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26 PELLEGRINO CAPALDO estrema cautela. Cio premesso, vediamo i vari significati in cui viene comunemente inteso il profitto. Con il termine profitto s'intende, di solito, alternativa- mente: 1) il surplus, quale ne sia l'entita. L'impresa, pertanto, conse- gue un profitto per il solo fauo che vi e un'eccedenza dei ricavi sui costi; e un'interpretazione assai riduttiva, che ta- lora puo essere fuorviante; 2) l'eccedenza del surplus sulla remunerazione-base. Vi e, pertanto, profitto solo se l'impresa e in grado di assicurare almeno la remunerazione-base dei fattod in posizione resi- duale; 3) l' eccedenza del surplus suila congrua remunerazione. Vi e, quindi, profitto solo se l'impresa e ingrado di assicurare la congrua remunerazione dei fattori in posizione residuale. Fin qui Ie nozioni di profitto pii.J diffuse. Ad esse, per com- pletezza, se ne possono aggiungere altre due, basate sull'as- sunto di denominare extra-pro/itto l' eventuale summenzionata quota 4) si parla di profitto fino alla concorrenza della congrua re- munerazione dei fattori in posizione residuale (e cioe fino alla somma di a) e di b»). L'eventuale eccedenza (e quindi la quota c) viene denominata extra-pro/itto. Pertanto _ come nel precedente punto 1) - vi e profitto per it solo fatto che vi e un surplus, indipendentemente dalla sua en- !ita; 5) si parla di profit to solo se - come nel precedente punto 2) - it surplus eccede la remunerazione-base dei fattori. Se questa eccedenza e superiore aila congrua remunerazione per il rischio, la differenza come nel precedente punto 4) e denominata extra-profitto. LE AZlENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO 27 Da questa breve analisi dsulta evidente che il termine pro- /itta designa realta assai diverse. Sicche, in assenza di una no- zione generalmente condivisa, non resta che precisare di volta in volta l'accezione in cui esso e inteso. Ritengo, tuttavia, che la nozione 2) e la connessa nozione 5) siano Ie pili significative, soprattutto in ordine aila verifica deile condizioni di equilibrio economico dell'impresa. 4. I.e aziende non pro/it: tipologia Dopo questi brevi richiami ail'impresa e al profitto, e pos- sibile delineare Ie aziende non profit. lnnanzitutto una domanda: per quali ragioni - diverse dal profitto - si puo dar vita ad un «centro» per la sistematica produzione di beni e servizi, ossia ad un'azienda? Nel rispon- dere, dobbiamo evitare due possibili rischi: dare una spiega- zione estremamente generic a e percio inutile (tale sarebbe, ad esempio, quella che suonasse ail'incirca cos1: Ie persone danno vita ad un' azienda per soddisfare propri bisogni, proprie esi- genze 0 propri desideri); cadere in una diffusa casistica che elencasse, pili 0 meno aila rinfusa, ogni possibile motivazione. Neil'un caso e nell'altro, infatti, risulterebbe difficile scorgere significative uniformitd idonee a scomporre il variegato uni- verso delle non profit in classi di aziende omogenee sotto rile- vanti aspetti economico-aziendali. A questa fine, e utile muovere da una classificazione basata sulla destinazione della produzione, ovvero sulle fonti da cui provengono Ie risorse volte a coprire i costi della produzione medesima. In tal modo, infatti, andiamo proprio al euore del meccanismo economico di ogni azienda, che risiede appunto nella mor/alagia della relazione tra il costa del produrre e Ie ri- sorse occorrenti a tal fine.

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estrema cautela. Cio premesso, vediamo i vari significati in cui viene comunemente inteso il profitto.

Con il termine profitto s'intende, di solito, alternativa­mente:

1) il surplus, quale ne sia l'entita. L'impresa, pertanto, conse­gue un profitto per il solo fauo che vi e un'eccedenza dei ricavi sui costi; eun'interpretazione assai riduttiva, che ta­lora puo essere fuorviante;

2) l'eccedenza del surplus sulla remunerazione-base. Vi e, pertanto, profitto solo se l'impresa e in grado di assicurare almeno la remunerazione-base dei fattod in posizione resi­duale;

3) l'eccedenza del surplus suila congrua remunerazione. Vi e, quindi, profitto solo se l'impresa e ingrado di assicurare la congrua remunerazione dei fattori in posizione residuale.

Fin qui Ie nozioni di profitto pii.J diffuse. Ad esse, per com­pletezza, se ne possono aggiungere altre due, basate sull'as­sunto di denominare extra-pro/itto l'eventuale summenzionata quota

4) si parla di profitto fino alla concorrenza della congrua re­munerazione dei fattori in posizione residuale (e cioe fino alla somma di a) e di b»). L'eventuale eccedenza (e quindi la quota c) viene denominata extra-pro/itto. Pertanto _ come nel precedente punto 1) - vi e profitto per it solo fatto che vi e un surplus, indipendentemente dalla sua en­!ita;

5) si parla di profit to solo se - come nel precedente punto 2) - it surplus eccede la remunerazione-base dei fattori. Se questa eccedenza e superiore aila congrua remunerazione per il rischio, la differenza come nel precedente punto 4) edenominata extra-profitto.

LE AZlENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO 27

Da questa breve analisi dsulta evidente che il termine pro­/itta designa realta assai diverse. Sicche, in assenza di una no­zione generalmente condivisa, non resta che precisare di volta in volta l'accezione in cui esso einteso. Ritengo, tuttavia, che la nozione 2) e la connessa nozione 5) siano Ie pili significative, soprattutto in ordine aila verifica deile condizioni di equilibrio economico dell'impresa.

4. I.e aziende non pro/it: tipologia

Dopo questi brevi richiami ail'impresa e al profitto, e pos­sibile delineare Ie aziende non profit.

lnnanzitutto una domanda: per quali ragioni - diverse dal profitto - si puo dar vita ad un «centro» per la sistematica produzione di beni e servizi, ossia ad un'azienda? Nel rispon­dere, dobbiamo evitare due possibili rischi: dare una spiega­zione estremamente generic a e percio inutile (tale sarebbe, ad esempio, quella che suonasse ail'incirca cos1: Ie persone danno vita ad un' azienda per soddisfare propri bisogni, proprie esi­genze 0 propri desideri); cadere in una diffusa casistica che elencasse, pili 0 meno aila rinfusa, ogni possibile motivazione. Neil'un caso e nell'altro, infatti, risulterebbe difficile scorgere significative uniformitd idonee a scomporre il variegato uni­verso delle non profit in classi di aziende omogenee sotto rile­vanti aspetti economico-aziendali.

A questa fine, eutile muovere da una classificazione basata sulla destinazione della produzione, ovvero sulle fonti da cui provengono Ie risorse volte a coprire i costi della produzione medesima. In tal modo, infatti, andiamo proprio al euore del meccanismo economico di ogni azienda, che risiede appunto

nella mor/alagia della relazione tra il costa del produrre e Ie ri­sorse occorrenti a tal fine.

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l " LE AZIENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO 28 29PELLEGRINO CAPALDO

Sotto questa aspetto, possiamo suddividere Ie non profit in tre grandi classi.

La prima classe comprende Ie aziende che destinano la produzione a soggetti predeterminati. Tali soggetti sono gli stessi che hanno costituito l' azienda, ossia che la mantengono in vita, e sui quali ricadono i risultati della gestione. Questo tipo di azienda, dunque, nasce 0 meglio e espressione di sog­getti portatori di comuni bisogni e produce solo per soddisfare questi bisogni. Tali soggetti - destinatari della produzione ­forniscono, con modalita diverse di cui si dira dopo, all' a­zienda Ie risorse necessarie alIa copertura dei costi. Convenzio­nalmente, denominero queste aziende: aziende autoproduttnd.

La seconda classe comprende Ie aziende che destinano la loro produzione a beneficio di date persone 0, genericamente, dell'intera collettivita e 10 fanno senza ricevere alcuna contro­prestazione, 0 ricevendo una controprestazione poco pill che simbolica. In altre parole, queste aziende cedono gratuita­mente, 0 quasi, i loro prodotti e i loro servizi (riguardimti in ge: nere: sanita, cultura, assistenza, ricerca scientific a, ecc.) 0 per far fronte a bisogni di persone che vivono in condizioni di disa: gio, 0 per contribuire al miglioramento, in C}ualche aspetto, delle condizioni di vita dell'intera comunita. Cio che carattc­rizza questa tipo di azienda e il fatto che la sua produzione viene ceduta attraverso atti di liberalita; conseguentemente, la copertura delle spese non puo che avvenire attraverso atti di li­beralita di segno opposto, effettuati da soggetti che - condivi­dendo i suoi fini - ne sostengono spontaneamente l' attivita. Appare evidente che, alIa base di queste aziende, vi sono valori etici condivisi da un certo numero di persone, Ie quali cedono impegno personale e risorse economiche. Considerate Ie loro caratteristiche, possiamo denominarle aziende ftlantropiche 0

meglio, in omaggio alla nostra tradizione, aziende di eroga­zione (0 erogatrici).

La terza classe, infine, comprende Ie aziende che destinano

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al mercato e dunque allo scambio la loro produzione, rna 10 fanno per finalita ben diverse dal profitto, e conseguentemente la loro logica, il loro «meccanismo» economico eben diversof rispetto a quello della tipica impresa, COS! come essa e stata po­e' anzi delineata. In questa classe di aziende, la produzione non e, quindi, strumentale al profitto, rna ad altre finalita quali, per citare gli esempi pill importanti: dare lavoro a persone che per ragioni diverse (di ordine fisico, psicologico, sociale, ecc.) non riescono ad inserirsi in un normale circuito produttivo; offrire beni e servizi (con determinate caratteristiche di qualita e di prezzo) che ne Stato ne imprese producono e la cui mancanza lascerebbe insoddisfatta, 0 mal soddisfatta, una domanda pro­veniente in genere da ceti economicamente deboli. Anche alIa base di queste aziende, come vediamo, vi e una forte motiva­zione etica che porta alcune persone ad impegnarsi - con l'of­ferta gratuita della propria operosita 0 di risorse finanziarie ­affinche tali finalita possano essere raggiunte. D'altra parte, senza questo sostegno gratuito, sarebbe impossibile mantenere in vita tali aziende, per l'evidente ragione che esse operano con modalita e in settori che Ie imprese ricusano proprio perche non consentono - secondo la pura logic a economica - una gestione autosufficiente.

A questa terza classe di aziende do la denominazione di: imprese sociaIi. Con il che sottolineo, da un lato il fatto che producono per il mercato; dall'altro, che 10 fanno per finalita diverse dal profitto, genericamente riconducibili all' «interesse generale» 0 al «sociale».

Aziende autoproduttrici, aziende erogatrici e imprese so­ciali: ecco Ie tre grandi classi di aziende non profit. Esse natu­ralmente vanno intese come schemi di riferimento, utili per la migliore comprensione del complesso universo delle non pro­fit, e non certo come categorie rigidamente definite e distinte. In realta, tra l'una e l'altra vi sono ampie «zone grigie», dove si collocano aziende che presentano, sia pur in misura diversa,

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caratteri propri di piu classi, sicche a volte si passa quasi senza soluzione di continuita dall'una all'altra classe. Del resto, Ie medesime zone gtigie si riscontrano anche nella distinzione tra imprese e non profit. Vi sono, infatti, esempi di aziende non profit molto prossime all'impresa, fin quasi a sfiorarla. Cib ac­cade soprattutto in quei modelli d'impresa, in cui - tra i fat­tori a remunerazione residuale - vi e una forte presenza del lavoro umano.

Ma tutto questa non fa venit meno l'utilita della classifica­zione; direi anzi che l'accresce, perche aiuta comunque a di­stricarsi in una materia altrimenti impenetrabile.

5. Ie aziende autoproduttrici

L'azienda autoproduttrice nasce - di regola ad inizia­tiva di soggetti che, avendo esigenze comuni, ritengono di po­terle meglio soddisfare attraverso un'azione concertata piutto­sto che attraverso un' azione individuale. E poiche il soddisfaci­mento di tali esigenze passa attraverso la sistematica produ­zione di beni 0 servizi, ecco che questi soggetti, dopo essersi opportunamente «organizzati» e aver scelto la forma giuridica adatta, danno awio alia produzione e, quindi, promuovono una vera e propria azienda. Naturalmente, nel tempo, i sog­gettinel cui interesse l'attivita viene svolta potranno cambiare, sicche l' assetto giuridico prescelto dovra disciplinare Ie moda­lita di entrata e uscita dei partecipanti, avendo cura che questo avvicendamento non turbi (0 turbi il meno possibile)10 svolgi­mento dell'attivita produttiva.

L'azienda in esame nasce, di norma, quando il soddisfaci­mento delle comuni esigenze richiede beni 0 servizi che:

non sono disponibili sul mercato, perche evidentemente ness una impresa ha convenienza a produrli;

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non sono offerti dallo Stato, 0 sono offerti con caratteristi­che ritenute insoddisfacenti; sono disponibili sul mercato rna a prezzi 0, pill in generale, a condizioni meno vantaggiose rispetto a queUe che si pre­sume possano essere ottenute attraverso la produzione di­retta.

A loro volta, Ie esigenze che tali beni e servizi mirano a sod­disfare possono riguardare, per esemplificare:

• bisogni essenziali degli aderenti 0 di loro familiari. Ne e esempio la cura di determinate malattie, rispetto aile quali - per vari ragioni ne it mercato, ne la sanita pubblica sono in grado di fornire soluzioni accettabili;

• il perseguimento di valon' etici Jortemente sentiti. Si pensi al desiderio di alcuni genitori di dare ai propri figli un'istru­zione scolastica basata su indirizzi educativi e formativi di­versi da quelli propri della seuola statale e ehe a questa fine - nel rispetto dell'ordinamento giuridico - vogliono dar vita ad un' apposita seuola;

• la tutela di interessi economici. Ne sono esempi la eoneerta­zione, da parte di persone residenti nella stessa area 0 eser­centi Ia medesima attivita, degli acquisti di determinati

• beni per ottenere eondizioni pili favorevoli; Ia gestione eentralizzata di alcuniservizi e eosl via;

• l'impiego del tempo libero e quindi attivita sportive, cultu­rali, ludiehe eee. Ne sono esempi eircoli sportivi e ricrea­tivi, Ie svariate forme di associazioni eulturali eee.

A volte, Ie aziende di cui parliamo naseono ad iniziativa di altre aziende e, in particolare, di imprese.

I motivi sono analoghi. a quelli sopra considerati. Come gli individui, infatti, anehe Ie imprese possono talora eonstatare che un'azione eoncertata per I'aequisizione di determinati fat­

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tori produttivi 0, pill in generale, per 10 svolgimento di deter­minate funzioni puo condurre ad una riduzione dei costi che esse sosterrebbero ove vi provvedessero singolarmente.

Eil caso di imprese operanti nel medesimo settore merceo­logico, che si uniscono per sviluppare sistematici programmi di ricerca applicata, 0 per promuovere - con appropriate inizia­tive - la diffusione e l'uso dei loro prodotti. Oppure di im­prese, interessate ad esportare in dati Paesi, che si associano per svolgere in comune una sistematica opera di penetrazione commerciale attraverso Ia costituzione di un apposito «organi­smo» (e quindi di un'azienda) che curi, per loro, l'acquisizione della clientela, il trasporto delle merci, I'incasso delle fatture. Si pensi, per fare ancora un esempio, aile c.d. associazioni di categoria, istituite tra imprese operanti in uno stesso settore, con 10 scopo di curare Ia raccoita e l' elaborazione di informa­zioni su aspetti rilevanti (tecnologici, commerciali, fiscali, sin­dacali, ecc.) della loro gestione e per svolgere all'occorrenza­un'azione di difesa dei comuni interessi.

Si pensi, infine, al caso di imprese operanti in aree con in­sufficienti infrastrutture (in materil,l di smaltimento dei rifiuti, trasporti, qualificazione professionale, seMzi vari, ecc.) che si uniscono, per provvedere congiuntamente a realizzare alcune condizioni di base indispensabili per produrre efficacemente. Nascono COS1 aziende per il trattamento dei rifiuti prodotti dalle diverse imprese associate, per il trasporto dei dipendenti, per la loro formazione professionale e coSt via.

La costituzione di aziende del tipcy qui in esame e partico­larmente frequente nei c.d. «gruppi di imprese». La circo­stanza che pill imprese dipendano dal medesimo centro di ded­sione, watti, facilita sia la percezione dei possibili vantaggi una gestione comune di taluni servizi e junzioni, sia la sua con­creta realizzazione, attraverso la costituzione di apposite

aziende. Come si vede, l'area delle aziende autoproduttrici e estre-

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mamente ampia. Lo si deduce dal fatto che esse possono avere per oggetto la cura di bisogni impellenti, a volte drammatid, legati alIa salute dei loro aderenti (0 familiarD oppure la cura di interessi puramente economici di persone 0 addirittura di im­prese. Anche la forma giuridica che esse si danno eassai varia: va dall'associazione, comunemente denominata associazione selfhelp 0 di auto-aiuto, alla societa per azioni.

Eppure, nonostante queste vistose differenze, Ie aziende autoproduttrici sono accomunate - suI piano tecnico-econo­mico - da un importante elemento: Ie risorse necessarie per coprire i costi della produzione vengono fornite - con appro­priate modalita - dai Ioro aderenti, in quanta unici destinatari della produzione.

In concreto si pone, quindi, il problema di definire di volta in volta queste appropriate modalita, ovvero di stabilire i cri­teri in base ai quali ripartire i costi della produzione tra i vari aderenti. In proposito, occorre segnalare che talora questa partizione non eguidata solo daIla logica economica rna - so­prattutto neUe c.d. self help anche da intenti mutualistici 0

meglio solidaristici, che portano ad alleggerire l' onere a carico degli aderenti economicamente pill deboli.

Comunque, a parte questa precisazione, esaminiamo rapi­damente Ie ricordate modalita di ripartizione.

Premesso che, in ogni caso, esse debbono essere tali da as­sicurare all' azienda un flusso di risorse sufficiente a coprire i complessivi costi della produzione, si possono formulare tre diverse ipotesi.

La prima riguarda il caso in cui l'azienda produce beni 0

servizi a domanda divisibile, nel senso che essi vengono forniti ai singoli soggetti in base ad una loro specifica domanda. Ne sono esempi: l' azienda che gestisce un centro medico 0 ospe­daliero, una scuola, un impianto sportivo; e ancora: I' azienda che cura gIi acquisti di beni 0 servizi per conto dei suoi ade­renti; I'azienda nata ad iniziativa di un gruppo di agricoltori

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per 1a gestione in comune di macchine ed attrezzature degli ac­quisti di «mezzi tecnici»; l'azienda che cura 1a previdenza e l'assistenza per una categoria professionale, e cosl via.

La seconda ipotesi concerne aziende che producono beni 0

servizi a domanda indivisibile) nel senso che essi sono fruiti ge­nericamente e indistintamente da tutti gli associati. Ne so no esempi: l'azienda nata daIl' associazione tra imprese con 10 scopo di diffondere l'impiego dei prodotti di 10ro fabbrica­zione attraverso: campagne pubblicitarie, azioni promozionali varie, assistenza tecnica gratuita e servizi di informazione ai clienti effettivi e potenziali; Ie c.d. associazioni di categoria tra imprese operanti nello stesso settore; Ie associazioni tra aziende che operano sotto l'egida di un medesimo «modello» giuridico (associazione tra Ie societa per azioni, associazioni tra Ie «fondazioni»), aventi come fine di fornire agli associati tem­pestive informazioni e interpretazioni sulla normativache

il «modello» e sulle sue modifiche, nonche dirappre~ sentare al legislatore e alIa pubblica amministrazione in gene~ rale, esigenze e aspirazioni comuni a tutta la categort'a, in mate­ria di adempimenti amministrativi (ad esempio: forma e pub­blicita dei bilanci, modalita di convoc~zione delle assembIee, trattamento tributario, ecc.).

La terza, infine, riguarda il caso di aziende i cui beni e ser­vizi sono in parte indivisibili, e quindi messi a disposizione in­distintamente di tutti gli associati, e in parte divisibili e, quindi, forniti ai singoli su loro richiesta. Ne sono esempi: un'«associa­zione di categoria» che svolge, al tempo stesso, tesa a curare interessi generali (della categoria) ed un'attivita di consulenza, a richiesta della singola impresa; un'associazione con 10 scopo di curare Ie vendite per conto delle singole im­prese aderenti e, al tempo stesso, di svolgere un' azione promo­zionale a favore genericamente di tutta 1a categoria.

Nella prima ipotesi (bem e servizi divisibili), il partecipante all' azienda paga, per ogni unita richiesta, un quid pari tenden-

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zialmente al relativo costa pieno di produzione. Questo quid non e un prezzo nel senso proprio del termine, perche non si forma in conseguenza di un normale scambio di mercato. Esso e piuttosto un compenso fissato di concerto tra tutti i parteci­panti, nella consapevolezza che - quale ne sia il criterio di de­terminazione all' azienda deve comunque pervenire un flusso di proventi che Ie consenta di raggiungere l'equilibrio economico. Piu che di prezzo, potremmo parlare di tariffa.

Tariffa, dunque, tendenzialmente pari al costa pieno. Per­che tendenzialmente? Per la semplice ragione che, in concreto, I'eguaglianza puo essere realizzata non costantemente, giorno per giorno, rna solo con riferimento a definiti e non brevi inter­valli di tempo (6 mesi, 1 anna ed oltre). Per realizzarla costan­temente, infatti, occorrerebbe modificare di continuo la tariffa,

momenta che il costa unitario di prodotto di per se grandezza non oggettiva, rna convenzionale muta continua­mente, perche continuamente mutano Ie condizioni che 10 de­tcrminano, quali ad esempio: i prezzi dei fattori produttivi, l'efficienza della produzione, l'andamento della domanda. D'altra parte, una continua variazione della tariffa l'isulterebbe in pratica farraginosa ed inopportuna, mentre appare preferi­bile procedere a suoi periodici «aggiornamenti», opportuna­mente «calibrati» per tener conto sia delle variazioni di costo gia intervenute sia di quelle prevedibili per il prossimo futuro.

Quello di fissare tariffe in linea con il costo pieno di produ­zione, e il metodo piu seguito. Non mancano, tuttavia, metodi piu articolati e per certi versi piu conformi allo spirito dell' a­zienda autoproduttrice. E il caso, ad esempio, della c.d. dop­pia tariffa, in base alla quale gli aderenti corrispondono all' a­zienda:

a) periodicamente, un importo fisso (alla stregua di un vero e proprio canone) indipendente, quindi, dalla quantita beni 0 servizi domandati,

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b) un importo variabile in funzione della quantita effettiva­mente richiesta.

E il caso, ancora, del metodo basato su una sort a eli «mi­nimo garantito», ossia sull'impegno, da parte degli aderenti, di richiedere annualmente una determinata quantita di beni e ser­vizi e di corrisponderne, comunque, il relativo controvalore.

Eowio che l'adozione di un metodo piuttosto che di un tro non eirrilevante per i singoli partecipanti. I vari metodi, fatti, configurano differenti criteri di ripartizione del com ples­sivo costo della produzione tra gli aderenti all' azienda, fermo rimanendo iI principio che esso deve trovare integrale coper· tura. La scelta, in pratica, dipende dalle motivazioni che anima gli aderenti all' azienda. Sicche, ora e la pura rlsultante del solo gioco dei rapporti eli forza; ora, al contrario, e il frutto di un comportamento ispirato a sentimenti di solidarieta da tutti condivisi.

Nella seconda ipotesi (beni 0 servizi indivisibili) in assenza di una domanda individuale, il contributo di ciascuno alla co­pertura dei costi e commisurato a Nrametri che, modo, esprimano l'utilita che indirettamente i singoli aderenti traggono dall'attivita aziendale. Nel caso, ad esempio, di asso­ciazioni tra imprese di una stessa categoria merceologica, la rio partizione del costa complessivo della programmata attivita puo essere fatta in base: al fatturato delle singole imprese asso­ciate, al numero dei loro dipendenti, al risultato d'esercizio conseguito da ciascuna ecc. Anche· qui, corne nel caso prece­dente, I'apporto degli aderenti puo dividersi in due parti: una predeterminata, uguale per tutti; l'altra variabile, in funzione dell' andamento dei prescelti parametri.

Analogamente si procede, infine, nella terza ipotesi (beni e servizi in parte divisibili e in parte indivisibili), con l'awertenza che in questa caso i meccanismi tariffari sogliono essere ancor piu articolati, per conciliare al meglio l'esigenza di assicurare

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all'azienda un f1usso di risorse adeguato ai compiti affidatile con quella di realizzare un'accettabile ripartizione dei costi tra tutti gli aderenti.

Quali che siano Ie modalita di ripartizione dei costi tra i vari aderenti, va qui sottolineato che - osservata sotto i1 pro­filo economico la gestione dell'azienda autoproduttrice si presenta come un susseguirsi di costi e proventi: essa spende per realizzare una produzione in conformita aile indicazioni di determinati soggetti i quali, a loro volta, Ie debbono foroire Ie necessarie risorse. Parliamo di proventi e non di ricavi perche - come si e sopra ricordato - il ric avo e fenomeno tipico dello scambio di mercato e discende da un prezzo determinato in funzione, tra I'altro, della domanda e dell'offerta.

Come I'impresa, la nostra azienda sostiene costi per pro­durre, ma a differenza dell'impresa -la loro copertura non ea/fidata al mercato, con tutti i rischi connessi, rna e assicurata dai destinatari della produzione.

La differenza fondamentale tra aziende autoproduttrici (e, piu in generale, tra aziende non profit) e imprese consiste, dunque, non in quel che fanno 0 nel modo in cui 10 fanno, rna in una loro diversa posizione, in un loro diverso rapporto con il mercato. Ed infatti, possiamo avere due aziende in tutto si­mili, quanta ad oggetto di produzione e modalita tecnico-orga­nizzative adottate, eppure l'una rientra nel novero delle im­prese, l' altra in quello delle aziende autoproduttrici (0 in altra dasse eli non profit).

Fin qui 10 schema tipico delle aziende autoproduttrici. Esso, pero, non sempre ne rispecchia fedelmente il concreto comportamento. E non 10 rispecchia sia per la gia rilevata zona grigia presente in qualunque classificazione delle aziende, sia perche l'azienda autoproduttrice subisce spesso, nel corso della sua vita, un processo di trasformazione che la conduce ora verso l'irnpresa, ora - piu di rado - in direzione opposta, verso l' azienda di erogazione.

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L'evoluzione verso l'impresa e frequente quando I'azienda autoproduttrice persegue la tutela di interessi economici di singole persone 0 imprese e giunge alla constatazione che la produzione aziendale, per gli alti standard tecnico-economici raggiunti, e in grado di suscitare anche una domanda di mer­cato a prezzi del tutto remunerativi. Soddisfare questa do­manda significa conseguire «margini» grazie ai quali e possi­bile ridurre Ie tariffe praticate agli aderenti. Di qui la conve­nienza di questi uItimi ad aprire l'azienda al mercato e a tra­sformada progressivamente in vera e propria impresa, con connesso mutamento del precedente meccanismo tariffario.

A volte, l'apertura al mercato nasce da opposte motiva­zioni, ossia dalla constatazione che l' azienda forse perche vive in un ambiente protetto - non raggiunge adeguati stan­dard di efficienza e produce a costi elevati; sicche occorre in­trodurre elementi di competitivita. A questi fini, si da facoita all' azienda di vendere liberamente i suoi prodotti; ma, al tempo stesso, la si priva della sicurezza di ottenere comunque la copertura dei costi e Ie si impone di conseguire, con la do­vuta gradualita, l'equilibrio economico della gestione. In tal modo, tutti i soggetti acquistano' liberta di decisione in ordine a quei determinati prodotti. L' azienda che Ii produce puo ven­derli indifferentemente all'interno 0 all'esterno del gruppo di aderenti e questi - a loro volta - possono comprarli indiffe­rentemente dalla «loro» azienda 0 da altre. Di conseguenza, ciascullo orientera la sua condotta sulla base dei prezzi di mer­cato. S'intende che, ove i tentativi di dare all'azienda economi­cita di gestione non riuscissero, gli aderenti la scioglierebbero, non avendo alcun senso produrre direttamente cio che puo es­sere - a migliori condizioni acquistato liberamente sui mercato.

Dicevo poe' anzi che talora l'azienda autoproduttrice evolve, verso il modello proprio dell' azienda di erogazione. Questo accade, in genere, quando essa ha per oggetto un'atti-

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vita volta a fronteggiare bisogni essenziali (come, ad esempio, la cura di determinate malattie) 0 a perseguire (attraverso, ad esempio, la gestione di una scuola) valori etici comuni a tutti i suoi aderenti. Manifestazione tipica di questa trasformazione e l'offerta gratuita di prestazioni e servizi a persone che non sono in grado di pagarli. COS!, si cura gratuitamente un malato indi­gente; si accoglie nella scuola uno studente la cui famiglia ne condivide la linea educativa ma non puo pagare la retta, ecc.

L'apertura in senso erogadvo e filantropico puo essere con­tenuta nei limiti, per COS1 dire, della capacita produttiva inuti­lizzata 0 puo andare oltre, nel senso che si amplia la struttura . per porla in grado di soddisfare una maggiore domanda.

Ne1 primo caso, sotto l'aspetto tecnico-economico, l'a­zienda rimane sostanzialmente un' «autoproduttore», perche .~senza nulla togliere al valore sociale del suo comportamento - il meccanismo costi/proventi rimane 10 stesso: nessun (signi­ficativo) aggravio di costi ricade sugH aderenti, perche la pro­duzione addizionale e stata ottenuta utilizzando fattori di cui l'azienda comunque doveva sostenere I'onere.

Nel secondo caso, invece, il quadro cambia. Per ampliare la struttura produttiva (rispetto ai bisogni degli aderenti), oc­corrono nuove risorse; e queste risorse debbono giungere all'a­zienda attraverso atti di liberalita, visto che esse servo no a pro­durre servizi destinati, a loro volta, ad essere offerti gratuita­mente.

Eprobabile che, almeno in parte, tali risorse siano diretta­mente 0 indirettamente fornite dagli stessi aderenti. Ma - di 130 dalle forme tecniche utilizzate il titolo a cui Ie forniranno sara diverso: non pili controprestazione di un servizio ricevuto, ma puro e semplice atto di liberalita. Ecco quindi che il mecca­nismo spese!proventi va cambiando; da autoproduttrice la no­stra azienda si avvia a tras/ormarsi in azienda di erogazione.

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6. Le aziende di erogazione

Caratteristica tipica dell' azienda di erogazione e il fatto che la sua produzione, costituita in genere da servizi, viene ceduta senza una diretta controprestazione. Ne sono beneficiari ora soggetti determinati che, in genere, vivono in condizioni di di­sagio, ora soggetti indistinti 0, pill genericamente, un'intera

collettivita. Una siffatta azienda non puo che nascere ad iniziativa di

uomini mossi da intenti filantropici, religiosi, culturali, per rag­giungere i quali essi profondono - senza alcun corrispettivo

impegno personale e, a volte, risorse finanziarie. Per questi uomini, l'azienda e10 strumento attraverso il quale essi danno concretezza e continuita al loro impegno, volto a promuovere sistematicamente la diffusione di val~ri etici da loro forte mente sentiti, 10 sviluppo della cultura, della scienza e dell'arte; 0 a prestare assistenza - nelle forme pill varie - a persone che versano nel bisogno e nel disagio, e cos1 via.

Del resto, l'impegno volontario gratuito sembra rispondere ad un bisogno naturale dell'uomo, 0 almeno ad un bisogno molto diffuso tra gli uomini, qual e'quello di veder attuati al­cuni loro ideali di vita, di contribuire al miglioramento della sodeta di cui S1 eparte, di aiutare il proprio simile in difficolta.

L' eta di valori, di ideali, di propositi spinge gli uomini a cercarsi, a collegarsi, a riunirsi per un impegno comune, per un comune progetto. Nascono cosl associazioni, comitati, organi­smi variamente ordinati che - a Loro volta - esprimono strut­ture produttive (intese come coordinati insiemi di Uomini e mezzi) per svolgere, con sistematicita, l'azione idonea a rag­giungere Ie finalita date. Nasce, cos1 - in altre parole - l'a­

zienda di erogazione. Come si vede, quest'azienda, pur muovendosi nella sfera

privatistica, persegue finalita social mente rilevanti, per certi aspetti d'interesse generale. Viene naturale allora domandarsi

LE AZIENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO

se, e in che modo, la sua attivita s'incroci 0 possa incrociarsi con quella propria dello Stato. La questione edelicatissima. In linea di principio, possiamo dire che si tratta di due attivita ben distinte, che non dovrebbero ne contrapporsi, ne sovrap­porsi.

Due riflessioni, tuttavia, s'impongono. La prima epill che altro una constatazione: a volte, per la

carenza dell'azione statale, Ie aziende di cui parliamo finiscono per svolgere un vero e proprio ruolo di supplenza, con risultati forse non altamente soddisfacenti rna da ritenere complessiva­mente accettabili, ove si pensi che si tratta di una supplenza svolta in via di fatto, ossia non esplicitamente richiesta e, so­prattutto, non adeguatamente programmata. n che fa pensare che, in un contesto diverso, i risultati potrebbero essere di gran lunga migliori. E questa mi porta alia seconda riflessione. Per la forte carica ideale da cui normalmente e moss a, l'azienda di erogazione e senza dubbio in grade di rispondere a certi biso­gni dell'uomo - soprattutto dell'uomo malato, deli'uomo in difficolta, deli'uomo solo - meglio di quanta possa fare una struttura pubblica, burocraticamente organizzata, nonostante ogni lodevole sforzo per umanizzarla.

Questo e un puntonevralgico. Efacile intravedere, infatti, , quali ampi spazi di collaborazione Stato-privati si possano , aprire, e come da questa collaborazione possano derivare pre­

stazioni migliori, a misura d'uomo e a costi pill bassi. Ritornero in seguito sull' argomento. Per ora, conviene esa­

minare i peculiari caratteri tecnico-economici della nostra azienda.

L'azienda di erogazione, come sappiamo, rende i suoi ser­vizi 0, pill in generale, cede la sua produzione senza alcuna controprestazione. A volte, in verita, vi e una contropresta­zione, ma essa e poco pill che simbolica ed e richiesta non tanto per il contributo che ne puo derivare alia copertura delle spese, quanta per contrastare il rischio di sprechi, insito nel­

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I'uso di un servizio reso gratuitamente. Di conseguenza, la no­stra azienda deve poter con tare su un sistematico flusso di ri­sorse provenienti da soggetti che, a loro volta, non chiedono alcuna contropartita perche - condividendone i fini, 0 addi­rittura avendola costituita - vogliono sostenerne l' attivita.

Le risorse possono essere in natura e in danaro. Le prime riguardano donazioni di beni vari, materiali, der­

rate alimentari ecc. Particolare rilievo assumono, in questa am­bito, Ie prestazioni di Iavoro gratuito che comunemente vanno sotto il nome di Volontariato. Questo, a voIte, costituisce la ri­sorsa principale, tanto da poter dire che alcune aziende vivono essenzialmente di volontariato. Cio accade soprattutto quando si rendono prestazioni e servizi che richiedono non tanto com­plesse strutture e cospicui beni strumentali, quanta Ia disponi­bilita di persone particolarmente qualificate (medici, psicologi, avvocati, ingegneri, operai specializzati, ecc.). Ecco allora che, se si puo disporre gratuitamente dell' opera di queste persone, e possibile come dire? - produrre a costi praticamente tra­scurabili.

In questa caso, l'azienda ten.dera ad attrarre il maggior nu­mero possibile di tali persone (naturaimente dopo aver accer­tato che esse condividano 10 spirito e gli ideali perseguiti), «forman dole» e coordinandone l'attivita in modo che - nono­stante ciascuna di loro dedichi solo parte del proprio tempo bero possano, nell'insieme, fornire con continuita ed effica· cia i servizi desiderati.

Anche quando, a differenza del caso qui ipotizzato, non ha un ruolo decisivo, il volontariato svolge comunque una fun­zione di rilievo nell'azienda in esame, perche - a parte gli evi­denti effetti economici - esso introduce nella gestione ele­menti extra-economici (condivisione, partecipazione emotiva, solidarieta, ecc.) che, verosimilmente, ne accrescono l'effica· cia. Per tale ragione, la sua presenza andrebbe sempre incorag­giata.

LE AlIENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO 43

Le risorse finanziarie, a loro volta, possono derivare da contributi volontari, da proventi di beni patrimoniali, da pro­venti di attivita collaterali, ecc.

Contributi volontari. Sono corrisposti da soggetti legati stabilmente, in qua1che forma, all' azienda (o, per essere pill precisi, all'ente, all'istituto cui l'azienda fa capo) 0 da soggetti che non hanno alcun legame con essa, rna ne condividono i fini. I primi sono corrisposti con una certa regolarita (sotto formadi quote associative, di quote di partecipazioni e simili) anche per dar modo all' azienda, come vedremo, di meglio pro­grammare la sua azione. I secondi hanno carattere occasionale e sono variamente sollecitati anche con l'ausilio di appropriate tecniche, denominate tecniche per la raccolta di fondt' nelle non profit.

Redditi di beni patrimoniali. L' azienda puo disporre di un patrimonio formatosi 0 attraverso risparmi accumulati negli anni precedenti, 0 attraverso donazioni imputate direttamente ad esso e non ai proventi d'esercizio. n patrimonio puo essere costituito da fabbricati, terreni, titoli del debito pubblico e al­tre attivita finanziarie a reddito fisso, titoli rappresentativi della proprieta di impresee COS1 via. Alcuni bern sono direttamente impiegati per 10 svolgimento dell'attivita (ad esempio, fabbri­cati che ospitano la sede dell'azienda, Ie persone assistite, ecc.); altri, invece, sono impiegati per ottenere un reddito: ecco quindi che canorn di fitto, interessi, dividendi, ecc., mentano il flusso di risorse dell' azienda.

Proventi di attivita collaterali. Si tratta di proventi (a volte di veri e propri ricavi) conseguenti, ad esempio, alIa vendita di beni e servizi prodotti su richiesta di terzi, utilizzando la mede­sima struttura produttiva che e al servizio dell'attivita eroga­tiva. Si pensi ad un istituto di ricerca scientific a che, accanto alIa sua attivita di base improntata alIa logica erogatrice, presta talum servizi a pagamento (ad esempio: complesse analisi di la­boratorio) 0 mette in commercio libri ed aItre pubblicazioni

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frutto degli studi condotti al SUO interno. A volte, queste atti­vita sono assolutamente marginali e comprendono anche la vendita di oggetti realizzati dalle persone assistite. Altre volte, sono relativamente consistenti e costituiscono una apprezza­bile Fonte di finanziamento, 0 meglio un mezzo per «assorbire» quote significative dei costi di struttura. Quando assumono di­mensioni relativamente importanti, a queste «attivita per terzi» viene spesso data - con l'intento di renderne pill snella ed ef­fidente la gestione - autonomia contabile 0 addirittura giuri­dica, configurandole alIa stregua di un'impresa; certo, si tratta di un'impresa un po' sui genen's, vincolata com'e - per ovvie ragioni - ad un determinato oggetto di produzione, rna epur sempre un organismo che produce per it mercato.

E superfluo predsare che it fatto di gene rare e di control­lare un'impresa non fa perdere alIa nostra azienda il carattere di azienda erogatrice, essendo l'attivita d'impresa chiaramente subordinata e al servizio dell' attivita erogativa. N aturalmente, in pratica, si pongono problemi giuridico-fiscali discendenti dal diverso trattamento a cui Ie due attivita debbono essere sottoposte, anche per evitare possibili alterazioni della concor­renza in favore delle imprese che sono'emanazione di aziende erogatrici. Ma si tratta di problemi di non difficile soluzione sul piano normativo.

Del resto, non e infrequente che un'azienda di erogazione abbia la proprieta e it controllo di un'impresa, per averla rice­vuta in donazione 0, pill raramente, per averla acquistata. Non mancano, inoltre, casi di aziende .di erogazione costituite, come vedremo tra poco, sotto forma di Fondazione, it cui pa­trimonio e composto unicamente dal pacchetto azionario di controllo di una 0 pill imprese.

Per compIetare it quadro, possiamo aggiungere - a quelle sopra indicate - altre due fonti di proventi: trasferimenti da enti pubblici e redditi di lavoro.

Trasferimenti da Enti pubblici. Quando persegue fini

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particolare ritevanza sodale, l'azienda di erogazione puo rice­vere contributi dai Pubblici Poteri (Stato, Regioni, ecc.) per­che questi vedono con favore nell'interesse generale un potenziamento della sua attivita. I contributi possono essere concessi una tantum 0 con continuita. Questo secondo caso e frequente quando l'attivita dell' azienda e in un certo senso so­stitutiva 0 integrativa di analoga attivita che Ia Pubblica Ammi­nistrazione comunque dovrebbe svolgere. Su questa aspetto ri­tornero in seguito.

Redditi di lavoro. Sono tipid delle istituzioni (di regola, re­ligiose) i cui componenti vivono in comunita e, accanto all'atti­vita interna direttamente volta al raggiungimento dei fmi dell'i­stituzione, svolgono un'attivita esterna per Ia quale ricevono regolare compenso (ad esempio: insegnamento nelle scuole pubbliche, svolgimento di un'attivita professionale, ecc.). Tale compenso viene poi versato all'istituzione che provvede - in una visione solidaristica - sia al mantenimento dei suoi com­

.ponenti, sia al perseguimento dei fini che Ie sono proprio

. . In pratica, Ie fonti di proventi sommariamente indicate s1 ·combinano in vario modo, nel senso che I'azienda trae contem­·poraneamente da pill fonti Ie sue risorse. Non mancano, tutta­via, casi in cui l'azienda puo contare solo su una di esse. A que­sto proposito, si segnalano Ie Fondazioni.

Sotto l'aspetto che a noi qui interessa, esse sono tipka­mente aziende di erogazione che, per it finanziamento della loro attivita, contano essenzialmente suI reddito di un patrimo­nio attribuito loro dal soggetto 0 dai soggetti che Ie costitui­scon~. In altri termini, it soggetto che da vita all' azienda e Ie as­segna fini che comportano attivita meramente erogativa, Ia dota di un capitale (it c.d. capitale di fondazione) affinche ­con it suo impiego fruttifero essa possa trarre Ie risorse per perseguire con continuita, indefmitamente, i detti fini.

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Osservata sotto I'aspetto economico, la gestione dell'a­zienda di erogazione - analogamente a quella dell' azienda au­toproduttrice - si presenta (a parte Ie risorse in natura) come un succedersi di proventi e spese. N onostante questa analogia, vi etra i due tipi di aziende una profonda differenza.

Nelle aziende autoproduttrici, come abbiamo visto, Ie spese condizionano i proventi 0, se si preferisce, i proventi sono subordinati aIle spese, in quanto i componenti dell'a­zienda - che poi sono i destinatari della sua produzione deb bono comunque fornirle Ie risorse necessarie alia copertura delle spese. Potranno decidere di sciogliere I'azienda 0 uscirne, di ridimensionarne l'attivita 0 di abbassare il livello delle pre­stazioni, rna finche questa non accade, essi sono vincolati a corrispondere ad essa, neHe forme prestabilite, risorse sostan­zialmente commisurate alle sue spese.

Nelle aziende di erogazione, invece, accade per certi versi il contrario: sono i proventi, infatti, a condizionare Ie spese, Ie quali pertanto trovano in essi un limite invalicabile, non essen­dovi ovviamente alcuna possibilita di accrescere i proventi per il solo fatto che crescono Ie spese.

Quanto aIle caratteristiche dei proventi e delle spese, oc­corre considerare che i primi sono per loro natura variabili, qualche volta addirittura «volatili», Ie seconde, dal canto loro presentano almeno in parte - carattere di rigidita, nel senso che non sono comprimibili senza compromettere la fun­zionalita dell' azienda e la sua stessa attitudine a perseguire i £mi. Penso ai c.d. costi di struttura che a volte, anche nell' a­zienda di erogazione, assumono entita ragguardevoli e che essa deve costantemente sostenere se vuol essere in grado di ope" rare, indipendentemente dall' attivita che poi effettivamente svolge.

Ne derivano complessi problemi di adeguamento delle spese ai proventi, la cui soluzione implica, tra l'altro, un' analisi approfondita del grado di stabilita dei primi e del grado di rigi-

LE AZlENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO

dita delle seconde. E chiaro, ad esempio, che I'entita delle spese sostenibili in un dato periodo efunzione dei proventi su cui si prevede di poter con tare in quello stesso periodo; rna e

. funzione anche - tra I'altro - del grade di attendibilita di questa previsione e del grado di comprimibilita delle spese stesse, vale a dire della possibilita di ridurle senza compromet­tere l'efficacia della gestione. Di qui, I'ovvia constatazione che a ptoventi molto aleatori andrebbero di norma contrapposte, per quanto possibile, spese flessibili e, quindi, strutture pro­duttive molto elastiche.

La stima dei proventi si present a a volte agevole: S1 pensi al caso in cui essi de rivino , pressoche interamente, da contributi degli associati attivamente partecipi alla gestione aziendale; e a volte piuttosto problematic a: 5i pensi al caso in cui essi deri­vino in prevalenza da contributi occasionali, ottenuti attra­verso campagne di raccolta fondi.

Quanto ai proventi patrimoniali, la 101'0 prevedibilita di­pende ovviamente dal tipo di investimento. Nei titoli a reddito fisso, essa emolto alta; un po' meno nei fabbricati; ancor meno nel caso di azioni 0 quote di partecipazione al capitale di im­prese.

Per questa tipo di proventi si pone, accanto al problema della prevedibilita, quello che potremmo chiamare della spen­dibilita. Si tratta, in particolare, di stabilire in che misura i frutti conseguiti possano essere spesi e in che misura debbano essere accantonati per mantenere integro il patrimonio e, quindi, la sua capacita di gene rare adeguati frutti anche in fu­turo. Questo aspetto ha particolare rilievo nelle Fondazioni 'c:he, come sappiamo, hanno di norma ne! patrimonio I'unica Fonte di proventi.

DaIle suesposte osservazioni, appare evidente che la tema­tica qui posta richiederebbe una trattazione sistematica che ­andando alla radice della questione prendesse Ie mosse dal seguente interrogativo: con quali criteri si imposta Ia politic a

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delle spese in un'azienda di erogazione? Da questa discende­rebbe, poi, una serie di altri interrogativi, quali ad esempio: si possono spendere solo risorse gia disponibili 0 anche risorse la cui disponibilita e soltanto prevista? E come ci si comporta spetto agli impegni pluriennali di spesa? In un dato esercizio, si possono spendere tutte Ie risorse conseguite 0 bisogna ac­cantonarne necessariamente una parte? E, in casi eccezionali, la spesa del periodo puc superare i proventi del periodo, fa­cendo affidamento su risorse future? E ancora, l'azienda di erogazione si puc, ed entro quali limiti, indebitare?

Una trattazione sistematica, purtroppo, non e qui possi­bile. Mi limito a segnalare due proHli.

II primo riguarda gli effetti dell'inflazione. E chiaro che in presenza di un deterioramento del valore della moneta se i proventi di attivita finanziaria a reddito fisso venissero intera­mente spesi, ne conseguirebbe un impoverimento (sostanziale, anche se non contabile) del patrimonio. Sicche, se si vuole con­servare integro (in termini di potere di acquisto) il patrimonio, occorre accantonare una parte dei relativi proventi, commisu­rata al tasso d'inflazione. Ese, come a volte accade, il tasso d'inflazione e superiore al tasso d'intereSse, i proventi non co­stituiscono neanche in parte frutti in senso economico e, come tali, vanno interamente accantonati.

II secondo profilo riguarda i proventi (dividendi) derivanti da partecipazioni societarie. '

La conservazione del valore di queste partecipazioni e, as­sai spesso, legata alla capacita di far fronte agli aumenti di capi­tale via via richiesti per un' equilibrata gestione delle imprese partecipate. L'esperienza mostra che talora l'impossibilita di sottoscrivere un aumento di capitale puo determinare so­prattutto nel caso di societa non quotate - vistose perdite, quando non addirittura l' annullamento del valore dell'intera partecipazione.

Ne consegue che la spendibilita dei proventi in esame e

LE AZlENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO 49

qualche modo connessa con l'assetto patrimoniale e fmanziario dell'azienda di erogazione. Se essa dispone di cospicue risorse finanziarie variamente impiegate e, all' occorrenza, di agevole smobilizzo, i detti proventi sono senz' altro spendibili. In caso contrario, essi debbono essere in tutto 0 in parte accantonati, affinche - con Ie sottostanti risorse fmanziarie - si possa far fronte agli eventuali aumenti di capitale della partecipata.

La drcostanza qui segnalata assume particolare rilievo nelle Fondazioni il cui patrimonio sia costituito interamente, 0

quasi, da una sola partecipazione azionaria, Eil caso, ad esem­pio, delle Fondazioni nate a seguito dello scorporo delle aziende bancarie dagli istituti di credito di diritto pubblico e dalle Casse di risparmio.

Una tale struttura patrimoniale, infatti, da un lato limita fortemente I'operativita della Fondazione, perche Ie impone forti accantonamenti; dall'altro, la espone al rischio insito in una forte concentrazione delle fonti di reddito, che per essa sono fonti di vita.

. A parte il riferimento a queste situazioni per molti versi particolari, resta comunque la fondamentale esigenza, comune a tutte Ie aziende erogatrici, di armonizzare il circuito: spese/proventi/accantonamenti di proventi/formazione di rispar­mio/generazione di nuove risorse.

n fulcro della gestione di un' azienda erogatrice e proprio in questa circuito e nella capacita di combinarne opportuna­mente Ie componenti. In verita, la particolare natura dei pro­venti - largamente dipendenti, come sappiamo, da atti di Ii­beralita - richiederebbe che, soprattutto nella fase di avvio dell' azienda, fosse dato un certo spazio agli accantonamenti e al risparmio, con conseguente differimento delle spese ri­spetto all' epoca di conseguimento dei proventi. N e derive­rebbe un rafforzamento dell'azienda e una sua accresciuta ca­pacita di sostenere anche un eventuale irrigidimento della struttura dei costi, ove esso Fosse condizione necessaria per accrescere l' efficacia e l'efficienza della gestione.

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Tutto questa e ineccepibile sul piano tecnico-economico. Sennonche la comprensibile ansia di fare e la frequente consta­tazione che aIcuni drammatici bisogni non possono attendere, conducono spes so i responsabili (sarebbe meglio dire gli ani­matori) dell'azienda a respingere l'idea di differire Ie spese per dar modo alle sue strutture di irrobustirsi; anzi, a volte Ii por­tano a sceIte che - ove giudicate in termini di pur a razionalita economica piu che ardite apparirebbero temerarie. Spesso, purtroppo, la razionalita si vendica; e l'azienda cade, si dis­solve: a voIte, in verita, anche per effetto di errori che una mi­gliore conoscenza dei meccanismi tecnico-economici avrebbe potuto evitare. Di tanto in tanto, per fortuna, la razionalita non si vendica, lascia correre: nascono cosile cose (in apparenza) impossibilL Del resto, molte grandi opere fllantropiche, quando nacquero, non apparivano forse impossibili secondo i principi dell' analisi economica?

Con questo, owiamente, non voglio dire che, nella condu­zione delle aziende erogatrici, si possano trascurare i canoni propri di quella che chiamiamo la «sana» e «corretta» ge­stione. Voglio soltanto dire che,la peculiarita dei fini giustifica, in queste aziende, mi si passi l'espr~ssione, un'interpretazione di quei canoni piu coraggiosa, piu ardita di quella che se ne deve dare nelle altre aziende, in particolare nelle imprese. Si puo dire che, per certi aspetti, Ie aziende erogatrici hanno maggiore propensione al rischio rispetto alle imprese. Si consi­deri, ad esempio, il diverso modo in cui esse si pongono di fronte al fondamentale canone dell'equilibrio economico, Nelle imprese, l'equilibrio economico assurge a valore da difendere comunque. Non cosl nelle aziende erogatrici, dove ferma naturalmente la sua grande importanza - esso va visto in con­nessione can il conseguimento dei lora fini istituzionali. Non avrebbe, infatti, alcun senso un equilibrio economico fine a se stesso; un equilibrio economico raggiunto da un' azienda che - proprio per il timore di turbare tale equilibrio - realizzasse

LE AZIENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO 51

. poco 0 niente in ordine aIle sue finalita istituzionali. E aHora comprensibile che, in questa situazione, l'azienda di eroga­zione - come dire? - forzi un po' Ie cose e si spinga ad assu­mere iniziative che forse ne metteranno a rischio Ia sopravvi­venza, rna che appaiono indispensabili per dare un senso alla sua stessa esistenza.

7. I.e imprese sociali

Sdno cosi denominate queUe aziende che, pur destinando allo scambio la loro produzione, perseguono finalita diverse dal profitto. Come abbiamo visto, queste finalita possono es­sere ricondotte a due:

~ dare opportunita di lavoro a persone che non riescono ad inserirsi in un normale circuito produttivo;

'- offrire beni e soprattutto servizi che ne Stato ne imprese producono e la cui assenza lascerebbe insoddisfatta una diffusa domanda proveniente soprattutto dai ceti economi­camente deboli.

In relazione al primo punto, edi comune constatazione che h6rmativa e prassi in materia di rapporti di lavoro fanno SI che alcune persone siano di fatto emarginate dal mondo dellavoro. Per portatori di handicap, persone di mezza eta con scarsa qualificazione professionale, ex carcerati, ecc., e praticamente

. impossibile trovare 0 ritrovare un'occupazione. Vi e si qualche «riserva di legge» a favore di questa 0 quella categoria di sog­getti svantagg/ati, rna essa si mostra del tutto inadeguata sia sul piano quantitativo, sia - do che eancor piu import ante - suI piano del merito: problemi come quello deH'inserimento 0 del reinserimento di soggetti svantaggiati non possono essere sem­plicisticamente risoIti imponendo aHe imprese (e, a voIte, an­

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che aila Pubblica Amministrazione) un certo numero di assun­zioni. Per questa via si appesantiscono, talora in modo insoste­nibile, i conti economici delle imprese e non si rimuovono alla radice Ie cause di disagio delle persone che si vorrebbe aiutare.

Vi e poi un'altra constatazione. Nel nostro Paese (e non solo nel nostro) si assiste, con sempre maggior frequenza l'abbandono di alcune attivita d'impresa perche esse non «reg­gono» il peso del costo del lavoro e dei suoi aumenti. E que­st'abbandono consegue al fatto che ai prodotti interni si vanno sostituendo prodotti d'importazione, 0 al fatto che, a causa dell'aumento dei prezzi (indotto dall'aumento dei costi), la do­manda si va assottigliando. Per converso, un'attenta osserva­zione della realta fa intuire che - con un' adeguata normativa in materia di lavoro e con modelli organizzativi della produ­zione diversi dall'impresa tradizionale e dalla Pubblica Ammi­nistrazione - sarebbe possibile attivare una nuova domanda soprattutto nel campo dd servizi sodali e, quindi, dar vita a nuova occupazione.

lnsomma, il «quadro» che si presenta a chi domanda un la­voro non appare sempre in gradQ di appagarne Ie attese e Ie esigenze, sia che. si tratti di una persona normale che domanda un lavoro normale sia, e ancora di pill, che si fatti di una per­sona svantaggiata che domanda un lavoro con caratteristiche peculiari (per durata, intensita di applicazione, ecc.).

Diviene allora naturale chiedersi se non sia possibile pro­muovere aziende con I'esplidto scopo di rispondere alla cre­scente domanda di lavoro proveniente, in particolare, da sog­getti svantaggiati, per i quali - tra l'altro illavoro ha spesso funzione terapeutica; se non sia possibile concepire un mo­dello di azienda (e pill propriamente di impresa) incentrato suI lavoro come fattore a remunerazione residuale: un modello di impresa che - consapevole di assumere iniziative non rispon­denti alla logica dell'impresa classica, perche non in grado di remunerare tutti i fattori produttivi alle correhti condizioni di

LE AZIENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO

mercato - affidi al compenso dellavoro la funzione di assicu­rare l'equilibrio della gestione. Se non sia possibile, in altri ter­mini, concepire un modello di impresa ordinato alla creaziane di lavoro e che allavoro dia il piu alto compenso possibile, sa­pendo in partenza che di norma - esso sara comunque re­Iativamente basso.

E veniamo alla seconda motivazione: produrre case rite­nute utili, e talvolta necessarie, aIle quali ne 10 Stato ne it mer­Cato provvedono.

In materia di produzione di beni e servizi, si creane a volte, nella ripartizione dei compiti tra Stato e mercato, degli spazi in cui non arriva ne l'uno ne l'altro, con la conseguenza che cose

. occorrenti ad un gran numero di persone non sono prodotte e quindi non sono disponibili. Questa ripartizione di compiti, del resto, non e rigidamente programmata, ne potrebbe es­serlo; il pill delle volte avviene con una certa casualita: 10 Stato, in genere, avoca a se la produzione di alcuni beni e soprattutto

. eli servizi, individuati in base a criteri che qui non e il caso di discutere, e lascia al mercato il resto, avendo cura, natural­mente, di adottare una serie di provvedimenti volti ad orien­tare il mercato anche verso talune produzioni che, pur non avendo avocato a ritiene comunque utile mantenere e svi­

. Iuppare perche idonee a soddisfare esigenze largamente sen­tite.

Nonostante questo, gli spazt' vuati, di cui si diceva poc'anzi, si aprono di continuo: spazi nei quali 10 Stato non ritiene spingersi direttamente e Ie imprese non hanno convenienza ad inoltrarsi. Probabilmente tutto do e, almeno in parte, inevita­bile e dipende ora dal1a difficolta dello Stato di azionare tem­pestivamente la complessa strumentazione volta ad orient are la

.convenienza delle imprese; ora dalla difformita di valutazione ·tra Stato e parte della sacieta civile circa il rilievo da attribuire a determinate produzioni.

In questa spazio si collocano Ie imprese sociali; in questo

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spazio possono trovare adeguate condizioni di vita modelli d'impresa non orientati al profitto. La rinuncia al profitto, in­fatti, abbassa illivello di convenienza, nel senso che fa ritenere fattibili iniziative che nella logica del profitto non 10 sarebbero. Si tratta, naturalmente, di iniziative a contenuto umanitario, culturale, artistico e cos1 via. E il caso, per fare un solo esem­pio, di servizi sanitari richiesti da ceti economicamente deboli con limitata capacita di spes a, a cui 10 Stato non provvede 0 provvede solo in piccola misura. Nella logica di mercato, que­sta domanda rimarrebbe assai spesso insoddisfatta, mancando Ie condizioni per attrarre l'interesse delle normali imprese. Ep­pure, a volte potrebbe bastare poco, potrebbe bast are soltanto l'abbandono della logica del profitto per riuscire ad organiz­zare la produzione in modo da contenere i costi e i prezzi in miti sostenibili da ampie classi di utenti.

Le due fmalita attribuite alle imprese sociali, qui somma­ria mente illustrate, non vanno considerate come alternative, presentandosi spesso in termini assolutamente complementari. Del resto, considerato 10 spirito che li anima, eassai probabile che i promotori di queste imprese tendano, quando e possi­bile, a perseguire - variamente dosandole da caso a caso ­entrambe Ie finalita: dare occupazione a soggetti svantaggiati, impiegandoli in attivita orientate a produrre beni e servizi so­cialmente utili.

Esaminate Ie motivazioni, vediamo ora come, e ad inizia­!iva di chi, nascono Ie imprese sociali. Appare evidente, in­tanto, che queste imprese hannowmoltissirni punti di contatto con Ie aziende di erogazione tanto che, forzando un po' Ie ana­logie, potremmo includerle in un'unica categoria. Ne facdamo una classe a parte solo per dare maggior rilievo - con una trattazione autonoma - a qualche loro peculiarita e non per­che, suI piano concettuaIe, abbiano caratteri e connotazioni nettamente diversi.

Come nelle aziende di erogazione, alla base delle imprese

LE AllENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO

sociali vi sono forti motivazioni etiche; vi sono persone che perseguono determinati val~ri e, per vederli attuati, promuo­vono realta aziendali alle quali - allo scopo di rendere possi­bile una gestione economicamente equilibrata offrono senza controprestazione, 0 quasi, la loro professionalita e a volte illoro danaro.

In altre parole, anche Ie imprese sociali si basano larga­mente sui volontariato; anzi, illoro sviluppo e la loro stessa dif­fusione sana strettamente legati alla capacita di mobilltazione dell'azione volontaria gratuita.

Nella logic a dell'impresa sodale, il volontariato svolge due tipiche funzioni: una squisitamente economica; l'altra un po' piu compiessa che, con qualche approssimazione, potrem1l10 chiamare etica.

Sui piano economico, e chiaro che il disporre - gratuita­mente 0 comunque a condizioni «fuori mercato» - di una ri­sorsa irnportante (qual e l'opera dei volontari) conferisce al­l'irnpresa sociale una certa area di manovra che essa puC> utiliz­zare per:

- accrescere, fino ad awidnarle a quelle dei lavoratori nor­mall, Ie remunerazioni dei soggetti svantaggiati che vi lavo­rano, a favore dei quali, tra l'altro, l'iniziativa estata conce­pita;

contenere i prezzi dei beni e servizi offerti, soprattutto se destinati a persone che vivono in condizioni disagiate; accrescere la sua operativita per rendere, cos}, piu incisiva la sua missione.

SuI piano etico, il volontariato consente un'umanizzazione di tutta I' attivita aziendale, con ovvio accrescimento della sua efficacia. E la naturale conseguenza, questa, della diffusa pre­senza nell'azienda di persone che - condividendone fini e ideali - porta no nel quotidiano operare una convinta ed ope­

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rosa adesione a quegli ideali: si tratti di assistere e aiutare nel­l'apprendimento i Iavoratod disagiati; si tratti di adoperarsi per rendere sempre migliori, sempre piil a misura d'uomo i

servizi resi alia clientela. II ruolo del volontariato e essenziale, oltre che nell'ordina­

rio funzionamento, nella stessa fase di costituzione dell'im­presa sodale. Come ogni impresa, anche questa ha bisogno di imprenditorialita; e, come ogni impresa, anche questa per na­scere ha bisogno di qualcuno che abbia un'idea, un'intuizione; che ne verifichi la validita tecnico-economica; che la formalizzi in un progetto; che trovi e organizzi Ie risorse necessarie. Di re­goIa, tale funzione e svolta gratuitamente, nel senso che chi promuove l'impresa non si aspetta, per questo suo particolare ruolo, un compenso; cOSt come non si aspetta un compenso per la consulenza che egli di tanto in tanto continuera a pre­stare, una volta avviata I'attivita. E sarebbe difficile immagi­nare il contrario, ove si consideri che chi anima un'impresa so­dale 10 fa con motivazioni che non solo 10 portano ad esclu­dere il profitto, ma 10 inducono spesso a sostenerla con atti di liberalita. Certo, se alia fut}zione imprenditoriale si accompa­gna l'assunzione di un impegno a tempo pie no nelia gestione, e probabile che alla persona interessata venga corrisposta una remunerazione; ma essa - verosimilmente - sara inferiore a

quella di mercato. Considerata sotto l'aspetto economico, la gestione deli'im­

presa sodale - intesa secondo 10 schema qui delineato - si presenta come un susseguirsi di costi e ricavi variamente, e a volte strettamente, intrecciati con atti di liberalita.

L'acquisizione dei fattori produttivi, infatti, avviene ora at­traverso il sostenimento di costi espressi da prezzi formatisi in normali operazioni di scambio a condizione di mercato; ora at­traverse Ia corresponsione di un quid, di un compenso Iarga­mente inferiore a quello corrente; ora addirittura gratuita­

mente.

I.E AZIENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO

La vendita della produzione, a sua volta, avviene ora attra­verso normali atti di scambio e, quindi, a prezzi di mercato; ora a prezzi inferiori per tener conto - net limiti in cui 10 con­sente il vincolo dell' equilibrio economico di gestione - della capacita di pagamento degli utenti 0, in generale, degli acqui­

· renti. Naturalmente, in quest'ultimo caso non ci troviamo di fronte a veri e propri «prezzi», perche Ia loro formazione non e affidata unicamente ai meccanisrru di mercato.

In materia di equilibrio economico delle imprese sociali, · occorre qualche puntualizzazione. A parte i fattod provenienti

da atti di liberalita e di volontariato, nelle imprese sociali ­· come nelle normali imprese - enecessario che, accanto a fat­tod a remunerazione contrattuale, vi siano fattori a remunera­

. zione residuale. Essi hanno la funzione di fronteggiare il d­.. schio generico d'impresa; rischio che, sia pur con connotazioni .. del tutto particolad, e presente anche neile imprese sociali.

.'Anche queste imprese, infatti, analogamente aile altre, hanno bisogno di una struttura produttiva che, come e noto, genera.

'costi rigidi; anche queste imprese, sono in qualche modo aperte al mercato; e dunque anch'esse sono esposte all'even­

.. tualita che - nonostante l'apporto del volontariato - i ricavi della produzione non siano in grado di coprire i costi 0, piil in generale, di soddisfare Ie attese di coloro che Ie forniscono i fattod produttivi.

Accanto aile molte analogie vi e, pero, suI punto in esame, fondamentale differenza tra i due tipi di impresa. Nell'im­

presa tipica, i titolari dei fattori a remunerazione res1duale S1 appropriano di tutta I'eccedenza dei ricavi sui costi; anzi, im­primono alla gestione un indidzzo volto ad accrescere - per quanta e possibile questa eccedenza e, con essa, la loro re­munerazione. Nell'impresa sodale, al contrario, la remunera­zione dei fattori in posizione residuale trova un tetto, un limite massimo voluto proprio dagli stessi titolari di tali fattod 0, co­munque, da loro consapevolmente accettato. Go e la naturale

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conseguenza, da un lato, dei fini che animano questi soggetti i quali, per altro, spesso sono anche i promotori dell'impresa; dall' altro, della presenza del volontariato: non avrebbe senso, infatti, chiedere l'apporto del volontariato e, al tempo stesso, remunerare senza limiti alcuni soggetti.

Circa la determinazione del limite massimo, e evidente che non possono stabilirsi regole generali. Prescindendo dalla pre­senza di eventuali norme di legge in materia, esso potrebbe es­sere fatto tendenzialmente pari aile corrispondenti remunera­zioni contrattuali: do che implicherebbe la rinunda al com­penso per il rischio. Potrebbe essere Rssato (per qualche fat­tore 0 per tutti) a livelli inferiori; cOSI come, al contrario, po­trebbe essere spinto fino ad includere un compenso per il ri­schio. Tutto dipende, nat uralmente , dalia dispanibilita, dalia propensione alia rinuncia dei soggetti che forniscono all'im­presa i fattori in questione. Non va taciuto, tuttavia, che se illi~ mite massimo ingloba un consistente compenso per il rischio, ne deriva un modello di impresa che - nonostante Ia formale appartenenza al novero delle imprese sociali - rischia di smar­rire i tratti propri di queste ,per a-:vkinarsi molto alla impresa tipka.

Quale che sia il criterio di determinazione, resta il fatto che l'introduzione di un limite massimo alle remunerazioni puo ge­nerare un' «eccedenza» non attribuibile ad alcun soggetto. Questa eccedenza viene lasciata nell'impresa e - in linea con i presupposti da cui trae origine - non puo essere destinata ai fattori a remunerazione residuale neanche in sede di liquida­zione. Finche l'impresa e in funzionamento, queste risorse concorrono, direttamente 0 indirettamente, ad espanderne l'attivita e a promuovere iniziative analoghe. E tipico delio spi­rito dell'impresa sociaIe, infatti, tend ere ad espandersi e a ge­nerare analoghe iniziative, come modo per dare piu efRcada alia sua missione e per diffondere i suol valori e i suoi ide ali.

Se poi, per qualsiasi ragione, l'impresa venisse liquidata, Ie

LEAZIENDE NON PROFIT TRA STATO E MERCATO

risorse in paroIa, 0 meglio Ie risorse residue dopo aver corri­sposto i rimborsi dovuti ai soci, costituirebbero oggetto di libe­ralita in favore di istituzioni analoghe, scelte secondo i criteri previsti dal suo statuto.

8. Aziende di erogazione, imprese sociali e volontariato nelle sue varie forme

Abbiamo visto che Ie aziende di erogazione e Ie imprese so­ciali s1 fondano Iargamente sui volontariato. Grazie al suo ap­porto, esse infatti riescono spesso afar quadrare i conti e aim­primere maggiore efficacia alla loro attivita.

La diffusione e 10 sviluppo di queste realta aziendali sono dunque legati alia disponibilitii di volontariato. Ma questo, a

. sua volta, non e una risorsa illimitata: sicche occorre adope­rarsi per accrescerla il piu possibile, anche attraverso la promo­zione di nuove forme di azione volontaria che possano util­

.' mente affiancare quelle tradizionali. Come e noto, il voiontariato e tipico della persona fisica,

•che destina parte del suo tempo per aiutare, direttamente 0 in­direttamente, gli altri 0, pill in generale, per contribuire ami­gliorare - secondo una scala gerarchica di valori- Ie condi­zioni di vita della comunita di cui eparte. Puo assolvere questo suo impegno operando da solo, 0 coliegandosi variamente con altre persone mosse dagli stessi intenti; resta comunque il fatto, che nella sua forma tradizionale, il volontariato - ripeto - eopera, einiziativa delia singola persona.

Da questa constatazione, nasce spontanea una domanda: attore di volontariato dey' essere necessariamente un individuo, una persona fisica? non puo esserlo anche una entita compo­sita, una realta produttiva complessa, come ad esempio Ia nor­mate impresa capitalistica, vista come soggetto che ingloba in se un coordinato insieme di uomini e di mezzi?