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il Ducato Periodico dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino D avanti alla gran curti non si parra, pochi paroli e cull’occhiuzzi ‘nterra, l’uomu chi parra assai sempre la sgarra! Culla sua stessa lingua s’assutterra. (antico detto della ‘ndrangheta) Bocca chiusa e occhi bassi, questa è la regola. Chi parla tanto sbaglia sempre, perché rischia di scavarsi la fossa con la sua stessa lingua. Quale definizione sarebbe migliore per la ‘ndrangheta? La mafia più ricca e che, salvo rare eccezioni, non ama fare scal- pore, ha costruito il suo potere tappandosi la bocca. La ‘ndrangheta, infatti, è la mafia che conta meno pentiti. La voce della Calabria onesta, però, sta crescendo. Sono soprattutto le scuole ad aver assunto l’impegno di formare i giovani calabresi nel segno della legalità. Ma fuori dalle aule la mentalità mafiosa è dura a morire. A scriverlo, nero su bianco, sono i ragazzi che con questa realtà si confrontano ogni giorno. Sono gli studenti del liceo scientifico Zaleuco di Locri, del liceo artistico Pitagora di Siderno e dell’Istituto superiore Satriani di Petilia Policastro, ragazzi tra i 14 e i 18 anni. Di fronte a una traccia difficile (La mafia secondo me) hanno riflettuto e risposto con la loro esperienza e con l’ottimismo e la forza dei loro anni. Peccato, però, che qualcuno manifesti già qualche segno di rassegnazione. A lezione di legalità A lezione di legalità di Mariangela Modafferi di Mariangela Modafferi

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il DucatoP e r i o d i c o d e l l ’ I s t i t u t o p e r l a f o r m a z i o n e a l g i o r n a l i s m o d i U r b i n o

Davanti alla gran curti non si parra, pochi paroli ecull’occhiuzzi ‘nterra, l’uomu chi parra assai

sempre la sgarra! Culla sua stessa lingua s’assutterra.(antico detto della ‘ndrangheta)

Bocca chiusa e occhi bassi, questa è la regola. Chiparla tanto sbaglia sempre, perché rischia di scavarsila fossa con la sua stessa lingua. Quale definizionesarebbe migliore per la ‘ndrangheta? La mafia piùricca e che, salvo rare eccezioni, non ama fare scal-pore, ha costruito il suo potere tappandosi la bocca.La ‘ndrangheta, infatti, è la mafia che conta menopentiti. La voce della Calabria onesta, però, sta crescendo.

Sono soprattutto le scuole ad aver assunto l’impegnodi formare i giovani calabresi nel segno della legalità.Ma fuori dalle aule la mentalità mafiosa è dura amorire. A scriverlo, nero su bianco, sono i ragazziche con questa realtà si confrontano ogni giorno.Sono gli studenti del liceo scientifico Zaleuco diLocri, del liceo artistico Pitagora di Siderno edell’Istituto superiore Satriani di Petilia Policastro,ragazzi tra i 14 e i 18 anni. Di fronte a una tracciadifficile (La mafia secondo me) hanno riflettuto erisposto con la loro esperienza e con l’ottimismo e laforza dei loro anni. Peccato, però, che qualcunomanifesti già qualche segno di rassegnazione.

A lezione di legalitàA lezione di legalità

di Mariangela Modafferidi Mariangela Modafferi

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il Ducato

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Il futuro ci fa paura Crescere in una terra di mafia tra speranze e delusioni

Il riscatto contro la mentalità criminale deve partire dai banchi di scuola

Nella foto grande,un manifesto appeso in una bacheca all’interno del Liceo“Zaleuco”che ricorda la manifesta-zione del 17 ottobre 2005 In alto, alcuni alunni della IICNella foto piccola,l’ingresso del liceo

“La mafia è il contrario della le-galità”. Questa è la definizio-ne che ne dà Alessandra,studentessa della IIC del Li-ceo Scientifico Zaleuco, dadove, quel 17 ottobre, è par-

tito il corteo con il lenzuolo bianco. Un’immaginequasi elementare, ma chiara e limpida. “Il proble-ma della mafia – continua a scrivere Alessandra – èlegato al fatto che non si riesce a far rispettare le leg-gi in questo territorio”. Colpa delle forze dell’ordi-ne? Colpa dello Stato? Alessandra chiama in causaanche loro, ma non solo. “Tutti sostengono di esse-re contro la mafia, ma in realtà quanti sono davve-ro disposti a non piegarsi di fronte a un ricatto?Quanti preferiscono rimanere poveri ma onesti?Secondo me molte meno persone di quante imma-giniamo”. Un pessimismo che rattrista in una ra-gazza di 15 anni. Più facile invece capire i sogni cherisuonano nelle parole scritte da Angela: “Sonostanca di sentire parlare di mafia . Sto male e non mipiace che tutti noi siamo considerati mafiosi. Per-ché non riusciamo a far emergere il positivo che c’ènella nostra terra e in noi?”. La sua domanda rima-ne senza risposta. Per Angela è più facile lasciarla insospeso e continuare a sognare. L’unica cosa che ri-esce a consolarla, infatti, è un desiderio. “Vorrei ungiorno svegliarmi e sentir parlare di quanto è bellaquesta terra”. Alessandra, Angela e i loro compagni di classe nonhanno problemi ad ammettere che la loro è una ter-ra di mafia. Tutti cercano di trovare una spiegazio-ne e una via d’uscita, spesso sono condizionati dal-l’ingenuità e dalla difficoltà di comprendere piena-mente un fenomeno così grande. In qualche un’oc-casione, viene fuori anche la paura. L’incognita delfuturo, invece di creare aspettative, porta timore. E’il caso di Rosalinda. Parla della sua famiglia e dellasua scuola e dei principi con cui l’hanno educata:legalità, giustizia e rispetto per gli altri, ma poi scri-ve: “Finora ho avvertito poco il problema, ma guar-dando al futuro mi viene molto da pensare, ho pau-ra di dovermi scontrare con questa cultura”. Poi è il turno di Teresa. Il suo foglio è pieno di pun-ti esclamativi, le sue parole sembrano urlate anzi-ché scritte. Non è tanto importante dire cos’è la‘ndrangheta o come è nata, quanto capire se “nesiamo consapevoli! Forse la nostra mentalità è ilcuore di questa associazione”. Anche lei ha paura

“dei ragazzi che girano spavaldi per le vie del pae-se” e anche lei si pone delle domande: “Cosa po-tremmo fare?”. Ma non le lascia in sospeso. “Odiogenera odio. Ciò che resta è affermare con tutta lanostra forza il desiderio di libertà e giustizia che ab-biamo dentro”. Teresa vorrebbe lanciare un invito atanti suoi coetanei ad aprire gli occhi, ad usare la te-sta e la ragione per “cambiare la nostra storia. Per-ché non è mai troppo tardi!”. Francesco la segue aruota: “Io mi sento in dovere di cercare di rispon-dere alla mafia, ma non con i suoi metodi, ma conl’uso della ragione e facendo capire a tutti che lamafia è una realtà che non dobbiamo abbracciare”.La partita si giocherebbe quindi tra la ragione e lapaura. E la cultura, aggiunge Rocco: “Proprio tra ibanchi di scuola alcuni cominciano ad applicaremetodi violenti e arroganti tipici della mafia, chehanno appreso nelle famiglie e applicano perchéignorano altri modelli di convivenza civile. Secon-do me per sconfiggere la mafia dobbiamo allonta-narla da noi come modello culturale e dobbiamoarricchirci di valori diversi. Solo con la cultura que-sto fenomeno si può combattere”. L’importante èche se ne parli, sempre e comunque, come scriveSimona, perché “si deve fare capire ai mafiosi chesiamo contro di loro e che non siamo disposti a sot-tostare ai loro voleri”.

Non c’erano parole sufficienti a descrivere tutto l’orrore, lo sconcerto e la

rabbia. I ragazzi di Locri si sono presentati al mondo così, con un len-

zuolo bianco e una marcia silenziosa. Era il 17 ottobre 2005, un giorno

dopo l’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Fran-

cesco Fortugno.Si è trattato di un’esecuzione “eccellente”compiuta nel giorno del-

le primarie dell’Unione,all’ingresso di Palazzo Nieddu,la sede del Comune di Lo-

cri. Quella prima marcia però non deve trarre in inganno, perché i giovani della

locride non sono mai senza parole quando l’argomento di conversazione è la

‘ndrangheta.

LOCRI

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A LEZIONE DI LEGALITA’

L'impegno di Don Mario:educare alla responsabilità

Il direttore del centro salesiano di Locri

“Sono arrivate le televisioni e da un giorno all’altro è esploso il fe-nomeno dei ragazzi di Locri. Ma questo non vuol dire che pri-ma dell’omicidio Fortugno qui non avesse mai protestato nes-suno”. Don Mario Del Piano è originario di Alba, una cittadinain provincia di Cuneo, è in Calabria da 15 anni e da tre è il diret-

tore del Centro salesiano di Locri. Ha imparato a conoscere bene i giovani dellalocride lavorando sempre a stretto contatto con il vecchio vescovo della città, pa-dre Giancarlo Bregantini. A gennaio monsignor Bregantini è stato trasferito aCampobasso, ma la missione di don Mario è rimasta la stessa: indirizzare i gio-vani verso la legalità.

Negli ultimi anni l’atteggiamento dei ragazzi nei confronti della mafia sembre-rebbe molto cambiato. Cos’ha portato a questa apertura?- Quello che è cambiato non è tanto l’atteggiamento, quanto la visibilità di que-sti ragazzi. Qui a Locri si manifestava contro la criminalità anche prima, solo chenon c’erano televisioni e giornalisti a testimoniarlo. E’ importante capire che die-tro le proteste di oggi c’è un lungo lavoro. I ragazzi che oggi scendono in piazzacontro la mafia sono i figli di chi manifestava già venti o trenta anni fa. Solo cheadesso li vediamo in televisione e leggiamo le loro dichiarazioni sui giornali. L’omicidio di Francesco Fortugno ha fatto da spartiacque tra ieri e oggi.- E’ stato il fatto eclatante che ha fatto accrescere l’interesse verso questa partedella Calabria. Ma non c’è solo questo. Le generazioni di oggi sono più mature eil merito è anche delle famiglie. Prima i ragazzi non avevano l’appoggio dei geni-tori, adesso invece sono incoraggiati nella lotta alla mafia. Le priorità delle fami-glie sono molto diverse dal passato e si vede nella diversa emancipazione dei no-stri ragazzi.Questa nuova visibilità ha portato solo vantaggi?- Finalmente abbiamo guadagnato l’ascolto delle istituzioni e una maggiore con-siderazione a livello nazionale, anche se non è ancora abbastanza. Inoltre la Ca-labria intera ha potuto vedere un’immagine di sé diversa, è stato come riscattar-si dai vecchi pregiudizi. Purtroppo ci sono state occasioni in cui si è cercato distrumentalizzare le proteste anche in senso politico.Quali sono i problemi della locride oggi?- La cultura prima di tutto. Esistono ancora gradi di tossicità alti, in cui permaneuna mentalità legata agli schemi mafiosi, come l’omertà e il clientelismo. Io con-tinuo a sostenere che la soluzione sta nell’educazione dei giovani. E' anche im-portante prendere come spunto d riflessione la vita quotidiana. I ragazzi posso-no trovare una motivazione in più se si parte da esperienze concrete.Lei ha avviato a Locri una scuola diocesana di formazione per educatori. Qualè il modello che propone?- Quello che può fare la differenza nell’educazione dei giovani è il concetto di re-sponsabilizzazione, nel senso di liberazione da certi schemi e chiusure sociali. Quale dovrebbe essere secondo lei il ruolo della scuola?- La scuola deve diventare uno dei maggiori centri di alfabetizzazione all’anti-mafia. L’educazione scolastica non dovrebbe mai prescindere dall’insegnamen-to della legalità. Ma accanto alla scuola devono esserci le famiglie, le diocesi e igruppi di aggregazione, tutti insieme hanno il compito di far conoscere ai ragaz-zi la nostra realtà. Per riscattarsi da una cultura mafiosa, bisogna essere in gradodi riconoscerla”.

“Io mi sento in dovere di cercare di

rispondere alla mafia, ma non con i suoi

metodi, ma con l’uso della testa,

ragionando”Francesco, 15 anni

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SIDERNO

La struttura del liceo artistico Pitagora ha appena due anni, la vernice è

ancora buona, l'intonaco non è scrostato come nell'istituto per geome-

tri,che gli sta a fianco.Nelle aule i muri sono puliti e nei laboratori le at-

trezzature nuove di zecca. Lungo i corridoi sono distribuiti i lavori dei ragaz-

zi, quadri, mosaici e sculture che il dirigente scolastico Vincenzo Crocitti mo-

stra con orgoglio.Laureato in Fisica,Crocitti lavora in questa scuola da 22 an-

ni.“In tutto questo tempo non mi sembra sia mutato molto nella mentalità dei

miei alunni,nè in quella dei miei colleghi.Sono abbastanza pessimista e pur-

troppo finora non ho avuto la possibilità di smentirmi”.

Lo Stato non ci ascolta piùIl preside: "Noi insegnanti parliamo di legalità nelle aule, ma all'esterno i ragazzi vedono corruzione ovunque"

Gli studenti di Siderno puntano il dito contro il governo e le istituzioni

Carmela, in cima al suo foglio, hascritto in stampatello: il mafiosodei nostri tempi è un uomo per be-ne. Non è un tentativo di legittima-re la 'ndrangheta, ma di far capireche la mafia, per un meridionale, è

come una "seconda pelle", perché "la mentalitàmafiosa non è sinonimo di criminalità, è un mo-do di vivere, di concepire la vita, la società, la fa-miglia". Una mentalità che lei non giustifica, in-fatti, più avanti aggiunge: "La maggior parte deimeridionali, a mio avviso, più che espressionedella mafia criminale, è espressione d'ignoranza.La mafia criminale non si trova dentro ogni citta-dino meridionale, la mafia da perseguire, scopri-re e debellare, esiste ed è attiva ai massimi livellidella società, nella politica e nell'economia". Mala mafia, secondo Carmela, per molti diventa an-che una via d'uscita nei momenti di maggiore dif-ficoltà, un aiuto da cercare nei momenti di biso-gno, in sostituzione di uno Stato che non c'è. As-sente, burocratico, ingiusto, avido, corrotto eambiguo, è lo Stato di Carmela: "non vede, nonsente e ormai non ci parla più. Lo Stato per me èla vera mafia". Giacca e cravatta prendono il po-sto dei gilet neri e delle coppole dei picciotti diuna volta, mentre la lupara è sostituita dalla ven-tiquattrore "piena di cartacce e di loschi affari".Conclude così: "Ci vorrebbe una rivoluzione po-tremmo fare la rivoluzione del silenzio, rifiutarcitutti di far parte di questo sistema". Lo Stato, cieco e assente, ritorna come una co-stante anche nelle parole dei suoi compagni. Ile-nia, per esempio, scrive: "Il singolo commercian-te non ha mezzi concreti, validi, con i quali fron-teggiare le aggressioni e i ricatti, lo Stato ha falli-to il suo scopo". Avrebbe dovuto debellare i feno-meni mafiosi, ma non l'ha fatto. Avrebbe dovutogarantire l'incolumità di coloro che hanno il co-raggio di denunciare estorsori e criminali, manon ha fatto neanche questo. Tanto che, secondoIlenia "il cittadino che vuole parlare deve averespesso il coraggio del suicida e di chi accetta l'e-venienza dello sterminio della sua famiglia". La prima alleata del potere mafioso, sarebbequindi l'immobilità delle istituzioni e non solo ilsilenzio di chi lo subisce. La soluzione, perciò,viene da sé: "Quando lo Stato dimostrerà di ave-re la determinazione necessaria per abbattere ilfenomeno alla radice, anche il popolo comince-rà a sentirsi più sicuro e avverrà la sperata colla-borazione fra forze dell'ordine, magistratura e

cittadino". Infine c’è Benedetta, con tutta la suarassegnazione. “La lotta contro la mafia non fini-rà mai” scrive in fondo al suo foglio. La spiega-zione la dà qualche riga più in su: “Il coraggio e lavoglia dei giovani non sono superiori alla paura". Da ogni parte oggi si chiamano in causa i giovani,come strumento indispensabile per superarecerti schemi sociali e certe mentalità. Bisognapartire da loro per risanare la società malata e cri-minale. Dall'altra parte, però, a tanti ragazzi manca la vo-glia e il coraggio necessari al cambiamento, come

dimostrano anche questi testi. Ma perché a 18anni si perdono già le speranze? "Questi ragazzisono svegli e informati, hanno coscienza di quel-lo che gli succede intorno - spiega il professorCrocitti - io stesso ho delle difficoltà a parlargli dilegalità: non è facile chiedergli di essere onesti,mentre sui giornali leggono di accuse di corru-zione contro sindaci o contro il presidente dellaRegione. In questa situazione, io non me la sentodi abituarli al paradiso se fuori dalle aule trovanol'inferno, sarebbe come spiegare la forza dellagravità al contrario".

In alto e nella foto grande, quadri realizzati dagli studenti del Liceo Artistico Pitagora di Siderno

“Quale definizione possiamo oggettivamente dare alla mafia se non

che la medesima coincida sostanzialmente con la stessa società

nazionale che la combatte? La verità è che la storia della mafia

italiana non è altro che la storia della nostra stessa società”Paola, 17 anni

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A LEZIONE DI LEGALITA’

Assenza di strutture di aggregazione, inefficienza delle strut-

ture scolastiche e mancanza di biblioteche e centri culturali.

Il tutto in un territorio che soffre di problemi di degrado

ambientale, criminalità organizzata ed emarginazione sociale. Luigi

Capozza, insegnante di storia e filosofia, presentava così il progetto

di educazione alla legalità per l'anno scolastico 2006/07 del liceo

scientifico di Petilia Policastro, intitolato a Raffaele Lombardi

Satriani, lo scrittore di Briatico innamorato del folklore popolare

calabrese.

PETILIA POLICASTRO

"Conosco i boss del paese”Mafiosi che passeggiano per le strade, tra i saluti e il rispetto della gente

Gli studenti denunciano abitudini e mentalità del territorio, ma molti preferiscono mantenere l'anonimato

In alto, alcune dediche scritte dagli studenti su una colonnina davanti l’entrata del liceo.A destra, una via di Petilia Policastro

Statale 107, uscita per Cotronei e poi su,per 11 chilometri di curve e tornanti.Petilia Policastro, piccolo centro delcrotonese, 5.544 abitanti, secondo al-cuni sarebbe il deposito della droga perle 'ndrine della provincia. Un reticolo di

vie strette e vicoli ciechi, dove i palazzi stanno ap-pollaiati uno sull'altro. Salendo per via Berlinguer,dopo una curva a gomito, si sbuca in via Manche.Nei pressi di quella curva, il 2 dicembre 2007 han-no perso la vita Francesco Comberati, 29 anni e,poco distante, il fratello Luigi, di 24. Non un fioreper ricordarli. Erano figli di don Vincenzino, bossdella zona, i giornali hanno scritto che sono statiuccisi da una "pioggia di piombo". Se da via Manche si prosegue e si scende fino a cor-so Giove, si può raggiungere il liceo Satriani. "Daqueste parti sparisce una persona al mese - spiegail professore Capozza - per noi è impossibile nonparlare di mafia nelle classi, fa parte delle nostreresponsabilità". La legalità al Satriani si insegna intanti modi: dall'analisi dei giornali alle rappresen-tazioni teatrali, dai convegni-dibattito alla rico-struzione storica. "La nostra è una realtà mafiosa -continua Capozza dalla cattedra dell'aula del VA -questo è il presupposto dal quale partire, ma spes-so alcuni meccanismi risultano talmente assorbi-ti dalla quotidianità che i ragazzi non ci fanno piùcaso. Il nostro ruolo è spiegare l'origine di alcunedinamiche sociali e invitare alla riflessione per su-perarle. Negli ultimi 4 o 5 anni, la partecipazionedei ragazzi è sempre stata produttiva e consapevo-le, ma alcuni schemi sono duri a morire". Il profes-sore racconta di alunne che, più di una volta, glihanno confessato il loro desiderio di essere cor-teggiate da un mafioso "perché così tutti mi ri-spettano", era la loro giustificazione.

Di fronte alla cattedra dell'aula della VA, accanto aicappotti dei ragazzi, c'è un foglio attaccato al mu-ro che riporta la frase di benvenuto dell'Infernodantesco: "Lasciate ogni speranza, oh voi che en-trate". Ed è proprio così che dicono di essere que-sti ragazzi: senza speranza, almeno nei confini delloro paese. La voglia di giustizia di Anastasia, peresempio, si realizza lontano da Petilia: "La mafiapetilina agisce silenziosa, ma c'è ed è dappertutto!Per questo voglio andare via, vedere ed entrare incontatto con ambienti diversi, più puliti, insiemea gente che condivide i miei stessi ideali, dove pos-so costruirmi un futuro senza la presenza dellamafia!". Non nega di averne paura, ma respinge lamentalità omertosa dei suoi compaesani: "Se c'èda dire dico!". Da grande vuol diventare un giudi-ce. I suoi modelli sono Falcone e Borsellino: "il lo-ro coraggio mi dà forza". Nelle ultime righe, la suarabbia diventa impegno per il futuro. Anastasiapromette di tornare quando sarà in grado di poter"spazzare via l'alone mafioso della mia terra, per-ché tutti hanno il diritto di vivere in piena legalitàe serenità". I mafiosi di Petilia camminano per le strade delpaese, la gente li saluta e porta loro rispetto, tuttisanno dove abitano, ma rimangono al loro posto.Così scrive una compagna di classe di Anastasia,che preferisce non firmarsi. "Però se ci pensiamonon hanno tutti i torti, perché se succede qualco-sa su di loro possono sempre contare. Le istituzio-ni sono corrotte e pensano solo ai loro comodi". Lamancanza dello Stato e delle autorità è da sempreindicato come elemento che in passato ha per-messo alle organizzazioni criminali di radicarsinel Sud Italia. Leggendo queste parole, scritte dauna ragazza di 18 anni, ci si rende conto che è sto-ria anche di oggi.

In un altro foglio anonimo, una ragazza scrive: "Lamafia si insinua dove c'è malgoverno, disoccupa-zione e clientelismo. Nel nostro territorio c'è unaforte crisi di legalità, oltre ad una crisi di coscienzadei cittadini dovuta alla debolezza delle istituzio-ni". E ancora, su un altro foglio: "Conosco i mafio-si del mio paese, li saluto, perché essendo cresciu-ta qui ho imparato ad assumere certi atteggiamen-ti". Neanche lei si firma e il motivo della sua sceltadiventa chiaro nelle ultime righe: "Non mi assumola responsabilità di denunciare ciò di cui sono a co-noscenza alle autorità sarebbe fiato sprecato". Persfiducia nelle istituzioni, già a 18 anni si decide dinon assumere le proprie responsabilità e di conse-guenza di non firmare.

L’ingresso del liceo Satriani

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Il vero ostacolo è l’ignoranzaDoposcuola, attività sportive e campi estivi per salvare i minori a rischio

Il fondatore dell'associazione: "Il lavoro più difficile è con le famiglie e il territorio, scuole comprese"

E marginazione, disagio sociale e ignoranza. In un piccolo paese di

provincia e “inquinato” da sempre da fenomeni di origine mafiosa e

clientelare, queste sono le minacce più grosse alla crescita degli ado-

lescenti. A Gioiosa Jonica, da 13 anni, c’è un’associazione nata per difende-

re i minori da questi pericoli. Questa onlus, che si autofinanzia, offre uno

spazio educativo dove i ragazzi possono incontrarsi e imparare a vivere

nella legalità. Le attività dell’associazione sono rivolte ai ragazzi, alle loro

famiglie e al territorio, con l’obiettivo di sensibilizzare l’intera comunità

verso la crescita e l’educazione dei minori a rischio.

Gianmario è di Sondrio. Ha 55anni, la barba lunga e l’aria paci-fica. Da settembre la sua vita si ècome sdoppiata. Per sei mesiabita a Sondrio, insieme allamoglie, dove lavora come impie-

gato, gli altri sei li trascorre in un piccolo centrodella locride. “Faccio l’impiegato per vivere, maquello è un lavoro che per me non ha senso: faree disfare stando seduto a una scrivania. Avevobisogno di qualcosa che mi stimolasse veramen-te, anche dal punto di vista umano”. Così èdiventato ospite fisso dell’Associazione di volon-tariato Don Milani che ha sede a Gioiosa Jonica:una onlus nata nel 1996 per promuovere la cul-tura della legalità e prevenire fenomeni di emar-ginazione sociale tra i minori. “Sono convintoche ci sia la necessità generale di trovare un altromodo di vivere – continua Gianmario – abbiamocreato il mito del denaro, ma che senso ha vivereper fare soldi? Don Milani diceva che il bene piùgrande da difendere sono i deboli. Qui si realizzaproprio questo principio: l’associazione vivepensando agli altri”.“Abbiamo iniziato nel 1995 facendo doposcuolaa sette bambini in un appartamento preso inaffitto dal sacerdote del paese. C’erano solo untavolo, che c’era stato regalato dalle Poste, unadecina di sedie in legno, di quelle pieghevoli epoi avevamo coperto due strati di gommapiumacon un lenzuolo e quello era il nostro divano”.Francesco Riggitano, fondatore nel 1996 dell’as-sociazione, parla come se stesse raccontando iprimi passi di suo figlio, c’è emozione nelle sueparole e anche un filo di commozione. “I bambi-ni erano entusiasti. In quelle ore di doposcuola,anche lo studio diventava bello perché era unascusa per uscire di casa. Molti di loro abitavanonelle campagne vicine e solo di rado venivano inpaese”. Entusiasmo a parte, Francesco parlaanche di una grande fatica: quei bambini sape-vano leggere a stento, parlavano in dialetto, fre-quentavano poco la scuola e spesso eranoabbandonati a se stessi dai genitori. “Di questopasso si sarebbero trovati per strada senza saperfare nulla. La preoccupazione per il loro futuromi ha spinto a iniziare questa avventura”. C’è unmotivo in più perché Francesco ha preso a cuorela vita di questi ragazzi: “Io ho passato 9 anni inun istituto, voglio evitargli un’esperienza simile”.

GIOIOSA JONICA

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A LEZIONE DI LEGALITA’

Nella pagina a fianco, un bambinoin una delle auledell’associazione,durante le ore didoposcuolaA seguire, lavori realizzati dai ragazziche frequentano ilcentro

Oggi l’associazione ospita quotidianamente unaquarantina di ragazzi, per 5 ore al giorno dallunedì al venerdì; l’età è compresa tra 6 e i 14anni, ma il numero e l’età aumentano per le atti-vità sportive e ludiche che prescindono daldoposcuola. “Il nostro ostacolo più grosso era ed è ancora lamancanza di una cultura civile. Preferisco averea che fare con un mafioso in più piuttosto checombattere con un ignorante”. Oltre a problemidi analfabetismo, Francesco fa riferimento aitroppi pregiudizi che ancora avverte nei minori enelle loro famiglie. “Il nostro impegno è rivoltoinnanzitutto ai genitori, se loro non partecipanoalla crescita dei ragazzi, il nostro lavoro nonpotrà dirsi mai completo. Noi siamo degli educa-tori, non possiamo sostituirci alle mamme e aipapà”.Alcuni anni fa, l’associazione aveva proposto uncorso di restauro a uno dei suoi ragazzi. Luca (ilnome è di fantasia) aveva 16 anni, una sorella eun fratello più piccoli e tutti e tre frequentavanoil centro da quando erano bambini. La lorosituazione familiare era difficile: la madre soffri-va di crisi depressive e non era in grado di pren-dersi cura di loro; il padre era sempre fuori casaper lavoro e li abbandonava al centro per giorna-te intere. Terminata la scuola dell’obbligo, Lucanon avrebbe avuto la possibilità di continuare astudiare, a causa dei problemi economici dellafamiglia. Così Francesco gli aveva proposto ilcorso di restauro, “almeno avrebbe imparato unmestiere”. La sede del corso era a Messina e Lucaavrebbe dovuto vivere lì, in una casa-famiglia,per 5 giorni alla settimana, dal lunedì al venerdì.Essendo minorenne, i genitori avrebbero dovutoacconsentire ad un affidamento temporaneo,valido solo per i mesi del corso. “I documentierano già pronti, ma al momento di firmarli, il

padre è venuto in Comune accusandomi divolergli portare via il figlio e minacciandomi”. Daquel giorno Luca e i suoi fratelli non hanno piùmesso piede nel centro.Non sono solo le famiglie a fraintendere il lavorodell’associazione, spesso sono gli stessi insegna-ti di scuola a lamentarsi: “Si interessano solo chei ragazzi facciano tutti i compiti, ma al resto nonci pensano. Noi qui non abbiamo un programmada seguire, né un registro con i voti”. Imparare astare insieme e interagire con gli altri durante imomenti di aggregazione o rispettare le regoledel gioco e gli avversari nelle partite di calcetto,secondo Francesco, sono insegnamenti impor-tanti quanto la storia e la matematica, se non dipiù. Le attività sportive, per esempio, sono defi-nite nello statuto dell’associazione, comemomento educativo, di maturazione umana e diimpegno sociale. “La cosa che mi sta più a cuoreè che i miei ragazzi imparino cos’è il senso dellaresponsabilità, è fondamentale per una vita civi-le”.L’associazione oggi conta 16 soci e una quindici-na di volontari che seguono le attività con iragazzi. Le uniche entrate sono le quote sociali,stabilite dal consiglio dell’associazione, l’auto-tassazione ed eventuali donazioni. I contributipubblici alle attività del centro sono sempre statiminimie, nonostante questo ai ragzzi non vienechiesto nulla.Durante questi 13 anni, Francesco confessa diaver passato momenti difficili: “Non è facilescontrarsi sempre con gli stessi problemi”. Manon ha mai pensato di fermarsi, nonostante lafatica. “Non bisogna perdere la speranza in uncambiamento. Io ci credo fortemente. Miamoglie è incinta, il nostro bambino nascerà iprimi di settembre. E’ anche grazie a lui che sonocerto che le cose cambieranno”.

L’antimafianelle scuole

La proposta di legge

Un'ora diantima-f ia , f raquelle diitalianoe mate-

matica. La cultura mafio-sa può essere battuta an-che attraverso una rivo-luzione del sistema del-l'istruzione. Il 12 dicembre 2007 i de-putati Giuseppe Lumia eGiuseppe Giulietti, han-no presentato a Monteci-torio un disegno di legge,proponendo di introdur-re l'insegnamento dellastoria dell'antimafia nel-le ore curriculari dellescuole medie e superiori.Presente in aula, comesostenitore del progetto,testimone e vittima delsistema mafioso, c'eraGiovanni Impastato, fra-tello minore di Peppino,il giovane siciliano chedenunciava i boss del suopaese dai microfoni diuna radio e che, da queglistessi boss, è stato ucciso.Professare la legalità el'onestà all'interno delleaule scolastiche può nonessere abbastanza persuperare certe mentalità.Per questo motivo la leg-ge propone di portarel’antimafia sui libri discuola, in questo modo,anche questa parte dellastoria d'Italia, entrerà didiritto nella nostra cultu-ra nazionale. I ragazzistudieranno gli intreccitra mafia, politica e siste-ma economico, così co-me studiano la storia. Idocumenti ufficiali cheriportano i numeri degliattentati, delle vittime edelle denuncie sarannoletti e imparati come letabelline. Infine i giovanipotranno ascoltare le te-stimonianze, dirette o

scritte, di uomini e donnedel nostro Paese che han-no subito o hanno com-battuto la mafia. L'idea della legge era na-ta qualche mese primaalla trentacinquenne Ta-nia Passa. Dalla sua scri-vania di responsabiledell'informazione deidemocratici di sinistraleggeva quasi quotidia-namente di intromissio-ni della mafia nel nostrosistema di informazione:"Le nuove generazionimafiose hanno imparatoa utilizzare i mezzi di co-municazione per trarnedei benefici. I cittadinionesti non ne sono con-sapevoli, per questo cre-do sia necessario aiutarlia comprendere il siste-ma". Secondo Tania, cheè portavoce del comitatopromotore della legge, ilmiglior modo per farlo èiniziare proprio dallescuole. "Sarebbe una ri-voluzione per il nostro si-stema di istruzione: perla prima volta si inizie-rebbe a pensare alla sto-ria italiana anche comestoria dell'antimafia". Il testo della legge è statodiffuso nella rete, dove siraccolgono firme per l'a-desione al progetto. "Ab-biamo ricevuto il soste-gno da parte di scuole ditutta Italia, ma anche disingoli cittadini. L'ideapiace, il Paese è final-mente pronto ad affron-tare l'argomento". Taniae il suo comitato, mentreaspettano che inizi la dis-cussione della legge inParlamento, stanno giàpensando al passo suc-cessivo: "Dopo le scuole,il nostro obiettivo saràcoinvolgere anche le uni-versità in questa rivolu-zione culturale".