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1 LIBRO ELETTRONICO

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L’autore

ROBERTO BONCRISTIANO

Professore di filosofia e storia nei licei, inizia le sue ricerche circa trent'anni fa nel campo dell'ufologia e dell'archeologia di frontiera. Dagli anni novanta del secolo scorso si interessa di archeoastronomia e di storia antica, in particolare quella mesopotamica. Nel 2005 collabora alla stesura del libro di Piccaluga 'Ossimoro Marte'. Conferenziere e studioso di sumerologia, dal 2007 al 2009 insieme a Pietro Albanese pubblica una serie di articoli su riviste nazionali specializzate sulla vicenda Sitchin, rinnovando in Italia l'interesse per le teorie dello studioso di origine ebrea. L'autore nel corso degli anni approfondisce i temi connessi alla paleogenetica. Alcuni articoli compariranno su alcuni importanti siti americani suscitando una notevole curiosità da parte degli addetti ai lavori. Dopo due anni di pausa, pubblica due articoli sulla rivista australiana 'Nexus' sulle vicende storiche della penisola del Sinai e della valle del Giordano. Attualmente sta lavorando sulla tecnologia militare della Mesopotamia e sulla paleoepigenetica.

Idea, progetto grafico e adattamento dei testi (qualora ritenuto necessario) a cura della redazione di “Tracce d’eternità”.

Testo a cura dell’autore. Già pubblicato sui numeri 91 e 92 della rivista mensile NEXUS.

© 2011 di Roberto Boncristiano. Tutti i diritti riservati.

Edizione elettronica in download gratuito dal portale simonebarcelli.org

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PREFAZIONE

Il vento del male di cui ci parla Roberto Boncristiano in

questo saggio è un flagello che, a quanto sembra, possiede

l’inopportuna caratteristica di tornare periodicamente a

incombere sull’umanità. Si è sempre pensato che la follia delle

armi nucleari fosse propria del nostro tempo, della cupidigia e

della depravazione bellica tipica dei governanti del ventesimo

secolo. Potrebbe non essere così. Anzi, per quanto mi riguarda

non è così. Come leggerete in queste pagine, e come è possibile

desumere da altri dati, sembra ormai molto probabile che una

o più civiltà del nostro passato abbiano padroneggiato

l’energia atomica, il cui utilizzo più evidente e inconfondibile è

sempre quello bellico. Ora, uno dei problemi sta nel capire se

questa antica civiltà, alla base del mito di Atlantide, sia di

origine terrestre oppure no. Le grandi capacità tecnologiche

che le vengono attribuite generalmente fanno propendere per

l’ipotesi esogena. Quando però si approfondisce questo punto,

quello cioè dell’utilizzo di armi atomiche, io credo non si possa

non notare una spiccata umanità nelle contese, nei dissidi e

nelle guerre che poi ne sarebbero sfociate. Il fatto stesso che,

come leggerete, ci fosse un numero limitato di ordigni può

indicare che fosse sostanzialmente tutto quello che si era

riusciti a salvare da una qualche precedente catastrofe.

Un’ipotesi relativamente nuova sta prendendo piede tra alcuni

ricercatori: che non fossero extra-terrestri, ma ex-terrestri,

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cioè umani che hanno lasciato il nostro pianeta per poi tornare

e cercare di ricostruire la loro civiltà utilizzando quel poco che

si è salvato. Comprese le armi. Tornando a questo lavoro

minuzioso di Roberto, ciò che è maggiormente apprezzabile, a

nostro parere, è l’approccio a questo argomento a dir poco

spinoso. Sia in termini metodologici che di opportunità. In fin

dei conti già Sitchin ha esplorato questa possibilità ma quasi

sempre basandosi sulla propria interpretazione delle tavolette

sumere. Qui invece si vanno a cercare, e direi a trovare, prove

in campi del tutto diversi. Dalla paleoclimatologia alla fisica

nucleare. Ciò che ne risulta è un corpo di informazioni, che

grazie alla sua rigorosità, è di grande aiuto nello studio del

nostro passato “alternativo”. Spero, sono convinto, che

Roberto non si fermerà qui. Ci sono altre tradizioni e altre

terre che in un lontano passato sono state flagellate da

esplosioni atomiche, come la valle dell’indo e in particolare la

città di Mojen Daro. Accertare questi fatti ci darà innanzitutto

una visione più chiara e realistica dei miti del nostro passato,

ma poi ci consentirà di riflettere sul nostro futuro, su quali

siano le strade da percorrere verso l’evoluzione anziché quelle

de evitare per non rischiare di estinguerci. È la prova più

grande che l’umanità deve affrontare: sopravvivere alla

capacità di usare l’energia atomica. In passato non ci sono

riusciti. Gianluca Rampini

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CAPITOLO 1

Una ipotesi revisionistica in chiave storiografica del repentino

disfacimento dell’impero accadico, databile tra il 2260 e il

2255 a.C., prefigura la decisiva incidenza di fattori climatici

sull’habitat fisico ed economico delle popolazioni residenti.

La disgregazione del tessuto sociale e la disarticolazione

dell’organizzazione politica del primo impero mediorientale

conseguono dalla inabitabilità improvvisa del territorio, con

relativo e consistente esodo degli abitanti, e dunque

dall’interruzione delle attività produttive.

Le cronologie convenzionali proposte posticipano l’implosione

storica dell’impero accadico convergendo sul periodo

compreso tra il 2175 e il 2025 a.C. Uno studio comparato di

geologia chimica per la valutazione di variazioni

paleoclimatiche nell’area mediorientale, compresa tra la

penisola del Sinai e il Mediterraneo ad ovest, la penisola

anatolica a nord, l’Iran a est e il golfo di Oman a sud-est,

pubblicato dalla rivista scientifica “Geology” nell’aprile 2000,

a cura di una prestigiosa equipe di scienziati, tra cui H.M.

Cullen, P.B. deMenocal, F. Sirocko e altri, attesta una

datazione similare. Gli elementi scientifici di natura probatoria

esibiti sembrano accertare un rapido inaridimento della pianura

mesopotamica nel 2025 a.C. circa, con uno scarto temporale di

dieci anni, in più o in meno. I siti perlustrati e

geochimicamente analizzati sono stati l’area di Tell Leilan, nel

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nord-est della Siria, la distesa alluvionale in Iraq, i monti

Zagros, che si snodano dal Kurdistan fino al golfo di Oman per

circa 1500 chilometri e che dividono l’altopiano iranico

dall’Iraq, il fiume Indo, i sedimenti del golfo di Oman.

La comparazione delle polveri sedimentate nelle aree

geografiche di riferimento ha evidenziato picchi

quantitativamente anomali e un’alterazione della loro

composizione chimica, nonché una affinità ascrivibile a un

medesimo sito di origine. I dati sperimentali disponibili

rivelano una sedimentazione massiccia di polveri

mesopotamiche nel fondale marino del golfo di Oman, per

l’azione congiunta di venti asciutti come lo shamal, in grado di

sollevare polveri e sabbie nell’atmosfera. Le proprietà

mineralogiche specifiche delle polveri mesopotamiche, in

particolare elevate dosi standard di carbonato di calcio,

dolomite e quarzo, hanno permesso la loro identificazione

durante l’analisi stratigrafica dei sedimenti marini del golfo di

Oman e, tramite sofisticate e affidabili tecniche di misurazione,

di appurare le loro variazioni quantitative nei periodi

precedenti, giungendo fino al Pleistocene Superiore.

La presenza nel sedimento marino del golfo di Oman di un

minerale costituito da carbonato di calcio e magnesio, la

dolomite, del carbonato di calcio neutro e di un composto

siliceo come il quarzo conferma la loro provenienza dall’area

alluvionale mesopotamica. La sedimentazione massificata di

tali minerali si concentra in un lasso temporale di circa 400

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anni, collocato tra il 2025 e il 1625 a.C. I valori concernenti le

variazioni quantitative dei minerali menzionati certificano un

aumento esponenziale delle polveri di dolomite detritica fino a

cinque volte il valore medio registrato per il periodo terminale

dell’ultima glaciazione, intorno al 10.000 a.C., ma dimostrano

soprattutto un flusso ascendente di polveri dolomitiche dai

0.39-0.43g/cm/k.y. ai 0.97g/cm/k.y. e un aumento significativo

delle percentuali di calcite dal 19% fino al 39%. La crescita

quantitativa delle polveri con un simile ordine di grandezza

inerisce un repentino processo di inaridimento della piana

alluvionale mesopotamica cronologicamente posto nel 2025

a.C. Una puntuale correlazione tra la direzione, l’intensità e la

periodizzazione delle correnti aeree della regione e la

composizione chimica delle polveri trasportate ha consentito

l’individuazione dei siti originari delle componenti

sedimentarie del golfo di Oman. In termini probabilistici si può

escludere che si tratti di una fisiologica oscillazione climatica

di esclusiva origine naturale; pur supponendo un brusco

innalzamento dell’aridità della regione mesopotamica nel

medio Olocene, ciò comporterebbe una comparsa del

mutamento climatico in un arco temporale molto più esteso

rispetto a quello riscontrato dall’indagine geochimica, che

registra lo sbalzo quantitativo della dolomite nel 2025 a.C.

Gli stessi ricercatori in precedenza menzionati, marcano la

inusuale subitaneità della variazione climatica e del suo

carattere “drammatico”, documentato dai picchi valoriali

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misurati nelle stratificazioni sedimentarie del golfo di Oman e

relativi agli isotopi radiogenetici di Stronzio e Neodimio.

Le analisi isotopiche radiogenetiche di questi elementi sono

state inoltre determinanti per definire con assoluta precisione le

aree interessate al processo di inaridimento e per escludere la

causa naturale. Anche se i dati sperimentali scaturenti dalla

misurazione degli isotopi di Stronzio e Neodimio implicano un

discostarsi di dieci anni dal 2025 a.C., come sequenza

temporale entro cui porre l’inizio dell’inaridimento del

territorio mesopotamico, si deve eccepire la sua eccessiva

brevità per poter sostenere la improponibilità dell’origine

naturale di un evento climatico istantaneo. L’accuratezza dei

dati geochimici e la loro attendibilità scientifica hanno indotto i

geologi a determinare il 2025 a.C. come perno cronologico

della periodizzazione dei fenomeni paleoclimatici inesplicabili

della Mesopotamia. Nell’ambito di un monitoraggio del

processo evolutivo del paleoclima del pianeta si pone la ricerca

di Peter B. deMenocal, la cui indagine sulle variazioni

climatiche dell’area mesopotamica nel tardo Olocene focalizza

il nesso causale tra l’inaridimento della zona settentrionale e il

collasso economico e sociale dell’impero accadico.

La datazione emergente dall’analisi geochimica di deMenocal

ribadisce per l’ennesima volta il periodo soggetto al mutamento

climatico, additando però la data correttiva del 2024 a.C. come

la fase iniziale di violente tempeste di materiali detritici in

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grado di infrangere l’organizzazione delle attività agricole e di

provocare una destabilizzazione economica e sociale.

La conseguenza devastante sarà la migrazione delle

popolazioni dall’area settentrionale mesopotamica verso la

zona sud del territorio mesopotamico: “..an abrupt increase in

eolian dust from 4025 BP reveals that arid conditions persisted

in the region for 300 years. A comparison of geochemical ash

shards found at the archeological site and in the marine

sediment record reveal that an abrupte climate shift to arid

conditions occurred at the same time as the collapse of

Akkadian empire, further implicating climate change as the

cause...[...] ..archeological evidence shows the populace

abandoned northern Mesopotamian agricultural plains and

moved to the south, where population numbers expanded..”

(…un brusco incremento di tempeste di polveri detritiche dal

4025 prima del tempo presente rivela che condizioni di aridità

sono persistite nella regione per 300 anni. Una comparazione a

livello geochimico delle componenti delle ceneri trovate nel

sito archeologico e nei sedimenti marini mostra che un

repentino avvicendamento climatico verso condizioni di aridità

è sopraggiunto contemporaneamente al collasso dell’impero

accadico, ulteriore conferma del cambiamento climatico come

la causa di fondo…[…]…evidenze archeologiche indicano che

la popolazione ha abbandonato le aree agricole del nord della

Mesopotamia ed è emigrata verso il sud, dove il numero degli

abitanti si accresce significativamente…).

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Il periodico alternarsi di climi umidi e asciutti risponde ai cicli

climatici preventivabili in relazione a impatti sull’atmosfera dei

flussi dell’energia solare, soggetti a sistematiche variazioni

quantitative. La scansione temporale delle fluttuazioni

dell’energia eliaca non coincide con il periodo storico

considerato, se inquadriamo i fattori relativi al minimo di

Maunder, alla termoregolazione indotta da componenti esterne

come la energia radiante solare e le oscillazioni orbitali, o da

componenti interne come la composizione atmosferica, il

campo magnetico terrestre e le correnti marine.

I dati disponibili sono insufficienti per acclarare nel paleoclima

mesopotamico una imprevista irruzione di fattori naturali tali

da imprimere un mutamento climatico rilevante e da innescare

un processo d’inaridimento nella regione. D’altro canto, anche

nell’ipotesi di conferme sul piano scientifico di una genesi

naturale del processo d’inaridimento del 2024 a.C., permane

l’anomalia di un mutamento climatico in un’area

geograficamente troppo ristretta e per un periodo molto

limitato. In termini di oscillazioni dei microclimi, l’ordine di

grandezza dei fattori esaminati è minimale e dunque

sproporzionato per difetto. Se le risultanze poste in essere dalla

ricerca scientifica sollevano serie perplessità su un ruolo delle

cause naturali, esse possono essere recuperate se si ritiene

plausibile ipotizzare l’adeguatezza degli effetti climatici

rispetto alle potenzialità constatate degli agenti climatici

esogeni ed endogeni. Esorbita dal potere esplicativo di questa

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ipotesi la innaturale rapidità con cui si è innescato il processo

d’inaridimento. Avallando quest’ultima obiezione all’origine

naturale del mutamento climatico per la sua fondatezza

scientifica, essa deve essere integrata da una spiegazione di

natura storica, in grado di armonizzare gli elementi di

conoscenza apparentemente incompatibili delle scienze

specialistiche. Una ricostruzione del passato della civiltà

mesopotamica ci conduce intorno al 2370 a.C., quando sorge

l’impero di Akkad e Sumer, guidato dal sovrano Sharru.kin,

conosciuto come Sargon. Viene creata una realtà geopolitica

fortemente innovativa, con un’organizzazione politica ed

economica che sopravanza la civiltà delle città-stato sumere.

Dalla capitale imperiale Agade, Accad nella lingua semitica, si

pianificano spedizioni militari tendenti alla sottomissione dei

territori occidentali, da cui provengono le minacce più serie

alla stabilità dell’impero accadico, tra cui gli amorriti, popolo

di lingua semitica. L’abilità di Sargon il Grande consente

l’ampliamento dell’impero, che include l’intera Mesopotamia e

si estende dal Mediterraneo al golfo Persico, dalla Siria a parte

della penisola anatolica, per giungere alle propaggini dei monti

Zagros. Sargon governa secondo la cronologia ortodossa dal

2334 al 2279 a.C., ma non vi è unanime concordanza, perché

alcuni studiosi come Sitchin anticipano il dominio di Sargon

collocandolo tra il 2370 e il 2316 a.C.

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Sulla destra, Sargon di Accad

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La questione cronologica è cruciale per una corretta linea

temporale degli eventi storici dell’antica Mesopotamia.

Le fonti documentali di riferimento sono costituite dal testo

autobiografico “La leggenda di Sargon”, da un documento

conosciuto come “La cronaca di Sargon”, integrato dal testo

“La maledizione di Agade”. I testi citati testimoniano la

successione al trono imperiale dei figli di Sargon Rimush, dal

2316 al 2309 a.C., e Manishtushu dal 2309 al 2294 a.C.

Il figlio di Manishtushu, Naram-Sin, regna dal 2294 al 2257

a.C. Non è casuale il suffisso Sin, un termine accadico

denotante il dio sumero Nannar, a riprova di una mutuazione

del pantheon divino accadico da quello sumero.

Naram-Sin è figura di rilievo, in quanto la sua vicenda è

emblematica di un insanabile contrasto di apparente natura

mitologica tra due presunte fazioni degli dei, desumibile dal

resoconto di tavole sumere, in una nuova e controversa

traduzione proposta da Sitchin, studioso indipendente.

Il nostro intento si limita a reperire elementi conoscitivi

condivisi dalla comunità scientifica per legittimare la

fondatezza di una innovativa versione esplicativa di eventi

traumatici della storia mesopotamica.

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CAPITOLO 2

Gli schieramenti divini sono connessi al tentativo egemonico

messo in atto dai due capostipiti delle divinità sumere, Enlil ed

Enki. Questa lotta millenaria per la supremazia sulle regioni del

mondo antico, comprendente la Mezzaluna fertile, coinvolge

anche i loro discendenti divini e si estende anche agli umani,

pedine fondamentali di una strategia politica e militare

estremamente complessa.

I territori contesi sono dislocati nell’area mesopotamica,

contraddistinta dalla presenza di città-stato, entità geopolitiche

controllate dagli dei enliliti ed enkiti. Protagonisti di spicco

Enlil, i figli Ninurta e Nannar-Sin, e la nipote Inanna-Ishtar,

figlia di Nannar-Sin; il ceppo familiare avversario annovera

Enki, i figli Ningishzidda-Toth, Nergal-Erra e Marduk-Ra.

Rinviando i lettori alla bibliografia per gli approfondimenti, la

tensione tra i due clan divini diviene spasmodica per le

ambizioni politiche della dea Inanna-Ishtar, spalleggiata dal

nonno Enlil e inizialmente da tutto il suo clan familiare, che

aspira ad esercitare un dominio territoriale e a contrastare le

mire egemoniche di Marduk-Ra, determinato nel voler imporre

la sua leadership a tutti gli dei, compresi i componenti del clan

enlilita. Con il beneplacito del nonno Enlil, si permette a

Inanna, in accadico Ishtar, di fondare l’impero di Sumeria e

Accadia mediante il supporto delle campagne militari di

Sargon il Grande. La nascita dell’impero accadico collima con

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il proposito degli dei enliliti di contenere l’espansionismo

territoriale e il consenso crescente delle popolazioni nei

riguardi di Marduk, che si avvale della preziosa opera di

proselitismo del figlio Nabu. In questo contesto un ruolo

strumentale viene attribuito inizialmente a Sargon il Grande,

che unifica il territorio mesopotamico creando una realtà

geopolitica comprendente la Sumeria e l’Accadia, situata a

nord. L’arroganza di Sargon, che osa sfidare i suoi dei tentando

di emularli nelle loro gesta, lo condurrà a morte violenta,

decretata dagli dei enliliti. L’impero accadico sarà tenuto in

vita da suo nipote Naram-Sin, abile condottiero e politico di

notevole finezza, che saprà garantire un’ulteriore espansione

dell’impero e contrastare efficacemente la politica di

reclutamento dei popoli occidentali messa in atto da Marduk e

Nabu. La divinità indiziata di manovrare Naram-Sin per

assecondare il proprio delirante spirito di onnipotenza è Ishtar,

che lo incita persino a invadere la vitale regione del Sinai, il

sito del porto spaziale degli dei. Questa profanazione del

territorio riservato alle sole divinità viene recepita come un atto

sacrilego e durante l’assemblea degli Anunnaki viene

deliberata all’unanimità la distruzione totale di Accad, la

capitale dell’impero. Dal testo “La maledizione di Agade” si

evince come strumento di morte l’incursione dei Gutei,

verosimilmente provenienti dall’area dei monti Zagros e fedeli

alle divinità enlilite. Siamo nell’anno 2257 a.C. La scomparsa

di Agade non implica lo smantellamento contemporaneo

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dell’impalcatura organizzativa dell’impero accadico, che

sopravvive tramite il trasferimento della sovranità a Lagash,

città dove risiede Ninurta, in grado di attutire provvisoriamente

i contraccolpi negativi derivanti dal prestigio di cui gode

Marduk presso le popolazioni terrestri. Per circa un secolo

Ninurta limita il processo di decadenza politica dell’Accadia e

della Sumeria, ma nulla può di fronte alla irresistibile ascesa

politica di Marduk e Nabu.

Marduk

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L’urgenza di ripristinare nella regione l’autorità degli enliliti

comporta la loro scelta di affidare a Nannar-Sin il compito di

gestire la delicata situazione e d’individuare la città di Ur come

centro nevralgico di una strategia tesa a riaffermare il controllo

enlilita sulla Sumeria. Inizia il terzo periodo di Ur come centro

politico della Sumeria, coincidente con la sequenza temporale

2113-2024 a.C. Il primo sovrano di Ur è Ur-Nammu, il cui

significato è “la gioia di Ur” e regna dal 2113 al 2096 a.C. Ur-

Nammu si fregia anche del titolo di sovrano di Sumer e Akkad

e intraprende nel 2096 una campagna militare contro i regni di

Occidente, affiliati al clan degli enkiti, ma gli esiti sono

disastrosi e la morte di Ur-Nammu ne conclude la vicenda

terrena. La terza dinastia di Ur prosegue con le figure di Shulgi

(2095-2048 a.C.) e di Amar-Sin (2048-2039 a.C.), che tutela

gli interessi degli dei enliliti mediante una strategia militare

tesa a respingere l’avanzata degli eserciti fedeli al clan di

Marduk e del figlio Nabu. Il successore Shu-Sin (2038-2030)

argina con difficoltà la pressione delle città e dei regni

filomardukiti e si attesta su posizioni difensive nella parte

centrale della Sumeria. Ibbi-Sin (2029-2024 a.C.), ultimo re

della Terza dinastia di Ur, subirà le conseguenze di tragiche

decisioni assunte dal clan degli dei enliliti per privare

definitivamente Marduk e Nabu della superiorità militare e

strategica scaturente da un loro imminente controllo del porto

spaziale, situato nella penisola del Sinai. Le ragioni del

sovrumano sforzo per disporre di un porto spaziale si

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incentrano sulla superiorità militare conseguibile mediante il

controllo dei cieli. Il dominio dell’aria era la premessa

imprescindibile per un’egida planetaria e di ciò sono

consapevoli i due clan divini. La conformazione orografica

della penisola del Sinai e la sua posizione geografica la

rendono idonea all’insediamento di un porto spaziale, con tutta

plausibilità nella parte centrale, costituita da un altopiano, ma

sulle indicazioni desumibili da alcune documentazioni della

civiltà sumera non si può escludere la pianura settentrionale.

La penisola veniva indicata dai Sumeri con il termine

“Tilmun”, ossia “il luogo dei missili”, ma un altro possibile

significato è la “Terra del Vivente”.

Confronto tra la rappresentazione sumera del Tilmun e la penisola del Sinai

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Un approccio interdisciplinare prefigura una mappatura del sito

portuale che focalizza il monte Mashu come riferimento o

preannuncio topografico del porto spaziale, a cui ben si addice

un terreno solido di natura ghiaiosa come quello della Pianura

Centrale. Il monte Mashu è dislocato nei pressi di Kadesh-

Barnea ed è assimilabile all’area interna centrale della penisola.

L’esigenza di garantire la sicurezza dei voli impone una

pianificazione delle rotte con una nitida visualizzazione dei

corridoi di atterraggio; all’uopo s’istituiscono riferimenti

geografici espressi dalle vette gemelle dell’Ararat e dalle

piramidi della piana di Giza. Da quanto contestualizzato il

porto spaziale doveva essere ubicato sulla intersezione tra il

30° parallelo, che attraversa la piana di Giza, e la rotta di

atterraggio convergente dal monte Ararat. Ci sembra molto

plausibile l’accanimento con cui le due fazioni divine si

fronteggiano per il controllo del porto spaziale, adducendo

come ragione di fondo la volontà di subordinare a sé i destini

del pianeta. Un serie di conflitti si susseguono nel tempo,

giungendo al suo acme con la Guerra dei Re, che registra lo

scontro tra gli invasori d’Oriente guidati tra gli altri dal re

Kudur-Lagmar, identificabile con il biblico Khedorla’omer, e

le città cananee, di orientamento enkita. Malgrado i suoi

successi militari, Kudur-Lagmar non consegue l’obiettivo

prioritario dell’offensiva, che è il possesso del porto spaziale

della penisola del Sinai, per il tempestivo intervento di

Abramo, incaricato dalle autorità enlilite di sbarrare la strada a

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Kudur-Lagmar. Questo frangente è storicamente rilevante,

essendo ipotizzabile circoscrivere questo potente re orientale

come alleato del biblico “Amraphel, re di Shin’ar”, dunque con

un re della regione mesopotamica. Sulla base dei testi

cuneiformi conosciuti come i “Testi di Khedorla’omer”, siamo

in grado di associare Amraphel, il capo degli invasori orientali,

alla figura di Amar-Sin, terzo sovrano della Terza Dinastia di

Ur. Il dato è indicativo di un protagonismo storico dell’impero

di Sumer e Akkad nella sua fase terminale e del suo

coinvolgimento negli eventi che precedono l’attacco nucleare

alla penisola del Sinai del 2024 a.C. Siamo nel 2041 a.C.,

durante la Guerra dei Re, intrapresa con la spedizione militare

di Amar-Sin. Gli eventi bellici successivi connotano

un’invasiva espansione territoriale delle forze enkite, e il

timore di un’imminente caduta dell’intera area mesopotamica

nelle mani di Marduk e del figlio Nabu spinge gli enliliti a

decisioni drastiche. L’unico obiettivo perseguibile dagli enliliti,

in procinto di una disfatta inaspettata, era impedire agli enkiti

di impadronirsi del porto spaziale della penisola del Sinai.

Il susseguirsi convulso dei fatti è documentato da una serie di

testi atavici, riconducibili ai capitoli della “Genesi”, a “La

profezia di Marduk”, alla testimonianza prodotta dalle tavole

cuniformi intitolate “I testi di Khedorla’omer”, al documento

“L’Epopea di Erra”.

Un contributo alla ricostruzione del dramma storico deriva da

alcuni testi mesopotamici come “La Lamentazione per la

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distruzione di Ur”, “La Lamentazione di Ur”, “La

Lamentazione per la Desolazione di Ur e Sumer”, “La

Lamentazione di Uruk”, “La Lamentazione di Nippur”,

“Lamentazione di Eridu”.

Si acuisce la contrapposizione tra i due schieramenti divini

quando ascende al trono di Ur Shu-Sin nel 2038 a.C. Il sovrano

s’impegna nell’erigere una fortificazione muraria a scopo

difensivo e nell’ingraziarsi gli dei enliliti mediante una

restaurazione dei templi religiosi presso la città di Nippur, in

modo da rinverdire il culto in onore del dio Enlil. Il suo vano

tentativo di preservare il cuore dell’impero di Sumer e Akkad

dall’invasione degli eserciti enkiti termina bruscamente nel

2030 a.C. con la sua morte. Gli succede nel 2029 a.C. Ibbi-Sin,

che non può arginare l’avanzata delle truppe devote a Marduk e

al figli Nabu verso Ur e Nippur. Gli eserciti avversari si

affrontano nei pressi di Nippur, e ivi si consuma l’evento

catalizzatore che innescherà il processo decisionale per un

attacco atomico nei confronti della fazione enkita. Il

saccheggio e la devastazione della città di Nippur e del suo sito

sacro, l’Ekur, ad opera di Nergal-Erra, figlio di Enki ma alleato

di Ninurta e di Enlil è il prologo della guerra nucleare.

Un passo dei Testi di Kedorla’omer sancisce le gravi

responsabilità di Nergal: “…Portate via il bottino dell’Ekur,

portate via ogni suo valore, distruggete le sue fondamenta,

distruggete il recinto del suo tempio…”. Ninurta accusa

deliberatamente Marduk e Nabu di aver concepito questo

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disegno criminale e sacrilego, sollevando intenzionalmente

Nergal-Erra da qualsiasi sospetto. Durante le burrascose

riunioni degli dei, Enki e Nabu difendono le legittime

aspirazioni di Marduk alla supremazia sugli dei e si scagliano

con veemenza contro Nergal, accusato di essersi schierato con

gli enliliti. L’odio prevale sulla moderazione e Nergal alimenta

il rancore degli enliliti, dovuto all’umiliazione patita con il

saccheggio della città sacra di Enlil. Per portare a termine il suo

progetto di morte Nergal si persuade della necessità di

adoperare le armi atomiche, accuratamente nascoste in

territorio africano, per annientare Marduk e Nabu e per

spazzare via le enclave enkite sui territori contesi da millenni.

Nel corso di una drammatica riunione dell’assemblea degli dei

Nergal sollecita un intervento risolutore per ridimensionare

brutalmente le ambizioni di Marduk e, malgrado la fiera

opposizione di Enki, gli dei dell’assemblea accolgono la sua

richiesta, e incassano inaspettatamente il consenso del dio

supremo An. L’approvazione riscossa da Nergal era però

subordinata al vincolo dell’incolumità degli abitanti del

territorio e degli stessi dei presenti nell’area prescelta per

l’annientamento delle forze enkite. Inoltre, gli obiettivi

dell’attacco nucleare dovevano essere preventivamente

prefissati e circoscritti, in ossequio ad esclusive ragioni di

strategia militare complessiva, proprio al fine di scongiurare i

terribili effetti collaterali delle esplosioni nucleari. Nergal,

mosso da irrefrenabile spirito vendicativo, è intenzionato ad

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annichilire la sua famiglia e i loro seguaci umani con un’azione

dirompente in tutta l’area mesopotamica, giungendo sino al

mar Mediterraneo e alla regione mediorientale. Le astuzie

diplomatiche di Ninurta, coadiuvate dal doveroso ossequio nei

riguardi delle decisioni del massimo organo rappresentativo

della volontà degli dei, inducono Nergal a rinunciare ai suoi

spropositati fini e a pianificare una distruzione del porto

spaziale del Sinai e delle città ribelli che avevano appoggiato

Nabu. Si doveva garantire un attacco simultaneo al porto

spaziale e alle città prospicienti le coste meridionali del mar

Morto per non concedere a Nabu nessuna possibilità di fuga o

di salvezza.

Il testo assiro “L’epopea di Erra”, nella versione proposta da L.

Cagni, descrive in modo particolareggiato l’olocausto nucleare

che infierirà sulla penisola del Sinai. Vengono recuperati da

Nergal e da Ninurta i sette missili a testata nucleare

accuratamente occultati nel territorio africano controllato da

Gibil, un fratello di Marduk e di Nergal. Le testimonianze

antiche combaciano nella descrizione degli eventi infausti; nei

“Testi di Kedorla’omer” si indugia sulla distruzione del porto

spaziale: “…ciò che veniva innalzato e lanciato verso Anu essi

lo distrussero; il suo volto fecero scomparire, e non restò che

desolazione…”.

Il testo “Epopea di Erra” ribadisce con ulteriori dettagli

l’accadimento: “…Ishum (Ninurta) diresse i suoi passi al

monte più alto, portando dietro di sé le sette spaventose armi

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che non hanno eguali. L’eroe arrivò al monte più alto, alzò la

sua mano ed ecco: il monte crollò; passò quindi alla pianura

più vicina al monte più alto; in quel bosco non rimase in piedi

neanche un albero…”.

Un ennesimo testo cuneiforme riporta la distruzione del porto

spaziale, identificato con la sigla K.5001 e pubblicato dalla

Oxford edizioni: “…Signore, tu che hai portato colui che ha

bruciato l’avversario; tu che hai annientato la terra

disobbediente; ..[…]..che hai fatto piovere pietre e fuoco sugli

avversari…”.

La penisola del Sinai dallo spazio

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CAPITOLO 3

Un altro documento, con linguaggio cuneiforme e rintracciato

nella biblioteca di Nippur, concorda con le versioni dei fatti

riportate dagli altri testi mesopotamici legittimandosi

vicendevolmente: “…Ninurta partì alla volta del monte Mashu,

Nergal lo seguiva dappresso. Ninurta controllava dai cieli il

Monte e la pianura, posti al centro della quarta regione…[…]

…dai cieli allora Ninurta liberò la prima arma del terrore.

Recise con un lampo la cima del monte Mashu, in un solo

istante fuse le viscere del monte. Liberò la seconda arma sopra

il Luogo dei Carri Celesti. Con la brillantezza di sette soli, le

rocce della pianura vennero tramutate in una ferita stillante.

La Terra tremò e andò in frantumi, i cieli, dopo la brillantezza,

si oscurarono. Di pietre bruciate e frantumate era ricoperta la

pianura dei carri. Di tutte le foreste che avevano circondato la

pianura, solo il fusto degli alberi erano rimasti in piedi …”.

Il monte Mashu era stato prescelto per dislocare le

strumentazioni atte alla gestione e al controllo dei voli spaziali,

e tutte le operazioni relative al decollo e atterraggio delle

navicelle spaziali; era dunque un obiettivo prioritario rendere

inutilizzabile o cancellare il centro di controllo dei voli

spaziali. L’esplosione del primo missile a testata nucleare,

sganciato da un velivolo, determina un effetto termico tale da

fondere istantaneamente la parte interna del monte Mashu,

mentre l’energia sprigionata dallo scoppio tronca la cima del

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monte. Con un secondo missile a testata nucleare Ninurta

colpisce la pianura centrale, contigua al monte e adattata a pista

di atterraggio e decollo di velivoli spaziali.

Ninurta

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Gli effetti immediati sono la fusione del manto della pianura e

la frammentazione delle rocce, annerite dall’immenso calore.

La ricerca di prove oggettive extratestuali ci conduce a

esaminare alcune foto satellitari, che immortalano una

fenditura profonda della pianura centrale, attorniata verso

l’area nord-orientale da una superficie nerastra, colorazione

anomala dovuta alla presenza sul terreno di innumerevoli

frammenti rocciosi neri. Centinaia di milioni di pezzi di roccia

nera. La moderna scienza geologica ci informa che le rocce

caratteristiche della penisola del Sinai sono prevalentemente

costituite da rocce calcaree bianche e da arenarie che sfumano

in diversi colori, escluso il nero. Non essendo state rilevate

zone vulcaniche, permane il mistero dell’origine di queste

rocce scure. Le rocce nerastre o molto scure sono di origine

vulcanica e sono costituite da materiale magmatico

solidificatosi a contatto con l’aria o l’acqua: le rocce nere della

pianura centrale del Sinai non sono quindi basaltiche. Solo una

immensa fonte di calore può surriscaldare rocce calcaree e

arenarie, le cui temperature di fusione si attestano tra i 650° e i

950° gradi.

Un’ipotesi esplicativa plausibile è rappresentata da un impatto

di un corpo meteoritico con la superficie della penisola del

Sinai, ma non sono stati rilevati materiali detritici residuali da

collisione, tanto meno la fenditura visibile al centro del Sinai

presenta contorni o bordi circolari, tipici di un incavo di origine

meteoritica.

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Ci sovviene la testimonianza del testo di Nippur: “…recise con

un lampo la cima del monte Mashu, in un solo istante fuse le

viscere del monte…”. Esplicitando il riferimento come un

processo di fusione della massa rocciosa del monte Mashu,

esso può configurarsi come l’esito di un evento non naturale,

assimilabile all‘esplosione di un ordigno nucleare.

Analizzando gli effetti specifici di un’esplosione atomica di

una bomba con un potenziale di un megatone, ad un’altezza

stimata di alcune centinaia di metri, si svilupperebbe una

temperatura nel punto d’impatto di alcuni milioni di gradi, con

la conseguente fusione di materiale roccioso. La sfera di fuoco

generata dall’esplosione nel suo movimento ascensionale

solleverebbe con sé l’aria e tutti i materiali detritici derivati

dalla disgregazione fisica del monte Mashu. La presenza di

centinaia di milioni di frammenti rocciosi anneriti e disseminati

nella piana circostante può essere esplicata, almeno in parte,

con la ricaduta successiva del materiale detritico anche in

un’area di centinaia di chilometri quadrati, in prossimità del

monte Mashu. Non si dimentichi che temperature così elevate

inducono lo scoppio di incendi anche a ragguardevoli distanze,

coinvolgendo ambienti naturali circostanti.

Dal testo sumero si evince che le foreste circostanti la pianura

indiziata sono state letteralmente incenerite e solo una onda

termica di notevole intensità, del tutto analoga a quella creata

da un’esplosione di ordigno nucleare, può innescare incendi a

distanze importanti. Non dobbiamo trascurare l’effetto

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sinergico, imputabile allo scoppio di un secondo missile a

testata nucleare e lanciato da Ninurta dall’alto direttamente

contro la pianura contigua al monte Mashu e sede del porto

spaziale. Infatti, i due missili sono stati scagliati in un arco

temporale estremamente ridotto, quasi contemporaneamente, e

certamente gli effetti devastanti di natura calorica delle due

bombe atomiche si sono reciprocamente potenziati.

Aggiungiamo che incendi di questa origine e portata hanno un

potere calorifico stimabile fino a 1000° gradi di temperatura e

per diverso tempo arroventerebbero tutto ciò che è compreso

nella zona coinvolta. Un dato probatorio indiretto di un evento

nucleare indigeno è il rilevamento di una concentrazione

innaturale nella pianura centrale del Sinai di isotopi di uranio

235, impiegato per la fabbricazione di bombe nucleari e

termonucleari. Quantità così elevate di uranio 235 cozzano con

una distribuzione abbastanza omogenea dei minerali di

estrazione nella crosta terrestre. Non sovvenendoci spiegazioni

di ordine naturalistico per una simile concentrazione, si deve

concludere che concentrazioni di isotopi di uranio 235 di

questa entità sono addebitabili ad esplosioni di missili a testata

nucleare. Percentuali esorbitanti di uranio 235 nella piana

centrale del Sinai possono essere addotte per alcuni test

nucleari attuati da Israele negli anni sessanta, giungendo alle

soglie degli anni settanta. Questo dato destituisce di ogni

fondamento la testimonianza storica dei testi mesopotamici

afferenti l’impiego di armi nucleari nella penisola del Sinai nel

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2024 a.C., deducendo come causa di quantità apprezzabili di

uranio 235 l’irradiazione connessa allo scoppio di bombe

nucleari sperimentali da parte di Israele.

In realtà, la documentazione storica tramandataci dalle culture

mesopotamiche viene avvalorata nella sua attendibilità da un

ritrovamento insolito effettuato nel 1986 da una equipe di

ricerca francese, tra cui Gilles Dormion e Jean-Patrice Goidin.

Mediante strumentazioni di alta tecnologia individuano una

cavità esterna posta sul lato occidentale del Passaggio

orizzontale, che conduce dal corridoio ascendente della Grande

Piramide della piana di Giza alla camera della Regina. Dopo

aver praticato tre fori nel muro occidentale del Passaggio

orizzontale, avvistano uno strato sabbioso e ne prelevano dei

campioni per l’analisi geochimica. Pur non essendo stati

divulgati pubblicamente dai francesi i risultati delle indagini di

laboratorio, alcuni dati sono stati desunti da ricerche di

laboratorio condotte dagli egiziani e sono disponibili presso la

biblioteca dell’ARCE del Cairo. Le caratteristiche di questa

enigmatica sabbia consistono nell’essere sottile e fine come il

talco, nell’essere amalgamata con minerali pesanti, nel

provenire dalla pianura del Sinai e non dalla piana di Giza.

È alquanto inspiegabile utilizzare sabbia proveniente da diverse

centinaia di chilometri piuttosto che quella della piana di Giza,

ma l’elemento significativo è la radioattività di questa sabbia

depositata nella grande Piramide. È stato appurato che sono

presenti isotopi di uranio 235 in questo reperto archeologico e

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ciò consente l’ammissione di un evento di natura nucleare nella

penisola del Sinai non attribuibile ai test nucleari israeliani

degli anni sessanta.

Non sarebbe persuasivo l’intento degli israeliani di depositare

(deporre o riporre) sabbia del Sinai, resa radioattiva negli anni

sessanta da test nucleari del XX secolo d.C., all’interno di una

cavità nascosta e localizzata dietro la parete occidentale del

Passaggio orizzontale della Grande Piramide.

Nell’ipotesi più ottimistica, la Piramide di Cheope va datata

intorno alla seconda metà del terzo millennio; dunque, una

sabbia contenente isotopi di uranio 235 è stata stratificata in

una cavità sbarrata da un muro di due metri e mezzo di

spessore almeno nel venticinquesimo secolo a.C.

Pur non essendoci una collimazione cronologica tra l’attacco

nucleare alla penisola del Sinai (2024 a.C.) e la costruzione

della Grande Piramide (2470 a.C. circa), si evince dal

rilevamento di isotopi di uranio 235 nella sabbia del Sinai

scoperta all’interno della Grande Piramide l’esistenza

incontestabile di una tecnologia militare nucleare antecedente il

blitz atomico degli enliliti di almeno 446 anni circa.

Altri riscontri testuali di un attacco nucleare sferrato

contemporaneamente al crollo definitivo dell’impero accadico

ineriscono al ruolo di Nergal-Erra, l’altra divinità responsabile

dell’olocausto nucleare. Il testo assiro “Epopea di Erra”

contempla alcuni passaggi sulle modalità di distruzione di

cinque città dislocate lungo le coste meridionali del mar Morto

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e sulla tipologia di armi adoperate, non necessariamente legate

ad un’unica tecnologia nucleare. Secondo queste testimonianze

“…Nergal desiderò emulare Ninurta…seguendo la Strada dei

Re, volò fino alla valle verdeggiante delle cinque città. Nella

valle verdeggiante, dove Nabu stava convertendo la gente,

Nergal progettava di schiacciarlo come un uccello in gabbia.

Sulle cinque città, l’una dopo l’altra, Erra inviò dai cieli

un’arma del terrore. Distrusse le cinque città della valle, le

città si tramutarono in desolazione. Furono sconvolte dal

fuoco e dallo zolfo, tutto ciò che in esse aveva vita si trasformò

in vapore…”.

Le informazioni da trarre sono senz’altro coerenti con le

acquisizioni attuali delle indagini scientifiche specialistiche; la

Strada dei Re s’inoltra lungo la costa mediterranea della

Penisola del Sinai ed è la via che conduce alle sponde

meridionali del mar Morto, dove sono disposte le cinque città

annientate. Nergal sta palesemente dirigendosi nella zona

prescelta tramite un velivolo militare equipaggiato con cinque

missili dotati di bombe di distruzione di massa. Sulla base dei

più recenti dispositivi tecnologici di natura bellica, si presume

che Nergal abbia predisposto un attacco nucleare finalizzato al

conseguimento di esiti distruttivi totalmente certi ed efficaci.

Il lancio di missili a testata nucleare dall’alto è stato effettuato

per garantire un’esplosione delle bombe atomiche a un’altezza

ideale, in modo da ottimizzarne gli effetti mortali. Non sono

state impiegate bombe ad altissimo potenziale, i cui effetti

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annientatori sono inversamente proporzionali alla potenza

dell’arma nucleare, per cui non risultano idonee rispetto agli

obiettivi bellici prefissati da Ninurta.

I riferimenti del testo assiro alle conseguenze scaturenti dal

lancio dei missili a testata nucleare sono compatibili con i

danni sortiti da bombe atomiche. Si suppone che ogni città

situata nella vallata circostante le coste meridionali del mar

Morto sia stata distrutta da un solo missile, avendo Ninurta a

disposizione non più di cinque missili, dotati ognuno di una

testata esplosiva. Inoltre, si arguisce che solo una testata di tipo

nucleare sia in grado di sviluppare una onda d’urto e una

pressione di sufficiente intensità tali da determinare un effetto

compromissorio sul complesso urbanistico di una intera città.

Il testo assiro allude in modo univoco a una distruzione globale

delle città. L’onda termica sviluppata dall’esplosione della

bomba innalza fino all’inverosimile la temperatura

dell’ambiente circostante, con l’innesco di incendi dei materiali

più sensibili al rialzo termico. Lo scoppio di incendi simultanei

può degenerare in una tempesta di fuoco, alimentata

dall’ossigeno atmosferico e coadiuvata da incendi

relativamente secondari, imputabili a esplosioni di materiali

altamente infiammabili, senza escludere la sollecitazione

dell’onda di pressione: “…le città furono sconvolte dal fuoco e

dallo zolfo…”.

L’equivalenza terminologica con la testimonianza biblica della

distruzione delle città di Sodoma e Gomorra si giustifica per

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una condivisa memoria di eventi di natura epocale, che si sono

impresse nell’immaginario collettivo dei popoli antichi:

“…quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma

e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore.

Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle

città e la vegetazione del suolo…” (Genesi, 19: 24-25).

Il testo biblico indirettamente corrobora il testo assiro per il suo

riferimento alla distruzione della valle contigua alle coste

meridionali del mar Morto e di altre città ubicate nella stessa

area di Sodoma e Gomorra. In forma trasversale le Sacre

Scritture annoverano la presenza di altre città accanto a

Sodoma e Gomorra, e dal resoconto del testo mesopotamico

sappiamo che ve n’erano almeno altre tre, se Nergal porta con

sé ben cinque missili a testata nucleare. Sui nomi delle altre tre

città colpite dalla devastazione nucleare ci avvaliamo del testo

biblico della Genesi (14, 1-3), che cita le città di Adma,

Zeboim e Bela o Zoar.

Eminenti studiosi come M. Sanders e D. Laing hanno

monitorato l’area di nostro interesse mediante l’analisi di foto

satellitari, rese disponibili con una ricerca di D. Laing. Sono

emerse immagini satellitari particolari che presagiscono una

diversa valutazione della nomenclatura geofisica del mar

Morto e l’area contigua. Una concentrazione anomala di linee

simmetriche di tipo rettangolare è verificabile su almeno

quattro siti archeologici sommersi nelle acque del mar Morto.

Escludendo capricci naturali, una medesima conformazione

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geometrica è ravvisabile lungo la fascia costiera meridionale e

orientale negli strati inferiori sottostanti la superficie del

terreno.

La distruzione di sodoma

Se la ricerca geologica supporta validamente un primo dato

oggettivo, relativo all’esistenza di cinque città nell’area nell’età

del bronzo, l’altro elemento da approfondire è il rilevamento di

siti cimiteriali, che ospitano almeno un milione e mezzo di

corpi, la maggior parte dei quali ha iniziato a decomporsi

intorno al 2220 a.C. Solo un evento catastrofico può causare in

tempi esigui centinaia di migliaia di morti.

Alcuni ricercatori hanno ipotizzato un’eruzione vulcanica come

fattore esplicativo di uno sterminio naturale di massa, ma le

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evidenze geologiche smentiscono la possibile plausibilità di

questo approccio. Non si constatano presenze di vulcani

dormienti o in attività.

L’altra spiegazione naturalistica ricorre ad un evento sismico di

forte intensità, ma anche in questo caso non sussistono

fenomeni sismici rovinosi nell’area del mar Morto.

L’infondatezza di un siffatto approccio viene palesata dai dati

scientifici divulgati da Jackson e McKenzie, due sismologi che

in uno studio del 1984 precisano le coordinate della faglia del

mar Morto, che si estende congiungendosi a nord con la faglia

Est Anatolica e snodandosi fino al mar Rosso. I due studiosi

sezionano la faglia del mar Morto in due porzioni distinte, con

alcune differenze di struttura, ma nel complesso non si

registrano nel breve e medio periodo fenomeni sismici

rilevanti.

Altri due ricercatori, Ambraseys e Barazangi, nel 1989

pubblicano i risultati della loro indagine geosismica,

dimostrando che l’attività sismica nell’area interessata dalla

faglia del mar Morto è di intensità modesta, concentrandosi

quasi esclusivamente nella zona meridionale della faglia e

raggiungendo tutt’al più magnitudo 4; raramente supera

magnitudo 5, concentrandosi nella zona del golfo di Aqaba.

Non ci sembra concludente l’argomentazione, di presunto

carattere probatorio, affidata all’aver assodato l’esistenza di un

rift, le cui dimensioni e struttura non sono idonee per

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testimoniare una sua origine esclusivamente naturale

(Ambraseys e Barazangi, 1989).

I dati statistici su apocalittiche intensità dei terremoti nella

zona, riportati da Ambraseys e Barazangi, ci inducono a

escludere definitivamente questa causa.

Accantonando l’ipotesi di cause naturali, subentrano altri

elementi di valutazione che convogliano la ricerca verso una

ragionevole ammissione di eventi non naturali.

Un primo elemento è il sito archeologico di Numeira, in quanto

presenta i segni inequivocabili di una distruzione indotta da

una intensa fonte di calore. Anche il sito archeologico di Safi,

che è stato individuato come la città biblica di Zoar, secondo le

conclusioni di indagini geologiche e degli strati sedimentari, è

stato incenerito da un fuoco di inaudita potenza.

Un secondo elemento è il mutamento climatico, subentrato

repentinamente alla fine del terzo millennio a.C. La zona si

contraddistingue per una accentuata aridità che rende inospitale

il territorio e stronca le potenzialità agricole, ma nel passato la

valle del Giordano era una terra fertile e ubertosa, come viene

asserito dalla tradizione biblica (Genesi, 13:10).

I dati climatologici reperibili nelle documentazioni storiche

antiche convergono in modo singolare con i risultati dei team

di scienziati che si sono dedicati con rigore allo studio delle

variazioni climatiche verificatesi nel 2024 a.C. nell’area

mesopotamica. Il processo di inaridimento interessa

contemporaneamente il mar Morto e la pianura mesopotamica

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e, avendo dimostrato che le sole cause naturali non spiegano

adeguatamente gli effetti riscontrabili in termini climatici e di

sconvolgimento del paesaggio urbano e naturalistico, l’ipotesi

di un attacco nucleare nella penisola del Sinai e nella valle del

Giordano acquista una rilevanza preminente.

Un terzo elemento, non trascurabile, è un persistente livello di

radioattività delle acque sorgive circostanti il mar Morto.

Lo studio di I. M. Blake, pubblicato nel 1967, mediante

misurazioni archeometriche di ossa provenienti dalla zona e

delle fonti idriche, ha appurato un livello sufficientemente

elevato di radioattività per il rilevamento di particelle beta,

costituenti tipiche del fallout nucleare. Le quantità di particelle

beta sono una prova scientifica di una irradiazione nucleare

subita dalla regione del mar Morto, essendo del tutto

improbabile un rialzo significativo del numero di particelle

beta con il ricorso a cause naturali.

Un quarto elemento è l’incidenza di patologie assimilabili a

una sterilità indotta negli esseri umani residenti nella zona,

affetti dopo un periodo di permanenza nell’area di almeno

quindici-venti anni (I.M. Blake). Le ricerche condotte da

equipe miste di scienziati americani e giapponesi sugli effetti

delle radiazioni sugli esseri umani, tra gli anni ’40 e ’70 del

secolo scorso, sono giunte alla conclusione che le radiazioni

nel medio e lungo periodo inducono danni agli apparati

riproduttivi e sterilità irreversibile.

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Di notevole rilievo è l’esplicito richiamo all’estinzione di ogni

entità biologica umana e vegetale. Effetti di questa portata

appartengono alle peculiarità disintegratici e di letalità delle

armi atomiche. Il testo mesopotamico “Epopea di Erra” riporta

con precisione la modalità di estinzione delle forme viventi:

“…tutto ciò che in esse aveva vita si trasformò in vapore…”.

La vaporizzazione di corpi umani è un processo fisico che

implica temperature di combustione intorno ai mille gradi, una

temperatura prossima a quella emanata dall’irraggiamento

termico di una bomba atomica standard. Per evitare

fraintendimenti, quando si discorre di vaporizzazione non si

intende il passaggio del corpo umano dallo stato solido a quello

gassoso per sublimazione, ma la trasformazione di gran parte

della massa della materia vivente in prodotti gassosi e vapore

per effetto della combustione.

La tecnologia nucleare contemporanea contempla la dotazione

di bombe atomiche in grado di sviluppare simili onde termiche

con letalità assoluta in un raggio piuttosto esteso, ma nulla

vieta di ipotizzare che Erra l’annientatore abbia adoperato una

bomba atomica tecnologicamente superiore, in grado di

incrementare enormemente l’irraggiamento termico fino a

temperature inimmaginabili, sufficienti per determinare un

processo di sublimazione delle entità biologiche.

Questa deduzione ci è sovvenuta leggendo la descrizione

nell’”Erra epos” della tipologia dei sette missili a testata

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nucleare, tra cui spicca “.. un’arma riempita di un veleno

mostruoso, quella che vaporizza le cose viventi…”.

La riprova di una versatilità tecnologica a disposizione di

Ninurta e Nergal è la diversa denominazione delle armi

nucleari dissotterrate dai due infernali individui. Nel testo

assiro, già citato in precedenza, compaiono epiteti che

descrivono evidentemente caratteristiche tecniche delle armi

nucleari; una è definita “..quella che fonde le montagne…”, e

con tutta probabilità è quella scagliata contro il monte Mashu.

Un’altra arma viene ricordata come “..quella che sopra e sotto

non risparmia nessuno…”, un’allusione alla capacità di

permeare qualsiasi materiale e di uccidere anche coloro che

dispongono di sistemi protettivi.

Ripercorrendo i tragici eventi del mar Morto, non si sottovaluti

una escalation delle conseguenze prodotte dall’impiego

simultaneo o quasi di ben cinque armi nucleari nell’area

menzionata, con una prevedibile intensificazione degli effetti

termici; però, non è possibile calcolare di quanto si sia elevata

la temperatura nel sito. La questione non è secondaria per una

documentazione di processi di vaporizzazione registrati dai

testi sumeri anche in territori dell’area mesopotamica.

In un testo tramandato con il titolo “Lamentazione sulla

distruzione di Ur”, in buona parte composto dalla dea Ningal,

si narrano le terrificanti conseguenze di una nube assassina

proveniente da occidente e generata dallo scoppio di sette armi

nucleari, lanciate nella penisola del Sinai e nella valle del

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Giordano. Ningal era la moglie di Nannar, uno dei figli di

Enlil, capostipite di uno dei due clan divini. La protettrice della

città sumera di Ur compie un resoconto impietoso degli effetti

di una nube radioattiva spinta da venti occidentali verso la

Sumeria: “…la gente, come un insieme di cocci rotti, riempiva

le strade della città; ovunque, nei viali dove un tempo si

passeggiava, nelle piazze dove si celebravano le feste,

giacevano qua e là corpi inerti; non vi era strada dove non vi

fossero mucchi di cadaveri..[…]…i cadaveri si fondevano

come grasso sciolto al sole…”.

Questa drammatica testimonianza impone una duplice

riflessione.

La prima concerne l’esigenza di un’adeguata spiegazione della

fusione dei corpi; dovremmo supporre che anche l’area

mesopotamica sia stata investita da una mostruosa irradiazione

termica estesa ad un’area vastissima, comprensiva della piana

mesopotamica e della valle del Giordano. Il quesito è

squisitamente tecnico: per avere un’irradiazione termica così

ampia, che copre una superficie di migliaia di chilometri

quadrati, quale potenza esplosiva era insita nella armi nucleari

adoperate da Nergal? Sono valutabili gli effetti letali di una

bomba nucleare da 20 megaton in termini di onda pressoria e di

irradiazione termica per un raggio di 60 chilometri. Il fronte del

fuoco, con temperature intorno agli 800°-1000° gradi,

avanzerebbe surriscaldando le correnti d’aria e originando venti

infuocati di inaudita violenza, con relativa distruzione

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estensibile fino a un raggio di 300 chilometri. Un’indagine

accurata dovrebbe contemplare la reale distanza tra la valle del

Giordano e la disposizione delle antiche città sumere,

attraversate evidentemente da un’ardente onda termica.

Senz’altro esistono ordigni nucleari in grado di sviluppare un

fronte termico che si espande dalla valle del Giordano fino alle

città mesopotamiche.

Da quanto ricordato si deve supporre con cognizione di causa

che è l’unica spiegazione plausibile per comprendere la

testimonianza di Ningal, quando la divinità osserva che “…i

cadaveri si fondevano come grasso sciolto al sole…”.

Presumiamo che Nergal disponesse di armi nucleari

particolarmente devastanti e si sia avvalso di uno strumento

atomico tecnologicamente sconosciuto a noi, definito nel testo

‘Erra Epos’ “…quella che vaporizza le Cose Viventi…”. Questo

ordigno singolare doveva essere un’arma selettiva, in grado di

colpire esclusivamente qualsiasi forma di vita con un raggio

d’azione molto esteso. Una seconda riflessione sulla

testimonianza di Ningal verte sulla descrizione di piazze e

strade della città di Ur disseminate di cadaveri.

Di primo acchito siamo propensi a formulare l’ipotesi di un

fatale attraversamento nel territorio mesopotamico di una nube

radioattiva, trasportata da un vento impetuoso.

Le esplosioni nucleari formano correnti aeree ascensionali di

irresistibile intensità, che si avviluppano in un moto vorticoso

dando luogo a una nube radioattiva. Risulta arduo prevedere il

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moto direzionale della nube, ma nel nostro caso le correnti

d’aria spirano, provenienti dal mar Mediterraneo, da Occidente

verso Oriente. Non escludiamo che, sulla base di documenti

mesopotamici, vi sia stata una confluenza in un unico ammasso

radioattivo di diverse nubi nucleari, se ci limitiamo a osservare

che sono state lanciate quasi contemporaneamente sette armi

nucleari in siti concentrati in un’area non eccessivamente

ampia. Sitchin sostiene che nell’antico testo “Lamentazione su

Nippur” viene addebitata all’esplosione nucleare del Sinai la

responsabilità della nube radioattiva e di una tempesta di vento

talmente impetuosa da trascinare a velocità impressionante la

nube assassina verso la pianura meridionale della

Mesopotamia, verso Sumer. Un altro passo del testo sumero

ricorda che “…quando il cielo precipitò e colpì la Terra,

cancellandone la superficie con il suo maestrale […] quando i

cieli si oscurarono e la coprirono come un’ombra […] Quel

giorno era nato il Vento del Male…”. In questo passaggio si

possono ravvisare i due elementi fondamentali della nostra

analisi: una nube scura che rabbuia il giorno, evidente richiamo

alla nube nucleare, e il maestrale, chiara allusione al soffiare di

un vento rabbioso, “il Vento del Male”. Un altro testo sumero,

“Distruzione di Sumer”, indugia sul luogo d’origine del “Vento

del Male”, che ‘brucia furiosamente i cieli’: “…dalle montagne

esso è disceso sulla terra, è venuto dalla Pianura senza

pietà…”. La descrizione del luogo sembra alludere alla

penisola del Sinai, ma un altro testo sumero riferisce di un’altra

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provenienza: “…dalla Valle senza Pietà, generata dalla

brillantezza, la morte venne trasportata verso Sumer...”.

Uruk e Ur dal satellite

Gli antichi documenti prefigurano un contesto ben diverso da

quello prospettato da Sitchin, dovendo armonizzare le fonti

storiche. Riteniamo che il termine valle alluda univocamente

alla valle del Giordano, additata come un indubitabile sito

d’origine del ‘Vento del Male’, anche se non unico.

I testi ci consentono di formulare un quadro unitario degli

eventi, per cui masse aeree radioattive provenienti dalla

penisola del Sinai e dalla valle del Giordano si siano coagulate

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formando un fronte unico dall’energia smisuratamente

distruttiva.

Un altro elemento di riflessione è offerto da una peculiarità del

‘Vento del Male’, in grado di “…bruciare furiosamente i

cieli…”. Un’analisi condotta nel dopoguerra dal centro di

ricerca di Los Alamos nel Nuovo Messico è stata resa pubblica

solo nel maggio del 1996 e riguarda l’eventualità di poter

incendiare tutta l’atmosfera terrestre mediante la detonazione di

una bomba nucleare ad alto potenziale. Gli scienziati coinvolti

in questa indagine scartarono quasi totalmente una simile

evenienza, relegandola statisticamente nell’ambito di una

improbabilità quasi assoluta. Questa conclusione ci appare

piuttosto discutibile, in quanto maturata all’interno di un

complesso di conoscenze datato negli anni cinquanta e

sessanta. Questa ricerca del centro di Los Alamos risente di

carenze a livello tecnologico e di inadeguatezza teorica, e ciò

permette di accogliere la tesi di una superba capacità

tecnologica di Ninurta e di Nergal, in possesso di testate

nucleari catalizzatrici di reazioni nucleari tra gli atomi di azoto.

Solo ipotizzando un’arma in grado di innescare una reazione

nucleare a catena nell’atmosfera diviene accessibile alla

ragione un ‘Vento del Male’ che “…brucia furiosamente i

cieli…”. ‘Il Vento del Male’ tramandato dalla memoria storica

sumera è un evento del tutto compatibile con i mutamenti

climatici e ambientali scientificamente dimostrati dal team di

ricercatori menzionati all’inizio, i cui risultati sono stati

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pubblicizzati nel 2000 e nel 2001. Le temperature infernali e

gli sconvolgimenti geochimici derivabili da esplosioni nucleari

collimano con il mutamento climatico repentino dimostrato

dagli scienziati, ovverosia un processo d’inaridimento dell’area

interessata.

Senza addentrarsi nello specifico, si rammenta che si

verificherebbero alterazioni importanti degli agenti atmosferici,

con calo delle temperature per l’assorbimento delle radiazioni

solari ad opera di grandi quantità di carbonio elementare

amorfo, presente nell’atmosfera per la combustione di materiali

infiammabili di diversa natura, con l’immissione

nell’atmosfera di monossido di carbonio, di ossido di zolfo e di

azoto, sostanze velenose. L’impatto sull’agricoltura è persino

nefasto proprio per il calo della temperatura, impedendo la

normale maturazione e crescita delle piante, con conseguente

impossibilità di avere raccolti. Ci fermiamo qui. Altri dettagli

inquietanti sulla coincidenza puntuale tra la memoria storica di

eventi luttuosi e i tratti distintivi delle esplosioni nucleari

concernono i tempi di percorrenza del ‘Vento del Male’.

I testi delle Lamentazioni asseriscono di una fluttuazione

inarrestabile della nube radioattiva, risucchiata da un vento

impetuoso in direzione di Sumer, che sovrasta i cieli dell’intera

piana mesopotamica nell’arco di circa ventiquattr’ore: “…quel

giorno, quell’unico giorno; quella notte, quell’unica notte…la

tempesta, creata da un lampo di luce, lasciò prostata la gente

di Nippur…”. La distanza percorsa da una nube radioattiva è in

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funzione della quantità di radionuclidi presenti e di energia

termica emessa da una bomba nucleare. Un ordigno atomico

che esplode ad una quota di almeno 1000 metri d’altezza può

contaminare un territorio ampio, per un raggio di almeno 1000

km. I parametri ambientali incidono in misura significativa

sull’estensione della contaminazione, in primis l’intensità e la

direzione dei venti, nonché la temperatura. Pur in presenza di

fattori ambientali sfavorevoli, la nube che investe l’area

mesopotamica è talmente densa di componenti radioattivi da

coprire la distanza intercorrente tra la penisola del Sinai e la

valle del Giordano da un lato, e il sito mesopotamico dall’altro.

L’energia termica a cui è associata l’emissione nell’ambiente di

massicce dosi di radionuclidi provoca la diramazione della

nube assassina in tempi così brevi che anche gli dei ne restano

sorpresi. Nel testo “Lamento di Uruk” viene descritta la loro

reazione: “…i grandi dei impallidirono di fronte alla sua

immensità...”.

È legittimo supporre che i possessori di tecnologie militari di

questo tipo siano a conoscenza degli effetti deleteri di

esplosioni nucleari, ma il loro stupore comprova

l’indisponibilità di metodologie idonee per analisi previsionali

degli impatti ambientali dell’esplosione nucleare: “…che il

Vento del Male sarebbe seguito ai bagliori, non lo

sapevamo!…Che la tempesta portatrice di morte, nata in

occidente, si sarebbe diretta verso oriente, chi avrebbe potuto

predirlo!…”. Questa scarsa dimestichezza con i nessi tra

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l’ecosistema e l’uso sconsiderato di armamenti atomici

evidenzia il possesso di una tecnologia militare ereditata in

tempi remoti, ma non del complesso di conoscenze necessarie

per una gestione consapevole ed efficiente delle conseguenze

sull’ecosistema delle armi di distruzione di massa.

Un’analisi terminale dei testi delle Lamentazioni pone

l’accento su due circostanze. La prima s’impernia sull’area di

diffusione della nube radioattiva sovrastante Sumer. Diverse

città sumere vengono abbandonate dai superstiti, divenendo

città fantasma. Dagli elenchi riscontrati presso gli antichi testi

le città bersagliate da radionuclidi sono Eridu, Lagash, Erech,

Kish, Uruk, Ur; viene colpita persino Nippur, la città di Enlil, il

responsabile di questa tragica decisione di impiegare armi

nucleari. Il testo “Lamentazione della distruzione di Sumer e

Ur” riporta in dettaglio i nomi delle città vittime dell’olocausto

per effetto del fallout nucleare. Un così alto numero di città

investite da radiazioni implica la notevole estensione dell’area

interessata, ma risulta decifrabile anche per le distanze

ravvicinate tra le più importanti città sumere. La base portante

di questa pianificazione urbanistica è riferibile al

posizionamento di coordinate geografiche atte a delimitare un

corridoio di atterraggio per i velivoli spaziali. La distanza

uniforme intercorrente tra una città e l’altra è di sei beru, circa

sessanta chilometri. Eridu è la città più a sud della regione

attraversata dalla nube radiante, mentre Kish è situata al

limitare della parte settentrionale dell’area disastrata. Nippur

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dista circa 120 km da Bad-Tibira e almeno 165 km da Eridu.

Più a nord di Nippur si incontra Sippar, posta all’incirca a 120

km da Nippur. Non sono calcoli oziosi, ma ci permettono di

appurare le dimensioni dell’area urbanizzata coinvolta e di

dedurre l’ordine di grandezza dei gruppi umani sinistrati.

Babilonia, collocata a nord di Nippur, sfuggirà al destino di

morte delle altre città mesopotamiche.

Descrizioni drammatiche di scene raccapriccianti di cadaveri

disseminati in strade e piazze, sparsi anche nelle case e

insepolti, sono reperibili nei testi delle Lamentazioni e

caratterizzano la seconda circostanza. Opportunamente è stata

posta l’attenzione sulla natura malefica delle correnti aeree

radioattive sotto il profilo della contaminazione ambientale, e

non sul suo potenziale distruttivo, affidato all’irradiazione

termica. L’estinzione massificata delle forme di vita è ben

documentata: “…nei boschi tutte le creature viventi

perirono…sulle sponde del Tigri e dell’Eufrate crescevano

solo piante malate ..[…] nelle paludi nascevano canne con la

punta malata, che puzzavano di putridume…orti e giardini non

facevano più frutti…” (testo della Lamentazione di Ur).

Sono ampiamente divulgate le conseguenze sulle piante di

un’irradiazione massiccia di radioisotopi; la contaminazione

radioattiva scombina i processi di sintesi proteica operati dalle

piante, modificando pesantemente le molecole adibite alla

trasmissione delle informazioni biochimiche necessarie per la

crescita delle medesime. Gli effetti più appariscenti sono

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l’interruzione della fotosintesi clorofilliana, ritardi o arresto

della crescita, avvizzimento graduale fino alla morte delle

piante stesse. In questo contesto di alterazione dell’ecosistema

le ripercussioni delle radiazioni sugli abitanti delle città

tempestate dal ‘Vento del Male’ sono state vividamente

elencate nei diversi testi delle Lamentazioni sumere.

Il testo “Lamentazione della distruzione di Sumer” tramanda

ricordi drammatici circa gli effetti delle radiazioni sugli esseri

umani: “…Come sono desolate le città, gli abitanti

ammucchiati come cadaveri, annientati dal Vento del

Male…[…] del suo popolo dalla testa nera Sumer è ormai

svuotata, è svanita ogni forma di vita …nelle sue città

maestose solo il vento ulula; vi è solo odore di morte. I templi,

le cui volte svettavano nell’alto dei cieli, dagli dei sono stati

abbandonati…Gli dei, nei loro regni, si sono rivelati impotenti,

alla stregua degli uomini!…[…] Che la tempesta portatrice di

morte, nata in occidente, si sarebbe diretta verso oriente, chi

avrebbe potuto predirlo! Ora gli dei si disperano. Nelle loro

città sacre, gli dei rimasero attoniti, mentre il Vento del Male

verso Sumer soffiava. Uno dopo l’altro gli dei abbandonarono

le loro città, i loro templi lasciarono in balia della furia del

vento…”.

Da questa narrazione di eventi reali si possono trarre alcune

inferenze. Il primo elemento di valutazione è la conservazione

delle strutture urbane, che non sono state demolite da nessun

agente di natura pressoria. Lo svuotamento delle città è dipeso

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da un contagio radioattivo, che si diffonde simultaneamente nei

centri abitati provocando una morte immediata e generalizzata:

“…la morte venne trasportata verso Sumer…[…] ..nessuna

porta poteva arrestarla, niente poteva deviarla! Coloro che

nelle loro case si erano nascosti dietro porte chiuse, come

mosche furono abbattuti. Di coloro che riuscirono a scappare

in strada, i corpi si ammucchiarono…la morte raggiunge le

persone, ma nessuno riesce a vederla”.

Si pone una questione circa la concentrazione di isotopi

radioattivi nella nube radioattiva e l’intensità del fallout

nucleare nel medio e lungo periodo. Le ragioni che ci inducono

a ipotizzare una confluenza di più nubi radioattive sono state

rese note precedentemente, ma il ricorso di Sitchin a prove

documentali di natura storica, asserenti un’origine del Vento

del Male dalla sola pianura del Sinai, non ci persuade.

Per quanto possano essere stati utilizzati due ordigni nucleari

ad alto potenziale, abbiamo dimostrato che lo scopo dell’azione

bellica era la distruzione del porto spaziale, e per ottenere

questo obiettivo le due bombe atomiche sono state fatte

esplodere a bassa quota. L’energia preponderante sviluppatesi

con deflagrazioni nucleari a bassa quota si traduce in onda

d’urto e in irradiazione termica, più efficaci sul piano della

distruzione materiale. Nel caso dell’attacco nucleare nella valle

del Giordano Ninurta e Nergal si prefiggono di eliminare Nabu,

il figlio di Marduk, rifugiatosi presso città amiche come

Sodoma e Gomorra. A nostro parere le due divinità sono più

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interessate a eliminare ogni forma di vita per garantirsi alte

probabilità di successo allo scopo della loro missione, che era

quello di uccidere Nabu. Un passo di una tavola assira

riesumata presso la biblioteca di Ninive scandisce

rigorosamente i ruoli delle due divinità incaricate della

missione di morte: “…che Ninurta sia colui che Brucia, che

Nergal sia colui che Stermina!…”.

Sulla base di tutte le evidenze di natura scientifica esibite,

riteniamo che siano state impiegate nella valle del Giordano

alcune bombe nucleari all’idrogeno e fatte deflagrare ad alta

quota in modo da convertire la maggior parte dell’energia

sprigionata dalle bombe in energia radiante, con un massiccio

rilascio nell’atmosfera di una quantità incredibile di

radionuclidi, intensificando in tal modo il grado di letalità ed

estendendo l’area della contaminazione.

Non escludiamo, comunque, l’eventualità di un impiego di una

bomba neutronica, particolarmente efficace nell’estinzione

delle forme di vita in una determinata area.

Il secondo elemento di valutazione è l’impotenza delle divinità

e la loro paura di morire in maniera decisamente ingloriosa.

Questa testimonianza indirettamente ribadisce la natura mortale

degli dei e la loro appartenenza al mondo fisico.

A ulteriore conferma della loro dimensione corporea ci

sovviene la testimonianza biblica, che ci rivela la

consapevolezza dell’antico sapere sulla caducità delle divinità

primordiali: “…Voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo.

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Eppure morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i

potenti…” [Salmi, 82(81)]. Anche per loro si pone il problema

di schermare le radiazioni, unica soluzione per salvarsi la vita,

ma evidentemente non erano attrezzati per una simile

procedura. In alcune circostanze è stato testimoniato nel testo

“Lamentazione sulla distruzione di Ur” come gli dei,

disinteressandosi completamente degli umani, fossero fuggiti

dalle loro città predilette. Assistiamo a fughe precipitose di

Inanna da Uruk, di Enlil da Nippur, di Enki e Ninki da Eridu:

“…il padre Enki stava fuori della città…per il destino della sua

città pianse lacrime amare..[…] ..Enki vide una città avvolta

dal silenzio…con tutti gli abitanti ammucchiati a gruppi di

cadaveri…” (Lamento di Eridu). Abbiamo già ricordato la fuga

di Ningal e Nannar da Ur, ma non tutte le divinità scampano

alla morte. Bau, la consorte di Ninurta, non riesce ad

allontanarsi in tempo dalla città di Lagash e ci rimette la vita:

“...Quel giorno, la signora se la portò via la tempesta, Bau,

come se fosse mortale, se la portò via la tempesta…”

(Lamentazione per la distruzione di Ur e Sumer).

Questa impotenza operativa delle divinità preannuncia

l’ecatombe subita dagli esseri umani, soggetti a una morte

atroce e inumana. Limitandoci solo ad alcune sequenze delle

memorie tramandate dal popolo sumero e dai suoi eredi

culturali, veniamo a sapere dal testo ‘Lamentazione per la

distruzione di Ur’ che “…la morte raggiunge le persone, ma

nessuno riesce a vederla…[…] ..Tosse e muco riempiono il

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petto, le bocche rigurgitano di saliva e schiuma… li assaliva

un senso di muto stordimento, un intorpidimento

generale…una maledizione maligna, un tremendo mal di

testa…poi lo spirito abbandonava il corpo…[…] ...la gente,

terrorizzata, non riusciva quasi più a respirare; il Vento del

Male li soffocava, segnava la fine dei loro giorni…la bocca si

allagava di sangue, la testa sguazzava nel sangue…mentre il

Vento del Male rendeva pallido il volto…”.

La grave sintomatologia rinvenibile in questa descrizione del

testo sumero è singolarmente analoga agli effetti biologici delle

radiazioni ionizzanti prodotte da processi di fissione e fusione

nucleari. Le ricerche effettuate dalla AIEA e divulgate nel 2001

sui danni genetici e fisici sull’organismo umano ad opera delle

radiazioni ionizzanti sono il sostrato scientifico che legittima la

tesi di un bombardamento massiccio con armi nucleari nel

2024 a.C. nel Sinai e nella valle del Giordano, con relativi

effetti collaterali nella piana mesopotamica.

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CAPITOLO 4

Si rammenta al lettore che le radiazioni ionizzanti sono

classificabili in radiazioni altamente ionizzanti come le

particelle alfa, emesse anche da isotopi radioattivi di uranio e

con un basso potere di penetrazione nella materia. Non sono

eccessivamente pericolose per la propensione delle particelle

alfa a collidere rapidamente con la materia ionizzandola,

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limitandosi ad interagire con gli strati superficiali della pelle

umana, ma lo sono se la sorgente emittente di radiazioni alfa si

introduce nel corpo umano. Rientrano nella categoria di

radiazioni ionizzanti le particelle beta, dovute a emissione di

elettroni o positroni, con capacità ionizzante inferiore ma con

maggiore penetrazione rispetto alle particelle alfa.

Le radiazioni gamma sono una tipologia di onda

elettromagnetica ad alta energia, che attraversano la materia

anche a lunga distanza e con un relativamente basso

coefficiente di ionizzazione della materia.

Infine, annoveriamo le radiazioni neutroniche, costituita da

fasci di neutroni prodotti dalla reazione di fissione e fusione

nucleare, caratterizzanti il funzionamento delle armi nucleari.

Il tratto peculiare di fondo dei neutroni liberi è la loro

esclusiva origine artificiale, ossia i processi di fusione e

fissione nucleari. Il tratto peculiare delle radiazioni neutroniche

è la capacità di rendere radioattiva la materia con cui impatta;

dunque, i neutroni liberi sono tra i principali promotori del

fallout nucleare, con dispersione nell’atmosfera di polveri

radioattive e di decantazione di componenti altrettanto

radioattive su una superficie vasta.

Questa classificazione delle radiazioni ionizzanti è alquanto

accademica se non includiamo i parametri relativi alla intensità

delle radiazioni emesse in determinati contesti climatici e ai

tempi di esposizione degli esseri umani.

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La mortalità indotta da assorbimento eccessivo di radiazioni

ionizzanti è stata catalogata nelle sue diverse modalità in

rapporto alla quantità di radiazioni involontariamente assunta e

al tempo di permanenza nell’area irraggiata.

Quando i sumeri riferiscono che “tosse e muco riempiono il

petto”, ci siamo imbattuti con una grave crisi respiratoria,

causata da un assorbimento nell’arco delle ventiquattro ore di

almeno 3000 REM. Danni irreversibili e immediati

dell’apparato respiratorio insorgono con una dose dodici volte

superiore alla dose letale minima nel 50% dei casi, posta

intorno ai 230-250 REM, il cui assorbimento avviene in un

giorno. Cosa succede con una dose acuta letale di 230-250

REM o con una dose mortale equivalente ai 450 REM in una

settimana o ai 650 REM in un mese? In primis si ha una

interruzione della produzione emopoietica da parte del midollo

osseo, associata a febbre e infezioni polmonari; la morte

sopraggiunge entro due mesi dalla contaminazione per il 50%

dei soggetti. Un dosaggio da 350 a 550 REM comporta una

mortalità nel 99% dei casi entro i due mesi, con danni al

midollo osseo e all’apparato gastro-intestinale. Con dosi da 550

a 750 REM i sintomi sono vomito, ipotensione e vertigini: “…li

assaliva un senso di muto stordimento, un intorpidimento

generale…”; insorge successivamente diarrea emorragica e

disidratazione con complicanze, fino a determinare la morte del

100% dei contaminati entro un mese. Le dosi da 750 a 1000

REM danno la morte entro due settimane con i sintomi

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precedenti. Assorbimenti di radiazioni emesse durante il fallout

da 1000 a 2000 REM si caratterizzano per sintomi egemoni a

livello gastro-intestinale, con collasso cardio-circolatorio e

setticemia. La comparsa di cefalea perforante e di spossatezza

con dosi da 2000 a 3000 REM corrisponde con i ‘disturbi’

descritti dai sumeri nelle loro testimonianze: “…li assaliva un

senso di muto stordimento, un intorpidimento generale…una

maledizione maligna, un tremendo mal di testa…”.

Non intendiamo asserire che la nube nucleare nella

Mesopotamia del 2024 a.C. sia sovraccarica di radionuclidi e di

isotopi radioattivi, però siamo certi che la contaminazione

radioattiva sia stata elevatissima, se ci riferiamo ad una cefalea

che faceva impazzire. È notorio che danni cerebrali

sovvengono con radiazioni i cui valori oscillano tra 1500 e

1600 REM, ma questo dato rafforza la tesi di un fallout di

inaudito potere contaminante. Secondo alcune scale

dosimetriche l’emorragia dalla bocca e le petecchie si

sviluppano con un dosaggio dai 300 ai 400 REM: “…la bocca

si allagava di sangue…”. Con radiazioni fino a 600 REM

subentra la morte per emorragia interna a livello intestinale.

Irradiazioni uguali o superiori ai 1000 REM conducono alla

morte nel 100% dei casi, in tempi variabili progressivamente

da 14 a 7 giorni.

Al di là di ogni ragionevole dubbio, il dato trasversale

sintomatologico più grave è rappresentato dalla spossatezza e

dall’intorpidimento, segni inequivocabili di un’azione diretta

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delle radiazioni sulle cellule cerebrali, che vengono

scompaginate da un dosaggio di almeno 1500-1600 REM.

Siamo persuasi che sia un dato mostruosamente rivelatore,

perché dimostra il grado di letalità del fallout nucleare che ha

sterminato buona parte delle popolazioni mesopotamiche nel

2024 a.C.

Indirettamente desumiamo che un simile fallout nucleare sia

decodificabile paventando un potenziale distruttivo degli

ordigni nucleari impiegati da Ninurta e Nergal a noi

sconosciuto. Le radiazioni emanate durante il fallout investono

un’area vastissima e determinano il crollo dell’impero accadico

nel 2024 a.C.

Tutte le evidenze storiche, archeologiche e scientifiche

indirizzano la ricerca a sostegno della tesi di un veridico

attacco nucleare ad opera di esseri tecnologicamente attrezzati

nel 2024 a.C. nelle aree del Sinai e della valle del Giordano.

Le conseguenze di questa guerra ricadranno sulla

Mesopotamia, con la scomparsa della civiltà accadica e

sumera, e lo spostamento dei superstiti verso zone più sicure.

Sulla scorta di alcuni testi celebrativi della rifondazione di

Nippur, città tragicamente colpita dal fallout nucleare,

sappiamo che viene autorizzato il rientro delle popolazioni nei

territori contaminati solo nel 1953 a.C., ossia 71 anni dopo

l’attacco atomico di Ninurta e Nergal.

Alcune ricostruzioni storiche ortodosse possono essere soggette

a profonde revisioni, per cui si impone il dovere intellettuale di

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riesaminare i dati disponibili, rettificandoli alla luce dei

risultati della ricerca scientifica contemporanea di natura

interdisciplinare. Pur essendoci ispirati alla opera di Sitchin e

alla sua innovativa proposta culturale, tendente a una profonda

revisione degli eventi storici nell’antica Mesopotamia, non

sempre le traduzioni dello studioso risultano del tutto fedeli e

coerenti con le fonti documentali. Ciò non toglie che l’impianto

generale e la ricostruzione storica di Sitchin siano rigorosi e

scientificamente fondati, ma vanno integrati e verificati con

serietà e onestà intellettuali.

L’amore per la verità prima di tutto: poi le convinzioni

personali e lo spirito partigiano nei confronti delle proprie idee.

Il quadro complessivo emergente prefigura la comparsa sulla

scena della Storia di una tecnologia nucleare per usi militari e

un decorso significativamente diverso della civiltà umana.

Spetta alle generazioni del terzo millennio scongiurare il

ripetersi di un destino infernale per la specie umana. Si spera

che riescano, altrimenti ci attende una certezza per il futuro:

l’estinzione della vita sul pianeta Terra.

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INDICE

pag.Prefazione 3Capitolo 1 5Capitolo 2 15Capitolo 3 27Capitolo 4 57Ringraziamenti 63Bibliografia 64

RINGRAZIAMENTI

Esprimo la mia riconoscenza nei confronti di coloro che hanno

permesso con il loro supporto la stesura di questo articolo.

Ringrazio Antonio Boncristiano per la insostituibile consulenza

sui dati scientifici da me inseriti, Pietro Albanese per la pronta

sollecitudine con cui ha espresso i suoi suggerimenti e le sue

motivate obiezioni, Roberto Malatesta per la consulenza storica

fornita. Un ringraziamento particolare va alla professoressa

Carmen Dell’Oglio per la preziosa e decisiva opera di

traduzione di alcune fonti da me utilizzate in questo articolo.

Ringrazio il direttore editoriale Tom Bosco e lo staff di Nexus

per la fiducia riposta nel mio lavoro di ricerca.

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ESSENZIALI

• Z. Sitchin, “Guerre atomiche al tempo degli dei”, Piemme edizioni, Casale Monferrato, 1999 • Z. Sitchin, “Le astronavi del Sinai”, Piemme edizioni, Casale Monferrato, 1998 • Z. Sitchin, “ Il libro perduto del dio Enki”, Piemme edizioni, Casale Monferrato, 2004 • Z. Sitchin, “Il giorno degli dei”, Piemme edizioni, Casale Monferrato, 2009 • Z. Sitchin, “Quando i Giganti abitavano la Terra”, Macroedizioni, Cesena, 2010 • D. H. Childress, “Le scoperte scientifiche delle antiche civiltà”, Newton e Compton editori, Roma, 2000 • L. Bat Adam, “Esodo”, Robin edizioni, Roma, 2010 • Mario Liverani, “Antico Oriente”, Laterza edizioni, Bari, 1984 • Giovanni Pettinato, “Sumeri”, Rusconi editore, Milano, 1994 • A. Mallon, “Voyage d’Exploration au sud-est de la Mer Morte”, Biblica 5 :413-455, 1924 • I.M. Blake, “Joshua Curse and Elisha’s Miracle”, in The Palestine Exploration Quarterly, 1967 • L. Cagni, “Epopea di Erra”, in “Studi semitici 5”, Istituto di studi del Vicino Oriente, Roma 1969 • H.M. Cullen - P.B. deMenocal – S. Hemming – G. Hemming – F.H.Brown – T.Guilderson – F.Sirocko, “Climate change and the collapse of the Akkadian empire: evidence from the deep sea”, Geology, aprile 2000 • Peter.B.deMenocal, “Responses cultural to climate change during the late Holocene”, in “Science”, vol.292, 27 aprile 2001 • www.areeweb.polito.it • M.Sanders-D.Laing, “Sodoma e Gomorra ritrovate nel Mar Morto”, trad. di Enrico Baccarini, in www.edicolaweb.net • “Effetti delle esplosioni nucleari”, in www.it.wikipedia.org •Ambraseys-Barazangi, “Medioriente”, in www.legacy.ingv.it/roma/attivita • G.Nacci, “La minaccia della centrale atomica di Krsko”, in www.medicinenaturali.net/guerra/nacci