempio 50 quest'anno, e 0,9(100 - 50)= 45 l'anno prossimo.

Nelle operazioni intertemporali si chiama LQWHUHVVH il rendimento netto, che può esserecalcolato in danaro (interesse QRPLQDOH) o in beni (interesse UHDOH): se 9� è ciò che vienedato, e 9� ciò che viene ripreso dopo un anno, il tasso di interesse L si calcola, in percentuale,come ����9����9���9�; nel nostro esempio, dunque, il tasso di interesse (ovviamente reale) è -10%. In un economia monetizzata il tasso di interesse nominale non può essere negativo: seinfatti la banca mi pagasse per prendere soldi in prestito, chiederei dei prestiti infiniti. Normalmente, nel mercato del danaro, anche l'interesse reale è positivo; ma può anche esserenegativo, e lo è abbastanza spesso appunto in periodi di inflazione. L'interesse reale L5 èinfatti (approssimativamente) quello nominale L1, meno il tasso di inflazione L3: L5� �L1���L3. Se ad esempio io in danaro impresto 100 e recupero 105, il tasso nominale è +5%; ma sel'inflazione intanto è del 10% i beni che mi costavano 1,00 adesso costano 1,10, e con i 105ottenuti ne compro solo 105/1,10 = 95, per un interesse reale del -5%. Per l'operatore ilprezzo relativo dei beni nei due periodi, ossia il 706Y, è ovviamente �����L5�: come al solito,le decisioni reali non sono influenzate da cambiamenti puramente nominali.

Nella Figura 3.b.13.2 si rappresentano due casi tipici, assumendo un tasso di interessereale dato dal mercato. Nel grafico superiore, come nella Figura precedente, il sentiero delledotazioni è squilibrato verso il presente: �;R� !� <R�, e l'operatore userà il mercatointertemporale per rimandare i consumi; nel grafico inferiore tale sentiero è squilibrato versoil futuro, con �;R���<R�, e l'operatore userà il mercato per anticipare i consumi. Il primo casopuò rappresentare il lavoratore che sta per collocarsi a riposo, e si aspetta dunque unariduzione dei guadagni da lavoro; il secondo, lo studente che si aspetta un aumento di redditodopo la laurea, o anche il figlio di famiglia abbiente che ottimizza i consumi emettendocambiali "a Babbo morto".

Se aumenta il tasso di interesse, aumenta nel grafico la pendenza del vincolo, cheruota intorno al punto fisso dato dal punto delle dotazioni (linee tratteggiate). Il bene-adesso; vale di più, rispetto al bene-dopo <: è intuitivo, e ovvio dal grafico, che l'aumentodell'interesse giova a chi lo riceve perchè rimanda i consumi, ossia vende beni-adesso ecompra beni-dopo, e danneggia chi invece lo paga perchè si trova nella posizione speculare.

Torniamo brevemente sul significato politico di questa analisi. L'interesse lo lucra chirimanda i consumi: insegnava l'economia borghese d'un tempo che un interesse positivo ènecessario per compensare il sacrificio del capitalista, che appunto "si astiene" dal consumarei suoi averi. Nel contesto di allora, in cui l'opulenza della borghesia contrastava con lamiseria dei proletari, era perlomeno paradossale attribuire "l'astinenza" ai grassi piuttosto cheai denutriti; ebbe buon gioco Marx a schernire tale modo di interpretare le cose. Aggiungiamo poi che se il problema è quello della redistribuzione intertemporale indicato daFriedman, peraltro insospettabile, può convenire come nel nostro esempio rimandare iconsumi anche con un interesse negativo: se vi è complementarietà tra i consumi dei diversiperiodi, la "grande bouffe" che consuma tutto oggi non ci sarebbe nemmeno a interesse zero.

3.b.14. l'interesse e il valore attualeIl tasso di interesse (più uno), l'abbiamo visto, è il prezzo relativo dei beni, o delle

somme di danaro, disponibili in due periodi diversi; come qualsiasi prezzo relativo permettedunque la conversione degli uni negli altri. Immaginiamo un tasso di interesse nominale del10% all'anno, e un mercato perfetto (che mette appunto l'operatore di fronte allo stesso tassoper qualsiasi quantità e da ambedue i lati dello scambio); allora $100 oggi sono l'equivalente

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di $110 tra un anno (e di $121 tra due anni), e $110 tra un anno (come $121 tra due anni)l’equivalente di $100 oggi.

Dato l’interesse annuo L, infatti, la somma 9� diventa dopo un anno 9�� ������L�9�, edopo due 9�� ������L�9�� ������L�

�9�; ne consegue che il YDORUH�DWWXDOH di una somma futura9W, disponibile tra W anni, è appunto 9D� �9W������ L�

W. Attraverso il tasso di interesse (o "disconto", in quanto $110 futuri vengono "scontati" a $100 attuali), dunque, si determina ilvalore attuale anche di ciò che ha valore oggi solo perchè avrà valore domani: come le azionidi nuove società che per ora hanno solo perdite, ma hanno un valore positivo che è appunto ilvalore attuale del valore futuro giustificato dai guadagni attesi in quel futuro.

Immaginiamo una serie di redditi pari a 5 annuo da oggi e per Q anni ancora. Il valoreattuale dell'intera serie è la FDSLWDOL]]D]LRQH . di questi, ossia la somma dei redditi scontati: .� �5����>5�������L�@���>5�������L�

�@���������>5Q������L�Q@, che ovviamente varia direttamente

con 5 e Q e inversamente con L: come aumenta il tasso d'interesse, infatti, si riducono gliequivalenti attuali dei valori futuri (e quanto più sono lontani, tanto più si riducono). Nelcaso di una serie infinita di redditi 5, il valore attuale è semplicemente .� �5�L: infatti dato Lsarebbe appunto 5 il rendimento perpetuo ottenibile da una somma . (con un interesse del10% si ottiene con $1000 un rendimento perpetuo di $100/anno, per cui il valore attuale ditale rendimento perpetuo è appunto $1000). Dimezzandosi il tasso di interesse, raddoppiadunque il valore attuale di un dato rendimento perpetuo; il valore attuale dello stessorendimento annuo limitato nel tempo aumenta pure, ma di meno, e tanto meno quanto più èlimitato (infatti se il tasso d'interesse annuo passa dal 10% al 5% il valore attuale di $100adesso e tra un anno aumenta solo da $190.91 a $195.24, mentre il valore attuale di$100/anno per sempre aumenta da $1000 a $2000). Se l'operatore può scegliere tra sentieri di disponibilità alternativi, sceglierà quello conil massimo valore attuale. Nella Figura 3.b.14.1, che mantiene le convenzioni dei graficiimmediatamente precedenti, si ipotizza che l'operatore possa scegliere tra i due punti $, checorrisponde a ;$� �<$, e %, che corrisponde a ;%� ����<%�!��<$: come se avesse due anni divita, e potesse lavorare da subito ottenendo ;$ e poi <$, oppure studiare per un anno, senzaguadagno, per poi guadagnare più del doppio. Conviene, ovviamente, la scelta che portaall'utilità più alta; siccome però il vincolo dei consumi è lineare, e passa per il punto scelto, èovvio che il sentiero migliore dipende unicamente dalla pendenza del vincolo e dunque daltasso di interesse, a prescindere dalla forma specifica delle curve di indifferenza. Con untasso di interesse basso, il vincolo ha una pendenza debole, e il punto % permette consumisempre superiori a quelli permessi da $ (rette solide); con un tasso di interesse alto il vincoloha una pendenza forte, e il punto $ permette consumi sempre superiori a quelli permessi da %(rette tratteggiate). Aumentando il tasso di interesse, dunque, si ribalta la graduatoria deivalori attuali, che corrispondono alle intercette dei vari vincoli con l'asse orizzontale.

Nel caso, conviene investire nello studio solo se il tasso di interesse èsufficientemente basso; nel caso contrario, conviene anticipare il guadagno, anche se minore. Si tocca qui un risultato che è uno dei postulati della macroeconomia: che a tassi di interesseminori corrispondono appunto investimenti maggiori.

3.b.15. l'incertezza e il valore attesoLe scelte sopra analizzate sono tutte in condizioni di certezza, anche se rivolte al

futuro. Il futuro, di fatto, è incerto, e le scelte vanno spesso fatte in condizioni di incertezza. Torneremo poi sulla teoria dei giochi, che è tutta un approfondimento di questo particolareproblema; per il momento vogliamo solo segnalare alcuni aspetti di esso direttamente legati aquanto sopra.

Ovviamente, un dato beneficio futuro vale di meno se non è certo. Un modo

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abbastanza sbrigativo di formalizzare questo fatto è di supporre che tali benefici venganodoppiamenti scontati: al tasso di interesse L perchè sono futuri, e ad un tasso U legato alrischio che il beneficio di fatto non si avveri in tutto o in parte. Ipotizzando come sopra unaserie di redditi pari a 5 annuo da oggi e per Q anni ancora, e considerando incerti quelli futuri,il valore attuale dell'intera serie si può esprimere come .� �5����>5�������L���U�@���>5�������L��U��@��� ������>5Q������ L���U�

Q@, che ovviamente varia inversamente con U oltre che con L. Questa formulazione è ovviamente molto generale: U può dipendere infatti non solo dallecondizioni oggettive (la probabilità dei vari avvenimenti), ma anche dall'atteggiamentosoggettivo dell'operatore di fronte all'incertezza.

Per separare questi due aspetti del problema si distingue tra il valore atteso, oggettivo,e l'utilità attesa, soggettiva; e per non complicare l'esposizione tralasciamo l'aspettoprettamente intertemporale (ipotizzando di fatto o un tasso di interesse pari a zero, o unarisoluzione immediata dell'incertezza, per cui il tempo comunque non conta). Il YDORUH�DWWHVR9D è l'aspettativa matematica dei ricavi, ossia la somma dei ricavi possibili 5, ponderati con leloro probabilità S: 9D� �S�5����S�5������� Assumiamo che questi ricavi siano alternativi, percui di fatto se ne verificherà uno e solo uno; in questo caso le probabilità S sommanoovviamente a uno. Sempre in questo caso di ricavi alternativi, per XWLOLWj�DWWHVD si intendeinvece la somma ponderata, con le stesse probabilità, delle utilità associate ai vari ricavi: 8D

� S�8�5��� �� S�8�5��� �� ��� Questa utilità attesa si può paragonare direttamente all'utilitàassociata ad un ricavo certo pari a 9D, ossia 8�9D�; e da questo paragone deriva la sceltadell'operatore.

Si consideri la Figura 3.b.15.1. Il nostro ha un reddito 5 di $400 (periodico), e, dati itempi, una probabilità del 20% di subire furti per $300 (sempre periodici); il valore atteso delsuo reddito è dunque (8/10)$400 + (2/10)$100 = $340. Immaginiamo pure che possaassicurarsi contro il furto, e vedersi rimborsati i $300 eventualmente persi, al costo(periodico) di $60; può dunque scegliere tra un reddito netto sicuro di $340, e un redditoaleatorio di pari valore atteso. Nel grafico superiore, la sua funzione di utilità esibisce unutilità marginale del reddito decrescente: in questo caso, ovviamente, 8�9D�� !� 8D, el'operatore si assicura. Nel grafico inferiore, la sua funzione di utilità esibisce un utilitàmarginale del reddito crescente: in questo caso, ovviamente, 8�9D����8D, e l'operatore non siassicura.

Notiamo subito l'aspetto metodologicamente interessante: il comportamentodell'operatore rivela appunto la curvatura della funzione di utilità. Nel caso della scelta tradue beni, avevamo notato, vengono rivelate le curve di indifferenza, ossia una funzione diutilità ordinale: qualsiasi trasformazione monotonica della stessa vale quanto un'altra, e ledue rappresentazioni dei grafici della Figura rimangono indistinguibili. Nel caso della sceltafra risultati aleatori, invece, viene rivelata una funzione di utilità cardinale, che distingueappunto i due casi dei grafici e non ammette pertanto come quella ordinale qualsiasitrasformazione monotonica. Per la precisione, ammette solo una trasformazione affine, dellaforma \� �D[���E: l'unità di misura è arbitraria, ma una volta scelta la funzione è definita, erimangono paragonabili non solo i livelli (maggiori o minori) ma anche gli intervalli(maggiori o minori). Esattamente come la misura della temperatura: i gradi sono arbitrari,ma il valore in gradi Fahrenheit è legato a quello in gradi Centigradi dalla formula appuntolineare )� ������&�����.

Dicono poi gli economisti che l'individuo rappresentato dal grafico superiore dellaFigura è DYYHUVR�DO�ULVFKLR, mentre l'altro, speculare, lo gradisce; ma qui si confondono forsedue cose che andrebbero distinte. Infatti è vero che l'individuo del grafico superiore siassicura, ma si assicura per via del suo atteggiamento al reddito piuttosto che al rischio: accetterebbe infatti in regalo qualsiasi biglietto di lotteria (anche se preferirebbe ovviamente

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ricevere il valore atteso del premio), mentre uno avverso al rischio come tale lo rifiuterebbeperchè non dormirebbe più.

Nella visione ortodossa, infatti, è problematico il comportamento peraltro comunedegli individui che da un lato si assicurano, e dall'altro comprano biglietti di lotteria (chetipicamente poi costano molte volte il loro valore atteso): si conciliano le cose solo conl'ipotesi assolutamente "ad hoc" e dunque inelegante che l'utilità marginale del reddito èprima calante e poi crescente, e per ognuna di queste persone la funzione cambia curvaturaproprio dove si trova... Se si riconosce invece che una cosa è la curvatura della funzione diutilità, e un'altra l'eventuale piacere del gioco di azzardo, il problema scompare: i bigliettidella lotteria si comprano come le caramelle, ottimizzando la spesa, per il gioco e non per ilpremio che ne è solo la scusa; l'assicurazione si compra come si investe nello studio, perottimizzare il profilo del reddito netto.

3.c. l'equilibrio dell'operatore monopolista

3.c.1. il vincolo e l'equilibrioRitorniamo adesso al problema iniziale della scelta ottimale dei beni da consumare,

per considerare i casi in cui l'operatore è dotato di potere di mercato.Ricordiamo che con funzioni differenziabili il punto preferito, ossia quello che

raggiunge la curva d'indifferenza più alta ("massimizza l'utilità") dato il vincolo, sarà unatangenza che rende uguali i tassi marginali di sostituzione, ossia il rapporto tra i beneficimarginali per unità di bene da un lato, e i costi marginali per unità di bene dall'altro. Inequilibrio, dunque, 08;�08<� �706R� �706Y� �0&;�0&<. Per l'operatore concorrenziale,l'abbiamo visto, i costi marginali sono costanti e uguali ai prezzi, parametrici, per cui ilvincolo è una retta; per l'operatore dotato di potere di mercato i prezzi e i costi marginalirelativi variano con le quantità (positivamente per gli acquisti, negativamente per le vendite),per cui LO�YLQFROR�q�FXUYR�H�FRQYHVVR�GDOODOWR, come nella Figura 3.c.1.1. Spostandosi lungoil vincolo verso sud-est, infatti, si vende ; o si compra meno ;, e si compra < o si vendemeno <, riducendo il prezzo e il costo marginale relativo di ; e aumentando quelli di <.

Se l'operatore monopolista è un puro consumatore in un economia monetizzata edispone di una somma di danaro 5, il vincolo è 5� �;3;�;����<3<�<� e ha come intercettesugli assi (5�3; per ;PD[) e (5�3< per <PD[). In tal caso, il vincolo si sposta se cambia 5 o secambia la curva di offerta di ; o di <; notiamo peraltro che perchè il vincolo sia curvo basta ilpotere di monopolio in uno dei due mercati, in quanto �0&;�0&<� varia anche se ad esempiovaria solo 0&; con ; mentre rimane costante 0&<� �3<.

Se invece il contesto è quello di un'economia di baratto, con un unico mercato in cui siscambiano i due beni al loro prezzo relativo, il vincolo varia con la curva degli equilibripossibili della controparte, passando sempre per il punto fisso dato dalla dotazione iniziale di; e < del monopolista. Essendoci poi un unico mercato è ovvio che il potere di monopolio ènel baratto, e dunque contemporaneamente nella vendita di un bene e nell'acquisto dell'altro.

In equilibrio, dunque, la combinazione di ; e < scelta dall'operatore in equilibrio dimonopolio è data dal punto di tangenza tra la curva di indifferenza (pertanto la più altaraggiungibile), convessa dal basso, e la curva del vincolo, convessa dall'alto (come appuntonella Figura). A questo livello di generalità non si può dire di più, in quanto il rapportopreciso tra prezzi, quantità, e costi marginali dipende come sappiamo dal potere di mercato,discriminante o meno.

3.c.2. l'equilibrio di monopolio semplice

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L’operatore dotato di potere di monopolio semplice ha di fronte a se un operatoreconcorrenziale, che sceglie le quantità in funzione dei prezzi. ,O� YLQFROR� GHO�PRQRSROLVWDVHPSOLFH, ossia gli equilibri tra i quali può scegliere, è dunque la curva degli equilibri di unoperatore concorrenziale, ossia OD�FXUYD�SUH]]R�FRQVXPR�GHOOD�FRQWURSDUWH.

L'equilibrio del monopolista semplice è illustrato dalla Figura 3.c.2.1, immaginandoche sia un puro compratore di ;, con potere di monopolio in quel mercato (che sia l'unico, dibaratto, o meno). Nel grafico superiore, dunque, il punto fisso è ���<R�; il vincolo delmonopolista, 9, è la curva prezzo-consumo della controparte. L'equilibrio è dato da �;H�<H�,sia ambedue acquistati, sia in un contesto di baratto vendendo �<R���<H� per acquistare ;H. Ilmonopolista verifica che sia quello il punto raggiungibile preferito, dato appunto dallatangenza tra 9 e la sua curva d'indifferenza più alta raggiungibile, %; ci arriva fissando la rettadei prezzi 3 che passa dal punto fisso, di origine, al punto di equilibrio, e lasciando chel'operatore concorrenziale scelga di spostarsi lungo 3 fino all'equilibrio suo dato appuntodall'intersezione tra questa e la sua curva prezzo-consumo 9.

Al punto di equilibrio, dunque, l'operatore concorrenziale è in equilibrio sulla suacurva prezzo-consumo, con una tangenza tra il suo vincolo, che è la retta dei prezzi 3, e la suacurva d'indifferenza più alta raggiungibile, che è nel grafico la tratteggiata $. Il monopolistapure è in equilibrio, con una tangenza tra il suo vincolo, che è la curva prezzo-consumo dellacontroparte 9, e la sua curva d'indifferenza più alta raggiungibile, che abbiamo giàidentificato nel grafico con la curva %. Essendo ambedue i contraenti in equilibrio, lo è ilmercato. Notiamo che in equilibrio i 706 dell'operatore concorrenziale sono uguali allapendenza di 3; quelli del monopolista alla pendenza di 0, più ripida di 3.

Immaginiamo per comodità, nel grafico inferiore, che il nostro monopolista lo sia solocome acquirente di ;, e che 3< sia dato (per cui 3<� �0&<). Con quel prezzo dell'altro bene,la sua domanda per ; è data da ', che corrisponde ai suoi benefici marginali (in moneta); hadi fronte la curva di offerta 6, dell'operatore concorrenziale, al quale corrisponde la curva deicosti marginali 0&. Sceglie �3;H�;H�, che massimizza il suo beneficio netto, con 0%;H� 0&;H�!�3;H, per cui ovviamente �0&;�0&<��!��3;�3<�: nel grafico superiore, appunto, 0 èpiù ripida di 3.

Ritroviamo risultati già noti: nel grafico inferiore l'equilibrio �3;H�;H� non è sullacurva di domanda del monopolista, ma casomai sulla curva di pseudo-domanda. Nel graficosuperiore, la retta dei prezzi 3 è tangente alla curva di utilità & del monopolista: se fosseanche lui concorrenziale, con prezzi relativi 3 consumerebbe ;L�!�;H, con benessere maggioreche non in equilibrio di monopolio. Nel grafico inferiore, infatti, con 3;H parametricoconsumerebbe ;L, sulla curva di domanda; il guadagno di benessere che otterebbe se potesseaumentare gli acquisti senza far salire i prezzi corrisponde al triangolo di rendita definitodalla curva di domanda, �;L��;H�, e �0&;H���3;H�. Nel grafico superiore, dunque, l'ipoteticoequilibrio concorrenziale alla tangenza fra 3 e & è sulla curva prezzo-consumo del nostrooperatore ((), che corrisponde alla sua curva di domanda; l'equilibrio di monopolio è piùvicino al punto di origine, sulla curva che possiamo chiamare pseudo-prezzo-consumo ()).

3.c.3. l'equilibrio di monopolio perfettamente discriminanteL'operatore dotato di potere di monopolio perfettamente discriminante ha di fronte a

se un operatore talmente debole che, subendo tale potere, non ottiene nessun vantaggio dalloscambio (se non uno infinitesimale, giusto per indurlo ad accettarlo). ,O� YLQFROR� GHOPRQRSROLVWD�SHUIHWWDPHQWH�GLVFULPLQDQWH, ossia gli equilibri tra i quali può scegliere, è datodunque direttamente dal livello di benessere iniziale della controparte: coincide dunque conOD�FXUYD�GL�LQGLIIHUHQ]D�GHOOD�FRQWURSDUWH.

L'equilibrio del monopolista perfettamente dicriminante è illustrato dalla Figura

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3.c.3.1, immaginando che sia un puro compratore di ;, con potere di monopolio in quelmercato (che sia l'unico, di baratto, o meno). Nel grafico superiore, dunque, il punto fisso è���<R�; il vincolo del monopolista, 9, è la curva d'indifferenza della controparte. L'equilibrio èdato da �;H�<H�, sia ambedue acquistati, sia in un contesto di baratto vendendo �<R� ��<H� peracquistare ;H. Il monopolista verifica che sia quello il punto raggiungibile preferito, datoappunto dalla tangenza tra 9 e la sua curva d'indifferenza più alta raggiungibile, %; e ci puòarrivare in due modi. Può infatti fissare la retta dei prezzi 3 che passa dal punto fisso, diorigine, al punto di equilibrio, e propone alla controparte uno scambio a quel prezzo di �<R��<H� (più una caramella) contro ;H; oppure può fissare una serie di prezzi man mano più altiper quantità infinitesimali di ;, e spostare così la controparte lungo la propria curva diindifferenza fino al punto desiderato.

Immaginiamo per comodità, nel grafico inferiore, che il nostro monopolista lo sia solocome acquirente di ;, e che 3< sia dato (per cui 3<� �0&<). Con quel prezzo dell'altro bene,la sua domanda per ; è data da ', che corrisponde ai suoi benefici marginali (in moneta); hadi fronte la curva di offerta 6 della controparte. Può catturare tutta la rendita generata dalloscambio offrendo appunto prezzi infinitamente differenziati, che corrispondono dunque aisuoi costi marginali, fino al massimo di 0&;H, oppure offrendo il prezzo 3;H per la quantità;H (da prendere o lasciare), scegliendo ovviamente quel prezzo sulla curva dei suoi costi medi$& corrispondente ai marginali 6 ; nel primo caso cattura il triangolo compreso tra ' e 6 ,nel secondo il trapezio equivalente definito da ', $& e da ;H. Nel grafico inferiore 0&;H�!3;H; in quello superiore, corrispondentemente, la pendenza di 0 è maggiore della pendenza di3.

Perchè 6 e non semplicemente 6? La risposta si vede dalla Figura 3.c.3.2, cheriproduce la Figura precedente con qualche elemento in più. Se nel grafico inferiore 6 fosseeffettivamente la curva di offerta di un operatore concorrenziale, corrispondente alla suacurva prezzo-consumo, allora se potesse scegliere la quantità da vendere al prezzo 3;H

sceglierebbe ;H��; ma dal grafico superiore vediamo che sceglie quella quantità solo se a quelprezzo la tangenza con la sua curva d'indifferenza più alta raggiungibile capita proprio conquella quantità, come con la curva 9�; ma la tangenza con 3 potrebbe essere benissimo anord-ovest o a sud-est di quel punto, e dare dunque vendite minori o maggiori.

Così pure se potesse vendere tutte le unità al prezzo 0&;H, che il monopolista gli offresolo per l'ultimissima unità: venderebbe comunque ;H solo se la tangenza della retta 0,parallela a 0, con la curva d'indifferenza più alta raggiungibile capitasse proprio a quellaquantità, come con 9�. Siccome però la pendenza di 0 è uguale a quella di 0, per ;� �;H lapendenza di 9� deve essere la stessa di 9; e questo è vero per qualsiasi prezzo solo se le curvedi indifferenza del nostro sono traslazioni YHUWLFDOL l'una dell'altra, ossia se per lui l'unico benesuperiore è <, e ; non è nè superiore nè inferiore, con elasticità al reddito pari a zero. Seinvece anche ; è un bene superiore, la curva d'indifferenza tangente a 0 sarà non nellaposizione di 9�, ma a nord-ovest di questa, come 9�; vende dunque ;H����;H al prezzo 0&;H,e nel grafico inferiore la curva di offerta 6 (che corrisponde alla curva prezzo-consumo chepassa per la tangenza di 0 e 9�) passa per �0&;H�;H�� e non per �0&;H�;H�.

Se ne intuisce il motivo. Il mercato concorrenziale lascia al venditore la rendita che ilmonopolista discriminante invece gli toglie, per cui è di fatto più ricco, per cui consuma piùbeni superiori: se ; è per lui un bene superiore ne consuma di più, ossia ne vende di meno, inregime di concorrenza che non subendo un monopolio perfettamente discriminante.

3.c.4. domanda e domanda compensataLa stessa analisi ci fa capire perchè nel caso del venditore perfettamente discriminante

la rendita del consumatore che può catturare è definita da una curva di domanda diversa da

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quella del compratore in regime di concorrenza (2.e.4.). La domanda in regime diconcorrenza corrisponde infatti alla curva prezzo-consumo, quella che ha di fronte ilmonopolista perfettamente discriminante corrisponde invece alla curva di indifferenza;ricordando l’equazione di Slutsky notiamo che la prima comprende effetti di reddito e disostituzione, la seconda solo effetti di sostituzione.

Nella Figura 3.c.4.1 il grafico superiore illustra dunque lo spostamento dell’equilibriodi un compratore in mercati di concorrenza, come nella Figura 3.b.4.1; sull’asse verticale, percomodità, misuriamo direttamente il reddito in dollari. In equilibrio, consuma una certaquantità di ;, e una certa quantità di dollari (che trattiene, ovviamente, per altri consumi). Immaginiamo 5� ���, e 3; che cala da 3;� a 3;�; l'equilibrio si sposta da � a �, lungo la curvaprezzo-consumo; i punti � e � definiscono le decomposizioni alternative dell'effetto di prezzoin effetto di reddito e effetto di sostituzione. I punti � e � sono dunque sulla curva reddito-consumo per 3;�, e i punti � e � sulla curva reddito-consumo per 3;�. Queste curve hannopendenza positiva, per cui il bene ; è un bene superiore.

Nel grafico inferiore la curva di domanda ' corrisponde alla curva prezzo-consumo: come questa associa ;� a 3;�, e ;� a 3;�. Se tale riduzione del prezzo fosse invece opera diun monopolista perfettamente discriminante, che fa pagare al consumatore tutti i prezziintermedi, questo si sposterebbe dal punto � non al punto �, sulla curva di prezzo-consumo,ma al punto �, sulla curva d'indifferenza. Per il consumatore, è come se il guadagno di poteredi acquisto dovuto alla riduzione di 3;, che lo porterebbe da 8� a 8�, fosse compensato dauna perdita di 5 pari a ���������, che lo riporta a 8�; si chiama pertanto GRPDQGD�FRPSHQVDWDla curva che collega le combinazioni di equilibri di prezzo e quantità per spostamenti lungouna curva di indifferenza, e dunque corrisponde a questa così come la curva di domanda(concorrenziale) corrisponde alla curva prezzo-consumo. Nel grafico inferiore, la domandacompensata '&� corrisponde a 8�: come questa infatti associa ;� a 3;�, e ;� a 3;�. A 8�

corrisponde invece '&�, che come quella associa ;� a 3;�, e ;� a 3;�.Notiamo dal grafico inferiore che le curve di domanda compensate sono più ripide, e

dunque meno elastiche, della curva di domanda. Ricordiamo l'equazione di Slutsky intermini di elasticità H'� � H&� �� �3;�5�H5, dove H& è appunto l'elasticità della domandacompensata: H'�!�H& appunto perchè ; è un bene superiore, con H5�!��, e dunque effetto direddito positivo per riduzioni di 3;. Se infatti H5� ��, e l'effetto di reddito è nullo, nel graficosuperiore le curve reddito-consumo sarebbero verticali, come nella Figura 3.c.4.2; in quelcaso ;�� � ;�, ;�� � ;�, e le curve compensate coincidono tra di loro e con la curva didomanda (che diventa pure invariante al reddito, e dunque unica per dati prezzi degli altribeni). Ritroviamo così il risultato già notato per il venditore al punto precedente. Se infine H5���, e l'effetto di reddito è negativo perchè ; è un bene inferiore, nel grafico superiore lecurve reddito-consumo sarebbero a pendenza negativa, come nella Figura 3.c.4.3; in quel caso;����;�, ;��!�;�, e le curve compensate sono più elastiche che non la curva di domanda (chea sua volta si sposta verso il basso come aumenta il reddito).

3.c.5. domanda, domanda compensata, e rendita del consumatoreLa rendita del consumatore è il beneficio netto dallo scambio, che può ridurre a zero

un venditore perfettamente discriminante; è una superficie nello spazio prezzo-quantità, condimensione dunque �XQLWj����XQLWj�� ��, che è la dimensione del reddito; e corrisponde comeun aumento di reddito ad un aumento di benessere.

L'aumento di benessere, nelle tre Figure di cui al punto precedente, è sempre univoco,e corrisponde al passaggio da 8� a 8�; ma la misura della rendita è univoca solo in assenza dieffetti di reddito. Nella Figura 3.c.4.2, infatti, coincidendo nel grafico inferiore le curve didomanda compensata tra di loro e con la curva di domanda, il trapezio di rendita definito dai

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due prezzi e dalla curva di domanda, compensata o meno, è unico. Si ottiene dunque la stessacifra con la domanda compensata che corrisponde a 8� e con la domanda compensata checorrisponde a 8�, e ovviamente con la domanda concorrenziale. Portando il consumatore nelgrafico superiore dal punto � al punto �, infatti, si compensa il calo del prezzo togliendogli unreddito pari a ���� �� ���; riportandolo dal punto � al punto � si compensa il movimentoesattamente inverso del prezzo dandogli un reddito aggiuntivo pari a ���� �� ���, esattamenteuguale a ���� �� ���. Essendo le curve reddito-consumo verticali, e le curve d'indifferenzatraslazioni verticali l'una dell'altra, la distanza verticale ��� �� ��� � ���� �� ��� è ovviamenteidentica alla distanza verticale �������� ����������.

Nelle Figure 3.c.4.1 e 3.c.4.3, invece, le due curve di domanda compensatadefiniscono per i due prezzi di ; due trapezi di rendita, uno maggiore e l'altro minore diquello definito dalla curva di domanda concorrenziale.

Nella Figura 3.c.4.1, con ; superiore, se abbassandosi il prezzo il consumatorepasserebbe da � a �, la compensazione di reddito è pari a ���������, che corrisponde al trapeziodefinito da '&�; se alzandosi il prezzo ritornerebbe da � a �, la compensazione di reddito èpari a ���� ����), che corrisponde al trapezio definito da '&�, maggiore del precedente, cosìcome appunto ����������!����������. Nella Figura 3.c.4.3, con ; inferiore, otteniamo il risultatospeculare: la compensazione equivalente alla riduzione del prezzo è maggiore, invece cheminore, di quella equivalente al movimento opposto, e ���������������������. Geometricamente,infatti, con ; superiore le curve di indifferenza più alte sono traslazioni non solo verso nordma anche verso est di quelle più basse, per cui le distanze verticali tra di esse si restringonoverso sud-est e si allargano verso nord-ovest, e viceversa con ; inferiore; date due curve diindifferenza quali 8� e 8�, le coppie di parallele tangenti ad ambedue che sono sempreverticalmente equidistanti in assenza di effetti di reddito (Figura 3.c.4.2) sono ad una distanzaverticale che aumenta con la loro pendenza se ; è superiore, e diminuisce con questa se ; èinferiore.

Con effetti di reddito, dunque, vi sono due cifre diverse in dollari che corrispondonoallo stesso incremento di benessere, aggiunto o sottratto: tra un equilibrio e l'altro variadunque il tasso di sostituzione tra utilità e dollari, ossia l'utilità marginale di un dollaro08���. La rendita definita dalla curva di domanda concorrenziale, che è una cifraintermedia, è tale perchè misurata con dollari di utilità marginale che non è costante, ma variatra i due valori corrispondenti alle due curve di domanda compensata.

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4. L’EQUILIBRIO GENERALE: IL SISTEMA DEI MERCATI (A: puro scambio)

4.a. gli equilibri di mercato

4.a.1. l’economia di puro scambioL’economia politica moderna nasce, lo ricordiamo, dall’intuizione che in un sistema di

mercati liberi le scelte private siano coordinate "come da una mano invisibile" e portinonaturalmente a un equilibrio socialmente ottimale. L’analisi dell’economia nel suo complessocome insieme coerente di equilibri individuali ("microeconomici") è nota come la WHRULDGHOOHTXLOLEULR� JHQHUDOH, o anche, ponendo l'accento sull'ottimizzazione sociale, comeOHFRQRPLD�GHO�EHQHVVHUH: nel gergo degli economisti, infatti, si tende a chiamare "utilità" ilbenessere dei singoli, e "benessere" ("welfare", come nel titolo del volume di Pigou) ilbenessere collettivo.

Per capire l'equilibrio complessivo di un'economia di mercato bisogna considerareinsieme gli equilibri di tutti gli operatori, famiglie e imprese, consumatori e produttori. Difatto, però, i cosiddetti WHRUHPL� IRQGDPHQWDOL� GHOOHFRQRPLD� GHO� EHQHVVHUH si possonoesaminare già nel contesto semplificato di un'economia di puro scambio, ossia senzaproduzione. In questa economia ci sono solo dei consumatori, una data quantità dei beni diconsumo, e un'allocazione iniziale di questa ricchezza; l'economia è come quella dei bambiniche si portano a scuola le collezioni di figurine, per poi scambiarsele.

Semplificando poi la semplificazione, si riducono a due i consumatori, e i beni. Questa economia supersemplificata viene rappresentata geometricamente dalla VFDWROD� GL(GJHZRUWK (da F.Y. Edgeworth, economista matematico inglese contemporaneo di Marshall ePareto), riportata nel grafico superiore della Figura 4.a.1.1. La "scatola" è un rettangolo;lungo i lati si misurano i due beni, uno orizzontalmente, l'altro verticalmente; le dimensionidel rettangolo corrispondono alle quantità totali disponibili, ; e <; e i consumi deipartecipanti vengono misurati dagli angoli opposti. Lo spazio del rettangolo è dunque quellodei beni, e pertanto delle curve d'indifferenza; quelle dell'operatore con origine dei consumi inbasso a sinistra compaiono normalmente, quello con origine in alto a destra compaiononormalmente se si rovescia il foglio. A ogni punto interno della scatola, quale il punto �,corrisponde dunque un'allocazione dei beni (consumi), e pertanto un indice dell'utilità perogni consumatore: ;$����;%�� �;��<$����<%�� �<��8$�� �8$�;$���<$����8%�� �8%�;%���<%��.

Nella scatola bidimensionale, dunque, compaiono quattro dimensioni: le due delfoglio, corrispondenti ai beni, e le due delle utilità, indicate dai valori corrispondenti allecurve di indifferenza. Il grafico inferiore ne è una rappresentazione tridimensionale. Siimmagini che la scatola sia la superficie di un tavolo: il punto �, proiettato sui lati, indica ladivisione dei beni, misurati sui lati, fra i consumatori. All'angolo sud-ovest si trova l'origineper $; la sua collina dell'utilità sale come ci si allontana da quell'origine verso nord-est, ancheoltre i limiti del tavolo. All'angolo nord-est si trova l'origine per %; la sua collina dell'utilitàsale come ci si allontana da quell'origine verso sud-ovest, anche oltre i limiti del tavolo.

Alla verticale di � si incontrano, rispettivamente a �$ e �%, le superfici della collina di$ e della collina di %; l'altezza di ogni collina (8$� per l'una, 8%� per l'altra) si misura sull'assecorrispondente, che parte dal punto di origine del consumatore corrispondente. Questi dueassi verticali, si badi bene, sono indipendenti e incommensurabili, e il fatto che nel grafico alpunto � la collina di $ passi sopra quella di % non vuol dire nulla. Dipende infatti solo dallescale che usiamo, come se 8$ fosse misurato in dollari e 8% in ettari, e al punto � i valoricorrispondenti fossero cento dollari e due ettari: se le nostre scale sono un metro di altezzaper dieci dollari o per ettaro passa sopra $, se sono un metro per cento dollari o per ettaropassa sopra %, senza che la cosa abbia significato.

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4.a.2. l’efficienza paretianaL'efficienza paretiana corrisponde in generale alle situazioni in cui non si può

migliorare lungo una dimensione senza peggiorare lungo un'altra: nel caso specifico, allesituazioni in cui non si può aumentare il benessere (l'utilità) di un individuo senza ridurrequella di un altro. Dalla sovrapposizione delle proiezioni delle funzioni di utilità nella scatoladi Edgeworth è ovvio che questa condizione di efficienza paretiana si verifica ai punti ditangenza tra le curve d'indifferenza, ossia a 706R$� �08;$�08<$� �08;%�08<%� �706R%.La forma di questa condizione è quella ormai nota dei massimi vincolati: il massimodell'utilità dell'uno (l'obiettivo) data l'utilità dell'altro (il vincolo, per questa massimizzazione)si ottiene equiparando i due tassi marginali di sostituzione.

Ogni tangenza tra fra le curve di indifferenza denota dunque un'allocazione dei beniPareto-efficiente, ossia un ottimo paretiano. Il luogo di tali tangenze, denominato la �FXUYDGHL�FRQWUDWWL�, è illustrato nel grafico superiore della Figura 4.a.2.1. Da qualsiasi punto di talecurva, proprio perchè la distribuzione dei beni è già Pareto-efficiente, non esistonoredistribuzioni che non riducano l'utilità di almeno uno dei consumatori. Al punto 2, adesempio, 8$� �8$ e 8%� �8% ; se ci si sposta all'interno della curva 8$ aumenta 8$ ma siriduce 8%, se ci si sposta all'interno della curva 8% aumenta 8% ma si riduce 8$, se ci sisposta all'esterno di ambedue si riducono sia 8$ che 8%.

In qualsiasi punto QRQ sulla curva dei contratti le curve di indifferenza, non essendotangenti, si incrociano, come al punto 1. Le due curve che vi si incrociano definisconoun'area lenticolare; qualsiasi redistribuzione che porta da quel punto all'interno dell'area, o adun altro punto del suo perimetro (che non sia l'altro incrocio delle stesse curve, il punto 4)rappresenta un miglioramento paretiano. Ai punti 1 e 4, infatti, 8$� �8$ e 8%� �8% ; se cisi sposta fra di essi lungo 8$ allora 8%�!�8% , se ci si sposta fra di essi lungo 8% allora 8$

!�8$ , se ci si sposta all'interno dell'area 8$�!�8$ e 8%�!�8% . Qualsiasi altro spostamentodal punto 1, all'esterno dell'area lenticolare, comporta invece la riduzione o di 8$, o di 8%, odi ambedue.

Date le pendenze delle curve di indifferenza, poi, partendo dal punto 1 qualsiasimiglioramento paretiano comporta uno scambio di una certa quantità di ; per una certaquantità di <; e proprio in quanto miglioramento paretiano sarebbe accettabile per ambedue iconsumatori. L'area lenticolare delimita dunque le possibili redistribuzioni volontarie, ossia ipossibili scambi, a partire dall'incrocio corrispondente.

Nel grafico inferiore si misurano sugli assi le utilità dei due individui (ossia siriportano, a angolo retto, i due assi indipendenti ambedue verticali rispetto al piano dei beni). Questi assi definiscono lo spazio delle utilità; il massimo dell'una data l'altra (date le duecolline, ossia le funzioni di utilità, e le dimensioni del tavolo, ossia i beni disponibili) sichiama la �FXUYD�GHOOH�XWLOLWj�SRVVLELOL�, ed è per definizione il luogo delle combinazioni diutilità Pareto-efficienti. Corrisponde ovviamente alla curva dei contratti, a parte il fatto che èdefinita direttamente nello spazio �8$�8%� piuttosto che nello spazio �;�<�.

Notiamo le corrispondenze tra la geometria nello spazio �;�<� e quella nello spazio�8$�8%�. Ogni punto in �;�<� lungo la curva dei contratti corrisponde ad un punto lungo lacurva delle utilità possibili in �8$�8%�, e viceversa: data l'utilità dell'uno, infatti, vi è un unicomassimo dell'utilità dell'altro, raggiunto per l'unica allocazione dei beni disponibili che rendeuguali i due 706R. Nella Figura, ad esempio, il massimo di 8% dato 8$� �8$ è 8% (e ilmassimo di 8$ dato 8%� �8% è 8$ �, al punto � sulla curva dei contratti e sulla curva delleutilità possibili; il massimo di 8% dato 8$� �8$ è 8% , al punto � sulla curva dei contratti esulla curva delle utilità possibili.

Ogni punto interno alla curva delle utilità possibili in �8$�8%� corrisponde invece a

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due punti in �;�<� posti ai due incroci delle curve di indifferenza: la combinazione�8$ �8% �, che non è Pareto-efficiente, si trova infatti nel grafico superiore ai punti � e �, checorrispondono alle due diverse allocazioni dei beni compatibili con quest'unica combinazionedi utilità; nel grafico inferiore, che riporta solo le utilità, la combinazione di queste checorrisponde a � e � si trova in un unico punto. Il grafico superiore a quattro dimensionicontiene infatti informazioni sulle quantità consumate e sulle utilità; il grafico inferiore, a duedimensioni, contiene informazioni solo sulle utilità.

L'area lenticolare degli scambi possibili definita da 8$ e 8% nel grafico superiorecorrisponde nel grafico inferiore all'area quasi triangolare delimitata da 8$ , 8% e la curvadelle utilità possibili. Uno spostamento dal punto 1 o il punto 4 all'interno dell'arealenticolare del grafico superiore corrisponde dunque nel grafico inferiore ad uno spostamentodall'apice in basso a sinistra del quasi triangolo ad un punto all'interno di esso (o sul pezzodella curva delle utilità possibili che ne è il lato curvo, se nel grafico superiore si raggiunge lacurva dei contratti). Uno spostamento lungo 8$ dal punto 1 al punto 4 nel grafico superiorecorrisponde invece in quello inferiore ad uno spostamento orizzontale lungo la base del quasitriangolo, dall'apice di sinistra a quello di destra e poi viceversa; uno spostamento lungo 8% dal punto 1 al punto 4 nel grafico superiore corrisponde in quello inferiore ad unospostamento verticale lungo il lato sinistro del quasi triangolo, dall'apice in basso a quello inalto e poi viceversa.

Un punto esterno alla curva delle utilità possibili in �8$�8%�, quale il punto �, noncorrisponde a nessun punto in �;�<� date le dimensioni della scatola di Edgeworth, in quantoappunto non raggiungibile con le risorse e i gusti dati. Dati i gusti, sarebbe raggiungibile conuna scatola più grande: allontanandosi i due punti di origine, infatti, ogni collina rimaneimmobile rispetto al proprio punto di origine, per cui dati ;$�<$ e dunque 8$ aumentano ;%

e/o <% e dunque 8%. Se aumentano i beni disponibili, dunque, aumenta l'utilità massimadell'uno per ogni utilità dell'altro, e la curva delle utilità possibili si sposta allontanandosidall'origine degli assi delle utilità.

4.a.3. la concorrenza perfetta: l'equilibrio date le dotazioniNel capitolo 2 abbiamo considerato l'equilibrio di mercato nello spazio prezzo-

quantità; ricordiamo che gli equilibri possibili sono molteplici, in quanto dipendono sia dallecurve di domanda e di offerta, sia, date queste, dal potere di mercato dei vari contraenti. Ciòvale pure per l'equilibrio generale dell'economia rappresentata dalla scatola di Edgeworth.

Iniziamo con l'equilibrio di concorrenza perfetta, ossia in cui WXWWL gli operatori sonoconcorrenziali, illustrato dalla Figura 4.a.3.1. Nel grafico superiore il punto L indicaODOORFD]LRQH� LQL]LDOH, ossia la dotazione di beni di ciascuno dei due contraenti, alla qualecorrispondono le utilità indicate dalle curve di indifferenza 8$L e 8%L. La curva 3&$, cheparte da L e si trova all'interno di 8$L, è la curva prezzo-consumo di $, ossia il luogo dei suoiequilibri, data la sua dotazione iniziale e dati i suoi gusti, se considera parametrici i prezzi dimercato. La curva 3&% è l'analoga curva di %.

In un contesto di baratto, l'abbiamo visto, la curva prezzo-consumo è nel contempo lasua curva di offerta di un bene e di domanda dell'altro, in cui le quantità sono funzione delprezzo relativo �3;�3<�; nel caso specifico, data l'ubicazione di L, 3&$ indica l'offerta di < e ladomanda di ;, mentre 3&% indica l'offerta di ; e la domanda di <. Nell'equilibrio diconcorrenza perfetta tutti gli operatori reagiscono ai prezzi lungo le proprie curve di domandae di offerta, ossia di prezzo-consumo; nella scatola di Edgeworth il punto che corrisponde agliincroci domanda-offerta è l'incrocio delle curve prezzo-consumo, che rappresenta il punto diequilibrio di concorrenza perfetta HF. Notiamo che questo è un equilibrio JHQHUDOH: sonoinfatti in equilibrio simultaneo e compatibile tutti gli operatori (due) e tutti i mercati (uno).

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Il prezzo relativo di equilibrio di concorrenza perfetta è dato dalla pendenza della retta3F tra L e HF. Lo scambio di equilibrio è di ;F (ceduto da % e acquisito da $) contro <F (cedutoda $ e acquisito da %), desiderato a quel prezzo da ambedue, per cui le scelte sono coerenti. A un prezzo relativo di ; più alto, invece, le scelte non sono coerenti: una retta dei prezzi piùripida, partendo da L, incontra 3&$ prima di 3&%, per cui a quel prezzo relativo $ offre meno< di quanto non chieda %, e chiede meno ; di quanto non offra %; l'eccesso di domanda per <e di offerta di ; portano appunto ad un rincaro relativo di < finchè non si raggiungel'equilibrio.

Spostandosi ambedue gli operatori lungo la propria curva prezzo-consumo, ambedueaumentano il proprio benessere, raggiungendo livelli di utilità maggiori (curve di indifferenzapiù alte) di quelle iniziali: 8$F�!�8$L, 8%F�!�8%L. Questo guadagno di utilità per ambeduecorrisponde alla divisione tra venditore e compratore della rendita generata dallo scambio.

Nell'equilibrio concorrenziale di domanda e offerta la rendita è non solo condivisa, mainteramente generata, per cui si raggiunge l'efficienza paretiana; nella scatola di Edgeworth,corrispondentemente, l'equilibrio concorrenziale si trova sulla curva dei contratti && (il luogodei punti Pareto-efficienti, di tangenza fra le curve di indifferenza di $ e di %). Gli incroci trale curve prezzo-consumo e qualsiasi retta dei prezzi sono infatti punti di tangenza tra questa ela curve di indifferenza del contraente corrispondente; dove si incrociano le curve prezzo-consumo le curve di indifferenza dei diversi contraenti sono tangenti alla retta dei prezzi nellostesso punto, e sono dunque tangenti tra di loro.

L'ubicazione delle curve prezzo-consumo dipende ovviamente dalle dotazioni iniziali: se queste corrispondono nel grafico non al punto L ma al punto L�, con utilità iniziale rispettoa L superiore per $ e inferiore per %, l'equilibrio concorrenziale corrispondente HF� sitroverebbe all'interno dell'area lenticolare definita dalle curve di indifferenza che passano perL� piuttosto che per L; ma le curve prezzo-consumo che partono da L� come quelle che partonoda L si incrociano necessariamente sulla curva dei contratti.

Qualsiasi equilibrio concorrenziale è infatti Pareto-efficiente perchè ogni operatoreequipara il proprio 706R� �08;�08< allo stesso prezzo relativo 3;�3<, per cui 706R$� 08;$�08<$� �3;�3<� �08;%�08<%� �706R%. Dalla forma algebrica è ovvio che il risultatoillustrato dalla scatola di Edgeworth per due operatori e due beni in un unico mercato vale perqualsiasi numero di operatori, beni, e mercati, purchè la condizione indicata si verifichi perogni coppia di operatori e di beni. Già nel modello di puro scambio, dunque, si arriva allaconclusione nota come il SULPR�WHRUHPD�IRQGDPHQWDOH�GHOOHFRQRPLD�GHO�EHQHVVHUH: che LQXQ� VLVWHPD� FRPSOHWR� GL�PHUFDWL� TXDOVLDVL� HTXLOLEULR� GL� FRQFRUUHQ]D� SHUIHWWD� q� 3DUHWR�HIILFLHQWH.

Il grafico inferiore della Figura riporta i risultati del grafico superiore, nello spazio deibeni, allo spazio delle utilità. Il punto iniziale L è all'interno della curva delle utilità possibili;l'equilibrio concorrenziale HF da esso raggiungibile è su tale curva, a nord-est di esso, ossiacon guadagni di utilità per ambedue i contraenti. Il punto L� si troverebbe a nord-ovest di L, eda esso si raggiungerebbe un punto HF� della curva delle utilità possibili a nord-ovest di HF.

4.a.4. la concorrenza perfetta: le dotazioni dato l'equilibrioIl grafico superiore della Figura 4.a.4.1 riproduce la scatola di Edgeworth della Figura

precedente, con il punto iniziale L, le curve di indifferenza e le curve prezzo-consumocorrispondenti, la retta dei prezzi 3F e il punto di equilibrio HF. Notiamo che il punto Pareto-efficiente di equilibrio concorrenziale HF è raggiungibile non solo da L, ma da qualsiasi puntoiniziale lungo 3F. Più infatti L si avvicina a HF lungo 3F, più 8$L e 8%L si avvicinano a 8$F e8%F, più dunque si riduce l'area lenticolare degli scambi accettabili; ma lo spostamento da L aHF rimane uno scambio di equilibrio concorrenziale. Infatti le curve di indifferenza dei

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contraenti sono ambedue tangenti alla retta del prezzo relativo 3F nel punto HF, per cui talepunto rimane su ambedue le curve prezzo-consumo, e dunque al loro incrocio, per qualsiasi Lsu 3F. Nello spazio prezzo-quantità, l'equivalente dell'avvicinare L a HF lungo 3F, lasciandoimmutato l'equilibrio, è l'avvicinamento dell'asse dei prezzi al punto di equilibrio, come nelgrafico inferiore della Figura: diminuisce lo scambio, diminuisce la rendita, ma solo perchèspostiamo la dotazione iniziale come se fosse già avvenuto uno scambio parziale al prezzo diequilibrio, e l'equilibrio finale non cambia.

Tornando al grafico superiore e generalizzando quanto sopra, per qualsiasi punto sullacurva dei contratti, ossia di tangenza fra le curve di indifferenza, passa una retta tangente aqueste; e da qualsiasi punto lungo tale retta si raggiunge quel punto della curva dei contratticome equilibrio concorrenziale. Si arriva così alla conclusione nota come il VHFRQGR�WHRUHPDIRQGDPHQWDOH� GHOOHFRQRPLD� GHO� EHQHVVHUH: che (a certe condizioni che abbiamo preso perdate, e sulle queli torneremo tra breve) TXDOVLDVL� DOORFD]LRQH�3DUHWR�HIILFLHQWH�SXz�HVVHUHUDJJLXQWD�FRPH�HTXLOLEULR�GL�FRQFRUUHQ]D�SHUIHWWD�LQ�XQ�VLVWHPD�FRPSOHWR�GL�PHUFDWL, daun insieme di allocazioni iniziali.

Nella Figura 4.a.4.2 si illustrano ancora una volta una scatola di Edgeworth, e lospazio corrispondente delle utilità. Nel grafico superiore abbiamo tracciato delle curve diindifferenza abbastanza particolari, in due modi. Primo, supponiamo che lungo la curva deicontratti la pendenza delle curve di indifferenza sia sempre la stessa, per cui il prezzo relativodi equilibrio è sempre uguale; secondo, supponiamo che le curve di indifferenza abbiano unaforma tale che la retta che unisce i due incroci delle stesse curve, dalle due parti della curvadei contratti, QRQ sia parallela alle rette dei prezzi di equilibrio. Sono indicati i due incroci L�e L� di due curve di indifferenza: il primo sulla retta dei prezzi 3�, che porta a HF�, il secondosulla retta dei prezzi 3�, che porta a HF�. Nel grafico inferiore, nello spazio delle utilità, HF� eHF� sono punti distinti, con combinazioni di utilità diverse; ma L� e L� sono associati alla stessacombinazione di utilità, per cui corrispondono ad un unico punto. A quell'unico puntoiniziale corrispondono dunque due equilibri concorrenziali, che non sono però equilibrimolteplici per la stessa allocazione: come è evidente dal grafico superiore sono due equilibriassociati ad allocazioni iniziali diverse, che sono indistinguibili nel grafico inferiore soloperchè quel grafico confonde le allocazioni diverse che danno la stessa combinazione diutilità.

Notiamo ancora che HF� è raggiungibile da L�, e da qualsiasi punto su 3� tra quei duepunti; nel grafico inferiore, dunque, tra L� e HF� si troveranno i punti corrispondenti a quelsegmento di 3�. Non saranno necessariamente in linea retta, ma partendo da L� ogni talepunto sarà ovviamente a nord-est del precedente. Continuando su 3� oltre HF� si incontranoaltri punti iniziali dai quali questo è raggiungibile, ma con combinazioni di utilità diverse daquelle già incontrate; e si arriva ad esempio al punto L�, con utilità rispetto a L� superiore per $e inferiore per %. Nel grafico inferiore, dunque, L� è a nord-ovest di L�; lo spostamento lungo3� da L� a L� passando per HF� corrisponde al movimento verso nord-nord-est da L� a HF�, e daquesto verso ovest-sud-ovest fino a L�. Da L�, allo stesso modo, lungo 3� si raggiunge primaHF�, e poi L�.

Siccome insomma ogni punto interno alla curva delle utilità possibili corrisponde adue punti nello spazio dei beni, sui lati opposti della curva dei contratti, ogni equilibrioconcorrenziale sulla curva delle utilità possibili è tale per due luoghi di punti iniziali (semprea sud-ovest di esso), e per ogni punto interno passano i luoghi di due equilibri distinti (semprea nord-est di esso).

4.a.5. il monopolio

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La Figura 4.a.5.1 illustra gli equilibri di monopolio; assumiamo che il potere dimercato sia detenuto dall’operatore $.

Nel caso del monopolio semplice, ricordiamo, l’operatore % rimane concorrenziale, esceglie la quantità dato il prezzo; il monopolista $ sceglie il prezzo, ottimizzando dato ilvincolo del comportamento concorrenziale della controparte. Nel grafico superiore, che è lasolita scatola di Edgeworth, l'equilibrio di monopolio semplice di $ è illustrato dal punto HPVD. Se il monopolista semplice è $, infatti, il suo vincolo è come sappiamo la curva prezzo-consumo di %; l'equilibrio che massimizza l'utilità di $ dato questo vincolo è la tangenza fraquesto e la curva di indifferenza di $, al punto HPVD indicato.

Rispetto all'equilibrio concorrenziale HF per lo stesso punto iniziale L si notano variedifferenze. Primo, il prezzo relativo 3PVD fissato da $ è diverso da quello concorrenziale 3F: la retta ha pendenza minore, per cui è relativamente più caro il bene < che $ vende, e menocaro il bene ; che $ compra. Secondo, $ ottiene un incremento di utilità (una rendita)maggiore, e % uno minore: 8$PVD�!�8$F�!�8$L, mentre 8%F�!�8%PVD�!�8%L. Terzo, l'equilibrionon è più Pareto-efficiente, ossia non genera tutta la rendita ottenibile: in HPVD la curva diindifferenza di % è tangente a 3PVD che incrocia 3&% alla quale è tangente la curva diindifferenza di $.

Nel grafico inferiore, nello spazio delle utilità, l'equilibrio di monopolio semplice di $si trova all'interno della curva delle utilità possibili, nel quasi-triangolo definito da questa,l'utilità di equilibrio concorrenziale di $, e l'utilità iniziale di %.

Per analizzare il monopolio semplice sequenziale basta trattare il punto HPVD come unnuovo punto L, trovare il nuovo equilibrio, e via di seguito: è ovvio che ripetendol'operazione ci si avvicina a volontà alla curva dei contratti, sempre all'interno delle areelenticolari che progressivamente si restringono.

L'equilibrio di monopolio perfettamente discriminante da parte di $ è illustrato invecedal punto HPGD. Se il monopolista perfettamente discriminante è $, infatti, il suo vincolo ècome sappiamo la curva di indifferenza iniziale di %, che non guadagna nulla dallo scambio;l'equilibrio che massimizza l'utilità di $ dato questo vincolo è la tangenza fra questo e lacurva di indifferenza di $, al punto HPGD indicato.

Rispetto all'equilibrio di monopolio semplice HPVD per lo stesso punto iniziale L sinotano varie differenze. Primo, il prezzo relativo medio fissato con la quantità da prendere olasciare è ancora più alto per il bene che il monopolista vende, e basso per quello che compra: la retta da L a HPGD ha infatti pendenza minore anche di 3PVD, oltre che ovviamente di 3F. Secondo, $ ottiene rispetto a L un incremento di utilità (una rendita) ancora maggiore, e % unonullo: 8$PGD�!�8PVD�!�8$F�!�8$L, mentre 8%F�!�8%PVD�!�8%L� �8%PGD. Terzo, l'equilibrio è dinuovo Pareto-efficiente, ossia genera tutta la rendita: in HPGD la curva di indifferenza di $ èdirettamente tangente alla curva di indifferenza di %.

Nel grafico inferiore l'equilibrio HPGD si trova ovviamente sulla curva dei contratti allaverticale di L: il monopolio perfettamente discriminante genera tutta la rendita, ma viene tuttaaccaparrata dal monopolista.

Per non appesantire il grafico superiore indichiamo solo gli equilibri di monopolio di%; sono ovviamente costruiti specularmente a quelli di $. Nel grafico inferiore, il punto HPVEdi monopolio semplice si trova ovviamente all'interno del quasi-triangolo definito dalla curvadei contratti, l'utilità di equilibrio concorrenziale di %, e l'utilità iniziale di $; il punto HPGE dimonopolio perfettamente discriminante si trova sulla curva dei contratti, orizzontalmente adestra di L.

Ricordiamo infine l'equilibrio di monopolio bilaterale. Il punto di equilibrio non sipuò prevedere; sappiamo solo che sarà anch'esso all'interno dell'area lenticolare, etendenzialmente sulla curva dei contratti, e che i due equilibri di monopolio perfettamente

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discriminante ne segnano i limiti. Il problema vero del monopolio bilaterale risiede nelledifficoltà del negoziato, che possono rimandare all'infinito (e dunque nella realtà impedire) ilraggiungimento di un accordo.

Dei monopoli unilaterali, poi, il monopolio perfettamente discriminante e ilmonopolio semplice sequenziale sono interessanti come costruzioni intellettuali, ma di scarsarilevanza pratica: il monopolio di cui è ricco il mondo, e che il mercantilismo assecondava, èovviamente quello semplice o al massimo imperfettamente discriminante. Escludendo i casiastrusi e riducendo dunque il monopolio a quello semplice, si raggiunge la conclusionecomplementare ai teoremi fondamentali riferiti alla concorrenza perfetta: che LO�PRQRSROLRLPSHGLVFH�LO�UDJJLXQJLPHQWR�GL�HTXLOLEUL�3DUHWR�HIILFLHQWL.

Paragonando poi l'equilibrio concorrenziale con i due equilibri di monopolio semplicee i due di monopolio discriminante notiamo che 8$PGD�!�8$PVD�!�8$F�!�8$PVE�!�8$PGE� �8$L,e 8%PGE�!�8%PVE�!�8%F�!�8%PVD�!�8%PGD� �8%L: risultato che corrisponde perfettamente allavariazione delle rendite nello spazio prezzo-quantità. L'intera gamma degli equilibri possibilidipende poi dall'allocazione iniziale, che definisce l'area lenticolare degli scambi possibili e ledue curve prezzo-consumo, e si sposta con questa: in particolare, se invece chedall'allocazione L lo scambio parte dall'allocazione L� con utilità maggiore per $ e minore per%, allora ognuno degli equilibri associati a L� comporterà un'utilità maggiore per $ e minoreper % che non il corrispondente equilibrio associato a L: 8$FL��!�8$FL e 8%FL����8%FL, e via diseguito.

Se identifichiamo la distribuzione iniziale dei beni con la ricchezza, possiamoriassumere quanto sopra notando che a scambi completati LO�EHQHVVHUH�LQGLYLGXDOH�GLSHQGHGDOOD� ULFFKH]]D� H� GDO� SRWHUH� UHODWLYR� GL� PHUFDWR. Potere UHODWLYR, chè l'operatore senzapotere si ritrova meglio se anche la controparte è senza potere. Ricchezza, ma non ricchezzarelativa, anche se a risorse date la maggior ricchezza di uno non può essere che la minorricchezza di un altro, e dunque relativa: se aumentano le risorse, infatti, può aumentare ilbenessere iniziale di tutti i contraenti--almeno stando alle ipotesi implicite nei nostri grafici,sulle quali torneremo.

4.a.6. l'esistenza degli equilibriLe ipotesi implicite nei nostri grafici sono di fatto numerose, e l'esame delle loro

implicazioni occuperà molti dei capitoli successivi. In questa sede notiamo solo chel'esistenza dei cinque equilibri indicati nella Figura precedente è garantita dalla forma dellecurve di indifferenza, che rispettano le ipotesi "normali" elencate al punto 3.a.3. Con siffattecurve di indifferenza, infatti, l'area degli scambi possibili è necessariamente convessa, e lecurve prezzo-consumo si incrociano necessariamente all'interno di essa.

Un esempio contrario è illustrato dalla Figura 4.a.6.1, in cui solo % è rappresentatocon preferenze, e dunque una curva prezzo-consumo, "normali"; per $, invece, assumiamouna superficie di utilità che sale verso nord-est a forma di teatro greco, con curve diindifferenza concave anzichè convesse. Per $, dunque, i beni sono supersostituti; e sappiamoche in tal caso la curva prezzo-consumo è discontinua, e gli equilibri saltano agli assi.

Nel grafico superiore della Figura assumiamo che le curve di indifferenzamaggiormente incurvate siano quelle di %. In tal caso, le tangenze fra le curve di indifferenzacorrispondono sempre alla curva dei contratti, ossia il luogo degli equilibri paretiani; mal'area degli scambi possibili fra le due curve di indifferenza iniziale è a menisco. Ai limiti diquesta, sulla curva dei contratti, troviamo i due equilibri di monopolio discriminante. All'interno della stessa troviamo l'equilibrio di monopolio semplice di $: la curva prezzo-consumo di % è infatti interna alla sua curva di indifferenza, e necessariamente tangente aduna curva di indifferenza di $ superiore a quella iniziale. Non esistono invece l'equilibrio di

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monopolio semplice di %, e l'equilibrio concorrenziale, perchè la curva prezzo-consumo di $è discontinua, e oltre il punto di origine nessuna parte di essa è all'interno dell'area degliscambi possibili; è in particolare all'esterno di tale area il punto in cui la curva prezzo-consumo di % incrocia la curva dei contratti, che sarebbe altrimenti l'equilibrioconcorrenziale.

Nel grafico inferiore della Figura assumiamo che le curve di indifferenzamaggiormente incurvate siano quelle di $. In tal caso, le tangenze fra le curve di indifferenzacorrispondono a dei PLQLPL, e non dei massimi, dell'utilità dell'uno data quella dell'altro; gliequilibri paretiano si trovano invece sugli assi, a un estremo o l'altro di una curvad'indifferenza (da scegliere paragonando nei due punti le utilità dell'altro); e l'area degliscambi possibili delimitata dalle curve di indifferenza iniziali è non all'interno dei loro dueincroci ma all'esterno, e dunque normalmente in due pezzi. Per il resto ritroviamo i risultatidi prima: esistono (sul perimetro) i due equilibri di monopolio discriminante, e all'internodell'area degli scambi possibili l'equilibrio di monopolio semplice di $, mentre non esistonol'equilibrio di concorrenza o di monopolio di %.

Tutto ciò non incide sul primo teorema fondamentale dell'economia del benessere, checi specifica una caratteristica dell'equilibrio concorrenziale, ovviamente se esiste. Precisainvece il secondo teorema: qualsiasi allocazione Pareto-efficiente può infatti essere raggiuntacome equilibrio di concorrenza perfetta in un sistema completo di mercati, da un insieme diallocazioni iniziali, D� FRQGL]LRQH� FKH� OH� SUHIHUHQ]H� QRQ� YLROLQR� DOFXQH� UHVWUL]LRQL. Aggiungiamo per la precisione che la forma canonica delle funzioni di utilità è VXIILFLHQWH pergarantire l'esistenza di un equilibrio di concorrenza; non è strettamente necessaria, ancheperchè un'eventuale violazione delle ipotesi può trovarsi in un'area dello spazio dei beni nonrilevante per lo scambio.

4.b. l'ottimizzazione sociale

4.b.1. i teoremi fondamentali e l'economia del benessereL'economia del benessere studia il benessere collettivo. Il messaggio riassunto dai

teoremi fondamentali dell'economia del benessere è che la concorrenza porta a risultaticomplessivi buoni, il monopolio a risultati complessivi non buoni: l'analisi modernaconferma così la tesi di Smith della benefica "mano invisibile" associata alla concorrenza, e lasua condanna del monopolio. L'analisi conferma pure la tesi di Hayek: in un sistema diconcorrenza il risultato buono si ottiene grazie all'azione dei singoli che reagiscono solo aiprezzi di mercato, ed è il mercato stesso che coordina tale azioni; il pianificatore Baronianopotrebbe raggiungere risultati simili solo conoscendo le preferenze e le dotazioni di tutti.

Rispetto alla politica economica, ossia all'economia politica nel suo sensoetimologico, la conclusione palese è che lo stato deve mantenere la concorrenza. Questo è ilmessaggio storico del liberismo, nato, lo ricordiamo, come messaggio rivoluzionario: iregimi mercantilisti infatti favorivano i monopoli, e nelle condizioni di allora lo stato dovevaprima di tutto abolire i privilegi e FUHDUH la concorrenza (ricordiamo la legge Le Chapelier del1791, in Francia, che abolì di colpo le antiche corporazioni).

Nell'Italia di oggi il messaggio liberista rimane rivoluzionario, chè lo stato italiano(non a caso il primo fascista) ha continuato a distribuire privilegi e limitare la concorrenza: solo adesso, spinti dall'Europa e lottando a fatica con le nostre tradizioni, ci siamo dotati diun'Autorità garante della libertà economica, e tra mille proteste iniziamo a liberalizzare leprofessioni, il commercio, i trasporti, le comunicazioni...

I teoremi fondamentali precisano però che lo stato deve limitarsi a mantenere la

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concorrenza solo se il sistema dei mercati è completo. Il linguaggio è recente, ed è da pocoche gli economisti considerano LO�SUREOHPD�GHL�PHUFDWL�LQHVLVWHQWL con questa precisa dicitura;ma anche i più accesi fautori dello stato nullafacente dell'Ottocento riconoscevano a questoalcuni funzioni, quali la difesa e la giustizia, che non si potevano ovviamente lasciare almercato. I "fallimenti dei mercati" teorizzati da Pigou nel suo testo del 1920 sono adessoconsiderati, come vedremo, casi particolari di mercati inesistenti, ai quali deve suppliregiustappunto l'azione "allocatrice" dello stato. Nel linguaggio di oggi, dunque, i teoremifondamentali dell'economia del benessere ci dicono che lo stato deve mantenere laconcorrenza, e intervenire come complemento del sistema dei mercati dove questo èincompleto e porterebbe pertanto ad allocazioni migliorabili.

Tutto qui: i teoremi fondamentali dell'economia del benessere non toccano nemmenoil problema della distribuzione del reddito o della ricchezza, che dunque non sarebbefondamentale. Eppure l'ottimizzazione sociale contemplata dal Pigou era strettamente legataal problema della distribuzione, e Pigou stesso sostenne che ("normalmente") unaredistribuzione a favore dei meno abbienti non può che aumentare il benessere collettivo.

Di fatto l'ottimizzazione sociale oggetto dell'economia del benessere è lamassimizzazione di una funzione obiettivo collettiva, che non può trascurare la distribuzione;ma l'analisi di cui sopra questo problema non lo tocca nemmeno, perchè è di fatto un'analisidell'equilibrio economico generale e non del benessere collettivo. Anche l'economia delbenessere è stata formalizzata, come vedremo appresso; ciò che colpisce è che i teoremifondamentali dell'equilibrio generale siano contrabbandanti come teoremi fondamentali"dell'economia del benessere", cosa che assolutamente non sono.

La spiegazione naturale (anche se indimostrabile) di questa apparente assurdità è che èpoliticamente utile. Il problema della distribuzione è infatti il punto dolente del capitalismo;non potendo come vedremo rispondere a Pigou a livello di analisi, gli economisti borghesiapologeti del capitalismo ormai trionfante emarginano l'intera problematica con un espedienteretorico. Se si riuscisse allo stesso modo di far passare come "teorema fondamentale delambientalismo" il teorema che il quadrato dell'ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati deicateti si darebbe allo stesso modo l'impressione che il problema dell'ambiente è senzainteresse.

4.b.2. la funzione obiettivo socialeL'ottimizzazione sociale è il problema che si pone la "oiko-nomia" della "polis".

Viene formalizzata come l'ottimizzazione individuale, ossia come un problema dimassimizzazione vincolata; questo esige ovviamente una funzione obiettivo e una funzionevincolo definiti nello stesso spazio, ossia con gli stessi argomenti.

La funzione obiettivo sociale è la cosidetta "funzione di benessere sociale" o FBS (ininglese "social welfare function" o SWF). Sulla scia della tradizione utilitaristica, cheidentifica l'obiettivo della società con la felicità dei suoi membri, si assume che il benesseresociale sia una data composizione delle utilità individuali, )� �)�8D�8E�. Come al solito,queste funzioni tridimensionali possono essere rappresentate sul piano del foglio, proiettandola terza dimensione sulle altre due con la solita convenzione cartografica. Nei grafici dellaFigura 4.b.2.1 gli assi sono gli argomenti della funzione ), ossia le utilità degli individui; iluoghi di uguali valori di ) sono rappresentati dalle curve di iso-benessere sociale, chepossiamo chiamare "curve d'indifferenza sociale" nello spazio delle utilità.

Notiamo che tali curve sono invarianti a qualsiasi trasformazione monotonica (ossiache mantiene l'ordine) della funzione ), che pertanto può essere considerata ordinale, come lafunzione 8 obiettivo del singolo; ma come si presumono misurabili i beni argomenti di 8, sipresumono misurabili le utilità argomenti di ).

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Si disegna normalmente e più che altro per abitudine una collina di benessere socialetondeggiante, simile a quelle delle utilità, come quella nel grafico (a); ma è ovvio che laforma particolare attribuita a tale funzione ha un suo significato. Per lo stesso Pigou, adesempio, la funzione ) ha la forma "benthamiana" )� � 8$� �� 8%, per cui le curve diindifferenza sociali sono lineari e parallele, e con pendenza uno/uno, come nel grafico (b): leutilità di tutti sono infatti misurate nelle stesse unità, e l'utilità dell'uno è socialmente unsostituto perfetto dell'utilità di un altro. Per lo stato predatore, pure, le curve di indifferenzasociali sono lineari e parallele, ma con pendenza zero o infinita, come nel grafico (c). Talestato ha infatti a cuore il benessere del solo gruppo dirigente, e l'utilità degli altri, come quelladelle bestie, ha peso zero: nel grafico ad esempio )� � 8%, per cui conta l'utilità di %("bianchi") e non quella di $ ("aborigeni"). Sia la funzione benthamiana che quella predatricesono peraltro casi particolari della funzione additiva )� �D8$���E8%, con coefficienti D e Ediversi.

Il caso metodologicamente più interessante è quello del grafico (d), con curve diindifferenza sociali ad angolo acuto, con i vertici lungo una retta che passa per l'origine degliassi. L'angolo formato con gli assi da questa retta specifica il rapporto tra le utilità cui tienequesta società: da qualsiasi punto di questa retta, infatti, una mossa che aumenta l'utilità diuno lasciando invariata l'altra QRQ aumenta il benessere sociale, in sostanza perchè l'aumentodell'utilità media è più che compensato dal peggioramento della distribuzione. In questocaso, ricordando che per gli individui si considerano "strettamente complementari" i beni sele curve di indifferenza sono ad angolo retto, possiamo dire che per la società le utilità degliindividui sono "supercomplementari".

Un esempio è dato dalla funzione )� �8$���8%� ����_8$� ��8%_�: con utilità 5 e 5 ilbenessere è 10, con 6 e 5 è 9, con 6 e 5,5 è 10,5, con 7 e 5,5 è 9,5, con 6 e 6 è 12. Talefunzione si applica a una società che evidentemente preferisce di molto la fratellanza allaricchezza media: come forse la Cina di Mao o la Cuba di Castro, o a livello diverso la madredi due figli poveri che rifiuta il dono che arricchirebbe uno di loro a condizione che l'altrovenga lasciato nella miseria. Con ad esempio )� ��8$���8%� ����_�8$� ��8%_� si rappresentainvece una società che tiene sempre molto al rapporto tra le utilità, ma le vorrebbe appuntonel rapporto 1 a 5: come forse il Sud Africa dell'DSDUWKHLG razzista, o la cattiva matrigna cherifiuterebbe un dono che avvicinerebbe Cenerentola al livello delle figlie.

L'aspetto particolare della supercomplementarietà è che la società come tale puòpreferire situazioni preferite da nessuno dei suoi membri (nel caso della fratellanza, sia $ che% preferirebbero 7 e 5,5 a 5 e 5, ma la società preferirebbe 5 e 5). Questo non esige peraltroche la funzione ) sia imposta da chi decide per gli altri (sia Mao, Castro, o la madre); puòscaturire anche da un contratto sociale, come nel caso delle corporazioni medievali, o anchespesso dei sindacati, che mirano alla parità di guadagno dei membri.

Torneremo sulle funzioni di benessere sociale a proposito della redistribuzione;notiamo solo con quest'ultimo esempio che non rispettano necessariamente il criterioparetiano associato alla non sazietà (criterio che non può ovviamente essere recuperato, comesi vorrebbe per le funzioni di utilità individuali, con lo smaltimento gratuito: il benesseredegli individui è quello che è, e non se ne può buttar via un eventuale eccesso). Ne consegueche lo stesso criterio paretiano non è, come si crede, un criterio oggettivo, "scientifico", senzagiudizi impliciti di valore ("value-free"). Chi affidandosi a tale criterio ritiene che qualsiasimiglioramento per almeno un individuo che non comporti un peggioramento per nessunocomporti necessariamente un miglioramento collettivo limita le forme possibili delle curved'indifferenza sociali, e esprime almeno implicitamente il preciso giudizio di valore che alladistribuzione non si dà molta importanza.

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4.b.3. il vincolo e l’equilibrioLa massimizzazione della funzione obiettivo sociale )� �)�8$�8%�, che nello spazio

�8$�8%� aumenta verso nord-est (anche se non necessariamente, abbiamo detto, verso nord overso est) è ovviamente vincolata direttamente dalla curva delle utilità possibili, che possiamoidentificare con 9� �9�8$�8%�; indirettamente, è vincolata dalla disponibilità dei beni ; e <, edalle funzioni di utilità 8$ e 8% definite sui consumi di quei beni. Nel grafico superiore dellaFigura 4.b.3.1 sono raffigurate nello stesso spazio delle utilità la funzione ), rappresentata daalcune curve di indifferenza sociale, e la funzione 9, la curva delle utilità possibili.

Data due funzioni differenziabili, è ovvio che il massimo di ) dato il vincolo 9corrisponde a un'equivalenza dei tassi marginali di sostituzione, nell'obiettivo e nel vincolo,ossia a un equilibrio di tangenza: nel grafico, l'ottimo sociale corrisponde al punto �. Siccome l'ottimo sociale si trova sul vincolo, e il vincolo è il luogo delle combinazioni diutilità Pareto-efficienti, è ovvio che l'ottimo sociale è Pareto-efficiente.

Il benessere sociale ) è funzione delle utilità, ma queste sono funzioni dei consumiindividuali, per cui il benessere sociale è a sua volta funzione dei consumi individuali. Ingenerale, )� �)�8$�;$�<$���8%�;%�<%��; sostituendo per le utilità si ottiene la funzione cheesprime il benessere direttamente in funzione dei beni ("goods"), )� � )*�;$�<$�;%�<%�. Immaginiamo per fare un esempio usando funzioni semplicissime che )� ���8$���8%�, 8$� �;$����<$�, 8%� ���;%���<%�; con le dovute sostituzioni si ottiene il benessere come funzionedei beni )*� ��;$����<$����;%���<%.

Notiamo tre cose. Primo, questa relazione tra il benessere e i consumi individuali ècomunque mediata dalle funzioni di utilità, per cui se cambia ad esempio 8$ cambia diriflesso anche )*; è ben diversa dunque da un eventuale funzione in cui il benessere sociale èGLUHWWDPHQWH funzione dei consumi individuali, e invariante alle variazioni delle utilitàindividuali ("Mao vuole che tutti portino la divisa blu").

Secondo, e di conseguenza, non si può in generale costruire )* senza misurare leutilità individuali e ponderarle attraverso una funzione ). Il massimo della funzione )* èinfatti invariante a tali misure e tali pesi solo in casi molto particolari: se ad esempio )rispetta il criterio paretiano della non sazietà, $ ama ; e odia perfino l'odore di <, e % ama < eodia perfino l'odore di ;, allora con ;$� �; e <%� �< si massimizzano contemporaneamente8$, 8% e ). Bastano infatti le curve di indifferenza degli individui per identificare ladistribuzione dei beni preferita da ambedue; e se le curve di indifferenza sociale non possonoavere pendenze positive quella distribuzione massimizza ) per qualsiasi ponderazione delleutilità, e dunque per qualsiasi trasformazione monotonica delle stesse.

Terzo, gli argomenti della questa funzione )* si trovano nello spazio dei beni, ossiadella scatola di Edgeworth; questa si può dunque arricchire di una quinta dimensione,verticale rispetto al piano dei beni come le dimensioni utilità, sulla quale misuriamo il livellodi ). Il benessere ) rappresenta dunque una terza collina, che possiamo proiettare nelrettangolo �;�<� usando la solita convenzione cartografica.

Questa terza collina è derivata di fatto dalle altre due: dato il piano della nostrascatola (il tavolo del grafico inferiore della Figura 4.a.1.1) da un punto qualsiasi che definiscele allocazioni dei beni saliamo verticalmente fino a incontrare le due superfici delle utilitàindividuali, di cui misuriamo i valori, per poi inserire questi nella funzione )�8$�8%� eottenere i corrispondente valore di ). Mentre però le due colline delle utilità continuano asalire come ci si allontana dal loro punto di origine, la terza collina, del benessere sociale, hauna sommità all'interno dello spazio della scatola, come nel grafico centrale della Figura4.b.3.1; la proiezione sul piano dei beni si presenta dunque come nel grafico inferiore dellaFigura, con un punto interno di altezza massima, e per le altezza inferiori curve chiuse adanello intorno a questo punto.

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Il grafico inferiore si ricostruisce facilmente da quello superiore, anche perchè giàsappiamo che nessun punto del grafico superiore esterno al vincolo compare in quelloinferiore, mentre ogni punto sul vincolo compare una volta in ambedue i grafici, e ogni puntointerno al vincolo nel grafico superiore compare due volte in quello inferiore. Il punto � dimassimo ) è sul vincolo, e dunque sulla curva dei contratti, come lo sono i punti ����� e �����. Il pezzo della curva d'indifferenza sociale tra i punti � e � nel grafico superiore corrispondenel grafico centrale all'anello di iso-) che passa per i punti � e � della curva dei contratti. Ilpunto � nel grafico superiore, non Pareto-efficiente, è su quella stessa curva di indifferenzasociale, con la stessa utilità per $ che non al punto � e la stessa utilità per % che non al punto�; nel grafico centrale compare ai punti � e ��, alle due intersezioni della curva diindifferenza di $ che passa per � e della curva di indifferenza di % che passa per �, e l'anellodi iso-) che passa per � e � passa dunque per � e ��. E così via.

Notiamo che con curve di indifferenza sociali in pendenza negativa nello spazio delleutilità gli anelli di iso-) hanno curvatura maggiore delle curve di indifferenza individuali, percui l'anello che passa ad esempio per i punti � e � è interno all'area lenticolare definito dallacurva di indifferenza di $ che passa per � e dalla curva di indifferenza di % che passa per �. Con tali curve di indifferenza sociali, infatti, il calo di 8% è compensato da un adeguatoaumento di 8$, e viceversa. Se si spostano i consumatori dalla curva dei contratti al punto �lungo una curva di indifferenza di $ si riduce l'utilità di %, ma non aumentando quella di $cala pure ); per mantenere ) bisogna che aumenti l'utilità di $.

Aggiungiamo a scanso di equivoci che gli anelli di iso-) sono di fatto curve diindifferenza sociali, nello spazio dei beni; ma chiamarle così può creare confusione. Le curvedi indifferenza sociali nello spazio delle utilità, come le curve di indifferenza individuali nellospazio dei beni, rappresentano infatti solo la funzione obiettivo, e sono invarianti permutamenti del vincolo corrispondente. Non così gli anelli di iso-), che sono specifici alvincolo dei beni disponibili e dei gusti dati. Se aumentano le disponibilità di beni, adesempio, si ingrandisce la scatola nello spazio dei beni e si allenta il vincolo nello spaziodelle utilità. Nello spazio dei beni le curve di indifferenza individuali rimangono invariantirispetto ai propri assi; gli anelli di iso-) rimangono invarianti solo rispetto alle combinazionidelle utilità (perchè rimangono invarianti le curve di indifferenza sociali nello spazio delleutilità), per cui si allargano con la scatola. La collina sociale infatti si innalza: il vecchiopunto di massimo pure diventa un anello, e il nuovo massimo più alto si trova all'interno diesso.

4.b.4. i teoremi fondamentali dell'economia politicaSe dunque come abbiamo ipotizzato il benessere collettivo è una composizione delle

utilità individuali, e le composizioni possibili di queste sono vincolate unicamente dallerisorse date, allora il benessere collettivo è a sua volta vincolato dalle allocazioni Pareto-efficienti riassunte dalla curva delle utilità possibili, e l'allocazione che massimizza ilbenessere sociale sarà una particolare di queste. Ricordando il secondo teoremadell'economia del benessere possiamo concludere che se le funzioni di utilità rispettano lenote condizioni LQ� XQ� VLVWHPD� FRPSOHWR� GL�PHUFDWL� ODOORFD]LRQH�PLJOLRUH� SHU� OD� VRFLHWjSXz�HVVHUH�UDJJLXQWD�FRPH�HTXLOLEULR�GL�FRQFRUUHQ]D�SHUIHWWD�GD�H�VROR�GD�GHWHUPLQDWHGLVWULEX]LRQL�GHOOD�ULFFKH]]D. Siccome poi l'allocazione ottimale è solo una di un'infinità diallocazioni Pareto-efficienti e dunque di equilibri concorrenziali, OH� SUREDELOLWj� FKHODOORFD]LRQH� PLJOLRUH� SHU� OD� VRFLHWj� VFDWXULVFD� GD� XQD� GLVWULEX]LRQH� FDVXDOH� GHOODULFFKH]]D� VRQR� LQILQLWHVLPDOL. I teoremi fondamentali dell'economia del benessere sonoquesti; ma siccome quella denominazione è già registrata proponiamo di chiamarli L�WHRUHPLIRQGDPHQWDOL�GHOOHFRQRPLD�SROLWLFD.

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L’analisi dell’equilibrio generale dimostra infatti che un sistema completo di mercaticoncorrenziali (o un sistema incompleto corretto dall'intervento dello stato allocatore) èefficiente nell'adattare l'allocazione delle risorse alla domanda privata, perchè alloca i benidisponibili agli usi con i prezzi di domanda privati più alti; gli usi extramarginali, esclusi,valgono ovviamente di meno, VXO�PHUFDWR, di quelli inframarginali, soddisfatti. I prezzi didomanda privati sono come sappiamo dei benefici marginali privati monetizzati, ossia delleutilità private convertite in dollari attraverso la ponderazione con un coefficiente personaleche scaturisce dall'equilibrio dei singoli e dipende dalla ricchezza ("il reddito"), oltre che daigusti, di ognuno.

Se il benessere sociale è una composizione delle utilità private, i benefici marginali("prezzi di domanda") sociali legati ai divers usi dei beni sono a loro volta gli stessi beneficimarginali privati, convertiti in benefici sociali attraverso i coefficienti attribuiti ad essi dallafunzione di benessere sociale. L'obiettivo è ovviamente quello di allocare i beni disponibiliagli usi con i benefici marginali sociali più alti; lo raggiunge il mercato concorrenziale,altrettanto ovviamente, se la ponderazione privata con la ricchezza corrisponde a quellasociale. Se la distribuzione della ricchezza è buona, dunque, il maggior valore di mercatocorrisponde al maggior valore sociale; o meglio, chiamiamo buona la distribuzione dellaricchezza che porta a quel risultato.

Nella letteratura del vecchio socialismo spicca la critica al sistema di mercato checonvoglia il latte al gattino della signora benestante e ne priva il bambino del povero: l'erroreormai palese di tale critica è quello di attribuire al mercato un risultato non desiderabile che èinvece da imputare unicamente alla cattiva distribuzione della ricchezza. Se infatti ladistribuzione della ricchezza non è buona, il mercato che funziona non può che portare arisultati anch'essi non buoni. Un coltello funziona bene se taglia bene; se è usato perammazzare piuttosto che per tagliare il pane la colpa c'è, ma non è del coltello, che taglia quelche gli si dà da tagliare. Così pure LO�PHUFDWR�q�XQR�VWUXPHQWR�QHXWUR, che adatta l'allocazioneai gusti mediati dalla distribuzione della ricchezza, qualsiasi essa sia; come capirono i"socialisti di mercato" è pertanto XWLOH�D�XQD�VRFLHWj�IRUWHPHQWH�XJXDOLWDULD�FRPH�D�XQD�FRQIRUWL�VSHUHTXD]LRQL.

Per ottenere dal mercato i risultati che vuole (che non sono necessariamenteugualitari), però, la società deve creare una distribuzione della ricchezza compatibile con talirisultati. La "mano invisibile" della concorrenza smithiana porta infatti al raggiungimento diobiettivi collettivi solo se la distribuzione della ricchezza è quella voluta; e siccome non siottiene per caso OR�VWDWR�KD�DQFKH�XQD�IXQ]LRQH�UHGLVWULEXWULFH.

Notiamo che nel contesto del modello, peraltro, la distribuzione della ricchezza èinteramente "a monte" del mercato, perlomeno come allocazione reale, anche se è poi ilmercato che genera (e può cambiare) i prezzi dei beni posseduti. Sfugge dunque interamenteal modello la continua redistribuzione della ricchezza reale che sembra invece caratteristicadelle economie "di mercato": problema centrale per la teoria marxista, ma non come giàsappiamo per la teoria borghese.

4.b.5. l'efficienza economica e l'efficienza paretianaSi consideri la Figura 4.b.5.1, nello spazio delle utilità. Manteniamo inizialmente le

solite ipotesi, e in particolare l'ipotesi che l'unico vincolo al benessere collettivo sia la curvadelle utilità possibili (il vincolo 9�). In tal caso l'allocazione migliore è data dal punto � sutale vincolo, raggiungibile come equilibrio concorrenziale ad esempio dal punto �; se lo statoporta la distribuzione della ricchezza al punto �, il mercato porta poi all'equilibrio desiderato,il cosiddetto "ottimo".

Le cose si complicano in modo interessante se si ipotizza un secondo vincolo,

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qualsiasi, che impedisce il raggiungimento dell’ottimo; nel gergo degli economisti, il migliorpunto effettivamente raggiungibile è allora il "secondo ottimo" (dall'inglese "second best", diuso comune). Nella Figura, ipotizzando il vincolo 9�, l'area raggiungibile è quella interna adambedue i vincoli; il secondo ottimo è dato allora dal punto �, all'interno della curva delleutilità possibili, che non è localmente vincolante. Sarebbero sempre raggiungibili leallocazioni sulla curva delle utilità possibili tra i punti � e �; ma queste sono senza interesse,in quanto comportano un benessere inferiore a quello ottenuto al punto �.

Può essere utile considerare il caso analogo del singolo consumatore concorrenzialeche per qualche secondo vincolo non può raggiungere l'ottimo privato di tangenza tra ilvincolo di spesa e la curva di indifferenza. In tal caso ovviamente ottimizza con una tangenzafra la curva di indifferenza più alta effettivamente raggiungibile e il secondo vincolo, che èquello localmente efficace, senza esaurire la spesa possibile; sarebbe palesemente assurdo daparte sua comprare una combinazione diversa di beni, che lo soddisfa meno, pur di esaurire laspesa.

Tornando alla Figura, immaginiamo che si applichi agli Stati Uniti d'anteguerra, e cheil vincolo politico del momento sia rappresentato non da 9�, che eliminiamo, ma dalladistribuzione della ricchezza esistente, al punto �, che porta con la concorrenza al punto �: sulla curva delle utilità possibili, ma spiazzato rispetto al punto � in modo da lasciare troppo a% ("i benestanti") e troppo poco a $ ("gli altri", i lavoratori). Il punto � sarebbe statoraggiunto riconoscendo i sindacati e compensando la mancanza di ricchezza con il potere dimercato: abbandonando l'equilibrio di concorrenza, ma aumentando il benessere sociale.

Notiamo in merito il cosiddetto (in inglese) "trade-off between equity and efficiency",che si può rendere come la necessità di scegliere tra migliorare la distribuzione e mantenerel'efficienza, garantita dal mercato. Fra gli economisti, e con pochissime voci dissenzienti, tale"trade-off" è un luogo comune, trattato anche da studiosi autorevoli; e porta ovviamente aproporre compromessi in cui si interviene in qualche modo per attenuare la povertàscandalosa, evitando però di toccare più che tanto l'equilibrio efficiente di mercato.

Alla luce di quanto sopra, però, tale "trade-off" è inesistente; che ci si creda dimostraancora una volta la debolezza della logica di fronte alla retorica, e alle preferenze politiche("borghesi", nel caso) che questa determinano. L'efficienza economica sta infatti nelraggiungimento dell'obiettivo di massimizzare il benessere dati i vincoli, ed ètautologicamente desiderabile; l'efficienza degli economisti, paretiana, non lo è, e ne hal'apparenza solo perchè viene chiamata appunto "efficienza". L'efficienza o ottimo di Pareto,cui portano i mercati, è una posizione dalla quale non sono possibili scambi volontari(ulteriori); se si fosse chiamata VWDOOR�SDUHWLDQR a nessuno verrebbe in mente di cercare uncompromesso tra la distribuzione buona e lo stallo.

Che l'equilibrio di mercato concorrenziale sia efficiente nel senso paretiano nonsignifica poi che sia desiderabile, come si è appena visto: raggiungere l'efficienza paretianasignifica solo raggiungere il vincolo che chiamiamo la curva delle utilità possibili, ma il meroraggiungimento di tale vincolo non è un obiettivo, come non è un obiettivo per il singolo ilmero esaurimento della spesa. L'obiettivo in un caso come l'altro è unico (il massimobenessere, la massima utilità); il vincolo delle utilità possibili come il vincolo di spesa è soloun vincolo, e se non è LO vincolo localmente efficace diventa semplicemente irrilevante.

Si nota qui un secondo modo in cui la retorica travisa la logica. L'efficienza paretiananello spazio delle utilità corrisponde al massimo dell'utilità di uno data l'utilità degli altri;corrisponde alla curva delle utilità possibili, che a sua volta corrisponde alla curva deicontratti nella scatola di Edgeworth. In quel contesto, come abbiamo visto, OXQLFR vincoloalle composizioni pareto-efficienti delle utilità è dato dalle risorse diponibili.

Nel contesto del secondo ottimo, però, vi è anche un'altro vincolo. Torniamo alla

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Figura, con i due vincoli 9� e 9�, che abbiamo identificato seguendo la prassi come la curvadelle utilità possibili o luogo dei punti Pareto-efficienti, e l'altro vincolo. Questa prassiretorica è però fuorviante: a ben vedere, se i vincoli sono due, la curva delle utilitàeffettivamente possibili è quella che rispetta ambedue i vincoli, ossia il pezzo di 9� dall'asseverticale fino al punto �, e il pezzo di 9� da quel punto all'asse orizzontale. Non solo: per lostesso motivo i punti Pareto-efficienti, che massimizzano l'utilità dell'uno data l'utilità deglialtri con i vincoli effettivi, si trovano non solo e sempre lungo 9�, che tiene conto solo delvincolo delle risorse, ma solo e sempre sulla curva delle utilità effettivamente possibili, ossiatanto sul pezzo di 9� a sinistra del punto � quanto sul pezzo di 9� a destra di questo. All'interno della stretta logica paretiana, dunque, il punto � su 9� è "efficiente" (di stallo)quanto il punto � o il punto �; e ancora una volta non verrebbe in mente a nessuno di cercareun compromesso tra il punto � "più giusto" e il punto � riconosciuto QRQ "più efficiente".

4.c. considerazioni sull'equilibrio

4.c.1. la natura dell'equilibrio economicoQuesta confusione tra efficienza paretiana con e senza tutti i vincoli rilevanti è una

che la microeconomia si porta appresso: l'abbiamo di fatto già incontrata, senza sottolinearla,ma possiamo adesso riprenderla in considerazione.

Abbiamo detto, ad esempio, che gli equilibri di monopolio semplice sono inefficienti,in quanto non generano tutta la rendita; l'equilibrio è tale che uno scambio ulterioreporterebbe ad un miglioramento per entrambi i contraenti, esattamente come nel disequilibrioiniziale. Ma allora anche l'equilibrio è un disequilibrio, e lo scambio continua: si arriva cosìal monopolio semplice sequenziale, che genera alla fine tutta la rendita. Di fatto il monopoliosemplice non è sequenziale, per l'ovvio motivo che la controparte capirebbe il gioco easpetterebbe i prezzi più bassi: tenendo conto di questo vincolo aggiuntivo, l'equilibrio dimonopolio semplice è davvero un equilibrio. Ma lo è proprio perchè i contratti ulteriori sonodi fatto inconciliabili con quello iniziale; tenuto conto di tutti i vincoli, e non solo dei beni adisposizione, non sono possibili altre mosse paretiane, per cui l'equilibrio raggiunto è di fattoPareto-efficiente.

Allo stesso modo, è facile dimostrare che l'equilibrio di monopolio semplice èdominato, in senso paretiano, da un contratto alternativo, in cui la controparte offre almonopolista un premio se riduce il prezzo a quello concorrenziale: come nel monopoliosequenziale, si tratta di generare, e di spartirsi, tutta la rendita. Ancora una volta, dunque,l'equilibrio di monopolio semplice non sarebbe teoricamente un equilibrio, e verrebbespiazzato da tali contratti alternativi; se non succede è ovviamente perchè "la controparte" delmonopolista è fatta di tanti individui che hanno difficoltà a organizzarsi per proporre talecontratto (e se per caso si organizzano, non hanno poi motivo di proporre quel tipo dicontratto). Ancora una volta, dunque, il monopolio semplice è di fatto un equilibrio proprioperchè da quella posizione non vi sono mosse paretiane.

In sostanza, dunque, si arriva alla conclusione che WXWWL�JOL�HTXLOLEUL�GL�PHUFDWR�VRQRSDUHWLDQL, o non sono equilibri; ma si capiscono come paretiani solo considerando tutti ivincoli del caso. Il punto è particolarmente importante per la microeconomia applicata: iproblemi interessanti sono infatti gli equilibri (le configurazioni mantenute nel tempo) chenon si capiscono subito, perchè a prima vista, ossia utilizzando il semplice modello canonico,sembrano Pareto-inefficienti; si considerano risolti se si identifica il vincolo aggiuntivo, ossial'arricchimento del modello, che spiega perchè di fatto sono Pareto-efficienti.

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4.c.2. la natura dello sfruttamentoIl problema della retorica si ripropone a proposito dello sfruttamento: il vocabolo è

carico di connotati negativi, e ciò che si qualifica come tale è ciò che si vuole condannarecome violazione della giustizia commutativa. Premesso dunque che è sfruttato chi ricevedallo scambio meno del dovuto, possiamo utilizzare gli strumenti analitici di cui sopra peridentificare tre diversi concetti di giustizia, e di sfruttamento, presenti nella letteraturaeconomica.

La posizione più diffusa tra gli economisti moderni ("neoclassici") identifica il giustoprezzo con il prezzo di equilibrio concorrenziale, ricalcando in sostanza la dottrina cristianaelaborata da San Tommaso. In uno scambio volontario, informato, e senza discriminazioneperfetta, ambedue i contraenti ottengono un guadagno; ma si considera sfruttato chi paga unprezzo maggiore, o riceve un prezzo minore, di quello di concorrenza. Nel primo graficodella Figura 4.c.2.1 l'equilibrio di concorrenza è il punto �; l'operatore $ è sfruttato sel'equilibrio è ad esempio al punto �, meno favorevole a $ e più favorevole a % del punto �. Con tali definizioni è ovvio che si esclude lo sfruttamento nei mercati concorrenziali, edunque nel capitalismo concorrenziale; lo si associa invece al monopolio.

Una posizione diversa è adottata da Friedman, abilissimo economista di destra restìo acondannare anche i monopoli privati. Friedman identifica lo sfruttamento con la perditarispetto alla posizione iniziale del contraente, ossia con una mossa non paretiana, come nelsecondo grafico della Figura. Con tale definizione è ovvio che lo spazio per lo sfruttamentoin un'economia di mercato si restringe fin quasi a scomparire: non può esistere nello scambiovolontario informato, nemmeno in regime di monopolio, e richiede dunque o la coercizione, ol'inganno, o come minimo l'ignoranza. Afferma dunque Friedman che il capitalismo anchemonopolistico è un sistema per natura senza sfruttamento.

La posizione speculare a quella di Friedman è quella tradizionale dei marxisti, per iquali il capitalismo comporta lo sfruttamento del lavoro anche se i mercati sonoconcorrenziali. Tale sfruttamento è illustrato nel terzo grafico della Figura; è ovvio checorrisponde direttamente alla differenza tra l'equilibrio reale e quello giusto, che è definito intermini assoluti e non (come dagli altri) in funzione della posizione che precede lo scambio. Per i marxisti i proletari non sono poveri perchè sono sfruttati, sono sfruttati perchè sonopoveri, e sono poveri perchè non possiedono i mezzi di produzione (il capitale) chespetterebbe loro.

4.c.3. la natura della redistribuzioneSi riconsideri la scatola di Edgeworth, completata con gli anelli di iso-) e

l'allocazione particolare che massimizza il benessere. Si può raggiungere quell'allocazioneottimale, si è detto, scegliendo una distribuzione iniziale della ricchezza dalla quale si arriva aquella desiderata attraverso lo scambio concorrenziale.

Una critica a quanto sopra è stata mossa osservando che per scegliere l'allocazioneiniziale giusta in funzione di quella finale desiderata lo stato deve "sapere tutto", comeappunto il pianificatore Baroniano, e che se conosce l'allocazione finale desiderata tanto valeche intervenga per imporre direttamente questa.

La seconda parte di tale critica è ottusa. Nel contesto della scatola di Edgeworth èinfatti ovvio che "tanto vale" imporre direttamente l'allocazione ottimale; dovrebbe esserealtrettanto ovvio che questo è vero perchè abbiamo ipotizzato un'economia di puro scambio,in cui "le risorse" che costituiscono la ricchezza da distribuire sono già beni finali diconsumo, cosa che in realtà non sono. Di fatto, il vantaggio del mercato è quello intuito daSmith, ossia che fa leva sull'interesse privato per raggiungere uno scopo comune; ma questocompare in particolare nella sfera della produzione, che come abbiamo già notato riesce

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difficile da incentivare nei regimi che allocano direttamente i beni finali.Notiamo anche un secondo motivo per cui il giusto oggetto della redistribuzione è la

ricchezza, ossia la proprietà dei fattori di produzione, e non il prodotto. Lo stato può infattilasciare al mercato la produzione, e la distribuzione del prodotto data la ricchezza (anche secon risultati migliorabili se ci sono "fallimenti dei mercati"); non può non intervenire nelladistribuzione stessa della ricchezza.

Si immagini il seguente dialogo, in un paese di recente colonizzazione: "Vattene dallamia terra." "Perchè è tua?" "Perchè l'ho avuta da mio padre." "E lui come l'ha avuta?" "Si èbattuto per averla." "Io per averla sono pronto a battermi con te."

Il punto è che la società civile non può non regolare in qualche modo la trasmissionedella ricchezza da una generazione all'altra; e qualsiasi regola è convenzionale. Nei paesianglosassoni si attribuisce ai morti la capacità di disporre senza limiti, come se fossero ancoravivi; in Italia è disponibile un terzo della proprietà, il resto riservato agli eredi legittimi; lacomunità potrebbe avocare a se l'intera proprietà dei morti, o anche (al rischio di tafferugli)considerarle "res nullius". Lo stato non solo "deve" intervenire come redistributore perottenere la distribuzione desiderata, ma in bene o in male non può comunque evitare diintervenire in chiave redistributiva (e interviene di fatto pesantemente, in tantissimi modi chevedremo meglio poi).

Rimane la prima parte della critica, sulle informazioni necessarie per allocare laricchezza in modo ottimale; e questa suggerisce varie riflessioni. Per un verso, infatti, sembrapiù una critica a Hayek che a Barone: ci dice infatti che per pianificare un equilibrio ottimalecerte informazioni sono necessarie, anche se si usa il mercato come strumento di allocazione. Senza tali informazioni (e l'ottimizzazione della distribuzione sulla base di esse) il mercato"da solo" può al massimo raggiungere l'efficienza paretiana, ma come abbiamo visto questosignifica raggiungere il vincolo piuttosto che l'obiettivo.

All'atto pratico (e anche su questo torneremo), è ovvio che tali informazioni non sonodi fatto disponibili. Anche per questo motivo, l'oggetto della redistribuzione diventa laricchezza (la proprietà, il potere di mercato, il "capitale umano" creato anche dalla scolarità)in se stessa: non potendo conoscere i gusti e le capacità di godimento si cerca insomma di fargiustizia sulle possibilità offerte ai singoli, ossia sui vincoli, piuttosto che sugli equilibrifinali.

4.c.4. la natura dei gusti e del progressoIl progresso è l'aumento del benessere, che consideriamo sempre come una

composizione delle utilità private. Nel modello contemplato il benessere raggiungibile èlimitato dalle disponibilità dei beni, date le funzioni di utilità: si massimizza )� )�8$�;$�<$���8%�;%�<%��, soggetto al vincolo che sono date le somme dei consumi individuali; e <. Da un massimo di ), dunque, l'unico modo di aumentarlo è quello di allentare ilvincolo aumentando la disponibilità dei beni. Il messaggio pratico è che lo stato devefavorire l'aumento della produzione; non a caso l'indicatore pratico del progresso è l'aumentodel Prodotto Interno Lordo, complessivo o pro capite.

Tralasciamo in questa sede i problemi delle statistiche macroeconomiche, e delleconvenzioni contabili che fanno del Prodotto Interno Lordo una misura assai imperfetta dellastessa produzione (non contando ad esempio i danni ambientali); e dovrebbe essere inutileripetere che l'aumento della produzione non migliora necessariamente il benessere. Cisoffermiamo invece sull'impostazione stessa del problema, che non è, come potrebbesembrare, priva di contenuto politico.

Immaginiamo per essere più precisi che le IXQ]LRQL� GL� XWLOLWj non siano date, ma inqualche modo PDQLSRODELOL. Nelle economie capitaliste vi è infatti l'industria della

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pubblicità; questa potrebbe essere dedicata non solo a informare i consumatori, ma anche amodificarne i gusti, descrivendo il "di più" in modo da rendere meno soddisfacente ciò chegià si consuma. In questa prospettiva il sistema capitalista sembrerebbe efficientissimo nelprodurre beni, ma poco efficiente nel trasformarli in utilità e dunque in benessere: comeaumentano ; e < e si sale più in alto sulle colline di utilità le stesse colline si abbassano, e ilguadagno netto di utilità, se c'è, è comunque ridimensionato.

Alcuni studi di psicologia economica portano ad una versione radicale di taleargomento, associando il livello di benessere individuale ("l'utilità") non ai risultati raggiunti,ma al rapporto tra i risultati raggiunti e quelli attesi: sta bene insomma chi sta meglio delprevisto, e male chi sta peggio del previsto, a prescindere dal livello effettivamente raggiunto. Sono stati dunque felici gli americani negli anni Cinquanta e Sessanta, perchè erano cresciutidurante la Grande Depressione, si aspettavano la miseria, e hanno trovato l'agiatezza; sonostati infelici nei decenni successivi perchè quelli erano cresciuti nel dopoguerra, siaspettavano un continuo rapido sviluppo, e hanno trovato i bassi tassi di crescita dalla crisidel petrolio fin quasi alla fine del secolo; adesso, come testimonia la Borsa, sono euforici... Se così è, la crescita economica come tale non aumenta il benessere, se non nella fase iniziale,quando scompare la fame.

Riconsideriamo pure la Cina di Mao, che aveva anche le sue campagneproduttivistiche (il "Grande Salto in Avanti"), ma soffermiamoci sui consumi limitati ("riso edivisa blu"). Escludiamo per ipotesi che fossero il riflesso di una funzione di benesseresociale definita direttamente sui beni ("Mao vuole che tutti portino la divisa blu"), econserviamo l'ipotesi del benessere composizione delle utilità individuali. Si prospettal'ipotesi alternativa che il comunismo cinese fosse anche in questo speculare al capitalismooccidentale, e che la pubblicità di stato ("la divisa blu è bella") fosse mirata a rendere SL�soddisfacente ciò che già si consumava: in sostanza, a rendere più efficiente non (solo) laproduzione di beni, ma la loro trasformazione in utilità e dunque in benessere.

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5. L’EQUILIBRIO GENERALE: IMPRESA E INDUSTRIA IN UN SISTEMA DIMERCATI

5.a. l’economia di produzione

5.a.1. i mercati e l’arbitraggioAbbiamo considerato finora l’equilibrio del singolo consumatore, e di un’economia di

puro scambio fra consumatori. Allarghiamo adesso il discorso alla produzione, perconsiderare l’equilibrio dei singoli produttori, e poi di un’economia di produttori econsumatori.

Produttori e consumatori, e non solo. L’economia di mercato dei modellimicroeconomici è infatti animata da una molteplicità di LPSUHQGLWRUL, puri e quasi fantomaticiprocacciatori di guadagni di DUELWUDJJLR; la loro attività (e concorrenza) rende coerente ilsistema dei prezzi, e fa scomparire i loro stessi guadagni. L'esempio canonico dell'arbitraggioci viene dal mercato delle valute: se il dollaro vale poniamo lire 1.900, e la sterlina lire 3.100o $1.40, ci si può rapidamente arricchire trasformando 1.900.000 lire in $1.000, questi in£714,29, e queste in 2.214.286 lire, ripetendo l'operazione all'infinito. Queste stesseoperazioni però creano una domanda netta di dollari contro lire, che porta il dollaro oltre le1.900 lire; di sterline contro dollari, che porta la sterlina oltre $1.40; e di lire contro sterline,che porta la sterlina sotto 3.100 lire. L'operazione continua finchè non si raggiunge adesempio $1 = 2.000 lire, £1 = 3.000 lire, e £1 = $1.50, che è appunto una configurazione diequilibrio con guadagni da arbitraggio nulli.

Va sottolineato che OHTXLOLEULR� GL� XQ� VLVWHPD� GL� PHUFDWL� VL� LGHQWLILFD appunto FRQOHOLPLQD]LRQH�GHL�JXDGDJQL�GL�DUELWUDJJLR. Questa definizione dell'equilibrio implica a suavolta quanto già detto, che gli equilibri di mercato sono necessariamente Pareto-efficienti(tenuto conto di tutti i vincoli del caso). Infatti in un economia di puro scambio, e con l'unicovincolo delle risorse, la diversità dei tassi marginali di sostituzione dei diversi consumatoricrea opportunità di arbitraggio: se una mela è l'equivalente di due banane per $ e di trebanane per %, un imprenditore si può arricchire prendendo in prestito una mela, scambiandolacon % con tre banane, scambiando due di queste con $ per la mela che deve restituire, elucrando dunque una banana, per poi ripetere l'operazione; ma l'arbitraggio stesso sposta iconsumi in modo da far convergere i tassi marginali di sostituzione (i consumi di $ varianonella direzione "più banane, meno mele", per cui per $ aumenterà il valore in banane di ognimela; i consumi di % variano in modo speculare). Quando questi tassi sono uguali non cisono più guadagni di arbitraggio, e il consumo è Pareto-efficiente: si è raggiunto l'equilibrio.

Oggi, e grazie anche allo sviluppo della telematica, gli economisti consideranol'arbitraggio, e dunque il raggiungimento dell'equilibrio, praticamente istantaneo. Uneconomista, si racconta, passeggiava con un amico per le vie della città. A un certo puntol'amico vede per terra un biglietto di banca e esclama: "Guarda! Un biglietto da 100.000lire!" Risponde l'economista: "Impossibile. Se ci fosse veramente, qualcuno l'avrebbe giàraccolto."

5.a.2. la produzione e l'impresaLa SURGX]LRQH è una forma di arbitraggio, attraverso la modifica utile delle

caratteristiche che definiscono i beni, ossia la trasformazione di beni in altri beni; anche qui,dunque, l'equilibrio si raggiunge quando svaniscono i guadagni dall'arbitraggio. Lecaratteristiche che definiscono i beni comprendono a loro volta non solo gli aspetti fisico-chimici ma anche il tempo e il luogo (a meno che queste dimensioni non siano vanificate,ossia ridotte a un unico punto, l'una da tassi di sconto nulli e l'altra da costi di trasporto nulli).

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La produzione comprende pertanto non solo le trasformazioni materiali, come lariconfigurazione delle fibre della lana greggia in filato e poi in tessuto, ma anche letrasformazioni nel tempo e nello spazio. Il commercio è dunque "produttivo" quantol'agricoltura o l'industria, proprio perchè sono beni diversi gli stessi tessuti di lana a Bresciapiuttosto che a Biella, o nel 2000 piuttosto che nel 1999.

La produzione è gestita dalle LPSUHVH: queste sono organizzazioni dirette da unimprenditore e dedite appunto alla produzione a fine di lucro. Le decisioni che determinanol'equilibrio economico sono prese dunque (prescindendo per ora dall'intervento pubblico) daun lato dalle imprese ("i produttori"), dall'altro dalle famiglie ("i consumatori"); le une comele altre operano scelte formalizzate come ottimizzazioni vincolate, e l'impresa produce benicome il consumatore "produce utilità".

La differenza di "prodotto" tra l'impresa e il consumatore è però fondamentale, sottodue profili. Primo, il prodotto dell'impresa si misura senza problemi, con un punto zero eun'unità di misura ben definiti, per cui all'interno della produzione non si pongono i problemiche hanno portato a ragionare sulle utilità in termini ordinali. Secondo, l'utilità deiconsumatori è l'argomento diretto della funzione di benessere sociale, mentre il bene prodottodall'impresa incide sul benessere sociale solo attraverso l'utilità che rende nel consumo: sipuò dire dunque, se si vuole, che lo stato-associazione è lo stato delle famiglie consumatrici enon delle imprese produttrici, per cui queste sono puramente strumentali. In pratica, dunque,all'interno della logica del modello microeconomico il benessere del consumatore èimportante, e ci si preoccupa se il consumatore "sta male"; il benessere dell'impresa èirrilevante, e non ci si preoccupa minimamente se questa "sta male" e magari muore.

5.a.3. i beni, i servizi e i mercatiLa produzione gestita dalle imprese è una trasformazione onerosa: per produrre beni

si consumano i IDWWRUL� GL� SURGX]LRQH rappresentati da altri EHQL (la materia prima, ilcarburante), e dai VHUYL]L resi dal capitale produttivo (gli edifici, i macchinari) e dal lavoro. La distinzione tra i beni e i servizi consumati dalla produzione corrisponde a sua volta alladistinzione tra EHQL�QRQ�GXUHYROL e EHQL�GXUHYROL. Si chiamano infatti "non durevoli" i beniche sono distrutti nell'essere usati: cucinando un pezzo di carne, ossia producendo un pezzodi carne cotta, io distruggo un pezzo di carne cruda e il metano bruciato. Si chiamano invece"durevoli" i beni che non sono distrutti nell'essere usati: cucinando un pezzo di carne, se nonsono un imbranato grave, non distruggo la bistecchiera e la cucina a gas, e non ci rimetto lapelle. Cucinando, dunque, consumo la materia prima e il carburante; consumo altresì non ilmacchinario, gli utensili, e il lavoratore, che sono appunto durevoli, ma i loro servizi. Iservizi sono ovviamente non durevoli, in quanto si creano e si consumano nel momentodell'uso.

I beni non durevoli e i servizi si distinguono inoltre in LQWHUPHGL, che sono o sarannoassorbiti in una trasformazione successiva (il filato di lana), e ILQDOL, se assorbiti direttamentedal consumo; i beni durevoli, che sono tutti finali, si distinguono in beni finali di produzione(il telaio), e finali di consumo (il tessuto). Nel modello di base, e nella prassi della contabilitànazionale, si tende a considerare la famiglia specializzata nel consumo come l'impresa èspecializzata nella produzione, per cui si considerano beni finali di consumo quelli acquistatidalle famiglie piuttosto che quelli effettivamente consumati. Di fatto, come era implicitonell'esempio di cui sopra, i beni "finali" di consumo spesso non sono di fatto tali, e buonaparte della produzione avviene all'interno delle famiglie. Al supermercato, per l'appunto, sicompra la carne cruda; il bene di consumo è la carne cotta portata a tavola, e latrasformazione finale se non è opera di un impresa (il ristorante) è opera della stessa famiglia. La divisione della produzione tra imprese e famiglie (e non solo) è un problema interessante,

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sul quale torneremo; per ora, però, ipotizziamo un mondo semplificato, in cui solo le imprese"producono", e le famiglie ... mangiano carne cruda.

In un'economia di produzione compaiono dunque vari tipi di mercati; è utile inparticolare distinguere i mercati LQWHUQL�DO�PRQGR�GHOOH�LPSUHVH, i mercati di LQWHUIDFFLD�WUD�OHLPSUHVH�H�OH�IDPLJOLH, e i mercati LQWHUQL�DO�PRQGR�GHOOH�IDPLJOLH. Questi ultimi sono mercati"secondari", in cui vengono scambiati beni non di nuova fabbricazione. I secondi si dividonoa loro volta in due: comprendono da un lato i mercati dei beni finali di consumo, vendutidalle imprese alle famiglie, e dall'altro i mercati in cui le famiglie vendono alle imprese iservizi dei fattori (ossia affittano alle imprese i fattori) di loro proprietà, come appunto illavoro. Nei primi, tra le imprese, vengono scambiati ovviamente i beni non durevoli dettiappunto intermedi.

Per i beni finali di produzione, che rappresentano il capitale produttivo, bisognaspendere una parola in più. Di fatto, questi vengono normalmente venduti dall'impresa che liproduce all'impresa che poi ne consuma i servizi; e come vedremo la stessa analisieconomica, condizionata dall'ambiente nel quale si è sviluppata, tende a identificarel'imprenditore proprietario dell'impresa con il capitalista proprietario della fabbrica e deimacchinari. Sui motivi di questa identità di fatto torneremo; per ora notiamo soltanto che laproprietà dei fattori di produzione durevoli è logicamente distinta dall'uso dei loro servizi, equesto vale per la terra, gli edifici, e le macchine come per il lavoro. L'impresa puraproduttrice compra solo ciò che consuma, ossia i beni intermedi e L�VHUYL]L del capitale e dellavoro; l'impresa produttrice e proprietaria del capitale (o, nei tempi, dei lavoratori schiavi) èuna forma ibrida. In un sistema di mercati completo, le imprese sono esclusivamenteproduttrici, la proprietà dei beni durevoli è esclusivamente delle famiglie; tutti i beni finalisono allora venduti dalle imprese alle famiglie, e tutti i servizi dei fattori di produzionedurevoli, ossia i servizi del capitale non meno del lavoro, sono venduti dalle famiglie alleimprese.

5.a.4. l'industriaSi chiama poi LQGXVWULD l'insieme di imprese che producono "lo stesso bene". Le

definizioni in merito sono ovviamente arbitrarie, in quanto più o meno aggregate: si puòconsiderare ad esempio "l'industria laniera" o la più ampia "industria tessile". In sensoetimologico, il monopolista è l'unico che (produce e) vende un certo bene; ma proprio perchèla definizione del bene è arbitraria quanto quella dell'industria (il tessuto? il tessuto di lana? il tessuto di lana pettinata? un certo tessuto di lana pettinata?) la definizione etimologica dimonopolio serve più che altro ad arricchire avvocati e "esperti" nelle cause anti-trust, e glieconomisti preferiscono identificare il monopolio con il potere di mercato (e di fatto per ilvenditore con il rapporto tra prezzo e beneficio marginale, funzione dell'elasticità delladomanda, e per il compratore con il rapporto tra prezzo e costo marginale, funzionedell'elasticità dell'offerta).

Nei limiti dell'arbitrarietà delle definizioni, e ricordandoci che alla fine ciò che conta èappunto l'elasticità della domanda e dell'offerta per le singole imprese o per particolari"industrie", i IDWWRUL� GL� SURGX]LRQH si possono a loro volta distinguere in JHQHULFL, ossiacomuni a più industrie (il carburante); VSHFLILFL� DOOLQGXVWULD, come le materie prime chedefiniscono i beni prodotti (la lana per l'industria laniera); o anche VSHFLILFL�DOOLPSUHVD. Illavoro era tradizionalmente considerato un fattore assolutamente generico; si riconosceadesso che è tale invece solo lo sforzo fisico, che è appunto ciò che utilizzava in passato lagrande industria che chiedeva agli operai (immigrati dalle campagne se non addirittura daaltri paesi) solo la ripetizione di qualche semplice gesto. L'industria di oggi, come quellatradizionale dell'artigianato, chiede agli addetti anche e massimamente uno sforzo

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intellettuale, che esige a sua volta un bagaglio di conoscenze. Questo bagaglio viene oggichiamato FDSLWDOH� XPDQR: è in parte generico (sapere leggere), in parte sicuramentepreponderante specifico all'industria (sapere controllare un telaio), in parte pure specificoall'impresa (sapere a chi rivolgersi se il telaio si blocca).

Bisogna tener presente che nella prassi, gli economisti chiamano un'industria"concorrenziale" se è composta da imprese concorrenziali, "monopolistica" se concentrata inun'unica impresa, "oligopolistica" se concentrata in poche imprese (dal greco "oligo-" chesignifica appunto "poco"), o anche, come vedremo, "di concorrenza monopolistica" secomposta da numerose imprese dotate di potere di mercato. Notiamo in merito due stranezze: la prima, generale, è il miscuglio di definizioni etimologiche e funzionali; e la seconda,particolare, è l'incongruenza tra il significato di "concorrenziale" se riferito all'impresa da unlato, e all'industria dall'altro.

L'impresa "concorrenziale" non ha potere di mercato; l'industria "concorrenziale" haquasi inevitabilmente potere di mercato, a due livelli. Nel mercato del bene prodotto, laquantità complessiva prodotta è quella prodotta dall'industria, per definizione di questa; sel'industria ha di fronte una normale curva di domanda a pendenza negativa, il prezzo variacon la quantità prodotta dall'industria, e l'industria ha potere di mercato nel mercato in cuivende. Questo è vero anche per l'industria comunemente detta concorrenziale, ossiacomposta di imprese senza potere di mercato; l'industria sarebbe invece essa stessa"concorrenziale", nel senso di essere priva di potere di mercato, solo se si trovasse a produrreun bene con sostituti perfetti, e in quantità talmente limitate da non influire sul prezzo diquesti. In una piccola economia aperta, possono essere tali tutte le industrie, per le quali sonoparametrici i prezzi del mercato mondiale; ma in un'economia chiusa (o aperta ma grande) èdifficile immaginare un industria senza potere si mercato (se non quella, appunto moltoparticolare, dei soldi falsi).

L'industria è anche, proprio perchè l'unica produttrice di un bene, l'unica acquirentedei fattori di produzione ad essa specifici, fra cui in particolare la materia prima che definisceil bene e l'industria ("l'industria laniera"); anche l'industria "concorrenziale", ossia compostadi imprese concorrenziali, ha dunque tipicamente di fronte una o più curve di offerta inpendenza. Sono invece prive di potere nei mercati dei fattori di produzione due tipi diindustrie: da un lato, come per il bene prodotto, le industrie di piccole economie aperte, chenon influiscono sui prezzi mondiali dei fattori di produzione specifici all'industria mondialema non alla singola industria locale; dall'altro, anche in un'economia grande o chiusa, leindustrie piccole che non usano fattori specifici, ma solo materie prime, macchinari, e lavoroassolutamente generici o perlomeno specifici a industrie molto molto più grandi. Un esempiopotrebbe essere l'industria dei pulisci-parabrezza ai semafori.

Il significato di tutto ciò è che i prezzi di vendita e almeno alcuni dei prezzi diacquisto che interessano una qualsiasi produzione, anche se parametrici per le singoleimprese, concorrenziali, raramente rimangono parametrici per l'insieme delle imprese, ossial'industria, anche "concorrenziale". L'analisi dell'equilibrio in un economia di produzionedeve dunque tener conto non solo della reazione della singola impresa ai movimenti deiprezzi, ma anche della reazione dei prezzi ai mutamenti della produzione, e dunque dellevendite e degli acquisti, dell'insieme delle imprese.

5.a.5. il modello dell'impresaLa teoria dell'impresa che è parte integrale della teoria dei prezzi e dell'equilibrio

generale è in verità molto riduttiva. Non si chiede infatti nè come è organizzata al suointerno, nè perchè occupa quello spazio preciso (ad esempio perchè dalla lana greggia alfilato, piuttosto che dal filato al tessuto o direttamente dalla lana greggia al tessuto; perchè

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quel filato, piuttosto che un altro): l’impresa se esiste esiste e basta, nello spazio tra varimercati dati.

In questo spazio opera delle scelte, di cui si esamina la logica, con strumentiovviamente strettamente affini a quelli già sviluppati per esaminare le scelte dei consumatori. Le scelte dell'impresa di particolare interesse sono FRPH�SURGXUUH, e TXDQWR� SURGXUUH (manon "cosa" e "a partire da cosa" produrre, deciso a monte).

Queste due scelte si articolano peraltro in tre momenti. Si immagina infatti comevedremo un primo momento, in cui l'impresa definisce all'interno dell'universo dei modipossibili di operare il sottoinsieme dei modi WHFQLFDPHQWH�HIILFLHQWL: definisce cioè, in gergo,la IXQ]LRQH�GL�SURGX]LRQH. In un secondo momento, e sulla base dei costi marginali dei fattoridi produzione, identifica all'interno di questo sottoinsieme di combinazioni tecnicamenteefficienti quelle che PLQLPL]]DQR� L� FRVWL per ogni livello di produzione: definisce cioè laIXQ]LRQH�GHL�FRVWL. Si arriva così, in due tappe, a decidere "come produrre".

Avendo stabilito così il costo della produzione per ogni livello di attività, l'impresaidentifica i suoi costi marginali, e dunque la sua curva di offerta. Identifica a parte i ricavimarginali dalla vendita del prodotto; e in funzione dei costi e dei ricavi marginali sceglie illivello di attività che PDVVLPL]]D� LO� SURILWWR. Decide così "quanto produrre", ossia quantocomprare dei vari fattori di produzione e quanto prodotto vendere; e definisce così il suoequilibrio.

Segnaliamo subito che la contabilità dei costi e dei profitti economici non è quelladelle aziende e delle leggi fiscali. Gli economisti (ma non le aziende) comprendono infattinei costi la remunerazione necessaria del capitale azionario, e, nel caso, del proprietario-manager, che si identifica con la remunerazione normale, "di mercato": infatti se l'impresanon raggiunge quelle norme il capitale e il proprietario-manager l'abbandoneranno pertrasferirsi altrove. Data questa definizione onnicomprensiva dei costi, il SURILWWR deglieconomisti è un puro surplus, ossia una UHQGLWD: precisamente ciò che si può togliere senzaperdere i servizi dei fattori utilizzati. Sulla base di tali definizioni gli economisti identificanogli equilibri di mercato con OD]]HUDPHQWR�GHL�SURILWWL grazie appunto alla concorrenza tra gliimprenditori per i guadagni di arbitraggio.

La funzione dei costi dipende dunque esplicitamente dai prezzi dei fattori diproduzione (o dalle funzioni prezzo-quantità, se l'impresa ha potere di mercato in queimercati), e l'equilibrio dipende pure dal prezzo del prodotto (o dalla funzione prezzo-quantità,sempre se l'impresa ha potere di mercato in quel mercato); ma l'equilibrio sarà sempre unpunto sulla funzione dei costi, e la funzione dei costi corrisponderà sempre a un sottoinsiemedella funzione di produzione. La determinazione della funzione di produzione prescindeinvece dai prezzi (o dalle funzioni prezzo-quantità) dei fattori di produzione e del bene; difatto, però, presume che i prezzi dei fattori siano positivi, per cui l'inefficienza tecnicasignifica un aggravio dei costi e una riduzione di profitto.

Logicamente, è ovvio che la massimizzazione del profitto richiede e dunque implicala minimizzazione dei costi, e questa, a sua volta, l'efficienza tecnica. Sempre logicamente,non è vero il contrario: un'impresa potrebbe teoricamente cercare l'efficienza tecnica, ossiaevitare lo spreco puro, per poi scegliere di produrre con una tecnica che (con i prezzi vigentidei fattori di produzione) non minimizza i costi; potrebbe minimizzare i costi, ma poiscegliere di produrre una quantità di prodotto che (date le condizioni del mercato) nonmassimizza i profitti. Di fatto, però, è difficile giustificare la ricerca dell'efficienza tecnica ela minimizzazione dei costi se non in funzione della massimizzazione dei profitti; il mondo èinfatti pieno di organizzazioni che non avendo l'obiettivo del lucro non s'impegnano poi acontenere i costi...

L'impresa, comunque, massimizza il profitto, almeno per ipotesi; e l'ipotesi stessa si

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può giustificare in vari modi. Una giustificazione possibile, weberiana (e dunque non pocodatata), si appella alla psicologia calvinista: l'imprenditore massimizza il profitto perchèl'accumulazione è il segno che la sua opera è gradita a Dio, e dunque l'utilità dipendedall'accumulazione piuttosto che dal consumo (in particolare di tempo libero, a scapito delprofitto). Una seconda giustificazione, più recente, deriva invece dall'ipotesi dellaseparazione tra azionisti e managers: gli azionisti, coinvolti solo come proprietari, sonointeressati solo al profitto, e dunque danno ai mangers il mandato di massimizzarlo. Unaterza giustificazione è quella darwiniana: se la concorrenza fra gli imprenditori porta aequilibri con costi minimi e profitti nulli, saranno appunto nulli, nell'equilibrio di mercato, iprofitti di chi li massimizza; chi non massimizza i profitti si ritrova con profitti negativi, ossianon copre i costi, e dunque fallisce. Non c'è bisogno di ipotizzare un imprenditore calvinista,virtuoso: lo stesso mercato fa di virtù necessità.

Un esempio lampante di ciò è dato dalla "Society for the Propagation of the Gospel",associazione di protestanti inglesi che nel primo Ottocento era all'avanguardia dell'agitazioneanti-schiavista. Fortuna volle che per un lascito testamentario la SPG si trovò proprietaria diuna piantagione di canna da zucchero nei Caraibi; e decise coerentemente di trattare i proprischiavi con umanità. Purtroppo--ed è per questo che le piantagioni assomigliavano ai campidi lavoro hitleriani--la brutalità aumentava la produttività degli schiavi in quei lavori pesanti: la SPG si trovò rapidamente con una produttività minore di quella che determinava sulmercato il costo e i prezzo dello zucchero, e dunque la sua piantagione chiudeva in perdita. Dovendo scegliere tra il fallimento e la brutalità, la SPG si adeguò e riprese l'uso della frusta.

5.b. la funzione di produzione

5.b.1. le cernite paretianeLa funzione di produzione è una relazione tra il prodotto 4 e i fattori di produzione,

che sono di fatto numerosissimi, e comprendono perlomeno una materia prima, deglistrumenti, e il lavoro; per le nostre solite esigenze cartografiche ipotizziamo che questi sianosolo due, "il capitale" . e "il lavoro" /. Ricordiamo che la relazione è tra unità fisicheomogenee: "il capitale" è dunque non una somma di danaro ma un certo tipo ben definito distrumento.

Questa "funzione di produzione", abbiamo detto, è il luogo delle combinazionitecnicamente efficienti, determinata da una (molteplice) cernita paretiana. Si consideri laFigura 5.b.1.1: misuriamo sugli assi del grafico il consumo dei due fattori, e sul terzo asseperpendicolare al piano del foglio la terza variabile, il prodotto, esso pure perfettamente eoggettivamente misurabile. Le variabili sono tutte riferite a flussi per un'unità di tempo: consumando ogni giorno i servizi di /� lavoratori e di .� strumenti si ottiene 4� prodotto algiorno. Ipotizziamo che il prodotto sia il movimento di terra (in metri cubi), e che l'unità dicapitale sia il badile: il punto ����� rappresentato nel grafico superiore della Figuracorrisponde dunque all'uso di due lavoratori e un badile per unità di tempo.

A questa combinazione di fattori corrispondono una serie di prodotti: bassissimo se ilavoratori usano il badile come poggiatesta per riposarsi, maggiore se uno lo usa tenendoloalla rovescia, ancora maggiore se uno lo usa tenendolo per il manico mentre l'altro lo guarda,massimo se ambedue lo usano a modo con turni sfasati. La prima cernita paretiana è traqueste varie combinazioni di fattori e di prodotti; essendo sempre gli stessi i fattori, lacombinazione non dominata è ovviamente quella con il prodotto massimo, pari, poniamo, a10 metri cubi.

La seconda cernita paretiana è tra i punti definiti dalla prima. La combinazione

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ottenuta, pari a �������� domina in senso paretiano tutti punti tra nord e est, ossia con .�!��e/o /� !� �, che non comportino 4� !� ��; sarebbe a sua volta dominata da qualsiasicombinazione tra sud e ovest, ossia con .���� e/o /����, che comportino 4� ��� (e a fortiori4�!���). Se la combinazione �������� sopravvive a questa seconda cernita, è ovvio che trasud e ovest dal punto ����� si trovano solo valori di 4 inferiori a 10; tra nord e est da quelpunto, per lo stesso motivo, sopravvivono solo combinazioni con 4 superiore a 10. Le altrecombinazioni con 4� ��� che sopravvivono perchè non sono dominate sono ovviamente tranord e ovest o tra est e sud: non rendono di più e consumano più di un fattore, maconsumano meno dell'altro.

Il risultato di questa seconda cernità è dunque per ogni livello di prodotto una serie dipunti, ognuno a nord-ovest o sud-est degli altri, collegati da una serie di scalini definiti dallesemirette che dagli stessi punti vanno verso nord e verso est, come nel grafico inferiore dellaFigura. Nel caso, ipotizziamo che alla seconda cernita sopravvivano, per 4� ����, i tre punti$, % e &, con consumi di fattori pari rispettivamente a �������, a ������ e a ������. Questi trepunti corrispondono a tre WHFQLFKH�HOHPHQWDUL�GL�SURGX]LRQH, definite dal rapporto tra i fattori: �.�/� è pari a 0,5 (unità di . per unità di /: badili/uomo) per il primo, a 0,25 per il secondo,e a 0,125 per il terzo.

La terza cernita paretiana è tra i punti, e le corrispondenti tecniche elementari, definitidalla seconda. Immaginiamo a questo punto che queste tecniche siano D�UHQGLPHQWL�GL�VFDODFRVWDQWL, ossia che se moltiplichiamo . e / per una costante F (a .�/ dunque invariato) ilprodotto pure si moltiplica per F. Graficamente, nello spazio dei fattori le variazioni di scalasono movimenti lungo un raggio dal punto di origine, la pendenza del quale definisce appuntoil rapporto, costante, fra i fattori; la costanza dei rendimenti di scala significa che lungo taleraggio (ossia variando entrambi i fattori in modo da mantenere costante il loro rapporto) lasezione della collina della produzione è una retta che passa per il punto di origine, come nelgrafico superiore della Figura 5.b.1.2.

Rapportando la produzione 4 ad un fattore di produzione, ad esempio /, si puòcalcolare la SURGXWWLYLWj media, �4�/�, e marginale, �G4�G/�. Nei mutamenti di scala lavariazione è in tutti i fattori in modo da mantenere le loro proporzioni, come se variasse l'usodi un fattore composito 1� ��D.���/�. La produttività media e la produttività marginale ditale fattore composito sono ovviamente �4�1� e �G4�G1�; i rendimenti di scala sono appuntocostanti se queste due produttività sono sempre uguali e (dunque) costanti.

Il grafico inferiore della Figura riprende il grafico inferiore della Figura precedente perillustrare la terza cernita nel caso appunto dei rendimenti di scala costanti. In tal caso, sipossono ottenere 100 unità di prodotto non solo con le combinazioni di fattori corrispondentia $, % e &, ossia usando una sola delle tre tecniche disponibili, ma anche con le combinazionidi fattori corrispondenti ai segmenti di retta che uniscono questi tre punti, usandocontemporaneamente tecniche diverse. Producendo ad esempio 50 unità con la prima tecnicae 50 con la seconda si utilizzano complessivamente 9,5 unità di capitale e 28 di lavoro, checorrisponde al punto a metà tra $ e % (ottenuto graficamente costruendo un parallelogrammasui due segmenti corrispondenti alle tecniche utilizzate: l'apice ; corrisponde a sua voltaall'uso complessivo dei fattori). Nel caso, la combinazione di particolare interesse è quella frala prima e la terza, che genera punti tra $ e & che dominano %: producendo ad esempio 50unità con la prima tecnica e 50 con la terza si producono 100 unità in tutto con solo 30 unitàdi lavoro e 7,5 di capitale, ossia al punto <, contro le 36 e 9 della seconda tecnica. Il punto %viene dunque eliminato non da $ o da & ma da ambedue insieme; e così l'intero raggiocorrispondente alla seconda tecnica.

Alla fine di questa terza cernita, i luoghi dei punti efficienti di produzione uguale oLVRTXDQWL sono le spezzate illustrate nella Figura 5.b.1.3. Con due tecniche elementari

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efficienti, come nel primo grafico della Figura, sono composti da una semi-retta verticale, unasemi-retta orizzontale, e, con rendimenti di scala costanti, il segmento di retta a pendenzanegativa fra di esse. Se invece di due le tecniche efficienti (non dominate da combinazioni dialtre) e a rendimenti costanti fossero quattro, l’isoquanto sarebbe composto dalle due semi-rette parallelle agli assi e da tre segmenti di retta a pendenza negativa e decrescente, come nelsecondo grafico della Figura. Più sono numerose le tecniche efficienti, più sono numerosi, ecorti, i segmenti dell'isoquanto a pendenza costante; al limite, le tecniche efficienti sonoinfinite, e l'isoquanto diventa una curva continua a pendenza decrescente (terzo grafico): esattamente come la "normale" curva di indifferenza dell'individuo.

Con rendimenti di scala costanti, dunque, gli isoquanti sono necessariamente convessidal basso; sono anche ovunque differenziabili solo se le tecniche efficienti sono infinite, ossiase il rapporto tra i fattori è infinitamente variabile con tecniche elementari indipendenti (e nonsolo combinando tecniche diverse).

5.b.2. i rendimenti di scala crescentiSe moltiplicando tutti i fattori per la costante F, e dunque a .�/ invariato, la variazione

relativa del prodotto supera quella dei fattori di produzione siamo in presenza di rendimentidi scala FUHVFHQWL; se le rimane inferiore, di rendimenti di scala GHFUHVFHQWL.

La Figura 5.b.2.1 illustra il caso dei rendimenti di scala crescenti. Nel primo grafico,si presenta la sezione della collina della produzione lungo un raggio nello spazio dei fattori,ossia a .�/ costante (come il grafico superiore della Figura 5.b.1.2); i rendimenti crescentisignificano che la produttività marginale dei fattori così combinati ("un uomo e un badile"),ossia la pendenza della curva del prodotto nel punto dato, supera la produttività media, ossiala pendenza della retta dall'origine al punto dato. Nel caso, questo si verifica lungo l'interacurva del prodotto, per cui i rendimenti di scala sono sempre crescenti.

Nel grafico centrale si illustra un caso in cui dalla seconda cernita di cui sopra siottengono due tecniche elementari, e lo scalino corrispondente. Con rendimenti di scalacrescenti, la metà del prodotto si ottiene con più della metà dei fattori, e così via: il luogodegli apici dei parallelogrammi costruiti producendo un dato 4 combinando le due tecnichesarà pertanto non più il segmento di retta che unisce i due punti corrispondenti a quel 4 suidue raggi delle tecniche elementari, ma una curva concava dal basso, con una curvatura cheaumenterà appunto con l'aumento dei rendimenti con l'aumento di scala.

Se i rendimenti crescono abbastanza poco, dunque, la curva ottenuta sarà a sua voltainteramente all'interno dello scalino ottenuto dalla seconda cernita (curva solida); in tal casola terza cernita elimina interamente lo scalino prodotto dalla seconda (come nel caso deirendimenti costanti, anche se con un segemento di curva invece che di retta). Se invece lacrescita dei rendimenti è molto forte, per cui riducendo la produzione con una tecnicaelementare il risparmio di fattori è molto modesto, la curva ottenuta sarà a sua voltainteramente esterna allo scalino (curva tratteggiata, contenuta comunque nel paralleogrammacostruito direttamente su $ e %); in questo caso la terza cernita non produce risultati utili, el'isoquanto rimane la spezzata a scalino prodotta dalla seconda.

Nel terzo grafico si illustra un caso intermedio, in cui la curva luogo degli apici deiparallelogrammi ha di nuovo una pendenza positiva in prossimità delle tecniche elementari,ma non rimane interamente esterna allo scalino; in tal caso l'isoquanto che risulta dalla terzacernita paretiana comprende i segmenti di retta $; e <%, corrispondenti alla produzione di 4interamente con la prima tecnica o interamente con la seconda, e la curva ;<, che corrispondealla produzione di 4 mischiando le due tecniche.

Con più tecniche, combinandole due a due, si ottiene un isoquanto a bordo d'ombrello,come nel grafico superiore della Figura 5.b.2.2: generalmente convesso, ma con segmenti

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concavi tra una tecnica e l’altra. Come aumenta il numero delle tecniche elementari efficientii segmenti concavi diventano sempre più numerosi ma sempre più corti; al limite, con unnumero infinito di tecniche elementari efficienti, ognuno di questi si riduce a un punto, el'isoquanto diventa una curva convessa continua, come nel grafico inferiore della Figura. L'isoquanto è allora esattamente analogo a quello ottenuto con rendimenti di scala costanti(terzo grafico, Figura 5.b.1.3); la differenza tra i due casi si trova allora solo nelladisposizione degli isoquanti stessi, che lungo un raggio e per aumenti assoluti costanti sonoequidistanti con rendimenti costanti (Figura 5.b.2.3, grafico superiore), e sempre piùravvicinati con rendimenti crescenti (grafico inferiore).

5.b.3. i rendimenti di scala decrescentiIl caso dei rendimenti di scala decrescenti è più complesso, e problematico. Per

definizione, è semplicemente speculare al caso precedente, come si vede dal primo graficodella Figura 5.b.3.1, che presenta la sezione della collina della produzione lungo un raggionello spazio dei fattori, ossia a .�/ costante: in presenza di rendimenti di scala decrescenti laproduttività marginale dei fattori così combinati ("un uomo e un badile"), ossia la pendenzadella curva del prodotto nel punto dato, è inferiore alla produttività media, ossia la pendenzadella retta dall'origine al punto dato. Nel caso, questo si verifica lungo l'intera curva delprodotto, per cui i rendimenti di scala sono sempre decrescenti.

Le difficoltà che presentano i rendimenti di scala decrescenti sono a monte, e a valle,della definizione. A monte, non si capisce a cosa potrebbero essere dovuti: l'aumento discala può infatti aprire possibilità nuove, ma non toglie quelle vecchie, in quanto si puòsempre semplicemente replicare l'unità più piccola e ottenere dunque rendimenti costanti. Con ad esempio cento uomini e cento badili si possono forse raggiungere produttività mediepiù alte, organizzandoli a dovere, di quella del singolo col suo badile; ma mal che vada possosempre far lavorare ogni uomo col suo badile come se fosse solo, e cento di questecombinazioni non possono che produrre cento volte il prodotto di ognuna di esse (se si obiettache cento uomini potrebbero intralciarsi a vicenda, si contro-obietta che se non si aumenta lospazio disponibile in proporzione agli altri fattori siamo fuori dai paragoni di scala). Allostesso modo, chi ha un miliardo in banca non può guadagnare di meno, in percentuale, di chiha cento milioni, perchè alla peggio fraziona il miliardo in dieci conti da cento milioni.

A valle della definizione i problemi sorgono in presenza di tecniche molteplici, alpunto che la terza cernita paretiana rischia non di integrare ma di sopraffare la seconda. Ilgrafico centrale illustra il problema nel caso in cui la seconda cernita abbia lasciato duetecniche elementari efficienti, D e E. Con rendimenti di scala decrescenti, infatti, la metà delprodotto si ottiene con meno della metà dei fattori, e così via: il luogo degli apici deiparallelogrammi costruiti producendo un dato 4 combinando le due tecniche sarà pertantonon più il segmento di retta che unisce i due punti corrispondenti a quel 4 sui due raggi delletecniche elementari, ma una curva convessa dal basso, con una curvatura che aumenteràappunto con la riduzione dei rendimenti con l'aumento di scala.

Il grafico illustra i due casi possibili. Con rendimenti poco decrescenti, la curva cheunisce i due punti di pari prodotto $ e % ha sempre pendenza negativa, e a parte la curvaturadel segmento costruito dalla terza cernita il risultato è simile a quelli ottenuti sinora: così adesempio la curva che passa per <. Con rendimenti fortemente decrescenti, la curva luogodegli apici dei parallelogrammi ha una pendenza positiva in prossimità delle tecnicheelementari, come con rendimenti fortemente crescenti; solo che da questi punti la pendenzaporta verso sud-ovest, e non, come in quel caso, verso nord-est. Illustra questo caso la curvache passa per =: è ovvio che in tal caso, per i soliti motivi paretiani, lo stesso punto $ vieneeliminato dai punti a sud-ovest di esso, e l'isoquanto finale può essere composto di un pezzo

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della curva costruita combinando le tecniche elementari e da due semirette tangenti a questa eparallele agli assi. In tal caso, il risparmio di fattori riducendo la scala di operazione lungoogni tecnica elementare è tale che non conviene mai concentrarsi su una sola di queste;l'isoquanto allora non contiene più nessuno dei punti risultanti dalla seconda cernita, anche sele tecniche da essa definite rimangono in uso, proprio perchè non rimangono mai in usoesclusivo.

Il terzo grafico illustra il caso con più di due tecniche elementari. Combinando due adue le tecniche adiacenti si ottiene un profilo a bordo di ombrellone; ma mentre conrendimenti costanti o crescenti non conviene mai combinare più di due tecniche elementariefficienti, con rendimenti ovunque decrescenti conviene ovviamente distribuire la produzionefra più tecniche. Combinando le quattro tecniche disponibili (costruendo non unparallelogramma, che somma l'uso di fattori di due tecniche, ma la spezzata come 2=� fatta diquattro segmenti con le pendenze dei quattro raggi e la lunghezza corrispondente al livello diattività delle varie tecniche elementari) si ottiene una curva come quella che passa per i punti=, che elimina, nel caso illustrato, tutte le tecniche elmentari; e tale risultato sarà tanto piùprobabile, quanto più decrescono i rendimenti con gli aumenti di scala, e quanto piùnumerose sono le tecniche elementari disponibili.

Per completare questo terzo grafico con un esempio numerico, si immagini che 100 4possono essere prodotti con quattro tecniche elementari usando rispettivamente ���.���/�,���.���/�, ���.���/� e ���.���/�. Se con ognuna di queste per ottenere un quarto delprodotto, ossia 25 4, basta un quinto di tali fattori, il totale di 100 4 si ottiene con (75/5) = 15unità di . e di /, e questa combinazione è Pareto-superiore alle due tecniche elementariinterne; se invece basta un ottavo il totale di 100 4 si ottiene con (75/8) = 9,4 unità di . e di/, e questa combinazione è Pareto-superiore a tutte e quattro le tecniche elementari.

Con rendimenti sempre decrescenti e tecniche numerose i punti sugli isoquantiindicano sempre e comunque le combinazioni di fattori Pareto-efficienti, ma ne indicano solole quantità complessive ottenute sommando attività eterogenee. Mille uomini e mille badilinon corrispondono a mille volte un uomo con un badile, ma tutta una gamma di combinazionida un uomo con cento badili a cento uomini con un solo badile: i rendimenti decrescenti sonodifficili da giustificare, e difficili da interpretare.

5.b.4. i rendimenti marginali dei fattoriIl risultato delle cernite paretiane di cui sopra è la IXQ]LRQH�GL�SURGX]LRQH 4� �4�.�/�,

analoga alla funzione di utilità 8� �8�;�<�. Notiamo che nel caso della funzione di utilità,considerata data, la cernita paretiana rimane implicita: infatti l'utilità che mi danno le patate èquella che mi possono dare cucinate a mio gusto, e non quella che mi darebbero se i miei figlime le tirassero in testa.

L'isoquanto, a sua volta, è analogo alla curva di indifferenza. Nello spazio dei fattori,infatti, per qualsiasi punto passa un isoquanto, con pendenza negativa o perlomeno nonpositiva. Questa pendenza è il WDVVR�PDUJLQDOH� GL� VRVWLWX]LRQH tra . e / lungo l'isoquanto(706RL), e corrisponde al rapporto tra i prodotti marginali 03/ e 03.: infatti G4� �03/G/��03.G., per cui se G4� ��, allora ��G.�G/�� �706RL� ���03/�03.�.

Come abbiamo già notato, però, a differenza dell'utilità il prodotto è perfettamenteosservabile e misurabile: è per questo infatti che si possono distinguere le funzioni diproduzione a rendimenti costanti e variabili, distinzione che scompare, come abbiamo visto,se la misura del "prodotto" non va oltre il criterio puramente ordinale. Per lo stesso motivosono pure osservabili e misurabili non solo il tasso marginale di sostituzione (fra gliargomenti delle funzioni, per cui scompare la terza dimensione, del prodotto o dell'utilità), mapure il numeratore e il denominatore di questo, ossia i prodotti marginali dei fattori. Le utilità

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marginali (e medie) dei beni rimangono infatti soggette all'arbitrarietà delle trasformazioniordinali di 8; i prodotti marginali dei fattori sono invece univoci e misurabili direttamente inunità di 4 per unità di / o di ..

Mentre i rendimenti di scala si osservano nello spazio dei fattori lungo i raggi dalpunto di origine, ossia mantenendo costanti le proporzioni dei vari fattori, i UHQGLPHQWLPDUJLQDOL� GHL� IDWWRUL si osservano variando l'uso di un unico fattore di produzione,mantenendo costante l'uso di tutti gli altri, ossia lungo una retta parallela ad uno degli assi. IlSURGRWWR (rendimento, produttività) PDUJLQDOH�GHO�ODYRUR o 03/ ("marginal product of labor")corrisponde dunque a �G4�G/�, dato .. La produttività media del lavoro o $3/ ("averageproduct of labor"), a sua volta, corrisponde a �4�/�, sempre dato ..

Si consideri la Figura 5.b.4.1. Il primo grafico rappresenta una funzione diproduzione a rendimenti di scala costanti, con due tecniche elementari efficienti. Il fattore .è fisso al livello . . Il secondo grafico illustra lo spaccato della collina di produzione lungola retta . , ossia la funzione 4�/�.� �. . Con due tecniche elementari e rendimenti di scalacostanti questa funzione è una spezzata, con una pendenza che cala con la pendenza degliisoquanti. Con .� �. , infatti, il prodotto aumenta inizialmente con / a un tasso costante(per G4 costante gli isoquanti sono equidistanti) e massimo: aumentando / si incrociano gliisoquanti ad angolo retto, ossia si risale la collina nella direzione di pendenza massima. Come si incrocia il raggio della prima tecnica elementare si passa ad un tasso di aumento dinuovo costante, ma minore del precedente: gli isoquanti sono equidistanti ma più distanziati,e questo per due motivi. Da un lato, infatti, la pendenza massima della collina (misurando ladistanza minima tra gli isoquanti, sempre per G4 costante) è minore fra le tecniche elementariche fra queste e gli assi; e dall'altro i movimenti con .� �. non sono più nella direzionedella pendenza massima, bensì ad angolo con questa. Come si incrocia il raggio dell'ultimatecnica elementare il tasso di aumento diventa zero: la pendenza massima è di nuovo alta, mai movimenti con .� �. sono nella direzione della pendenza nulla.

Nel terzo grafico si illustrano i prodotti marginali (linea solida) e medi (lineatratteggiata) del fattore /. I primi corrispondono alla pendenza della curva 4 nel secondografico: sono ovviamenti costanti lungo i segmenti rettilinei di questa, con scalini dovequesta cambia pendenza.

Osserviamo che se i rendimenti di scala fossero crescenti per un dato G4 gli isoquantisarebbero sempre più ravvicinati, lungo i raggi delle tecniche elementari, e concavi da bassonello spazio fra quei raggi; nel secondo grafico le pendenze positive aumenterebbero come cisi allontana dal punto di origine, e nel terzo i segmenti a prodotto marginale positivosarebbero a pendenza positiva.

La Figura 5.b.4.2 riprende il caso della Figura precedente, con due tecniche erendimenti di scala costanti, e illustra i mutamenti nel prodotto del lavoro se cambia ilcapitale. Nel primo grafico compaiono le rette corrispondenti a .� �. e .� �. �!�. . Laretta . incrocia i raggi delle tecniche elementari in corrispondenza di /� e di /�; la retta . ,in corrispondenza di /� e di /�. Nel secondo grafico si vede che la funzione 4�/�.� �. è unaspezzata che cambia pendenza in corrispondenza appunto di /� e di /�; la funzione 4�/�.� �. è pure una spezzata con le stesse pendenze della precedente, solo che mantiene la pendenzamassima fino a /��!�/�, e la pendenza intermedia nell'intervallo �/�� ��/���!� �/�� ��/��. Nelterzo grafico si vedono i prodotti marginali: l'andamento è a scalino, i livelli sono gli stessi,ma i piani degli scalini sono più larghi.

Se aumenta il numero delle tecniche elementari nel primo grafico aumentanoovviamente gli spigoli della funzione 4�/� nel secondo, e se ne accorciano i segmentirettilinei; nel terzo grafico si moltiplicano pure gli scalini di 03/, che diventano pertanto piùpiccoli. Al limite, con un numero di tecniche infinito e isoquanti dunque curvi e

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differenziabili, ogni segmento lineare di 4�/�, e ogni scalino di 03/, si riduce a un punto, e igrafici della Figura 5.b.4.2 diventano quelli della Figura 5.b.4.3.

5.b.5. la tecnica, la tecnologia e il progressoLa funzione di produzione, che è un insieme di tecniche efficienti (non

necessariamente elementari), definisce a sua volta nel gergo degli economisti una WHFQRORJLD. La tecnologia corrisponde dunque all'intera collina della produzione; la tecnica, comeabbiamo visto, a un particolare sottoinsieme della collina, definito da un dato rapporto tra ifattori. Un cambiamento di tecnica è dunque uno spostamento sulla collina data, dunque congli isoquanti dati; un cambiamento di tecnologia è uno spostamento della stessa collina, percui si spostano gli stessi isoquanti.

Il SURJUHVVR "tecnico" (tecnologico) corrisponde appunto a un FDPELDPHQWR� GLWHFQRORJLD, che innalza la collina della produzione: a parità di fattori si ottiene più prodotto, aparità di prodotto si usano meno fattori, per cui gli isoquanti si spostano verso l'origine. Conuna tecnologia data, la produttività media del lavoro �4�/� aumenta se si adottano tecnichecon più capitale per ogni lavoratore, ossia se si aumenta �.�/�; con il progresso aumenta�4�/� a parità di �.�/�.

Gli economisti modellano il progresso tecnico come un "moltiplicatore" dellaproduttività dei fattori, che si inserisce tra il servizio reso direttamente dal fattore e quellodirettamente consumato nella produzione. Si scriva la funzione di produzione come 4� I�.H�/H�, .H� �W.., /H� �W//: il prodotto è funzione invariante dei fattori equivalenti, che sonoa loro volta l'equivalente di quelli effettivamente forniti moltiplicati per un indice del livellotecnologico. Se W. raddoppia, ad esempio, ogni unità di capitale diventa l'equivalente di due;si dice pertanto di tale progresso tecnico che ULVSDUPLD�FDSLWDOH.

Se per esempio raddoppia W., e dunque �.H�.�, con W/ invariato, il progresso tecnicorisparmia capitale e non risparmia lavoro, per cui non è QHXWUDOH. In tal caso infatti gliisoquanti vengono compressi verso l'asse / in proporzione all'uso di ., come nel graficosuperiore della Figura 5.b.5.1: l'isoquanto che corrisponde ad un prodotto dato si sposta dallaposizione D alla posizione E. Si è invece in presenza di progresso tecnico neutrale se W. e W/aumentano nella stessa proporzione W . In tal caso gli isoquanti vengono compressicontemporaneamente verso ambedue gli assi, ossia verso l'origine, come nel grafico inferioredella Figura. In presenza poi di rendimenti di scala costanti per ogni combinazione �.�/� siottiene un aumento di 4 nella stessa proporzione W : gli isoquanti vengono rietichettati, nelsenso che l'isoquanto che passa per �. �/ � si associa non più a 4 ma a W 4 , ma non sonoaltrimenti modificati. Questo caso è illustrato, per W � ��, nel grafico inferiore della Figura: l'isoquanto per 4 si sposta dalla posizione D alla posizione E, ma quello per �4 che stavanella posizione F viene a occupare precisamente la posizione D.

Se si presume che il progresso tecnico è sempre neutrale diventa inutile distinguere idue indici, che si possono ridurre a uno applicato direttamente alla combinazione dei fattori: 4� �I�.H�/H�.H� �I�W.�W/�� �WI�.�/�. Usando i dati della contabilità nazionale sull'arco di unsecolo e passa si è scoperto che il prodotto è aumentato, nel lungo periodo, molto, molto dipiù della disponibilità dei fattori, per cui l'aumento del prodotto pro-capite sarebbe dovutomassimamente al progresso tecnico, e solo in piccola parte all'accumulazione di capitale. Anche se l'importanza del progresso tecnico è indubbia, questo calcolo sembra sovrastimarla,perchè non tiene conto per esempio dell'aumento nel grado di istruzione del lavoratore medio;se non si esplicita appunto l'aumento del "capitale umano", si sottostima l'aumento dei fattorieffettivamente disponibili.

Può essere utile sottolineare in chiusura la differenza tra diversità di tecnica e diversitàdi tecnologia. Il cambiamento di tecnica, cambiando il rapporto tra i fattori, fa variare in

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senso opposto la produttività di questi. Se paragoniamo per esempio l'agricoltura europea conquella nord-americana troviamo che la produttività del lavoro �4�/� è molto più alta inAmerica, la produttività della terra �4�7� molto più alta in Europa--costellazionericonducibile all'uso di due tecniche diverse nell'ambito di una tecnologia comune. InAmerica, infatti, il rapporto terra/lavoro �7�/� è molto più alto che non in Europa: la loroagricoltura è estensiva, la nostra intensiva, ossia per unità di prodotto loro usano poco lavoroe molta terra, noi poca terra e tanto lavoro, come nel grafico superiore della Figura 5.b.5.2(dove per facilitare i paragoni questi sono scalati alla singola unità di prodotto, di fatto unacifra in dollari ottenuta ponderando le quantità dei diversi prodotti ottenuti per i loro valoriunitari).

Nel grafico inferiore è illustrato il caso in cui di due paesi, $ e (, nel paese ( sonomaggiori le produttività di ambedue i fattori considerati. Chiaramente, i due punticorrispondenti a questi paesi non possono trovarsi sullo stesso isoquanto nello spazio diquesti fattori di produzione. Le spiegazioni possibili sono due. Se i fattori considerati sonoeffettivamente tutti quelli usati, allora la differenza tra i due isoquanti indica una diversità ditecnologia: il paese ( è padrone di una tecnologia avanzata ignota nel paese $. Se invece viè qualche altro fattore di produzione, può darsi che gli isoquanti indicati siano semplicementespaccati diversi di un unico isoquanto tridimensionale: per esempio, se il prodotto dipende daterra, lavoro, e concime, i due paesi potrebbero disporre della stessa tecnologia ma usaretecniche diverse, con un uso di concime forte in ( e ridotto in $ (da cui una produttività altaper la terra e il lavoro, ma bassa per il concime, in (, e viceversa in $).

Nel caso del Africa tropicale, in particolare, i rendimenti medi per ettaro sono moltobassi; l'opinione comune era questo fosse dovuto all'arretratezza tecnologica (per cui siapplicherebbe il grafico inferiore della Figura, con l'esclusione di un eventuale terzo fattore, el'Africa come paese $), e dalla bassa produttività della terra si desumeva una bassaproduttività del lavoro. Adesso c'è chi sostiene che alla bassa produttività della terracorrisponde invece un'alta produttività del lavoro, per cui l'Africa va vista non come arretratama semplicemente come poco popolata, esattamente come l'America nel grafico superioredella Figura.

La Figura 5.b.5.3 illustra il nocciolo della controversia. Nell'Africa tropicale sicoltivano radure temporanee ricavate nelle foreste, usando l'ascia (che serve non a tagliare glialberi ma solo a togliere loro un anello di scorza per ucciderli e poi bruciarli); la visionetradizionale è illustrata dal primo grafico, che associa l'ascia ad una tecnologia "primitiva"rispetto a quella dell'aratro. L'interpretazione revisionista è illustrata dagli altri due grafici. Questa sostiene infatti che l'ascia e l'aratro sono due tecniche diverse all'interno du un'unicatecnologia, con proporzioni fattoriali diverse: la coltivazione con l'ascia, che è altamenteproduttiva per ora di lavoro proprio perchè evita il lavoro di aratura e la cura degli animali datraino, è utilizzabile solo se la terra è talmente abbondante che può riposare per decenni (iltempo di far ricrescere la foresta) tra una coltivazione e l'altra.

La coltivazione con l'ascia era peraltro utilizzata anche in Europa, nella tarda età dellapietra, prima del passaggio all'aratro. La visione comune degli Occidentali, da metàOttocento in poi, è che la storia è la storia del progresso tecnico (da cui per l'appunto "etàdella pietra"): i passaggi dalla caccia e raccolta alla coltivazione con l'ascia, come da questaall'aratro, e poi alla "nuova agricoltura" introdotta nel Settecento inglese sono tutti visti comel'introduzione di tecnologie superiori, come appunto nel grafico superiore della Figura5.b.5.4. I revisionisti invece sostengono da un lato che la "nuova agricoltura" era solo"l'applicazione ai campi dei metodi dell'orto", ossia una semplice intensificazione, e dall'altroche la caccia e raccolta erano segni anch'essi non di povertà d'idee ma di abbondanza diterritorio. La nascita della stessa agricoltura sarebbe dovuta alla crescita demografica, e

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pertanto associata ad una riduzione del tenore di vita, come indicano appunto gli scheletridell’epoca. La storia umana diventa una lunga storia di intensificazione del lavoro, come nelgrafico inferiore della Figura; e diventa irresistibile il riferimento all’Eden con popolazionepraticamente nulla.

5.c. la minimizzazione dei costi

5.c.1. la produzione a costo minimoI costi si minimizzano non in assoluto (si ridurrebbero a zero evitando di produrre),

ma per ogni livello di prodotto: minimizzando la spesa per un dato prodotto, o,equivalentemente, massimizzando il prodotto per una data spesa. Per ogni livello di spesacomplessiva, dunque, l’impresa identifica l’allocazione che massimizza il prodotto,esattamente come il consumatore identifica l'allocazione della spesa che massimizza l'utilità. L'unica differenza, a parte la misurabilità del prodotto, è che mentre si ipotizza che le curve diindifferenza siano ovunque differenziabili, ossia che le loro pendenze varino senzadiscontinuità, si riconosce come abbiamo visto che gli isoquanti possono avere degli spigolise le tecniche elementari non sono infinite; a fini espositivi, però, ipotizzeremo degliisoquanti differenziabili come le curve di indifferenza.

I fattori di produzione sono come sappiamo non proprio "il lavoro" e "il capitale",beni durevoli, ma i loro servizi; per non appesantire la discussione questo lo daremo perinteso. Chiameremo Z ("wage") il prezzo del [servizio del] lavoro, e U ("rental") il prezzo del[servizio del] capitale; con 4� �4�.�/� il costo complessivo ("total cost") è 7&� �Z/���U..

Come già sappiamo, nel caso generale 7&� �Z�/�/���U�.�., e 706YL� ���0&/�0&.�,dove vincolo e costi marginali sono riferiti all'impresa che compra i fattori. Nel casoparticolare dell'impresa priva di potere di mercato nei mercati dei fattori i prezzi di questisono parametrici, per cui �GZ�G/�� �� e �GU�G.�� ��, 0&/� �Z, 0&.� �U, e il luogo di spesacostante o LVRFRVWR diventa una retta con la pendenza costante 706YL� � ��Z�U�. Nel graficosuperiore della Figura 5.c.1.1 sono illustrati, per un impresa concorrenziale nel mercato deifattori, tre livelli di spesa 7&��!�7&��!�7&�; in ogni caso le intercette sugli assi sono la spesacomplessiva divisa per il prezzo del fattore corrispondente.

Se invece l'impresa ha potere di mercato il prezzo pagato aumenta con la quantitàacquistata, e il costo marginale del fattore ne supera il costo medio (il prezzo pagato, seunico, ossia nel caso del potere di monopolio semplice); che ciò si verifichi in ambedue imercati dei fattori, o anche in uno solo di essi, l'isocosto (il vincolo che corrisponde ad unaspesa costante) diventa concavo dal basso, come nel grafico inferiore della Figura.

Il prodotto massimo per ogni dato livello di spesa si ottiene ovviamente al punto ditangenza tra l'isocosto corrispondente e l'isoquanto più alto raggiungibile, ossia, come alsolito, quando si equiparano i tassi di sostituzione nell'obiettivo e nel vincolo. In generale,706YL� � ��0&/�0&.�� � ��03/�03.�� �706RL; nel caso concorrenziale 706YL� � ��Z�U�� � ��03/�03.�� �706RL. Nei grafici, 4D è il prodotto massimo per 7&�, e così via; il luogo delletangenti associa ogni livello di prodotto al suo costo minimo e definisce dunque la funzionedei costi.

Come per il consumatore, l'allocazione ottimale della spesa implica una resa ugualeper unità di spesa: si minimizzano infatti i costi quando �0&/�0&.�� � �03/�03.�, ossia�03.�0&.�� ��03/�0&/�, e, nel caso concorrenziale, �03.�U�� ��03/�Z�. La dimensione diqueste ultime uguaglianze è �4�.���7&�.�� � �4�/���7&�/�� � �4�7&�, ossia �XQLWj� GLSURGRWWR�GROODUR�: un dollaro aggiuntivo rende lo stesso prodotto aggiuntivo a ogni marginedi spesa. Se così non fosse si potrebbe spostare un dollaro da dove rende di meno a dove

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rende di più, aumentando il prodotto complessivo a parità di spesa complessiva; ma se questofosse possibile non sarebbe già massimizzato il prodotto per il costo dato.

Dalla condizione �0&/�0&.�� � �03/�03.� possiamo ottenere pure l'equivalenzainversa a quella precedente, ossia �0&.�03.�� � �0&/�03/�, e, nel caso concorrenziale,�U�03.�� ��Z�03/�; la dimensione di queste è ovviamente non �XQLWj�GL�SURGRWWR�GROODUR� ma�GROODUL�XQLWj� GL� SURGRWWR�. L'uso di un utensile aggiuntivo costa infatti 0&., ossia U perl'impresa concorrenziale: questa spesa aggiuntiva è ovviamente �G7&�G.�. Il prodottoaggiuntivo è a sua volta 03.� � �G4�G.�; dunque �0&.�03.�� � �G7&�G.���G4�G.�� �G7&�G4�, ossia l'aumento dei costi per unità aggiuntiva di prodotto 0&4. Lo stessoragionamento vale ovviamente per il lavoro, per cui �0&.�03.�� � �0&/�03/�� �0&4. Ilcosto marginale del prodotto è insomma l'inverso della resa di un dollaro di spesa per unfattore di produzione aggiuntivo: se un dollaro di spesa aggiuntiva, per l'uso di un utensile odi un lavoratore, mi rende mezza unità di prodotto, un unità di prodotto aggiuntiva aumenta laspesa complessiva di due dollari; e come il dollaro di spesa aggiuntiva deve avere lo stessorendimento in prodotto che venga speso per utensili o per lavoratori, così l'unità di prodottoaggiuntiva deve avere lo stesso costo in dollari che venga ottenuto affittando altri utensili oaffittando altri lavoratori (perchè se così non fosse si ridurrebbero i costi complessivi a paritàdi prodotto affittando meno utensili e più lavoratori, o viceversa).

Queste equivalenze valgono ovviamente per cambiamenti infinitesimali: percambiamenti non infinitesimali l'aumento di produzione aggiungendo un unico fattore neriduce il prodotto marginale (e se l'imprea ha potere in quel mercato ne aumenta il costomarginale), per cui per ristabilire l'equivalenza e mantenere la tangenza tra isocosto eisoquanto bisogna aggiungere anche una congrua quantità dell'altro fattore.

5.c.2. la sostituzione tra fattori e le quote della spesaL'impresa concorrenziale nei mercati dei fattori è dunque analoga al consumatore

concorrenziale nei mercati dei beni; come si vede dal grafico superiore della Figura 5.c.2.1 illuogo delle tangenze fra isocosti e isoquanti corrisponde alla curva reddito-consumo delconsumatore, e come questa si sposta se cambia il prezzo relativo dei fattori acquistati. L'effetto di VRVWLWX]LRQH vale dunque nella produzione quanto nel consumo, ed è sempre afavore del bene (o fattore) di cui si è ridotto il prezzo relativo.

Notiamo per inciso che nelle analisi delle imprese si tralascia l'effetto di reddito, insostanza perchè si riconosce che l'impresa sceglie anche il livello di spesa. Di fatto, comeabbiamo visto, il consumatore pure sceglie quanto lavorare, e dunque quanto guadagnare, edunque quanto spendere; ma la tradizione didattica che abbiamo seguito nelle pagineprecedenti si limita a considerare separatamente l'allocazione della spesa da un lato, come sequesta fosse fissa, e la scelta del reddito dall'altra in funzione solo del salario, come se fosserofissi i prezzi dei beni. Un'analisi più completa del consumatore ricalcherebbe quelladell'impresa, con una sequenza di momenti decisionali che definiscono la funzione di utilità(come consumare le patate), il luogo delle utilità massime per ogni livello di spesa (e dunquela "funzione di costo" dell'utilità), e infine il livello di attività (equiparando il beneficiomarginale di un dollaro di spesa ottimizzata al costo marginale del lavoro necessario perottenerlo). Nel suo equilibrio generale il consumatore, come l'impresa, reagisce alcambiamento del prezzo di un bene che compra non solo riallocando la spesa ma anchecambiando il livello di attività.

Torniamo all'impresa concorrenziale nel mercato dei fattori. Per un dato mutamentodel prezzo relativo dei fattori, il mutamento dei consumi relativi di questi dipende dalla formadegli isoquanti. Come i beni per il consumatore, i fattori di produzione possono esseresostituti o complementi, e tali rapporti possono essere definiti in vari modi; un modo diffuso

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considera appunto la relazione tra due fattori lungo un unico isoquanto.Con due fattori, si trova in tal caso la gamma di possibilità che conosciamo. Con

isoquanti a angolo retto vi è un'unica tecnica possibile, i fattori sono perfettamentecomplementari, non sono affatto sostituti, e la proporzione nella quale si usano non varia conil loro prezzo relativo: in concomitanza del rapporto tra i fattori imposto dalla tecnica il706RL salta da infinito a zero, e con quel rapporto qualsiasi 706YL sarà compreso tra questidue valori. Con isoquanti lineari i fattori sono sostituti perfetti, non sono affattocomplementari, e 706RL è costante. Per l'impresa concorrenziale, con 706YL pure costante,l'equilibrio sarà su uno degli assi, e un mutamento del prezzo relativi dei fattori o è senzaeffetto, o sposta l'equilibrio da un asse all'altro (cambiando pertanto il rapporto dei fattori dazero a infinito o viceversa).

Di fatto, i fattori sono sostituti perfetti se vi è un unico fattore di produzionesottostante, e i diversi fattori ne contengono quantità diverse, o anche la stessa quantità, nelqual caso sono "diversi" solo in base a criteri irrilevanti. Così, per esempio, se il fattore diproduzione è il lavoro, il lavoro dei lavoratori con gli occhi scuri sarà un sostituto perfetto, altasso 1:1, del lavoro dei lavoratori con gli occhi chiari, proprio perchè il colore degli occhi èuna considerazione irrilevante. Così pure, se producendo canna da zucchero uno schiavofrustato lavora il doppio di un libero salariato, schiavi e liberi sono sostituti perfetti, al tasso1:2 che corrisponde appunto al rapporto (inverso) tra il loro sforzo unitario.

Si chiama OHODVWLFLWj� GL� VRVWLWX]LRQH il rapporto tra le variazioni percentuali lungol'isoquanto del rapporto tra i due fattori, da un lato, e il loro tasso marginale di sostituzione,dall'altro: HVRVWLWX]LRQH� � �G�.�/����.�/�����G706RL��706RL�� �G�.�/���.�/����G�03/�03.���03/�03.��. Questa elasticità è infinita nel caso dei sostitutiperfetti, in quanto spostandosi lungo l'isoquanto cambia �.�/� ma non cambia 706RL; è nullanel caso dei complementi stretti, al punto dell'isoquanto sul raggio della tecnica efficiente, inquanto a un G�.�/� infinitesimale corrisponde un G706RL infinito (da zero a infinito oviceversa). L'elasticità di sostituzione è un aspetto della funzione di produzione; ma èinteressante perchè la minimizzazione dei costi implica l'uguaglianza del 706RL con il 706YL edunque (sempre per l'impresa concorrenziale nei mercati dei fattori) con il prezzo relativo deifattori. L'elasticità di sostituzione indica dunque di quanto tale impresa cambierà leproporzioni in cui usa i fattori al variare del prezzo relativo di questi.

A questo punto l'elasticità di sostituzione si comporta (non a caso) come l'elasticitàdella domanda: prezzo e quantità variano in direzioni opposte, ma con elasticità alta èdominante l'effetto quantità e aumenta la spesa per il fattore o bene di cui si è ridotto il prezzorelativo, mentre con elasticità bassa è dominante l'effetto prezzo e aumenta la spesa per ilfattore o bene di cui è aumentato il prezzo relativo. Immaginiamo che aumenti il prezzorelativo del lavoro: se l'elasticità di sostituzione è nulla il rapporto �.�/� non cambia, eaumentando �Z�U� aumenta ovviamente la quota dei salari nella spesa complessiva e pertantola quota relativa dei salari �Z/�U.�. Con elasticità di sostituzione alta l'impresa potrebbe allimite passare da una produzione che usa solo lavoro a una che usa solo capitale: aumentanoZ e �Z�U�, ma tale è il calo di / e l'aumento di ., ossia l'aumento di �.�/�, che �Z/�U.� siriduce. Sempre come per l'elasticità della domanda, il valore critico dell'elasticità disostituzione è pari a uno: con elasticità unitaria l'aumento di �.�/� compensa esattamentel'aumento di �Z�U�, �Z/�U.� non cambia, e le quote dei fattori nella spesa complessivarimangono pure immutate.

In generale, come si vede dal grafico superiore della Figura, l'elasticità di sostituzionevaria di punto in punto sulla collina della produzione, senza particolari restrizioni. Nelgrafico inferiore è rappresentata invece una funzione di produzione particolamente comoda afini espositivi (come le curve di domanda e di offerta lineari): una funzione caratterizzata

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dalla costanza della pendenza degli isoquanti lungo i raggi dal punto di origine. Con talefunzione, detta RPRWHWLFD, il rapporto �.�/� adottato dall’impresa concorrenziale nei mercatidei fattori varia solo con �Z�U�, e non con 4; l'elasticità di sostituzione pure dipende allora da�.�/� e �Z�U�, ma non da 4, in quanto costante lungo ogni raggio dall'origine.

Con restrizioni aggiuntive si arriva alla funzione di produzione a elasticità disostituzione costante, ossia uguale non solo lungo ogni raggio ma anche fra un raggio e l'altro. Una nota funzione di produzione con elasticità di sostituzione costante e sempre pari a uno èla funzione &REE�'RXJODV definita come 4� �$.D/��D, con ���� D� �� �. Notiamo che è arendimenti di scala costanti: 4�Q.�Q/�� �$�Q.�D�Q/���D� �QD���D$.D/��D� �Q4�.�/�. Inoltre03.� ��G4�G.�� �D�$.

D/��D��.� �D4�. e 03/� ��G4�G/�� ������D��$.D/��D��/� ������D�4�/,

per cui 03..� �D4 e 03//� ������D�4; minimizzando i costi �Z�U�� ��03/�03.�, per cui�03//�03..�� ��Z/�U.�� ������D��D, che è ovviamente costante. Siccome poi �03//�03..� � ��� �� D��D implica �03/�03.�� � >��� �� D��D@�.�/�, la pendenza dell'isoquanto varia con lapendenza del raggio dall'origine �.�/� ma non con il livello di 4, e la funzione di produzioneè (ovviamente) omotetica.

Si consideri la Figura 5.c.2.2. Nel grafico superiore il punto ' è la tangenza tral'isocosto %) e l'isoquanto 4; a quel punto corrispondono un consumo di / pari a 2( e unconsumo di . pari a 2$. La spesa totale indicata dall'isocosto è &� �U�2%�� �Z�2)�, da cui�Z�U�� ��2%�2)�� ��$%�$'� e Z�$'�� �U�$%�. D'altra parte �.�/�� ��2$�2(�, da cui .�2(� �/�2$�; ne consegue Z/�$'��2$�� � U.�$%��2(�, da cui, siccome $'� �2(, �Z/�U.�� �$%�2$�. Di fatto 2$ è il capitale effettivamente utilizzato, $% l'equivalente in capitale, aiprezzi di mercato, del lavoro utilizzato; le quote del lavoro e del capitale nella spesacomplessiva sono ovviamente in proporzione a questi segmenti.

Il grafico inferiore illustra il significato geometrico dell'elasticità di sostituzioneunitaria lungo l'isoquanto 4: dati i due isocosti con pendenza diversa tangenti all'isoquanto indue punti diversi ' e ', le intercette degli isocosti e le proiezioni dei punti di tangenza sonotali che �$%�2$�� ��$%�2$�. Se poi (come nella Cobb-Douglas) la funzione di produzioneè omotetica e l'elasticità di sostituzione è ovunque unitaria, le tangenze con una datapendenza sono tutte sullo stesso raggio dall'origine, per cui spostando ad esempio il punto 'lungo il raggio 2' non cambia il rapporto �$%�2$�; in tal caso quanto detto sull'invarianza ditale rapporto vale anche se i due punti considerati non sono sullo stesso isoquanto.

5.c.3. i costi medi e i costi marginaliLa minimizzazione dei costi genera come abbiamo visto un luogo di tangenze tra gli

isoquanti, rettilinei per l'impresa concorrenziale, e gli isocosti. Questo luogo di tangenzeassocia dunque a ogni livello di produzione (in unità fisiche: tonnellate...) il corrispondentelivello di spesa minima (in unità monetarie: dollari...), e, ovviamente, a ogni livello di spesail corrispondente prodotto massimo. Nella Figura 5.c.3.1 il primo grafico illustra il luogo ditali tangenze, e tre particolari tangenze che associano appunto tre livelli di spesa � a tre livellidi prodotto 4.

Nel secondo grafico della Figura è illustrata la curva dei costi totali 7& ("total cost")che si ottiene riportando nello spazio dollari-quantità le combinazioni di spesa e prodotto checorrispondono alle tangenze nel primo grafico, e dunque ai costi minimi per ogni livello diprodotto. Nel terzo grafico si ripete l'esercizio affrontato a suo tempo (Figura 2.a.3.2): tenendo 4 sull'asse orizzontale si misura sull'asse verticale non più � ma ��4, che è ladimensione non dei costi complessivi ma dei costi unitari medi e marginali. Ricordiamo chetali costi unitari si evidenziano nel grafico precedente come pendenze: per esempio se 4� 4� il costo marginale ("marginal cost") 0&� � �G7&�G4� corrisponde alla pendenza dellafunzione 7& in corrispondenza di 4�, ossia nel grafico all'angolo ;� creato dalla tangente a

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7& nel punto �; il costo medio ("average cost") $&� � �7&�4� corrisponde invece allapendenza del raggio dall’origine alla funzione 7& in corrispondenza di 4�, ossia nel graficoall’angolo <� creato dalla retta dall’origine a 7& nel punto �.

A fini didattici abbiamo scelto una curva 7&, e tre combinazioni di 4 e �, abbastanzaparticolari. Dalla forma stessa di 7& notiamo che (per la parte evidenziata) la pendenza diquesta è in continuo aumento: i costi marginali sono sempre crescenti. Quanto ai costi medi,questi sono uguali al punto � e al punto �, ambedue sullo stesso raggio dall'origine illustratocon una retta continua. La retta tratteggiata è invece nel contempo il raggio dall'origine alpunto �, e la tangente a 7& al punto �: l'angolo <� corrisponde dunque sia al costo medio cheal costo marginale, che nel punto � sono uguali. Si osserva peraltro che <� è minore non solodi <�, ma di qualsiasi altro angolo < corrispondente al costo medio: risalendo infatti lungo7&, l'angolo < diminuisce fino a toccare un minimo al punto �, per poi risalire. I costi medihanno dunque un andamento a "U", con un minimo a 4�, dove coincidono peraltro con i costimarginali proprio perchè l'angolo < più piccolo è dato ovviamente dal raggio tangente a 7&. Notiamo pure che se 4���4� allora ;���<, ossia 0&���$&, mentre se 4�!�4� allora ;�!�<,ossia 0&�!�$&.

Le curve dei costi marginali e medi sono illustrate nel terzo grafico della Figura. Icosti marginali sono sempre crescenti; i costi medi sono uguali per 4� e 4�, e minimi per 4�;sempre per 4� i costi medi e marginali sono uguali; per 4���4� i costi medi superano i costimarginali, e viceversa per 4�!�4�. La curva dei costi marginali incrocia dunque la curva deicosti medi al minimo di questi. Non può essere diversamente: il minimo di $& è il punto incui questa passa da calante a crescente; ma è l'aggiunta del valore marginale che modifica ilvalore medio (come la media dei voti...), per cui il valore medio cala fintanto che il valoremarginale è inferiore al valore medio, e risale come i valori marginali superano il valoremedio.

5.d. l'equilibrio di concorrenza

5.d.1. l'equilibrio dell'impresa concorrenzialeSe ipotizziamo per facilitarci l'esposizione che la funzione di produzione (la

"tecnologia") si comune a tutte le imprese, di fronte a prezzi identici queste avranno funzionidi costo identiche, e dunque equilibri identici; possiamo dunque limitare l'analisi all'impresa"rappresentativa".

Gli economisti hanno tradizionamente ipotizzato che le curve dei costi delle impresesiano effettivamente a "U", ossia con costi medi calanti fino a un certo livello di produzione,e poi crescenti. Ipotizzando sempre per semplificare l'analisi che la funzione di produzionesia omotetica, per dati prezzi le tangenze tra isoquanti e isocosti saranno tutte lungo un raggiodal punto di origine, come nel primo grafico della Figura 5.d.1.1. Essendo dunque levariazioni lungo tale raggio semplici variazioni di scala, con rapporti immutati tra i fattori, èovvio che la variazione dei costi medi è legata all'andamento dei rendimenti di scala: raddoppiando per esempio il consumo dei fattori e dunque la spesa, i costi medi calano se ilprodotto aumenta di più del doppio, e crescono se il prodotto aumenta di meno del doppio.

Ipotizzare costi medi a "U" significa in sostanza ipotizzare rendimenti di scalavariabili, prima crescenti e poi decrescenti; i costi medi minimi si verificano quando irendimenti di scala smettono di essere crescenti a incominciano ad essere calanti, ossia alpunto preciso dei rendimenti di scala costanti. Siccome poi il punto di origine è sulla curvadei costi totali (ossia con spesa zero si ottiene prodotto zero), la curva dei costi totali checorrisponde ai costi medi a "U" è prima convessa dall'alto e poi convessa dal basso, come

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illustrato nel secondo grafico della Figura (con un punto di inflessione che corrisponde aicosti marginali minimi, peraltro senza interesse particolare).

Per l'impresa concorrenziale, poi, il prezzo di vendita è parametrico, per cui la curvadei ricavi totali è un raggio dall'origine. Data la linearità della curva dei ricavi, la doppiacurvatura della curva dei costi serve a definire la scala ottimale e il livello di produzionedell'impresa: un punto unico in cui i ricavi marginali e i costi marginali sono uguali, el'impresa massimizza i profitti. Questo equilibrio è illustrato nel secondo e terzo grafico dellaFigura: con ricavi totali ("total revenue") 75� e ricavi medi e marginali 3� l'equilibrio è in 4�,con ricavi totali 75� e ricavi medi e marginali 3� l'equilibrio è a 4�, e via di seguito.

Di fatto, poi, e con meccanismi che vedremo meglio tra poco, la concorrenza fra gliimprenditori azzera i profitti; l'equilibrio dell'impresa che è compatibile con l'equilibrio deimercati, ossia con rendite zero, è solo quello rappresentato dal profitto massimo pari a zero,ossia di una retta dei ricavi totali tangente alla curva dei costi totali al punto dei costi mediminimi: ogni impresa produce la quantità precisa e unica che minimizza i costi medi, vende aun prezzo che (grazie alla concorrenza) è uguale non solo al costo marginale ma al costomedio minimo, e massimizzando i profitti riesce appena a coprire i costi.

Si capisce così l'attaccamento degli economisti ai rendimenti di scala prima crescenti epoi calanti. Se questi fossero sempre crescenti, la curva dei costi totali sarebbe sempreconvessa dall'alto, come nel primo grafico della Figura 5.d.1.2; l'impresa vorrebbe cresceresenza limiti, e l'equilibrio concorrenziale di profitto massimo zero sarebbe impossibile. Se irendimenti di scala fossero sempre calanti la curva dei costi sarebbe sempre convessa dalbasso, come nel secondo grafico della Figura; i costi minimi e l'equilibrio di concorrenza conprezzo pari al costo medio minimo si otterrebbero con imprese microscopiche, che produconoognuna una quantità infinitesimale del prodotto. Con rendimenti e costi costanti, poi, la curvadei costi totali sarebbe un semplice raggio dal punto di origine, come la curva dei ricavi totali. Se queste due rette hanno pendenze diverse l'impresa vuole o scomparire (se i costi marginalie medi sono sempre superiori ai ricavi marginali e medi) o crescere senza limiti (se i ricavimarginali e medi sono sempre superiori ai costi marginali e medi), come nel terzo e quartografico della Figura; nell'equilibrio di concorrenza a profitto zero avrebbero la stessapendenza, come nel quinto grafico della Figura, ma con ricavi e costi marginali e medisempre uguali l'impresa è indifferente tra qualsiasi livello di produzione e decide a casoquanto produrre. Notiamo peraltro che i rendimenti costanti creano difficoltà solo nel casodell'impresa concorrenziale: l'impresa che vende con potere di mercato ha dei ricavi medi emarginali decrescenti, e se la curva dei costi è lineare basta la curvatura della curva dei ricavia definire il punto di profitto massimo, come nel sesto grafico della Figura.

In sostanza, dunque, l'esistenza della concorrenza fra imprese non microscopichegiustifica l'ipotesi dei rendimenti di scala prima crescenti e poi calanti. Rimane logicamenteproblematica l'idea stessa dei rendimenti di scala decrescenti, per i motivi suddetti; laspiegazione tradizionale che col crescere dell'impresa prima o poi i costi crescono perchèl'imprenditore non riesce più a controllare tutto può essere vera, ma è logicamente fuori daiparagoni di scala perchè si ipotizza che aumentano tutti i fattori di produzione tranne uno,quello appunto che gestisce gli altri.

5.d.2. l'impresa e i fattori di produzioneData la funzione di produzione, la decisione dell'impresa sulla quantità di fattori di

produzione da acquistare equivale alla decisione di quanto produrre, vendere, e ricavare. Perl'impresa concorrenziale il costo marginale di ciascun fattore corrisponde al suo prezzo: 0&/ ��G7&�G/�� �Z e 0&.� ��G7&�G.�� �U. Il beneficio corrispondente all'impiego di un unitàdi fattore aggiuntivo è l'aumento corrispondente del ricavo, detto ricavo marginale 05

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("marginal revenue"), termine che continueremo a usare al posto del generico "beneficiomarginale": 0%/� ��G75�G/�� �05/ e 0%.� ��G75�G.�� �05.. Questo ricavo marginaledell'unità di fattore si può utilmente scomporre in due parti, corrispondenti all'aumento da unlato dei ricavi per unità di prodotto, ossia il ricavo marginale del prodotto 054, e dall'altrodella produzione per unità del fattore, ossia il prodotto marginale del fattore 03/ o 03.: 05/� ��G75�G/�� ��G75�G4��G4�G/�� �05403/, e 05.� ��G75�G.�� ��G75�G4��G4�G.�� 05403.. Se l'impresa è concorrenziale pure nel mercato in cui vende, il prezzo del bene èparametrico e 054� �34, per cui 05/� �3403/ e 05.� �3403.. L'equilibrio nell'uso dei fattori implica 0&/� �05/ e 0&.� �05.; se l'impresa èconcorrenziale in tutti i mercati, queste uguaglianze si riducono a Z� �3403/ e U� �3403.. In sostanza, dunque, il prezzo del fattore è il suo costo marginale (in dollari per unità difattore); l'impresa ne impiega quanto basta per ridurre a tale livello il corrispondente beneficioo ricavo marginale, che è a sua volta pari al prodotto di due elementi, il prezzo del bene (indollari per unità di prodotto), e il prodotto marginale del fattore (in unità di prodotto per unitàdi bene). Come si vede dalla Figura 5.d.2.1, riferita al lavoro, OD�FXUYD�GHL�ULFDYL�PDUJLQDOLGHO�IDWWRUH�GL�SURGX]LRQH�q�OD�FXUYD�GL�GRPDQGD�GHOOLPSUHVD�SHU�TXHO�IDWWRUH.

Le equazioni Z� �3403/ e U� �3403. corrispondono, per l'impresa concorrenziale intutti i mercati, alla massimizazione del profitto; dal loro rapporto si ottiene �Z�U�� �03/�03.�, che è la condizione che corrisponde alla minimizzazione dei costi. Questo nonsorprende: già sappiamo che massimizzare i profitti implica minimizzare i costi (dellaquantità prodotta). Peraltro la condizione Z� � 3403/, o in generale 0&/� � 05403/,equivale a 34� �Z�03/, e in generale a 054� �0&/�03/; e così pure a 054� �0&.�03.. Ma già sappiamo dal punto 5.c.1. che �0&/�03/�� ��0&.�03.� �0&4; per cui la condizioneche corrisponde all'uso dei fattori che massimizza il profitto corrisponde pure a 054� �0&4,ossia alla produzione che massimizza il profitto. Siccome la produzione dipende dall'uso deifattori, non potrebbe essere altrimenti.

Nell'equilibrio dei mercati, poi, il profitto è nullo, e l'impresa produce la quantità cheminimizza i costi medi, ossia al livello che corrisponde ai rendimenti di scala costanti (fraquelli crescenti e quelli calanti). Nella Figura, il trapezio definito dalla curva dei ricavimarginali del lavoro e la quantità di lavoro utilizzata corrisponde al ricavo complessivo 75; ilrettangolo definito dal salario unitario e quella stessa quantità di lavoro, al monte salari Z/;data la nullità dei profitti 75� � 7&, e il triangolo residuo definito dalla curva dei ricavimarginali e il salario unitario corrisponde dunque al reddito del capitale U.� �75���Z/� �7&��Z/. Invocando il WHRUHPD�GL�(XOHU, notiamo che se la funzione 4�.�/� è omogenea di primogrado, ossia a rendimenti di scala costanti (come appunto nell'equilibrio dei mercati), allora siverifica che 4� ��G4�G.�.����G4�G/�/� �03..���03//; ne consegue che 344� �3403..��3403//� �U.���Z/, ossia che se ogni fattore è pagato il valore del suo prodotto marginalela somma dei pagamenti ai fattori esaurisce esattamente il reddito dell'azienda (cosa cheinvece non si verifica con rendimenti di scala crescenti o calanti).

5.d.3. l'impresa e l'industriaLa Figura 5.d.3.1 illustra l'equilibrio dell'impresa rappresentativa, dell'industria che si

ipotizza composta di Q imprese identiche, e dei mercati, sempre nell'ipotesi di concorrenzaperfetta in tutti i mercati. Tutti i grafici sono nello spazio prezzo-quantità, rispettivamente delbene prodotto (in alto), del lavoro (al centro), e del capitale (in basso); i grafici a sinistra sonoriferiti all'impresa, quelli a destra all'industria e ai mercati.

In alto a sinistra è illustrato l'equilibrio dell'impresa come produttrice del bene: ilprezzo di questo è parametrico, per cui 054� �$54� �34, l'impresa massimizza il profitto,per cui 054� �0&4, e la concorrenza fra gli imprenditori riduce il profitto a zero, per cui

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$54� �$&4; ne consegue che $&4� �0&4, per cui il prodotto 4L è quello associato ai costimedi più bassi raggiungibili. In alto a destra è illustrato l'equilibrio nel mercato del bene: ilprezzo (che l'impresa considera parametrico) è dato dall'incrocio tra domanda e offerta; laquantità totale è quella prodotta dalle Q imprese, per cui 47� �Q4L. La domanda di mercato èdefinita dai consumatori del bene ("le famiglie", se questo è un bene finale, come si è detto);sulla definizione dell'offerta torneremo tra breve.

Al centro a sinistra è illustrato l'equilibrio dell'impresa come utilizzatrice di lavoro: ilprezzo di questo è parametrico, per cui 0&/� �$&/� �Z; l'impresa massimizza il profitto, percui 05/� � 0&/, e l'impresa utilizza /L unità di lavoro. Al centro a destra è illustratol'equilibrio nel mercato del lavoro: il prezzo (che l'impresa considera parametrico) è datodall'incrocio tra domanda e offerta; la quantità totale è quella utilizzata dalle Q imprese, percui /7� � Q/L. L'offerta di mercato è definita dai venditori del lavoro ("le famiglie"); sulladefinizione della domanda torneremo tra breve.

In basso a sinistra e a destra troviamo gli stessi grafici per il fattore "capitale";ricordiamo che ipotizziamo un sistema completo di mercati, per cui l'impresa affitta "ilcapitale" dalle famiglie esattamente come affitta "il lavoro".

Consideriamo adesso l'offerta del bene, e la Figura 5.d.3.2, che riprende la Figuraprecedente. Ipotizziamo che per un motivo qualsiasi la domanda per il bene aumenti. Nelgrafico in alto a destra la domanda si sposta da '� a '�; l'equilibrio si sposterà lunga la curvadi offerta 6 da �34��47�� a �34��47��. Le condizioni di equilibrio dell'impresa sono quellenote, e non cambiano: nel nuovo equilibrio come nel vecchio produrrà a costi medi minimi eprofitti zero. Ipotizziamo, a fini espositivi, che la scala di produzione che minimizza i costimedi non sia cambiata: l'impresa produce quanto prima, ma a costi medi e marginali più alti. Come illustrato dal grafico in alto a sinistra, le curve dei costi dell'impresa sono scivolateverso l'alto. Se poi l'impresa produce quanto prima, è ovvio che l'aumento della produzionecomplessiva si ottiene aumentando non la scala delle imprese esistenti, ma il numero diqueste: se 4L�� � 4L�, e 47�� � Q�4L�� !� 47�� � Q�4L�� � Q�4L�, allora Q�� !� Q�, e �Q��Q��� �47��47��. Di fatto, non è detto che la scala delle imprese rimanga costante; ma il puntofondamentale è che FRQ�UHQGLPHQWL�YDULDELOL�OH�LPSUHVH�KDQQR�XQD�GLPHQVLRQH�EHQ�GHILQLWD��HGD� XQ� HTXLOLEULR� DOODOWUR� YDULD� LO� QXPHUR� GHOOH� LPSUHVH. Per l'industria, insomma, l'unitàrilevante è la singola impresa di scala ottimale, con il suo prodotto; l'industria intera cambiascala cambiando il numero non delle unità di prodotto in quanto tali, ma delle unitàproduttrici.

La curva di offerta dell'industria concorrenziale indica per definizione la quantitàprodotta e venduta a ogni prezzo, parametrico per le singole imprese; le variazioni di talequantità riflettono le variazioni nel numero delle imprese attive, e non (o non solo) levariazioni della scala produttiva delle imprese esistenti; e l'elasticità della curva di offertadipende, o meglio è limitata, dalla variazione dei costi delle imprese indotta dalla variazionenel loro numero e nella produzione complessiva.

Essendo data la tecnologia, e variabile il numero delle imprese che la usano,l'industria che cresce replicando imprese identiche è ovviamente a rendimenti di scalacostanti: come cresce l'industria la produttività dei fattori di produzione non diminuisce,anche se diminuirebbe se ogni impresa dovesse produrre di più. Ma se la produttività noncala, l'aumento dei costi dell'impresa non può essere dovuto che all'aumento dei costi unitaridei fattori che utilizza, ossia dei prezzi dei fattori.

Il motivo di questo aumento dei prezzi dei fattori e dunque dei costi è illustrato neglialtri grafici della Figura. L'industria è concorrenziale, ripetiamo, solo nel senso che ècomposta da imprese concorrenziali; nel mercato dei fattori rappresentati nei grafici ha unnotevole potere di mercato, e il prezzo di equilibrio varia con le quantità acquistate

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dall'industria nel suo complesso. I costi aumentano, e la curva di offerta dell'industria non èperfettamente elastica, perchè non sono perfettamente elastiche le curve di offerta dei fattoridi produzione; come l'industria si espande aumenta la domanda dei fattori, e i prezzi di questiaumentano.

Ipotizziamo, per semplicità, che l'industria "concorrenziale" abbia lo stesso potere inambedue i mercati dei fattori; i prezzi di questi aumentano dunque senza cambiare il loroprezzo relativo, e le singole imprese non cambiano le quantità relative dei fattori che usano (edunque non cambia la scala che minimizza i costi, e non cambiano nemmeno le quantitàassolute dei fattori usate dalle singole imprese). In questo caso ipersemplificato, insomma, leimprese si moltiplicano ma non cambiano: l'aumento del prezzo del bene copre esattamentel'aumento dei costi unitari dei singoli fattori e del bene prodotto.

In generale, ovviamente, la cosa non sarà così semplice: l'industria userà fattori più omeno specifici, la sua espansione farà aumentare i prezzi dei diversi fattori in proporzionidiverse; espandendosi l'industria cambieranno dunque le proporzioni dei fattori cheminimizzano i costi, cambierà pure probabilmente la scala ottimale della singola impresa. Ma tutto ciò è incidentale; rimane il punto fondamentale, cioè che OD� FXUYD� GL� RIIHUWDGHOOLQGXVWULD� FRQFRUUHQ]LDOH� q� LO� OXRJR� GHL� FRVWL�PHGL�PLQLPL� GHOOH� LPSUHVH� DO� YDULDUHdella scala dell'industria, ossia GHOOD� SURGX]LRQH� FRPSOHVVLYD� GHO� EHQH�� H� TXHVWL� FRVWLYDULDQR�SHUFKq�YDULDQR�L�SUH]]L�GHL�IDWWRUL.

Ne consegue che la curva di offerta dell'industria è perfettamente elastica solol'industria intera è priva di potere nei mercati dei fattori, per cui i prezzi di questi rimangonoinvariati. Come già notato (5.a.4.), ciò esige che l'industria in esame sia una componenteesigua della domanda complessiva per tutti i fattori che usa: in sostanza, che affitti i fattori diproduzione in un vasto mercato mondiale, o, in un'economia chiusa, che sia piccola e non usifattori ad essa specifici.

Ne consegue pure, ovviamente, che l'offerta dell'industria aumenta se vi è progressotecnico, che aumenta il prodotto a parità di uso dei fattori e dunque dei prezzi di questi e deicosti dell'impresa, e pure se aumenta l'offerta dei fattori, ossia se ogni quantità complessiva diquesti si può affittare a prezzi più bassi.

5.d.4. il significato della concorrenzaIn un contesto pienamente concorrenziale, poi, il prezzo del bene 34 è anche il costo

marginale per il compratore del bene 0&4F, per cui nell'equilibrio di questo è uguale pure alsuo prezzo di domanda o beneficio marginale 0%4F; il prezzo del fattore di produzione, adesempio Z, è anche il beneficio marginale per il venditore del lavoro 0%/Y, per cuinell'equilibrio di questo è uguale pure al suo prezzo di offerta o costo marginale 0&/Y. L'equilibrio dell'impresa concorrenziale L significa a sua volta che 34� � 054L� � 0&4L� �Z�03/�: se ad esempio al margine un lavoratore produce un quarto di unità di prodotto, ilprezzo del bene sarà uguale al salario di quattro lavoratori.

Nell'equilibrio concorrenziale, dunque, 0%4F� �0&4F� � 34� �054L� � �Z�03/�� �0%/Y�03/�� ��0&/Y�03/�. Riassumendo, 0%4F� � �0&/Y�03/�: in equilibrio il beneficiomarginale del compratore del bene è uguale al costo marginale di esso, non solo per l'impresa,ma per i lavoratori che di fatto lo producono (quattro, se 03/ = 0,25). Il compratore del benecompra, indirettamente e tramite l'impresa, il lavoro necessario per produrlo; se tutti i mercatisono concorrenziali questo scambio indiretto raggiunge esattamente il livello (Pareto)efficiente che raggiungerebbe se lo scambio fosse diretto.

Dati due beni ; e <, poi, nell'equilibrio di concorrenza 3;� �0&;L� � �Z�03/;�� �U�03.;� e 3<� � 0&<L� � �Z�03/<�� � �U�03.<�, per cui �3;�3<�� � �03/;�03/<�� �03.;�03.<�, e i prezzi relativi che guidano le scelte dei consumatori corrispondono

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esattamente ai FRVWL� RSSRUWXQLWj� UHDOL (i rapporti dei prodotti marginali, uguali per tutti ifattori). Nell’equilibrio di concorrenza, dunque, l’individuo sceglie esattamente i consumi chesceglierebbe se avesse direttamente di fronte a se il tasso al quale si possono sostituire idiversi beni spostando risorse dalla produzione dell’uno alla produzione dell’altro.

Ogni operatore reagisce solo al prezzo di mercato; se i mercati sono concorrenziali iprezzi portano le famiglie compratrici di beni e affittatrici di fattori a praticare tutti gli scambie le trasformazioni utili (paretiani), come se fossero in contatto diretto e conoscessero lepossibilità tecniche, o come se fossero coordinati da un pianificatore onnisciente. Il mercatodi concorrenza può dunque essere considerato un coordinatore, come aveva intuito Smith, oun mezzo efficientissimo di diffusione delle informazioni, insomma di FRPXQLFD]LRQH, comeintendeva Hayek.

Questo equilibrio Pareto-efficiente non si raggiunge, ovviamente, se il compratore delbene o il venditore del fattore di produzione è dotato di potere di mercato, cosa peraltroabbastanza rara. Non si raggiunge nemmeno se l'impresa è dotata di potere di mercato, siacome venditrice del bene, sia come compratrice del fattore. L'impresa monopolista restringegli scambi, in effetti comunicando al compratore del bene un'offerta dei fattori minore diquella effettiva, e al venditore del fattore una domanda minore di quella effettiva.

Ricordiamo ancora una volta lo sdegno di Simons di fronte al monopolio privato. Inun'ottica individualista, hayekiana, la funzione sociale dell'impresa è quella di far comunicarele famiglie che comprano (beni) e vendono (fattori), e solo l'impresa concorrenziale fa datramite in modo onesto. L'impresa monopolistica passa informazioni distorte, presentandoagli acquirenti prezzi di offerta gonfiati, ai venditori offerte di acquisto sminuite: esattamentecome l'agenzia immobiliare disonesta, che potendo trattare separatamente con chi compra echi vende fa pagare al primo una somma superiore a quella che dice al secondo di averericevuto.

5.d.5. il significato dei rendimenti variabiliL'ipotesi dei rendimenti variabili e dunque dei costi medi a "U" serve, l'abbiamo visto,

a giustificare la struttura dell'industria come una di concorrenza tra imprese di dimensioni bendefinite. Ricordiamo che i rendimenti sempre decrescenti portano alla concorrenza, ma traimprese microscopiche; i rendimenti sempre crescenti distruggono la concorrenza, comeaveva capito Marx, perchè l'impresa più grande ha costi minori delle più piccole, che dunquefalliscono; i rendimenti ORFDOPHQWH costanti, nell'equilibrio di concorrenza, assicurano ilprofitto zero con remunerazioni dei fattori pari ai valori dei prodotti marginali; ma irendimenti sempre costanti renderebbero aleatorie le dimensioni delle imprese.

Di fatto, come abbiamo visto, i prezzi dei fattori e dei beni dipendono tutti dagliacquisti e dalle vendite dell'industria intera; la suddivisione interna dell'industria èininfluente, per cui potrebbe benissimo essere aleatoria. Per essere più precisi, è utiledistinguere l'impresa, unità amministrativa, dalla fabbrica, unità produttiva. L'industria ènaturalmente concorrenziale se i costi medi minimi si raggiungono con fabbriche piccole,ossia che producono poco rispetto al consumo totale al prezzo di costo minimo; alla singolaimpresa si possono benissimo attribuire rendimenti e costi costanti, moltiplicando fabbrichedi dimensioni ottimali.

Il fatto che la dimensione dell'impresa diventa allora aleatoria non ha conseguenze: quand'anche una singola impresa dovesse riunire tutte le fabbriche dell'industria, rimarrebbesenza potere di mercato. Ricordiamo infatti che la domanda per il singolo operatore è ladomanda netta, ottenuta come saldo fra domanda complessiva e offerta altrui; se anche glialtri imprenditori possono affittare mura, macchine, e lavoro--ossia allestire una fabbrica--eprodurre agli stessi costi minimi della grande impresa esistente, l'offerta degli altri è

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perfettamente elastica a quel prezzo di costo minimo, ed è pure perfettamente elastica ladomanda netta per il prodotto della grande impresa.

Possiamo dire se vogliamo che l'industria rimane concorrenziale anche se coincidecon un'unica grande impresa, che non è un monopolio nel senso economico, ossia non hapotere di mercato. Possiamo anche dare un significato diverso alle parole, e dire che questaindustria è un monopolio, nel senso etimologico/giuridico, perchè coincide con un'unicagrande impresa, e dunque non concorrenziale; ma dobbiamo allora aggiungere che l'assenzadi potere di mercato, e dunque gli effetti della concorrenza fra imprese numerose, sonogarantiti comunque dalla concorrenza degli altri imprenditori e delle loro imprese potenziali. Il gergo degli economisti si è assestato, forse stranamente, su questa seconda costellazione; sidice adesso che i risultati dei mercati concorrenziali (con tante imprese effettivamente attive)si ottengono anche con i PHUFDWL� FRQWHQGLELOL, ossia quelli in cui l'unica impresa, "dimonopolio" (etimologico), rimane esposta alla concorrenza da parte di impresepotenzialmente attive.

In sostanza, dunque, possiamo benissimo permettere alle imprese di replicare il modomeno costoso di produrre, e godere pertanto di costi costanti; rimarranno comunque prive dipotere di mercato, per cui l'industria rimane concorrenziale, nel senso convenzionale, aprescindere dal loro numero. Tale numero diventa sì aleatorio; ma siccome non incide suicomportamenti nulla dipende da esso, e rimane dunque senza interesse.

Da un equilibrio all'altro, dunque, variano il prodotto dell'industria, il consumo edunque i prezzi dei fattori, e dunque i costi delle imprese e il prezzo del bene; il numero delleimprese è indifferente, e varia di fatto il numero delle fabbriche.

5.d.6. il breve periodo e il lungo periodoAvevamo segnalato che in generale l'elasticità delle curve di domanda e di offerta è

tipicamente minore nel breve periodo che non nel lungo periodo (2.c.4.). Torniamo adesso aillustrare questo concetto nel contesto specifico della produzione, dove i diversi periodi hannoun senso ben preciso. Per definizione, QHO� OXQJR� SHULRGR� VRQR� YDULDELOL� WXWWL� L� IDWWRUL� GLSURGX]LRQH��PHQWUH�QHO�EUHYH�SHULRGR��q�YDULDELOH�XQ�VROR�IDWWRUH�GL�SURGX]LRQH; se i fattori diproduzione sono più di due esisteranno pure periodi intermedi, tanto meno brevi, tanto piùnumerosi sono i fattori variabili.

Si consideri l'industria dei trasporti aerei. Non è una scelta a caso: è infattiun'industria caratterizzata dalla completezza dei mercati, e la diffusa separazione tra impreseproduttrici di trasporti, che utilizzano beni durevoli (gli aerei), e i proprietari di questi beni (difatto altre imprese, di leasing).

Per ipotesi, questa industria produce un prodotto omogeneo 4 ("viaggi", o piùprecisamente, posti-chilometro), che vende in un mercato concorrenziale al prezzo 34. Usaun capitale . specializzato, gli aerei da trasporto, anch'essi omogenei, che affitta giorno pergiorno in un mercato anch'esso concorrenziale, al prezzo U. Gli aerei sono oggetti complessi,con un tempo di produzione di molti mesi, per cui la flotta aerea non si può aumentare dalgiorno all'indomani; nel breve periodo, dunque, il capitale disponibile è fisso. Nel lungoperiodo, il capitale può ovviamente crescere; siccome poi di fondo gli aerei sono assemblaggidi alluminio informatizzati, e contano ben poco rispetto alle pentole e i PC, nel lungo periodosono disponibili al prezzo di costo costante 3./3. Per i soliti equilibri di arbitraggio gliinvestimenti in aerei da affittare renderanno l'interesse di mercato (e un premio di rischio), percui nel lungo periodo anche U è costante.

L'industria dei trasporti aerei usa anche personale specializzato, piloti e meccanici. Questi hanno bisogno di un lungo addestramento, per cui non si possono aumentare in tempibrevi; per il resto sono persone normali, in offerta perfettamente elastica. In sostanza sono

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simili agli aerei; e siccome vogliamo limitarci a due fattori di produzione li incorporiamodirettamente nel capitale, e non ne parliamo più.

Per il resto l'industria usa lavoro / assolutamente generico (che scarica e carica ilbagaglio, ricarica i serbatoi, e riordina la cabina tra un volo e l'altro), reclutabile dagli altrisettori al prezzo costante Z, e variabile anche nel breve periodo.

La tecnologia è ovviamente a rendimenti costanti (raddoppiando aerei e personale siproduce il doppio); per semplificare l'esposizione assumiamo che il numero (arbitrario) dicompagnie aeree sia fisso e pari a Q, e che queste siano identiche.

Si consideri la Figura 5.d.6.1. I due grafici in alto sono nello spazio prezzo-quantitàdei fattori di produzione; sono riferiti all'industria, ma facilmente riferibili all'impresa. Quello a sinistra è riferito al lavoro, disponibile per l'industria (oltre che per l'impresa) asalario Z costante, nel breve periodo come nel lungo; l'offerta di lavoro di breve periodo 6%3 èdunque orizzontale, e coincide con l'offerta di lavoro di lungo periodo 6/3. Per passaredall'industria all'impresa, basta dividere per Q i valori sull'asse orizzontale. Il grafico a destraè riferito al leasing del capitale, ossia degli aerei. L'offerta di lungo periodo 6/3 è anch'essaorizzontale, al prezzo U/3; l'offerta di breve periodo è invece verticale. Per passaredall'industria all'impresa basta dividere per Q i valori sull'asse orizzontale, e ricordare che perl'impresa l'offerta è sempre perfettamente elastica (orizzontale) al prezzo di mercato U.

I grafici centrali sono nello spazio prezzo-quantità del bene prodotto. Quello a sinistraè riferito all'industria; con funzioni di offerta dei fattori perfettamente elastiche nel lungoperiodo e rendimenti di scala costanti, l'offerta di trasporto aereo di lungo periodo 6/3 èanch'essa perfettamente elastica, per ipotesi al prezzo 34/3. Il grafico di destra è riferitoall'impresa, che per ipotesi produce ���Q� del prodotto complessivo. Le curve a "U" dei costimedi sono riferite ad una flotta data; con i prezzi dei fattori ai valori di lungo periodo il costominimo rimane pari a 34/3, e la quantità corrispondente varia con la dimensione della flottaaerea ("il numero delle fabbriche").

Il grafico in basso, nello spazio dei fattori, e dunque degli isoquanti e isocosti, èriferito pure all'industria; per passare all'impresa basta ancora una volta dividere per Q i valorisugli assi e sugli isoquanti.

Ipotizziamo un equilibrio iniziale, caratterizzato nei tre grafici "di mercato"dall'intersezione delle curve di domanda '� con le curve di offerta di lungo periodo 6/3. Neigrafici in alto si osservano le combinazioni Z�/� e U/3�.� per l'industria, da cui per l'impresaZ��/��Q� e U/3��.��Q�); al centro si osservano 34/3�4� per l'industria e 34/3�4��Q per l'impresa;e in basso si osserva l'equilibrio con appunto (per l'industria) �/��.��4��, che corrisponde alcosto totale minimo 7&� per la quantità prodotta.

Immaginiamo che la domanda per il trasporto aereo aumenti, spostandosi da '� a '�,raddoppiando la quantità desiderata al prezzo 34/3. Nel nuovo equilibrio di lungo periodol'industria occuperà /�� ��/� persone e .�� � �.� aerei, producendo 4�� � �4� viaggi, conprezzi immutati dei fattori e dei beni; la singola impresa raddoppia impieghi e produzione, eraddoppiando la flotta la curva dei costi medi per la flotta data si sposta da $&� a $&�, concosto medio minimo immutato e prodotto appunto doppio. Nello spazio dei fattori si osservaun aumento di scala a rendimenti costanti, dal punto (� al punto (�, con consumi dei fattori,costi complessivi, e prodotto tutti raddoppiati, per l'industria e dunque per ogni impresa(anche se come sappiamo una redistribuzione tra le diverse imprese, o un mutamento nel loronumero, non cambia nulla).

Consideriamo ora l'equilibrio di breve periodo, durante il quale la flotta aereacomplessiva rimane fissa. Al prezzo 34/3, raddoppiando la domanda, le compagnie aereesono inondate di richieste; come un ufficio riceve le prenotazioni, un'altro ufficio assumepersonale, e un'altro ancora chiede aerei aggiuntivi alle compagnie di leasing. Siccome però

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gli aerei disponibili sono quelli che sono, questa richiesta di aerei aggiuntivi fa solo lievitareil prezzo di affitto degli aerei esistenti; ne risulta un aumento dei costi delle compagnie edunque del prezzo del prodotto. La produzione aumenta, ma solo grazie all’aumento delpersonale; aumenta pure il rapporto lavoro/capitale, coerentemente con la VRVWLWX]LRQH tra ifattori indotta dal mutamento dei loro prezzi relativi.

Ripercorriamo i vari elementi del nuovo equilibrio. Nei grafici in alto notiamo per oral’aumento della domanda per ambedue i fattori di produzione, riflesso dell’aumento delladomanda per il prodotto; per ipotesi nel mercato del lavoro si scambia una quantità /%3�!�/� aprezzo Z immutato, nel mercato (di leasing) degli aerei si scambia una quantità .%3� �.�,dunque immutata, al prezzo U%3�!�U/3.

Nel grafico centrale a sinistra compare OD� FXUYD� GL� RIIHUWD� GL� EUHYH� SHULRGRdell'industria in esame, 6%3; come quella di lungo periodo corrisponde al luogo dei costi mediminimi delle imprese concorrenziali al variare del prodotto complessivo e dunque dei prezzidei fattori di produzione, ma a differenza di questa è definita per una quantità immutata delfattore fisso, nel caso, lo stock di aerei. La quantità del fattore fisso è dunque un parametrodella curva di offerta di breve periodo; quella illustrata è appunto quella definita per lo stockdi aerei raggiunto nell'equilibrio iniziale 34/3�4�, e passa dunque per quel punto.

Ipotizziamo che la 6%3 (definita, ripetiamo, dall'aumento dei costi e dei prezzi conl'aumento della produzione con stock di capitale fisso) incontri la curva di domanda '� alpunto 34%3�4%3, con 34%3�!�34/3 e 4%3�!�4�. Nel grafico centrale di destra vediamo che perl'impresa, dati sempre gli equilibri con profitti di arbitraggio nulli, i costi medi minimi sonoaumentati appunto fino a $&%3� �34%3�!�$&/3; il prodotto corrispondente (date sempre percomodità Q imprese identiche) è ovviamente �4%3�Q��!��4��Q�.

Nel grafico in basso, nello spazio dei fattori, il nuovo equilibrio sarà il punto (%3definito dall'intersezione fra l'isoquanto 4%3 e la retta che mantiene .%3� �.�, che è poi ilpunto di tangenza fra quell'isoquanto e l'isocosto 7&%3 con pendenza �Z�U%3���� �Z�U/3�: difatto, la concorrenza tra le imprese per accaparrare gli aerei ne fa lievitare il prezzo di leasingfinchè la quantità desiderata non coincide con la quantità disponibile. Infatti . è fisso soloper l'industria; ognuna delle Q imprese osserva solo l'aumento del prezzo U, che la porta adecidere di produrre di più con una flotta immutata, e più personale (totale e per unità dicapitale). La forza lavoro dunque aumenta, nel caso fino a /%3�!�/��!�/�: in sostanza, vistol'alto prezzo dei viaggi e l'alto costo degli aerei, l'impresa assume molto personale di terra perabbreviare i tempi morti tra un volo e l'altro.

Con la stessa flotta aerea si produce dunque 4%3� !� 4�, con però un notevoleincremento dei costi medi. Dati i rendimenti costanti, infatti, i costi medi pure sarebberocostanti se si potesse produrre 4%3 a costi minimi con prezzi e rapporti dei fattori immutati,ossia al punto di tangenza dell'isoquanto 4%3 all'isocosto 7& (la tratteggiata parallela a 7&� e7&�). Si produce invece con Z immutato e U aumentato, e costi totali 7&%3; l'aumento deicosti medi è nella proporzione �7&%3�7& �, ossia data la costanza di Z nella proporzione�/ �/ � fra le intercette orizzontali di questi due isocosti.

Ritorniamo ora ai grafici in alto, riferiti ai mercati dei fattori. A salario immutato,l'industria impiega come si è detto /%3� !� /�� !� /� persone. Essendo immutato il capitaleutilizzato, e dunque la curva del prodotto marginale del lavoro, lo spostamento della domandadi lavoro da '� a '%3 è dovuto interamente all'aumento del prezzo del bene: per ogniquantità di / il prezzo di domanda 3403/ aumenta perchè è aumentato 34. La domanda peril bene durevole è anche aumentata, di '� in '%3, sia perchè è aumentato il prezzo del bene,sia perchè con l'aumento del personale / aumenta pure il prodotto marginale del capitale03.. Siccome però nel breve periodo l'offerta di aerei è rigida, come si è visto l'aumentodella domanda porta solo ad un aumento delle tariffe di leasing, da U/3 a U%3.

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5.d.7. dal breve al lungo periodo: il mercato dei beni durevoliConsideriamo adesso il passaggio dall’equilibrio di breve periodo al nuovo equilibrio

di lungo periodo.Nell’equilibrio di breve periodo sono in equilibrio le imprese, che massimizzano i

profitti peraltro pari a zero, e i mercati in cui si affittano i lavoratori e gli aerei; se l’equilibrioè pur sempre solo di breve periodo, è perchè non è in equilibrio anche lo stock di capitale,appunto perchè come si è ipotizzato il suo incremento richiede notevoli tempi tecnici.

Consideriamo adesso in termini generali un tipico mercato di beni durevoli. Nel breveperiodo, come abbiamo visto, essendo fissa la quantità disponibile, l'arbitraggio (laconcorrenza tra le imprese) porta il prezzo di leasing U al prezzo di domanda per lo stockesistente, ossia al valore del suo prodotto marginale.

L'arbitraggio opera pure nel mercato in cui si scambiano gli stessi beni durevoli; comesappiamo (supra, 3.b.14), il prezzo di domanda e di mercato di questi 3. sarà il valore attuale,ossia la la capitalizzazione, del reddito netto atteso. Se per ipotesi U è il reddito netto delproprietario del bene (ossia se la manutenzione è a carico dell'affittuario), e si presume chetale reddito rimarrà costante per la vita 7 del bene, e il tasso di sconto (comprensivo delpremio rischio) è L, allora 3.� �U���>U������L�@���>U������L�

�@�������>U������L�7@. Il prezzo 3.dunque aumenta con U (e a parità di U attesi nel futuro più lontano, aumenta se aumentano gliU attesi negli anni più vicini).

Nel caso della terra, data e indistruttibile, il discorso finisce qui; ma per i benidurevoli riproducibili bisogna tener conto sia della produzione nuova, sia delle rottamazioni. Immaginiamo per semplicità che le rottamazioni siano una quota costante G dello stockesistente; in assenza di produzione nuova dello stock . nel periodo W sopravviverà solo ����G�. nel periodo W����. Tenendo conto della produzione nuova .1 nel periodo W, otteniamo.W��� ������G�.W���.1W; nei tempi abbastanza lunghi da permettere mutamenti nello stock dibeni durevoli tale stock è ovviamente in equilibrio se tende a rimanere costante. Nell'equilibrio di lungo periodo, dunque, .W��� �.W, e dunque .1W� �G.W.

Si considerino i grafici superiori della Figura 5.d.7.1. Il grafico a sinistra è nellospazio prezzo-quantità dello stock di beni durevoli, quello a destra nello spazio prezzo-quantità del flusso periodico di beni durevoli nuovi. Ipotizziamo inizialmente che lo stock .�sia appunto di equilibrio di lungo periodo: per ipotesi, cioè, dati i prezzi degli altri fattori, latecnologia, e il prezzo del bene prodotto usando questo bene durevole, il valore del prodottomarginale dello stock .� genera un prezzo di leasing U� che genera un prezzo del benedurevole 3.� (grafico a sinistra) tale che a quel prezzo, e data la curva di offerta dei produttoridi tali beni durevoli 6.1 (grafico a destra), la produzione nuova .1� compensa esattamenteG.�. Notiamo che .� è uno stock di equilibrio stabile: infatti se (fermi restando latecnologia, l'offerta degli altri fattori, e la domanda per il prodotto) dovesse aumentare .,calerebbe il prezzo di leasing e dunque (lungo la domanda '�) il prezzo del bene durevole, edunque pure la produzione nuova, che non coprirebbe più le rottamazioni, per cui . siridurrebbe.

Ipotizziamo adesso che per qualche motivo (l'aumento della domanda per il prodotto,la variazione del prezzo di un altro fattore) aumenti la domanda per l'uso del capitale; nelbreve periodo, con . dato, aumenta U, il valore attuale del flusso atteso, e dunque 3.. Ipotizziamo che la domanda per il bene durevole si sposti da '� a '�, generando un prezzo3.�. Con tale prezzo la nuova produzione raggiunge .1��!�.1�� �G.�, per cui . cresce. Crescendo ., si riduce U e il prezzo di domanda per ., 3., lungo '�; cresce in proporzione a. la rottamazione periodica G.. Calando 3., poi, si riduce la nuova produzione, lungo 6.1; ilnuovo equilibrio di lungo periodo si raggiunge con .�, assumendo che il prezzo

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corrispondente del bene durevole 3.� induca una nuova produzione .1�� �G.�. Essendo 3.�!�3.�, e (per ipotesi) immutati il tasso di sconto e la vita media dei beni durevoli, da unequilibrio di lungo periodo all’altro deve aumentare anche il reddito U di cui 3. è lacapitalizzazione.

I grafici inferiori della Figura riportano l'andamento temporale di . e .1: notiamoche mentre nel tempo lo stock . passa dal livello stabile iniziale .� al livello stabile finale .�attraverso un semplice periodo di crescita, la produzione di beni durevoli .1 passa dal livellostabile iniziale .1� al livello stabile finale .1� con una rapida espansione iniziale ben oltretale livello, per poi ridiscendere fino ad esso. *OL�DJJLXVWDPHQWL�GHJOL�VWRFN�SRUWDQR�D�FLFOLQHL� IOXVVL� GL� DJJLXVWDPHQWR; non a caso i cicli da domanda (e la disoccupazione periodica)sono caratteristici delle economie industriali, dotate appunto di un notevole capitaleriproducibile. Nelle economie agricole la prevalenza del capitale non riproducibile (la terra)elimina questa fonte di instabilità; tali economie sono invece soggette a cicli di offertaagricola, col variare del raccolto, che causano carestie nei paesi poveri (e magari anchedisoccupazione fra gli artigiani, nella misura in cui l'offerta agricola è anche domandaindustriale; ma questo dipende dalla natura del loro mercato, più o meno esclusivamentepadronale, e dei contratti agrari, che possono stabilizzare i redditi dei padroni o deilavoratori).

Torniamo ai nostri aerei. Nel mercato degli stessi aerei il passaggio da un equilibrioall'altro ricalca la Figura 5.d.7.1, con un'unica piccola variante: si assume che la curva diofferta di aerei nuovi 6.1 sia inizialmente piatta e poi in salita, a punta di sci; .1� e .1� sonoambedue sulla parte piatta, in modo da mantenere costante il prezzo di leasing U/3, e solo .1�è sulla parte in salita (anche perchè l'industria produttrice adatta gli impianti ai livellisostenibili, e non alle punte cicliche).

Si riprenda la Figura 5.d.6.1. Nel grafico in basso, l'equilibrio salta inizialmente da (�a (%3; poi, man mano che . aumenta e U si riduce l'isocosto diventa più ripido, i costi e ilprezzo del prodotto si riducono, il prodotto complessivo aumenta, e l'equilibrio si sposta da(%3 verso nord-ovest--dunque, nel caso, con una riduzione del personale--fino a raggiungere(�. Nel grafico in alto a sinistra la domanda di lavoro, che era saltata da '� a '%3, si riduceprogressivamente fino a '�; siccome nel frattempo aumenta ., la riduzione è dovuta al calodel prezzo del prodotto, che domina l'aumento del prodotto marginale fisico. Nel grafico inalto a destra la domanda di capitale segue un'evoluzione simile; in questo caso, però, lacaduta della domanda di aerei in leasing è dovuta alla riduzione congiunta del prezzo delprodotto e (data la riduzione di /) del prodotto marginale fisico. Nel grafico centrale asinistra, l'equilibrio nel mercato dei viaggi aerei era saltato lungo l'offerta di breve periodo6%3, definita da .� �.�, dall'incrocio di questa con '� all'incrocio con '�. Come cresce .,poi, 6%3 si sposta verso destra, generando equilibri successivi lungo '�, per poi fermarsiquando incrocia anche 6/3; in quel punto, infatti, U sarà tale da stabilizzare .. Nel graficocentrale a destra, infine, la curva dei costi medi dell'impresa rappesentativa, che era saltata da$&� a $&%3, ridiscende nel tempo, per raggiungere di nuovo i costi minimi iniziali. Conl'ipotesi di comodo che il numero di imprese rimane costante, ognuna di queste si ritrova nellungo periodo con $&� e un prodotto doppio di quello iniziale. Nulla cambia se ipotizziamoche le imprese ritornano ad $&�, con un prodotto identico a quello iniziale, e raddoppiano dinumero; come sappiamo, con rendimenti costanti la scala di equilibrio dell'impresa non èdefinita, ed è del tutto indifferente.

5.e. una parentesi: l'analisi tradizionale del breve periodo

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5.e.1. la logica e la prassiApriamo una parentesi per informare il lettore sull’analisi dei costi e degli equilibri di

produzione di breve periodo che continuano a presentare gli altri testi di economia: non percapire la logica del modello, già presentata, ma per conoscere gli schemi mentali tuttoradiffusi.

Nel lungo periodo, come abbiamo visto, tutti i mercati esistono, tutti i prezzi e tutte lequantità sono variabili, l'arbitraggio riduce i profitti a zero, e i prezzi di offerta dell'industriaconcorrenziale corrispondono ai costi minimi del prodotto, che variano con la scala diproduzione perchè questa determina i prezzi nei mercati dei fattori di produzione. Nel breveperiodo, come pure abbiamo visto, l'unica differenza è che un qualche fattore di produzione("il capitale") è disponibile in quantità complessiva fissa, perchè ha esso stesso i suoi tempi diproduzione.

La nostra analisi del lungo periodo è assolutamente ortodossa; la nostra analisi delbreve periodo è invece diversa da quella nel patrimonio comune degli economisti, che èstranamente illogica e sopravvive sicuramente solo perchè nessuno ci pensa più. Comevedremo, infatti, l'analisi comune del breve periodo presume che in tale periodo l'arbitraggiosia sospeso all'esterno dell'impresa anche se non all'interno di essa; che non esista un mercatoper "il capitale", e che l'impresa lo valuti non al valore attuale ma al valore storico,scordandosi la prima differenza tra economisti e contabili; e infine che siano fissi i prezzi ditutti i fattori di produzione, ossia che ad esempio il prezzo del cotone non dipenda dalladomanda da parte dell'industria cotoniera.

La radice di tale impostazione è ovviamente non la logica ma la storia. La tradizioneanglosassone ha infatti maturato un modello dell'impresa che ricalca l'impresa-tipo dellarivoluzione industriale inglese: piccola, mono-fabbrica, a conduzione familiare, di proprietàsostanzialmente inalienabile del gestore, e a sua volta proprietaria degli impianti. La fabbricaera allora quella che era, e nel breve periodo si decideva solo sull'intensità dell'uso degliimpianti e dunque della forza lavoro, peraltro assolutamente generica, da assumere. "Ilcapitale" si considera pertanto fisso, nel breve periodo, per la stessa impresa, che a sua voltanon è in vendita, per cui i valori attribuiti all'uno e l'altra diventano irrilevanti; si confondonoimprenditore e proprietario del capitale, profitti d'impresa e guadagni da speculazione inproprietà, si ragiona insomma senza rifletterci in un contesto particolare di mercati inesistenti.

Più strana è l'ipotesi che l'industria intera non abbia nel breve periodo alcun potere dimercato, nemmeno rispetto alla materia prima che essa sola utilizza. Qui la storia non aiuta: è vero infatti che l'Inghilterra di allora era libero-scambista, e comprava le materie prime suimercati mondiali; ma la stessa Inghilterra era "l'opificio del mondo", e i prezzi mondiali eranodi fatto i prezzi sulla piazza inglese. Le altre industrie nazionali si potevano considerare"piccole", ininfluenti sui prezzi, ma l'industria inglese certo no; probabilmente si tratta di unasemplice svista.

5.e.2. le curve dei costiSi consideri la Figura 5.e.2.1, riferita ai costi dell'impresa nel breve periodo. In alto a

sinistra, nello spazio degli isoquanti, ipotizziamo che nel breve periodo sia possibile solo lafabbrica esistente, corrispondente a .� �.�; data quella fabbrica il costo complessivo di ognilivello di produzione si ottiene variando / con . invariato fino a raggiungere l'isoquantodesiderato. Il FRVWR�FRPSOHVVLYR 7& ("total cost"), nel grafico a destra, si ottiene sommando ilFRVWR� ILVVR 7)& ("total fixed cost"), ossia il costo del capitale calcolato convenzionalmentecome l'interesse sulla spesa per la fabbrica L3.., e il FRVWR� YDULDELOH 79& ("total variablecost"), che corrisponde alla remunerazione Z/ del fattore variabile, il lavoro (se ci fosserodue fattori variabili, il loro uso si ottimizzerebbe con le solite tangenze fra isoquanto e

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isocosto nello spazio corrispondente).In basso a sinistra si riprende il grafico precedente per evidenziare le pendenze che

corrispondono ai costi medi e marginali, illustrati poi nel grafico a destra. Per ogni livello diproduzione 4 il costo marginale 0& è sempre unico, e corrisponde alla pendenza della curvadei costi totali; all'interno dei costi medi si distinguono invece, dato il costo fisso, tre valoridiversi. Dal punto di origine del grafico a sinistra si misura l'angolo che corrisponde al costomedio fisso $)& ("average fixed cost"), ovviamente iperbolico nel grafico a destra in quantopari a �7)&�4�, e l'angolo che corrisponde al costo medio totale $7& ("average total cost"),per ipotesi a "U" nel grafico a destra; dal punto corrispondente a �4� � ��� 7&� �7)&� nelgrafico a sinistra si misura invece l'angolo che corrisponde al costo medio variabile $9&("average variable cost"), anch'esso a "U" nel grafico a destra. Siccome 7&� �7)&���79&,ovviamente $7&� �$)&���$9&: la curva $7& si ottiene sommando verticalmente le curve$)& e $9&. Essendo poi il costo marginale l'unica fonte di variazione dei costi, la curva 0&incrocia le curve $9& e $7& nei rispettivi minimi (per il solito motivo: i valori mediaumentano se il valore marginale supera il valore medio, ecc.).

Si passi alla Figura 5.e.2.2, nella quale si ipotizza, nel lungo periodo, la possibilità didue fabbriche di dimensioni diverse. Ognuna genera una famiglia di curve di costi, comequelle della Figura precedente; nel breve periodo l'impresa avrà una di queste fabbriche, cuicorrispondono le curve dei costi di breve periodo. Nel lungo periodo l'impresa può sceglieretra le due fabbriche; i costi totali di lungo periodo sono sempre i più bassi raggiungibili,evidenziati nel grafico centrale dalla curva spessa, fatta appunto dai costi della fabbricapiccola per produzioni basse, e della fabbrica grande per produzioni alte (in termini tecnici, lacurva dei costi di lungo periodo è l'inviluppo delle curve dei costi di breve periodo). Nelgrafico in basso compaiono come curve solide le curve dei valori medi (totali) e marginali dilungo periodo; essendo derivate dalla curva dei costi totali corrispondono anche queste aicosti associati a .� fino 4� �4�, e ai costi associati a .� per 4 superiori. Siccome la curvadei costi medi non è differenziabile per 4� �4�, in corrispondenza di tale valore la curva deicosti marginali è discontinua.

La Figura 5.e.2.3 ripete la precedente, ipotizzando che nel lungo periodo il capitale siainfinitamente variabile. Con una funzione di produzione "normale" (a rendimenti variabili)ogni livello di . è ottimale per un unico livello di produzione, che corrisponde alle solitetangenze tra isoquanto e isocosto; vi sono dunque un'infinità di curve dei costi di breveperiodo, ognuna delle quali corrisponde ad un livello diverso di ., e ognuna di queste toccal'inviluppo dell'insieme, che è la curva dei costi di lungo periodo, in un unico punto. Neigrafici sono illustrati tre livelli di ., ottimali per i tre livelli di 4 specificati, come si vedeanche dalle tangenze tra isocosti (di lungo periodo) e isoquanti. Nel grafico in basso sonoillustrati i costi medi (totali) e marginali; come nella Figura precedente la curva dei costi medidi lungo periodo è l'inviluppo dei costi medi di breve periodo, e la curva dei costi marginali dilungo periodo è composta di pezzi (qui, singoli punti) delle curve dei costi marginali di breveperiodo, sempre per i livelli di produzione per i quali la curva dei costi medi tocca l'inviluppo. Per 4� �4�, ad esempio, i costi medi e marginali di lungo periodo sono quelli di breveperiodo per .� �.�, e così di seguito.

5.e.3. l'equilibrio dell'impresa e l'offerta dell'industriaNel breve periodo, secondo l'analisi tradizionale, sono fissi il numero delle imprese, i

loro impianti, e i prezzi dei fattori; nel lungo periodo, e solo nel lungo periodo, sono variabili.Si consideri la Figura 5.e.3.1. Il grafico in alto a sinistra illustra l'equilibrio di lungo

periodo: profitto massimo pari a zero, prezzo pari ai costi medi minimi. Tale equilibrio perl'impresa si verifica nel lungo periodo per qualsiasi prezzo di equiliibrio di mercato: si

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riconosce cioè che la curva di offerta di lungo periodo corrisponde ai costi minimi per ognilivello di produzione complessivo, e che le variazioni della produzione complessiva incidonosui prezzi dei fattori e fanno dunque slittare verso l'alto o verso il basso l'intera famiglia dellecurve dei costi della singola impresa. Se aumenta la domanda, il prezzo nel nuovo equilibriodi lungo periodo sarà dato, nel grafico in alto a destra, dall'incrocio della nuova domanda conla curva 6/3; data la pendenza di questa, sarà superiore al prezzo 3� vigente nell'equilibrioprecedente. Il grafico a sinistra avrà lo stesso aspetto, ma con curve spostate, e la tangenza traprezzo e costi medi si verificherà al nuovo prezzo di equilibrio. E fin qui tutto bene.

Il problema è nel breve periodo, illustrato nei grafici inferiori. Ipotizziamo unequilibrio iniziale di lungo periodo, al prezzo 3�, e che la domanda poi aumenti da '� a '�. Nel breve periodo, l'equilibrio sarà dato dall'incrocio tra la nuove domanda e la curva diofferta di breve periodo, e il prezzo aumenterà a 3�. Anche qui tutto bene, chè quanto detto èimplicito nella definizione di "offerta di breve periodo"; la stranezza, per non dire l'errore, stanell'affermazione che OD�FXUYD�GL�RIIHUWD�GL�EUHYH�SHULRGR�q�OD�VRPPD�RUL]]RQWDOH�GHOOH�FXUYHGHL�FRVWL�PDUJLQDOL�GL�EUHYH�SHULRGR�GHOOH� VLQJROH� LPSUHVH (si precisa tipicamente "sopra aicosti medi variabili minimi", riconoscendo all'impresa la possibilità di non produrre e dilimitare le perdire ai costi fissi). Questo viene presentato come conseguenza del fatto che leimprese sono date, e ognuna ottimizza raggiungendo 3� �05� �0&; ma le curve 0& sonodate per i prezzi vigenti dei fattori, e si possono sommare solo se l'aumento di domanda per ifattori variabili da parte dell'insieme delle imprese non incide sui prezzi di questi. Questaipotesi, implicita e non riconosciuta, può essere plausibile per il lavoro, se generico; non puòesserlo, come abbiamo già notato, per la materia prima specifica all'industria, se non in casimolto particolari.

Si assume insomma che nel breve periodo le curve dei costi delle imprese sonoimmobili. Con 3� �3�, data la 0&%3, l'impresa produrrà 4�, e guadagnerà dunque un profittopari a 4��3�� ��$&��. Questo profitto è generato, rispetto a costo storico della fabbrica, dalfatto che la capacità produttiva è stata resa scarsa dall'aumento della domanda e dellaproduzione; a ogni imprenditore converrebbe aumentare la propria capacità produttiva;eppure non cambia il prezzo delle fabbriche, nè di affitto, nè di acquisto, perchè a nessunoviene in mente di muoversi in tal senso, forse appunto perchè non è socialmente correttochiedere a una famiglia di cedere la propria fabbrica. L'imprenditore, nell'immobilismo deglialtri e l'assenza dunque di arbitraggio, intasca i profitti che in un sistema completo di mercatisarebbe immediatamente assorbito dal prezzo d'uso, o di acquisto, delle fabbriche. In unsistema completo di mercati, l'abbiamo visto, il prezzo delle fabbriche raggiungecontinuamente il livello di equilibrio, ossia quello che porta gli imprenditori a desiderare,collettivamente, la capacità produttiva disponibile; nell'analisi tradizionale gli imprenditori sitengono la capacità produttiva che si trovano ad avere perchè non possono variarla.

Nell'analisi tradizionale il passaggio dal breve al lungo periodo si raccontaipotizzando che i profitti delle imprese attirano altri imprenditori, che fondano nuoveimprese, assumono lavoro, comprano materia prima; nel lungo periodo cambiano dunque lacapacità produttiva complessiva, il prezzo del bene, i prezzi dei fattori. Il meccanismocomunque non è chiaro: nelle more, infatti, l'impresa già attiva dovrebbe mirare a modificarei propri impianti per raggiungere 4�, che equipara prezzo e costo marginale di lungo periodo;ma così facendo sbaglia, perchè come apre la nuova fabbrica aprono anche le altre, il prezzocala, e la nuova fabbrica risulta sovradimensionata.

In un sistema completo di mercati, con l'aggiustamento attraverso la crescita dellostock di capitale, tali problemi non sorgono.

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5.f. gli equilibri non di concorrenza

5.f.1. il monopolio semplice e la concorrenza monopolisticaL’analisi ordinaria dell’impresa di monopolio--peraltro in senso etimologico, chè si

ipotizza coincida con l'industria--è illustrata dal grafico superiore della Figura 5.f.1.1. Lecurve solide rappresentano la domanda, la curva dei ricavi marginali del monopolista derivatada questa, e le curve dei costi medi e marginali di lungo periodo. Notiamo che le curve deicosti dovrebbero tener conto del potere di mercato, perlomeno nei fattori specializzati; non èmolto coerente ipotizzare perlomeno come caso tipico un monopolio di vendite senza unpotere di monopolio di acquisto.

L'equilibrio del monopolista, nel lungo periodo, è dato ovviamente dall'incrocio tracurva dei ricavi marginali, e curva dei costi marginali di lungo periodo; il prezzo saràaltrettanto ovviamente un prezzo di domanda e non un prezzo di offerta. A questaproduzione corrisponde pure uno stock di capitale, fisso nel breve periodo, e dunque unacurva dei costi marginali di breve periodo che (se riflette il potere di monopolio nei mercatidei fattori) corrisponde effettivamente alla curva di offerta di breve periodo. Si presumenormalmente che il monopolista, non soggetto a concorrenza, possa conservare i profittianche nel lungo periodo; su questo torneremo tra pochissimo.

Notiamo per inciso che la domanda dei fattori da parte del monopolista riflettecomunque il potere di monopolio nel mercato di vendita: infatti �G75�G/�� �G75�G4��G4�G/�� �05403/���3403/.

Il grafico inferiore illustra invece l'equilibrio detto di FRQFRUUHQ]D� PRQRSROLVWLFD: forma ibrida che ipotizza appunto un equilibrio di lungo periodo con profitto zero, grazie allaconcorrenza, con comunque un certo potere di mercato nelle vendite. Sembra applicabile amolti casi, in cui ogni impresa possiede un marchio che differenzia il proprio prodotto, percui la concorrenza non è perfetta; però chiunque può produrre cose simili, abbassando ladomanda e alzando i costi per le imprese preesistenti.

Come si vede dal grafico, nell'equilibrio di lungo periodo il profitto massimo è zero: la domanda è tangente alla curva dei costi medi, per cui in equilibrio con 05� �0& anche 3 �$&; però le pendenze comuni non sono nulle, per cui 3�!�05 e $&�!�0&.

Quando venne scoperta, negli anni Trenta, sembrò un'idea importantissima; di fatto,però, rimase alquanto sterile, anche perchè come vedremo dal punto di vista dell'economiadel benessere (o meglio dell'efficienza paretiana) conta il potere di mercato, e la permanenzao meno delle rendite (che distinguono la concorrenza monopolisica dal monopolio semplice)è assolutamente irrilevante.

Di fatto, poi, vi è un motivo più profondo per non trattare monopolio semplice econcorrenza monopolistica come due casi distinti. Il potere di mercato e la rendita delmonopolista si fondano infatti su qualche elemento, che non appartiene agli imprenditoricome tali, e dunque in un sistema completo di mercati viene anch'esso valutato al suo prezzo: prezzo che altro non è che la capitalizzazione dei profitti che permette. Questo è il casoarcinoto delle licenze commerciali: la licenza della farmacia è senz'altro una licenza aduccidere, ma chi vuole aprire una farmacia deve comprare la licenza, e questo costo ridurrà isuoi ricavi ai profitti "normali", ossia a profitti economici nulli. Il monopolio, insomma, èsempre "di concorrenza monopolistica", proprio perchè esistono gli imprenditori el'arbitraggio.

Il fatto poi che le rendite di monopolio vengano capitalizzate nella licenza ha unaconseguenza fondamentale: che il guadagno dalla licenza viene interamente assorbito da chila riceve per primo (per non dire dai politici che la concedono...). Come la licenza esiste,diventa dal punto di vista dei mercati un cespite assolutamente identico a qualsiasi altro: la

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liberalizazione del commercio, per gli operatori che hanno comprato o ereditato la licenza, èesattamente l'equivalente di qualsiasi altra politica che riduce a zero il valore di un cespite,come se lo stato si mettesse ad esempio a distribuire gratis copie di libri di successo senzapagare diritti di autore. La creazione di limitazioni alla concorrenza giova insomma solo achi per primo riceve le licenze senza pagarle, senza guadagno per chi le acquista sul mercatosecondario, e con una perdita duratura di efficienza, che diventa poi difficile rimuovere senzadanneggiare anche imprenditori innocenti.

5.f.2. potere di mercato e strategie d'impresaUn'implicazione dell'analisi di cui sopra è che l'equilibrio di monopolio sarà sempre

nella parte elastica della curva di domanda. Geometricamente, lo sappiamo, una domandalineare ha un'elasticità superiore a uno nella metà superiore; il reddito lordo è massimoappunto a metà curva, e per quella quantità il ricavo marginale si riduce a zero (Figura5.f.2.1). I costi marginali positivi incrociano necessariamente il ricavo marginale dove questoè pure positivo, ossia per quantità minori e prezzi maggiori di quelli che ridurrebberol'elasticità della domanda a meno di uno. Intuitivamente, il discorso è ancora più semplice. Se il prezzo di vendita aumenta, si riducono le vendite e i costi totali; se la domanda fosseanelastica il ricavo lordo seguirebbe il prezzo e aumenterebbe con il prezzo; aumentando iricavi e calando i costi i profitti necessariamente aumentano, per cui una domanda anelasticaal prezzo di mercato è incompatibile con la massimizzazione dei profitti.

Negli anni Cinquanta alcuni economisti usarono le allora nuove tecnicheeconometriche per verificare empiricamente questa conclusione teorica, e ottennero unrisultato sorprendente: in molti casi le imprese fissavano prezzi di vendita tali che ladomanda era localmente anelastica.

Le reazioni furono molto varie. Diverse scuole accettarono la conclusione che leimprese di monopolio non massimizzessero affatto i profitti. Una ipotizzò che le impresesfruttano del monopolio non tanto la possibilità di guadagno quanto la possibilità disopravvivere anche con una gestione "rilassata". Un'altra ipotizzò che le imprese in generemirano non a soluzioni ottimali ma a soluzioni "soddisfacenti", anche per mancanza diinformazioni, per cui se un primo tentativo portasse a risultati accettabili non esplorerebberostrategie migliori (logica "satisficing" piuttosto che "optimizing"). Un'altra ancora ipotizzòche gli incentivi e i salari dei PDQDJHUV dipendono dalla dimensione dell'impresa, per cuiquesti massimizzano non i profitti ma le vendite (con il vincolo di profitti accettabili).

Gli economisti più convinti riformularono invece la massimizzazione del profitto pertener conto delle aspettative. Si notò infatti che se un impresa massimizza il profitto nelbreve periodo, con prezzi alti, invita gli imprenditori ad invadere il proprio mercato, e rischiadi finire male; se invece massimizza il valore attuale del profitto atteso e dunque il valorepresente dell'azienda sceglie profitti più bassi ma più sicuri nel tempo, coprendo il mercatodisponibile in modo da non lasciare spazi appetibili. L'implicazione che tale strategiadifensiva è tanto più utile quanto più sono basse le "barriere all'entrata" è stata a sua voltaconfermata da studi empirici; e da qui si è passati al concetto dei "mercati contendibili" cheabbiamo già incontrato, e all'idea che anche la concorrenza potenziale limita il potere dimercato.

5.f.3. l'oligopolio tra cartello e concorrenzaMonopolio significa "unico venditore", ma l'aspetto fondamentale è il potere di

mercato; oligopolio significa "pochi venditori", ma l'aspetto fondamentale è OLQWHUGLSHQGHQ]Ddi questi, e la scelta delle strategie d'impresa in piena conoscenza di tale interdipendenza.

I problemi dell'oligopolio si prestano all'uso della WHRULD� GHL� JLRFKL, così chiamati

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perchè i giochi che non sono di puro azzardo pongono appunto il problema di scegliere leproprie mosse in funzione della risposta attesa da parte del concorrente. Tali giochi sonotipicamente troppo complicati per essere approfonditi in questa sede; un esempio semplice èdato dal "dilemma del prigioniero", peraltro ricco di implicazioni che vanno ben oltre iproblemi dell'impresa, sul quale torneremo. Per ora ci limitiamo agli strumenti già sviluppati,utili comunque per chiarire alcuni concetti fondamentali.

Si consideri il primo grafico della Figura 5.f.3.1, che rappresenta un'industria cheproduce a costi costanti; possiamo immaginare che sia riferita al trasporto aereo su qualchetratta particolare. In assenza di barriere all'entrata è ovvio che l'equilibrio sarà quelloconcorrenziale, con prezzo 3&� �0&� �$&, e 4� �4&. Se invece sulla tratta in questioneopera un'unica concessionaria questa tenderà altrettanto ovviamente a comportarsi comemonopolio (forse pure discriminante, ma ipotizziamo semplice, per non complicare l'analisi),con prezzo 30 e (con domanda lineare) 4� �40� �4&��.

Si verifica invece un oligopolio se le concessionarie sono più di una. Nei primidecenni del secondo dopoguerra, il trasporto aereo internazionale era tipicamente affidato acompagnie "di bandiera"; e l'esperienza di quegli anni illustra una soluzione possibile alproblema dell'oligopolio. Piuttosto che farsi concorrenza, infatti, le compagnie si eranoriunite in un FDUWHOOR, e si vincolavano, con l'appoggio dei governi, a praticare lo stessoprezzo, allocarsi i voli, e uniformare la qualità del servizio: si comportavano cioè come unmonopolio collettivo, riproducendo la soluzione di monopolio per massimizzare i profitticongiunti, che poi si dividevano, lasciando all'utente in sostanza la scelta dei colori dell'aereo. In genere, e per nazionalismo, non si andava oltre. Nei paesi scandinavi, però, tre vettorinazionali si fusero nella 6�$�6�; e si arrivò quasi a fondere i vettori nazionali degli allora seipaesi del Mercato Comune europeo in un'unica $LU� 8QLRQ, riducendo i vettori nazionali ameri azionisti (e dunque participanti pro quota ai profitti del monopolio).

L'appoggio dei governi è di fatto essenziale per garantire l'osservanza delle regole delcartello da parte delle imprese participanti. In assenza di tale appoggio, infatti, i cartelli sonoLQVWDELOL. Un motivo è illustrato dall'esperienza del cartello petrolifero. I produttori esistenti,prima che si formasse il cartello, erano naturalmente i paesi con costi di estrazione bassi(vedremo poi perchè); il loro accordo per praticare prezzi di monopolio rese remuneratival'estrazione da parte di tanti altri paesi, anche in ambienti molto difficili come il Mare delNord, e il cartello venne soggetto ad una crescente concorrenza da parte di "nuovi entranti".

Un altro motivo è illustrato ad esempio dalle grandi reti ferroviarie americane delsecolo scorso, spesso concorrenziali sulle lunghe tratte. Le imprese si accordavano perpraticare prezzi da monopolio, ma difficilmente riuscivano a mantenerli. Per la singolaimpresa, infatti, il prezzo di monopolio è il prezzo ottimale solo a parità di quota di mercato: chi ottiene una quota fissa del profitto congiunto ha infatti interesse a massimizzare appuntoil profitto congiunto. Ma la quota di mercato non è necessariamente fissa: se gli altripraticano prezzi di monopolio, come da accordo, io posso aumentare la mia quota (e i mieiprofitti) facendo sconti sottobanco.

Si consideri il secondo grafico della Figura, riferito alla singola impresa; ipotizziamoche il prezzo, come da accordo, sia appunto il prezzo da monolio 30. Per quel punto passanodue curve di domanda: '�, a elasticità relativamente bassa, che rappresenta la quotadell'impresa, per ipotesi costante, della domanda complessiva; e '�, che rappresenta gliequilibri possibili se l'impresa riduce il prezzo, fermo restando il prezzo praticato dagli altri, eaumenta dunque la sua quota di mercato. Il prezzo 30 è stato scelto in modo damassimizzare i profitti congiunti, date le quote di mercato; per l'impresa, dunque, è ottimaledata la domanda '�. Se invece riesce a ridurre i prezzi di soppiatto, può operare lungo '�; eallora conviene un prezzo più basso, con vendite maggiori.

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Di fatto, dunque, le imprese si accordavano su 30, ma poi cercavano tutte di trarnevantaggio; siccome riducevano insieme i prezzi rimanevano invariate le quote di mercato, enel tentativo di spostarsi tutte lungo la propria '� si spostavano di fatto lungo '� ... per poiraggiungere un nuovo accordo, che non aveva sorte migliore di quello precedente. L’unicomodo di garantire i profitti di monopolio è insomma la fusione per raggiungere un monopolioeffettivo--o l'intervento pubblico per dar forza di legge ai prezzi concordati.

Oggigiorno, le leggi dei maggiori paesi condannano gli accordi per fissare i prezzi, ele Autorità garanti "della concorrenza" bloccano la formazione di monopoli. Tipicamente,però, e specie negli Stati Uniti, si tende a credere nei rendimenti diffusamente crescenti, edunque nei vantaggi di costo delle imprese giganti; si finisce col permettere tutte le fusionifino al raggiungimento dell'oligopolio, vigilando poi (spesso più male che bene) a che lepoche imprese rimaste si facciano un'effettiva concorrenza.

Il problema è che le poche imprese hanno sempre di fronte, in qualsiasi momento, ledue curve di domanda di cui sopra: quella a quota di mercato costante, che si applica se tuttele imprese praticano sempre prezzi uguali e dunque li variano insieme, e quella a quota dimercato variabile, se la singola impresa è l'unica a modificare i prezzi. Si consideri il terzografico della Figura: se il prezzo è vicino ai costi, le imprese capiscono benissimo chepossono aumentare i profitti alzando insieme i prezzi, e possono farlo con una FROOXVLRQHWDFLWD, senza un accordo preventivo. L'esempio è dato dal trasporto aereo negli Stati Uniti,ormai dominato da poche grandi compagnie. Spesso una di queste annuncia un aumento deiprezzi, per mantenerlo se le altre la seguono, o ritirarlo nel caso contrario. Le imprese di unoligopolio sono insomma conscie della loro interdipendenza; meno sono, più è facile chel'accordo tacito venga mantenuto.

Anche per questo, le grandi imprese hanno un interesse comune a rimanere poche. Laderegolamentazione del trasporto aereo, negli Stati Uniti, è stata seguita da una serie difusioni tra le compagnie esistenti, da un lato, e di nuove iniziative dall'altro. Per i primi annisi è verificata un'emorragia di perdite, da parte di tutti, e una serie di fallimenti; oggi le grandisuperstiti guadagnano moltissimo. Le perdite erano presentate come errori di gestione, da uneccesso di concorrenza; ma è legittimo ipotizzare che fossero volute dalle imprese più solide,che sapevano che sarebbero rimaste in campo, e che anche se non potevano ammetterlo quelleperdite erano di fatto un investimento mirato ai profitti di monopolio una volta sbaragliati oassorbiti i concorrenti deboli. Ne è la controprova la furia con la quale queste imprese siscagliano contro ogni tentativo di aprire il mercato interno americano a vettori esteri: furiaincomprensibile per un industria concorrenziale, in cui la nazionalità dell'impresa èassolutamente irrilevante, assolutamente "giustificata" invece se le imprese si sono comprati iprofitti attuali con una strategia costosa e lungimirante che rischia di essere vanificata se sipermette la concorrenza non da parte di neonate deboli e facilmente schiacciabili, ma da partedi colossi esteri forti come loro.

5.f.4. il modello di CournotPresentiamo in chiusura il modello di Cournot, economista matematico francese

dell'Ottocento, sia perchè fa parte del bagaglio culturale comune degli economisti, sia perchèdimostra come un modello "sbagliato" per certi usi sia comunque "giusto" per altri.

Si ipotizzi come sopra un'industria a domanda lineare e costi costanti; in regime diconcorrenza 3� �0&� �$& e 4� �4&, in regime di monopolio 3� �30 e 4� �40� �4&��. Cournot ipotizza che ogni impresa prenda per data la produzione altrui, e si comporti damonopolista nel mercato residuale, in un senso preciso: soddisfa la metà della domandaresiduale, definita come il consumo al prezzo concorrenziale meno la produzione degli altri. Ogni impresa L produce 4L� � ����4&� ��4D�, dove 4D è la produzione altrui. Il prezzo sarà

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quello ottenuto vendendo all'asta il prodotto complessivo; le imprese però non reagiscono alprezzo, ma solo alle quantità prodotte, da un lato, e al consumo massimo, al prezzo di costo(di concorrenza), dall'altro.

Per il primo produttore 4D� � �; sceglie dunque 4L� �40� �4&��, come sopra. Siimmagini che arrivi un secondo produttore; siccome già esiste una produzione pari a 4&��,produrrà la metà del residuo, ossia 4&��. Il primo reagisce riducendo la produzione, secondola regola, per produrre ����4&� �� �4&����, ossia �����4&, al che il secondo aumenta la suaproduzione a ������4&, al che il primo riduce ancora la sua, e così via; arrivano a produrreognuno 4L� ������4&� �����4&��������4&�, per un prodotto complessivo pari a �����4&, comenel grafico superiore della Figura 5.f.4.1.

Se arriva un terzo, produce all'inizio �����4&� � ����4&� �� �����4&�; ma attraverso ilsolito gioco si assesteranno tutti e tre su 4L� ������4&� �����4&���������4&�, per un prodottocomplessivo pari a �����4&. E così via: se Q è il numero delle imprese, il prodottocomplessivo è �Q��Q� �� ���4&, che come aumenta Q tende ovviamente a 4&. Il modello èelegante, in quanto unifica monopolio, oligopolio, e concorrenza; è invece abbastanza assurdal'ipotesi che ognuno reagisca solo alla quantità e non al prezzo (ossia che ognuno calcoli ilproprio ottimo ipotizzando implicitamente prezzi diversi insostenibili in un mercato unico), eche per giunta si consideri l'unico a scegliere la quantità non a caso e per sempre macontinuamente in funzione della situazione del mercato.

Sembra invece utile tale modello, sia pure ribaltato, per capire la tendenza deglistaterelli di una volta a soffocare il commercio, e dunque lo slancio dato all'economiadall'unificazione doganale, e l'ingrandimento degli stessi stati lungo le rotte del commercio. Per fare un caso concreto pensiamo al Reno prima dello Zollverein, strangolato da unsusseguirsi di dazi. Si immagini che vi transiti un certo tonnellaggio, con una funzione didomanda lineare '; l'intercetta sull'asse orizzontale 4& è il tonnellaggio che transiterebbe inassenza di dazi, e l'intercetta verticale 30 è il dazio cumulativo appena sufficiente pereliminare il commercio. Un singolo stato predatore massimizzerebbe il suo reddito con 3� 30��, permettendo dunque 4� �4&��, e lucrando 304&��. Con due stati, ognuno dei qualiconsidera dato il dazio dell'altro, l'equilibrio di Cournot si raggiunge quando ognuno dimezzail traffico che permette l'altro: ne risulta un dazio complessivo pari a �����30, appunto perchèognuno dimezza un traffico già ridotto di un terzo, come nel grafico inferiore della Figura. Con Q stati, ognuno dei quali considera dati i dazi degli altri �Q� �� ��, il dazio complessivoraggiunge �Q��Q������30, il traffico si riduce a ����Q������4&, e il gettito complessivo si riducea 304&��Q��Q�����

��: con Q� ���, per avere un'idea, a un quarto circa del massimo ottenibile. Non a caso i primi stati non meramente locali si estendono lungo le vie del commercio; non acaso, in tempi storici, l'apertura del golfo di Ghinea al commercio marittimo è stata seguitadalla formazione di nuovi grandi stati fra la costa e l'interno.

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6. L’EQUILIBRIO GENERALE: IL SISTEMA DEI MERCATI (B: produzione)

6.a. dall’economia di puro scambio all’economia di produzione

6.a.1. i vincoli dell’economia di produzioneRiprendiamo a questo punto il problema dell’equilibrio generale, in un modello

allargato alla produzione. Nel modello di puro scambio, come abbiamo visto, il benesseresociale dipende dalle utilità degli individui, le utilità degli individui dipendono dal consumodi beni, e le disponibilità dei beni sono date; le disponibilità dei beni e le funzioni di utilitàgenerano immediatamente la curva delle utilità possibili, che vincola il benessere sociale.

Nell'economia di produzione questa struttura è più articolata. Il benessere socialedipende sempre dalle utilità degli individui, e le utilità degli individui dipendono sempre dalconsumo di beni; ma le disponibilità dei beni non sono date. Piuttosto, sono date ledisponibilità delle risorse (i fattori di produzione), e la tecnologia (le funzioni di produzione);esiste pertanto tutta una gamma di produzioni possibili, ossia di disponibilità dei beni, chedeterminano a loro volta le utilità possibili degli individui.

L'insieme delle produzioni raggiungibili con le risorse e la tecnologia disponibili èillustrato dalla Figura 6.a.1.1, ipotizzando come sopra che esistano due soli beni. Il confine ditale insieme è dato dalla FXUYD�GHOOH�SURGX]LRQL�SRVVLELOL o FXUYD�GL�WUDVIRUPD]LRQH. In ognipunto di tale curva il settore produttivo è Pareto-efficiente, in quanto non si può ovviamenteaumentare la produzione di un bene senza ridurre la produzione di qualche altro bene,"trasformando" appunto questo in quello tramite una riallocazione dei fattori di produzione. Per ottenere una quantità aggiuntiva di ; bisogna dunque sacrificare una certa quantità di <; equesta è il FRVWR�RSSRUWXQLWj di quella.

Come si vede poi dalla Figura 6.a.1.2, ogni punto della curva di trasformazionedefinisce una disponibilità di beni, che a sua volta definisce nello spazio dei beni, comenell'economia di puro scambio, una scatola di Edgeworth, una curva dei contratti, e dunqueuna curva delle utilità possibili. Nel grafico superiore della Figura sono illustrati due casi,con le disponibilità di beni corrispondenti ai punti � e �, e ipotizzando come sopra che gliindividui siano anch'essi solo due. In ambedue i casi i consumi di un individuo si misuranodall'origine degli assi, quelli dell'altro dal punto di produzione sulla curva di trasformazione: spostandosi la produzione da � a � le curve di indifferenza del primo (ad esempio 8$�)rimangono ferme, mentre quelle del secondo (ad esempio 8%�) rimangono immobili rispettoal proprio punto di origine, e si spostano con questo. A ognuno di questi due punti diproduzione corrisponde un luogo di tangenze tra le curve di indifferenza dei due consumatori;nel grafico inferiore, nello spazio delle utilità, questi due luoghi corrispondono a due distintecurve delle utilità possibili, rispettivamente &83� e &83�. Dato il punto �, notiamo, 8%� ècompatibile con al massimo 8$�; dato il punto �, solo con 8$�.

Nell'economia di produzione, dunque, esistono una serie infinite di &83, una per ognipunto di produzione sulla curva delle produzioni possibili. Tenendo conto della possibilità divariare la produzione e dunque la disponibilità dei beni, l'utilità massima di un individuo perogni utilità dell'altro è data ovviamente dall'inviluppo delle singole &83. Questo inviluppo èillustrato, con due &83 rappresentative, nella Figura 6.a.1.3; è noto come la IURQWLHUD�GHOOHXWLOLWj�SRVVLELOL���)83��, e rappresenta ovviamente nell'economia di produzione i vincolo allamassimizzazione del benessere sociale che nell'economia di puro scambio è invece lasemplice &83 per i beni dati.

6.a.2. la concorrenza, i mercati e l'efficienza paretianaL'allargamento del modello di equilibrio generale per tener conto della produzione è

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necessario per capire la valutazione dei fattori di produzione e la natura dei costi, nonchèovviamente l'efficienza nell'allocazione delle risorse oltre che dei beni; ma come si è detto lapossibilità di produrre non modifica i teoremi fondamentali già desunti dal modello di puroscambio.

Come vedremo, infatti, la concorrenza in un sistema completo di mercati portacomunque all'efficienza paretiana complessiva, ossia a situazioni in cui non si può aumentareil benessere di una persona senza ridurre il benessere di un'altra. In un'economia di puroscambio tale risultato si raggiunge in un unico momento ideale, riallocando i beni dati; ègarantito (semprechè le funzioni di utilità siano "normali") dalla concorrenza nell'unicomercato, di baratto; e gli operatori appartengono tutti ad un'unica categoria di figurecomplesse, essendo contemporaneamente proprietari, venditori, compratori e consumatori deibeni esistenti.

In un'economia di produzione, più complessa, si distinguono diversi mercati e diversioperatori. I mercati sono da un lato dei fattori di produzione, e dall'altro dei beni; glioperatori sono da un lato le famiglie, che vendono fattori di produzione e comprano beni, edall'altro le imprese che comprano fattori di produzione e vendono beni. Si distinguonoinsomma quattro figure semplici, rispettivamente venditori di fattori, compratori di fattori,venditori di beni, e compratori di beni; e a queste quattro figure corrispondono altrettantimomenti ideali in cui (semprechè siano "normali" le funzioni di utilità, e di produzione) laconcorrenza porta a soddisfare le diverse condizioni della Pareto-efficienza complessiva.

Notiamo subito che questa quadripartizione è rigorosa solo se il tempo delle personenon è contemporaneamente un fattore di produzione che le famiglie vendono alle imprese, eun bene finale che vendono a se stesse; per il momento, dunque, ipotizziamo che il tempo siasolo un fattore di produzione e non anche un bene di consumo.

Ciò detto, l'insieme delle condizioni della Pareto-efficienza complessiva si puòdecomporre in quattro sotto-insiemi distinti. Una prima condizione è il pieno impiego deifattori, ossia che vengano utilizzati tutti i fattori di produzione disponibili, senza restrizioniartificiali; nel caso contrario si potrebbe infatti produrre di più di tutti i beni, e dunqueaumentare il benessere di tutti i consumatori, sfruttando fattori non utilizzati. Come vedremo,il raggiungimento di questa prima condizione è garantito dalla concorrenza tra i venditori deifattori.

Una seconda condizione è che i fattori utilizzati siano allocati tra le imprese in modotale da massimizzare la produzione di ogni bene data la produzione degli altri; nel casocontrario si potrebbe infatti produrre di più di tutti i beni, e dunque aumentare il benessere ditutti i consumatori, semplicemente riallocando i fattori utilizzati. Come vedremo, ilraggiungimento di questa seconda condizione è garantito dalla concorrenza tra i compratoridei fattori, e per la precisione dalla minimizzazione dei costi di produzione in regime diconcorrenza nell'acquisto dei fattori.

Una terza condizione è che i beni prodotti e dunque disponibili siano allocati tra iconsumatori in modo tale da massimizzare il benessere di ogni individuo dato il benesseredegli altri; nel caso contrario si potrebbe infatti aumentare il benessere di tutti i consumatori,semplicemente riallocando i beni disponibili. Come abbiamo visto, il raggiungimento diquesta terza condizione è garantito dalla concorrenza tra i compratori dei beni.

La quarta condizione è che non sia possibile aumentare il benessere di tutti iconsumatori cambiando le quantità prodotte dei diversi beni, ossia spostando fattori diproduzione da un'industria all'altra. Come vedremo, se sono già raggiunte le condizioniprecedenti il raggiungimento di questa quarta condizione è garantito a sua volta dallaconcorrenza tra i venditori dei beni, e per la precisione dalla massimizzazione dei profitti inregime di concorrenza nei mercati dei beni.

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Se sono pienamente concorrenziali i mercati sia dei beni che dei fattori, dunque, siraggiunge la condizione di Pareto-efficienza complessiva, e, come nel modello di puroscambio, il mercato concorrenziale porta ad un equilibrio sulla funzione che vincola lamassimizzazione del benessere sociale (la frontiera delle utilità possibili). Di più non puòfare, e ancora una volta la massimizzazione del benessere sociale richiede una "buona"allocazione iniziale della ricchezza; l'unica novità rispetto al modello di puro scambio è che laricchezza corrisponde non più alla proprietà originale dei beni, ma alla proprietà dei fattori diproduzione.

6.b. la concorrenza nel mercato dei fattori e l'efficienza della produzione

6.b.1. la vendita dei fattori: concorrenza e pieno impiegoTralasciamo per ora il problema del tempo libero come bene di consumo, e anche

dell'accumulazione del capitale, per ipotizzare un economia in cui le disponibilità di tutti ifattori di produzione sono semplicemente date. L'offerta di questi è dunque orizzontale aprezzo zero dall'origine fino alla quantità disponibile, e poi verticale.

Nel primo grafico della Figura 6.b.1.1. si illustra un equilibrio concorrenziale in cui ladomanda incrocia la curva di offerta nel tratto verticale. L'equilibrio prezzo-quantità è datoda quell'incrocio; la quantità venduta e utilizzata è l'intera quantità disponibile, e il prezzo èpositivo. Questo prezzo non serve a generare la quantità venduta: data la natura dell'offerta,infatti, l'intera remunerazione del fattore è rendita, come per la terra nel modello ricardiano. Piuttosto, il prezzo serve a razionare l'uso della risorsa scarsa, restringendolo agli usi dimaggior valore, a sinistra dell'intersezione domanda-offerta.

Nel secondo grafico si illustra il caso in cui la domanda è talmente ristretta, o sepreferiamo le disponibilità del fattore è talmente abbondante, che la domanda incrocial'offerta sull'asse orizzontale piuttosto che sul tratto verticale. In tal caso, la risorsa non èscarsa, e il prezzo di equilibrio concorrenziale è zero: anche se chiunque ne usa quanta nevuole non se ne esauriscono le disponibilità, e il prezzo nullo segnala appunto che non vi èmotivo di razionare l'uso della risorsa fra i diversi usi possibili. Di fatto, le risorse a prezzonullo sono tipicamente lasciate fuori dai computi economici: nessuno ad esempio chiedequanto ossigeno consuma un'automobile. Per lo stesso motivo non sono oggetto di proprietà,salvo diventarlo quando diventano scarse, ossia quando la quantità richiesta a prezzo zeroeccede la quantità disponibile; l'esempio più ovvio è la stessa terra, che è diventata scarsa, intempi più o meno remoti, solo con la crescita demografica.

Nel terzo grafico si illustra il caso in cui il venditore del fattore è un monopolista, mail fatto è senza conseguenze: il ricavo marginale del monopolista incrocia infatti la curva diofferta nel tratto verticale, e lo stesso monopolista ha dunque interesse a fare utilizzare l'interaquantità disponibile del fattore di sua proprietà. Il prezzo di monopolio coincide in questocaso con il prezzo concorrenziale, e il monopolio non ha alcun effetto.

Nel quarto e quinto grafico invece si illustra il caso in cui il monopolio di venditaporta a una restrizione della quantità utilizzata, perchè il ricavo marginale del venditoreincrocia la curva di offerta sull'asse orizzontale e non sul tratto verticale. Nel quarto graficola risorsa è comunque scarsa, ma il monopolio ne aumenta la scarsità, aumentando il prezzo eriducendo la quantità utilizzata; nel quinto grafico il monopolio rende scarsa una risorsa chenon lo sarebbe, riducendone ancora una volta l'utilizzazione.

La concorrenza tra i venditori dei fattori è dunque sufficiente a garantire che i fattorisiano interamente utilizzati: nei limiti delle disponibilità se sono scarsi, e dell'utile se non losono. Non è necessaria al pieno utilizzo dei fattori, come si è visto, se questi sono

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sufficentemente scarsi; lo è invece se questi sono appena o non affatto scarsi, perchè allora ilmonopolio crea una scarsità artificiale. Come esempio in merito possiamo citare larestrizione all'uso della terra, di fatto abbondante, nelle colonie inglesi ricordate da Marx; deigrandi di Spagna, pure, si è detto che mantenevano incolte parti dei loro latifondi, peraumentare la rendita sulla parte affittata ai contadini.

Nel sesto grafico è indicata la curva delle produzioni possibili &33, date ledisponibilità dei fattori di produzione e la tecnologia. La concorrenza tra i venditori deifattori porta a utilizzare interamente le risorse scarse, e permette dunque il raggiungimento ditale curva; il monopolio di vendita che crea una scarsità artificiale dei fattori vincola di fattol'economia a una curva più ristretta, &33Y, come se la disponibilità dei fattori fosse minore.

6.b.2. l'acquisto dei fattori: concorrenza e allocazione efficienteIpotizziamo a questo punto che la vendita dei fattori avvenga in condizioni di

concorrenza, e che dunque non ci siano scarsità artificiali create da eventuali monopoli. L'economia in esame può dunque raggiungere la curva delle produzioni effettivamentepossibili; e la raggiungerà se le imprese minimizzano i costi acquistando i fattori incondizioni di concorrenza. La cosa non sorprende: sappiamo infatti che la minimizzazionedei costi da parte delle imprese è analoga alla massimizzazione dell'utilità da parte deiconsumatori, che se questi comprano i beni in condizioni di concorrenza l'allocazione deibeni sarà Pareto-efficiente, e che la Pareto-efficienza nel consumo dei beni corrisponde alraggiungimento della curva delle utilità possibili date appunto le disponibilità di questi. Riprendiamo dunque l'analisi e gli strumenti di cui sopra (4.a.2), cambiando solo i nomi dellevariabili.

Nella grafico superiore della Figura 6.b.2.1 compare una scatola di Edgeworth nellospazio dei fattori. Le dimensioni della scatola indicano i fattori disponibili; il consumo di essida parte dei due produttori è misurato dagli angoli diagonalmente opposti; e la produzioneraggiunta da ognuno di questi, misurata perpendicolarmente al piano dei fattori, è indicatadall'isoquanto proiettato su quel piano. Il luogo delle tangenze tra gli isoquanti (la "curva deicontratti") è ovviamente il luogo delle allocazioni dei fattori Pareto-efficienti, ossia chemassimizzano la produzione di uno dei beni data la produzione dell'altro. Ogni punto sullacurva dei contratti nel grafico superiore corrisponde dunque ad un punto sulla curva delleproduzioni possibili, nel grafico inferiore, e viceversa (vedi � e �); a ogni punto interno allascatola di Edgeworth ma non sulla curva dei contratti corrisponde un punto all'interno dellacurva delle produzioni possibili, e a ogni punto all'interno della curva delle produzionipossibili corrispondono nella scatola di Edgeworth due punti, le due intersezioni degliisoquanti corrispondenti (vedi � e �); e i punti esterni alla curva delle produzioni possibili,non raggiungibili, non compaiono affatto nella scatola di Edgeworth (vedi �).

Il punto preciso di equilibrio in questi grafici dipenderà dai livelli di attività scelti daidiversi produttori, e dunque dalle decisioni relative alla massimizzazione del profitto. Per ilmomento queste non ci interessano; vogliamo infatti solo dimostrare che se le impreseminimizzano i costi acquistando i fattori in condizioni di concorrenza l'equilibrio sarànecessariamente sulla curva delle produzioni possibili.

La dimostrazione è immediata. L'allocazione dei fattori tra i produttori è Pareto-efficiente se gli isoquanti sono tangenti, ossia se 706L;� � ��03/�03.�;� � ��03/�03.�<� 706L<. Ogni impresa minimizzando i costi equipara il proprio 706L al proprio 706Y� � ��0&/�0&.�. Se le imprese sono tutte concorrenziali per tutte 706Y� ���0&/�0&.�� ���Z�U�;ma se sono identici i loro 706Y lo saranno anche i loro 706L, e l'allocazione dei fattori saràPareto-efficiente. Se invece qualche impresa è dotata di potere di mercato i costi marginalidel fattore per l'impresa eccederanno il prezzo di mercato, e l'uguaglianza tra i 706L delle

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diverse imprese non è più garantita. In questo contesto la concorrenza è dunque sufficienteper il risultato desiderato. Sembra non necessaria, in quanto il rapporto tra i costi marginalipotrebbe rimanere uguale al rapporto dei prezzi, con un potere di monopolio uguale, e dunqueun rapporto costo marginale/prezzo uguale, in ambedue i mercati dei fattori; ma comevedremo poi questo è un risultato spurio, dovuto alla struttura particolarmente semplice delmodello in esame.

Notiamo pure che ; e < sono due beni qualsiasi, distinti perchè prodotti da produttoridiversi. I beni considerati possono essere effettivamente diversi, e rappresentare i prodotti diindustrie diverse; ma possono anche essere identici, e rappresentare dunque i prodotti diimprese diverse all'interno di una stessa industria. La differenza è che se le impreseappartengono alla stessa industria i loro prodotti si possono paragonare e sommaredirettamente, al di là dei paragoni paretiani; e questo permette un passo ulteriore.

Si consideri la Figura 6.b.2.2, in cui si rappresenta il mercato di un fattore 7 specificoad un industria. L'offerta di 7, 67, è data dall'asse orizzontale fino a 7 , e poi dalla rettaverticale. Ipotizziamo �Q����� imprese, di cui Q concorrenziali nel mercato di 7, e una conpotere di mercato. La domanda complessiva delle imprese concorrenziali è '&; la domandadel monopolista è '0. Il monopolista ha dunque di fronte l'offerta di 7 data dalla differenzaorizzontale tra l'offerta e la domanda concorrenziale, ossia 60� � 67� �� '&; tale offertarappresenta la curva dei suoi costi medi, e il suo equilibrio corrisponde all'intersezione tra '0

e la curva marginale a 60, ossia 0&0. Il monopolista decide dunque di comprare 70,lasciando 7&� �7 ���70 alle imprese concorrenziali, e fissa pertanto il prezzo U. In equilibrio,per le imprese concorrenziali (anche nel mercato dei beni), U� � 34037&, per cui 037&� �U�34�. Per il monopolista, U���0&0� �0540370; 054� �34 se il monopolista nel mercatodel fattore è comunque concorrenziale nel mercato del bene prodotto, e 054���34 nel casocontrario. Per il monopolista, dunque (e comunque) 0370� ��0&0�054��!��U�34�� �037&. Il prodotto marginale �G4�G7� è dunque maggiore per il monopolista che non per le altreimprese; spostando un unità di 7 da queste a quello aumenta il prodotto complessivo a paritàdi consumo del fattore. Il monopolio di acquisto nel mercato del fattore di produzione èpertanto causa di un'inefficienza nella produzione.

6.b.3. gli equilibri con fattori specializzatiRiprendiamo adesso in considerazione la curva delle produzioni possibili (la curva di

trasformazione), ipotizzando che i mercati dei fattori siano pienamente concorrenziali e chel'equilibrio produttivo si trovi dunque su tale curva.

Incominciamo con un esempio semplice, in cui la produzione dei due beni ; e < usaun fattore generico, il lavoro /, e due fattori specializzati, 7 e .: ;� � ;�7;�/;� e <� <�.<�/<�. Sono date le disponibilità complessive dei fattori: 7;� �7 , .<� �. , e /;���/<� / . Nella Figura 6.b.3.1, i primi due grafici rappresentano gli isoquanti relativi ai due beni,con l'indicazione delle quantità dei fattori fissi. Si presume che i rendimenti di scala sianocostanti; per non complicare l'analisi assumiamo inoltre che ogni industria sia composta daun'unica impresa, per cui i grafici sono riferibili direttamente all'industria. Da questi grafici sideriva per ogni bene la relazione tra prodotto e consumo di lavoro, fermo restando l'usodell'intera disponibilità del fattore specializzato.

I quattro grafici in basso formano un gruppo collegato. Di questi quattro, il primorappresenta appunto lo spaccato della funzione <� �<�.<�/<� per .� �. ; il terzo, il vincolodella forza lavoro /;� �� /<� � / , per cui le due intercette sono ambedue pari a / , e lapendenza è di ���; e il quarto, lo spaccato della funzione ;� �;�7;�/;� per 7� �7 , con gli assiinvertiti rispetto alla rappresentazione normale. Da queste equazioni si ottiene un'equazionein ; e <, che è appunto la curva di trasformazione, rappresentata a sua volta nel secondo dei

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quattro grafici; come si vede la convessità di questa curva deriva direttamente dal fatto chenelle singole produzioni i rendimenti marginali del lavoro sono decrescenti. Questi quattrografici ricompaiono poi nella Figura 6.b.3.2, con l'unica differenza che sono riorientati persovrapporre i quattro punti di origine.

Per fare un esempio algebrico ipotizziamo ;� � �7 �����/;���� e 7 � � ���, e <�

�. �����/<���� e . � ����; da ciò ;�� ����/;�

��� e dunque ;�� ����/;, da cui /;� �;�����, e,

analogamente, /<� � <�����. Inserendo tali valori nell'equazione /;� �� /<� � / , si ottiene

���/ � �;����<�, per cui la curva di trasformazione è un quarto di cerchio; l'equazione diquesta è <� �����/���;�����.

Le produzioni si modificano, spostando l'equilibrio lungo la curva di trasformazione,spostando da un'industria all'altra i fattori di produzione generici; ma con le funzioni diproduzione l'unico fattore generico è il lavoro. Come è ovvio dai grafici, spostando un'unitàdi / da ; a < si perde G;� �03/;, e si guadagna G<� �03/<. La pendenza della curva ditrasformazione è il tasso marginale di sostituzione tra ; e < attraverso la riallocazione deifattori, detto in gergo WDVVR�PDUJLQDOH�GL�WUDVIRUPD]LRQH; questo 707 corrisponde dunque alrapporto tra i prodotti marginali del fattore generico. Si ottiene insomma 707;<� �G<�G;� 03/<�03/;.

Ricordiamo però che se l'impresa minimizza i costi (in un sistema di mercaticompleto) il costo marginale del prodotto è il costo marginale di qualsiasi fattore (il suoprezzo, in regime di concorrenza) diviso per il prodotto marginale corrispondente. Chiamiamo come al solito Z la remunerazione del lavoro, e U7 e U., rispettivamente, quelledei fattori specializzati. Nel caso particolare, dunque, 0&;� �Z�03/;, e 0&<� �Z�03/<; neconsegue che 707;<� �03/<�03/;� ��Z�0&<���Z�0&;�� �0&;�0&<. La convessità dall'altodella curva di trasformazione corrisponde pertanto non solo ai rendimenti marginalidecrescenti del fattore generico in ambedue le produzioni, ma anche (e proprio per questo) acosti marginali crescenti per ambedue i prodotti: insomma, a curve di offerta "normali", conpendenza positiva.

Nella Figura 6.b.3.3 si considerano direttamente i mercati dei fattori. I due grafici inalto sono riferiti ai due fattori specifici; in regime di concorrenza nei mercati dei fattori la lororemunerazione sarà semplicemente quella corrispondente al loro rendimento marginale, percui ad esempio U7� �05;037; (se l'impresa è concorrenziale anche nel mercato del bene 05; �3;; ma questo adesso non ci preoccupa). Il grafico in basso è riferito invece al mercato dellavoro. Sugli assi verticali si misura il valore del rendimento marginale del lavoro nelle dueproduzioni, nel caso in ; sull'asse a sinistra e in < sull'asse a destra; la distanza orizzontale traquesti assi corrisponde al lavoro complessivo, e il lavoro assorbito da ogni industria si misuraorizzontalmente dalla base del rispettivo asse verticale, verso destra per ; e verso sinistra per<.

Ogni punto sul segmento orizzontale corrisponde dunque ad un'allocazione del lavorotra le due industrie, e dunque a una combinazione di produzioni sulla curva di trasformazione. Perchè un'allocazione sia un equilibrio di mercato, il lavoro deve ricevere lo stesso salario("di mercato") Z in ambedue le industrie; se così non fosse, infatti, i lavoratori sisposterebbero dal settore in cui guadagnano di meno a quello in cui guadagnano di più. Perambedue le imprese/industrie, poi, quel salario Z che è per loro il costo marginale del lavorodeve corrispondere al beneficio marginale corrispondente, da cui 05;03/;� �Z� �05<03/<.

Nella Figura 6.b.3.4 si riprende la Figura precedente, evidenziando i mutamentiimpliciti in uno spostamento lungo la curva di trasformazione. Ipotizziamo un aumento di <e una riduzione di ;; e ipotizziamo pure, visto che contano solo i prezzi relativi, che rimangafisso il prezzo del lavoro Z. Nel terzo grafico della Figura, dunque, il nuovo incrocio tra ledue curve di domanda di lavoro sarà a sinistra di quello originale; richiede pertanto che le

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curve di domanda si spostino da quelle solide a quelle tratteggiate. Come si sposta / da ; a<, infatti, cala 03/< e aumenta 03/;; per mantenere 05;03/;� � Z� � 05<03/< devedunque aumentare 05<� � 0&<, e ridursi 05;� � 0&;. Aumentano dunque 05<�05; e0&<�0&;, e cambia appunto il 707;<, diventando relativamente più costoso (e caro) il benedi cui aumenta la produzione relativa.

Cambiano pure gli equilibri nei mercati dei fattori. Nel primo grafico si vede che siriduce la remunerazione del fattore specifico al bene di cui si riduce la produzione, U7� 05;037;: cala infatti 05;, e riducendosi /; e dunque /;�7 si riduce pure 037;, per cui tral'altro U7 si riduce in termini relativi più di 05;. Il caso dell'altro fattore specifico èspeculare: U. aumenta, e in termini relativi più di 05< perchè aumentano sia 05<, sia 03.<. Ipotizzando poi che da un equilibrio all'altro non cambino i rapporti 3�05 nei mercati deibeni, possiamo notare la seguente graduatoria nei mutamenti dei prezzi relativi: �GU.�U.��!�G3<�3<��!��GZ�Z��!��G3;�3;��!��GU7�U7�.

I cambiamenti nelle produzioni relative si accompagnano dunque di un cambiamentonell'intera costellazione dei prezzi relativi; e le variazioni più sensibili sono nelleremunerazioni dei fattori specifici. Il protezionismo, riducendo l'interscambio con l'estero,aumenta la produzione dei beni che altrimenti si importerebbero, e riduce quella dei beni chealtrimenti si esporterebbero per pagare le importazioni; notando l'effetto di tali mutamentinella produzione sulle remunerazioni dei fattori specifici, e dunque sulle rendite percepite dailoro proprietari, si capisce che i mutamenti della politica commerciale scatenino quasi semprepassioni fortissime.

6.b.4. gli equilibri con fattori generici non sostituibiliRitorniamo adesso al caso già presentato nella Figura 6.b.2.1, in cui i due beni ; e <

sono ambedue prodotti con i due fattori . e /. Assumiamo che i due prodotti abbianoLQWHQVLWj�IDWWRULDOL�GLYHUVH: cioè, che per qualsiasi rapporto �Z�U� il rapporto �.�/� sia diversonelle due industrie. Assumiamo pure che tale diversità sia VLVWHPDWLFD, ossia che datoqualsiasi �Z�U� il rapporto �.�/� più alto si trovi sempre nella stessa industria. Per rendere ildiscorso concreto identifichiamo il capitale con la terra 7, e assumiamo che i due beni siano ilvino e il grano: ambedue usano terra e lavoro, ma rispetto al grano la vite esige un fortedispendio di lavoro su poca terra, per cui il vino 9 è intensivo in lavoro e il grano * èintensivo in terra.

Per illustrare le conseguenze di queste diverse intensità fattoriali, che riproducono insostanza quelle del caso precedente dei fattori specializzati, usiamo un nuovo espedientegrafico, illustrato dal grafico superiore della Figura 6.b.4.1: gli assi definiscono lo spazio deifattori, ma le origini degli isoquanti sono semplicemente sovrapposte, mentre 7 e / indicano le disponibilità complessive dei fattori. Assumiamo inizialmente che le possibilitàdi sostituzione tra i fattori siano nulle: gli isoquanti di 9 e di * sono ambedue a angolo retto,ma sono diversi i rapporti �7�/� definiti per ciascuna industria dall'unica tecnica elementaredisponibile (ed è più alto, per ipotesi, il rapporto per il grano). Nel caso, ipotizziamo che(date le unità dei fattori) il rapporto �7�/� sia pari a 2 nel grano e 0,33 nel vino; che irendimenti di scala siano costanti; che un'unità di * richieda due di 7 e una di /, e una di 9richieda una di 7 e tre di /; e che 7 � ���� e / � ����.

Nel grafico inferiore è illustrata la curva delle produzioni possibili. Per costruirla,consideriamo separatamente i vincoli creati dai due fattori. Il vincolo 7 � � ���, da solo,limita le produzioni possibili, definendo la retta 337; siccome ogni unità di * richiede dueunità di 7 l'intercetta del vincolo sull'asse * (la produzione massima permessa dalla terradisponibile) è pari a (500/2) = 250, mentre l'intercetta sull'asse 9 è (500/1) = 500. Allo stessomodo la retta 33/ ha un'intercetta pari a (600/1) = 600 sull'asse * e (600/3) = 200 sull'asse 9.

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Le produzioni possibili rispettano per forza ambedue i vincoli; la curva delle produzionipossibili è dunque la spezzata DEF, che è appunto convessa dall'alto.

Notiamo le corrispondenze tra i due grafici. Il punto D è quello in cui si produce solo*, e il prodotto è vincolato dalla terra; nel grafico superiore compare all'incrocio tra la tecnicadi * e il vincolo 7 . L'incrocio di quella stessa tecnica con il vincolo / corrisponde inveceal punto G, di fatto non raggiungibile per mancanza di terra. Allo stesso modo troviamo ilprodotto massimo di 9 al punto F, vincolato dal lavoro; nel grafico superiore compareall'incrocio tra la tecnica di 9 e il vincolo / . L'incrocio di quella stessa tecnica con 7 definisce invece il punto H, di fatto non raggiungibile per mancanza di lavoro. Il punto E èinvece l'unico che si trovi su ambedue i vincoli; corrisponde, nel grafico superiore,all'incrocio tra 7 e / .

Tra D e E, in ambedue i grafici, si usa tutta la terra, ma non tutto il lavoro; e viceversatra E e F. Lungo questi due segmenti, il fattore sovrabbondante avrà un prezzo nullo, mentreil prezzo dell'altro sarà tale da assorbire l'intero valore del prodotto. Tra D e E, in particolare,Z� ��, e il rapporto tra i costi marginali e medi dei due beni è costante e pari al rapporto deiloro consumi unitari di terra: infatti 0&9� �$&9� �U, e 0&*� �$&*� ��U. Tra E e F, invece,l'unica risorsa scarsa è il lavoro, per cui U� ��, e il rapporto tra i costi marginali e medi è datodal contenuto relativo di lavoro, come per il daino e il castoro di Adam Smith; nel caso, 0&9

�$&9� ��Z, e 0&*� �$&*� �Z.In questa economia, il punto E è l'unico che corrisponde al pieno impiego di ambedue

i fattori di produzione. Nel grafico superiore, le produzioni corrispondenti si trovanocostruendo, da E, un parallelogramma sui raggi delle tecniche elementari. Questo definisce ipunti I e J, rispettivamente, sui due raggi: infatti sommando le quantità dei fattori utilizzateda ciascuna industria, come definite da quei due punti, si ritrova E. Gli isoquanti che passanoper I e J definiscono a loro volta le produzioni corrispondenti, che si ritrovano alle stesselettere sugli assi del grafico inferiore. Algebricamente, questi punti sono la soluzione di unsemplice sistema di equazioni, che riassume i due vincoli elementari del grafico inferiore. Siccome ogni unità di 9 consuma tre unità di /, e ogni unità di * ne consuma una, �9���*� ���; e così pure, per la terra, 9����*� ����. La soluzione è 9� ������*� ����.

Notiamo che al punto E, la curva di trasformazione non ha una pendenza definita. Icosti marginali dei beni sono discontinui, e diversi in aumento e in diminuzione; il lororapporto pure non è definito, anche se deve rimanere contenuto entro le pendenza di DE da unlato e EF dall'altro. I rapporti dei prezzi dei fattori, pure, sono fissi ma molto diversi (zero, einfinito) lungo DE e EF, e dunque variabilissimi se l'equilibrio passa da una parte all'altra delpunto E.

6.b.5. gli equilibri con fattori generici sostituibiliRisultati meno esasperati si ottengono se si rende il modello meno rigido, ammettendo

la sostituzione tra i fattori. Al posto degli isoquanti a angolo retto della Figura precedente,dunque, la Figura 6.b.5.1 presenta isoquanti curvi. Manteniamo l'ipotesi che i rendimenti discala siano costanti; e ipotizziamo per semplicità che le funzioni di produzione sianoomotetiche, per cui in ogni industria �7�/� dipende solo da �Z�U�, e non dalla quantitàprodotta.

Ipotizziamo come sopra che 9 e * siano intensivi l'uno in lavoro e l'altro in terra, perqualsiasi rapporto dei prezzi dei fattori; e questo esige a sua volta che le possibilità disostituzione siano abbastanza simili nelle due industrie, come nel grafico superiore dellaFigura. Il grafico inferiore illustra il caso contrario: essendo le possibilità di sostituzionemolto diverse nella produzione di ; e di <, l'intensità fattoriale relativa varia con �Z�U�. Inquesto caso, infatti, le possibilità di sostituzione sono ristrette nella produzione di ;, e ampie

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in quella di <; variando �Z�U� il rapporto �7�/� varia poco per ;, e molto per <. Con un prezzorelativo del lavoro alto, dunque, < è relativamente intensivo in terra (il raggio <$ è più ripidodi ;$); con un prezzo relativo del lavoro basso, invece, < è relativamente intensivo in lavoro(il raggio <% è meno ripido di ;%). Nel grafico superiore, gli isoquanti dei due beni hannocurvature simili, per cui cambiando il prezzo relativo dei fattori le tecniche cambiano in modosimile nelle due produzioni, e il raggio relativo a * è sempre più ripido del raggio relativo a9.

La Figura 6.b.5.2 illustra un equilibrio possibile, nello spazio dei fattori e in quello deibeni. Nel grafico superiore, il punto E corrisponde al pieno impiego dei fattori; nel caso, èraggiunto con le tecniche indicate dai raggi *$ e 9$, e i livelli di produzione corrispondenti aipunti D e F, che generano un parallelogramma con apice in E. La pendenza degli isoquanti inD e F è identica, e pari al rapporto dei prezzi dei fattori �Z�U�; date le possibilità di sostituzionee l'omoteticità, infatti, i raggi *$ e 9$ sono compatibili in quanto definiti appunto per quellastessa pendenza degli isoquanti. Siccome poi gli isoquanti hanno la stessa pendenza e ifattori di produzione sono interamente utilizzati l'equilibrio che combina le produzionicorrispondenti ai punti D e F si trova sulla curva delle produzioni possibili, come indicato nelgrafico inferiore.

La Figura 6.b.5.3 illustra il mutamento dell'equilibrio. Nel primo grafico l'equilibriooriginale riproduce quello della Figura precedente; ipotizziamo ora che per un motivoqualsiasi si riduca la produzione di * e aumenti quella di 9. Inizialmente la produzione di *si contrae lungo *$, e quella di 9 si espande lungo 9$; ma questi movimenti deformano ilparallelogramma, e l'apice di questo lascia E per spostarsi verso sud-est. Si crea cioè uneccesso di offerta di terra, e di domanda di lavoro, proprio perchè con le tecniche iin uso ilsettore che si contrae libera più terra e meno lavoro di quanto non assorba il settore inespansione. Questi squilibri nei mercati dei fattori causano però un aumento del prezzorelativo del lavoro: aumenta �Z�U�, che a sua volta porta ambedue le industrie a cambiaretecnica per usare relativamente meno lavoro e più terra. Diventano dunque più ripidi i raggi�7�/�, e si raggiunge così il nuovo equilibrio, con raggi *% e 9%, produzione in D e F, e unparallelogramma che ritrova E e dunque mantiene l'equilibrio nei mercati dei fattori.

In sostanza, dunque, i fattori generici usati intensivamente in industrie diverse sicomportano come se fossero specifici a queste industrie: come si cambia la produzione afavore del bene intensivo in un fattore particolare, aumenta il prezzo relativo di quel fattore. La logica è trasparente: il rapporto �7�/� medio è e deve rimanere �7 �/ �; questo rapportomedio è una media ponderata dei rapporti specifici alle due industrie, per cui �7 �/ �� J�7�/�*���Y�7�/�9; se cambiano i pesi relativi J e Y devono cambiare pure i rapporti da essiponderati. Se in particolare come nel esempio precedente �7�/�*� !� �7 �/ �� !� �7�/�9 e siriduce �J�Y�, devono aumentare �7�/�* e �7�/�9; e questo a sua volta si ottiene aumentando�Z�U�, cosa che risulta automaticamente dal gioco del mercato.

Il secondo grafico della Figura illustra lo spostamento lungo la curva ditrasformazione; il terzo spiega l'aumento della pendenza di questo. Nel terzo grafico siillustra nello spazio dei fattori un isocosto iniziale 7&�, tangente all'isoquanto * in *� eall'isoquanto 9 in 9�. Con rendimenti di scala costanti, dati i prezzi relativi dei fattoricorrispondenti a 7&�, i costi medi e marginali (costanti) dei beni sono $&*�� � 0&*�� 7&��* e $&9�� �0&9�� � 7&��9 . Con lo spostamento lungo la curva di trasformazionenella direzione del bene intensivo in lavoro aumenta il salario relativo, e l'isocosto diventa piùripido; ma allora * e 9 non avranno più lo stesso costo complessivo. Nel grafico, infatti,* si ottiene con 7&�, tangente all'isoquanto * in *�, mentre 9 si ottiene con 7&��!�7&�,tangente all'isoquanto 9 in 9�. Ne consegue che �7&��9 ���7&��* ��!��7&��9 ���7&��* �, edunque che �0&9��0&*���!��0&9��0&*��: come cambiano le produzioni lungo la curva di

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trasformazione cambiano i prezzi relativi dei fattori e dunque le funzioni di costo dei beni,aumentando il costo marginale relativo del bene di cui aumenta la produzione.

Ricordiamo che minimizzando i costi in regime di concorrenza �03/*�037*�� ��Z�U� ��03/9�0379�. Ne consegue che �Z�03/*�� ��U�037*�� �0&*, e �Z�03/9�� ��U�0379�� 0&9: che si vari la produzione variando al margine il consumo di un fattore o di un altro, ilcosto marginale è lo stesso. Ne consegue pure che �03/*�03/9�� � �037*�0379�� �0&9�0&*�: al margine, i rapporti dei prodotti marginali dei fattori nelle diverse produzionisono uguali, e uguali al rapporto (inverso) dei costi marginali. Il tasso marginale ditrasformazione 707, che è la pendenza della curva di trasformazione, corrisponde a questorapporto comune dei prodotti marginali e al rapporto dei costi marginali: che si sposti almargine un'unità di lavoro o un'unità di terra, il mutamento delle produzioni, e dei costi, è lostesso. Ritroviamo dunque con più di un fattore generico quanto già stabilito (6.b.3) con ununico fattore generico, e fattori specializzati.

La Figura 6.b.5.4 illustra i casi limite della specializzazione completa, in cui siproduce un bene solo. Il primo grafico riporta la curva di trasformazione; corrispondono allaspecializzazione il punto D, in cui si produce solo grano, e il punto E, in cui si produce solovino. Il secondo grafico riporta, per memoria, il parallelogramma dei fattori che corrispondea un equilibrio non di specializzazione, quale il punto F, indicando la pendenza degli isocosti,ossia il rapporto �Z�U�, nell'equilibrio indicato.

Il terzo e quarto grafico illustrano gli equilibri di specializzazione. L'equilibrio neimercati dei fattori esige che il rapporto �7�/� nell'unica industria attiva corrisponda a �7 �/ �. Se l'economia si specializza in *, intensivo in terra, il rapporto �Z�U� deve essere più bassoche in qualsiasi altro equilibrio, appunto per ridurre �7�/�*, che altrimenti supera �7 �/ �, aquel livello; e così se si specializza in 9, intensivo in lavoro, il rapporto �Z�U� deve essere piùalto che in qualsiasi altro equilibrio.

Il quinto grafico ripropone la scatola di Edgeworth nello spazio dei fattori. Come èfacile verificare disegnando gli isoquanti per * e per 9 su due fogli diversi e poisovrapponendoli, il luogo delle tangenze tra gli isoquanti è una curva: come si vede daigrafici precedenti il rapporto �7�/�* cala continuamente come la produzione di * passa dazero al massimo raggiungibile, mentre il rapporto �7�/�9 aumenta continuamente come laproduzione di 9 passa da zero al massimo raggiungibile; e questo implica a sua volta che�Z�U� aumenta continuamente come si passa per equilibri successivi sulla curva ditrasformazione da una specializzazione completa in * (il punto D) ad una specializzazionecompleta in 9 (il punto E).

La Figura 6.b.5.5 illustra infine un'altro caso limite, in cui i due prodotti hannoisoquanti sovrapposti e dunque intensità fattoriali identiche. In tal caso, come si vede dalprimo grafico, con funzioni di produzione omotetiche il parallelogramma si restringe fino adiventare un raggio. In equilibrio, �7�/�*� � �7�/�9� � �7 �/ �, per qualsiasi produzionerelativa di * e di 9; e il rapporto �Z�U� è sempre lo stesso, quello appunto che garantiscel'unico rapporto �7�/� di equilibrio. Nella scatola di Edgeworth il luogo delle tangenzediventa la retta che unisce i due punti di origine, e nei punti di tangenza la pendenza comuneè sempre la stessa, uguale al rapporto �Z�U� pure costante. Con rendimenti di scala costanti,poi, rimanendo costanti i prezzi relativi dei fattori rimangono pure costanti i costi medi emarginali dei due beni, e la curva di trasformazione divente una retta, a pendenza costante. Inquesto caso le curve di offerta dei beni sono piatte; con curve di trasformazione convessedall'alto, invece--che sia per l'esistenza di fattori specializzati, o per differenze sistematiche diintensità fattoriale, o pure per rendimenti di scala decrescenti (anche se non se ne capisce lalogica)--le curve di offerta dei beni sono in pendenza positiva.

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6.b.6. la frontiera dei prezzi dei fattoriUn tema ricorrente in quanto sopra è la variazione dei prezzi relativi dei fattori in

funzione della variazione della produzione lungo la curva di trasformazione. Producendo unacombinazione Pareto-efficiente dei beni, infatti, si produce un certo prodotto complessivo (ilProdotto Interno Lordo, nella nomenclatura della statistica macroeconomica): 3,/� �3**��399. Con profitti nulli, l'intero prodotto equivale al reddito complessivo dei fattori: 3,/� Z/ ���U7 . Date le disponibilità dei fattori, dunque, a ogni produzione corrisponde un certoprezzo relativo dei fattori, e una certa GLVWULEX]LRQH� IDWWRULDOH� GHO� UHGGLWR. Data poi ladistribuzione della ricchezza, ossia la distribuzione tra le varie persone (famiglie) dei diritti diproprietà nei vari fattori, a questa corrisponde una certa GLVWULEX]LRQH�SHUVRQDOH�GHO�UHGGLWR.

Ammettiamo che se la produzione è Pareto-efficiente, ossia sulla curva ditrasformazione, il 3,/ è quello massimo ottenibile, e ipotizziamo che sia costante in termininominali (tralasciando dunque i problemi di aggregazione dei beni prodotti mentre cambianole quantità relative di questi, e i valori unitari). Dato che il 3,/ viene ripartito tra i fattori datiin proporzione ai loro prezzi relativi, è ovvio che se la produzione è efficiente e il 3,/ èmassimizzato, è pure massimizzato il prezzo (e il reddito) di ogni fattore dati i prezzi (e iredditi) degli altri. Alla produzione sulla curva delle produzioni possibili (la frontiera deiprodotti ottenibili) corrisponde insomma una combinazione di prezzi dei fattori anch'essasulla frontiera corrispondente, detta appunto la IURQWLHUD�GHL�SUH]]L�GHL�IDWWRUL.

La Figura 6.b.6.1 riassume quanto detto in proposito. Il primo grafico riporta la curvadi trasformazione ottenuta con fattori specializzati (vedi 6.b.3); il secondo, la frontiera deiprezzi di questi fattori. Il punto D, in cui si produce solo <, corrisponde al massimo di U.,ossia del prezzo del fattore usato solo da <; essendo allora nulla la produzione di ;, è nulla ladomanda per il fattore usato solo in quella produzione, e dunque nullo il suo prezzo U7. Ilpunto & corrisponde alla specializzazione opposta, in ;; è allora massimo U7, e nullo U.. Nelpunto E si producono ambedue i beni, e ambedue i fattori hanno un prezzo intermedio, trazero e il massimo.

Il terzo grafico riporta la curva di trasformazione con due fattori non specializzati,intensità fattoriali diverse, e sostituzione nulla tra i fattori (6.b.4); il quarto, la frontiera deiprezzi di questi fattori. Nel segmento D�E, ricordiamo, si produce solo o principalmente *,solo la terra è vincolante, e il lavoro non è scarso; il prezzo della terra è positivo e tale daesaurire il 3,/, per cui U� ��3,/�7 �, mentre Z� ��. Nel segmento E�F, invece, si produce soloo principalmente 9, solo il lavoro è vincolante, e la terra non è scarsa; il prezzo del lavoro èpositivo e tale da esaurire il 3,/, per cui Z� ��3,/�/ �, mentre U� ��. Al punto E, ambedue ifattori sono pienamente utilizzati, ma lo spigolo della curva di trasformazione ammettediversi costi marginali relativi e dunque prezzi relativi dei fattori; possono dunque variare Z eU, rispettando il vincolo 3,/� �Z/ ���U7 .

Il quinto grafico riporta la curva di trasformazione con due fattori non specializzati,intensità fattoriali diverse, e sostituzione ("simile") tra i fattori (6.b.5); il sesto, la frontiera deiprezzi di questi fattori. Il punto D, in cui si produce solo *, corrisponde al massimo di U, ossiadel prezzo del fattore usato intensivamente da *; è allora nulla la produzione di 9, maambedue i fattori sono pienamente utilizzati, e Z è al suo minimo ma comunque positivo. Ilpunto F è il caso speculare, e E è un punto intermedio.

Il settimo grafico riporta la curva di trasformazione con due fattori non specializzati, eisoquanti identici (6.b.5); l'ottavo, la frontiera dei prezzi di questi fattori. In questo caso lacurva di trasformazione è una retta, e i prezzi relativi dei fattori (come i costi marginali deibeni) sono invarianti a mutamenti nella composizione del prodotto; la frontiera dei prezzi deifattori si restringe ad un unico punto, compatibile con tutti quelli sulla curva ditrasformazione.

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Riassumendo il riassunto, alla curva di trasformazione corrisponde la frontiera deiprezzi dei fattori (massimo di U dato Z). Il massimo di U so ottiene massimizzando laproduzione del bene relativamente intensivo in 7, e così via. Questo significa che se si variail paniere prodotto, si variano anche i prezzi relativi dei fattori: appunto perchè questi sonodati, e il loro prezzo deve indurre i produttori a consumarne, insieme, esattamente la quantitàtotale disponibile. Spostandosi la produzione nella direzione del bene intensivo in uno deifattori, per mantenerne costanti i consumi complessivi deve cambiare il loro prezzo relativo,cosicchè l'effetto di sostituzione interno ad ogni produzione compensa l'effetto dellospostamento tra le produzioni. In particolare, un paese che passa dall'autarchia al liberoscambio si concentra nella produzione del bene che usa fattori localmente abbondanti;aumenta pertanto il prezzo relativo di questi, e cala invece quello dei fattori localmente rari(ragion per cui i sindacati statunitensi si sono opposti al mercato comune col Messico).

Tanto maggiore è la differenza di intensità fattoriale dei due beni prodotti, ossia ladiversità di �7�/� dato �Z�U�, tanto maggiore è:--la variazione di �Z�U� per una data variazione del paniere prodotto;--la variazione, di conseguenza, del costo relativo, marginale e medio, dei beni, e pertantodella pendenza della curva di trasformazione;--la pendenza delle curve di offerta (di lungo periodo), pendenze che altro non indicano,giustappunto, che la variazione dei costi dovuta alla variazione dei prezzi dei fattorinecessaria per mantenerne il pieno impiego quando varia il paniere prodotto in modo daalterare il consumo complessivo dei fattori a prezzi relativi invariati.

6.c. la concorrenza nel mercato dei beni e l'efficienza complessiva

6.c.1. l'acquisto dei beni: concorrenza e allocazione efficienteAbbiamo già visto, in un contesto di puro scambio, che la concorrenza porta a

un'allocazione efficente dei beni disponibili. In un contesto di produzione, questo risultatoviene narrato in un modo appena diverso: la dotazione di beni compare non più comesemplicemente data ma come il risultato di scelte produttive. Ipotizziamo che queste sianomaturate con mercati dei fattori concorrenziali, e dunque che la produzione sia efficiente; ilpunto di produzione compare dunque sulla curva di trasformazione, come nella Figura6.c.1.1, definita per due beni qualsiasi ; e <.

Dato questo punto possiamo costruire una scatola di Edgeworth nello spazio dei beni,con le curve d'indifferenza dei consumatori; il luogo delle tangenze corrisponde come nelpuro scambio al luogo delle allocazioni efficienti di quei beni. Nel contesto di puro scambiosi trovava nella stessa scatola il punto iniziale, che indicava la distribuzione iniziale dei beniche venivano poi barattati da operatori che erano contemporaneamente compratori evenditori; in un economia di produzione i consumatori sono puri compratori, e il loro poteredi acquisto dipende dalla loro ricchezza definita non in beni ma in fattori, e dai prezzi diequilibrio di questi.

Per il resto, vale il discorso già fatto: l'efficienza paretiana nell'allocazione dei beniesige che siano uguali i tassi marginali di sostituzione dei consumatori (706R�, ossia irapporti delle loro utilità marginali; nell'equilibrio di ciascuno il 706R viene equiparato alrapporto dei costi marginali dei beni per i singoli consumatori; se i consumatori sono tutticoncorrenziali come compratori dei beni i loro rapporti dei costi marginali sono tutti pari alrapporto dei prezzi di mercato, e i loro 706R sono dunque uguali. L'allocazione di equilibriosi troverà pertanto sulla curva dei contratti, e dunque, nello spazio delle utilità, sulla curvadelle utilità possibili date quelle disponibilità di beni. Nella Figura un equilibrio con

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consumatori concorrenziali è illustrato dal punto D.Il punto E, non efficiente, illustra invece un equilibrio in presenza di monopolio.

Ipotizziamo che $ abbia potere di monopolio nel mercato di acquisto di <. Per $, dunque,706R� � �08;�08<�� � �0&;�0&<�� �� �3;�3<�, mentre per % 706R� � �08;�08<�� �0&;�0&<�� ��3;�3<�: la curva d'indifferenza di % è tangente alla retta dei prezzi, quella di $alla retta dei costi marginali (meno ripida, perchè per lui 0&<�!�3<). Il potere di monopoliodi acquisto di < porta a un prezzo relativo di < minore di quello concorrenziale; ma quelloche interessa è che le curve di indifferenza non possono essere tangenti.

Ancora una volta, la concorrenza sembra sufficiente ma non necessaria, in quanto unindividuo dotato di potere di monopolio di acquisto analogo in ambedue i mercatisembrerebbe comunque avere di fronte un vincolo con un tasso di sostituzione pari ai prezzirelativi; ma ancora una volta questo è un risultato spurio, dovuto alla struttura particolarmentesemplice del modello.

6.c.2. la vendita dei beni: concorrenza e produzione ottimaleIpotizziamo adesso un'economia con una dotazione di . e /, mercati dei fattori

concorrenziali, e dunque una produzione di ; e < sulla curva di trasformazione; la pendenzadi questa in quel punto è 707;<� ��0&;�0&<�� ��03/<�03/;�� ��03.<�03.;�. Ipotizziamopure che i compratori dei beni siano tutti concorrenziali, per cui il 706R� � �08;�08<� èunico e uguale per tutti. Sono insomma efficienti sia la produzione, sia l'allocazione dei beniprodotti; rimane da vedere se è o meno ottimale anche il paniere prodotto, e dunque se èPareto-efficiente o meno l'economia nel suo complesso.

Immaginiamo inizialmente che non siano uguali il 706R e il 707;<: ad esempio, almargine per ogni consumatore una mela è l'equivalente di una pera, mentre spostando risorsesi può ottenere un mela aggiuntiva sacrificando solo mezza pera. In tal caso, ovviamente,rimane spazio per migliorare il benessere di tutti i consumatori, dando loro per ogni pera toltanon una mela, che basterebbe per compensarli, ma due. Perchè sia impossibile talemiglioramento cambiando la produzione, e dunque sia già ottimale la produzione, deveverificarsi un'ultima equivalenza marginale, ossia 706R� �707;<.

Anche questa condizione è garantita dalla concorrenza, e più precisamente dallamassimizzazione del profitto da parte delle imprese che vendono i beni in condizioni diconcorrenza. Se queste sono concorrenziali, infatti, i loro ricavi marginali coincidono con iprezzi di mercato, e la massimizzazione del profitto porta alla condizione 3;� �0&; e 3<� 0&<. Ne consegue ovviamente che 706R� ��08;�08<�� ��3;�3<�� ��0&;�0&<�� �707;<,come nel grafico superiore della Figura 6.c.2.1.

Se invece sono concorrenziali tutti i mercati, con l'unica eccezione che ad esempio ilbene ; viene venduto in condizioni di monopolio, allora per il venditore di ; si verifica 3;�!05;� �0&;. Ne consegue ovviamente che 706R� ��08;�08<�� ��3;�3<��!��0&;�0&<�� 707;<, come nel grafico inferiore della Figura 6.c.2.1. Notiamo che questa configurazionecorrisponde ad XQD�SURGX]LRQH� LQDGHJXDWD� GHO� EHQH�PRQRSROL]]DWR�� H� FRUULVSRQGHQWHPHQWH�GDWD� OHIILFLHQ]D� GHOOD� SURGX]LRQH�� XQD� SURGX]LRQH� HFFHVVLYD� GHJOL� DOWUL� EHQL. Infatti se ilpunto di produzione si sposta lungo la curva di trasformazione verso sud-est, aumentando laproduzione di ; (monopolizzato) e riducendo quella di < (concorrenziale), diventa più ripidala pendenza della curva di trasformazione, e (spostandosi le origini delle curve di indifferenzalegate al punto di produzione) meno ripida la pendenza delle curve di indifferenza lungo lacurva dei contratti: convergono cioè il 706R e il 707;<.

Notiamo tre cose. Primo, come sopra, la concorrenza tra i venditori dei beni sembrasufficiente per ottenere 706R� �707;<, ma non necessaria, in quanto con poteri di monopoliosimili nei due mercati si potrebbe comunque ottenere �3;�3<�� ��0&;�0&<�, con �3;�0&;��

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�3<�0&<�� !� �; ma come al solito questo è un risultato spurio legato alla strutturaparticolarmente semplice del modello.

Secondo, ritroviamo adesso una considerazione già fatta sull'ottimalità degli equilibriconcorrenziali nei singoli mercati. Nella Figura 6.c.2.2, i due grafici superiori illustrano gliequilibri concorrenziali nei mercati di ; e <. Nei due grafici inferiori si illustrano gli equilibricon un monopolio di vendita in ;. Il mercato di < rimane concorrenziale, ma l'equilibrio nonè più quello di prima: infatti la riduzione delle produzione di ; causata dal monopolio liberarisorse che vengono assorbite dalla produzione di <, aumentandone l'offerta. Tralasciandoeventuali effetti sulla domanda (ossia assumendo implicitamente che la domanda di ; sialocalmente di elasticità unitaria), la curva di offerta di < con monopolio in ;, ossia 6<�;0, èspostata rispetto alla stessa con concorrenza anche in ;, ossia 6<�;&; il monopolio in ; pereffetti di offerta riduce il prezzo e aumenta i consumi degli altri beni. Gli incroci domanda-offerta corrispondono insomma agli equilibri globalmente Pareto-efficienti solo se le curvestesse emergono da un contesto pienamente concorrenziali; un monopolio in qualche mercatoporta a curve "sbagliate" negli altri mercati.

Terzo, notiamo che se l'unico elemento non-concorrenziale si trova nella vendita deibeni, l'economia rimane pienamente efficiente tranne appunto che per la scelta non ottimaledella produzione. Tale situazione è illustrata nei primi due grafici della Figura 6.c.2.3. Laproduzione è sulla curva di trasformazione, nel punto D. Il 706R è unico, nel punto E, per cuil'allocazione dei beni è efficiente, date le disponibilità (ossia il punto D); nello spazio delleutilità il punto E è dunque sulla curva delle utilità possibili dato D, ossia su &83D. Il 706R,però, diverge dal 707; e questo significa che non si raggiunge la Pareto-efficienzacomplessiva, ossia che il punto E è sulla &83D ma non anche sulla frontiera delle utilitàpossibili, ossia la )83.

Nei grafici inferiori la situazione è la stessa, con in aggiunta 706R� �707, dati gliequilibri in F e G. Questo significa che il punto G è non solo sulla curva delle utilità possibilidate quelle disponibilità dei beni, ossia sulla &83F, ma anche sulla frontiera delle utilitàpossibili, la )83; per essere precisi, ricordando che la )83 è l'inviluppo delle &83, nelpunto corrispondente a G la &83F è la )83.

Riassumendo, la concorrenza perfetta è garanzia di efficienza paretiana: i fattori sonopienamente utilizzati; è efficiente l'allocazione dei fattori e dunque la produzione, perchè�03.;�03/;�� � �03.<�03/<�; è efficiente l'allocazione dei beni prodotti, perchè�08;$�08<$�� � �08;%�08<%�; ed è ottimale il paniere prodotto, perchè �08;�08<�� �03.<�03.;�� ��03/<�03/;�. I mercati concorrenziali producono dunque una situazione diefficienza paretiana complessiva, per cui l'economia si trova sulla frontiera delle utilitàpossibili--ma non necessariamente al punto socialmente ottimale di tale frontiera, il che èesattamente la conclusione raggiunta per l'economia senza produzione.

In sostanza, dunque, e in assenza dei "fallimenti" che vedremo appresso, LO�VLVWHPD�GLPHUFDWL� FRQFRUUHQ]LDOL� SRUWD� OHFRQRPLD� DG� XQD� FRPELQD]LRQH� GL� SURGX]LRQL� H� GLFRQVXPL� FKH� q� HIILFLHQWH� LQ� VHQVR� SDUHWLDQR�� H� SHUWDQWR� RWWLPDOH� GDWD� OD� GLVWULEX]LRQHGHOOD�ULFFKH]]D�� OH�GLVSRQLELOLWj�GL�ULVRUVH�� L�JXVWL��H� OH�WHFQRORJLH�� �4XHVWR�ULVXOWDWR�QRQSXz�HVVHUH�VRFLDOPHQWH�RWWLPDOH�VH�QRQ�OR�q�OD�GLVWULEX]LRQH�LQL]LDOH�GHOOD�ULFFKH]]D��PDTXHVWR� QRQ� q� FROSD� GHO� PHUFDWR�� FKH� q� XQR� VWUXPHQWR� GL� FRQWUROOR� GHOOHFRQRPLDDVVROXWDPHQWH� QHXWUR� ULVSHWWR� DL� SDUDPHWUL� �ULFFKH]]D�� ULVRUVH�� JXVWL�� WHFQRORJLH�� GHOVLVWHPD.

Ripetere il paragrafo precedente, che è fondamentale.

6.c.3. efficienza paretiana, produzione, e distribuzionePrima di abbandonare questi strumenti può essere utile considerare più da vicino

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l’interdipendenza tra produzione e distribuzione in un equilibrio generale concorrenziale edunque (con le ipotesi implicite che vedremo poi) complessivamente Pareto-efficiente.

Se i consumatori hanno gusti simili e la composizione dei consumi varia poco con ilreddito, la produzione di equilibrio Pareto-efficiente dipende poco dalla distribuzione dellaricchezza; al limite tutti consumano un paniere di composizione identica, a qualsiasi reddito,e l'unico punto di produzione Pareto-efficiente è quello che corrisponde al paniere desideratocon prezzi relativi pari ai costi marginali relativi.

Ipotizziamo dunque per illustrare questo caso limite che le funzioni di utilità sianoomotetiche, e identiche per tutti gli individui: la composizione dei consumi varia pertantocon i prezzi relativi dei beni ma non con il reddito (per cui le elasticità al reddito sono semprepari a uno). Come sappiamo dal caso analogo nello spazio dei fattori (Figura 6.b.5.5), lacurva dei contratti è allora la diagonale della scatola di Edgeworth, e la pendenza delletangenze fra le curve di indifferenza è costante. Nel grafico superiore della Figura 6.c.3.1sono rappresentati nello spazio dei beni la curva di trasformazione, con tre punti diproduzione D, E, e F, e una curva di indifferenza rappresentativa, con le tangenticorrispondenti ai tre punti di produzione. Come si riduce il rapporto �<�;� aumenta in modocontinuo il rapporto �0&;�0&<�� �707, e si riduce in modo continuo il rapporto �08;�08<� �706R; è ovvio dunque che 706R� �707 in un unico punto, per ipotesi il punto E.

Essendo le preferenze omotetiche e identiche, 706R� �707 lungo l'intera curva deicontratti, che coincide con il raggio da 2 a E; il punto E coincide dunque con la Pareto-efficienza complessiva a prescindere dalla distribuzione della ricchezza, e dei consumi diequilibrio, tra gli individui. Questo significa a sua volta che nello spazio delle utilità,riportato nel grafico inferiore della Figura, la )83 coincide con &83E; &83D, come &83F, sitrova interamente all'interno della )83.

Se invece i consumatori hanno gusti diversi, il punto di produzione di equilibriocomplessivamente Pareto-efficiente sarà diverso a seconda della distribuzione della ricchezzatra di loro, e tenderà ovviamente ad uniformarsi ai gusti di chi pesa di più. Reciprocamente,la compatibilità o meno di un dato punto di produzione con la Pareto-efficienza complessivadipenderà dalla distribuzione della ricchezza fra consumatori di gusti diversi.

Ipotizziamo per illustrare un caso semplificato che le funzioni di utilità siano sempreomotetiche, ma diverse da un consumatore all'altro, e in particolare che l'individuo $ abbiautilità intensive in <; dato qualsiasi rapporto �3;�3<�, dunque, �<�;�$� !� �<�;�%. Comesappiamo dal caso analogo nello spazio dei fattori (Figura 6.b.5.4), se misuriamo i consumi di$ dall'origine degli assi in basso a sinistra la curva dei contratti nella scatola di Edgeworthsarà una curva convessa dall'alto, e la pendenza delle tangenze fra le curve di indifferenza (il706R di equilibrio) sarà tanto minore, quanto più ci si allontana dal punto di origine di $,come nel primo grafico della Figura 6.c.3.2.

Nel secondo grafico della Figura una simile scatola di Edgeworth è iscritta nella curvadi trasformazione, per ipotesi con un punto di produzione D tale che il 707 è compreso fra ivalori estremi del 706R, rispettivamente 706RP e 706R0, ai due estremi della curva deicontratti. Siccome lungo la curva dei contratti il 706R varia in modo continuo e monotonicotra i suoi valori estremi, esiste necessariamente all'interno della scatola un unico punto diconsumo E tale che 707� �706R; il punto di produzione D è dunque a sua volta compatibilecon la Pareto-efficienza complessiva, ed è dunque un equilibrio concorrenziale, se e solo se ladistribuzione della ricchezza è tale che alla produzione in D corrispondono i consumi in E.

Il terzo grafico della Figura, nello spazio delle utilità, riporta la &83D, definitaappunto per la produzione in D, e la )83. L'unico punto comune corrisponde a E; il restodella &83D è interno alla )83, perchè 706R e 707 non sono uguali. I due pezzi della &83Drispettivamente a nord-ovest e a sud-est di E corrispondono infatti nel grafico precedente alla

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curva dei contratti rispettivamente a nord-est e a sud-ovest di E.Nella Figura 6.c.3.3 si riprende l’esempio precedente, illustrando come si modificano

gli equilibri di consumo se cambia la dimensione della scatola come cambierebbe appunto secambiasse il punto di produzione. Con le solite preferenze diverse, il punto di produzione �definisce una curva dei contratti con dei 706R che variano da un minimo di 706RP� al punto� ad un massimo di 706R0� al punto 2. Se il punto di origine dei consumi di % si sposta da �a �, la scatola diventa meno alta e stretta; cambia la curva dei contratti, che diventa menoripida; e cambiano i 706R lungo la stessa. In particolare, i 706R estremi diventano ambeduemeno ripidi: quelli minimi, più lontani da 2, si riducono perchè la funzione di utilità di $ èomotetica, e da � a � si riiduce il rapporto �<�;�; e basta rovesciare il foglio per vedere che lostesso vale per quelli massimi, più lontani dall'origine di % (il punto di produzione), chepassano dunque per 2.

Si ritrova insomma appena arricchito il risultato già ottenuto nella Figura 6.c.3.1. Inquel caso, con preferenze omotetiche identiche, il 706R era costante lungo qualsiasi curva deicontratti; come il punto di produzione scendeva lungo la curva di trasformazione, il 706Rdiminuiva. Nella Figura 6.c.3.3 le preferenze sono omotetiche ma diverse, e ogni curva deicontratti definisce non un unico 706R, ma una gamma tra un minimo e un massimo; ma comeil punto di produzione scende lungo la curva di trasformazione, si sposta verso il bassol'intera gamma come prima si spostava verso il basso il valore unico. Peraltro non può esserediversamente, visto che le preferenze identiche sono un caso particolare di quelle diverse: come spariscono le differenze tra le preferenze spariscono quelle tra i 706R estremi, e lagamma tra questi estremi si riduce ad un valore unico.

Ipotizziamo adesso che i tassi marginali di trasformazione nei due punti diproduzione, 707� e 707�, siano compresi tra i valori estremi dei 706R sulle curve deicontratti corrispondenti: 706R0��!�707��!�706RP�, e 706R0��!�707��!�706RP�. Notiamoperò che con lo spostamento da � a � aumenta la pendenza della curva di trasformazione, percui 707�� �� 707�, mentre si sposta verso il basso la gamma dei 706R; necessariamente,dunque, il punto di consumo che concilia il punto di produzione con la Pareto-efficienzacomplessiva (il punto E del secondo grafico della Figura precedente) si troverà più vicino alpunto 2, ossia corrisponderà ad una minore ricchezza, e un minor benessere, per $.

Questo risultato si può capire facilmente considerando i casi estremi. Ipotizziamo cheambedue i 707 coincidano appunto con uno dei valori estremi dei 706R: siccome 707���707�, 706R0�� !� 706R0�� !� 706RP� e 706R0�� !� 706RP�� !� 706RP�, l'unica possibilità è706RP�� �707� e 706R0�� �707�; ma 706RP� si trova al punto di produzione, all'angoloopposto dall'origine dei consumi di $, e 706R0� invece al punto 2. Intuitivamente, poi, ènaturale che se $ consuma di più il mercato tenderà a improntarsi maggiormente ai gusti suoi;nel caso limite infatti $ consuma tutto, e il mercato produce quello che sceglierebbe $ sefosse vincolato direttamente dalla curva di trasformazione (graficamente, il punto di consumocoincide con il punto di produzione, e in quel punto la curva di indifferenza di $ è tangentealla curva di trasformazione).

La Figura 6.c.3.4 presenta due grafici, nello spazio rispettivamente dei beni, e delleutilità. Nel grafico superiore della Figura ritroviamo la curva di trasformazione, con sei puntidi produzione, numerati in ordine da D a I, e le sei curve dei contratti corrispondenti. Lepreferenze omotetiche di $ e di % sono rappresentate da due curve di indifferenzarappresentative: una di $, solida, scelta tangente alla curva di trasformazione; e una di %,misurandone i consumi da 2, per l'occasione (perchè normalmente li misuriamo nella scatoladi Edgeworth a partire dal punto di produzione), tratteggiata, anche questa scelta tangente allacurva di trasformazione. Queste due tangenze definiscono sulla curva di trasformazione ipunti E e H, ossia il secondo e il penultimo.

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Il punto E riproduce il caso limite della Figura precedente, con 707� � 706RP�. Rappresenta per costruzione l’equilibrio di Pareto-efficienza complessiva quando $ possiede econsuma tutto, per cui il punto di consumo E coincide con il punto di produzione E. Ilconsumo in E rappresenta insomma l'utilità massima per $, e dunque nel grafico inferiorel'intercetta della )83 sull'asse 8$. Il resto della &83E è invece interno alla )83: con laproduzione in E, infatti, lungo la curva dei contratti 706R�!�707 tranne che in E .

Il punto H a sua volta riproduce l'altro caso limite della Figura precedente, con 707� 706R0�. Rappresenta per costruzione l'equilibrio di Pareto-efficienza complessiva quando %possiede e consuma tutto, per cui nella scatola di Edgeworth il punto di consumo H coincidecon il punto di origine 2 (come è ovvio: se l'origine dei consumi di % è H piuttosto che 2, lacurva di indifferenza tratteggiata passa per 2 piuttosto che per H, e in quel punto 706R� 707). Il consumo in H rappresenta insomma l'utilità massima per %, e dunque nel graficoinferiore l'intercetta della )83 sull'asse 8%. Il resto della &83H è invece interno alla )83: con la produzione in H, infatti, lungo la curva dei contratti 706R���707 tranne che in H .

Consideriamo adesso i due punti di produzione intermedi, F e G. A ognuno di questi èlegato un punto di consumo sulla curva dei contratti corrispondente, rispettivamente F e G ,per il quale 706R� � 707 e il punto di produzione è compatibile con la Pareto-efficienzacomplessiva. Per trovare questi punti di consumo, visto che la funzione di utilità di $ èomotetica, basta risalire la curva di indifferenza di $ per trovare i punti F e G con 706R parial 707 in F e G, e poi seguire il raggio tra quei punti e il punto di origine 2 fino a incontrarela curva dei contratti del caso: in quel punto, i 706R di $ e di % sono uguali (perchè siamosulla curva dei contratti), e uguali al 707 (perchè per $ ogni raggio da 2 è il luogo dei puntia 706R costante, e dunque per costruzione uguale al 707 nel punto di produzione). Nelgrafico inferiore, dunque, F e G sono ognuno sulla )83; tranne che per questi due punti,anche la &83F e la &83G sono interna alla )83.

Il punto D, sulla curva di trasformazione tra il prodotto massimo di < e il punto E, èinvece tale che 707���706R lungo l'intera curva dei contratti: non esiste pertanto un puntoD che rappresenti con D un equilibrio pienamente Pareto-efficiente. Ne consegue che nelgrafico inferiore la &83D (non illustrata) è interamente interna alla )83. Il punto I, sullacurva di trasformazione tra il prodotto massimo di ; e il punto H, è ovviamente analogo. Infatti 707�!�706R lungo l'intera curva dei contratti: non esiste pertanto un punto I cherappresenti con I un equilibrio pienamente Pareto-efficiente. Nel grafico inferiore anche la&83I (non illustrata) è dunque interamente interna alla )83.

Torniamo adesso al grafico superiore. L'intera )83 corrisponde ovviamente al luogodei punti pienamente Pareto-efficienti: E , H , e tutti i punti intermedi costruiti come F e G . Notiamo che anche questa curva è convessa dall'alto: come il punto di produzione si spostatra E e H lungo la curva di trasformazione i punti di consumo si spostano da una curva deicontratti all'altra, e si avvicinano a 2; ma si spostano anche su raggi da 2 sempre più ripidi,appunto perchè corrispondono a 706R sempre più alti per rimanere uguali al 707 semprecrescente.

6.c.4. aspetti dell'equilibrioNotiamo cinque aspetti dell'equilibrio concorrenziale.Primo, il mercato concorrenziale adatta la produzione alla domanda, ossia ai gusti

mediati dalla ricchezza. Abbiamo studiato per comodità un esempio con preferenzeomotetiche ma diverse; conclusioni simili si raggiungono ipotizzando più realisticamentepreferenze simili ma non omotetiche. Come abbiamo visto, infatti, le elasticità al redditosono lungi dall'essere tutte sempre unitarie, e si distinguono facilmente, nella realtà, i beni dilusso, quelli di prima necessità, e la fascia intermedia. Nella realtà, dunque, la produzione si

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adatta più che altro alla VWUXWWXUD della ricchezza e dei redditi: un'economia adattata ad unadistribuzione molto differenziata produce pane per i poveri e caviale per i ricchi, un'economiaadattata ad una distribuzione poco differenziata produce pollo per tutti.

Secondo, il mercato concorrenziale massimizza il prodotto complessivo ("il 3,/") aiprezzi di mercato. Nell'equilibrio pienamente concorrenziale ("sulla )83"), infatti, il 707 alpunto di produzione è uguale al 706R, come per ipotesi nel punto ( della Figura 6.c.4.1; il707 è dunque uguale al rapporto dei prezzi dei beni, �3;�3<�. Nello spazio dei beni, però,una retta con pendenza negativa pari a �3;�3<� corrisponde ad una somma costante dei beniponderati con i loro prezzi: 5� � 3;;� �� 3<<. La curva di trasformazione vincola leproduzioni possibili; le rette con pendenza pari a ��3;�3<� indicano somme costanti dei valoridei beni, ai prezzi vigenti; la tangenza tra la curva di trasformazione e la retta di iso-valore nelpunto di produzione di equilibrio concorrenziale complessivamente Pareto-efficientecorrisponde dunque alla massimizzazione di 5� �3;;���3<<.

Terzo, una volta definita la )83 l'analisi dell'ottimizzazione sociale ricalcaesattamente quella già svolta nel contesto di puro scambio, con la &83 data direttamente daibeni a disposizione. La Figura 6.c.4.2, in particolare, riprende la Figura 4.b.3.1, estendendolaper tener conto della produzione. Il primo grafico, nello spazio delle utilità, indica la )83,alcune curve di indifferenza sociale (ossia di pari )�8$�8%�), il punto 0 di benessere socialemassimo, ovviamente sulla )83, e la &830 corrispondente. Il secondo grafico, nello spaziodei beni, riprende in forma semplificata il grafico superiore della Figura 6.b.3.4: con la )83sono compatibili i punti di produzione sul segmento della curva di trasformazione tra D e E, ealla stessa )83 corrispondono i punti di consumo a questi associati, sulla tratteggiata tra 2 eE. Immaginiamo che al punto 0 sulla )83 e la &830 nel primo grafico corrisponda nelsecondo il punto 0, sulla )83 e sulla curva dei contratti definita per il punto di produzione0; i beni messi a disposizione dalla produzione socialmente (e non solo Pareto-) ottimalesono dunque ; e <. In questo spazio dei beni si possono definire gli anelli di iso-), come siè fatto nella Figura 4.b.3.1. L'unico grafico aggiuntivo, nella Figura nuova, è il terzo, nellospazio dei fattori: al punto di produzione 0 sulla curva di trasformazione nello spazio deibeni corrisponde ovviamente un punto 0� sulla curva dei contratti nello spazio dei fattori, peril quale passano gli isoquanti corrisponenti a ; e <.

Quarto, come nell'economia di puro scambio, così anche nell'economia di produzioneil punto di massimo benessere sociale si può ottenere da una serie di allocazioni iniziali. Immaginiamo per semplificare l'esposizione che le preferenze siano omotetiche e identiche, eche il massimo benessere complessivo si ottenga quando i consumi di $ sono tripli di quellidi %. Questo equilibrio richiede 5$� �3;;$���3<<$� ��5%� ���3;;%���3<<%�. D'altra parte,5$� �U.$���Z/$, 5%� �U.%���Z/%, e 5$���5%� �U.���Z/� �3;;���3<<� �3,/. Un modo diraggiungere l'equilibrio desiderato, anche senza conoscere i prezzi di equilibrio, è ovviamentequella di rendere $ proprietario di tre quarti di ognuno dei fattori di produzione; ma vannobene anche tutte le altre allocazioni della proprietà tali che, ai prezzi di equilibrio dei fattori,5$� � �5%. Se ad esempio in equilibrio U.� � ������ Z/� � ����, si potrebbe rendere $proprietario dell'intero capitale e di un terzo del lavoro.

Quinto, e di nuovo come nell'economia di puro scambio, in un economia diproduzione l'equilibrio concorrenziale non necessariamente esiste. Esiste sicuramente sesono "normali" le funzioni in base alle quali gli operatori decidono, ossia le funzioni di utilitàda un lato, come abbiamo già visto (4.a.6), e le funzioni di produzione dall'altro. Se gliisoquanti non sono convessi dal basso, come le curve di indifferenza, può non essereraggiungibile la curva dei contratti nello spazio dei fattori; se poi i rendimenti di scala sonosempre crescenti, come pensava Marx, l'impresa più grande avrà un vantaggio di costo che laporterà a sconfiggere i concorrenti e diventare un monopolio.

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6.c.5. i mutamenti degli equilibriDiamo un’ultimo sguardo al nesso tra distribuzione della ricchezza (proprietà dei

fattori), gusti, produzione, e prezzi dei fattori. Abbiamo appena visto che dati gusti diversi laproduzione Pareto-efficiente varia con la distribuzione del reddito. Ipotizziamo unaredistribuzione del reddito ottenuta spostando proprietà da %, che ama vino, a $, che amagrano; ne consegue un aumento di produzione del grano, e un calo di produzione di vino,ottenuti con uno spostamento di fattori dal vino al grano. Se la produzione di vino è intensivain lavoro, e quella di grano in terra, lo spostamento di fattori e il mutamento della produzionecomportano un mutamento nella remunerazione dei fattori, a scapito del lavoro e a vantaggiodella terra.

Ora se $ è proprietario della terra, e % del lavoro, questo mutamento dei prezzi deifattori indotto dallo spostamento di ricchezza e dunque di reddito causa un'ulteriorespostamento di reddito (con la data distribuzione della proprietà) che rafforza il primo, e viadi seguito; se invece $ è proprietario del lavoro e % della terra si otterrà uno spostamento direddito indotto che limita quello iniziale. La distribuzione del reddito sarà pertanto piùstabile dove le preferenze e le proprietà si incrociano, e tenderà invece ad esasperarsi doveognuno preferisce il prodotto intensivo nel proprio fattore.

Sembra che lo sviluppo dell'Occidente abbia avuto un effetto trainante, sul terzomondo, maggiore nell'Ottocento che non in tempi più recenti: forse appunto perchènell'Ottocento l'Occidente ricco richedeva le risorse del terzo mondo (minerali, fibre tessili,legni...), mentre oggi l'Occidente ricco richiede piuttosto le risorse proprie (informatica,servizi finanziari...).

6.d. l'allocazione delle risorse

6.d.1. gli elementi dell'analisiRiconsideriamo adesso l'equilibrio generale come un problema di allocazione delle

risorse (i fattori di produzione). Non cambiano le conclusioni già acquisite, ma si ottengonodue risultati utili. Primo, si generalizza il modello quanto basta per eliminare l'apparenza checi possano esserci equilibri efficienti con "poteri di monopolio simili" in vari mercati,apparenza che sopravvive al modello semplificato esaminato nelle pagine precedenti. Secondo, si rende esplicita con la logica del marginalismo la catena di valutazioni chepartendo dai consumatori risale attraverso i vari mercati e le varie trasformazioni dei prodottiai fattori di produzione. Si evidenzia così la natura della valutazione economica, dell'offertacome domanda alternativa, e dell'intero sistema dei prezzi come trasmettitore di informazioni.

Dal punto di vista dell'allocazione delle risorse, si raggiunge un ottimo paretianocomplessivo se, per ogni risorsa considerata a parte, ogni unità rende la stessa utilitàmarginale monetizzata, ossia lo stesso prezzo di domanda finale, in ogni uso. Si deve cioèottenere al margine lo stesso valore in dollari, per il consumatore finale, per ogni ora dilavoro, che il lavoro sia usato per produrre cibo o per produrre cinema; e lo stesso valore indollari, per il consumatore finale, per ogni tonnellata di carbone, che il carbone sia usato perprodurre elettricità o per produrre acciaio; e così via. In questo modo ogni diritto d'uso èacquisito da chi lo valuta di più; se così non fosse si potrebbe aumentare il benessere di tuttitrasferendo un'unità di risorsa (un diritto d'uso) da dove vale di meno a dove vale di più, conla dovuta compensazione.

Per raggiungere un ottimo sociale, l'equivalenza marginale deve stabilirsi non solo trai benefici privati (i prezzi di domanda), ma tra i benefici sociali. Si deve cioè ottenere al

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margine lo stesso beneficio sociale per ogni ora di lavoro, che il lavoro sia usato per produrrecibo o per produrre cinema; e lo stesso beneficio sociale per ogni tonnellata di carbone, che ilcarbone sia usato per produrre elettricità o per produrre acciaio; e così via. Come giàsappiamo "il mercato" può portare all'efficienza paretiana per qualsiasi distribuzione dellaricchezza, ma all'ottimo sociale solo se la distribuzione della ricchezza è "giusta" (nei duesensi della parola, quello etico e quello strumentale).

Che sia "giusta" o meno la distribuzione della ricchezza, l'equivalenza o meno deibenefici marginali privati per unità di risorsa dipende ovviamente dagli equilibri deglioperatori nei diversi mercati, di cui ricordiamo gli elementi, ricalibrandoli nel caso perriportare l'unità di misura all'unità di risorsa.

Incominciamo dai proprietari delle risorse 5. Per questi, che sono i venditori neimercati delle risorse, la condizione di equilibrio è 0%5Y� �0&5Y, misurati ambedue in dollariper unità di risorsa (per ipotesi, un'ora di servizio). Il beneficio marginale 0%5Y corrispondeal reddito marginale dalla vendita di un'unità di risorsa: 0%5Y� �35� �� �G35�G5�5, per cui0%5Y� � 35 per gli operatori concorrenziali e 0%5Y� �� 35, perchè �G35�G5�� �� �, per glioperatori con potere di mercato (monopolio semplice di vendita). Il costo marginale 0&5Y

corrisponde a sua volta al prezzo di offerta della risorsa. Riconosciamo adesso, superandouna delle semplificazioni precedenti, che si concreta in modo diverso a seconda che si tratti dilavoro (umano) o di altri fattori. Per il lavoro, infatti, 0&5Y è un'utilità marginalemonetizzata, come per i beni di consumo, perchè il tempo è appunto un bene di consumo; ladimensione del prezzo di offerta è dunque �XWLOLWj�RUD�����XWLOLWj�� ����RUD�. Per i fattori nonumani, come ad esempio la terra, 0&5Y è semplicemente zero fino alla quantità disponibile, epoi indefinito (nel grafico, la curva di offerta è verticale); questo implica come sappiamo cheil monopolio dei fattori di produzione inanimati incide sul loro impiego solo se la domanda èanelastica.

Passiamo adesso alle imprese, che acquistano le risorse 5 e vendono i beni 4. Perl'impresa come compratrice delle risorse la condizione di equilibrio è ovviamente 0%5F� 0&5F, misurati ambedue in dollari per unità di risorsa. Il costo marginale 0&5F corrispondeal costo marginale per l'impresa dell'acquisto di un'unità di risorsa: 0&5F� �35����G35�G5�5,per cui 0&5F� �35 per gli operatori concorrenziali come compratori di risorse e 0&5F�!�35,perchè (G35�G5�� !� �, per gli operatori con potere di mercato (monopolio semplice diacquisto). Il beneficio marginale 0%5F, che è il prezzo di domanda, corrisponde a sua volta alreddito marginale derivante dall'acquisto di un'unità di risorsa, ossia dalla vendita delprodotto marginale della risorsa: 0%5F� �054035. Nel caso ad esempio dell'impresa cheproduce mele, la dimensione del beneficio marginale ottenuto dall'unità di risorsa è ���PHOD��PHOH�RUD�� ����RUD�. Ricordiamo che il reddito marginale per unità (venduta) di prodotto è054� �34����G34�G4�4, con �G34�G4����� per le imprese con potere di monopolio semplicedi vendita, e �G34�G4�� � � per le imprese concorrenziali nel mercato del prodotto; neconsegue che 0%5F� �34035 per le imprese concorrenziali nella vendita dei beni e 0%5F��34035, perchè �G34�G4�����, per gli operatori con potere di mercato (monopolio semplice)nella vendita del prodotto. Ricordiamo pure che un'impresa può avere potere di monopoliosia come acquirente di risorse che come venditrice di prodotti, e che questo è anzi un casonormale, in presenza di fattori specializzati: il monopolio di vendita di tessuti di cotone èautomaticamente monopolio di acquisto di filo di cotone e vice versa, e un'assenza di poteredi mercato si verifica allora solo con curve di domanda o di offerta perfettamente elastiche.

Arriviamo infine ai consumatori finali dei beni 4. Per questi compratori lacondizione di equilibrio naturale è 0%4F� � 0&4F. Ipotizzando sempre che il bene inquestione sia una mela, l'utilità marginale monetizzata (il prezzo di domanda) 0%4F hadimensione �XWLOLWj�PHOD�����XWLOLWj�� ����PHOD�; il costo marginale 0&4F è l'aumento di spesa

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dovuto all’acquisto di una mela aggiuntiva, con dimensione ���PHOD�. Ricordiamo che 0&4F

�34� �� �G34�G4�4, per cui 0&4F� � 34 se il compratore è concorrenziale, e 0&4F� !� 34,perchè �G34�G4��!��, se il compratore ha potere di mercato (monopolio semplice di acquisto). Per analizzare le valutazioni finali dei servizi dei fattori, consideriamo come unità non lasingola mela, ma il numero di mele prodotte al margine da un unità di risorsa, e scriviamodunque 0%4F035� � 0&4F035, con 0&4F035� � 34035 se il compratore del bene èconcorrenziale e 0&4F035� !� 34035 se il compratore del bene ha potere di mercato; ladimensione di questi valori marginali è ���PHOD�� �PHOH�RUD�� � ���RUD�. Notiamo che0%4F035 è esattamente l'utilità marginale monetizzata prodotta per il consumatore finale daun'unità della risorsa usata per produrre il bene consumato: è il prezzo di domanda perun'unità di risorsa non dell'impresa, ma del consumatore finale.

6.d.2. la trasmissione delle valutazioniPer capire il funzionamento del sistema dei prezzi, i vari equilibri di cui sopra vanno

considerati insieme; la relazione tra il prezzo di offerta dell'unità di risorsa 0&5Y e il prezzodi domanda del consumatore finale 0%4F035 dipende infatti dalla struttura dei mercati.

Riassumendo, si considerano i rapporti tra le seguenti variabili, tutte in ���RUD�:

0&5Y�����0%5Y�����35�����0&5F�����0%5F�����34035�����0&4F035�����0%4F035

�����0&5Y� �0%5Y per l'equilibrio del venditore della risorsa.�����0%5Y� �35 se il venditore della risorsa è concorrenziale; 0%5Y���35 se il venditore della risorsa ha potere di monopolio.�����35� �0&5F se il compratore della risorsa è concorrenziale; 35���0&5F se il compratore della risorsa ha potere di monopolio.���� �0&5F� �0%5F per l'equilibrio del compratore della risorsa, che è il venditore del beneprodotto dalla risorsa.�����0%5F� �34035 se il venditore del bene prodotto dalla risorsa è concorrenziale; 0%5F���34035 se il venditore del bene prodotto dalla risorsa ha potere di monopolio.�����34035� �0&4F035 se il compratore del bene prodotto dalla risorsa è concorrenziale; 34035� �� 0&4F035 se il compratore del bene prodotto dalla risorsa ha potere dimonopolio.�����0&4F035� �0%4F035 per l'equilibrio del compratore del bene prodotto dalla risorsa.

Ricordiamo per inciso che il monopolio semplice in ��� non è compatibile con ilmonopolio semplice in ���, e che il monopolio semplice in ��� non è compatibile con ilmonopolio semplice in ���.

Riassumendo il riassunto, si nota che 0&5Y� � 35� � 34035� �0%4F035 se tutti imercati sono concorrenziali: gli estremi della catena sono uguali se tutti i segni intermedisono delle uguaglianze. In questo caso, i prezzi (dei beni che sono i prodotti marginali dellerisorse, e delle stesse risorse) comunicano ai fornitori di risorse la valutazione effettiva deiconsumatori. In caso di monopolio (semplice), da qualsiasi parte e a qualsiasi livello, 0&5Y��0%4F035: il potere di mercato porta sempre ad una GLPLQX]LRQH dell'attività, e a una "perditadi segnale" dai consumatori finali ai produttori ultimi. Si ritorna allo sdegno di Simons, e allavisione del monopolista come agente disonesto, che comunica al venditore un prezzo minoredi quello effettivamente offerto dal compratore.

Se tutti i mercati sono concorrenziali, poi, e dunque tutti i segni nella catena sonodelle uguaglianze, gli elementi estremi saranno uguali a prescindere dalla lunghezza dellacatena stessa. Possiamo dunque superare un'altra delle semplificazioni precedenti, eabbandonare l'ipotesi che un'unica impresa occupi l'intero spazio produttivo tra le risorse e il

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bene finale. Immaginiamo che l’impresa che compra la risorsa produca non il bene finale 4ma un bene intermedio *; con mercati concorrenziali si complica la catena ma non ilconcetto. Ipotizziamo un mercato pienamente concorrenziale per la risorsa 5, per cui, comesopra, 0&5Y� � 0%5Y� � 35� � 0&5F� � 0%5F. Se l’impresa che compra 5 e vende * èconcorrenziale nella vendita di *, 0%5F� �3*035; se l'impresa che compra * e vende 4 èconcorrenziale nell'acquisto di *, 3*� �0&*F e dunque 3*035� �0&*F035; per l'equilibriodi questa seconda impresa 0&*F� �0%*F� � 05403*, per cui 0&*F035� � 0%*F035� 05403*035; se questa seconda impresa è concorrenziale nella vendita di 4, allora 054� 34 e dunque 05403*035� � 3403*035; se il consumatore finale compratore di 4 èconcorrenziale, 34� �0&4F, e dunque 3403*035� �0&4F03*035; e per l'equilibrio delconsumatore finale 0&4F� �0%4F, e dunque 0&403*035� �0%4F03*035, per cui alla finecon un passaggio aggiuntivo si ritrova 0&5Y� �0%4F03*035, e il prezzo di offerta dellarisorsa è uguale al prezzo di domanda da parte del consumatore finale. Con il passaggiounico dalla risorsa al bene finale, diciamo dal lavoro alla mela, il prezzo di domanda finaleper il prodotto del lavoro era l'utilità marginale monetizzata legata ad esempio alle quattromele prodotte al margine in un'ora di lavoro; con il doppio passaggio, diciamo dal lavoro allamela e dalla mela al sidro, il prezzo di domanda finale per il prodotto del lavoro è l'utilitàmarginale monetizzata legata ad eseempio al mezzo litro di sidro prodotto al margine dallequattro mele prodotte al margine in un'ora di lavoro. La dimensione è sempre ���RUD�: in uncaso risulta semplificando ���XWLOLWj���XWLOLWj�PHOD���PHOH�RUD�, nell'altro risulta semplificando���XWLOLWj���XWLOLWj�VLGUR���VLGUR�PHOD���PHOH�RUD�.

Notiamo che il grado di specializzazione lungo una filiera merceologica è indifferentesolo con la concorrenza. In presenza di monopoli, invece, la moltiplicazione dei beniintermedi può portare alla moltiplicazione dei monopoli d'impresa. In tal caso le restrizionidovute a questi si cumulano, come i dazi sul Reno richiamati nel contesto del modello diCournot, e con la stessa conseguenza: si riduce l'attività più di quanto non la ridurrebbe unmonopolio unico, con una riduzione dei profitti di monopolio complessivi, e si incentivapertanto la fusione dei diversi monopoli. Non a caso le economie altamente monopolizzategenerano anche imprese YHUWLFDOPHQWH� LQWHJUDWH, ossia che uniscono trasformazionisuccessive normalmente gestite da industrie diverse (come la Ford di un tempo, chepossedeva le proprie accaierie).

6.d.3. l'allocazione delle risorse e l'equilibrio generaleRitorniamo per il momento all'ipotesi che i beni prodotti siano tutti finali, per

esplicitare il sistema di equilibri per una risorsa 5 usata per produrre beni molteplici, peripotesi ;, <, e =. Usando una riga per ognuno di questi beni, si può generalizzare come seguela catena di cui sopra:

>;@���������������������������0&5F�����0%5F�����34035�����0&4F035�����0%4F035><@��0&5Y�����0%5Y�����35�����0&5F�����0%5F�����34035�����0&4F035�����0%4F035>=@���������������������?�����0&5F�����0%5F�����34035�����0&4F035�����0%4F035

Come sopra, se (e solo se) tutti i mercati sono concorrenziali, tutti i simbolirappresentati dai numeri sono delle uguaglianze, e vengono dunque resi uguali i beneficimarginali finali 0%4F035 della risorsa in tutti i suoi usi. Se questa uguaglianza si verificaseparatamente per tutti le risorse, l'economia in questione è complessivamente Pareto-efficiente, e l'equilibrio è sulla )83.

Nel caso di risorse non umane, la catena di cui sopra può incominciare direttamenteda 35, perchè il prezzo di offerta non è definito. Per tali rsiorse è ovvio che con mercati

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concorrenziali il prezzo di offerta per il prodotto ; (nella quantità data da 035) altro non èche il prezzo di domanda per il prodotto alternativo < o = (sempre nelle quantità date dairispettivi 035): con mercati concorrenzial, "la curva di offerta è una curva di domandaalternativa". Questo vale peraltro anche per il lavoro, in quanto il prezzo di offerta 0&5Y è ilprezzo di domanda per l'attività alternativa (ozio).

In caso di monopolio in ��� o ���, e/o in ��� o ���, il segno "uguale" diventa "meno di". Se si introduce un monopolio, ad esempio di vendita di ; e dunque in ;���, si passa da 05; �3; a 05;���3;, con una riduzione di 05; e un aumento di 3;. L'aumento di 3; trascinacon se, in aumento, tutte le varibili riferite a ;, nella prima riga, a destra di ���, e dunque ilcorrispondente beneficio marginale finale 0%4F035; si riducono invece, con 05;, levariabili riferite a ; a sinistra di ���, nella prima riga, e tutte le variabili delle altre righe (cherimangono legate a queste dai segni di uguaglianza), compresi i rispettivi 0%4F035. Imovimenti relativi di 3; (e variabili collegate) da un lato e 05; (e variabili collegate)dall'altro dipende ovviamente dalle elasticità di domanda e di offerta; se le risorse non sonospecializzate sarà tipicamente maggiore l'effetto diretto sul bene monopolizzato, e limitato,proprio perchè diffuso, l'effetto sugli altri beni.

Ritroviamo comunque un risultato già noto: che l'introduzione di un monopolio divendita di un bene aumenta l'offerta degli altri beni prodotti con le stesse risorse (Figura6.c.2.2). Lo stesso vale ovviamente per un monopolio d'acquisto da parte di un impresa, in���, o da parte di un consumatore, in ���; e con le dovute qualificazioni vale anche per imonopoli di vendita dei fattori, in ���, in quanto un monopolio di vendita di lavoro aumental'offerta di ozio, e il monopolio di vendita dell'uso della terra coltivabile attribuito ai Grandidi Spagna aumenterebbe l'offerta delle riserve di caccia. Il punto essenziale è che l'equilibrioeconomico è sempre un equilibrio generale, che si comporta, se si vuole, come un palloncinogonfiato: se lo si stringe da una parte, si espande tutto il resto. Le funzioni di domanda e diofferta sono interdipendenti, e gli equilibri concorrenziali da esse generati nei singoli mercatisono compatibili con la Pareto-efficienza complessiva solo se le stesse curve di domanda e diofferta riflettono la concorrenza in tutti i mercati.

Risalta pure l'errore dell'idea che per ottimizzare ad esempio il paniere prodotto bastaun potere di mercato uguale (anche se non zero) nella produzione di tutti i beni. Questorisultato si ottiene infatti solo se tutte le catene di cui sopra sono di uguale lunghezza; ma nonlo sono, ad esempio perchè le mele si consumano come mele e come sidro, e non lo possonoessere se uno dei beni prodotti dal (non) lavoro è il tempo libero. Al massimo, infatti, i"monopoli simili" mantengono l'uguaglianza nella colonna di destra, dei benefici marginaliottenuti da un'ora di tempo dedicata alla produzione di beni materiali; ma si perde comunquel'uguaglianza tra questi e la colonna di sinistra, che essendo il costo del lavoro per lo stessolavoratore è anche il beneficio marginale di un'ora di tempo dedicato all'ozio, e alla fine lascarsità fittizia dei beni porta a consumare troppo ozio e troppi pochi beni.

6.d.4. l'allocazione delle risorse e l'ottimo socialeRiprendiamo, sopprimendo alcuni passaggi intermedi ma aggiungendo i benefici

marginali sociali, la catena di cui sopra:

>;@�����������������������������������34035�����0%4F035 06%� ��G)�G5�><@��06%� ��G)�G5�����0&5Y�����35�����34035�����0%4F035 06%� ��G)�G5�>=@�����������������������������?�����34035�����0%4F035 06%� ��G)�G5�

Per raggiungere l'efficienza paretiana complessiva, ossia un equilibrio sulla )83,devono essere uguali, risorsa per risorsa, i benefici marginali finali privati ottenuti dai diversi

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usi della risorsa, ossia i diversi 0%4F035, e, per il lavoro, 0&5Y. Per raggiungere l’ottimosociale, che massimizza )�8$�8%�, devono essere uguali, risorsa per risorsa, i beneficimarginali sociali ("marginal social benefits") 06%� � �G)�G5� ottenuti dai diversi usi dellarisorsa: quelli a destra, per le risorse usate per produrre beni, e pure quello a sinistra, nel casodel (non) lavoro che produce ozio: il latte non deve insomma andare al gatto se dovrebbeinvece andare al bambino.

Di fatto, considerando il tempo libero come un bene per non farne un caso a parte, lerisorse producono benessere sociale producendo beni che producono utilità che produconobenessere sociale: 06%� � �G)�G5�� � �G)�G8�� �G8�G4�� �G4�G5�. La dimensione di questibenefici marginali sociali, chiamando I l'unità di benessere sociale, è �I�RUD�, ottenutasemplificando �I�XWLOLWj�� �XWLOLWj�EHQH�� �EHQH�RUD�; quella dei benefici marginali privati, loricordiamo, è ���RUD�, ottenuta semplificando ���XWLOLWj�� �XWLOLWj�EHQH�� �EHQH�RUD�. Visti glielementi comuni a queste due espressioni, è ovvio che all'uguaglianza in ���RUD� corrispondel'uguaglianza in �I�RUD� se la ponderazione privata di �XWLOLWj�EHQH���EHQH�RUD�, con ���XWLOLWj�,corrisponde a quella sociale, con �I�XWLOLWj�.

La distribuzione "giusta" della ricchezza e dunque del reddito è quella che assicuratale corrispondenza, e porta l'equilibrio concorrenziale al punto della )83 socialmenteottimale. In questo caso, e solo in questo caso, ai benefici privati monetizzati più alticorrispondono i benefici sociali più alti; in questo caso, e solo in questo caso, il mercatoconcorrenziale funziona effettivamente come una "mano invisibile" che porta gli individuiche cercano solo il benessere privato ad un equilibrio che raggiunge non solo l'efficienzaparetiana, che malgrado la retorica fuorviante dell'economia borghese non è un obiettivo inquanto tale, ma il massimo benessere sociale. Se invece la distribuzione della ricchezza non èquella "giusta", il mercato concorrenziale "giustamente" convoglia il latte al gatto dellasignora ricca, e ne priva il bambino della madre povera.

Da questa analisi molto semplice, che immagina implicitamente un sistema completodi mercati (e non solo), si stabiliscono i primi limiti al liberismo a oltranza. Lo statonullafacente è infatti ottimale solo se i mercati sono naturalmente concorrenziali, e ladistribuzione della ricchezza naturalmente "giusta"; altrimenti lo stato ha come compitominimo quello di assicurare la concorrenza da un lato, e la giustizia della distribuzione dellaricchezza dall'altro.

Si ritrovano così con le dovute precisazioni le grandi intuizioni dell'economia politica: che come aveva intuito Smith solo il mercato concorrenziale può guidare i privati come unabenefica "mano invisibile"; che come aveva intuito Hayek i prezzi generati dal mercatoconcorrenziale sono VHJQDOL corretti, che contengono le informazioni che dovrebbe altrimentiacquisire un pianificatore benevolo; e che dunque il mercato concorrenziale è uno strumentoefficace per raggiungere obiettivi sociali, che è appunto il filo conduttore dell'analisieconomica dai fisiocrati ai socialisti di mercato.

Spetta ai marginalisti, di fine Ottocento e politicamente di destra, il merito di avercapito fino in fondo come funziona un'economia di mercato; ma è di Pigou, e dei socialisti dimercato politicamente di sinistra anche se pochi e isolati, il merito di aver capito che ilmercato si limita a generare la remunerazione dei fattori di produzione di proprietàindividuale e dunque la distribuzione del reddito data la distribuzione della proprietà. Lastessa distribuzione della proprietà, anche se ampiamente modificabile dalla fortuna nellaspeculazione, sulla quale torneremo, è logicamente un SULXV rispetto al mercato; e èdeterminata in prima istanza dalle scelte sociali in materia di eredità e di scolarità, chedeterminano la trasmissione da una generazione all'altra del capitale fisico e umano.6.e. i modelli ricardiani

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6.e.1. la crescitaRitorniamo adesso ai modelli di Ricardo (presentati al punto 1.d.3, che per evitare

ripetizioni si chiede di rileggere). Interpretiamo i modelli con gli strumenti da noi acquisiti, edunque con il linguaggio del marginalismo ovviamente ignoto a Ricardo stesso.

Iniziamo dal modello della crescita. Per chiarirne la logica, riduciamo i fattori diproduzione a due: il lavoro, e la terra, che appartiene all’aristocrazia. L’economia contienedue settori: uno, agricolo, produce il bene di sussistenza ("il grano"), l’altro, non agricolo,produce il bene di lusso. I lavoratori ricevono il salario reale di equilibrio, uguale nei duesettori; consumano solo il bene di sussistenza, per cui il salario reale si misura direttamente intale bene, ed è pari al prodotto marginale del lavoro nel settore agricolo. L'aristocrazia ricevela rendita della terra; consuma solo il bene di lusso (in sostanza perchè è una classe talmenteesigua che il suo consumo di "grano" è trascurabile), per cui il bene di sussistenza èconsumato solo dai lavoratori. La terra, usata solo dal settore agricolo, è disponibile inquantità fissa; il lavoro è una risorsa data in qualsiasi momento ma variabile nel tempo. Se isalari sono alti, la popolazione ben nutrita resiste meglio alle malattie, e cresce; se i salarisono bassi, la gente muore di malattia se non di fame, e la popolazione cala. Il salario criticoche mantiene stabile la popolazione e dunque il numero dei lavoratori è il salario "disussistenza".

Il primo grafico della Figura 6.e.1.1 illustra lo "stato stazionario", ossia l'equilibrio(anche demografico) di lungo periodo cui tende tale economia. Sugli assi si trovano ilprodotto complessivo del bene di sussistenza 46, e il lavoro /. Il prodotto 46 dipendeovviamente dalla terra (data) e dal lavoro presente nel settore agricolo, /6; il lavoro è soggettoa rendimenti marginali decrescenti, per cui la pendenza della funzione 46�/6� diminuisce secresce /6. Il salario di sussistenza è pari a V; nello stato stazionario la popolazione è costante,per cui necessariamente il salario di mercato Z� � 03/6� � ZH� � V, e altrettantonecessariamente il lavoro agricolo /6 è pari a /6H, ossia al numero che (con la terra e latecnologia del caso) genera appunto quel salario. Con /6� �/6H, 46� �46�, che con Z� � Vremunera e mantiene una forza lavoro complessiva pari a /7H� �46��ZH� �46��V. In terminireali (quintali di grano), 4V� è il monte salari di equilibrio; di questo, 46�� �ZH/6H� �V/6H è laremunerazione (e sussistenza necessaria) dei lavoratori agricoli, e �46����46��� �ZH�/7H���/6H� �V�/7H� ��/6H� è la rendita che è a sua volta la remunerazione (e sussistenza necessaria) deilavoratori del settore non agricolo.

Notiamo che la variabile demografica è di fatto /7, che in equilibrio si divide in /6 e�/7� �� /6� in modo da generare un salario uguale nei due settori, ossia la condizione �46� �03/6/6���/7���/6�� �03/6. Il numeratore del rapporto è la rendita, ossia il prodotto agricolocomplessivo meno il monte salari agricolo, pari a sua volta al prodotto marginale del lavoroagricolo per il numero di tali lavoratori; il denominatore è la forza lavoro non agricola; ilrapporto (la rendita per lavoratore non agricolo) è il salario non agricolo, che deve essereappunto uguale al salario agricolo, ossia il prodotto marginale di tale lavoro. Con /7� �/7H,ad esempio, tale equivalenza dei salari si verifica solo con /6� � /6H. Se infatti dato /7Havessimo /6���/6H, allora avremmo 46�/6����46�� �V/7H, e dunque un salario medio �46�/7���V; ma con /6���/6H il salario agricolo 03/6�!�03/6H� �V, per cui il salario agricolo sarebbesuperiore al salario medio e necessariamente superiore al salario non-agricolo. Neconseguirebbe uno spostamento della forza lavoro verso l'agricoltura, fino appunto araggiungere l'allocazione di equilibrio di /7H, con /6� �/6H.

Il secondo grafico della Figura illustra il caso di un'economia in crescita, appuntoperchè (con la stessa funzione di produzione e disponibilità di terra) /7� �/7F���/7H. Dato /7F,la forza lavoro agricola di equilibrio (di breve periodo, ossia del mercato del lavoro anche senon demografico) è /6F, da cui un salario di equilibrio pari a ZF� �03/6F�!�V, un monte salari

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agricoli pari a 46�� � ZF/6F, e una rendita (monte salari non agricoli) pari a �46�� �� 46��. L’economia cresce perche Z�!�V, ossia, se si vuole, perchè all'interno del settore agricolo larendita non assorbe tutto il surplus 46� �� V/6. Già qui, dunque, si può concludere che "lacrescita cessa quando la rendita assorbe l'intero surplus": che per continuare a crescerebisogna tenere basse le rendite agricole, permettendo ad esempio la libera importazione digrano.

Il modello ricardiano "della crescita" è peraltro utile anche in altri contesti. Peresempio, se si sostituisce al regime capitalista rappresentato dai nostri grafici un regimecomunista con remunerazioni uguali per tutti (magari con l'obbligo di lavorare tipico di taliregimi), o anche un regime di piccola proprietà universale (per cui ogni lavoratore cumula ilsuo reddito da lavoro e da proprietario), ognuno otterrà non il prodotto marginale del propriolavoro, ma il prodotto medio; e l'economia arriverà all'equilibrio �46��/0�, con unapopolazione maggiore di quella che potrebbe sostenere un regime capitalista. Evviva dunquel'uguaglianza ... solo che tale popolazione si mantiene solo perchè tutti lavorano i campi. Scomparsa l'aristocrazia che cumula le rendite per consumarle come beni di lusso, sparisce ilsettore non agricolo: e con esso l'arte, la cultura (vedi la battuta che in secoli di democraziacontadina la Svizzera non è andata oltre l'orologio a cucù).

Per fare un'altro esempio, si identifichi il settore non agricolo con il settore urbano-commerciale-manifatturiero, e si consideri un mondo di economie aperte al commerciointernazionale. Il grafico descrive l'equilibrio dell'economia mondiale, chiusa; all'interno delmondo un'economia aperta può avere un settore non agricolo più o meno sviluppato. Allimite il paese sottosviluppato, "periferia", ha solo l'agricoltura: la rendita viene esportatadall'aristocrazia in natura, per pagare beni di lusso importati, prodotti altrove. Il paesesviluppato, "centro", ha un settore non agricolo ipertrofizzato: riunisce al limite l'industria eil commercio del mondo intero, mantenendolo appunto con le rendite agricole importate innatura dal mondo intero.

6.e.2. il commercio esteroRicordiamo che la teoria classica del commercio estero è stata tutta tesa a dimostrare i

vantaggi del libero scambio.Smith giustificava il libero scambio colla dottrina detta dei vantaggi assoluti: se tra il

nostro paese e l'estero la produttività del lavoro varia tra settori in modo complementare,allora è ovvio che possiamo tutti consumare di più se ognuno si specializza in quel cheproduce meglio e poi lo scambia. Immaginiamo ad esempio che un pezzo di stoffa costi 3 oredi lavoro da noi e 4 ore all'estero, mentre una botte di vino costa 6 ore da noi e 4 all'estero, eche sia noi che loro disponiamo di 1200 ore di lavoro. In regime autarchico si possonoprodurre ad es. da noi 200 pezzi di stoffa (con 600 ore) e 100 botti (con 600 ore), e all'estero150 pezzi di stoffa (con 600 ore) e 150 botti di vino (con 600 ore), per un totale di 350 pezzidi stoffa e 250 botti di vino. Con la specializzazione e il commercio si possono produrre 400pezzi di stoffa da noi e 300 botti di vino all'estero, a vantaggio di tutti. L'intuizione di Smithera che limitando il commercio la politica commerciale mercantilista limitava laspecializzazione e dunque il benessere; ma la sua dimostrazione dei vantaggi del commercionon escludeva che potesse essere utile la protezione doganale contro un concorrente cheproducesse tutto a costi reali minori dei nostri.

Il buco nella difesa del libero scambio lasciato dallo Smith venne brillantementetappato dal Ricardo con la teoria detta dei vantaggi comparati. Ricardo dimostra infatti che ilcommercio ci avvantaggia anche se commerciamo con un paese più produttivo di noi in tutto. Basta infatti che il suo vantaggio di produttività su di noi vari tra settore e settore; allora seognuno si specializza dove il vantaggio relativo è maggiore, o lo svantaggio minore, il

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commercio è comunque vantaggioso. Immaginiamo che un pezzo di stoffa costi 10 ore dilavoro da noi e 4 ore all'estero, mentre una botte di vino costa 20 ore da noi e 4 all'estero, eche sia noi che loro disponiamo di 1200 ore di lavoro. In regime autarchico si possonoprodurre ad es. da noi 60 pezzi di stoffa (con 600 ore) e 30 botti (con 600 ore), e all'estero 150pezzi di stoffa (con 600 ore) e 150 botti di vino (con 600 ore), per un totale di 210 pezzi distoffa e 180 botti di vino. Con la specializzazione e il commercio si possono produrre 120pezzi di stoffa da noi e 100 pezzi di stoffa (con 400 ore) all'estero, per un totale di 220, e 200botti di vino (con 800 ore) all'estero, a vantaggio di tutti. Questa teoria è generale: siccomesi tratta solo di vantaggi FRPSDUDWL, nessuno può esserne sprovvisto (da cui tante battutefacili: perchè tale imbecille insegna all'università? per via dei vantaggi comparati [ossia faràmale quel mestiere, ma farebbe peggio qualsiasi altro]). Notiamo peraltro che Ricardodimostra di fatto il vantaggio del commercio in un mondo di risorse immobili: date leproduttività indicate il guadagno maggiore si ottiene infatti non con la specializzazione e ilcommercio ma con l'emigrazione, perchè se ci spostiamo tutti all'estero potremo produrre ades. 300 pezzi di stoffa e 300 botti di vino...

Con i nostri strumenti riconosciamo facilmente la logica del modello ricardiano. Lerisorse immobili dei due paesi definiscono due curve di trasformazione; l'ottimo paretianonella produzione complessiva (massimo vino per una data quantità di stoffa) esigeevidentemente un'equivalenza nei tassi marginali di sostituzione, che sono, nel casoipotizzato, i tassi marginali di trasformazione. Nel primo grafico della Figura 6.e.2.1troviamo, sovrapposte con assi comuni, le curve di trasformazione $$� e %%� di due paesi $e % produttori di stoffa 6 e vino 9, con equilibri autarchici D e E, con 707 diversi. Nelsecondo grafico troviamo la scatola costruita rovesciando il grafico riferito a % esovrapponendo i due punti di equilibrio. Le dimensioni della scatola indicano la produzionecomplessiva; è ovvio che la situazione non è Pareto-efficiente, perchè le due curve ditrasformazione si intersecano, e la scatola si può ingrandire fino a quando non sono tangenti. Contano solo i vantaggi comparati (i diversi 707) perchè la produttività assoluta noncompare proprio: i grafici non contengono infatti informazioni sulle risorse sottostanti lediverse curve di trasformazione, che possono essere poche con produttività alta come moltecon produttività bassa.

L'efficienza paretiana esige dunque l'uguaglianza dei 707; nella Figura 6.e.2.2 lacurva 00� è la curva di trasformazione complessiva, ottenuta come il luogo di 2% per lediverse tangenze fra $$� e %%�. Il punto 0 indica infatti la produzione massima di stoffa,con ambedue i paesi specializzati in questa, il punto 0� la produzione massima di vino, e lacurva fra i due i diversi massimi di un bene data la produzione dell'altro. Come al solito, ilmercato concorrenziale porta all'efficienza paretiana: Se i paesi si scambiano liberamente ibeni esisterà un unico prezzo relativo dei due beni, quello del "mercato mondiale", e i 707dei due paesi saranno uguali perchè in ognuno, in equilibrio, il 707 sarà uguale a quel prezzorelativo.

Abbiamo già detto che la conclusione che "il libero scambio giova a tutti" èfuorviante. Come si vede dalla Figura 6.e.2.3, l'uguaglianza dei 707 che vige nell'equilibriodi libero scambio (ad esempio con D e E) si ottiene solo con un cambiamento del paniereprodotto nei singoli paesi, rispetto agli equilibri autarchici (D e E) con 707 diversi; esappiamo che questo comporta a sua volta uno spostamento lungo al frontiera dei prezzi deifattori, con una perdita, in ciascun paese, per il fattore usato intensivamente (o solo) nellaproduzione del bene di cui si riduce appunto la produzione. E il Ricardo del modella dellacrescita questo lo sapeva…

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7. LA LOGICA E LA RETORICA: DALL’INTERVENTISMO AL NEOLIBERISMO

7.a. l’interventismo del dopoguerra

7.a.1. le basi dell’interventismoL'analisi di cui sopra indica, a livello logico, che a certe condizioni lo stato ottimale è

nullafacente. A livello retorico, questo risultato può essere presentato sia sottolineandone lapossibilità, e pertanto in chiave anti-interventista (come da parte dei fisiocrati del "laissezfaire"), sia invece calcandone l'improbabilità, e dunque in chiave interventista.

A metà Novecento, anche per il fallimento macroeconomico del non-intervento cheaveva portato alla Grande Depressione e con essa al nazismo e alla guerra, l'atteggiamentodegli economisti della scuola dominante (inglese e sempre più americana) era nettamenteinterventista. Accanto all'attivismo macroeconomico, stabilizzatore, si proponeva negli anniCinquanta e Sessanta un attivismo redistributivo e allocativo giustificato appunto dallapresunta mancanza delle condizioni per un ottimo di non-intervento.

Tutto questo, si noti bene, senza minimamente tener conto dei tanti argomenti con iquali si può comunque giustificare una limitazione dell'intervento pubblico; questi ultimisono stati elaborati dopo, come parte dell'ondata di reazione anti-interventista maturata daglianni Settanta. Nell'ottica del dopoguerra lo stato era considerato di fatto uno strumentoperfetto, gratuito, per cui ogni sia pur minima imperfezione del mercato giustificava unintervento correttivo.

Lo schema naturale per l'analisi dei problemi che possono esigere un interventopubblico è la catena delle valutazioni marginali considerata nel capitolo precedente, in quantoindica direttamente sia l'ubicazione del problema, sia i risvolti per i mercati collegati (darapporti di produzione). Ricordiamo che come evidenziato da tale schema l'ottimo paretiano("privato") si ottiene se per ogni risorsa sono uguali, per ogni unità di questa, i beneficimarginali privati (i prezzi di domanda finale 0%4F035, in dollari per ora di uso della risorsa)per ogni uso e compratore; l'ottimo sociale si raggiunge invece se sono uguali i beneficimarginali sociali (06%, in unità di benessere sociale per ora di uso della risorsa). Se percomodità misuriamo 06% in dollari "sociali", possiamo dire che gli ottimi corrispondonoall'uguaglianza dei benefici marginali misurati da un lato in dollari privati (ottimo paretiano),dall'altro in dollari sociali (ottimo sociale); l'efficienza paretiana massimizza pertanto ilprodotto in dollari privati ma non necessariamente in dollari sociali. In uno schemadomanda/offerta si possono pure distinguere varie curve, ossia la domanda/offerta di mercato,quella privata efficiente, quella sociale; il contenuto è equivalente a quello evidenziato dallanostra catena, ma l'analisi è meno trasparente.

L'interventismo considera ovviamente i contesti nei quali può mancarel'ugualizzazione sia degli benefici marginali privati, sia (indipendentemente) dei beneficimarginali sociali. Un modo di organizzare l'analisi è di considerare prima il valore normativodella domanda privata, e poi il funzionamento del mercato. Se il mercato funziona bene,infatti, si raggiunge l'uguaglianza dei benefici marginali privati; e se la domanda privata ha difatto valore normativo, l'uguaglianza dei benefici marginali privati comporta l'uguaglianza deibenefici marginali sociali.

7.a.2. il valore normativo della domanda privata: la distribuzione della ricchezzaPerchè sia ottimale il non-intervento, è ovviamente necessario che la domanda privata

sia "buona": infatti il mercato altro non può fare che adattare "bene" i risultati finali alladomanda privata. I problemi che possono sorgere a questo livello riguardano sia ladistribuzione della ricchezza, sia il valore normativo degli stessi gusti privati. Ritorniamo

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adesso per alcuni approfondimenti sul problema della distribuzione della ricchezza.Un primo aspetto riguarda OHTXLWj della distribuzione della ricchezza. Notiamo, in

merito, quattro punti. Il primo è che l'equità ha aspetti sia intragenerazionali cheintergenerazionali. E' noto il contrasto tra gli Stati Uniti e l'Europa: in America lesperequazioni del reddito sono molto più esasperate che non in Europa, ma il ricambiogenerazionale è molto maggiore che non in Europa (grazie anche alle scuole di élite, conborse di studio generose, che aprono a tutti le carriere brillanti).

Il secondo è che una società concorrenziale è necessariamente meritocratica: dove chinon copre i costi fallisce, e chi non assume i più bravi non copre i costi, nessuno si puòpermettere di dare un posto al figlio dell'amico piuttosto che al più bravo.

Il terzo è che la società meritocratica non è necessariamente equa. Nel dopoguerra gliintellettuali americani, in prevalenza di sinistra moderata, erano a favore della meritocrazia, econtro la ricchezza ereditata, "senza merito"; il solito acutissimo Friedman obiettò cheereditare particolari abilità era aleatorio e senza merito come ereditare particolari ricchezze, eche se la sinistra considerava legittima la prima lotteria non poteva coerentemente considerareillegittima la seconda. Il ragionamento calza, ma porta lontano. Non giustifica infatti comevorrebbe Friedman il capitalismo: se infatti accettiamo che l'equità è nella lotteria dellanascita, dove chiunque può nascere fortunato o sfortunato, allora è equa qualsiasi società: apriori, infatti, chiunque potrebbe nascere faraone, o schiavo del faraone. L'implicazionelogica è che l'equità non è nella lotteria, ma nei risultati della lotteria: è più equa la società incui è minore la posta in gioco, e sono più contenute le distanze tra fortunati e sfortunati.

Il quarto è che è sorprendentemente difficile definire "i poveri". Se si usa un metroassoluto (un certo reddito reale), con il progresso si finisce col chiamare "poveri"praticamente tutti nel secolo scorso, e nessuno nel secolo prossimo; se si usa un metrorelativo, come il 25 per cento meno ricco, nulla può ridurre il numero di poveri. L'UEdefinisce povere le famiglie con un reddito inferiore alla metà della media nazionale. Taledefinizione sembra ben trovata, perchè ammette la relatività della povertà pur lasciandovariare l'incidenza percentuale della stessa; di fatto è doppiamente imbecille, perchè l'altaproporzione di poveri nel Mezzogiorno scomparirebbe con l'indipendenza della Padania, eperchè registra più poveri quando tutti stanno meglio e meno poveri quando tutti stannopeggio (perchè il ciclo economico incide massimamente sui profitti, e dunque sui redditi piùalti).

Un secondo aspetto riguarda OLQWHUYHQWR� FRUUHWWLYR nel caso che la distribuzioneiniziale non sia "buona". In un'economia di puro scambio, ricordiamo, la ricchezza è definitadirettamente in beni di consumo, e coincide pertanto con il reddito disponibile. In uneconomia di produzione, invece, la ricchezza è definita come proprietà di fattori diproduzione, che a loro volta generano il reddito disponibile in funzione del loro prezzo diaffitto; e come aveva capito Clark, l'efficienza (paretiana) esige che le remunerazioni deifattori siano quelle concorrenziali. In tale contesto il noto "WUDGH�RII tra l'efficienza(paretiana) e l'equità" nasce dal tentativo di migliorare la distribuzione del UHGGLWR lasciandoferma la distribuzione della ULFFKH]]D (ossia i diritti di proprietà dei singoli nei vari fattori diproduzione), introducendo appunto distorsioni nei prezzi dei fattori (con i casi limite, super-inefficienti, dei regimi maoisti-castristi).

Non è ovviamente meno inefficiente il tentativo di migliorare la distribuzione delreddito reale lasciando ferma la distribuzione del reddito nominale, attraverso ad esempiol'IVA maggiorata sui beni di lusso. Questo sistema, oltre all'inefficienza dalla distorsione delsistema dei prezzi, colpisce in particolare i non ricchi con passioni particolari (la barca,l'aereo...).

Notiamo in merito che la soluzione corretta è quella di operare direttamente sulla

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distribuzione della ricchezza (come appunto in un’economia di puro scambio). Per quantoriguarda il capitale fisico e finanziario, le imposte correnti sulla ricchezza causano distorsioni,in quanto un'imposta dell'un per cento annuo sul capitale è identica ad un'imposta del ventiper cento sul reddito da capitale, se questo rende il cinque per cento. Si può però operareattraverso le imposte di successione, o meglio di eredità (in cui la progressività si applicaall'ammontare ricevuto, e non lasciato, dai singoli).

Per quanto riguarda invece il capitale umano, si può operare attraverso l'educazione,ossia modificando la capacità di guadagno (piuttosto che il guadagno stesso, a capacitàimmutata). Adesso, si noti bene, le scuole migliori sono tipicamente a disposizione dei piùricchi e dei più intelligenti, per cui l'educazione tende ad esasperare la disuguaglianza.

Le differenze di capacità di guadagno sono comunque difficili da eliminare; ma forseil problema della redistribuzione è meno drammatico di quanto non sembri. La condannadelle imposte che limitano i guadagni degli imprenditori capaci appunto di creare notevoliconcetrazioni di ricchezza scaturisce infatti dal modello canonico del consumatore, chesacrifica tempo libero per consumare più beni; da tale modello, anzi, si potrebbe concludereche per minimizzare il costo collettivo bisogna tassare di più il tempo poco produttivo di chiguadagna poco che non il tempo molto produttivo di chi guadagna molto.

Al modello canonico si possono però opporre due modelli alternativi. Uno è quellodella rivalità: Bill Gates è in gara con Ted Turner, e l'importante è vincere; la posta in giocosi può ridurre con le imposte senza modificare i comportamenti. L'altro è quello darwinianodell'incertezza e della fortuna: la grande ricchezza, come il fallimento della maggior partedelle nuove iniziative, è il risultato di circostanze impreviste e imprevedibili, per cui ha unacomponente enorme di rendita. In questo secondo modello l'imprenditore è uno che compraun biglietto della lotteria; dall'esperienza del Superenalotto notiamo l'elasticità della venditadi biglietti al premio, sicuramente fino ad un certo livello, ma forse non oltre (ossia il premioda mille miliardi non attira più persone del premio da cento miliardi).

Un terzo aspetto del problema riguarda il nesso tra distribuzione della ricchezza eSUHVHQ]D� VXO� PHUFDWR. Finora, abbiamo considerato il problema della distribuzione dellaricchezza tra i consumatori solo in modo generico; in modo più preciso, si distinguonoall'interno dell'insieme dei consumatori i nuclei familiari presenti (le unità che effettivamentesi esprimono sul mercato), i nuclei familiari futuri, e i singoli membri dei nuclei familiari. L'analisi svolta finora è riferita in sostanza ai primi, tra i quali si può effettivamente riallocarela ricchezza; e il problema è esaurito se lo stato è un associazione di famiglie, o meglio dipaterfamilias, come Roma antica.

Se lo stato è invece un'associazione più ampia, per cui il benessere sociale dipendeanche dall'utilità delle JHQHUD]LRQL� IXWXUH e/o dall'utilità dei GHEROL all'interno dei nucleifamiliari, il problema si complica: la ricchezza non può infatti essere distribuita in modogiusto, perchè non si può dare potere di mercato ai bambini e alle generazioni future. In talcaso, lo stato dovrà intervenire non solo "a monte del mercato" per migliorare la distribuzionedella ricchezza tra le famiglie, ma anche "nel mercato" come tutore o agente degli assenti edei deboli.

7.a.3. il valore normativo della domanda privata: i gusti privatiLa domanda privata ha valore normativo se la distribuzione della ricchezza è "buona",

e se hanno valore normativo gli stessi gusti privati. Su questo secondo punto richiamiamoprima di tutto quanto segnalato alla fine del quarto capitolo: che perchè funzioni la "manoinvisibile" i gusti privati devono essere in qualche modo ontologicamente precedenti rispettoal mercato. Tutta la costruzione dell'economia del benessere infatti traballa se è la stessaproduzione a determinare le preferenze individuali, che questo avvenga tramite la pubblicità

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(mi piace la Coca-Cola perchè mi sento dire che piace), o tramite l'assuefazione (mi piace laCoca-Cola perchè l'ho sempre bevuta).

Nella misura in cui i gusti sono manipolabili, ricordiamo, diventa oggetto di politicaeconomica anche il come manipolarli, o permettere che vengano manipolati. Infatti se )� )�8$�;$�<$��8%�;%�<%��, e le funzioni 8 non sono date, ) varia non solo con le disponibilitàdei beni ma anche con la capacità di questi di generare 8. Più sono avidi i consumatori,minore è l'utilità ottenuta dai beni disponibili; e come abbiamo notato il potere delcapitalismo di generare benessere aumentando la disponibilità di beni è ampiamente annullatodall'avidità da esso stesso nutrita, con l'assuefazione, forse inevitabile, ma anche con lapubblicità.

A questo discorso, che porterebbe a limitare la pubblicità in quanto socialmentenociva, l'economia politica ortodossa non ha mai dato risalto: forse per timore della crisimacroeconomica che poteva scaturire da un calo dei consumi, forse anche per un naturalerifiuto ideologico di un argomento non poco sovversivo nei confronti del capitalismotrionfante.

Nell'economia politica ortodossa il problema del valore normativo dei gusti privati siconcreta in forma diversa, come problema dei cosiddetti EHQL�PHULWHYROL. Si ipotizza infattiche il benessere sociale possa dipendere dal consumo dei beni non solo indirettamente,tramite le utilità individuali, ma anche direttamente: ad esempio, )� )�8$�;$�<$��8%�;%�<%��;�, per cui 06%; comprende sia il solito elemento �G)�G8��G8�G;�,sia l'elemento aggiuntivo �G)�G;�', che sarebbe l'impatto diretto di ; su ). Il bene ; è"meritevole" in senso stretto se �G)�G;�'�!��, e "demeritevole" in caso contrario.

In presenza di tali beni, con mercati concorrenziali, la catena delle valutazioni sipresenta come segue:

>;'@ ��������������!�06%� ��G)�G5�'>;@������� �0&5F� �0%5F� �34035� �0&4F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�><@��35� �0&5F� �0%5F� �34035� �0&4F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�>=@�����?� �0&5F� �0%5F� �34035� �0&4F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�

L'equilibrio è Pareto-efficiente, per l'equivalenza dei prezzi di domanda 0%4F035; sela distribuzione della ricchezza è "giusta" sono pure uguali i corrispondenti benefici marginalisociali, nelle ultime tre righe; non si raggiunge comunque l'ottimo sociale, che esigeovviamente che il beneficio marginale sociale nella terza e quarta riga sia uguale non a quellodella seconda, ma alla somma di quelli delle prime due, ottenuti dallo stesso consumo. Se inquesto senso i gusti privati non hanno valore normativo, la "mano invisibile" falliscel'obiettivo: questa esige infatti che ) sia funzione solo di 8, e solo indirettamente deiconsumi dei beni, perchè il mercato libero risponde solo alla domanda privata.

Ipotizziamo che ; sia di fatto un bene "demeritevole", per cui la somma dei 06% nelleprime due righe è minore dei 06% nelle altre righe. Per raggiungere l'ottimo sociale bisognaridurre il consumo di ;, per esempio con una tassa pigoviana per unità di ;, che rende ilprezzo pagato dal consumatore, e dunque il costo marginale di questo, maggiore del prezzoricevuto dal produttore, e dunque del beneficio marginale di questo. Si passa dunque ad unequilibrio come segue:

>;'@ ��������������!�06%� ��G)�G5�'

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>;@������� �0&5F� �0%5F� �34Y035�����34F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�><@��35� �0&5F� �0%5F� �34035� �0&4F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�>=@�����?� �0&5F� �0%5F� �34035� �0&4F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�

Dosando in modo giusto la tassa si riporta la somma del 06% nelle prime due righeall’uguaglianza con gli altri 06%: si raggiunge l'ottimo sociale, che peraltro non è più unequilibrio Pareto-efficiente fra i privati (ossia non è più sulla )83), proprio perchè ilbenessere sociale non è più funzione solo dalle combinazioni delle utilità individuali maanche del consumo di ;. Nello spazio prezzo-quantità di ;, troveremmo accanto alla curva didomanda privata una curva, più bassa, di domanda sociale; la tassa serve a spostarel'equilibrio dall'incrocio fra offerta e domanda privata all'incrocio fra offerta e domandasociale (Figura 7.a.3.1).

La conclusione di questo discorso è appunto che in presenza di beni meritevoli odemeritevoli lo stato deve intervenire: con sussidi per incoraggiare il consumo dei benipropriamente meritevoli, con tasse, o anche nel caso con proibizioni o concessioni dimonopolio, per scoraggiare il consumo dei beni demeritevoli. Esempi di beni demeritevolisono considerati la droga, l'alcool, o il tabacco, esempi di beni meritevoli il latte (distribuitonelle scuole americane).

Si possono aggiungere vari commenti. Prima di tutto, bisogna stare attenti a nonimmaginare beni meritevoli dove la realtà è un'altra. Il monopolio del tabacco in Italia, comele tasse sullo stesso negli Stati Uniti, sono nati sicuramente per motivi fiscali. La proibizionedella droga, come quella dei prodotti alcoolici negli Stati Uniti degli anni Trenta, serve difatto interessi malavitosi, con inevitabili risvolti occulti sulla vita politica; e dalriconoscimento di ciò nascono le proposte di legalizzazione, al limite di tutti i EXVLQHVV che laproibizione non sopprime ma rende illegali (gioco, prostituzione...), come misure dibuongoverno. La distribuzione gratuita del latte pure può servire interessi privati (l'industriaproduttrice), o servire per correggere la distribuzione della ricchezza all'interno ai nucleifamiliari (a scuola il piccolo il latte lo beve; se diamo alle famiglie i soldi per comprarlo papàli spenderebbe in whisky).

Metodologicamente, poi, la categoria dei beni meritevoli è un'invenzione pocoraccomandabile, appunto perchè può spiegare e giustificare qualsiasi intervento altrimentiincomprensibile: è dunque molto vicina al miracolo, che "spiegando" tutto non fa capireniente.

Il problema più profondo, infine, è quello filosofico-politico, di capire se in uno stato-associazione la categoria dei beni meritevoli è legittima, o meno. Si può infatti argomentareche la premessa dell'associazione è il rispetto dei gusti, insindacabili, dei singoli membri perquanto attiene alla propria sfera di autonomia: la maggioranza non ha pertanto il diritto diimporre alla minoranza di non bucarsi, o di portare il chador, solamente perchè certicomportamenti non le piacciono. Di fatto, però, chi vuole limitare la libertà altrui invoca noni propri gusti, ma leggi naturali o divine, che le leggi umane devono rispettare proprio inquanto esprimono inevitabilmente una posizione etica: negli Stati Uniti la passione deglianti-abortisti, come un tempo quella degli anti-schiavisti, nasce dal considerare inaccettabilenon tanto il crimine contro i diritti umani, quanto il fatto che la comunità eretta a stato locondoni.

7.a.4. il funzionamento del mercato: il potere di mercatoI problemi del funzionamento del mercato si possono ridurre ai problemi di potere di

mercato; di esternalità; di informazione; e delle attività di puramente redistributive.Abbiamo già visto come il potere di mercato vizia i prezzi come segnali dei costi

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opportunità, e genera un trasferimento dal debole al forte (che è poi tipicamente dal povero alricco); ricordiamo il senso etico in cui Simons voleva che il potere fosse solo dello stato.

Il problema del potere di mercato giustifica ovviamente l'intervento pubblico in chiaveDQWL�WUXVW, per mantenere la concorrenza; ma si pongono problemi particolari nei casi in cuiper motivi tecnici la concorrenza è impossibile. Si chiamano infatti PRQRSROL� QDWXUDOL leindustrie con rendimenti di scala crescenti fino a un livello di produzione tale, rispetto alledimensioni del mercato, che i costi si minimizzano affidando l'intera produzione ad un'unicagrande impresa, come nella Figura 7.a.4.1.

Teoricamente, l'intervento pubblico appropriato, "pigoviano", è assai semplice: bastaimporre prezzi pari ai costi marginali, e coprire il deficit (che compare con 0&���$&) con unsussidio. Il problema di fondo, che non cambia con la proprietà dell'azienda (che può essereun monopolio pubblico, o un monopolio privato regolamentato), è che la funzione di costonon è data, e non è nota fuori dall'azienda stessa; e la pressione a contenere i costi, giàlimitata dalla mancanza di concorrenza, tende praticamente a svanire se si toglie purel'incentivo alla massimizzazione dei profitti.

7.a.5. il funzionamento del mercato: le esternalità in generaleLa presenza di HVWHUQDOLWj è a sua volta la tipica causa dei "fallimenti" anche dei

mercati concorrenziali. Gli "effetti esterni" sono infatti effetti diretti sul benessere, o sullaproduttività, di un terzo, che non compare nel mercato in cui si determina l'attività inquestione, e di cui dunque il mercato non tiene conto. Si immagini, ad esempio, che unprivato $ decida di fumare, o di ascoltare musica, in un modo che incide direttamente sulbenessere altrui: in questo caso 8% dipende anche dai consumi di $, per esempio, 8%� 8%�;%�<%�;$�. In questo caso il beneficio marginale privato di ;$ è duplice, e il suo valorecomplessivo è la somma delle valutazioni di $, che decide quanto ; consumare, e di %, chesoffre (o gode) l'effetto esterno.

In tal caso, con mercati concorrenziali, la catena delle valutazioni si presenta comesegue:

>;(@ ��0%4H035�����!�06%� ��G)�G5�(>;@������� �0&5F� �0%5F� �34035� �0&4F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�><@��35� �0&5F� �0%5F� �34035� �0&4F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�>=@�����?� �0&5F� �0%5F� �34035� �0&4F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�

L'equilibrio non è Pareto-efficiente, in quanto sono uguali i prezzi di domanda nelleultime tre righe, mentre in questo caso la stessa Pareto-efficienza richiede l'uguaglianza deibenefici marginali privati della terza e quarta riga con la somma di quelli delle prime due,legate allo stesso uso; e se la distribuzione della riccheza è "giusta" l'ottimo sociale siraggiunge insieme alla Pareto-efficienza. Nello spazio prezzo-quantità di ; si trovano inquesto caso la curva di domanda privata dei consumatori diretti, che è l'unica che si esprimesul mercato; la curva di domanda privata collettiva, che comprende gli effetti esterni, ed èdunque superiore alla precedente se questi effetti sono positivi, e inferiore se sono negativi; ela curva di domanda sociale, che coincide con la precedente se la distribuzione della ricchezzaè quella "giusta".

Immaginiamo che l'effetto esterno sia positivo, per cui la somma dei 06% nelle primedue righe è maggiore dei 06% nelle altre righe. Per raggiungere l'efficienza paretiana el'ottimo sociale bisogna aumentare il consumo di ;, per esempio con un sussidio pigovianoper unità di ;, che rende il prezzo pagato dal consumatore, e dunque il costo marginale diquesto, minore del prezzo ricevuto dal produttore, e dunque del beneficio marginale di

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questo. Si passa dunque ad un equilibrio come segue:

>;(@ ��0%4H035�����!�06%� ��G)�G5�(>;@������� �0&5F� �0%5F� �34Y035��!��34F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�><@��35� �0&5F� �0%5F� �34035� �0&4F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�>=@�����?� �0&5F� �0%5F� �34035� �0&4F035� �0%4F035�����! 06%� ��G)�G5�

Dosando in modo giusto il sussidio si riporta appunto la somma dei benefici marginaliprivati e sociali nelle prime due righe all’uguaglianza con gli equivalenti nelle altre righe;nello spazio prezzo-quantità si sposta l'equilibrio dall'incrocio tra l'offerta e la domandaprivata dei consumatori diretti all'incrocio tra l'offerta e la domanda privata collettiva (checoincide con la domanda sociale). In gergo, si dice che il sussidio "internalizza l'esternalità"(Figura 7.a.5.1; la geometria è identica a quella dei beni meritevoli, e cambia solol'interpretazione del divario tra domanda privata e domanda sociale).

7.a.6. il funzionamento del mercato: esternalità e mercati inesistentiQuesti effetti esterni possono esistere a tutti i livelli: fra consumatori, come

nell'esempio di cui sopra; fra produttori, come quando l'inquinamento delle acque da parte diun produttore aumenta i costi di un'altro, che deve depurare le acque prima di poterle usare; ofra produttori e consumatori, come quando l'inquinamento delle acque da parte di unproduttore riduce il piacere del nuoto da parte dei consumatori. Queste esternalità siricollegano oggi all'inesistenza di certi mercati: in un sistema completo di mercati infattianche il diritto di inquinare l'acqua, o di emettere onde sonore, sarebbe oggetto di commercio,e con la concorrenza in tutti i mercati si raggiungerebbe un'allocazione efficiente anche diquesti diritti. Da questa impostazione è nata in tempi recenti la proposta di creare tali diritti,per permetterne lo scambio di mercato; notiamo che tale forma di intervento perinternalizzare le esternalità e raggiungere l'efficienza è comunque meno pesante e pertanto piùgradita ai liberisti di quella tradizionale, pigoviana, proprio perchè si concreta "a monte delmercato" e non "nel mercato" stesso.

Dal punto di vista del mercato inesistente si possono distinguere vari tipi diesternalità. Nei FDVL� RUGLQDUL esistono i mercati principali, ma non tutti quelli sussidiari: esiste un mercato per il prodotto, ma non per il sottoprodotto, esistono i mercati per la materiaprima ma non per le materie ausiliari. Per esempio, l'apicultore produce miele e cera, chevende, ma anche pollinazione dei frutteti, che non vende (perchè nessuno sa di chi sono le apiquando sono lontane dall'arnia); la domanda di pollinazione non è dunque parte delladomanda per l'apicultura, quale si esprime sul mercato. Se questa esternalità non vieneinternalizzata dalla fusione tra le imprese ortofrutticole e quelle apicultrici, si può raggiungereun livello di attività efficiente sussidiando ("pigovianamente") la produzione con beneficioesterno.

Per esempio, pure, la fabbricazione dell'acciaio usa ferro, carbone, ecc., ma anche ariae acqua, che da pulite diventano sporche: l'inquinamento è l'esempio canonico dell'esternalitànegativa, in quanto l'operatore non tiene conto dei costi relativi che rimangono appuntoesterni. Esistono varie soluzioni, tra cui quella di obbligare i padroni (se pochi) a vivereaccanto alla fabbrica... La soluzione "pigoviana" è come si è visto quella di tassare laproduzione nociva. Bisogna però procedere con cautela, tenendo sempre presente lepossibilità di sostituzione. Tassare l'acciaio è una soluzione rozza: potremmo infatti conminore sacrificio produrre non molto meno acciaio allo stesso modo di prima, ma poco menoacciaio in un modo meno inquinante. Per incentivare la modifica del "come" e non solo del"quanto" produrre, la tassa deve essere direttamente sulla causa immediata del danno esterno

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(l’emissione ad esempio di anidride carbonica, per l’effetto serra). La soluzione adessopreferita è invece quella di creare il mercato inesistente, vendendo appunto "diritti diinquinamento" (fino al limite desiderato), ma permettendone lo scambio sul mercatosecondario; in tal modo chi trova meno costoso ripulire la produzione piuttosto che inquinareadotta tale soluzione, e l'inquinamento rimane solo dove il costo di ripulire la produzionesupera il costo del danno ambientale.

A volte invece manca, e non si può creare, lo stesso mercato principale: o perchè nonsi possono definire i diritti di proprietà, o perchè gli effetti esterni sono assolutamentedominanti rispetto a quelli interni. Il difetto dei diritti di proprietà è caratteristico delleesternalità legate al problema delle ULVRUVH�QDWXUDOL�DG�DFFHVVR�LOOLPLWDWR.

Se chiunque potesse usare un pascolo, o far legna in un bosco, senza pagare, losfruttamento della risorsa diventerebbe rapidamente eccessivo, fino all'esaurimento dellastessa risorsa; il fatto che si debba pagare il proprietario limita il consumo. Il problema sorgedove il proprietario non esiste, perchè sarebbe comunque troppo difficile identificarlo seesistesse (come per le api sui fiori). Il problema si ritrova ad esempio nei mari: la pescatende ad essere eccessiva perchè il pesce non è di nessuno finchè non è pescato, e l'utente chesi autolimita per conservare la risorsa non beneficia della propria azione (perchè i figli deipesci che lascia saranno comunque di tutti: il beneficio rimane appunto esterno). Da qui lanecessità dell'intervento pubblico: estendendo le acque territoriali, firmando accordiinternazionali, limitando comunque la pesca.

Negli Stati Uniti, in cui i sottosuolo è del proprietario del suolo (e non, come da noi,del sovrano), il problema si pone anche per il petrolio: tutti i proprietari pescano nello stessobacino sotterraneo, e il petrolio diventa mio solo se lo estraggo io. Da qui l'assurdamoltiplicazione dei pozzi, e la corsa all'estrazione (che crea costi di stoccaggio, e anticipa glistessi costi di estrazione).

Quando invece i beni hanno effetti quasi esclusivamente esterni si parla di EHQLSXEEOLFL, appunto perchè non saranno prodotti se non dallo stato. In questi casi il mercatonon esiste perchè non vale il SULQFLSLR� GHOOHVFOXVLRQH dal consumo di quelli che noncomprano il bene stesso.

L'esempio classico è la difesa (periferica, o per deterrente). Se io proteggo casa miacon un deterrente nucleare, proteggo anche le case dei vicini, per cui ognuno aspetta che simuova il vicino; o ci muoviamo insieme accettando di dividerci gli oneri (ossia formando unostato che obbliga tutti a pagare), o non ci muoviamo per niente. Il castello, notiamo, fornisceuna difesa che non è un bene pubblico: protegge solo chi ci vive, o paga il biglietto perentrare; non a caso i castelli erano dei potenti, e le città murate nascevano come repubbliche. La giustizia pure è considerata un bene pubblico, ma a torto, perchè vale di fatto il principiodell'esclusione (da cui i fuorilegge, cui era appunto negata la protezione della società civile).

La giustizia non è l'unico finto bene pubblico. Vi sono altri beni forniti dallo Stato, ilconsumo dei quali è privato e non collettivo. In questi casi il servizio è "pubblico" soloperchè gratuito per l'utente, e gratuito per l'utente perchè sarebbe troppo gravoso farlo pagare;alla base dell'intervento pubblico c'è quello che oggi si chiama il costo di transazione, di cuiappresso. L'esempio tipico è dato dalla viabilità ordinaria: teoricamente si potrebbe mettereun bigliettaio a ogni angolo di strada, in pratica paralizzerebbe il traffico. Sui viaggi lunghiinvece il rapporto transazioni/consumo si riduce, e le autostrade a pedaggio sono ovviamentepossibili. La tecnologia può ovviamente cambiare i costi di transazione: una volta perl'elettricità si pagava solo la connessione ma non il consumo, che non si riusciva a misurare;forse tra non molti anni sistemi automatici di rilevazione satellitare permetteranno di farpagare l'utenza anche per le strade, a costi di transazione minimi. Nel frattempo, la viabilitàordinaria si comporta come una risorsa ad accesso illimitato, consumata a livelli eccessivi

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(ingorghi, ecc.) proprio perchè i costi privati non comprendono i costi dei danni esterni (inpratica ognuno decide di usare l'automobile senza curarsi del fatto che rallenta gli altri).

I beni pubblici in senso tecnico esistono a vari livelli, locali (fuochi d'artificio) enazionali (difesa); è per questo che lo stato allocatore, a differenza di quello predatore, ha unastruttura naturalmente federale.

Siccome i beni pubblici sono a consumo congiunto e simultaneo, hanno effetti (quasi)esclusivamente esterni. Le domande individuali si sommano verticalmente e nonorizzontalmente (Figura 7.a.6.1): se siamo in cento a sentire un concerto, e vale mille perognuno, il concerto vale centomila; e se ognuno si sazia dopo tre concerti, il quarto vale zero. Se fossero banane invece di concerti, la prima varrebbe mille (perchè solo uno la consuma), esaremmo tutti sazi dopo trecento banane (tre diverse banane per ognuno di noi).

Tra i beni pubblici in senso lato compaiono anche le caratteristiche fondamentali dellasocietà in cui viviamo; e qui ci si riallaccia ai problemi precedenti. La concentrazione dellaricchezza ha infatti notevoli effetti esterni, prevalentemente negativi: genera disutilità in chisi sente (relativamente) povero; mina il rispetto della legge ("lei non sa chi sono io"); svia laconcorrenza politica (non facciamo nomi). Ha anche però esternalità positive: tutta lacultura, tutta l'arte si è sviluppata al servizio dei ricchi. Potrebbe supplirvi la domandapubblica, ma non è detto (come nel già citato caso della Svizzera).

Può esistere anche un'esternalità generalizzata, e particolarmente perniciosa, tra iconsumi. Se le aspettative dei consumatori si formano anche dall'osservazione dei consumialtrui, e più ancora se i diversi consumatori sono coinvolti in un gioco di rivalità sociale,infatti, i benefici marginali positivi dei consumi sui consumatori diretti sono controbilanciati,al limite totalmente, dai loro effetti esterni negativi. Il problema è formalmente uno diesternalità, ma la sostanza si ricollega ovviamente a quanto già detto a proposito del valorenormativo dei gusti privati, e dell'incapacità del capitalismo di generare un aumento dibenessere paragonabile all'aumento della produzione. Più infatti si glorifica la concorrenzacome competizione (e l'inglese ha l'unica parola "competition" per entrambi), più si tende adividere la società tra pochi "vincitori" e tanti "perdenti"; e più il gioco è pulito eeffettivamente meritocratico, più i perdenti hanno motivo di deprimersi. Che in Italia iconcorsi li vincano i raccomandati è ingiusto e obbrobrioso, ma è la salvezza psicologica ditutti gli altri, compreso quelli che non avrebbero comunque vinto; e l'odio atavico degliitaliani per la meritocrazia rivela forse la saggezza di un popolo antico.

7.a.7. il funzionamento del mercato: problemi di informazioneVeniamo adesso ai problemi di informazione. Questi non compaiono nei capitoli

precedenti, perchè l'analisi dell'equilibrio generale ipotizza implicitamente informazioni"perfette"; è ovvio comunque che il buon funzionamento dei mercati richiede che sia iconsumatori che i produttori siano adeguatamente informati. Anche in assenza di altriproblemi, infatti, la domanda espressa sul mercato corrisponde a quella vera, di valore(presumibilmente) normativo, solo se i consumatori conoscono sia i propri gusti, sia lecaratteristiche dei beni, sia le offerte di mercato.

Di fatto, la conoscenza dei gusti (o più precisamente, la conoscenza della capacità ditrarre soddisfazione da beni con date caratteristiche) è limitata dall'esperienza; la conoscenzadelle caratteristiche dei beni è limitata anch'essa dall'esperienza, e per di più soggetta amisinformazioni e a distorsioni pubblicitarie; e la scelta può essere ottimale solo se siconoscono le alternative possibili ("pensavo che la vacanza in montagna mi sarebbe piaciuta";"non sapevo che questa lavatrice si sarebbe rotta subito"; "mi sono vestito da YSL, ma miaccorgo che sembro solo un cafone ripulito"; "non l'avrei mai comprata da Tizio se avessisaputo che la vendeva Caio a metà prezzo"). Si apre qui un campo di intervento di

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educazione ("educare il gusto") e di miglioramento delle informazioni sui beni e sui prezzi;notiamo anzi che il potere di mercato deriva spesso dal contenuto informativo del marchio,che garantisce un certo livello di qualità, e dunque dalla mancanza di informazioni dirette suiprodotti.

In teoria, i problemi di informazione dei produttori sono analoghi a quelli deiconsumatori. In pratica, e perlomeno in un contesto statico, i produttori sono tendenzialmentemolto meglio informati dei consumatori: essendo infatti i produttori relativamentespecializzati, possono dedicare un professionista alla raccolta delle informazioni sulle(relativamente) poche cose che li riguardano. In un contesto dinamico in cui si tratta per iproduttori di generare informazioni nuove tramite la ricerca, invece, il mercato funziona male. La ricerca ha infatti costi interni (per chi la porta avanti); in un contesto concorrenziale habenefici prevalentemente esterni, in quanto le informazioni si diffondono naturalmente senzapagamento di prezzo, mentre il monopolio (compreso quello creato dal brevetto) internalizzai benefici della ricerca ma crea prezzi distorti dal potere di mercato. La soluzioneinterventista che risolve il dilemma è quella di mantenere la concorrenza, e affidare la ricercaal settore pubblico (come da tempo, negli Stati Uniti, per il settore agricolo).

7.a.8. il funzionamento del mercato: le attività puramente redistributiveConsideriamo infine le attività puramente redistributive. Il furto, l'estorsione, e simili

attività si differenziano dallo scambio di mercato in quanto l'arricchimento degli uni si ottienetramite l'impoverimento degli altri. Il costo sociale di tali attività è molteplice: comprende daun lato la perdita del prodotto netto che darebbero le risorse consumate sia dalle stesseattività, sia dalla loro prevenzione; e comprende spesso pure delle perdite aggiuntive, dalleorecchie dei rapiti ai ricordi di famiglia dei derubati. Non a caso, tali attività sono consideratecriminali, e represse.

Il problema è però più ampio dell'attività criminosa, e gli economisti si sono chiesti sel'DWWLYLWj�VSHFXODWULFH non è anch'essa puramente redistributiva, e dunque gravata perlomenoda un costo opportunità. In generale, gli speculatori sono stati assolti, parificandoli aicommercianti: come questi aumentano il benessere collettivo spostando i beni da dovevalgono di meno a dove valgono di più, così pure, si è detto, gli speculatori spostano i beni daquando valgono di meno a quando valgono di più. Se poi lo speculatore operasse nel modoopposto causerebbe un danno netto, ma lo assorbirebbe lui in quanto lavorando in perditatrasferisce ricchezza al resto della società.

Questi argomenti sembrano piuttosto sbrigativi. Il primo si applica infatti allospeculatore in beni non durevoli: spostare grano da quando abbonda per metterlo adisposizione durante una carestia è effettivamente utile, oltre che remunerativo. Ma lospeculatore di oggi è più tipicamente uno speculatore in titoli, o in beni durevoli; ed è ovvioche con la speculazione nei valori fondiari, ad esempio, non si sposta la terra da un periodoall'altro come si sposta invece il grano. Il secondo argomento sembra invece specioso, eerrato proprio nella misura in cui è valido il primo: la speculazione errata che rende più gravela carestia porterà anche al fallimento dello speculatore, ma poco guadagneranno quelli chenel frattempo sono morti di fame.

7.a.9. il funzionamento del mercato: il secondo ottimoL'impostazione "pigoviana" giustificava l'intervento pubblico a tutta una serie di

livelli. Oltre che stabilizzatore macroeconomico, lo stato si presentava anche come garantedella distribuzione "giusta" della ricchezza e del buon funzionamento dei mercati, siamantenendo la concorrenza, sia intervenendo nei mercati come allocatore ogniqualvoltal'attività privata non avrebbe comunque raggiunto gli obiettivi sociali. Come se questo non

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bastasse, poi, l’invenzione dei "beni meritevoli" era una licenza per l’intervento pubblico inqualsiasi mercato, giustificato dalla sola decisione di intervenire.

Un motivo ulteriore di intervenire anche in mercati che funzionano bene è statotrovato, in tutta logica, nella dottrina del VHFRQGR� RWWLPR, che abbiamo già brevementeincontrato. Si può infatti dimostrare che se lo stato non può rimuovere tutte le distorsioni eraggiungere l'ottimo sociale, in genere è preferibile introdurre distorsioni a compensazione diquelle esistenti. L'esempio fatto a suo tempo (4.b.5) riguardava un problema di distribuzionedella ricchezza; non potendo ottimizzarla, si ripiegava sul secondo ottimo concedendo poteredi mercato ai gruppi non sufficientemente ricchi. I problemi allocativi non sono diversi: richiamando il punto precedente, ad esempio, se non si possono informare i consumatori sullecaratteristiche dei beni può essere benefico il marchio di fabbrica che comunica informazionianche se genera potere di mercato.

L'esempio classico del secondo ottimo riguarda i trasporti urbani. Le auto privateimpongono infatti costi esterni, in particolare nelle ore di punta, quando ognuno fa perderetempo agli altri. Siccome questi costi esterni sono legati al posto e al momento, andrebberointernalizzati usando misure dirette dei singoli spostamenti; ma (almeno fino ad oggi) talimisure sono impossibilmente costose, e il prezzo privato dell'uso delle auto per ilpendolarismo rimane inferiore a quello "sociale", che comprende appunto i costi esterni. Siccome non si può mettere il pendolare di fronte al costo pieno dell'uso dell'auto, per guidarele sue scelte con i giusti tassi di sostituzione di mercato si cerca di ristabilire i giusti prezzirelativi vendendo sottocosto i servizi dei mezzi pubblici. Questa soluzione rimanechiaramente di secondo ottimo perchè si aggiusta la scelta all'interno dei trasporti falsando lascelta tra trasporto e altri beni; viene infatti sussidiato il pendolarismo in generale,incoraggiando ubicazioni residenziali troppo distanti da quelle lavorative.

A livello pratico, di fatto, la dottrina del secondo ottimo è sicuramente una pessimaguida all'intervento pubblico, perchè distoglie l'attenzione dalla soluzione diretta delproblema di fondo; nel caso del trasporto urbano, per esempio, i costi del pendolarismo inauto si potrebbero effettivamente internalizzare differenziando i prezzi dei parcheggi, inattesa che la rilevazione satellitare risolva del tutto il problema. Si insegna agli ingegneri chenon bisogna inventare i guanti di gomma se la stilografica macchia le dita; lo stesso principiovale per la politica economica.

7.b. la reazione liberista

7.b.1. la teoria positiva dell'intervento pubblicoNegli anni Settanta, nel mondo anglosassone, esaurita l'ondata interventista scaturita

dalla Grande Depressione, si è scatenata la reazione che ha portato al governo Reagan e laThatcher (e le sinistre a spostarsi non poco verso destra). La dottrina economica hapartecipato pienamente a questo movimento, anche se non in modo univoco. In questi ultimidecenni si sono infatti sviluppate in particolare le teorie microeconomiche direttamente anti-interventiste, che contrappongono ai costi e "fallimenti" del mercato i costi e "fallimenti"dello stato (e alle quali fanno da complemento le teorie macroeconomiche che sottolineanol'incapacità, piuttosto che la capacità, di intervento stabilizzatore).

Si chiama adesso "normativa" la teoria dell'intervento pubblico che considera lo statouno strumento perfetto e senza costi, da utilizzare dunque ogniqualvolta il mercato nonproduce una soluzione ottimale; si chiama invece "positiva" la più recente teoriadell'intervento pubblico che ne sottolinea piuttosto i costi e l'inefficacia, e tende dunque alimitarlo.

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I FRVWL� GHOOLQWHUYHQWR� SXEEOLFR sottolineati dalla teoria positiva sono sia diretti cheindiretti. L’intervento ha costi GLUHWWL, intrinseci, perchè è un'attività che come le altreconsuma risorse reali: esige infatti l'opera di persone che si informino, che decidano, e cheimplementino le decisioni, esige le strutture a loro necessarie, esige insomma tutto l'apparatodi un ministero.

I costi LQGLUHWWL dell'intervento pubblico sono a loro volta di due tipi. Da un lato,siccome lo stato non dispone di strumenti fiscali neutri, le imposte necessarie per coprire icosti diretti introducono GLVWRUVLRQL�ILVFDOL; qualsiasi spesa pubblica ha dunque oltre al costodelle risorse consumate anche un costo esterno rappresentato dalla perdita di efficienzaindotta dal prelievo fiscale. Dall'altro, siccome l'intervento pubblico ha inevitabilmenterisvolti redistributivi, il solo fatto che lo stato possa intervenire e dunque beneficiarequalcuno induce quel qualcuno a investire risorse per ottenere quel guadagno; l'interventopubblico incoraggia dunque DWWLYLWj�SXUDPHQWH�UHGLVWULEXWLYH. In gergo, tale attività mirata aottenere favori pubblici è detta "di ricerca delle rendite" ("rent-seeking"). Negli Stati Uniti siconcreta più che altro in contributi alle campagne elettorali (sempre più costose e ovviamentea somma zero), in attività di "lobbying" (contatti con i legislatori per indurli a condividerecerti obiettivi), e in corruzione spicciola (la grande corruzione, dei tempi in cui i deputationesti erano quelli che si facevano corrompere da una sola delle parti interessate, risale altardo Ottocento: che abbia coinciso come di recente in Italia con la prima grande ondata dimodernizzazione dell'economia ci dà qualche speranza...). In Europa, la "ricerca dellerendite" si concreta più vistosamente in costosi ricatti alla società, come il blocco degliaeroporti con la "rivolta dei trattori" a proposito delle quote latte; si nota la strana tolleranzadegli europei continentali, perlomeno, verso questo tipo di comportamento (forse permancanza di tradizioni di autogoverno). Ovunque, poi, la forma preferita del sussidio è laconcessione di potere di mercato: a differenza del sussidio diretto, infatti, tale sussidioindiretto a spese dei consumatori non passa per il bilancio pubblico, e dunque rimanenascosto...

Nell'ottica neoliberista, poi, l'intervento pubblico è tipicamente non solo costoso mainefficace, se non addirittura sistematicamente controproducente, sia che intervenga comeallocatore, sia che intervenga come redistributore. Dove l'interventista giustifica l'attivismoinvocando i fallimenti del mercato, il neoliberista lo condanna invocando invece i IDOOLPHQWLGHOOR�VWDWR.

In tema di allocazione la matrice di questo nuovo pensiero è stata l'analisi del settoredei trasporti, sempre negli Stati Uniti, negli anni Cinquanta-Sessanta. Da un lato, infatti, si ènotato che la Interstate Commerce Commission, creata nel tardo Ottocento per limitare ilpotere di monopolio delle ferrovie e tutelare i consumatori (in particolare gli agricoltori dellepianure all'interno del paese), operava di fatto a sostegno di quel potere di monopolio,proteggendo le ferrovie dalla nuova concorrenza del trasporto su strada. Da questo è nata inparticolare la teoria detta della FDWWXUD del regolamentatore da parte del regolamentato: si èinfatti capito che l'agenzia di controllo delle ferrovie era necessariamente affidata a personeche conoscevano il settore, che dunque ne provenivano e vi sarebbero ritornate alla fine delmandato pubblico; non a caso, dunque, anche durante quel mandato continuavano a fare gliinteressi delle ferrovie. Possiamo notare che in questa forma il problema è molto americano,e legato appunto alla limitazione delle carriere pubbliche che fa mutuare i massimi burocratial settore privato; ma la tendenza alla simbiosi sembra inevitabile anche dove i burocratisiano di carriera.

Dall'altro lato si è notato l'inefficienza della regolamentazione del trasporto aereo daparte della Civil Aeronautics Board, che operava attraverso la concessione delle singole lineea pochi operatori in concorrenza tra di loro e fissava il prezzo per coprire i costi. Essendo

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così impedita la concorrenza sui prezzi, le linee aeree si facevano concorrenza sulla qualità(alte frequenze con voli semivuoti, servizio di bordo lussuoso), facendo lievitare i costi edunque tenendo alte le tariffe fissate dallo stato. All'interno della California, invece, eranosorte linee (intrastatali e dunque non soggette al controllo federale) che praticavano prezzimolto più bassi, con servizi meno comodi ma ovviamente graditi dal pubblico. Laconclusione ancora una volta è stata che l'intervento pubblico era dannoso piuttosto chebenefico; e nel giro di un decennio venne abolito l'organo di controllo e deregolamentato ilsettore dei trasporti aerei. Notiamo per inciso non solo la capacità di adattamento del sistemaamericano, ma anche quell'apertura garantita dal federalismo che permettendo l'innovazionenella sola California portò il problema all'attenzione di tutti; in un paese centralizzato comel'Italia nessuno si sarebbe mai accorto di niente...

Per quel che riguarda invece l'aspetto più propriamente redistributivo l'operafondamentale, sempre degli anni Sessanta, è /D� WHRULD� GHOOD]LRQH� FROOHWWLYD di M. Olson. Questa nota infatti che l'azione politica ha costi privati, per chi cerca di mettere in moto unintervento pubblico, mentre i benefici pubblici rimarranno massimamente esterni al singolo. Ne consegue che il singolo difficilmente si darà da fare per "far politica" in senso buono (aparte forse l'attivismo atavico delle californiane...); chi farà politica tenderà a farlo appuntonel senso nostrano, deteriore, dove significa muoversi non per il bene pubblico ma per unbeneficio privato. La redistribuzione sia diretta (fiscale) che tramite il potere di mercatotenderà pertanto sistematicamente a favorire interessi costituiti, particolari, piuttosto cheinteressi generali e meritevoli.

Questa teoria si è poi generalizzata nei decenni successivi sposandosi con quelladell'informazione, e dei problemi di agenzia, sui quali torneremo tra breve. In formasviluppata la teoria dei fallimenti dello stato nota in sostanza che i cittadini in generale sonorelativamente poco informati sull'azione pubblica, e che lo stato è pertanto un agenteinaffidabile della comunità che governa: i legislatori e i burocrati hanno essi pure obiettiviprivati, e questi li portano sistematicamente a favorire interessi di parte a danno dellacomunità.

7.b.2. le informazioni e i costi di transazioneNell'ultimo trentenni si è sviluppata altresì la teoria dei costi di transazione, dei

problemi di informazione, e delle istituzioni. Di questa teoria, data la moda dei tempi, sonostate sviluppate soprattutto le implicazioni anti-interventiste, anche se come abbiamo giànotato aprono la porta ad un ruolo ulteriore dello stato, quello di educatore.

Abbiamo visto come nell'economia del benessere classica, le uniche istituzioni sonolo stato e mercato, che si presume funzionino senza costi. Le imprese e le famiglie che siincontrano nei mercati compaiono a loro volta solo come "individui", senza articolazioneinterna. Lo stato si presenta dunque come l'unico agente economico fuori dagli individui. Questo può essere considerato in termini positivi (un'astrazione), o in termini normativi: perSimons, ricordiamo, tutto ciò che non è concorrenza perfetta, e dunque comporta potere, varicondotto allo stato (rischiando peraltro il Terrore, robespierrano o staliniano).

R. Coase per primo notò (già negli anni Trenta, ma per decenni nessuno ci badò) chel'articolazione interna dell'impresa era fondata su rapporti di autorità piuttosto che di mercato;questo significa che questi rapporti sono meno costosi di quelli di mercato, e pertanto che irapporti di mercato non sono senza costi. L'esistenza di questi costi di transazione,riconducibile all'incompletezza delle informazioni, fa sì che non si hanno solo e tutti imercati: piuttosto, mancheranno dei mercati, esisteranno dei sostituti. Si ricorre infatti ad unmercato solo quando conviene, e altrimenti si ricorre ad altri mercati, o a soluzioni non dimercato (ossia a transazioni interne ad un istituzione), o semplicemente non si compie lo

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scambio. Le istituzioni sono dunque se si vuole sostituti di mercati costosi; e questo è veronon solo per lo stato, ma anche per le imprese, le famiglie, e le organizzazioni senza scopo dilucro. Dall'analisi della struttura delle informazioni e dei costi di transazione deriva insommauna teoria economica delle istituzioni: queste sono dunque considerate endogene, e non più,come una volta, semplicemente date.

I FRVWL� GL� WUDQVD]LRQH scaturiscono sempre da SUREOHPL� GL� LQIRUPD]LRQH: per essereinformati bisogna investire risorse, e a volte le informazioni hanno costi insuperabili. I difettidi informazione creano immediatamente problemi di raggiungimento degli accordi (costi dinegoziato), e di esecuzione degli accordi (costi di supervisione); in gergo, si parla di"asimmetrie informative" (non so quello che sa la controparte) e di "problemi di agenzia"(non sapendo cosa intende fare o ha fatto la controparte, entro certi limiti devo fidarmi di lei).

Notò successivamente lo stesso Coase che nel mondo teorico del modello neoclassico,con informazioni perfette e (dunque) senza costi di transazione, scompaiono necessariamentele inefficienze, proprio perchè ogni inefficienza crea una situazione in cui sono possibilimiglioramenti paretiani. L'inefficienza del monopolio scomparirebbe, ad esempio, sia che ilmonopolio semplice diventi "sequenziale", esaurendo i benefici ottenibili dallo scambio, siache i clienti del monopolista si mettano d'accordo fra di loro e con lui per pagarlo per ridurre iprezzi ai costi marginali; l'inefficienza delle esternalità scomparirebbe pure, sempre grazieall'accordo diretto tra le parti interessate (se il mio fumo ti dà fastidio, raggiungiamo unequilibrio paretiano pagando io te perchè mi lasci fumare, o tu me perchè non fumi). In unmondo senza costi di transazione, dunque (e sempre a parte eventuali beni meritevoli), lostato non ha bisogno di fare l'allocatore, e la sua funzione si restringe a quella redistributrice. L'idea che senza costi di transazione l'efficienza paretiana è garantita dall'azione privata ènota pertanto come il WHRUHPD�GL�&RDVH.

La presenza nella realtà dei costi di transazione è pure ricca di conseguenze, a tantilivelli. Prima di tutto, e banalmente, certe transazioni si evitano perchè il costo è superiore albeneficio (ad esempio, ogni condomino ha la propria antenna televisiva).

Secondo, e come conseguenza del punto precedente, esprimendo in forma negativa ilteorema di Coase si constata che i mercati possono appunto "fallire" per esternalità o potere dimercato, giustificando pertanto un intervento pubblico allocatore o stabilizzatore (perraggiungere l'efficienza) e non solo redistributore. Siccome però anche l'azione pubblica ègravata da costi di transazione e problemi di agenzia (i fallimenti dello stato di cui sopra), ilfallimento del mercato non giustifica automaticamente l'intervento pubblico (che vienepertanto ridimensionato, rispetto all'impostazione pigoviana che riconosce i fallimenti privatima non quelli pubblici).

Terzo, e questo non sembra essere stato notato, i mercati possono anche funzionare inmodo concorrenziale, chè la stessa concorrenza sparirebbe se i costi di transazione nonrendessero difficile mettere d'accordo, e vincolare all'accordo, un gran numero di impreseindipendenti. Nel mondo di Coase tutti i produttori (e tutti i consumatori) siorganizzerebbero in monopoli, e i mercati sarebbero sì efficienti, ma come monopolibilaterali. Scomparirebbe l'ottimizzazione marginale degli operatori che reagiscono a prezziparametrici, e scomparirebbe anche il paradosso dell'acqua e dei diamanti, chè i proprietaridell'acqua la venderebbero a prezzi ben superiori a quelli dei diamanti...

Quarto, è ovvio che i costi di transazione di mercato sono anche funzione del sistemalegale, per cui incombe allo stato creare un quadro "istituzionale" che li minimizzi rendendofacilmente raggiungibili, e eseguibili, i contratti. Nel contesto anglosassone si è sviluppato lostudio economico del diritto, che tende a vedere il sistema legale come tendenzialmenteefficiente proprio in queto senso. Da parte nostra possiamo ricordare il valore del dirittoromano, recuperato appunto dalle città commerciali del medio evo; si contrasta invece la

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situazione italiana dei nostri giorni, con una legislazione assolutamente non informata daquesta esigenza di efficienza economica (pedaggi autostradali, tasse di registro, permessi anon finire...), e una giustizia che rende praticamente inesigibile l’adempimento dei contratti(lentezze, proroghe degli sfratti...).

Quinto, ed è forse lo spunto più ricco, riconoscendo i costi di transazione si superacame abbiamo notato la dicotomia classica tra stato e mercato, e si recupera all'analisieconomica il vasto campo delle istituzioni private (contratti, organizzazioni) e anche sociali-culturali (etica).

7.b.3. le istituzioni private: i contrattiGli scambi di mercato esigono FRQWUDWWL, e sono gravati da costi di transazione. Gli

stessi operatori tenderanno naturalmente a scegliere le forme istituzionali che minimizzanotali costi. Grazie all'analisi dei costi i transazione, dunque, possiamo capire il perchè di certicontratti e mercati, e non di altri.

Ricordiamo l'esempio della terra da lavorare, che si può affittare a chi la lavora (illavoro affitta la terra), o far lavorare a salariati (la terra affitta il lavoro). Nel primo caso sonoalti i costi di negoziato (l'inventario di apertura e di chiusura), nel secondo quelli disupervisione (chè il salariato non controllato si riposa); essendo poi i costi di negoziato fissiper il singolo contratto, e quelli di supervisione funzione della sua durata, si capisce che peraccordi brevi si ricorra all'affitto del lavoro, e per accordi lunghi all'affitto della terra. Allostesso modo, dove la supervisione sarebbe particolarmente costosa (come per i rappresentantiche lavorano lontano dagli occhi del principale) se ne riduce la necessità strutturando ilcontratto in modo da allineare gli incentivi dell'agente con quelli del mandante (remunerandoad esempio i rappresentanti con una percentuale sulle vendite; il peculio dei romani sembranascere pure come compartecipazione al gregge). Notiamo che l'assenza di alcuni mercatinon significa che quelle transazioni comportino necessariamente costi inabbordabili, e chequei mercati non possano esistere; possono semplicemente essere tralasciati (come adesempio l'affitto a breve della terra) a favore di sostituti più convenienti.

La stessa analisi permette di considerare anche i contratti e i mercati tipici delcapitalismo industriale, caratterizzato di fatto dallo scarso sviluppo dei mercati di affitto delcapitale. Si affittano gli edifici, si affittano gli aerei; ma in genere le macchine sono diproprietà delle stesse imprese, che uniscono capitale e lavoro assumendo dipendenti, ossiaaffittando il lavoro. Da questo fatto poi scaturiscono poi l'autorità dei padroni e le lottesindacali; ma se il lavoro dipendente è tanto odioso, perchè non è piuttosto il lavoro adaffittare il capitale? Prima della rivoluzione industriale la produzione era in mano ad impreseartigiane, famigliari (forse del padre padrone, ma lasciamo stare); perchè gli artigiani, liberi eindipendenti, sono stati trasformati in operai e costretti a prendere ordini?

Notiamo che non è una risposta l'efficienza produttiva della fabbrica, ovvero leeconomie di scala ("il bisogno di concentrare la produzione") che derivavano dall'uso dellaforza motrice generata da una singola grande macchina a vapore o idraulica. Questaefficienza produttiva implica la concentrazione locale della produzione, non la sua formaistituzionale: rimane teoricamente possibile, e in alcuni casi si è verificato, che si costruissela fabbrica e il motore, per poi affittare l'uso di questo capitale a lavoratori che rimanevanoindipendenti.

L'analisi dei costi di transazione suggerisce anche in questo caso una risposta. Ilmercato di affitto delle macchine funziona male, ossia è gravato da alti costi di transazione,perchè le macchine sono complesse e delicate, e non è palese un eventuale abuso delle stesse. Nelle pianure nordamericane il grano matura prima nelle latitudini più basse, e durantel'estate le stesse grandi mietitrebbiatrici si spostano da sud a nord, con un ovvio risparmio di

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mezzi; ma queste non sono affittate agli agricoltori che ne richiedono i servizi. Piuttosto, ilproprietario della macchina contratta per mietere i campi di grano, e la macchina è semprenelle mani sue. Per lo stesso motivo, notiamo, un tempo si affittavano non i buoi, ma i servizidell'aratore con i suoi buoi; per lo stesso motivo si affittavano gli schiavi solo dove chi liutilizzava non aveva interesse a maltrattarli, come nell'artigianato o nell'agricolturamediterranea, e non nell'agricoltura tropicale; per lo stesso motivo forse si affittano adesso gliaerei più facilmente di altre macchine, proprio perchè l'affittuario ha lo stesso interesse delproprietario a mantenerli in buone condizioni.

In sostanza, dunque, la macchina tende ad essere usata da chi ne è proprietario, e se lausa un altro questo tenderà a usarla sotto gli occhi, e agli ordini, del proprietario; convieneinsomma affittare il lavoro, e sorvegliarlo, perchè va comunque sorvegliata la macchina. Inquest'ottica la radice della fabbrica è l'efficienza tecnica, ma la radice della suaorganizzazione è negli alti costi di transazione nei mercati di affitto delle macchine. L'artigiano tessitore era proprietario del suo telaio a mano, semplice e poco costoso; diventaoperaio non perchè è più efficiente la produzione meccanica, ma perchè il telaio meccanicocosta troppo perchè il lavoratore ne possa essere proprietario, e lasciarlo fermo di notte. Itelai meccanici erano necessariamente di proprietà dei benestanti, e lavoravano senzainterruzione; l'unico modo di evitare l'affitto della macchina era di affittare il lavoro, e farglifare i turni. Ne è la controprova la formula Benetton: scomparso con la trasmissione a bassocosto dell'elettricità il bisogno di concentrare fisicamente la produzione meccanica,permettendo il benessere di massa che il lavoratore stesso sia proprietario della macchina eche non si lavori più di notte, la fabbrica scompare.

Più ampiamente, l'idea che le forme contrattuali siano scelte per minimizzare i costi ditransazione ha portato ad estendere alle stesse forme contrattuali la visione di concorrenzadarwiniana già applicata alle imprese. Siccome questa concorrenza porta naturalmente allasopravvivenza delle forme migliori, bisogna presumere che ciò che esiste esiste per buonimotivi; e questa presunzione ha risvolti sia pratici che metodologici.

Dal punto di vista metodologico ha portato ad un nuovo apprezzamento dellarazionalità di istituzioni anche non tipiche del capitalismo anglosassone, quali ad esempio ivillaggi dei campi aperti nel medio evo, o della mezzadria nel resto del mondo, frenando cosìquella boria dei padroni del mondo che consideravano barbari e irrazionali chiunque nonfosse come loro (ossia tutti gli altri vivi, e tutti i morti, compresi i loro).

Dal punto di vista pratico ha frenato del pari la presunzione degli "ingegneri sociali",cautelandoli appunto che la pratica nel tempo era forse migliore maestra della loro teoria. Lalezione di fondo è stata dunque di limitare l'intervento pubblico anche in campo istituzionale,evitando riforme che potevano essere controproducenti: lezione salutare soprattutto per glieconomisti dello sviluppo, che nel primo dopoguerra erano invece pronti a intervenire a drittae a manca (vedi appunto la soppressione della mezzadria...).

7.b.4. le istituzioni private: le organizzazioniFra le organizzazioni private si trovano ovviamente le imprese, le famiglie, e le

associazioni non per lucro (delle quali non parleremo, per mancanza di idee in proposito).Per quel che riguarda le LPSUHVH, la rilevanza dei costi di transazione è ovvia: queste

esistono come abbiamo appena visto negli spazi tra i mercati a costi bassi, che funzionanobene, e evitano, magari assorbendoli, i mercati a costi alti, che funzionano male. Peresempio, appunto, normalmente le macchine si comprano, non si affittano; così pure sivendono ghisa e acciaio, non si vende l'impasto in via di raffinazione; così pure in presenza dieconomie esterne due imprese si fondono per internalizzarle. Le stesse imprese possono poiridurre i costi di transazione nei mercati in cui operano, comparendo qui come sostituti

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dell’azione pubblica contemplata dalla teoria normativa: ad esempio, come abbiamo visto, lareputazione di un’impresa riduce l’ignoranza del consumatore e facilita lo scambio.

Il caso delle IDPLJOLH è più articolato e interessante. Nella misura infatti in cui ilproblema di fondo del mercato è il comportamento egoista in presenza di informazioniimperfette, si potrebbe ipotizzare che la soluzione è lo sviluppo della coesione sociale, ossiadella sostituzione dell'altruismo o amore all'egoismo. A livello nazionale, come abbiamonotato, questo è stato sperimentato, senza gran successo, dal comunismo cinese e cubano(differenti da quello sovietico).

In ogni società, però, esiste comunque la famiglia come luogo (teoricamente) di amoree altruismo, per cui la soluzione del problema del mercato potrebbe essere quella di contenerel'attività economica all'interno appunto delle famiglie. Questo infatti si verifica per una fettamolto grossa della produzione totale, ma non per tutta l'attività. Il motivo ovviamente è cheanche la famiglia ha dei "fallimenti" economici: la mancanza di capitale umano (capacitàparticolari), e la mancanza di economie di scala.

Peraltro, il vantaggio di costi di transazione della produzione famigliare può esseredovuta all'amore, ma anche ad altre cause: per esempio, si è detto che in agricoltura ilvantaggio del lavoro famigliare è che i membri dipendenti sono soggetti all'autorità delcapofamiglia quasi come schiavi, e non possono minacciare scioperi al momento del raccolto.

Comunque sia, quel che emerge da questa analisi è una visione multipolare, piuttostoche mono- o bi-polare, del quadro istituzionale. Non si considera più il mercato come inqualche senso ontologicamente primario, con il complemento pubblico o privato resonecessario dai suoi fallimenti (e se si continua a parlarne così, è solo per inerzia semantica). Mercato, stato, impresa e famiglia sono istituzioni paritarie, ognuna con una sfera propria incui funziona appunto meglio delle altre, mentre per il resto "fallisce" solo nel senso chequalche altra istituzione funziona meglio.

Il messaggio portato avanti dalla destra adesso dominante è ovviamente quello dilimitare l'intervento pubblico, restringendo lo stato a quella sfera sua propria oltre la quale erastato portato dall'interventismo rooseveltiano e johnsoniano.

7.b.5. l'eticaPortando avanti l'analisi dei costi di transazione, però, la destra americana mina la sua

caratteristica fede nell'individualismo e nella libertà di contrattazione.L'analisi coasiana mette infatti in luce come i liberi mercati funzionino bene solo in

presenza di informazioni perfette; in un mondo di informazioni costose e asimmetriche, ilconsumatore è sempre alla mercè del venditore poco scrupoloso, e bisognoso pertanto ditutela pubblica. Riconoscendo i costi di transazione la stessa analisi borghese rende dunquepalese la speciosità dell'affermazione di Friedman che le imprese hanno come unico doverequello di massimizzare il profitto: il profitto si massimizza infatti sfruttando anche leasimmetrie informative, ma così facendo non si producono quei risultati benefici contemplatidalla mano invisibile.

Logicamente, dunque, le imperfezioni informative portano a diffidare dell'effettosocialmente benefico dell'autonomia individuale. Sono cioè profondamente corrosivedell'idea dei fisiocrati e di Smith, radicata nella cultura generale del mondo anglosassone, chel'individuo che agisce per i fini propri tende ad agire a sostegno degli obiettivi sociali e noncontro di loro; tendono piuttosto a giustificare quel timore viscerale della libertà individualeche era caratteristico dell'DQFLHQ� UpJLPH e che sussiste ampiamente nella cultura cattolico-popolare, socialista, o statalista del continente europeo.

L'alternativa alla tutela pubblica dei consumatori potenzialmente vittime dei venditorimeglio informati è invece proprio quel comportamento "responsabile"--o più semplicemente

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onesto--dei venditori che Friedman sosteneva non fosse necessario. La mano invisibilerichiede infatti non l’egoismo semplice e spregiudicato ma un perseguimento onesto deipropri interessi, dove l'onestà compensa appunto l'impossibilità pratica di negoziare contratti"completi" (ossia contratti che non permettano abusi da chi dispone di informazioniprivilegiate): il mercato funziona bene dove la ricerca del profitto è limitata dall'etica cheproibisce appunto l'inganno, e i costi di transazione sono ridotti proprio perchè ci si puòfidare della parola della controparte.

Questo può averlo già capito lo Smith, che sembra avvertirlo nel suo testo di etica (/DWHRULD� GHL� VHQWLPHQWL� PRUDOL) anche se non nel suo testo di economia (/D� ULFFKH]]D� GHOOHQD]LRQL). Che il buon funzionamento del mercato e dunque dell'economia richieda unsupporto etico è comunque sempre più riconosciuto: ricordiamo l'idea che il Mezzogiorno siapovero proprio per il suo "familismo amorale", ossia per l'assenza di vincoli etici fuori dallafamiglia (E. Banfield, /D�EDVH�PRUDOH�GL� XQD� VRFLHWj� VRWWRVYLOXSSDWD, anni Cinquanta), e ilcaso attuale della Russia ex-sovietica.

Dati i costi di informazione, dunque, la fede nella mano invisibile richiedelogicamente l'etica, e l'educazione che la forma. La destra americana non ne parla, perlomenoin questi termini, ma sembra avvertita del problema. Pur volendo ridurre al minimo il ruolodello stato, infatti, gli vuole assolutamente mantenere il ruolo di educatore, e di educatoreappunto al modo di vita americano, contrassegnato da un livello medio di onestà, e di rispettoper gli altri e per la società civile, che possiamo solo invidiare. E' la sinistra americana chepropone scuole "multiculturali", in cui gli immigrati recenti potrebbero tramandare le loroproprie lingue e tradizioni, mentre la destra non ne vuole sapere di questa estensione dellalibertà di scelta individuale. Sembra un'incoerenza, ma a pensarci bene forse non lo è.

7.c. la teoria dei giochi

7.c.1. il dilemma del prigionieroL'altro grande filone teorico portato a maturità negli ultimi decenni è quello della

teoria dei giochi. Questa teoria è entrata nell'analisi economica come un modo alternativo dimodellare le decisioni, abbandonando le ottimizzazioni marginaliste per esplicitare invece ilproblema della scelta dell'operatore nella consapevolezza non solo delle possibili scelte dellacontroparte, ma della dipendenza di queste dalle proprie. Questo è ovviamente il contesto deigiochi (carte, scacchi...), da cui il nome, e anche il contesto del negoziato,dell'interdipendenza oligopolistica, e simili. Questo modo di analisi è adesso assolutamentedi moda, e molti sviluppi recenti della teoria della politica economica usano questi strumenti(modellando ad esempio la politica monetaria come un "gioco" tra pubblico e banca centrale).

In questo capitolo consideriamo solo il famoso "dilemma del prigioniero," con il qualela teoria dei giochi è entrata nella coscienza comune degli economisti. Questo si presentaperaltro in chiave interventista, come un attacco alla fede smithiana nella "mano invisibile";ripropone di fatto, anche se non sembra sia stato riconosciuto, il ruolo dello stato educatore.

In un contesto di "gioco" ogni operatore deve scegliere tra almeno due "strategie", checomportano per lui un certo risultato che varia con la strategia scelta dalla controparte. Unacombinazione di strategie è un HTXLOLEULR se nessuno dei due cambia la propria scelta vistaquella dell'altro.

La presentazione grafica usuale è quella di una matrice, in cui vengono disposteverticalmente le strategie possibili dell'uno, e orizzontalmente quelle dell'altro; ogni casellacorrisponde dunque ad una possibile coppia di strategie, ed in essa si indicano con due numeriil risultato corrispondente per ciascuno dei due giocatori.

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Nel dilemma del prigioniero si ipotizza che la polizia abbia preso due indiziati, chetiene separati, e ai quali comunica che con le prove che ha può mandarli ambedue in galeraper un anno. Se uno solo dei due ammette il crimine maggiore di cui sono sospettati,fornendo dunque prove contro l'altro che nega, costui otterrà la scarcerazione immediata,mentre l'altro verrà condannato a tre anni; se invece ambedue ammettono il crimine maggiore,evitando o abbreviando il processo, patteggerà due anni di galera per ciascuno.

La matrice del caso si presenta dunque come segue, con numeri negativi nelle caselleper indicare che la reclusione è una pena e non una ricompensa:

PRIGIONIERO B

ammette nega ___________________| | || | |

ammette | -2,-2 | 0,-3 | | | |

PRIGIONIERO A |---------|---------|| | |

nega | -3, 0 | -1,-1 || | ||_________|_________|

Ogni prigioniero ha la scelta tra due strategie, "ammettere" o "negare". Si nota cheper ognuno la strategia "ammettere" è GRPLQDQWH, ossia conviene per qualsiasi sceltadell'altro. Infatti se lui (B) nega (colonna di destra), se io (A) ammetto (riga superiore) scontozero anni (prima cifra della casella in alto a destra), mentre se nego (riga inferiore) sconto unanno (prima cifra della casella in basso a destra), per cui mi conviene ammettere. Se invecelui (B) ammette (colonna di sinistra), se io (A) ammetto (riga superiore) sconto due anni(prima cifra della casella in alto a sinistra), mentre se nego (riga inferiore) sconto tre anni(prima cifra della casella in basso a sinistra), per cui mi conviene ammettere. Dunqueammetto; e lui pure, in base a considerazioni analoghe. L'equilibrio ottenuto in base alledecisioni individuali sarà dunque quello "ammette-ammette", in alto a sinistra, che comportadue anni di reclusione per ciascuno: soluzione peggiore, per ambedue, di quella in basso adestra, in cui ambedue negano.

Il dilemma del prigioniero è stato presentato come la grossa scoperta che l'azioneegoista, individuale, può essere collettivamente dannosa: come una critica, dunque, alla fedesmithiana nella mano invisibile.

7.c.2. considerazioni sul dilemma del prigionieroQuesta analisi, e la conclusione che se ne è tratta, permettono una serie di

considerazioni.Notiamo, primo, che può essere utile in un contesto anglosassone correggere la fede

comune e probabilmente eccessiva nell'azione individuale, "egoista"; in un contesto comequello italiano dove il messaggio smithiano non è mai stato internalizzato, e le possibilità delmercato sono capite da pochi, che la dottrina economica prenda questa piega è culturalmentee politicamente dannoso.

Notiamo, secondo, che la presentazione del problema sembra assurdamenteanglosassone: in un paese serio, quale il nostro, l'equilibrio del dilemma del prigioniero è

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ovviamente "nega-nega", perchè il criminale che ne incrimina un'altro sa benissimo che verràammazzato, con tutta la famiglia, il cane, e il gatto, come esce di galera. La soluzione realedel problema illustrato dal dilemma del prigioniero è pertanto ben nota: dove ilcomportamento egoista porta a risultati collettivamente dannosi la collettività impone lastategia dominata, ma di fatto superiore, come UHJROD di comportamento, punendo chitrasgredisce.

Terzo, è ovvio peraltro che il problema del "dilemma del prigioniero", con la suasoluzione, sono assolutamente comuni, e che non c'è bisogno di andare tanto lontano. Sipensi ad esempio al fare la fila nei negozi, invece di cercare di farsi servire comunque perprimo. E' ovvio che se gli altri fanno la fila, io ci guadagno a non farla, e se gli altri non lafanno sarei sciocco a farla solo io, per cui la strategia dominante è di non fare la fila; e se tuttiragionano così il risultato è che la spesa diventa una lotta a colpi di chi spinge di più, con unaperdita di benessere collettivo. Non a caso è OHGXFD]LRQH che ci dice che dobbiamo fare lafila e aspettare il nostro turno; e la sanzione sociale è la punizione, che può arrivareall'ostracismo, del maleducato identificato come tale.

Si pensi pure ad un conflitto armato: se di fronte all'assalto nemico gli altri tengonoduro e io scappo mi metto sicuramente in salvo, se gli altri scappano e io non scappo mifaccio solo ammazzare per primo, per cui la strategia dominante è quella di scappare. Se tuttiscappano però il fronte cede, e il nemico farà strage dei fuggiaschi: non a caso l'educazionecivica e militare porta ad internalizzare la regola di comportamento collettivamente ottimaleanche se individualmente dominata, e sanziona i trasgressori (il vile è escluso dai FOXEV edalla possibilità di un buon matrimonio; il soldato che abbandona il posto viene passato per learmi).

Si pensi infine alla stessa concorrenza di mercato: è ovvio che è analoga al dilemmadel prigioniero nella misura in cui i venditori otterrebbero tutti profitti maggiori semantenessero prezzi da monopolio, e che l'azione egoista del singolo danneggia alla fine purelui. Non a caso la cosiddetta "etica professionale" consiste proprio nel non farsi concorrenzasui prezzi...

Quarto, tale etica dei professionisti è assolutamente analoga all'omertà crminale nellamisura in cui la regola di "buon" comportamento avvantaggia i membri del gruppo(risolvendo il ORUR "dilemma del prigioniero") a danno della società più ampia. La norma chedeve inculcare la società intera (lo stato educatore) è dunque che l'etica delle coalizioniredistributive va trasgredita in nome di un etica più alta, quella del buon cittadino. Anchequi, gli Stati Uniti sono molto più avanti di noi: la limitazione della concorrenza, che inEuropa è vista come uno strumento assolutamente normale (e da utilizzare senza remore, senon ci fosse la legislazione anti-trust imposta dalla Comunità), è considerata in America uncomportamento asociale e immorale oltre che illegale.

Quinto, è pure ovvio che l'etica che porta alla "buona" soluzione del dilemma delprigioniero deve essere diffusa, per dare ad ambedue i "giocatori" la ragionevole certezza diavere a che fare con una persona che deciderà appunto in modo etico. Il comportamento eticodi ognuno deve essere insomma sostenuto da quello degli altri (la saldezza dell'esercito sibasa non solo sulla disciplina dei singoli, ma sulla fiducia di ciascuno nella disciplina deicompagni). L'equilibrio "buono" è pertanto fragile, e bastano poche eccezioni per farritornare la società a quello "cattivo" (cosa anche questa nota alla coscienza comuneamericana, riassunta dal proverbio "una singola mela marcia può guastare tutto il paniere"). L'azione egoista socialmente nociva va pertanto duramente repressa anche "per incoraggiaregli altri".

Sesto e ultimo, il dilemma del prigioniero illustra di fatto non che sia nociva l'azioneindividuale, ma che lo può essere se non è appunto condizionata da un'etica adeguata. Le

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norme tradizionali dell’etica e dell’educazione esistono infatti per indurre i singoli acomportarsi nel modo corretto, utile alla fine anche a loro, piuttosto che a comportarsi inmodo "strategico" con un danno non solo per gli altri ma anche (data la reazione inevitabiledegli altri) per loro. Descrive dunque in sostanza i problemi non di qualsiasi societàdecentrata e libera, ma in modo specifico i problemi di una società di furbi, in cui alla finetutti si ritrovano a mal partito proprio perchè fanno tutti i furbi. Chi non ha capito lo capirà laprossima volta che si troverà col semaforo verde e l'incrocio bloccato.

7.c.3. una considerazione finaleGli sviluppi teorici degli ultimi decenni hanno aggiunto molto alla comprensione della

funzione, e dei limiti, dell'intervento dello stato. Data l'atmosfera di reazioneall'interventismo precedente, l'analisi è stata sviluppata in modo da far emergere in particolarei motivi di limitare tale intervento: si sono pertanto sottolineati i costi e i "fallimenti" dellostato, e la tendenza dell'attività individuale a elaborare istituzioni efficienti.

Come si è ampiamente detto, però, sia la teoria di costi di informazione che ildilemma del prigioniero sottolineano il supporto etico di cui necessita l'azione decentrata, sesi vuole che sia socialmente benefica; e questo a sua volta implica che lo stato ha ancheun'importantissimo ruolo di educatore.

Che il mercato necessiti di un complemento etico è peraltro cosa nota da tempo. Decenni fa, infatti, era già stato detto che l'economia politica serve a far economia appunto diamore (altruismo, etica). Solo qualche ideologo di parte poteva sostenere che il mercatorendeva l'etica assolutamente irrilevante; piuttosto, l'economia politica insegna quanto si puòfare appellandosi agli interessi piuttosto che all'etica, conservando dunque il ricorso all'eticaper i casi in cui non se ne può fare a meno. Se vogliamo risparmiare petrolio, ad esempio, èinutile appellarsi alla coscienza dei cittadini, basta aumentare il prezzo della benzina e delgasolio; se vogliamo tutelare l'ambiente dall'inquinamento spicciolo da parte del pubblico nonpossiamo far altro che educare i cittadini ad avere coscienza.

Una politica economica bene intesa si fonda ovviamente sulla comprensione dellecapacità, e dei limiti, degli strumenti disponibili, e sulla loro scelta oculata in funzione deisingoli problemi.