E’ opportuno fare della ricerca sulla Genetica...

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CORSO DI LAUREA IN BIOTECNOLOGIE AGROINDUSTRIALI CORSO DI BIOETICA E FILOSOFIA DELLA SCIENZA A.A. 2009/2010 TERM PAPER “LA NUOVA GENETICA” TERAPIA GENICA ED EUGENETICA SCREENING GENETICO E CONSULENZA Riflessioni sulla parte III “The New Genetics” del libro Bioethics di Helga Kuhse e Peter Singer A cura di: Erica De Idonè Luca Ferrari Stefano Marcomini Stefano Negri

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CORSO DI LAUREA IN BIOTECNOLOGIE AGROINDUSTRIALI

CORSO DI BIOETICA E FILOSOFIA DELLA SCIENZA

A.A. 2009/2010

TERM PAPER“LA NUOVA GENETICA”

TERAPIA GENICA ED EUGENETICASCREENING GENETICO E CONSULENZA

Riflessioni sulla parte III “The New Genetics” del libro Bioethics

di Helga Kuhse e Peter Singer

A cura di:Erica De Idonè

Luca FerrariStefano Marcomini

Stefano NegriNazarena Raos

Yari SaettaDavide Sega

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PREFAZIONE

Nell’ambito della bioetica abbiamo scelto di approfondire le tematiche riguardanti l’ingegneria genetica, le sue applicazioni e la consulenza ad essa legata. Riteniamo, infatti, che questi siano argomenti sui quali ci sia bisogno di discussione e informazione di modo che, quando queste nuove tecnologie potranno essere applicate , esisteranno già delle regole e dei criteri di valutazione per la correttezza del loro utilizzo: l’opinione pubblica dovrà essere pronta per decidere in modo oggettivo sull’eticità di queste tecniche. Il problema dell’uso di queste tecniche si solleverà prima di quanto si pensi, infatti, recentemente sono stati ottenuti risultati positivi nell’applicazione della terapia genica sull’uomo per la cura di alcune malattie genetiche, che lasciano intravedere molte possibilità per le applicazioni cliniche di queste tecniche (vedi articolo in allegato pubblicato sul numero 497 di Le Scienze di gennaio 2010).

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Marcomini Stefano VR080178È giusto usare l’ingegneria genetica? E per quali scopi?

commento di Stefano MarcominiSull’articolo “Questions about some uses of genetic engineering” di Jonathan Glover

Innanzitutto per fare una discussione riguardo l’ingegneria genetica bisogna prima precisare l’importanza dei geni e dell’ambiente nello sviluppo delle caratteristiche di un individuo.Entrambi questi fattori partecipano allo sviluppo dell’individuo ed è interessante e utile studiare il peso che ciascuno di essi hanno per una particolare caratteristica, all’interno di una particolare popolazione in un determinato periodo.Questi studi però sono molto complicati e oltretutto essi perdono di rilevanza, all’interno del nostro discorso, se per qualche motivo le differenze genetiche vengono livellate.Per fare una riflessione su l’ingegneria genetica però non ci interessa sapere la relativa importanza del singolo gene nella manifestazione di una caratteristica individuale.Ci basta tenere presente che geni differenti ci possono dare caratteristiche differenti, un fatto incontrovertibile.La prima cosa da dire riguardo l’ingegneria genetica è che questa tecnica è utilizzate per cambiare la composizione genetica di un individuo, ma non è il solo metodo utilizzabile.Infatti quando parliamo di alterare la composizione genetica delle future generazioni abbiamo tre modi: - cambiamenti ambientali: i cambiamenti ambientali vanno ad interagire con il pool di geni di una popolazione, infatti è proprio su queste considerazioni che si basa la teoria di Darwin. Se consideriamo anche i cambiamenti della società come facenti parte di questo gruppo risulta ovvio che, per esempio, le innovazioni nell’ambito della medicina vadano a influenzare l’equilibrio di chi muore da chi vive e quindi quali geni continuano a fare parte del pool e quali no;- eugenetica: il fatto di poter selezionare i componenti che si uniranno per dare vita ad un figlio permette in maniera grossolana di andare a selezionare certe caratteristiche che si vorrebbero ottenere poi nella progenie. In pratica è considerabile come una forma di selezione “naturale” spinta;- ingegneria genetica: usare particolari enzimi per inserire o eliminare porzioni di DNA all’interno di un genoma.Per tutti noi è facile accettare il fatto che i cambiamenti ambientali, considerando che sono sempre avvenuti nella storia, vadano a influire sul pool di geni sia in maniera positiva ( per dare vita ad una evoluzione ) e ovviamente accettiamo che questa influenza abbia anche dei risvolti negativi sul pool ( pensiamo per esempio alla sopravvivenza di una persona affetta da una grave malformazione grazie alle cure mediche ).Il problema ha inizio quando si inizia a parlare di eugenetica e di ingegneria genetica, infatti molte persone contrappongono a questi argomenti l’importanza di mantenere il polimorfismo genetico ( in parole povere la varietà dei geni ) all’interno della popolazione.Si è visto infatti che un sistema in cui questo polimorfismo cessa di esistere è destinato al collasso perché un tale sistema non ha possibilità di cambiamento e quindi né di miglioramento e né di adattamento.Dal punto di vista della politica dell’eugenetica il polimorfismo è invece un problema.Questa gran varietà di geni infatti non permette di osservare immediatamente se un intervento eugenetico, avente come soggetti due individui con delle caratteristiche desiderate, ha dato gli aspetti desiderati nella progenie e quindi questa politica è di base fallimentare per molti suoi aspetti. Quindi ha più senso impostare il nostro discorso sull’ingegneria genetica perché oltre che avere effetti immediati non comprende nel progetto la progenie dell’individuo e quindi non ci mette di

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fronte all’ulteriore problema di pensare a quali caratteristiche potrebbero esse utili nelle generazioni successive.

Oltretutto l’eugenetica ha limitazioni dal punto di vista della libertà individuale cosa che invece non avviene assolutamente nell’ingegneria genetica.Con queste informazioni sembrerebbe evidente che l’eugenetica è una politica utopistica e denigrante per l’essere umano, ma questo non è del tutto vero.Infatti una forma di eugenetica molto importante ai giorni nostri è la possibilità di fare degli screening sulla composizione genetica del feto nelle donne incinte.Attraverso questo sistema è possibile diagnosticare gravi malformazioni prima che il bambino venga alla luce e quindi si dà la possibilità ai genitori di scegliere se portare a termine la gravidanza o di interromperla mediante l’aborto.Abbiamo quindi la possibilità, ovviamente mediante la decisione dei genitori e non del consulente, di ridurre la percentuale di gravi malformazioni nella popolazione ed è quindi per questo una forma di eugenetica. Certo la pratica dell’aborto non è accettata da tutti per ovvi motivi, quindi è ben accetta un’alternativa ad essa.Questa alternativa sarebbe rappresentata appunto dall’ingegneria genetica, in particolare dall’ingegneria genetica negativa che ha lo scopo di eliminare i difetti genetici e quindi di permettere al bambino di vivere una vita dignitosa.In contrapposizione all’ingegneria genetica negativa troviamo quella positiva che invece di eliminare i difetti aumenta o migliora certe caratteristiche rispetto a quello che è considerato in quel momento normale ed è per questo motivo non accettabile per molte persone.Anche se accettiamo questa opinione risulta evidente che è difficile delineare cosa è normale, ed è ovvio che anche se questo fosse possibile sarebbe una soluzione temporanea infatti ciò che è invidiabile come normale evolve nel tempo ( basta pensare come è variata l’altezza media delle persone nella storia dell’umanità ).Il punto di grande riflessione, dato per scontato che l’ingegneria genetica negativa è molto utile, è infatti se è necessario cercare di fissare questo limite tra ingegneria genetica negativa e ingegneria genetica positiva o se è necessario accettare in blocco entrambi i tipi.I motivi per cui l’ingegneria genetica positiva può essere discriminata rispetto a quella negativa sono molteplici:La prima obiezione riguardante è il fatto che se tali miglioramenti nel corredo genetico fossero stati possibili essi sarebbero già stati portati a termine dalla selezione naturale ed il motivo per cui questo non è avvenuto è che noi siamo la massima espressione dell’evoluzione e che quindi per avere miglioramenti in certi campi dovremmo pagare dazio in altri.Ma è ovvio che tale interpretazione degli studi di Darwin non è del tutto corretta. Infatti in tali ipotesi è chiaro che sono mutazioni casuali selezionate dalla selezione naturale a determinare un miglioramento evoluzionistico e quindi non è pensabile che mutazioni mirate e non casuali possano avere lo stesso effetto su un individuo?Una seconda obiezione può invece avere come oggetto il rapporto tra genitori e figli.Infatti una delle cose che fà sì che ci sia un rapporto così speciale tra di essi è il fatto che ci sia una forma di identificazione, cioè tutti noi saremmo contenti se rivedessimo nei nostri figli una somiglianza, una caratteristica nostra.L’ingegneria genetica, in particolare quella positiva, non tiene conto di questi fattori anzi ha interesse nel permettere un rapido salto in avanti nell’evoluzione. Però se pensiamo bene a quanto detto l’ingegneria genetica non fà altro che velocizzare un processo che utilizzando solo variazioni ambientali, quali l’educazione scolastica, avrebbe un tempo di gestazione assai più lungo.Un’altra obiezione, forse quella dal punto di vista scientifico più discutibile, si baserebbe invece sulla possibilità che le nostre vite e quindi anche il nostro sviluppo siano regolate da un piano redatto da Dio.

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L’obiezione di non giocare a fare Dio ci proibirebbe di interferire con la selezione naturale che sarebbe, secondo questa teoria, regolata da Dio stesso.

Ma questo oltre a eliminare la possibilità di utilizzare sia l’ingegneria genetica positiva che quella negativa insinua dubbi pure sull’utilizzo delle più semplici pratiche di medicina cosa non accettabile in un’epoca in cui molta gente del terzo mondo muore appunto perché non ha a disposizione il minimo che la medicina ha da offrire.Queste sono obiezioni accettabili ma facilmente smontabili. Rimane però un’ultima obiezione, quella riguardante il problema dei rischi. Ecco questa obiezione è forse quella più condivisibile indipendentemente dal punto di vista individuale.Infatti il problema di cercare di modificare qualcosa che non si conosce fin nei minimi particolari è quello di creare un sistema fuori controllo, in cui magari si creano delle disfunzioni dovute a un effetto secondario della terapia e che magari non sono riscontrabili nell’immediato ma solo con il susseguirsi delle generazioni. A quel punto ci si troverebbe con un gruppo di individui da dover sterilizzare o comunque dovremmo fare terapie di correzione sulla progenie. Ma allora la libertà individuale?Quindi è ovvio che quando si parla di questi argomenti è inevitabile tenere presente che ogni decisione sul futuro deve essere presa con estrema cautela.Tenendo presente questo principio è ovvio che i fattori di rischio per una ingegneria genetica negativa, che và a correggere solo un difetto, sono molto minori rispetto ad una ingegneria genetica positiva che invece ha in qualche modo la presunzione di costruire qualcosa e non solo di ripristinare lo stato normale delle cose.Tutte queste affermazioni ci fanno riflettere su un possibile utilizzo di tali tecniche, ma ammettiamo che in futuro questo rischio diminuisca drasticamente e che i vantaggi siano enormi: come e chi dovrebbe prendere decisioni a riguardo?Un primo possibile sistema sarebbe quello in cui ci sia un gruppo di persone selezionate accuratamente che scelga un piano di sviluppo dell’umanità. Questo modello è sicuramente molto discutibile perchè è impensabile che ad un ristretto gruppo di persone, anche se altamente qualificate, possa essere dato il potere di scegliere le caratteristiche dei nostri figli.Allora bocciato questo sistema si passa all’opposto e cioè al fatto che ogni genitore possa scegliere a “tavolino” le caratteristiche del figlio.Questo modello sembrerebbe addirittura aumentare la varietà umana perché potrebbe creare nuove combinazioni genetiche.Però pensandoci bene si capisce che anche tale modello ha i suoi difetti: per prima cosa bisogna salvaguardare i diritti del nascituro, evitando il fatto che per qualsiasi assurdo motivo i genitori scelgano caratteristiche altamente svantaggiose o denigranti per il figlio; inoltre le probabilità che la variabilità umana aumenti sono veramente basse infatti se voi poteste scegliere le caratteristiche di vostro figlio non lo vorreste alto, bello con gli occhi chiari? E se anche non foste di questa idea poi non avreste il dubbio che scegliendo caratteristiche più “normali” il vostro bambino sarebbe svantaggiato rispetto agli altri?Quindi anche tale sistema è incompleto. Si può ipotizzare quindi un sistema misto in cui la scelta delle caratteristiche spetta ai genitori ma sotto la supervisione di un organo adibito al controllo di tali decisioni.

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Naturalmente tutto questo è al momento fantascienza.Ma noi ragazzi ci chiediamo chissà cosa ci aspetta nel futuro, può essere che dal moment all’altro si possa scoprire una nuova tecnica che ci permetterà di andare a modificare dei geni in maniera mirata e altamente precisa. Certo il potere di modificare l’ingiustizia del caso o della natura o di Dio è un potere potente e che renderebbe felici milioni di famiglie che invece avrebbero dovuto magari affrontare le difficoltà di crescere ed accudire un figlio down.Ma siamo pronti a gestire un potere di tali dimensioni? il potere di decidere il destino delle persone?La risposta è ovviamente no, allora si dirà: basta usare la terapia genica negativa, quella meno rischiosa e più eticamente corretta abolendo quella positiva ( sempre ammesso di essere in grado di distinguerle ). Ma anche questo ha un costo, anche se forse meno evidente. Se voi chiedete ad una famiglia che ha avuto un figlio Down certi vi risponderanno in tutta sincerità che gli hanno voluto bene ma che è stata una fatica stargli dietro per tutto il tempo e che magari avrebbero preferito avere un figlio normale; ma non avrete solo risposte di questo genere, infatti ci saranno persone che vi diranno che avere questa particolare situazione in famiglia li ha resi più forti, gli ha fatto apprezzare le cose semplici della vita come un sorriso o un abbraccio dato con affetto, l’orgoglio di vedere il proprio figlio mangiare da solo o fare un compito di matematica da solo.Con questo non voglio assolutamente dire che l’ingegneria genetica sia una cosa negativa, anzi sono pienamente favorevole ad essa, però all’interno di questo discorso ci siamo forse dimenticati di una verità sacrosanta e cioè che le cose negative fanno parte della vita come le cose positive. Vivere in un mondo dove è sempre possibile rimediare ai brutti scherzi che ci tira la natura potrebbe indebolire i nostri caratteri e renderci più fragili dentro, più fragili rispetto ad altri problemi che non sono risolvibili con una terapia.Certo queste sono forse obiezioni irrisorie rispetto ai grandi dispiaceri che può evitare una tecnica del genere, però considerato il rischio e che una volta intrapresa la strada tornare indietro è difficile è bene comunque considerare tutti i possibili effetti.

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Luca Ferrari VR 080193Corso di Laurea in Biotecnologie a.a. 2009/2010

Term Paper di Filosofia della ScienzaEthical issues in manipulating the human germ line

Introduzione

L’articolo introduce un argomento basilare: è giusto modificare una linea germinale? Che implicazioni etiche ha questa procedura? In cosa si distingue dalla modificazione di una linea cellulare somatica? L’argomento è vasto e merita trattazioni molto approfondite (per esempio terapie di miglioramento genetico dell’intelligenza non saranno considerate equiparabili da un punto di vista etico a terapie geniche che sopperiscono a carenze metaboliche e così via, in un elenco lunghissimo di casi particolari); qui si vuole solo fare chiarezza su alcuni aspetti fondamentali.

Linea germinale/somatica, il concetto di linea

Una linea germinale di un individuo maturo o in fase di sviluppo è la linea (sequenza) di cellule germinali che hanno materiale genetico che può essere trasmesso ad un discendente. Per esempio, le cellule sessuali come lo spermatozoo o la cellula uovo sono parte della linea germinale. Il concetto di linea può essere difficile da afferrare, in realtà indica semplicemente un continuum cellulare tra le varie generazioni: il materiale genetico di padre e madre si fonde per generare un nuovo individuo, parte delle cellule del nuovo individuo di specializza per potersi unire al materiale genetico di un individuo di sesso opposto per generare la prole e così via lungo le generazioni. La “linea” indica proprio l’insieme delle cellule atte a contribuire direttamente al passaggio di genoma. Da notare che gli organi sessuali di per sé non sono parte della linea germinale, visto che contribuiscono solo indirettamente al passaggio del patrimonio genetico sviluppando la linea germinale e consentendone l’incontro con il sesso opposto.

La figura nella pagina seguente risulterà chiarificatrice. Come si può notare si parla di linea nonostante il processo sia effettivamente ciclico, in quanto ad ogni nuovo ciclo cambiano le condizioni iniziali ( i genitori) e quindi è molto più realistico rappresentare il tutto come un processo lineare che non genererà mai individui identici.

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Le cellule della linea somatica sono semplicemente tutte le cellule che non sono germinali; sono la stragrande maggioranza delle cellule che compongono un individuo e costituiscono organi, epiteli, sistema immunitario e così via.

Come manipolare le linee?

Le moderne tecniche biologiche consentono la modifica di entrambi i tipi cellulari, in particolare la linea somatica è modificata mediante terapia genica: si stanno facendo molti progressi sull’utilizzo di virus neutralizzati da un punto di vista patologico ma ancora in grado di inserire in maniera più o meno specifica un determinato DNA esogeno (cioè non appartenente all’individuo) in regioni specifiche dell’organismo. La linea germinale può essere modificata con diverse tecniche:

inserendo DNA esogeno nello zigote (unione di spermatozoo e ovulo) appena formato. Utilizzando staminali embrionali prelevate da blastocisti (una delle prime fasi di sviluppo dello

zigote) che vengono opportunamente modificate ed inserite in un embrione in via di sviluppo, sempre allo stadio di blastocisti. La modifica è realizzata tramite retrovirus.

Utilizzando retrovirus su embrioni allo stadio di sviluppo a quattro cellule.

In ogni stadio di sviluppo, una piccola parte delle cellule è specializzata per sviluppare cellule che nell’individuo adulto formeranno spermatozoi e ovuli.

È proprio questo il concetto di linea.

A seconda del sesso gli individui adulti generano spermatozoi o

ovuli e reiterano il ciclo

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Modificando lo sperma con segmenti di DNA esogeno.

Ma perché modificare la linea germinale? Per “migliorare” la salute del nascituro, per alleviare sofferenze causate da malattie ereditarie così come per renderlo più adatto alla società/ambiente in cui viviamo (più bello, intelligente e così via). Distinguiamo due aree di ingegneria delle linee germinali:

Correzione, quando è utilizzata per “riparare” geni difettosi. Miglioramento, quando seleziona caratteri appetibili ma non fondamentali per la salute

dell’individuo.

Perché modificare la linea somatica? Per curare malattie in individui sviluppati in modo da alleviare le loro sofferenze e permettere loro di condurre una vita migliore (e per malattie intendiamo disfunzioni, carenze metaboliche etc. solitamente circoscritte a uno o pochi organi/tessuti del paziente).

Eugenetica?

La modifica di cellule germinali non è altro che la tecnica più raffinata che l’uomo ha a disposizione per praticare l’eugenetica, ovvero lo studio dei metodi volti al perfezionamento della specie umana attraverso la promozione dei caratteri fisici e mentali ritenuti positivi - eugenetica positiva - e la rimozione di quelli negativi, o eugenetica negativa . Sappiamo bene dalla storia quanto questo termine si sia macchiato di orrendi crimini contro l’umanità: il dibattito sulla modifica delle cellule germinali non deve quindi mai essere preso alla leggera.

Alla luce di queste considerazioni, dobbiamo considerare la modifica della linea somatica più sicura ed eticamente accettabile della modifica di linee germinali? In realtà no, esistono infatti casi in cui modifiche alla linea somatica possono trasferirsi alla linea germinale, influenzando di conseguenza la discendenza.

Un esempio lampante: le malattie congenite dell’apparato sessuale maschile distruggono gli spermatociti (precursori degli spermatozoi), di fatto impedendo la procreazione da parte di questi soggetti. Una terapia genica ad hoc consente di ripristinare gli spermatociti, trasmettendo il carattere acquisito (il gene) alla prole che nascerà con un carattere di fatto “positivo” in più. Quindi si tratta di eugenetica? In parte. Dobbiamo considerare infatti l’entità paziente (esistente) con l’entità prole (potenzialmente esistente) e valutare i benefici di entrambi; se i benefici maggiori ricadono sul paziente allora la terapia si può considerare accettabile, altrimenti ricadiamo ancora nell’ambito dell’eugenetica “pura”. Questo principio generale è espresso anche dalla Chiesa di Roma tramite la “legge del doppio effetto”: la ricadute eugenetiche sono moralmente accettabili se conseguenza inevitabile di un intervento primario volto alla miglioria della salute di un soggetto (intervento moralmente accettabile). L’eugenetica per eccellenza ha benefici nulli per il soggetto esistente che si sottopone alla terapia e

JOSEF MENGELE, FORSE L’ESEMPIO PIÙ LAMPANTE DELLA DEGENERAZIONE CHE PUÒ RAGGIUNGERE LA CAUSA

DELL’EUGENETICA.

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massimi benefici (per un carattere, almeno in linea teorica) per la prole: l’eugenetica non è più medicina.

Dove concentrare gli sforzi della ricerca

Le potenzialità dell’eugenetica (intesa come ingegneria genetica applicata alle linee germinali) sono immense: si può realisticamente aspirare a raggiungere un mondo in cui l’uomo non conosca più le malattie genetiche. Ma le domande sorgono spontanee: i metodi sono sicuri? A che prezzo si raggiungerà quest’obiettivo? Il fine giustifica il mezzo?

Una premessa: considero folle chiunque pensi di poter applicare l’ingegneria genetica per selezionare caratteri che esulino dalle necessità di salute del nascituro. Sì può invece discutere sulla modifica di geni che comprometterebbero la salute del nascituro, che potremmo definire come una sorta di “medicina a priori” (ricordo ancora che sempre di eugenetica si tratta).

Ritengo che la ricerca debba fare ancora sforzi enormi per potere controllare i processi di introduzione di geni nel genoma umano: basti pensare che ancora oggi i topi ottenuti per ingegneria genetica sviluppano tumori in maniera molto maggiore rispetto ai topi normali. Inoltre la ricerca dovrà necessariamente avvalersi di embrioni e addirittura feti (può essere che determinati caratteri non si sviluppino subito ma in un stadi successivi dello sviluppo embrionale) e in quantità enormi. Può sembrare un discorso cinico (per chi considera l’embrione un individuo già formato ancora prima dell’impianto nell’endometrio, la regione dell’utero deputata allo sviluppo del nuovo individuo) ma ritengo prioritario che gli embrioni nelle prime fasi di sviluppo (da cui si ottengono le famose staminali embrionali) debbano essere utilizzati per la ricerca di base, che solo agli occhi degli economisti è una perdita di tempo. La ricerca di base, oltre ad essere “cultura” nel senso più nobile del termine, ha dato e darà sempre contributi significativi alle scienze applicate, anche in termine di indotti tecnologici. La ricerca di base potrebbe aprire strade nuove per la cura di malattie genetiche : pensiamo alla fenilchetonuria, una malattia genetica che, grazie alla scoperta dei meccanismi molecolari che la generano, è ormai facilmente diagnosticabile e curabile regolando la dieta dei bambini. La ricerca potrebbe, inoltre, consentire di raggiungere una situazione nella quale nemmeno più embrioni saranno necessari, per esempio regredendo cellule della cute a cellule staminali oppure sfruttando simulazioni al computer.

Un’argomentazione portata dall’articolo si concretizza nella frase “non ci sono sufficienti dati per stabilirne la validità” per sostenere che la ricerca non va fatta. ma questa è un assurdo: non ci sono sufficienti dati proprio perché non c’è stata ricerca!

Molti gruppi, credenti e non, considerano la modificazione di embrioni immorale. Proprio dalle richieste di questi gruppi si sono intraprese strade alternative all’ingegneria genetica: la più promettente considera la possibilità di screenare ( un termine tecnico che indica l’analisi del genoma di molte cellule) gli spermatozoi in modo da selezionare quello che porta un carico minore di mutazioni deleterie. Attenzione: ancora una volta si tratta di eugenetica.

Manipolazione della linea germinale e ambiente

Quando ho definito l’eugenetica ho parlato di caratteri “positivi” e “negativi”, sottintendendo una questione che in realtà è cruciale: nessun carattere è positivo o negativo in senso assoluto, ma solo in relazione all’ambiente in cui si manifesta. Per ambiente non si intende il mero ambiente

L’IMMAGINE MOSTRA IL PRELIEVO DIUNA CELLULA STAMINALE DA UN

UN EMBRIONE NELLE PRIMEFASI DI SVILUPPO.

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climatico, bensì tutto ciò che ci circonda, anche virus e batteri. Come potremmo introdurre un gene in maniera massiccia - addirittura nell’intera popolazione- senza avere nessuna capacità predittiva sugli ambienti futuri, che potrebbero essere penalizzanti proprio per chi porta quel gene?Da un punto di vista biologico si compromette uno degli aspetti fondamentali della vita, ovvero la variabilità. È la variabilità che assicura l’evoluzione, e quindi la sopravvivenza della specie a cambiamenti ambientali. In pratica, quando introduciamo un gene, quel che ci interessa nella stragrande maggioranza dei casi è il prodotto proteico (semplicemente una proteina): se tutta la popolazione ha lo stesso gene, tutta la popolazione avrà lo stesso prodotto proteico. Immaginiamo si evolva un patogeno che abbia affinità elevata con quel prodotto proteico, esso infetterà in poco tempo l’intera popolazione. Sembra fantascienza, ma in realtà è un’ipotesi estremamente verosimile. È ancora più verosimile che solo poche persone ricevano una terapia genica e sempre condizioni ambientali successivi compromettano la salute di tutta la discendenza, vanificando lo scopo della terapia (la salute della prole) e richiedendo nuove terapie geniche in un circolo potenzialmente infinito. Inoltre stiamo confrontando un diritto presente (il diritto ad avere una prole sana) con un diritto futuro (il diritto che le generazioni future avanzeranno di avere un mondo ospitale e un patrimonio genetico “normale”, e come normale intendiamo variabile e soggetto in maniera naturale ai capricci dell’ambiente). Come conciliare i diritti contrastanti? Forse non si può. Penso che gli sforzi maggiori vadano fatti nei confronti della ricerca di base e della terapia genica di cellule somatiche: è vero, avremo più sofferenza nell’immediato, ma le generazioni future ne trarranno estremo beneficio.

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DAVIDE SEGA VR080057L’importanza della distinzione tra terapia e miglioramento in genetica umana

Commento di Davide SegaSull’articolo “The moral significance of the therapy-enhancement distinction in human genetics” di

David B. Resnik

L’ARTICOLOIntroduzioneLa distinzione tra terapia e miglioramento occupa un ruolo centrale nelle odierne discussioni di genetica umana ed è oggetto di molti dibattiti. Si prevede che in pochi anni saranno disponibili tecniche che permetteranno di migliorare i tratti umani. Riguardo tutto ciò, molti autori hanno difeso la terapia genica, ma soltanto un pugno d’autori hanno difeso il miglioramento genetico. Questo poiché al solo sentire miglioramento ritornano alla mente i progetti eugenetici nazisti e di altri. Lo scopo del saggio di Resnik è di esaminare l’importanza della distinzione tra terapia e miglioramento, e capire se è possibile classificarle interamente come morale o immorale, o se è necessario caso per caso le varie questioni.

Interventi somatici e interventi sulla linea germinaleChe si tratti di terapia o miglioramento, questi interventi possono mirare a modificare le cellule somatiche, oppure possono mirare alle cellule germinali( i gameti). Da questo otteniamo quattro classi di interventi:

Terapia genica somatica (SGT) Terapia genica germinale (GLGT) Miglioramento genetico somatico (SGE) Miglioramento genetico germinale (GLGE)

Questa distinzione è importante, poiché almeno teoricamente mentre un intervento somatico modifica soltanto le cellule somatiche, un intervento sulla linea germinale ha influenza anche sull’evoluzione della specie, poiché modifica la discendenza. Comunque queste considerazioni saranno utili più avanti.

I concetti di salute e malattiaNell’ideale comune si ritiene che un intervento resta terapia finchè si applica ad un individuo malato, ma se si applica ad un individuo “sano”, o che non presenta malattie, diventa un atto di miglioramento, e perciò di dubbia moralità.Secondo Resnik questo modo di pensare si basa su due assunzioni discutibili:

Che abbiamo una chiara e solida definizione di malattia e salute, e Che il fine di curare le malattie è moralmente legittimo, mentre altri fini non lo sono.

Dalle confutazioni di Resnik emerge che entrambe queste assunzioni non reggono.Questo poiché i concetti di salute e malattia non sono ben definiti, bensì “sfumati”: per salute si intende uno stato di normalità, o parlando in termini statistici sarebbe meglio dire tipico. Ma ciò che è normale per alcuni popoli o alcune culture non lo è per altre. Ad esempio uno schizofrenico viene considerato mentalmente malato in occidente, ma in molte popolazioni che adottano religioni sciamanistiche la schizofrenia è ritenuta un dono od un potere sopranaturale. Risulta quindi difficile stabilire un intervallo di tolleranza all’interno del quale lo stato di una persona è normale.

I fini della medicinaUn altro approccio a questo tema asserisce che la terapia genica getta le basi su un solido terreno morale poiché promuove i fini della medicina, mentre il miglioramento genetico promuove altri, più discutibili fini. Ma quali sono i fini della medicina? Tra i suoi molti fini si possono evidenziare la cura delle malattie, la loro prevenzione, e la promozione della buona salute. Molti di questi fini, come la prevenzione delle malattie, sono ottenuti tramite pratiche che possono essere classificate

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come miglioramento. Ad esempio i vaccini, migliorano ed ampliano la protezione del nostro sistema immunitario. Quindi perchè dovrebbe essere sbagliato migliorare geneticamente il nostro sistema immunitario, se possibile? Quest’azione non seguirebbe i fini della medicina?In questo modo l’autore mostra la labilità del confine tra terapia e miglioramento.Inoltre chiede perché non possa essere giusto utilizzare tecniche mediche per scopi non medici, a patto che questi scopi non siano sbagliati.

Il nostro essere umaniUn altro modo per tentare di porre un confine tra terapia e miglioramento potrebbe essere quello di dire che il miglioramento genetico è interamente immorale poiché modifica la forma umana, mentre la terapia genica tenta soltanto di preservarla.Ma che tratti e che abilità ci rendono umani? Ed è proprio sbagliato modificare questi tratti o queste abilità?La risposta alla prima domanda è una delle più problematiche, poiché è possibile elencare una miriade di caratteristiche ed abilità umane, ma è difficile dire quali sono necessarie, o sufficienti per renderci umani.Anche ipotizzando di essere a conoscenza di queste caratteristiche, siamo sicuri che sia sbagliato ed immorale cambiare anche solo uno di questi tratti?Ad esempio una delle tante teorie morali, l’utilitarismo, sostiene che un’azione che cambia il nostro essere umani, può essere giusta o sbagliata, in funzione delle conseguenze che provocherà. Se un miglioramento ha effetti buoni sulla collettività e sui singoli individui, è moralmente accettabile, altrimenti no.Una prima scuola di pensiero ritiene interamente immorale modificare la natura umana poiché questa è frutto della selezione naturale, che ci ha designato questi tratti, e cambiarli sarebbe come rovinare la perfezione. Manipolando questi tratti, si potrebbe portare a mutazioni svantaggiose o allo sviluppo di malattie letali per il genere umano. In primo luogo, questa visione eccede di fede nei confronti della natura, poiché non è perfetta ed anch’essa commette errori.In secondo luogo sovrastima l’ignoranza e la mancanza di attenzione umani, è ovvio che operare cambiamenti nel genoma umano necessita di prudenza e discrezione.Un secondo approccio è quello teologico. Dio ci ha creati in questo modo e tentare di modificare questa forma sarebbe soltanto una dimostrazione di stupidità ed arroganza. Un’ovvia difficoltà di questa tesi è lo scarso convincimento dei non credenti e di gente che fa scienza in maniera oggettiva, senza influenze teologiche.Ma anche restando sul piano teologico quest’idea è obiettabile. Veramente dio non vuole che modifichiamo la nostra natura? Allora perché ci ha fornito gli strumenti per fare tutto ciò? E se queste modificazioni venissero fatte per buoni scopi, perché non dovrebbe volerlo?Infatti le opinioni della chiesa e dei vari teologi si differenziano molto tra loro, dimostrando la debolezza di quest’asserzione.

I diritti dei non ancora nati

Un’alta via per convincere che almeno alcune forme di miglioramento genetico sono sbagliate, è di affermare che la GLGT e il GLGE violano i diritti dei bambini non ancora nati. Questo perchè:

Sono procedure sperimentali che violano il consenso informato del bambino; Negano al bambino il diritto di avere una linea germinale che non è stata manipolata

geneticamente; Negano il diritto del bambino ad avere un futuro aperto.

Non è però ovvio che la GLGT e il GLGE violino questi diritti.Vediamo perché:

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Primo punto: queste tecniche non violano il consenso informato del bambino, perché questo diritto è esercitato da un adulto, che sia il genitore o chi ne fa le veci, che dovrebbe impegnarsi ad agire nel pieno interesse del bambino;

Secondo punto: non esiste il diritto di avere una linea germinale che non è stata manipolata geneticamente, poiché questa è una necessità dettata da alcune culture o religioni ma non da altre;

Terzo punto: il diritto ad avere un futuro aperto è legittimo ed inalienabile, ma non è detto che la GLGT e il GLGE possano limitarlo per forza. Anzi, se un genitore decidesse di migliorare il sistema immunitario del futuro bambino, questi avrebbe una migliore resistenza alle malattie, con una aumentata libertà da adulto. Ovviamente se i genitori usano il GLGE per aumentare la statura del futuro figlio, allo scopo di farlo diventare un cestista, questo è di certo una limitazione al suo futuro. Questa limitazione però, non è data dalle tecniche utilizzate, ma dall’uso che i genitori ne fanno.

EugeneticaAlcuni anno attaccato la GLGT e il GLGE sulla base che questi costituiscano una forma di eugenetica, un tentativo di controllare il “pool genico” umano. Ma l’eugenetica è interamente sbagliata? Per poter dare una risposta l’autore distingue tra eugenetica positiva ed eugenetica negativa: l’eugenetica positiva tenta di aumentare la quantità di geni favorevoli o desiderabili nel pool genico umano. L’eugenetica negativa, invece, tenta di ridurre i geni dannosi, come ad esempio geni mutati che portano a malattie genetiche.Bisogna poi distinguere tra eugenetica promossa dallo stato e genetica genitoriale: nei programmi promossi dallo stato questi tenta di controllare il pool genico, mentre nel caso di eugenetica genitoriale, i genitori esercitano il controllo attraverso le loro scelte riproduttive.Mentre il secondo caso può essere visto come un diritto dei genitori, il primo ricorda a molte persone i programmi nazisti. Per questo molti potrebbero pensare che l’eugenetica promossa dallo stato sia immorale perché:

Costituisce violazioni ingiustificabili della libertà individuale; È una forma di discriminazione genetica; Può avere conseguenze avverse sull’evoluzione, a causa della riduzione della variabilità

genetica; Può portarci all’aumento di razzismo.

Tuttavia l’autore sottolinea che queste motivazioni non provano che tutte le forme di miglioramento genetico siano immorali, al limite solo quello promosso dallo stato.

Conclusione: l’importanza della distinzioneSecondo l’autore, questo saggio ci porta a concludere che la distinzione tra terapia e miglioramento non delimita in maniera netta le due pratiche, né distingue tra giusto e sbagliato: definisce soltanto delle zone morali, in maniera sfumata. Inoltre c’è il rischio che questa distinzione indirizzi le nostre paure o le nostre speranze verso il miglioramento o verso la terapia.Ciononostante, questa distinzione è necessaria per sostenere delle discussioni pubbliche riguardo a questa parte della genetica.

LA MIA OPINIONEMi trovo d’accordo con l’autore sulla quasi totalità degli argomenti, anche se trovo che sia stato troppo utopistico e liberale per quanto riguarda l’eugenetica. Ritengo che l’eugenetica negativa sia accettabile, a patto che non sia imposta, poiché si può evitare inutili sofferenze ad un bambino ed ai genitori, semplicemente evitando che questo non sia predisposto ad una malattia genetica. Sono invece contrario all’eugenetica positiva soprattutto se in campo non medico, poiché vi è un forte rischio di divergenza tra ricchi e poveri: chi si può permettere il miglioramento genetico e chi no, con lo sviluppo di una sorta di classismo.

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Ritengo inoltre che l’autore non abbia sottolineato a sufficienza il fatto che la maggior parte delle tecniche, non sono né buone né cattive: la moralità o l’immoralità stanno nell’uso che si fa di ciascuna tecnica. Ad esempio il miglioramento genetico può essere una buona cosa, ma se viene utilizzato per controllare il mercato farmaceutico in alcune fasce di popolazione diventa chiaramente immorale.Questo per dire che la conoscenza non è mai sbagliata, ma lo può essere l’uso che se ne fa.

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NAZARENA RAOS VR080138E’ opportuno fare della ricerca sulla Genetica dell’Intelligenza?

commento di Nazarena Raossull’articolo “Should we undertake genetic research on intelligence?” di A. Newson e R.

Williamson

IntroduzioneL’intelligenza umana è sempre stata nei secoli argomento di grandi domande e interrogativi per tante branchie della scienza e prima ancora per la filosofia: che cos’è l’intelligenza? E’ misurabile? Viene ereditata o lo sviluppo dell’intelligenza in un essere umano è legato all’ambiente in cui egli vive? Esistono diversi tipi di intelligenza? Ci sono differenze nel livello di intelligenza tra diversi gruppi etnici? L’articolo di Newson e Williamson cerca di rispondere ad alcuni di questi interrogativi e sostiene l’ importanza della ricerca in questo settore.

Contenuto dell’articoloDefinizione di intelligenzaLa definizione di intelligenza che Newson e Williamson adottano è questa: “capacità mentale molto generale che tra le altre cose comprende l’abilità di ragionare, pianificare e risolvere problemi, pensare in astratto, comprendere idee complesse, imparare velocemente e imparare dall’esperienza”.Gli autori inoltre si soffermano sul fatto che un comportamento può essere considerato intelligente in alcuni casi e in altri no, a seconda dell’ambiente, ovvero che non esiste il comportamento intelligente in assoluto. Genetica dell’intelligenza – Determinismo vs Ambientalismo (Nature-Nurture controversy)Nel 1869 Galton ipotizzò che l’intelligenza di un individuo dipendesse solo dalla componente genetica. In seguito si svilupparono due diverse correnti di pensiero: il determinismo e l’ambientalismo. Il determinismo si basa sulla convinzione di Galton, il primo scienziato che parlò di progetti di miglioramento genetico, il padre dell’eugenetica: secondo lui, controllando gli incroci tra gli individui si poteva aumentare il pool dell’intelligenza della razza umana. Questa teoria sfociò in fenomeni estremisti come quello dell’eugenetica razzista che contribuirono allo sviluppo della teoria opposta dell’ambientalismo. L’ambientalismo afferma che tutte le persone sono geneticamente uguali per quanto riguarda il livello di intelligenza. In realtà, oggi la maggior parte degli scienziati affermano che l’intelligenza si sviluppa grazie a due componenti: quella genetica e quella ambientale anche se non è chiaro il contributo di queste componenti sul totale. Innanzitutto, per poter effettuare degli studi sul livello di intelligenza è necessaria un’ unità di misura. Ad oggi il metro più comunemente usato, che è quello a cui si riferiscono anche Newson e Williamson nell’articolo, è il test IQ.A questo punto, per meglio comprendere il contenuto dell’articolo, è bene dare qualche informazione su questo test, sebbene Newson e Williamson non si soffermino molto sull’argomento.Test IQ Lo psicologo tedesco William Stern coniò la definizione di IQ nel 1912 quando definì il quoziente intellettivo come il rapporto fra una presunta „età mentale“ e la „reale età cronologica“.

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Per esempio, se un ragazzo di 10 anni ha la capacità di un tredicenne, il suo IQ è 130 (100 x 13/10). Nel corso del test sono utilizzati quesiti, suddivisi secondo l‘età delle persone esaminate che sono, in media, in grado di risolverli. L‘età mentale è quindi determinata sulla base della maggior parte di quesiti che un individuo esaminato è capace di risolvere esattamente. Un IQ che varia da 90 a 110 è da considerarsi nella media. L‘equazione di Stern, tuttavia, ha senso soltanto con i bambini; per gli adulti, un quoziente derivato, conosciuto come devianza del IQ, è utilizzato per comparare il livello di abilità mentale di un individuo rispetto al livello medio della popolazione. Circa il 50% della popolazione ha un QI medio (cioè 90-110). Circa il 13% della popolazione si inserisce fra 110 e 139 ed il 1,5% raggiunge un punteggio da genio. Un basso livello di abilità mentale è definita da punteggi che cadono in un intervallo fra 80 e 89. Punteggi al di sotto di 70 designano, in una scala decrescente: persona con ridotta capacità intellettiva, idioti, imbecilli.Genetica dell’intelligenza – Modello correnteIl modello per la genetica dell’intelligenza che oggi è comunemente accettato propone che all’interno di una popolazione ci siano molti geni coinvolti nello sviluppo dell’intelligenza e la loro azione deve essere sommata all’impatto che l’ambiente ha sulla crescita dell'individuo. All’interno della popolazione esistono diverse versioni di questi geni legati all’intelligenza chiamati alleli. Alcuni alleli provocano un aumento del livello dell’intelligenza degli individui della popolazione ed altri una diminuzione. Persone con un livello medio di IQ avranno diverse combinazioni di questi alleli e saranno in numero maggiore, mentre quelle molto intelligenti e quelle ritardate saranno di meno. La distribuzione dell’intelligenza nella popolazione si identifica graficamente con una classica “curva a campana” e implica che l’ereditarietà dell’intelligenza è probabilistica e che non esiste un gene che sia necessario e sufficiente per determinare il livello di intelligenza di una persona. In conclusione, i geni determinano solo la probabilità di sviluppare un certo tipo di intelligenza, ma non la predeterminano. Di conseguenza, individui con alleli uguali possono dimostrare livelli di intelligenza diversi e viceversa.

Immagine 1.1-curva della distribuzioe del QI nella popolazione Genetica dell’intelligenza – Studi genetici comportamentaliGli studi genetici comportamentali per anni hanno cercato di associare il contributo dei geni e quello ambientale alle differenze nei livelli di intelligenza, misurate con test psicometrici.In particolare, con questi studi si è cercato di definire l’ereditabilità dell’intelligenza in una popolazione in un dato momento. L’ereditabilità esprime il contributo genetico all’intelligenza come una percentuale sulla totale variazione di intelligenza all’interno della popolazione. Questi studi non si basano quindi su studi di geni particolari o sull’intelligenza individuale, ma su uno studio statistico della popolazione. E’ stato stimato che l’ereditabilità dell’intelligenza di una popolazione in un particolare momento sia del 50%. Per fare un esempio possiamo dire che se un individuo ha un IQ di 100 e un altro di 120, la differenza di IQ è di 20 punti e il 50% di questi, ovvero 10 punti, dipendono da una componente genetica. Possiamo concludere che, secondo questi studi, il 50% dell’intelligenza di un individuo dipende dalla componente genetica e il restante 50% dipende dalla componente ambientale. Tuttavia, questi studi non hanno determinato

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categoricamente l’eziologia dell'intelligenza e inoltre sono stati spesso criticati perché si basano su test psicometrici giudicati da alcuni inattendibili.Genetica dell’intelligenza - Studi genetici molecolari Gli studi che oggi si conducono sulla genetica dell’intelligenza si basano su test genetici molecolari e mirano all’individuazione di geni coinvolti nello sviluppo di un alto livello di intelligenza. In particolare, si ricercano degli alleli che compaiano frequentemente in soggetti con alto IQ. Questa tecnica si chiama “associazione allelica” ed è uno strumento statistico che verifica se particolari sequenze di DNA (marker) compaiono con frequenza più alta in bambini con alto IQ rispetto a bambini con basso IQ. Lo studio si basa quindi sulla misura di una frequenza allelica in una popolazione discriminata per IQ, quindi sempre su una statistica e quindi le associazioni effettuate valgono solo sulla popolazione studiata. Il limite di questa ricerca è che i risultati non si possono applicare ad un singolo individuo. Infatti, non è detto che se un certo allele ha un alta frequenza in una popolazione di soggetti intelligenti non possa essere presente in un individuo poco intelligente. La prima sequenza di DNA associata ad intelligenza sopra la media, isolata nel 1998, codifica per il gene Igf2r, che codifica per un recettore di un fattore di crescita e di uno zucchero. Questo gene sembra incidere per circa il 2% sulla totale variazione dell’intelligenza, ma è comunque un risultato preliminare che richiede ancora conferme.Gli studi molecolari sono stati criticati perchè ricercano marker per alti livelli di intelligenza, mentre sembra che i bassi livelli di intelligenza abbiano un’ ereditabilità più alta. Tuttavia, i ricercatori ritengono che sia più difficile commettere errori studiando persone con intelligenza elevata, perché persone con IQ basso non possono fingere di essere più intelligenti, mentre il contrario può succedere e potrebbe alterare i risultati dello studio. I ricercatori sono convinti che questo tipo di studio potrà portare alla conoscenza di tutti i geni coinvolti nello sviluppo dell’intelligenza e di quanto ognuno di questi incida sul processo. Attualmente si stanno analizzando delle zone sui cromosomi 4 e 6.Critiche alla ricerca sull’intelligenza Gli studi sulla ricerca dell’intelligenza sono stati spesso criticati dal punto di vista etico. Newson e Williamson fanno una panoramica delle maggiori critiche mosse a questa ricerca sottolineando il fatto che molte sono basate sulla poca conoscenza dei metodi scientifici utilizzati e argomentando delle contro obiezioni.Critica 1: “Le informazioni ricavate sulla genetica dell’intelligenza saranno utilizzate per discriminare individui ed etnie”Nel momento in cui i test genetici potranno dichiarare chi ha un corredo genetico migliore riguardo all’intelligenza ci saranno delle discriminazioni. Gli individui che non presenteranno una componente allelica soddisfacente saranno etichettati come “inferiori”, gli individui stessi avranno un calo dell’autostima e l’autoconvincimento di non essere intelligenti calerà le prestazioni che normalmente potrebbero sostenere, come dimostrato da test psicologici. I genitori che avranno un figlio considerato poco intelligente a causa del suo patrimonio genetico si comporteranno diversamente con lui, pretenderanno meno e lo stimoleranno meno, impedendogli di sviluppare le capacità che comunque avrebbe e, nel caso contrario, si aspetteranno molto di più da figli più intelligenti, creando aspettative che potrebbero in realtà impedire ai figli di sviluppare il loro potenziale. Dal punto di vista sociale, le persone che non hanno una giusta composizione di alleli potrebbero avere meno opportunità lavorative, saranno assegnati i posti di lavoro in base al corredo genetico e non in base alle reali capacità di una persona. L’informazione genetica riguardante l’intelligenza potrebbe essere utilizzata per affermare una supremazia di un’etnia o di un gruppo socioeconomico sopra un altro. Verrebbe a crearsi una nuova eugenetica nella quale le persone non avrebbero la possibilità di nascere sulla base dei test genetici predittivi.Controcritiche di Newson e WilliamsonLa discriminazione dell’individuo a causa del suo patrimonio genetico dell’intelligenza è la medesima che si potrebbe riscontrare dopo l’applicazione del test IQ. Anche questo, infatti, serve per determinare quanto uno è intelligente e potrebbe portare alle stesse conseguenze citate nella

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critica precedente. Inoltre, i test genetici potrebbero essere anche meno efficienti del test IQ perché comunque non si esclude che l’intelligenza di una persona sia data da una componente ambientale che non sarebbe rivelata dai test genetici, mentre nel test IQ è presa in considerazione, poiché si misura l’intelligenza che un’ individuo sa utilizzare, sia che questa abbia base genetica che ambientale. Una differenza tra i due tipi di test è che quello genetico potrebbe essere predittivo e portare ad una selezione sulle nascite. Tuttavia, ad oggi non sappiamo ancora che esattezza e specificità potrebbero avere questi test: bisogna che sia ben chiaro che ad oggi non sappiamo ancora quali e quanti geni sono coinvolti nello sviluppo dell’intelligenza, ma probabilmente sono moltissimi ed è difficile per ora anche solo immaginare di mettere a punto un test genetico così complesso. Un altro punto da considerare è che nella ricerca alla quale si è giunti fino ad oggi il significato di un gene all’interno di una popolazione può avere un significato diverso da quello che ha all’interno di una popolazione diversa e risultati ottenuti in una popolazione non sono comunque applicabili sui singoli individui. Risulta davvero complesso pensare di discriminare sulla base di questi ipotetici test, quando comunque oggi esiste già uno strumento più preciso come il test IQ. Ammettendo che questi test un domani saranno sviluppati è ovvio che dovranno essere regolamentati per non creare disagi sociali. Infatti, è dovere di uno Stato proteggere la sua popolazione dalla discriminazione. Questi test non saranno obbligatori e probabilmente avranno lo scopo di migliorare la qualità della vita di soggetti che presentano intelligenza molto bassa e determinare le cause di questo problema potrebbe portare alla soluzione. Lo stesso scopo aveva il test IQ quando è stato messo a punto. A questo punto è chiaro che se i test genetici saranno proibiti anche il test IQ dovrà esserlo.Critica 2: “I fondi pubblici non dovrebbero finanziare la ricerca sulla genetica dell’intelligenza quando invece sono necessari fondi per trovare soluzioni a malattie che uccidono le persone”La ricerca su un’identità non patologica come l’intelligenza toglie fondi ad altre ricerche molto più urgenti. Le informazioni ricavate da questa ricerca non possono essere utilizzate per salvare delle vite.Controcritiche di Newson e Williamson Quest’obiezione può essere giusta, ma non esclude una ricerca sull’argomento per delle ragioni ideologiche. Infatti, sulla base di questa critica si può dire che una volta risolte tutte le malattie si potrebbe anche fare della ricerca sull’intelligenza. Chiaramente stiamo parlando di un futuro molto lontano e improbabile, così Newson e Williamson argomentano contro questa critica con altri dati. Se si confronta la spesa che gli stati sostengono nelle scuole per l’agevolazione di bambini con difficoltà di apprendimento ci si accorge che la cifra destinata alla ricerca è irrisoria. Si ritiene che la conoscenza della genetica dell’intelligenza porterà dei benefici, poiché ogni bambino potrà essere educato in modo da esprimere al meglio il suo potenziale. In conclusione, secondo Newson e Williamson, non esistono obiezioni sufficientemente potenti per impedire la ricerca sulla genetica dell’intelligenza, alla luce della protezione dei diritti, l’importanza che potrebbe avere questa conoscenza e l’improbabilità di sviluppare test genetici con elevata accurabilità.Cosa fare con i risultati della ricerca sulla genetica dell’intelligenzaIl vero problema che potrebbe emergere una volta terminate le ricerche sulla genetica dell’intelligenza è quello di come utilizzare queste informazioni. Certamente è qui che emergono le opinioni più contrastanti. La ricerca in sé non fa che aumentare la conoscenza umana, ma sono le applicazioni che possono cambiare vite umane e che devono essere attentamente valutate. L’articolo di Newson e Williamson prosegue ipotizzando le applicazioni che potrebbero essere sviluppate da questa ricerca e i problemi etici legati ad esse.Una volta individuati gli alleli legati ad un alto livello di intelligenza e una volta raggiunta una completa padronanza della ricombinazione del DNA, si potrà effettuare una terapia genica su individui che presentano carenza di intelligenza, ma anche su individui normali. Gli autori dell’articolo dichiarano che il miglioramento genetico non deve essere considerato diverso dagli altri metodi che si utilizzano per migliorare l’intelligenza, come l’assunzione di farmaci o

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l’istruzione privata, perché è pur sempre un modo per migliorare la qualità della vita. Dei genitori che scegliessero una terapia genica per il figlio lo farebbero per offrirgli un futuro migliore, un etica che in altri campi è completamente accettata.Tuttavia, esistono molto obiezioni legate al miglioramento genetico, schematicamente qui riportate:

1. “Il miglioramento genetico è contro Natura/contro Dio e porterebbe a conseguenze disastrose. L’utilizzo di metodi non naturali per cambiare una persona che di natura sarebbe diversa è sbagliato.” Newson e Williamson sostengono che allora da questo punto di vista ogni intervento medico è da considerarsi contro Natura e tutti gli interventi che riguardano la vita, la morte e la riproduzione sono da considerarsi contro Dio, quindi il miglioramento genetico non dovrebbe essere considerato diverso dalla rianimazione o dalla riproduzione assistita.

2. “Il miglioramento genetico deve essere utilizzato solo nel caso possa guarire da malattia e la carenza di intelligenza non fa parte di questi casi. Bisogna distinguere i casi nei quali si possono salvare delle vite”. La critica a questa obiezione degli autori dell’articolo si basa sul fatto che la sottile linea degli interventi che salvano la vita e di quelli che la migliorano e già stata superata più volte in altri campi. Gli esempi portati sono la chirurgia plastica di persone sfigurate da incidenti, ma anche di persone perfettamente normali, oppure il fatto che le madri in gravidanza evitano fumo e alcol perché potrebbero danneggiare l’intelligenza del nascituro.

3. “Il miglioramento genetico potrà nuocere al senso di identificazione personale dell’ individuo, provocandogli dei danni psicologici. Un bambino che verrà a conoscenza del fatto che i suoi genitori hanno acconsentito a una terapia genica per migliorare la sua intelligenza potrebbe avere una crisi di identità.” In questo caso, Newson e Williamson sostengono che i figli non potrebbero certo biasimare i genitori per aver cercato di migliorarli e che i bambini che scoprono di essere nati in provetta con la donazione del seme non presentano particolari disagi psicologici.

4. “Il miglioramento genetico provocherà dei danni sociali, come la disparità tra chi se lo può permettere e chi non può e le persone ritardate o con problemi che non potranno accedere al miglioramento genetico saranno valutate negativamente dalla società e rifiutate e questo provocherebbe in loro problemi psicologici e danni morali.” Secondo Newson e Williamson, anche l’istruzione privata allora deve essere considerata un elemento di disparità della società perché solo alcuni se la possono permettere, ma non è vietata, ed è un modo per aumentare le prestazioni di uno studente. Per quanto riguarda i danni psicologici alle persone che presentano difficoltà di apprendimento e ritardati è noto che queste persone sono comunque più colpite da problemi psicologici rispetto alle persone normali e probabilmente lo sarebbero ugualmente in una società che non critica la loro condizione.

5. “Assumendo che tutti possano accedere a questa tecnologia, quanto costerebbe alla società? Ci sarebbe uno sbilanciamento delle caratteristiche delle persone della società, alterando degli equilibri sociali esistenti. Inoltre se tutti saranno più intelligenti ci sarà una svalutazione dell’intelligenza, tutti saranno comunque allo stesso livello e in competizione, quindi sarà come non averlo fatto. (Critica di G.KAVKA) . Newson e Williamson ipotizzano che l’aumento dell’intelligenza media della società non potrà peggiorarle, perché comunque le persone lavoreranno meglio e saranno più produttive e potranno risolvere meglio i problemi che si troveranno davanti.

In conclusione, gli autori dell’articolo sostengono che il miglioramento genetico dell’intelligenza non è eticamente scorretto e che comunque è da considerare che l’intelligenza non è il solo modo per valutare una persona.

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La mia opinioneLeggendo questo articolo mi sono trovata in accordo con gli autori riguardo alcuni punti, ma anche in disaccordo su altri. In questo paragrafo cercherò di esporre la mia opinione e in particolare di spiegare il motivo per il quale non sono d’accordo su alcune affermazioni di Newson e Williamson .Ricerca sulla genetica dell’intelligenzaIn linea di principio sono convinta del concetto di libertà di ricerca, ovvero del fatto che tutto ciò che può aumentare le informazioni, la conoscenza e il sapere dell’umanità non possa che essere importante. Ritengo, infatti, che il desiderio di conoscenza faccia parte della natura dell’uomo e che non esistono argomenti sufficienti per impedire degli studi, tanto più se sono studi che cercano di capire come funziona un essere umano. Anche nella filosofia possiamo trovare dei riferimenti alla sete di conoscenza dell’uomo, per esempio Aristotele nella Metafisica sostiene che la sapienza, che nel suo caso è vista come il sapere filosofico, è la suprema realizzazione del desiderio di conoscenza, che è coessenziale alla natura dell'uomo. Per Aristotele, il grado più elevato della conoscenza è la scienza teorica, che è conoscenza delle cause e dei principi. Se si riformula questo pensiero riferendosi ai giorni nostri e alla ricerca scientifica invece che alla filosofia penso che si possa concludere che non c’è nulla di male nel voler conoscere e che, anzi, questo è ciò che rende l’uomo tale. Così, credo che ricercare i geni che sono coinvolti nello sviluppo dell’intelligenza, capire come questa si forma, chiedersi cosa rende un individuo intelligente e uno no non siano azioni eticamente sbagliate e credo che se un ricercatore trova i mezzi per sostenere i suoi studi possa senz’altro condurli.Il vero problema di molte ricerche non è tanto la conoscenza in sé, ma ciò che viene dopo ovvero le applicazioni, lo sfruttamento di questa conoscenza. Infatti, nel mondo moderno è abbastanza comune pensare che se una conoscenza non è “spendibile” e non sembra utile alla società non ha senso nemmeno possedere questa conoscenza, molto diverso dal concetto “il sapere per il sapere” di Aristotele. Tuttavia, io credo che i problemi che riguardano le applicazioni non sono motivazioni sufficienti per fermare la ricerca.Cosa fare con i risultati di questa ricerca All’inizio di questa argomentazione è bene sottolineare che ad oggi le nostre conoscenze sulla ricombinazione del DNA e sui metodi dell’ngengeria di cui parlano Newson e Williamson nell’articolo non sono sufficienti a giustificare delle applicazioni cliniche in breve tempo sull’uomo nel campo della genetica dell’intelligenza. Per quanto riguarda la conoscenza dei geni coinvolti in questo processo, come detto nell’articolo, i passi da fare sono ancora moltissimi e non si sa nemmeno se si potrà arrivare ad una piena comprensione dell’argomento a causa della complessità del sistema dei geni coinvolti in questo ambito. Di conseguenza, dobbiamo tenere presente che le discussioni che si fanno su questo argomento si riferiscono a un futuro abbastanza lontano nel quale la società potrebbe essere comunque diversa da quella di oggi e bisogna tenere presente che le conoscenze che ci mancano potrebbero influire sul giudizio etico dell’argomento. Per rendere le cose più semplici, quindi, esprimerò il mio giudizio solo sull’articolo, però sapendo che questo è un argomento troppo vasto e controverso per essere esaurito in poche pagine.1.La differenza tra la terapia genica per guarire da una malattia e quella per aumentare l’intelligenzaNon sono contraria all’uso dell’ingegneria genetica di per sé, anzi, sono convinta che sia davvero il futuro per risolvere terribili malattie che non lasciano speranze a chi ne soffre. Credo che una volta messi a punto i protocolli e verificato che questo tipo di terapia non comporti dei rischi peggiori delle altre, il suo utilizzo potrà risolvere molte patologie. Tuttavia, sono convinta che debba essere utilizzata solo nei casi di malattia. Non c’è infatti una sostanziale differenza tra il guarire da una malattia e l’aumentare le proprie capacità? Secondo me sì, poiché la guarigione da una malattia migliora le condizioni di vita di un malato facendolo vivere come una persone normale, nella media della popolazione. In parole povere e poco tecniche, con la terapia genica si dà al malato il gene che gli manca per vivere come tutte le persone normali, gli si dà qualcosa che hanno tutti. Al contrario,

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il miglioramento genetico per l’aumento dell’intelligenza è qualcosa che sembra elevare la persona sopra le altre e non grazie a meriti suoi, ma grazie a un intervento esterno. Si ritiene che un malato che prende dei farmaci sia ben diverso da un atleta sano che li prende per aumentare le sue prestazioni, poiché quest’ultimo compie un azione moralmente sbagliata, punita dalle regole dello sport e ritengo che lo stesso discorso possa valere per l’aumento dell’intelligenza. Gli esempi portati da Newson e Williamson per argomentare l’opinione opposta alla mia credo siano un po’ deboli. L’esempio delle madri che in gravidanza non bevono e fumano perché questo potrebbe danneggiare il figlio non può essere considerato un metodo per aumentare l’intelligenza, perché è semplicemente un modo per non diminuirla, perché i danni potrebbero portare a delle patologie. La chirurgia estetica per gli ustionati è un modo per riportarli alla normalità, cosa ben diversa dal ritoccare nasi, bocche e altro per diventare più belli degli altri. Inoltre, la somministrazione dell’ormone della crescita avviene per legge solo nei casi in cui i valori delle analisi del soggetto “basso” rispecchino una patologia, non se il soggetto non si sente abbastanza alto. Così ritengo che l’uso dell’ingegneria genetica per l’intelligenza possa essere consentito solo nei casi in cui questa carenza di intelligenza sia da collegarsi a una patologia che non permette al soggetto una vita autonoma e normale. Si dovrà quindi trovare un modo per misurare quando la mancanza di intelligenza è da considerarsi seria per poter procedere con una terapia. 2. Perché il miglioramento genetico deve essere considerato diverso dagli altri metodi per aumentare l’intelligenzaNewson e Williamson sostengono che anche l’istruzione privata è un modo per aumentare l’intelligenza. Credo che invece la differenza tra i due sia sostanziale. Studiare ed esercitare la mente può aiutare a sviluppare il potenziale che ognuno di noi ha già in sé. Il miglioramento genetico, invece, cambia e aumenta il potenziale di per sé, fra l’altro un potenziale che se non trova gli stimoli giusti potrebbe anche non essere sviluppato. Quindi, se fino ad oggi tutti i metodi per aumentare l’intelligenza lavoravano sulla componente ambientale ora si può pensare di agire sulla componente genetica e questa è una condizione di sostanziale differenza che non va sottovalutata.3. Esistenza di diversi tipi di intelligenzaLo psicologo statunitense Howard Gardner distingue ben 9 tipi fondamentali di intelligenza, localizzati in parti differenti del cervello, di cui fa parte anche l'intelligenza logico-matematica che è l'unica su cui era basato l'originale test di misurazione del IQ. I 9 macro-gruppi intellettivi riguardano l’intelligenza Linguistica, Logico-Matematica, Spaziale, Corporeo-Cinestetica, Musicale, Emotiva (Interpersonale e Intrapersonale), Naturalistica, Esistenziale. Sebbene queste capacità siano più o meno innate negli individui, non sono statiche e possono essere sviluppate mediante l'esercizio. Inoltre, esse possono anche "decadere" con il tempo. Nell’articolo si parla solo dell’intelligenza misurata dal test del IQ, quindi solo di quella logico-matematica. E’ chiaro che devono essere effettuati degli studi su tutti gli altri tipi di intelligenza perché l’aumento di un tipo potrebbe determinare la carenza di un altro e sono certa che nella società c’è bisogno di tutte queste intelligenze e che probabilmente ritrovarci ad essere tutti dei geni matematici non risolverebbe tutti i problemi della società. Da questo punto di vista allora, per quanto riguarda la “classificazione” delle persone intelligenti e non, bisognerebbe trovare dei modi per misurare tutti questi tipi di intelligenza per definire l’importanza di un intervento genico. Spesso persone considerate ritardate e autistiche hanno capacità sbalorditive in alcuni campi, come l’arte o il calcolo numerico. Siamo certi che queste persone abbiano bisogno di una terapia? Credo che ancora molti studi debbano essere fatti per rispondere a queste domande.4.L’uomo e la modifica del proprio ambienteE’ bene tenere presente che nel corso dell’evoluzione i geni possono mutare, cambiare destinazione, essere persi o acquisiti. Da cosa questo dipenda non è ancora chiaro. Tuttavia, è da tenere presente che andare a modificare in maniera consistente il patrimonio genetico di una persona o di una popolazione potrebbe influire sull’evoluzione. Molte malattie genetiche sono dovute a mutazioni su uno o pochi geni e guarirle significa andare a modificare una piccola porzione del genoma. L’intelligenza e le malattie complesse, invece, sono caratteri poligenici e multifattoriali perché

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dipendono dall’interazione di molti geni. Di conseguenza, ritengo che un intervento di miglioramento genetico in questi casi debba essere attentamente valutato e studiato, poiché il cambiamento di molti geni potrebbe anche influire sulle possibilità di sopravvivenza dei soggetti nel corso del’evoluzione. L’importanza della biodiversità è stata affermata più e più volte per la salvezza di una specie. La presenza all’interno della stessa specie di differenze alleliche e geniche è considerata importante, poiché interressa la capacità di adattamento della specie ai cambiamenti ambientali. Se tutti ci trovassimo con un patrimonio genetico identico potremmo non sopravvivere a cambiamenti futuri come quelli climatici o la presenza di malattie. Per fare un banale esempio potrei ipotizzare l’epidemia di una nuova malattia mortale che colpisce le proteine prodotte dai nuovi geni introdotti con le terapie: tutti i soggetti che hanno subito la terapia genica ne sarebbero colpiti e si salverebbero solo quelli che non l’hanno fatta, seppur meno intelligenti degli altri. Un esempio reale su cui è bene riflettere che si verifica in alcune zone dell’Africa è la resistenza alla malaria da parte di individui che hanno una malattia genetica nota come anemia falciforme. In questi casi, i soggetti malati di anemia falciforme non sono colpiti dal Plasmodium, organismo responsabile della malaria, ed hanno così un vantaggio evolutivo. In questi casi la terapia genica per l’anemia falciforme non sarebbe per niente utile. Non sappiamo ancora se modificando i geni dell’intelligenza si potranno avere dei risultati simili.Anche questo caso dimostra che ogni azione deve essere sostenuta da studi approfonditi e che la conoscenza di oggi non è ancora sufficiente a stabilire non solo se il miglioramento genetico dell’intelligenza sia eticamente giusto o sbagliato, ma anche se questo sia utile oppure dannoso. ConclusioneIn conclusione, ritengo che la ricerca debba essere sostenuta sempre e comunque, che l’ingegneria genetica sia uno strumento eticamente valido per salvare delle vite, ma che vada utilizzato con cautela solo nei casi in cui sia realmente necessario e l’aumento dell’intelligenza non mi sembra uno di questi. Credo, che sia importante continuare gli studi in questa direzione perché molte informazioni che ci mancano potrebbero esserci utili nell’individuare delle regole per utilizzare queste nuove tecnologie e per migliorare la vita di tutte le persone.

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Stefano Negri VR080194commento all’articolo “Lessons From A Dark And Distant Past” di Benno

Muller-Hill

“… Credevamo di poter migliorare il corpo e l’animo umano…”Queste le parole di uno dei medici svedesi che promosse assieme ad altri colleghi l’esecuzione di un piano di sterilizzazione su scala nazionale per preservare l’integrità della razza scandinava da contaminazioni genetiche esterne.Il progetto, ideato nel dettaglio da genetisti provenienti dai più grandi centri di ricerca dell’epoca (la Svezia fu la prima nazione europea a vantare un istituto universitario per la Biologia della Razza), si concretizzò con la sterilizzazione di decine di migliaia di persone a partire dal 1935, anno in cui la sterilizzazione divenne legale. Numerosi “tattare”- termine svedese che indicava uomini o donne di origini zingare – si sottoposero volontariamente agli interventi di sterilizzazione. Non sapevano forse che questo avrebbe precluso loro una vita futura, una famiglia, la possibilità di perpetuare la propria stirpe? Eppure, lo fecero, poiché la legge permetteva la sterilizzazione solo in accordo con la volontà della persona. Dovevano essere un ideale ben saldo, un’ostinata fermezza e convinzione nell’agire quelle che spinsero i genetisti ad ingannare in modo così crudele i loro pazienti con false informazioni e incoraggiandoli ad affrontare operazioni che avrebbero mutilato le loro vite sia in senso fisico che metaforico. L’ ”igiene razziale” era la convinzione che mise in moto il piano di sterilizzazione, e anche se lentamente essa lasciò spazio a ragioni mediche (oggi al posto della sterilizzazione si è sostituito l’aborto), furono necessari 40 anni per dichiarare tale pratica non più legale, fino al 1975, anno in cui la legge fu revocata.Tutto ciò accadde in Svezia, un’impeccabile democrazia europea. Quali sono dunque i presupposti per il verificarsi di simili eventi? Quanto può essere forte il potere della scienza in questi casi? Qual è il limite morale che un genetista dovrebbe rispettare lavorando così a stretto contatto con il genere umano?

“…Il tempo era così….ciascuno di noi la pensava così…”La consapevolezza che al mondo esistessero diverse razze era già stata acquisita durante il XIX° secolo. Al tempo gli scienziati americani ed europei condividevano la stessa opinione circa la gente di colore : concordavano che essi fossero intellettualmente meno dotati delle genti bianche. Per questo il genocidio delle etnie nere era considerato come normale ed inevitabile e situazioni quali i matrimoni misti tra bianchi e neri erano talmente malviste dalla popolazione da essere proibite dalla legge. In questo clima razzista gli scienziati si trovarono nei primi decenni del 1900 a riscoprire gli studi effettuati da Gregor Mendel e a cimentarsi nella nuova scienza della genetica. Ripetendo gli esperimenti ed eseguendone loro stessi di nuovi i genetisti si convinsero che alla base della diversità vi erano i geni, per cui a razze diverse corrispondevano geni diversi. Con il progredire delle ricerche aumentavano anche le aspettative degli scienziati che, avvalendosi delle conoscenze nel campo dell’ereditarietà e del concetto di selezione naturale proposto da Darwin, miravano a migliorare le caratteristiche della specie umana, eliminando quelle che non ne permettevano la sopravvivenza. Fu quasi inconsapevolmente quindi, in una corsa verso la costruzione dell’uomo perfetto, che nacque l’eugenetica.

Eugen Fischer, un medico tedesco che aveva avuto l’opportunità di eseguire i suoi studi di genetica direttamente sul campo (in una colonia africana della Germania), ebbe la conferma sperimentale, applicando le leggi delle’ereditarietà di Mendel, che la razza di colore fosse meno dotata intellettualmente della razza bianca. Quando la Francia durante la prima guerra mondiale invase i territori tedeschi con soldati prelevati dalle colonie africane, Fisher tornò in patria con la convinzione di dover preservare il patrimonio genetico europeo dalla contaminazione di “geni inferiori”. Reclutò diversi colleghi e assieme si occuparono della sterilizzazione di più di 600

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bambini nati dagli incroci dei soldati con le donne tedesche. Non c’è da stupirsi se l’ideale di Fisher riscosse tanto successo tra i colleghi medici e genetisti (tanto da assicurargli le più alte cariche nei più prestigiosi uffici scientifici di allora), poiché lo concepì da teorie maturate in Europa tra ‘700 e ‘900 ampiamente condivise dal mondo accademico. Conosciamo la storia : l’ascesa del potere di Hitler e dei suoi ideali di supremazia della razza ariana in una Germania in crisi alimentarono i motori dell’eugenetica che, nata già sotto il cattivo influsso del razzismo, trovò nel movimento nazista vaste applicazioni e innumerevoli sostenitori. Gli eugenetisti tedeschi avevano già optato per legalizzare la sterilizzazione prima ancora che i nazisti giunsero al potere. Quando ciò si verificò gli eventi procedettero per gradi : prima fu introdotta come nel caso svedese la sterilizzazione volontaria per schizofrenici e malati mentali, di seguito vennero introdotte nuove categorie (ebrei, alcolisti,ecc…) e la sterilizzazione coatta (non volontaria). La legge garantiva anch’essa l’arresto al diffondersi di geni razziali indesiderati. Citando lo stesso Fisher a proposito delle Leggi di Norimberga “tutto sorge da una necessità scientifica”. I genetisti del XX° secolo si fecero fautori anch’essi di uno dei più grandi crimini contro l’umanità, definendo i criteri per la selezione delle vittime : tutta la gente di colore, mulatti,zingari, ebrei o persone con almeno un nonno ebreo,ecc… tutti criteri che oggi definiremmo moralmente rivoltanti.Sembrava veramente che in quegli anni la scienza si fosse trasformata in qualcosa di corrotto, accettando qualsiasi condizione. Gli scienziati pur di inseguire le loro teorie realizzavano i loro ideali perdendo la loro umanità.

“…Questa era la visione dei genetisti e quella che alcuni di essi vedono ancora oggi…”Dopo la caduta del nazismo le cose cambiarono, per esempio divenne generalmente impossibile difendere il divieto dei matrimoni misti. Questi cambiamenti non erano il frutto di nuovi risultati scientifici ma piuttosto erano sostenuti da nuovi fattori politici, sociali e culturali, il volto di un mondo uscito stremato da due guerre mondiali, che non avevano portato altro che morte e distruzione per milioni di persone. Non si parlava più di igiene razziale e l’eugenetica si liberava dei crimini dei quali si era circondata fin dalla nascita per intraprendere una via moralmente più corretta.Le scienze mediche,biologiche e genetiche hanno fatto notevoli progressi negli ultimi decenni, garantendo alle persone servizi, trattamenti, disponibilità sempre maggiori di nuove tecniche, nuovi approcci per il paziente, nuove cure,ecc… Tra tutte queste innovazioni anche il genetista ha acquisito una nuova funzione: quella del consulente. Chi è questa recente figura alla quale sempre più frequentemente le persone si rivolgono?Il consulente genetico è uno scienziato studioso di genetica, conoscitore dei meccanismi della biologia molecolare e delle leggi che regolano l’ereditarietà. Egli pone tali conoscenze al servizio del cliente per risolvere il problema che questo gli pone. I motivi che spingono una persona a rivolgersi al consulente genetico possono essere i più disparati; un esempio banale ma frequente e che rende l’idea consiste in una coppia che volendo un figlio vuole conoscere i rischi che esso corre sapendo che un membro della famiglia è affetto/portatore da/di una determinata malattia. Il consulente è tenuto ad esporre in modo più oggettivo possibile la soluzione al problema, informarlo delle verità scientifiche e sociali che deriverebbero dalla sua scelta, istruirlo circa ogni opzione possibile. È questa la grande differenza con i genetisti di mezzo secolo fa : il consulente non decide più il fato del paziente, come accadeva invece per i genetisti che selezionavano personalmente gli individui inadatti a preservare la razza. Il cliente-paziente vuole essere informato adeguatamente per essere consapevole e libero di prendere la scelta che egli stesso riterrà migliore. Sorge spontanea una domanda : il consulente può influenzare l’opinione del cliente?A questo punto si distinguono due tipi di consulenza. Quella non direzionata non interferisce con la decisione del cliente e mostra tutte le opzioni nel modo più onesto possibile; evitando eventuali plagi, il consulente non è più responsabile per gli atti del cliente.

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La consulenza direzionata valica il limite di neutralità posto fin’ora. Si pensi ad una coppia che, nonostante sia stata informata che il figlio sarà con molta probabilità portatore di una malattia estremamente rara, decide di correre il rischio. Il consulente deve limitarsi esclusivamente a menzionare il rischio o dovrebbe cercare di diminuirlo?Intervenire in questo caso eviterebbe la diffusione dei geni compromessi poiché un giorno i figli di tale individuo, nel caso fossero anch’essi portatori, incrementerebbero la frequenza di manifestazione della malattia all’interno della popolazione aumentando il rischio per la collettività. Si ripropone quindi il problema dei genetisti del XX° secolo : preservare i geni “forti”. Certo il contesto socio-culturale è cambiato profondamente per cui nessuno userebbe più l’espressione “igiene razziale”, tuttavia è lo stesso potere predittivo della scienza, frutto dei progressi realizzati sino ad oggi, che si erge a proteggere l’umanità e i suoi valori. Chi non vorrebbe vivere in salute, serenamente, senza essere schiavo di malattie che costringono a uno stile vita più limitato, sia socialmente che economicamente? Stiamo parlando di una verità scientifica. Kant, un grande filosofo tedesco del secolo dei lumi disse a tal proposito che se fosse d’aiuto nella ricerca della verità si dovrebbe dare all’assassino l’indirizzo del migliore amico se lui agisse in nome di essa. Questo fu ciò che fecero i genetisti umani durante il dominio nazista. Appare evidente che il ruolo del consulente non è facile poiché anche lui deve operare una scelta.Personalmente ritengo corretto il comportamento di un consulente che espone al cliente la verità scientifica in modo dettagliato, rigoroso ma neutrale. Sono anche convinto del fatto che è impossibile, in tutta onestà del consulente, non influenzare il cliente. Sicuramente durante la consulenza il cliente è suggestionato dai risultati ottenuti attraverso i test genetici. Considero migliore la consulenza non direzionata non tanto perché quella direzionata rischierebbe di avvicinarsi troppo agli errori commessi in passato – credo che il mondo sia in grado al giorno d’oggi di distinguere la scienza dalla follia - ma perché la vita è prerogativa di tutti gli uomini e credo che nessuno sia nella posizione di poter decidere per le vite altrui. Il patrimonio genetico umano è un bene da preservare, ma attraverso altre vie. Certamente prevenire è meglio che curare ma si può ragionare in questi termini anche quando sono in gioco le vite delle persone?

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DE IDONE’ ERICA VR080007

AUTONOMIA DEL PAZIENTE E VALORE DI NEUTRALITÀ NELLA NON-DIREZIONALITÀ DELLA CONSULENZA GENETICA

commento sull’articolo “Patient autonomy and Value-Neutrality in Nondirective Genetic Counseling” di Robert Wachbroit and David Wasserman

IntroduzioneNegli ultimi anni, medici scienziati sono riusciti ad identificare un ampio numero di mutazioni genetiche associate a malattie (da malattie rare come l’Huntington a malattie più comuni come il cancro al seno). Con l’uso dei test genetici, le mutazioni genetiche possono essere identificate, anche molto prima della comparsa dei sintomi dovuti alla malattia. Spesso questi test sono utilizzati per individuare mutazioni nelle cellule germinali o nei feti. La diffusione dei test genetici e la loro rilevanza per gli individui, ha aumentato l’importanza della consulenza genetica, per permettere ai pazienti di capire e rispondere appropriatamente ai risultati e alle diagnosi dei test genetici. L’opinione comune riguardo la consulenza genetica ritiene che debba essere “non-direzionale”. Ma cosa significa questa espressione? Sia il concetto di neutralità sia il concetto di autonomia del paziente possono essere racchiusi nel concetto di non-direzionalità. La relazione dell’Istituto di Medicina riguardo la Valutazione dei Rischi Genetici, afferma che l’impegno alla non-direzionalità nella consulenza genetica proviene dal rispetto dell’autonomia del paziente nel prendere la propria decisione. Inoltre esorta i consulenti genetici ad evitare di influenzare i pazienti con i propri valori e pregiudizi. Altri commentatori hanno inteso la non-direzionalità nella consulenza genetica come uno stile di comunicazione nel quale i consulenti agiscono in modo neutrale riguardo le questioni morali sollevate dalle diagnosi genetiche e assicurano che le scelte del paziente riguardo i test genetici siano informate e volontarie. La manifestazione dei valori del consulente genetico minano l’abilità del paziente di prendere le proprie decisioni. Il rispetto dell’autonomia in questo campo non richiede una maggiore cautela rispetto ad altre forme di consulenza nell’ambito dell’assistenza sanitaria.

Autonomia del paziente e valore di neutralitàL’obiettivo della consulenza genetica è:mettere i pazienti in grado di capire e rispondere appropriatamente ai risultati e alle diagnosi dei test genetici.L’espressione “rispondere appropriatamente” ha suscitato il maggiore disaccordo riguardo quale sia il corretto ruolo dei consulenti genetici. Nella prima metà di questo secolo, si era ampiamente d’accordo sul fatto che rispondere in modo opportuno significasse promuovere la salute genetica e ridurre i rischi genetici. Altre opinioni ritenevano che il paziente dovesse essere educato, corrotto, o costretto a servire il bene comune. In questo modo le malattie genetiche erano considerate un problema di salute pubblica. Quest’approccio portò a molti abusi, (la sterilizzazione forzata negli Stati Uniti fino al programma di eugenetica nella Germania Nazista). Per questo la non-direzionalità nella consulenza genetica è una risposta agli abusi della storia, assicura che le decisioni del paziente sui test e gli interventi siano bene informati e completamente volontari. L’obiettivo è rendere il paziente consapevole non solo dei rischi genetici, ma della sua libertà di scegliere se sottoporsi ai test o no e come rispondere a eventuali risultati positivi.

Il paziente è libero di prendere qualunque decisione egli ritenga sia appropriata, purché sia il risultato della comprensione dei fatti e rifletta veramente i suoi valori. Se il consulente genetico è d’accordo o no con questa decisione è irrilevante. Per altri test medici non esiste una professione di consulenza, poiché altri test come quelli cardiaci o oncologici non sono stati mai usati contro la volontà dei pazienti e contro il loro interesse. Negli anni 60, con la nascita di una diversa professione di consulenza genetica, si riuscì nell’impegno alla

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non-direzionalità, andando oltre il rifiuto della costrizione. L’obiettivo della nuova professione, fu di rinforzare il processo di presa di decisione dal paziente e chiarificare i valori e le volontà del paziente. Inoltre, alla fine del diciannovesimo secolo ci si chiese se potesse esistere una scienza dei valori. Mentre oggi giorno, gli scienziati tendono a trattare i valori come un fenomeno psicologico o sociale, spesso esprimono i valori o i pregiudizi in modo interscambiabile. Nella consulenza genetica, un modo per rispettare il valore di neutralità è assicurare un carattere oggettivo e scientifico, durante la comunicazione con il consulente genetico. I concetti di autonomia e valore di neutralità sono distinti. Mentre il primo richiede che il consulente genetico assicuri che la scelta del paziente riguardo la diagnosi sia volontaria e informata; il secondo concetto richiede che il consulente genetico non esprima tutte le opinioni personali che possiede riguardo le procedure mediche alle quali il paziente si deve sottoporre, o riguardo le questioni etiche che il paziente deve affrontare nel prendere le proprie decisioni. In questo caso il valore di neutralità viene considerato una costrizione nel rapporto fra il consulente e il paziente. Questa tipo di costrizione è necessaria per rispettare l’autonomia del paziente?

Valore di neutralità e non-direzionalità nella consulenza geneticaUn test somatico mira a individuare o diagnosticare condizioni geniche che sono indicative dello stato di salute di un individuo, possono diagnosticare anche futuri problemi di salute di cui il paziente non ne è ancora a conoscenza. Test genetici di procreazione valutano la trasmissione genetica e in tal modo informano il paziente riguardo i suoi progetti di procreazione e sulla possibile prole. Inoltre, questi test sollevano la questione su quale vita sia giusto vivere e solleva questioni come l’eugenetica. Mentre il consulente genetico può offrire la propria opinione nei test somatici come nelle altre professioni sanitarie, esso deve essere più cauto nel discutere riguardo a test genetici di procreazione. Ma quello che distingue la genetica moderna dall’eugenetica è il completo rifiuto della costrizione come metodo, ma non il completo abbandono della salute genetica come obiettivo. Inoltre un consulente genetico può allontanarsi dall’eugenetica cercando di non comunicare le proprie opinioni.

Esistono molte ragioni per credere che per rispettare l’autonomia del paziente occorra mettere in atto il valore di neutralità.

Il consulente genetico è visto come un’autorità medica e potrebbe ingannare il paziente dando l’impressione che i valori espressi abbiano un’autorità scientifica e in questo modo violerebbero l’autonomia del paziente. Ma se il consulente nega di essere esperto in materia di giudizi morali, esprimendo una propria opinione, non comprometterebbe l’ autonomia del paziente. Esprimere giudizi riguardo i valori rappresenterebbe il primo passo verso una strada scivolosa che porta a misure costrittive.

Il paziente durante una seduta di consulenza genetica è sensibile a qualsiasi influenza, perché sottoposto ad un particolare stato emotivo, molto ansioso e apprensivo nell’affrontare la possibilità di poter ricevere buone o cattive notizie legate ai risultati del test. In questo modo l’autonomia del paziente è così fragile che può essere compromessa da qualsiasi influenza. Ma quando il paziente è a piena conoscenza della situazione, alcuni consigli non minacciano l’autonomia del paziente se conferiti in modo appropriato. Questi consigli possono chiarire le responsabilità del paziente nel prendere decisioni riguardo alle cure da eseguire.

La pressione esercitata dalla società sui pazienti che devono sottoporsi a test per l’aborto di feti malati, è maggiore rispetto ad altri test. Ma ci sono altre aree di salute sanitaria dove la pressione sociale è forte. Per esempio per gli obesi di mezza età o per i fumatori accaniti. In questo caso la pressione a cui sono sottoposte queste persone è paternalistica ed è poco minacciosa per l’autonomia del paziente, a differenza la pressione esercitata su futuri genitori non è paternalistica. Ci sono significative differenze morali fra malattie riproduttive e malattie trasmissibili. Per quanto riguarda le malattie trasmissibili, un paziente che

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possiede una malattia sessualmente trasmissibile, si affaccia verso una forte pressione sociale ad astenersi dal sesso o a comunicare la malattia al proprio patner. Questa pressione è chiaramente non paternalistica e il medico non viola l’autonomia del paziente esortandolo a darsi dei limiti o a comunicare la propria malattia alle persone che gli stanno accanto.

Le possibilità del valore di neutralitàMa c’è un contesto in cui viene smentito che per rispettare l’autonomia del paziente occorre rispettare il valore di neutralità, inoltre nella consulenza genetica è impossibile rispettare questo valore. Poiché l’autonomia è un valore al quale il consulente genetico non può essere neutrale e poiché il progredire dei test di procreazione, potrebbe essere incompatibile con il valore di neutralità. Argue Clarke sostiene che lo stato dovrebbe stabilire dei limiti nei test genetici per le malattie più gravi e debilitanti. Mentre Clarke sostiene che le diagnosi dei genitori e l’aborto selettivo danno ai genitori un’opportunità di progettare una famiglia senza il rischio di essere responsabili di mettere al mondo un bambino ammalato. Molti genitori possono conciliare l’apparente inconsistenza di amore e protezione nei confronti del loro figlio portatore di handicap con la decisione di rinunciare alla nascita di un secondo.L’autonomia non può essere rispettata nel momento che lo sviluppo e l’avanzamento dei test genetici di procreazione illudono i pazienti che qualcosa potrebbe essere fatto quando un’anormale condizione genetica è diagnosticata. Una chiara soluzione sarebbe eliminare la condizione sfavorevole, ma date le scarse risorse tecnologiche, quasi sempre significa terminare la gravidanza. Clarke afferma che offrire una diagnosi prenatale implica una raccomandazione ad accettare questa offerta, che a sua volta comporta una tacita raccomandazione a terminare la gravidanza se è stata diagnosticata qualche anormalità. Da parte del consulente genetico questo è irrispettoso perché questo problema deriva da un contesto sociale piuttosto che per una colpa da imputare ai pazienti coinvolti.Il consulente genetico nell’informare i pazienti riguardo i rischi non può essere neutrale, perché un possibile rischio può essere sempre presentato sia come una possibile perdita sia come un possibile guadagno.

La sfida per il rispetto dell’autonomia del pazientePer quanto detto fin’ora, nonostante rispettare l’autonomia del paziente appaia come un obiettivo semplice, in realtà per tutte le problematiche spiegate in precedenza è un compito estremamente importante ma difficile da mantenere. Rispettare l’autonomia è un compito estremamente difficile non perché l’autonomia del paziente sia fragile o minacciata, ma perché le scelte che i pazienti devono prendere toccano alcuni valori molto profondi. Esistono altri campi, oltre ai test genetici, dove i pazienti sono costretti a confrontarsi con scelte molto difficili, un esempio è l’eutanasia.Il consulente genetico per cercare di rispettare l’autonomia del paziente deve considerare due temi: la questione empirica e la questione concettuale. La questione empirica considera come influiscono i valori taciti o espressi sulla capacità dei pazienti di prendere una decisione consapevole e volontaria. Ricerche psicologiche sostengono che la pressione sociale può avere un effetto sui comportamenti dei pazienti. Le ricerche inoltre suggeriscono che la direzionalità nella consulenza genetica può non avere un effetto di costrizione. Infatti studi effettuati sull’Europa dell’Est, sotto governo comunista, affermano che dove si sarebbe aspettato una condizione di direzionalità, circa il 40% di consulenze con alto rischio genetico non hanno seguito il consiglio del consulente. Inoltre è importante dare al paziente una comprensione non solo delle scelte disponibili, ma anche della loro attuabilità. I consulenti genetici potrebbero utilizzare una rete di gruppi di supporto per stabilire contatti tra genitori che hanno ricevuto una risposta positiva ad un test e genitori che hanno un figlio avente la stessa malattia.Molti dibattiti nell’etica medica includono questioni su cosa significa l’autonomia in un particolare contesto, quali fattori esterni la minacciano e quale peso dovrebbe avere rispetto

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ad altri valori. Possiamo essere sicuri, che un paziente che abbia deciso di terminare la propria gravidanza in seguito ad una riunione di famiglia privata, ha preso una decisione autonomamente? In un mondo in cui l’autonomia è associata alla razionalità, l’autonomia del paziente dovrebbe essere migliorata solamente dalla ricezione d’informazioni accurate, in modo che la presa di decisione del paziente sia messa in primo piano, poiché la comunicazione d’indesiderate informazioni potrebbe violare la loro autonomia. Se il consulente genetico comunica tutte le possibili scelte, inevitabilmente espone alcune informazioni che il paziente non vorrebbe ricevere. Ma se aspetta che sia il paziente a fare delle richieste, si rischia che il paziente non riceva abbastanza informazioni. Un’altra questione difficile sollevata da pazienti che accettano o delegano le loro decisioni sulla procreazione ad altri, come per esempio lo sposo, leader religiosi, oppure ai genitori. Il consulente genetico riesce a distinguere tra pazienti che delegano volontariamente le proprie decisioni per scappare dalle proprie responsabilità o tra pazienti che non riconoscono che la decisione deve essere delegata a loro?L’autonomia del paziente riguardo i test genetici potrebbe portare alla conoscenza del sesso del feto e avere pericolose conseguenze, come per esempio la denigrazione delle donne, ma per ora sembra non essere così preoccupante a causa del largo consenso contro questa pratica e per il numero di richieste trascurabili. Alcuni commentatori come Diane Paul, e Angus Clarke hanno osservato che la reale minaccia viene dall’aumento di diagnosi di marker genetici associati a condizioni che non sono minacciose per la vita, ma indesiderabili dalla società, come l’omosessualità, l’obesità o l’iperattività. La disponibilità di questi test minacciano di far diventare la gravidanza sempre più instabile. Il consulente genetico deve rispettare l’autonomia del paziente e esortare il paziente a terminare la gravidanza se il test è positivo, o blandamente acconsentire che i pazienti proseguano nella loro decisione?Ci sono questioni critiche nel definire la non-direzionalità. Si deve riflettere attentamente sul significato e sul peso che deve avere l’autonomia del paziente e quali altri valori devono essere centrali alla consulenza genetica e all’assistenza sanitaria.

RIFLESSIONE PERSONALE

Introduzione Dopo aver esposto e approfondito gli argomenti dell’articolo di Robert Wachbroit and David Wasserman, cercherò di sviluppare e dare un parere personale riguardo alcune tematiche rilevanti dell’articolo appena presentato.

Consulenza geneticaLa consulenza genetica è un processo informativo attraverso il quale i pazienti affetti da una malattia geneticamente determinata, o i loro familiari, ricevono informazioni concernenti le caratteristiche della malattia stessa, alle modalità di trasmissione, al rischio di ricorrenza e alle possibili terapie, incluse le possibilità riproduttive. La diagnosi di una malattia è la premessa fondamentale per poter sottoporsi ad una seduta di consulenza genetica. Esistono varie tipologie di consulenza genetica:

consulenza genetica parentale: insieme di colloqui che una coppia a rischio di malattia genetica(cromosomica o molecolare) effettua con il genetista se vi sono sospetti o elementi certi che la possano documentare e se vi è la necessità di acquisire informazioni che consentano alla coppia di decidere in merito alla gravidanza;

consulenza genetica post-natale: insieme di colloqui che coinvolgono individui in età pediatrica o adulta, affetti da malattie genetiche. Qui lo scopo della consulenza è quello di individuare gli eventuali portatori della malattia genetica presenti nella famiglia, di valutare il rischio di ricorrenza e l’eventuale terapia;

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consulenza genetica oncologica: viene richiesta da soggetti appartenenti a famiglie in cui siano presenti casi di una specifica neoplasia che desiderino conoscere le possibilità diagnostiche e terapeutiche per sé e la valutazione del rischio genetico della prole.

Autonomia e valore di neutralita’Negli anni la consulenza genetica ha subito alcuni cambiamenti riguardo le modalità con cui il consulente genetico si rapporta al paziente. Attualmente, concordo con il fatto che la consulenza genetica debba rispettare l’autonomia del paziente, cercando di assicurare che la sua scelta sia del tutto volontaria e consapevole. Inoltre il consulente genetico deve rispettare il valore di neutralità, limitandosi a comunicare, esclusivamente, statistiche e considerazioni scientifiche riguardo la malattia in questione. Date le questioni delicate che il paziente è tenuto ad affrontare, è probabile sia sottoposto a forti stress e stati d’ansia e per questo motivo sia facilmente influenzabile da eventuali opinioni personali conferite da un consulente genetico, le quali potrebbero alterare la decisione del paziente. Una persona, in determinate situazioni tende a seguire i consigli di una persona che possiede una cultura ed un’esperienza di un certo spessore, piuttosto di seguire il parere di una persona qualunque. Proprio per quest’ultimo motivo ritengo che se pur il paziente richieda espressamente un’opinione personale al consulente genetico, esso debba astenersi dal farlo, per non rischiare di influire sulla decisione. Ma al contrario, il consulente genetico ha il dovere di fornire tutte le informazioni esistenti riguardo il caso specifico per rendere il paziente il più indipendente possibile.Per questo, credo che un paziente che richiede di sottoporsi ad una consulenza genetica, non si debba aspettare di trovare alla fine del percorso, quale sia la soluzione al proprio problema, ma si deve aspettare di scoprire quali siano tutti gli strumenti necessari per prendere la decisione migliore, autonomamente.

Back-ground del consulente geneticoTuttavia è da considerare che ogni consulente genetico è stato formato ricevendo le stesse nozioni degli altri, ma con modi differenti. Inoltre, il modo con cui si rapporta al paziente può subire dei cambiamenti, durante la sua carriera, a causa dei diversi casi che ha dovuto affrontare e che in qualche modo gli hanno insegnato com’è appropriato affrontare determinati casi. Quindi, per questo motivo, l’atteggiamento di ogni consulente nell’essere neutrale assumerà piccole sfumature.

Gruppi di confrontoL’ente ospedaliero potrebbe mettere a disposizione determinati spazi per l’organizzazione di incontri tra persone che hanno già dovuto affrontare una particolare malattia, assieme ad altri pazienti a cui è stata da poco diagnosticata la medesima malattia genetica, o assieme a genitori a cui è stata accertata la malattia al proprio figlio o feto, per offrirgli un’ulteriore strumento. In questo modo, i pazienti si sentirebbero, meno soli e parte di un gruppo, rendendoli consapevoli che non sono gli unici a dover affrontare momenti di malattia così difficili. Questo strumento potrebbe non essere d’aiuto riguardo le decisioni che ogni paziente deve prendere, ma lo aiuterebbe sicuramente ad affrontare tutta la situazione in modo più sereno, consapevole di essere parte di una comunità che sta vivendo o ha vissuto le sue stesse problematiche. Inoltre, da questi incontri potrebbero scaturire richieste e domande utili da porre, ai medici, ai consulenti genetici o alle autorità pubbliche per poter dare a loro anche solo dei piccoli spunti per apportare miglioramenti nell’ambito dell’assistenza dei pazienti.

Test geneticiEsistono molti test che possono diagnosticare differenti tipi di malattie genetiche come la fibrosi cistica, infertilità maschile, intolleranza al lattosio, anemia falciforme…Questi test possono essere sottoposti, in alcuni casi, anche a feti ancora nel grembo delle madri.I vari test possono essere classificati a seconda della loro finalità:

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TEST DIAGNOSTICI: consentono di stabilire una diagnosi o di confermare un sospetto clinico in un individuo già affetto. Possono essere effettuati durante il periodo prenatale o durante tutto l'arco di vita post-natale (un esempio potrebbe essere l’identificazione della sindrome di Down);

TEST PRECLINICI O PRESINTOMATICI: numerose malattie genetiche, possono non essere presenti alla nascita ma comparire più tardivamente, anche in età avanzata. Il risultato del test genetico può consentire di ridurre morbilità e/o mortalità, qualora siano disponibili forme di prevenzione secondaria o adeguate terapie;

TEST PER LA VALUTAZIONE DELLA SUSCETTIBILITÀ GENETICA: alcuni test consentono l'individuazione di genotipi che non sono di per sè stessi causa di malattia, ma comportano un aumento del rischio a sviluppare una determinata patologia in seguito all'esposizione a fattori ambientali favorenti, o alla presenza di altri fattori genetici scatenanti (come per esempio patologie quali ad esempio ipertensione, diabete, ictus ed i cosiddetti tumori familiari).

Sono d’accordo sul dare l’opportunità ai pazienti di sottoporsi a test che diagnostichino malattie genetiche gravi, dovute a mutazioni geniche, come quelle elencate all’inizio. Mentre non sono per niente d’accordo, sul permettere ai pazienti di usufruire liberamente di test che forniscano informazioni riguardo le caratteristiche fisiche e il sesso di futuri nascituri, poiché questi tipi di informazione potrebbero dare inizio a una sorta di eugenetica. In questo modo, alcuni caratteri ritenuti migliori di altri potrebbero essere promossi e si andrebbe incontro ad una selezione della specie e si rischierebbe di ricadrebbe negli stessi errori compiuti durante il periodo nazista, dove si cercò di selezionare un’unica razza superiore alle altre, quella ariana.I test che effettuano diagnosi prenatali sono molto delicate, poiché attualmente non esistono cure efficaci che siano in grado di guarire il feto prima della nascita.In gravidanza si possono eseguire alcuni test di screening che permettono di stimare il rischio di avere un figlio con anomalie cromosomiche. A differenza degli esami diagnostici prenatali, i quali presentano una diagnosi certa, i test di screening non ci danno un responso certo, ma ci permettono di valutare il rischio di una certa persona relativamente ad un certo problema. Nel caso si voglia stimare il rischio di avere un figlio con anomalie cromosomiche, come ad esempio la sindrome di Down, durante la gravidanza si possono eseguire alcuni test di screening che permettono di stimare il rischio di avere un figlio con anomalie cromosomiche.

Attualmente vi sono 4 metodiche di screening riguardo le malattie cromosomiche:  Tri-Test: è un esame del sangue che si effettua a 15-17 settimane e che consente di

individuare le donne a rischio di partorire un bambino affetto da trisomia 21 o 18. Ha una sensibilità del 60% circa;

Traslucemza nucleare: è un esame ecografico che consiste nella misurazione, tra la 11esima e la 13esima settimana, di uno spazio situato nella regione posteriore del collo fetale. In tale sede è presente una sottile falda di liquido che è presente nella regione nucale di tutti i feti e che appare all'esame ecografico come una sottile zona liquida detta translucenza. Quando tale falda fluida è aumentata (aumento di spessore della translucenza nucale) può esservi un maggior rischio di patologie cromosomiche fetali o altre patologie, ad esempio cardiopatie malformative. Si può stimare che lo studio della translucenza nucale abbia una sensibilità del 75-80%. Ciò vuol dire che con lo studio della translucenza nucale si può identificare il 75-80 % dei feti affetti da trisomia 21, ovvero da sindrome di Down.

Bi-Test: è un esame del sangue che si esegue tra la 11esima e la 14esima settimana e si basa sul dosaggio di due ormoni (da cui il nome bi-test) presenti nel circolo sanguigno materno: la free-beta HCG (frazione libera della gonadotropina corionica) e la PAPP-A (proteina A plasmatica associata alla gravidanza). La free-beta HCG risulta in genere innalzata in caso di malattie cromosomiche fetali. Al contrario la PAPP-A risulta diminuita. Quindi tanto più

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diminuisce la PAPP-A e quanto più aumenta la free-betaHCG, tanto più aumenta la possibilita’ di malattie cromosomiche tra cui la Sindrome di Down e la Trisomia 18.

Bi-Test e Traslucenza Nucale (Test combinato): l’ associazione del BI-Test con la misurazione ecografica della Translucenza nucale aumenta la sensibilità del test per la Sindrome di Down al 90% (è cioè in grado di individuare 90 feti su 100 affetti da sindrome di Down). 

1. Se il test risultasse negativo: significa che il rischio di malattia è basso, ma non nullo;2. Se il test risultasse positivo: non vuol dire che il feto sia affetto da anomalia cromosomica, ma

il rischio stimato è sufficientemente elevato da giustificare un esame invasivo (per esempio villocentesi) per giungere ad una diagnosi di certezza. 

La villocentesi è una procedura che consente di effettuare un prelievo di villi coriali dalla placenta inserendo un ago sotto guida ecografica attraverso l’addome materno. L’esame dei villi coriali serve ad esaminare l’assetto cromosomico fetale, al fine di valutarne la normalità o la presenza di anomalie. Il rischio di aborto connesso alla villocentesi si aggira intorno allo 1 %. Quest’ultimo esame è sicuramente maggiormente invasivo e doloroso rispetto un test di screening.Vale la pena effettuare questi test per diagnosticare una malattia che non sarà possibile curare prima della nascita? Sono pienamente d’accordo con Argue Clarke il quale afferma che: “offrire una diagnosi prenatale implica una raccomandazione ad accettare questa offerta, che a sua volta comporta una tacita raccomandazione a terminare la gravidanza”, date le scarse risorse tecnologiche a disposizione. Attualmente non sono presenti cure che permettano di curare malattie genetiche direttamente sul feto, quindi una donna in gravidanza si trova davanti all’unica scelta possibile, quella di abortire o continuare la gravidanza con tutte le difficoltà che comporterà sia per lei che per il nascituro. Ma a differenza di quello che sostiene l’articolo, ritengo che tutto questo non violi l’autonomia del paziente, poiché il consulente genetico cerca di esercitare la propria professione con le conoscenze attualmente a sua disposizione. Fatte tutte queste considerazioni, una donna deve valutare attentamente se sottoporsi a determinate cure invasive, che sottopongono una donna in gravidanza a forte stress e dolore fisico ed in caso di risultato positivo la malattia non potrà essere risolta se non con l’aborto. Anche se potrebbe sembrare che la nascita di un bambino malato sia una sfortuna, ma alcune storie ci insegnano che anche se le persone nate con malattie geniche possono realizzarsi nella propria vita e avere delle soddisfazioni. Un ragazzo della Sicilia, nato con una malattia congenita che gli ha causato la paralisi di tutto il corpo tranne della testa, grazie alla sua intelligenza è riuscito d’dapprima a diventare ingegnere e successivamente professore dell’università di Palermo. Questo ragazzo se pur sfortunato è riuscito ad avere delle soddisfazioni da una vita che fin dalla nascita sembrava promettergli poco.I test somatici possono diagnosticare la presenza di malattie geniche di un individuo, come la fibrosi cistica. Il gene responsabile di questa malattia codifica per la proteina CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator) implicata nella regolazione del cloro. L'alterazione della proteina comporta un'anomalia del trasporto di sali che determina principalmente una produzione di secrezioni per così dire "disidratate": il sudore è molto ricco in sodio e cloro, il muco è denso e vischioso e tende ad ostruire i dotti nei quali viene a trovarsi. La malattia coinvolge numerosi organi ed apparati: l'apparato respiratorio, dalle prime vie aeree al tessuto polmonare, il pancreas nella produzione di enzimi digestivi, il fegato, l'intestino e l'apparato riproduttivo, soprattutto nei maschi.I test che diagnosticano questa malattia sono molto accurati, ma anche in questo caso non esistono cure efficienti che possano far guarire da questa malattia. Gli intensi programmi di trattamento servono solo ad alleviare i sintomi della malattia. Solamente il trapianto di polmoni può portare ad un miglioramento, ma che a lungo termine non risolve le complicazioni della malattia. Il trapianto è una speranza per molti, ma talvolta solo un’illusione perché per entrare in lista d’attesa e per trovare un organo compatibile spesso passano molti anni. Concludendo, il problema di questi casi è

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che non esistono cure efficaci in grado di risolvere le malattie genetiche in modo permanente e solo la ricerca scientifica potrà trovare tutte le soluzioni adeguate per ogni malattia.

Statuto dei valoriLa consulenza genetica è un servizio molto difficile da gestire per tutte le problematiche appena esposte. Ideare uno statuto dei valori potrebbe essere utile per stabilire dei limiti e dare una rigorosità alla consulenze genetica, date le tante opinioni che si hanno a riguardo. L’ordine dei medici potrebbe concordarsi su quali valori principali deve rispettare la consulenza genetica, due dei quali potrebbero essere l’autonomia del paziente e la neutralità del consulente. In tale modo, si assicurerebbe un trattamento equo a tutti i pazienti.

ConclusionePer riuscire a usufruire al meglio dei test genetici bisogna trovare al più presto delle tecniche efficienti per curare le malattie geniche. Gli stati devono offrire gli strumenti per continuare a far progredire al meglio la ricerca scientifica, in modo che nel minor tempo possibile potremo ottenere nuove tecnologie per curare le malattie geniche e così saremo in grado di offrire a tutti una vita normale.

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Saetta Yari VR080186DISPUTE GENETICHE E IL DIRITTO DEI BAMBINI PER UN FUTURO

“APERTO”Commento di Saetta Yari

sull’articolo “Genetic Dilemmas and the Child's Right to an Open Future” di Dena S. Devis

La professione del consulente genetico è fortemente connessa all'idea di autonomia del paziente. Tuttavia, non sempre i casi che vengono presentati sono di facile interpretazione, così speso si assiste a delle vere e proprie dispute tra chi è a favore e chi contro il principio di autonomia: in particolare è necessario tenere presente anche altri aspetti che hanno a che fare con la morale e l'etica, come la sofferenza umana e il fare il bene o il male, al fine di evitare danni futuri a terzi causati da scelte azzardate di oggi. Questa capacità di “bilanciamento” tra autonomia del paziente e altre norme etiche è richiesta in casi come la sindrome di Tay-Sachs (la decisione di rendere pubblica o meno la propria malattia può influenzare la vita dei familiari) oppure quando coppie con un certo grado di disabilità desiderano un figlio con la loro stessa disabilità (per esempio la sordità ereditaria). Dunque l'autonomia del paziente si può “scontrare” con il benessere di terzi (un figlio, familiari) e la valutazione dei singoli casi è affidata a consulenti genetici, che dovranno offrire una consulenza “non direzionata” (ne in un senso ne in un altro). Il paziente potrà così decidere in modo autonomo e oggettivo, libero da coercizioni e preconcetti della società.In caso di coinvolgimento dei figli, l'autore suggerisce di scambiare la contrapposizione autonomia del paziente - benessere con quella di autonomia del paziente – autonomia futura del neonato: ciò permette di tenere conto anche dei diritti dei bambini per un futuro “più aperto”, che loro spetta.Il codice di etica della Società Nazionale Americana dei consulenti genetici indica i principi da seguire, fondati sul rispetto delle opinioni dei clienti, delle loro tradizioni culturali, inclinazioni e sentimenti. Esso inoltre mira a informare i clienti sulle questioni etiche, e si propone di fornire loro i mezzi per renderli indipendenti e liberi da coercizioni esterne. Considerata la natura incerta e stocastica della consulenza genetica, e avendo ben presente le difficoltà che si incontrano nel condividere le incertezze dei pazienti, i medici genetisti sembrano aver definitivamente “virato” le loro intenzioni verso un'etica di autonomia del paziente. Tale fenomeno può essere spiegato da almeno cinque fattori:

il desiderio di dissociarsi dal discreditante movimento dell'eugenetica; il desiderio di evitare l'etichetta di “abortista”; il fatto che risultino essere ancora pochi i trattamenti disponibili per le malattie genetiche; la consapevolezza della natura fortemente privata delle decisioni riproduttive; il fatto che le decisioni genetiche possano avere conseguenze sull'intera famiglia.

È fondamentale, secondo la commissione che ha redatto il codice, la tutela e la salvaguardia delle scelta presa dai clienti che cercano consulenza: essi infatti non solo godono del diritto di sostenere le proprie valutazioni, al fine di prendere una ben definita posizione su questioni etiche che li riguardano, ma in fin dei conti tale facoltà deve anche essere esercitata, in quanto saranno i clienti stessi e i loro bambini a subirne direttamente le conseguenze. In questa ottica i consulenti genetici potrebbero trovare difficoltà ad assecondare alcune prese di posizione dei loro clienti, come nel caso della sordità ereditaria (Deafness): infatti, secondo il principio di autonomia del paziente, una coppia con tale disabilità dovrebbe essere libera di scegliere di concepire volutamente figli sordi, anche se ciò impedisse al bambino di avere una vita “normale”. Tuttavia, questa considerazione porta a pensare che i diritti dei più piccoli ad avere un futuro “aperto” a tutte le possibilità siano calpestati: la cosiddetta autonomia futura del nascituro verrebbe così meno. Ad essere precisi, in situazioni etiche particolari riguardanti i nascituri, non tutti i diritti dei bambini verrebbero violati, ma occorre fare alcune considerazioni.

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Secondo Joel Feinberg i diritti possono essere suddivisi in quattro categorie: Quelli comuni ad adulti e bambini (per esempio il diritto a non essere ucciso). Quelli generalmente posseduti solo da bambini e adolescenti (“childlike” adults); tali diritti

rafforzano l'idea di dipendenza che i più piccoli possiedono nei confronti di altri (per esempio per ciò che riguarda il sostentamento, la protezione, ect.).

Quelli che possono essere esercitati solo da adulti (per esempio il diritto a professare la religione che si desidera).

Quelli che Feinberg definisce “rights-in-trust” (diritti in fiducia): essi sono diritti che i bambini non sono in grado esercitare, e proprio per questo devono essere preservati dal momento del concepimento (anzi, prima) fino all'età adulta. Tali diritti sono fondamentali, perchè dalla loro tutela dipende il numero delle possibilità che il nascituro-futuro uomo avrà di fronte: un esempio lampante è il diritto a riprodursi. Inoltre in questa categoria sono inclusi tutti gli importanti diritti che noi crediamo di possedere da adulti, ma che senza un'opportuna tutela non sarebbe stato possibile esercitare.

Dunque, secondo l'autore, è proprio l'ultima categoria di diritti (“rights-in trust”) che può essere violata da noi adulti senza un'apparente evidenza: infatti alcune possibilità del nascituro potrebbero essergli negate, nel senso che il futuro adulto si potrebbe trovare nella condizione di non poter esercitare un particolare diritto (appunto un diritto in fiducia).Un esempio illustrato da Feinberg riguarda i Testimoni di Jehovah nel caso un bambino necessitasse di una trasfusione di sangue per avere salva la vita: i genitori potrebbero opporsi per ragioni religiose, mettendo a repentaglio l'esistenza del figlio. In questo caso, il diritto dei genitori ad agire sulle credenze religiose e sul modo in cui allevare la propria famiglia risulta essere in conflitto con il diritto a vivere dei loro piccoli. La Corte Suprema americana, in una situazione del genere, ha affermato che i genitori sono liberi di diventare essi stessi martiri, ma che non lo sono in egual maniera per ciò che riguarda il martirio dei figli.Un altro esempio, il caso delle comunità Amish (comunità americane rurali), è particolare, in quanto viene preclusa la possibilità ai bambini nati al loro interno di avere un'istruzione superiore: essi sono per forza destinati al lavoro nei campi o a quello di casalinga. Ciò nega l'inviolabile diritto di ciascuno a diventare ciò che più si adatta al proprio essere, anche se la questione Amish è ben più complessa: molti sostengono che lo Stato liberale deve tollerare queste comunità entro un certo limite, il quale però non deve giungere alla forzatura o alla coercizione di giovani che desiderano aderire ad altri movimenti culturali o vogliono andarsene del tutto.Si sostiene quindi che l'autonomia dell'individuo debba essere eticamente prioritaria rispetto a quella del gruppo, e che lo Stato debba intervenire a tutela delle scelte del singolo che vive nella comunità, specialmente nel caso dei bambini.Secondo Feinberg lo Stato deve essere neutrale nei confronti degli obbiettivi dell'educazione, nel senso che essa deve saper offrire ai bambini il futuro “più aperto” possibile, contribuendo alla libera formazione culturale e di conoscenze di ciascuno, sulla base del proprio essere e non per volere di terzi. Secondo questa scuola di pensiero, lo Stato dovrebbe, quindi, garantire a ogni bambino gli strumenti necessari affinchè esso possa compiere le proprie scelte, anche qualora si trovassero in conflitto con lo stile di vita Amish: quest'ultimo include la volontà stessa dei membri di subordinare le scelte del singolo a quelle della comunità e alla tradizione, ed è dunque in forte contrapposizione all'idea di liberalismo.Tornando al discorso della sordità ereditaria, invece, si è deciso di appellarsi al principio di “responsabilità dei genitori”, il quale regola le dispute tra chi è favorevole alla concordata nascita di figli con disabilità e chi è contrario. Secondo tale principio, un buon genitore dovrebbe essere in grado di trattenersi dal portare alla luce un neonato quando sa di non potergli offrire sufficienti chance per costruirsi una “vita decente”. L'atto di allevare bambini, infatti, comporta una specie di bilanciamento tra soddisfazione delle speranze dei genitori e maturazione di scelte e valori del bambino stesso, nel proprio interesse: il figlio non deve essere un mezzo per raggiungere i nostri

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fini, ma deve poter operare seguendo i propri desideri, debolezze, sentimenti, propensioni, per costruirsi la vita che si sente di voler condurre.L'atto voluto del concepire un figlio sordo è, quindi, un danno morale, ma la situazione è ulteriormente complicata se si considera la sordità ereditaria come un'identità culturale, e non come una disabilità. Coloro che soffrono di questa sindrome hanno infatti sviluppato molte altre abilità che le persone udenti non possiedono, e si ritengono custodi di tradizioni, valori, opere preziose: tuttavia il grado di istruzione di persone sorde è inferiore agli standard, e un dilagare della “disabilità” porterebbe a un netto ridimensionamento del benessere della società. Infatti il linguaggio dei segni americano possiede strutture grammaticali molto diverse dall'inglese, così pare più difficile scrivere e leggere. Per questi motivi, una coppia di sordi che desidera concepire un figlio con la medesima disabilità pone notevoli problemi etici a un consulente genetico.I leaders attivisti di tale movimento culturale, che sono per la maggior parte sordi provenienti da famiglie di sordi, sostengono, tuttavia, che le possibilità lavorative per chi soffre di questa sindrome sono numerose, anche se limitate.Dunque, si può affermare che concepire volutamente un figlio sordo è un danno morale, sia che si consideri tale stato come una disabilità sia che lo si consideri come una cultura: in entrambi i casi, infatti, riducendo il numero di scelte possibili e quindi l'autonomia del nascituro, vengono violati i diritti dei bambini ad avere un futuro “aperto”.Infine problemi etici di questo tipo si riscontrano anche nei casi di selezione sessuale o per la malattia di Huntington: ad ogni modo l'ideale guida di questioni etiche complesse presuppone sempre che i diritti dei bambini ad avere un futuro “aperto” non debbano essere subordinati alla volontà, alle aspettative o ai sogni di noi adulti.

OPINIONI PERSONALIIl testo analizzato è per alcuni aspetti molto complesso, in quanto tratta temi su cui si potrebbe discutere all'infinito, senza avere mai la certezza di trovare un' univoca corretta soluzione al problema. Ogni individuo ha infatti una propria coscienza e una storia che lo identifica e lo rende diverso da chiunque altro: sulla base di questi fattori ciascuno si costruisce una propria idea di autonomia personale, ed è possibile che persone cresciute in contesti differenti si trovino in forte disaccordo su questioni etiche riguardanti i figli o i diretti familiari.Quando si influenza la vita di terzi e si ha a che fare con persone cresciute in ambienti molto diversi dai nostri, io credo che occorra compiere qualche sforzo in più per prendere delle posizioni: per esempio, nel caso della “deafness”, genitori che desiderano un figlio con la loro stessa “disabilità” sono da capire, nel senso che la loro personale storia li ha plasmati in un modo differente dal nostro, ed è proprio per questo che fatichiamo per comprenderli. Ciò vale anche per i componenti delle comunità Amish. Sono d'accordo con l'autore per quanto riguarda il concetto di danno morale: il figlio sordo e i piccoli all'interno di una comunità fortemente legata alle tradizioni avranno un'esistenza sicuramente diversa dal “normale” e non potranno dirsi responsabile di ciò in quanto solo i genitori avrebbero potuto impedirlo. Il danno è innegabile se si considera che molte future possibilità dei neonati verranno meno (i cosiddetti diritti in fiducia non vengono presi in considerazione): c'è la tentazione di dire che in questi casi la volontà dei genitori tende a sopprimere i diritti stessi dei più piccoli. Tuttavia, ed è proprio questo lo sforzo che è necessario compiere, non si può imporre, a delle identità culturali diverse dalle nostre, gli ideali e gli stili di vita occidentali, a meno che non vi sia un chiarissimo segno di ingiustizia: tramandarsi tradizioni, storie, valori al fine di non omologare la propria cultura a quella di altri, non può essere visto come un danno morale. È vero che alcuni diritti dei neonati vengono negati, ma non possiamo, noi che valutiamo la questione con un occhio esterno, cancellare il “diverso”: l'unico modo in cui è possibile agire prevede, a mio avviso, un confronto continuo tra le parti in contrapposizione. I consulenti genetici devono limitarsi a fornire informazioni il più possibile libere da giudizi esterni, salvo ciò non sia richiesto espressamente: il dialogo può aiutare a comprendere le motivazioni dell'altro e incentiva la riflessione, senza mai sfociare in imposizioni che spesso provocano effetti di “tutela della personale

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diversità”. Con l'educazione, forse, anche questi ristretti gruppi di persone impareranno a non subordinare i diritti dei loro stessi figli alle tradizioni e alle proprie volontà, ma per il momento non penso sia giusto obbligarli.

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DIBATTITO E CONCLUSIONI

Dopo la lettura degli articoli su cui si basa la nostra ricerca e il confronto delle nostre opinioni personali, possiamo individuare gli argomenti che più ci hanno fatto discutere:

Differenza tra terapia genica e miglioramento genetico Differenza tra modifiche sulla linea germinale e modifiche della linea somatica Autonomia del paziente e consulenza genetica Potere decisionale dei genitori sulla salute dei figli

Per quanto riguarda la distinzione tra terapia genica e miglioramento genetico, ci siamo trovati tutti d’accordo nell’accettare eticamente la prima e nel rifiutare il secondo. La terapia genica, infatti, ha lo scopo di curare le malattie e cioè di andare a riparare un difetto in un individuo che altrimenti non potrebbe condurre una vita normale o, addirittura, non potrebbe sopravvivere. Nel miglioramento genetico, al contrario, l’individuo è sano e non si sottopone all’ingegneria genetica per avere le stesse potenzialità del resto della popolazione, ma per aumentare le proprie capacità e quindi risultare superiore agli altri. Tuttavia, abbiamo trovato difficile delineare un confine netto tra terapia genica e miglioramento genetico e questo può dipendere dal fatto che al momento le conoscenze disponibili non sono sufficienti ad analizzare pienamente il problema. Una possibile soluzione che possiamo proporre al momento è quella di cercare di classificare gli interventi di ingegneria genetica in “sicuramente accettabili” e “sicuramente non accettabili”. Per esempio, i deficit metabolici o le distrofie muscolari degenerative rientrano sicuramente nella prima classe, mentre il colore degli occhi e dei capelli, la massa muscolare, l’intelligenza rientrano nella seconda classe. É pur sempre vero che esistono casi difficilmente collocabili come, ad esempio, il potenziamento del sistema immunitario: rientrerebbe nella categoria del miglioramento genetico, ma avrebbe come fine quello di eliminare alcune malattie. Riteniamo quindi che sia necessaria ulteriore ricerca in questo campo per poter individuare questo labile confine.

Nell’ambito della differenza tra manipolazione della linea germinale e di quella somatica riteniamo che l’ingegneria genetica sulla linea germinale sia da considerarsi eticamente e biologicamente scorretta. Infatti, questa tecnica andrebbe a ridurre il pool genico della popolazione umana compromettendo la biodiversità della specie: un carattere che oggi è considerato svantaggioso un domani potrebbe rivelarsi utile per la sopravvivenza in un ambiente diverso da quello odierno. Il concetto di vantaggio/svantaggio di un carattere è fortemente legata all’ambiente nel quale questo carattere si manifesta. Per questi motivi ci siamo trovati d’accordo nell’affermare che solo l’ingegneria genetica somatica sia eticamente corretta.

Abbiamo discusso a lungo a proposito dell’autonomia del paziente e della consulenza genetica. Il consulente genetico dovrebbe cercare di fornire al paziente tutti gli elementi necessari alla sua autonomia nella decisione, in modo obiettivo e il più scientifico possibile, fornendo anche delle statistiche. In questo modo gli permetterà di essere informato a sufficienza per poter prendere una decisione coscienziosa sulla terapia da seguire. Il problema che è emerso è il fatto che il consulente potrebbe influenzare il paziente anche solo con l’esposizione del problema, marcando involontariamente la posizione che lui predilige. Perciò, riteniamo necessario che la figura del consulente genetico oltre a una formazione scientifica debba avere anche una formazione sulla maniera corretta di comunicare con il paziente. É anche vero che il paziente, trovandosi in una situazione difficile, potrebbe chiedere volontariamente un’opinione personale al consulente. In questo caso, sta alla coscienza personale del consulente decidere se esporsi in prima persona o astenersi.

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L’argomento che ci ha creato più problemi nella discussione è quello di quanto i genitori possano incidere sul rispetto dei diritti dei loro figli. Concordiamo che la selezione degli embrioni per quanto usata per scopi nobili come la nascita di persone sane, sia sbagliata in quanto è una tecnica che andrebbe ad alterare il pool genico dell’umanità. Il problema più complicato si presenta nel caso in cui un genitore abbia la possibilità di curare un figlio, ma scelga di non farlo perché, per dei principi morali, non si trova d’accordo sull’utilizzo di determinate tecnologie o cure (per esempio, la trasfusione è rifiutata dai testimoni di Geova) oppure perché l’avere la patologia in questione renda il figlio parte di una particolare comunità (esempio di genitori sordi che vogliono avere un figlio sordo). Le due opinioni prevalenti che si sono riscontrate sono quella di chi crede che non esista nessuna ragione valida per impedire a un figlio di essere sano e quella di chi invece si chiede se ci siano dei casi in cui questo sia giusto, come per esempio casi in cui la presenza della malattia non incide sull’aspettativa di vita del figlio.

Occorre comunque essere consapevoli del fatto che su questi delicati argomenti non si può ragionare in termini assoluti e che ogni singolo caso va valutato ed analizzato nel suo contesto sociale e ambientale.

Facendo il punto sulla nostra discussione, prendiamo atto del fatto che non abbiamo considerato delle obiezioni che normalmente vengono mosse all’ingegneria genetica in generale, come il fatto che questa sia considerata da alcuni “contro Natura” o “contro Dio”. Infatti, su questi punti non abbiamo avuto bisogno di confrontarci poiché, avendo tutti lo stesso background socio-culturale e una formazione scolastica comune, condividiamo opinioni simili. Comunque, all’interno dei singoli articoli alcuni di noi hanno evidenziato dei punti per criticare questa visione del problema.