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Alda Merini, grande poetessa candidata al Premio Nobel nonostante i dodici anni di manicomio alle spalle, regala nei suoi versi la chiave di lettura per cogliere la normalità nelle tante esperienze di disabilità E noi tra di voi

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Alda Merini,grande poetessa candidata al Premio Nobel

nonostante i dodici anni di manicomio alle spalle,regala nei suoi versi la chiave di lettura

per cogliere la normalitànelle tante esperienze di disabilità

E noi tra di voi

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Alda Merini,una vita tra le follie del mondo e della poesiaHa in sé tutto della poesia: arte, fuoco, sogno, pazzia. Pazzia, di quel-la vera non metaforica: 12 anni di manicomio alle spalle, 37 elet-trochoc che però non hanno potuto cancellare nulla della mentegeniale di questa donna.

Conobbi Alda Merini folle, folle, folle d’amore: era una brez-za e un uragano, una sospensione nel tempo, eppure un mi-schiarsi infinito di momenti di attesa, culmini, attimi precisi.Era un vortice di emozioni che si materializzavano tra le miemani con le sue poesie.Candidata al Nobel,una delle più importanti poetesse e soprattuttotessitrici di metafore vivente, Alda Merini ha in sé tutto dellapoesia: arte, fuoco, sogno, pazzia. Già, pazzia, di quella vera nonmetaforica, questa volta: 12 anni di manicomio alle spalle, 37elettrochoc che però non hanno potuto cancellare nulla del-la mente geniale di questa donna. Gli anni di internamento ela Commedia di Dante sembrano essere andati su due realtàparallele; i Canti dell’Inferno a braccetto con i corridoi squal-lidi, gli stessi descritti con incredibile bellezza nella raccolta“Clinica dell’abbandono”; i tasti del pianoforte, che ancora suo-na tutti i giorni, si sono in qualche modo impressi sui muri del-la “casa dei pazzi” lasciando musica e memoria…Poi a 39 anni, dopo quattro figlie Emanuela, Flavia, Barbara,Simona, la sterilizzazione forzata in manicomio.“Così a 39 an-ni finii di essere donna”- dice lei, che si definisce in una re-cente intervista “la pazza della porta a canto”.Oggi, come allora la poesia è strega e fata dei suoi giorni. Poesiaininterrotta dice lei, come quella di Paul Eluard, di quella chesi scrive tutti i giorni e quella che è migliore tanto più se scrit-ta “con le ginocchia sui sassi”.Una poesia che ella stessa definisce la sua dannazione, ma chein fondo riconosce come la sua salvezza, quella che sana ani-ma e sensi come unguento al veleno.Attualmente Alda ha 72 anni. E una casa sui navigli milane-si, zona Porta Ticinese. La sua dimora è un caos di ninnoli, fo-to, cose strane.

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Forte è il ricordo degli amici di ieri: Dino Campana, EugenioMontale, Salvatore Quasimodo, e importante è la presenza de-gli amici e ammiratori di oggi, da Lucio Dalla, a Nancy Brilly,a Celentano e soprattutto Roberto Vecchioni che a lei ha de-dicato un canzone struggente, calda viva, “Canzone per AldaMerini”, per l’appunto tratta dall’album “Sogna ragazzo sogna”.La prima strofa è una descrizione in prima persona dei gior-ni più bui:

Noi qui dentro si vive in un lungo letargoSi vive afferrandosi a qualunque sguardo,contandosi i pezzi lasciati là fuori,che sono i suoi lividi, che sono i miei fiori.

Io non scrivo più niente, mi legano i polsi,ora l’unico tempo è nel tempo che colsi:qui dentro il dolore è un ospite usuale,ma l’amore che manca è l’amore che fa male.

E una grande innamorata dell’amore e della vita Alda lo è. Inlei tutto diventa una incredibile sorpresa…si provi a leggere“Folle, folle, folle di amore per te” (Salani editore Bergamo 2002)una raccolta di poesie dedicata a giovani innamorati …è sub-lime, incredibile…Io sono folle, folleFolle di amore per te.Io gemo di tenerezzaPerché sono folle, folle,perché ti ho perduto.Stamane il mattino era sì caldoChe a me dettava questa confusione,ma io ero malata di tormentoero malata di tua perdizione.

Ma dietro a tutto rimane il dolore, una vita che non le ha vo-luto bene, ma che ella ha ammirato senza pretese: vita inquanto tale, bella in quanto esistenza.Si provi a leggere, ancora la poesia omonima tratta da “La Terrasanta”(Sheiwiller edit. Milano 1984, 1996): dite, non c’è forse

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lo sconforto, l’assurdo stupore gelato di un sopravvissuto ai Lager?“Ho conosciuto Gerico….Ho avuto anch’io la mia PalestinaLe mura del manicomioErano le mura di Gerico(…) lì dentro eravamo ebrei”

Quando anche dal fondo si risale, quando anche la poesia, dan-nazione o salvezza che sia, quando anche con gli occhi chiu-si si può ricordare il profumo dei fiori e il colore di un tramonto.Quando si può vivere anche la peggiore delle tragedie scrutandonela bellezza, solo in quanto degna di essere vissuta.L’orrore e lo stupore di un ultramondo che ignoravo, associatoallo splendore più irrisorio della vita: questi l’ammirazione el’esempio da Alda Merini, questo il suo insegnamento.E se davvero tutte le persone “così” sono folli, allora i mani-comi dovrebbero essere grandi come città.

Mara Sabia

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Alda Merini

una vita tra le follie del mondo e della poesia

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Handic ùpÈ stampato in grande sulla copertina del numero zero del nuovogiornale in edicola da settembre. Si chiama “Vincere”, non è il men-sile dei disabili, ma per i disabili e forse anche per noi.

È una parola diversa che racchiude un modo tutto nuovo diguardare le cose: una sedia a rotelle, per esempio!La stessa parola, scritta diversamente, sembra avere un altrosignificato che incita al riscatto da una schiavitù psichica ol-tre che fisica. “Handic up” è stampato in grande sulla coper-tina del numero zero del nuovo giornale, da settembre in tut-te le edicole.“Vincere” non è il mensile dei disabili ma per i disabili e for-se… anche per noi…I portatori di handicap di oggi non sonocerto differenti da quelli di ieri…Oggi come ieri, vengono emar-ginati dall’impasto di compassione e noncuranza che regaliamoloro ogni giorno, costruendo un mondo che risponde solamentealle esigenze di “noi normali” e ritagliando per loro un ango-lo di universo a parte, che corre parallelo al nostro.Il messaggio “HANDIC ÙP” dunque, dovremmo sentirlo in-dirizzato a noi perché noi possiamo essere i “nuovi normali”più attenti, più vigili…più umani!Questo, qualcuno lo ha capito e oggi opera e si pubblicizza per-ché anche gli altri possano rifletterci un po’ su! Sto parlandodei cataloghi senza barriere che hanno permesso ai disabili di“ritrovare l’estate”. Non sono né eroi né vittime, solo viaggia-tori. La loro sedia a rotelle o le loro allergie alimentari non fre-nano l’impulso innato di bagnarsi in un bel mare o vedere po-sti e conoscere gente. Le difficoltà ci sono, ma sono tutte su-perabili. Chi ha un handicap, oggi può scegliere la sua vacanzasu un semplice depliant. L’organizzazione “I viaggi del Ventaglio”ha selezionato e adeguato strutture un po’ ovunque in Italia maanche all’estero. Sta cambiando (speriamo!) l’atteggiamento delvilleggiante medio che sbuffa, annoiato dalla presenza di unportatore di handicap sulla sua spiaggia. Oggi i tour organiz-zati, si badi bene, anche per i disabili, mirano a realizzare unprogetto che implica anche momenti di fratellanza e comu-nicazione tra i villeggianti, tutti. E’ così che persone di sfere so-

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ciali differenti, con storie differenti, si incontrano e si scam-biano ringraziamenti per aver dato e ricevuto aiuto e arricchimentomorale…A Parigi, invece, nasce il primo ristorante dei sordi dove è lagente comune ad essere servita.Per la prima volta sono gli altri a doversi sforzare per farsi ca-pire dai camerieri sordi. In qualsiasi modo: con un gesto del-la mano, lanciando un oggetto inoffensivo o sbattendo i pie-di perché il personale possa percepire le vibrazioni dal pavi-mento. Il momento più bello è quando…bisogna ordinare il me-nù… accanto ad ogni piatto c’è un lessico illustrato inserito daigestori. Quando i meno pigri si sforzano di utilizzare quel lin-guaggio (invece di indicare la preferenza con un semplice ge-sto della mano) si crea un momento di comunicazione davve-ro innovativo nel semplice gesto di scegliere un menù…Nel ristorante parigino è il cuoco che non capisce i suoi aiu-tanti perché parlano troppo velocemente con i gesti e a volteè costretto a spegnere e accendere la luce per destare la loroattenzione…ma va bene così… ci si intende lo stesso!I viaggi, il lavoro, il contatto con la gente aiutano i disabili a su-perare barriere altrimenti invalicabili, per raggiungere una fe-licità che a loro viene negata a priori.Questo nuovo spirito di solidarietà si sta diffondendo: lo leg-go sui giornali, lo vedo in TV durante i notiziari o i concerti dimusica, lo noto nelle associazioni del nostro paese quando ibambini imparano a giocare anche con chi non parla bene onon sente bene o non può correre…si abbracciano, ridono, scher-zano, litigano… e un domani, forse, lavoreranno e vivranno in-sieme con la stessa naturalezza di quando erano bambini.Forse è questa la civiltà.

Anna Carla Gerardi

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Piovono muccheIl fatto che ci sia stato bisogno di un film per richiamare l’atten-zione sui disabili vuol dire che la maggior parte di noi è indifferente,finge o vuole ignorarne l’esistenza.

È il titolo di un film di Luca Vendruscolo in cui verosimile eirreale s’intersecano quasi per presentare il pensiero e la si-tuazione di un disabile.Vivono in Europa 37 milioni di esse-ri vittime di qualcosa le cui cause sono spesso indefinibili. Anoi il compito di far sì che il loro vivere sia veramente tale.Il fatto che ci sia stato bisogno di un film per riportare a gal-la una problematica vecchia quanto l’uomo, eppure sempre at-tuale, vuol dire che la maggior parte di noi è indifferente, fin-ge o vuole ignorare l’esistenza di qualcuno che osiamo defi-nire diverso.Non è forse vero che da qualche parte è stato detto che ogniuomo è diverso dall’altro? Siamo quindi tutti disabili?Assolutamente no. Tanto è vero che la natura ha dato adognuno delle potenzialità positive; questo film ne è la dimo-strazione.Parlare di sé, offrendosi integralmente all’obbiettivo di una ci-nepresa, spogliandosi di tutto ciò che gli altri hanno costrui-to intorno a sé non è un pregio che pochi hanno? A tutti questi interrogativi c’è una sola risposta: accettare tut-ti, valorizzando ogni positività.

Francesca Giordano

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Francesco, niente riguardi!Soltanto ciò lo fa sentire diverso

Ha sedici anni, tanti amici, ma uno è la sua guida… Francescoha la retinite pigmentosa, una malattia che provoca gravi dan-ni alla vista e progredisce con gli anni. Riaffiorano ancora dal-le sue parole i ricordi tristi, seppure un pò attenuati dall’averlisuperati, di un’infanzia non proprio felice… non è bello infatti,a soli sei anni, sopportare i dispetti di compagni che a scuo-la spegnevano la luce pur sapendo che lui ne aveva assolutobisogno. Queste ormai sono soltanto immagini lontane, do-lorose, ma che comunque lo hanno aiutato ad accettare pianpiano la sua condizione, vissuta alla stessa maniera dei suoi co-etanei. Oggi frequenta il liceo linguistico, usa libri a caratte-re ingrandito, suona il pianoforte imparando a memoria tut-te le canzoni, ma soprattutto può contare su amici sinceri coni quali passa la maggior parte del tempo… Adorano gli stes-si film, ascoltano la stessa musica, escono insieme, si confrontano.Naturalmente, come tutti i ragazzi amano giocare con i cellu-lari, mandarsi messaggini e lui è il più appassionato. È forseda qui che è nata la sua voglia di specializzarsi in questo cam-po. Certo non è l’unica cosa che vuole fare da grande, gli pia-cerebbe fare il traduttore simultaneo o mille altre cose, quan-do verrà il momento sceglierà! Ha un carattere dolce, a volteriservato, ma c’è una cosa che odia più di tutte, essere tratta-to con eccessivo riguardo. Soltanto ciò lo fa sentire diverso.

Francesca BochicchioFrancesca Giordano

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Alessandra Inverardi, “navigatore” a occhi chiusiA ventuno anni è diventata non vedente. Ora ha ventisei anni e gra-zie alla sua forza di volontà, al suo amore per lo sport e alla gran-de voglia di vivere ha partecipato al rally del Garda.

Se si parla di handicap viene spontaneo parlare anche diemarginazione. Un numero considerevole di ragazzi, per cau-se diverse, vivono il problema dell’ handicap e sono esclusi dal-la vita e dalla società. Molti li considerano diversi e la societàstessa non offre loro adeguate opportunità per vivere attiva-mente nel nostro mondo perché sempre più orientato versol’egoismo. Questi ragazzi non sono “non abili”, ma solo di-versamente abili perché sicuramente sono abili in campi di-versi.Ad esempio, un ragazzo colpito da paralisi negli arti in-feriori potrebbe essere benissimo un ottimo modellatore di ar-gilla, ceramica; una ragazza non vedente potrebbe benissimofare da navigatore in una gara di rally.Proprio questo è successo a Alessandra Inverardi che a ventunoanni è diventata non vedente. Ora ha ventisei anni e grazie al-la sua forza di volontà, al suo amore per lo sport e alla grandevoglia di vivere ha partecipato al rally del Garda, come navigatore,accanto al pilota Ferrari. Il suo compito era quello di leggerele indicazioni del percorso e trasmetterle al pilota, vi è riusci-ta perché il radar aveva le indicazioni scritte in braille.Alessandra, Bruno Ferrari e Gilberto Pozza infatti hanno avu-to l’idea di trascrivere il radar in braille e quindi hanno resopossibile la gara alla Inveranrdi che era parte integrante del teamcon il ruolo di navigatore. Ciò dimostra che, solo consideran-do i diversi esseri umani come noi diamo loro la possibilitàdi sentirsi parte integrante della società.Non bastano ricorrenze e occasioni speciali, bisogna avere lacultura della solidarietà e del sostegno, della priorità di tuttigli esseri umani e in particolare di quelli in difficoltà. Una so-cietà che organizza la sua esistenza senza avere queste priori-tà è una società egoista e ingiusta.

Davide Romaniello

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“navigatore” a occhi chiusiAlessandra Inverardi

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Valter, seduttore in carrozzina“Certo, non è tutto facile, è un po’ meno immediato e la carrozzi-na non aiuta.Ma non più di un brutto naso, di qualche chilo di troppo: è moltopeggio essere noiosi, non aver nulla da dire.Ve lo posso assicurare”.

Valter Nicoletti è l’unico giornalista disabile della redazione del-la testata on line “Disabili.com”. Un giorno il direttore gli chie-de di scrivere un articolo sulle sue doti di seduttore.La cosa gli fa piacere. “Vuol dire che, sotto sotto, mi considera nien-te male, pensa Valter. Subito, però, mi tormenta un dubbio: è un ca-so che io sia anche l’unico giornalista della testata in carrozzina?La cosa non fa ben sperare, ma preferisco considerare la prima ipo-tesi. Chi mi conosce lo sa: mi piacciono le donne, ma ancora più mipiace piacere. Non è facile raccontarsi. Parlare di se stessi richiedeuno sforzo maggiore, ma accetto la sfida e ci provo”.La questione si riduce a una domanda: si può essere seducentianche in carrozzina?La risposta di Valter è sì. Senza dubbio alcuno.“Certo, non è tutto facile, è un po’ meno immediato e la carrozzinanon aiuta, sottolinea con estrema sincerità. Ma non più di un brut-to naso, di qualche chilo di troppo; è molto peggio essere noiosi, nonaver nulla da dire.Ve lo posso assicurare”.Ecco come Valter racconta la sua esperienza.“Per quanto mi riguarda, avevo già imparato a non giocare tut-to sull’immediato; dovevo scontare un peso eccessivo proprio du-rante l’adolescenza, età già difficile di suo. Ero l’amico del cuo-re, al quale raccontare tutte le pene d’amore. Mi volevano tutte unsacco di bene, ma faticavo a stringere un legame che fosse qualcosapiù dell’amicizia.Poi i chili di troppo sono riuscito a perderli e mi sono ritrovato nien-te male. Questo è almeno quello che mi dicono. Ho imparato adascoltare. Cerco di curarmi, di vestire bene – lo ammetto, è mol-to più difficile da seduto – curo l’occhiale, il braccialetto, l’oro-logio…Credeteci o no, raccolgo consensi. Non mi lamento deirapporti con l’altro sesso.Non è tutto facile e in discesa: ci sono voluti anni per riconquistarela fiducia in me stesso e nelle mie potenzialità, per rendermi conto

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che frecce avevo al mio arco. Anni in cui ho vissuto un divorzio, laconseguente separazione forzata dal bene più grande, mia figlia.Una sera, ad una festa di gala a Trento, alla quale partecipavanomolte bellezze. Io sono stato colpito da una ragazza romana di ra-ra bellezza fisica: emanava luce propria, era decisamente unaspanna su tutte le altre.Parlare con lei è stato bellissimo: mi faceva volare…aveva cose in-teressanti da dire ed era un vero piacere ascoltarla. Non avevodubbi: potendo, quella sera io avrei scelto lei.Piccolo dettaglio, ai miei occhi insignificante: si muoveva utilizzandouna sedia a rotelle...In definitiva, sedurre è una qualità che uno ha: la può affinare, male basi devono essere già presenti nel suo Dna.Bello o brutto, disabile o no, non è quello che fa la differenza.Non è vero che conta solo ciò che uno ha dentro, ma non è ve-ro neanche che conta solo ciò che uno ha fuori”.

Carmen Peparuole

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Lo sport per abbattere le barriere delle diversitàDomenico Romaniello, ipovedente di 53 anni, A settembre hacorso la maratona a Grottazzolina percorrendo 42 chilometri e 200metri del tracciato in 4 ore e 32 minuti. La soddisfazione piùgrande è stata quella di dimostrare a tutti che si può vivere tran-quillamente anche con un handicap così grave.

Domenico Romaniello ha 53 anni e lavora come centralinistapresso la sede Inail di Potenza. Dallo scorso luglio è tessera-to con la Società Podistica Amatori ‘88 di Potenza. A settem-bre partecipa a Grottazzolina, centro in provincia di Ascoli Piceno,alla 21esima edizione della “Maratona del Piceno”.All’apparenzapotrebbe sembrare una storia normalissima. Ma non lo è,perché il signor Romaniello è ipovedente.La sua passione per la corsa è nata da un singolare episodioche si è verificato nel marzo del 1987. “Abito in contradaMarrucaro - racconta - e come ogni mattina ero alla fermata del-l’autobus. Aspettavo il pullman che mi avrebbe condotto in ufficioin viale Marconi. Ma quella mattina l’autobus tardata ad arriva-re. Decisi di incamminarmi. Da allora, non ho più utilizzato ilpullman per recarmi in ufficio e per gli altri miei spostamenti.Cammino sempre a piedi tanto che le passeggiate sono diventate lamia passione”.Da qualche tempo, quella che era una semplice passione è di-ventata un qualcosa di più. Il signor Romaniello, infatti, ha de-ciso di iniziare una sfida del tutto particolare.“Mi sono tesserato con la Società Podistica Amatori - continua - perfare attività a livello agonistico.A luglio ho iniziato con gli allenamenti.A settembre ho partecipato alla prima corsa. Ho corso la marato-na a Grottazzolina percorrendo 42 chilometri e 200 metri del trac-ciato in 4 ore e 32 minuti chiudendo al 357° posto. Adesso posso bendire che, quella che era una scommessa con me stesso, è stata vinta.Ma la soddisfazione più grande è stata quella di dimostrare a tut-ti che si può vivere tranquillamente anche con un handicap così gra-ve. Quando ho iniziato i primi allenamenti anche la mia famiglianon credeva che potessi arrivare a correre una maratona. E, inve-ce, si sono dovuti ricredere”.Domenico Romaniello ha accettato questo suo handicap con

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grande serenità. “Arrendersi non serve a nulla - dice ancora .Personalmente, non mi fermo dinanzi a nessuna difficoltà. Forse, so-no fin troppo spericolato ma fa parte del mio carattere”.Lo sport, dunque, per abbattere le barriere delle diversità.Domenico Romaniello ha ottenuto la vittoria più bella dellasua breve carriera sportiva. Lo ha fatto anche grazie all’aiutodi colui che lui stesso ha definito un “angelo custode”. ÈFrancesco Caruso, anche lui tesserato con la Podistica Amatoridi Potenza. “Con Francesco - conclude Domenico Romaniello- ci alleniamo sempre insieme. Per me è come un navigatore. Mi de-scrive passo per passo il percorso. Non posso rinunciare alla sua gui-da. Un compagno inseparabile”.Come tutti anche il signor Romaniello ha un sogno nel cassetto.“Non so se riuscirò mai a realizzarlo - conclude - ma mi piacerebbepartecipare alla maratona di New York”.

Roberto Viggiani

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Ilaria, poliglotta a pancia in giùLa sua menomazione non l’ha fermata nell’attività intellettuale.Sa quasi tutte le lingue del mondo. Da qualche anno traduce te-sti latini senza utilizzare il vocabolario. Ulteriori studi da lei ap-profonditi le hanno permesso di provare anche la storicità dei Vangeli.

Potrebbe sembrare il racconto uscito dall’abile mano di un no-to scrittore di fantascienza; ma è semplicemente, se così si puòdire, la poco nota realtà della trentenne Ilaria Ramelli, inve-stita da un’auto all’età di otto anni e dunque costretta a vive-re sdraiata su un letto a pancia in giù, a causa di una grave sco-liosi. In un dimesso villaggio alle porte di Piacenza si svolgela difficile vita della giovane professoressa, laureata in lettereantiche e in filosofia, che conosce più di venti lessici e ha de-cifrato testi considerati da molti intraducibili. È riuscita asuperare con modestia e sacrificio le menti più eccelse. Infattila sua menomazione non l’ha fermata nell’attività intellet-tuale; l’amore per lo studio l’accompagna fin da quand’era bam-bina e fu il padre per primo a spronarla alla lettura. Il suo pri-mo libro: “I Malavoglia” di Verga.Ha frequentato il liceo classico, dove le sarebbe piaciuto stu-diare l’ebraico e la storia della musica, nonostante fosse attrattaanche dalle scienze e avrebbe scelto volentieri il Politecnicoe frequentato ingegneria o fisica. La professoressa Ramelli scri-ve e soprattutto traduce moltissimo. Sa quasi tutte le lingue delmondo: non la impressionano affatto testi scritti in greco an-tico, ebraico, siriaco, aramaico, copto sahidico, copto bohairi-co, etiopico, paleoslavo, armeno, persiano, sanscrito, etrusco eda poco anche in accadico. In più parla con naturalezza l’in-glese, il francese, il tedesco, il russo, lo spagnolo, il portoghe-se e l’olandese; il greco lo conosce addirittura meglio dell’italiano.Ha da poco finito di tradurre “Le nozze di Filologia e Mercurio”di Marziano Capella vissuto tra il IV e V secolo, opera che JamesWillis della casa editrice tedesca Teubner aveva considerato im-possibile da tradurre.Ormai da qualche anno traduce testi latini senza utilizzare ilvocabolario. Ulteriori studi da lei approfonditi le hanno per-messo di provare anche la storicità dei Vangeli. Ella stessa di-

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ce che non si tratta di prove matematiche, ma di una catena inin-terrotta di testimonianze che si fondano sull’annuncio “diquelli che hanno visto”.Oggi la professoressa Ramelli dovrebbe insegnare storia romanaall’università di Chieti, ma a malincuore ci ha rinunciato, dalmomento che non può viaggiare e non può stare seduta più didue ore se non a costo di sofferenze atroci e imbottendosi dinaprossene che le brucia lo stomaco. Questa sua vita di sacrificinon le è mai pesata tanto. Certo, ha sognato inutilmente unafamiglia che nelle sue condizioni non potrà mai avere, ma è ri-uscita a crearsi interessi che per qualche ora ogni giorno la dis-tolgono dal pensiero della sua menomazione pur non se-guendo la televisione e non leggendo giornali.. Inoltre è con-vinta di essere affiancata e guidata dal Signore e fede e pre-ghiera le danno forza e l’aiutano a vivere. Dice la Ramelli: “néil male , né la sofferenza avranno l’ultima parola. È una spe-ranza che il Signore non può deludere”.Una filosofia di vita che la porta anche a sorridere contro co-loro che credono che i suoi studi siano inutili: “con i classicisi conversa. È un rapporto quanto mai vivo, perché sono testieterni che toccano l’anima. La Bibbia, Omero, Eschilo, Platone,parlano lingue universali tutt’altro che morte”.Altro che fantascienza! La vita della Ramelli, la sua forza di vo-lontà e la sua capacità di guardare sempre avanti sono esempiper tutti, esempi di vita vera che non devono essere ignorati.

Marialuce Coviello

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Ilaria,poliglotta a pancia in giù

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Francesco e Pina, lebbrosi e innamorati.Da cinquant’anni.Fu questa terribile malattia a farli conoscere nel lebbrosario ge-novese e a farli unire in matrimonio il 3 marzo 1962. Insieme han-no affrontato le dure prove a cui la loro condizione li sottopone-va.Vivevano tra l’ostilità ed il pregiudizio del mondo che era fuo-ri, ma , per fortuna, non tutti li temevano…

Era il tardo pomeriggio di un venerdì qualunque quando, pas-seggiando per il viale, notai un manifesto con su scritto:“Il 2003,l’anno del disabile”. Rimasi immobile a guardare e mi chiesi:“L’anno del disabile, cosa significa?” Così tra le tante cose dafare, decisi di approfondire il tema ricercando articoli, inter-viste,dossier…tutto ciò che mi avrebbe aiutato a chiarirmi leidee. Ho trovato tante storie, l’una diversa dall’altra, tutte spe-ciali nel loro genere, ma quella che più mi ha colpito è statal’esperienza di Francesco e Pina.Francesco e Pina sono sposati da 50 anni, di cui 30 trascorsisegregati nel lebbrosario di Genova. Francesco racconta di es-sersi passato più volte un ferro rovente sulle ginocchia, sui go-miti, sul tronco fino a carbonizzare le protuberanze.Il giorno del suo sedicesimo compleanno, non sopportando piùquei “maledetti” noduli che gli deturpavano il volto, scavò unabuca per ficcarci dentro il viso qualora gli avesse fatto anco-ra male. Un giorno, preso da un dolore insopportabile, si ba-gnò la faccia di alcol e vi avvicinò un fiammifero: “Nella mia stu-pidità, dice, pensavo di incendiare soltanto i noduli e salvare tuttoil resto ma…”Pina, invece, cominciò ad avvertire i primi sintomi della ma-lattia a 14 anni, quando i medici le asportarono un pezzo diorecchio per la biopsia e scoprirono che quella interminabi-le “febbricola” era “amica” della lebbra.Fu questa terribile malattia a farli conoscere nel lebbrosariogenovese e a farli unire in matrimonio il 3 marzo 1962. Insiemehanno affrontato le dure prove a cui la loro condizione lisottoponeva: umiliazioni, emarginazione.Vivevano tra l’ostilitàed il pregiudizio del mondo che era fuori, ma , per fortuna, nontutti li temevano…

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Durante l’occupazione nazista un soldato tedesco chiamava spes-so Francesco all’inferriata per regalargli una pagnotta conun po’ di margarina; sapeva bene che era malato e, quando siaccorse che non l’avrebbe più rincontrato, gli diede un baciosulla fronte.Oggi Francesco e Pina sono guariti, vivono in città e, nonostantepersistano il pregiudizio della gente ed il timore della malat-tia ormai scomparsa, si sentono…fortunati!

Vitina Claps

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La comunicazione dimenticataTutto il clamore sui cani impazziti mi ha spinto a riflettere. Nonpenso che gli animali siano cattivi per natura. Mi piace pensareche succede qualcosa di straordinario se il contatto tra un uomoed un animale dà gioia e permette di interagire in modo fruttuosoper entrambi.

Non nascondo, lo confesso, che ho provato una certa soddisfazionenel sentire che era stata compilata la “lista nera” delle razze ca-nine ritenute pericolose per l’uomo. Dopo tutto il clamore su-gli animali abbandonati o maltrattati, ecco che ora, alla ribal-ta della cronaca, ci sono i cani, tanti, troppi, che assalgono, fe-riscono anche in modo grave, passanti o amati padroni. E sì,bisogna intervenire! Non sono un’amante degli animali, per medovrebbero stare nel loro habitat naturale e quindi non nelle ca-se, in angusti giardini, a spasso a qualche metro di distanza dapadroni rilassati (loro!) che, a sguardi terrorizzati rispondono contranquillità e una certa aria di compassione : “non fa niente!”.Beh, io allora m’infurio davvero: come si fa a entrare nella te-sta di un animale, perché è pur sempre quello l’Attila o il Fifìdi turno, e/o il Fifì di turno, e sapere, con assoluta certezza, chenon attaccherà, se non riusciamo neanche a prevedere comee come e perché una persona normale possa rivelarsi im-provvisamente uno psicopatico?La presunzione dei proprietari di animali è appunto questa,e con ciò mi tirerò dietro l’ira di animalisti convinti: i cani egli altri animali non sono esseri umani e quindi hanno pulsionied una mente diversa dalla nostra che di certo ancora non co-nosciamo.Tutto questo clamore sui cani impazziti però mi haspinto a riflettere.Non penso che gli animali siano cattivi per natura ma che, vuoiper manipolazioni genetiche, vuoi per addestramenti criminalio per esperienze di maltrattamenti subiti proprio lì doveavrebbero dovuto ricevere solo affetto, siano diventati esseritemibili. Ma non voglio dimenticare che gli animali sanno es-sere anche di grande aiuto all’uomo: dai cani usati in azioni dipolizia,agli accompagnatori dei non vedenti, fino ad arrivareai cuccioloni che fanno sentire meno il peso della solitudine

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agli anziani.Non solo di cani si tratta ma anche di cavallimontati da ragazzi affetti dalla sindrome di Down o delfini chenuotano, giocano con gli autistici.Ora, io non m’intendo di ippoterapia o delfinoterapia, ma pen-so ci sia una sorta di mondo della comunicazione parallelo aquello conosciuto che mette in contatto animali ed esseri uma-ni subnormali, entrambe le categorie unite dal fatto di esse-re “diverse”, con proprie categorie concettuali, modi di espri-mersi, ma mossi, come noi “normali”, dallo stesso bisogno diamare e essere amati nonché di vivere in condizioni eccellenti.Un ragazzino autistico, cioè, secondo l’accezione del termine,affetto da “perdita del contatto con la realtà e corrispondentecostruzione di una vita interiore propria, che alla realtà vieneanteposta”, questo stesso ragazzino, dicevo, che sorride e nuo-ta con i delfini come se fosse un atto naturale quanto lo è perun ragazzino normale camminare con amici, fa riflettere. Mi vie-ne da pensare che dev’esserci qualcosa che va oltre le conoscenzefinora acquisite sull’animo umano e sul mondo naturale.Entrare in contatto, relazionarsi con un animale che di certonon può parlare, esprimersi, muoversi e comunicare come fa-rebbe un essere umano, probabilmente avviene ad un livellosuperiore che non riusciamo ancora a comprendere, a “sentire”come avviene x certi suoni che l’udito umano non riesce a per-cepire ma esistono e sono reali per alcuni animali.Troppo spesso guardiamo con pietà persone subnormali pen-sando che la natura le ha private di quegli attributi che, per lamaggior parte di noi è sinonimo di “normalità”.Ma se provassimo a pensare sottosopra e cioè considerando l’i-potesi che siamo noi ad essere “mancanti” di qualcosa?Tutto un mondo di sensazioni, modalità di sentire e vivere lavita dentro e fuori di noi che abbiamo irrimediabilmente per-so quando siamo usciti dalla “grotta” per andare a caccia e de-predare distruggere dominare, e cioè la possibilità di entrarein contatto con la Natura, con il mondo delle fiere come conquello delle piante che respirano, mangiano, comunicano, inuna parola:vivono. Forse non siamo più capaci di capire e sen-tire il mondo che pulsa intorno a noi, ma sappiamo modificarlo,sporcarlo, distruggerlo, ne abbiamo paura anche, ma poche vol-te riusciamo a rispettarlo e comprenderlo.

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Non sappiamo in fondo, ciò che succede tra un pesce, un ca-narino, un gatto ed una mano che li accarezza o sorride loro.Non sono un’esperta di terapie mediche all’avanguardia, né at-tivista di qualche movimento ambientalista né, tanto meno se-guace della New Age, ma mi piace pensare che succede qual-cosa di straordinario se il contatto tra un uomo ed un anima-le dà gioia e permette di interagire in modo fruttuoso per en-trambi. E se la spiegazione fosse più semplice di quanto im-maginiamo ma non riusciamo ancora a capire? Non saperlo, infondo, è parte del fascino che la vita su questa terra riserva.Diamo allora spazio alla pet therapy, che si giova dell’ausiliodi animali nella terapia di malattie quali la sindrome di Downo l’autismo, e chissà quali altri disturbi ancora potrebbe aiu-tare a curare. In fondo si tratta di aprirsi ad un mondo dellacomunicazione che forse abbiamo solo dimenticato.

Antonella Olita

La comunicazione dimenticata