Dossier sul processo per i fatti del 13 maggio 1999 a Firenze

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Il 28 gennaio 2008 tredici imputati nel processo per i fatti verificatisi davanti al consolato americano di Firenze al termine della manifestazione del 13 maggio 1999 sono stati condannati in primo grado a sette anni di carcere per "resistenza aggravata". Questo dossier è stato preparato e diffuso in occasione del processo d'appello, previsto per il 5 novembre 2010.

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IL CONTESTO E I FATTI

7 anni per una manifestazione sembrano davvero molti. Siamo convinti che nessuno dei partecipantial corteo contro l’aggressione alla Jugoslavia, avrebbe pensato che quanto successo sotto ilConsolato Usa il 13 Maggio 1999 sarebbe costato tanto. Non era ancora sotto gli occhi di tutti cosavuole dire essere un paese in guerra, quale tipo di gestione delle contraddizioni, che questacondizione genera, si rende “necessaria” da parte dello stato.Come si evolve il concetto di sicurezza, come si “rimodula” ciò che normalmente viene definito ildiritto di manifestare, quale è la soglia che si determina tra il consentito e il non, all’interno delladefinizione di un ulteriore fronte di guerra oramai assunto da tutti come fronte interno.

Sono passati oltre 10 anni da quel Marzo del 1999 quando le forzedella Nato iniziarono i loro bombardamenti sulla Jugoslavia, in nomedella difesa del Kosovo e dei suoi abitanti. O meglio di una parte diessi, di quella parte che negli anni a seguire si renderà protagonistadell’espulsione e l’accerchiamento della popolazione non albanesepresente su quel territorio. Non può sfuggire ad oggi quanto anche imedia, soggetto non estraneo alla politica di guerra, abbiano unafunzione fondamentale nel creare le condizioni di consensoall’intervento militare, alla sua definizione di missioni di pace. Un abilepreparazione mediatica stravolge la realtà fino a farla diventare veranel pensiero comune.

Una guerra a cui, per la prima volta, partecipa a pieno titolo l’Italia,non più anello debole della catena imperialista, ma alla ricerca di un

suo protagonismo, di un trampolino di lancio che la vedrà protagonista nelle future missioni di guerraAfghanistan, Iraq, contro la cosiddetta pirateria, ecc..Ma fu anche la guerra del centro sinistra, del governo D’Alema, quel governo che avrebbe dovutorappresentare, nel pensiero di molti, una inversione di tendenza rispetto ai precedenti governiberlusconi. Niente di più illusorio e falso.

Dall’inizio dei bombardamenti in Italia si sviluppò un ampio movimento di opposizione all’intervento inJugoslavia. Le bombe su Belgrado, sulle fabbriche che gli operai continuavano a difendere come“scudi umani”, le immagini dei morti straziati, scatenavano in molti la voglia, la comprensione che eranecessario non rimanere complici di un governo, di un paese che vedeva nella guerra la soluzione omeglio questa come parte delle forme con cui salvaguardare o sviluppare i propri interessi economicie politici nel mondo.

Le forme della protesta riguardavano vari livelli. Aspetto non di poco conto quanto riguarda le formepiù o meno alte di attacco verso le sedi DS a cui molti attribuirono, giustamente, la responsabilità diaver buttato nel cesso anche l’ultimo principio a cui la cosiddetta sinistra nostrana poteva dire fino adallora di far riferimento.

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CGIL, CISL e UIL, operavano una opposizione di facciata attraverso il sostegno alla MissioneArcobaleno, l’esempio di quello che nella nuova strategia di guerra rappresenta l’intervento civile

affiancato a quello militare. Portare “conforto”alle popolazioni vittime dei bombardamenti,dirottare il sentimento del dover fare qualcosada parte di chi si vede contrario all’interventomilitare. Ma possiamo anche dire il primoesempio di quello che può essere la madredegli scandali, dello scempio vergognoso di cuisi è resa protagonista negli anni a seguire laProtezione (In)Civile di Bertolaso.

Dentro questo panorama il sindacalismo dibase colse la giusta richiesta di arrivare ad unosciopero generale che segnasse un puntofermo nella volontà di opporsi a questa guerra,di portare la propria solidarietà umana epolitica.

Il 13 Maggio 1999, oltre ogni previsione, gran parte dei lavoratori scioperarono e si riversarono neicortei che si svolsero in numerose città italiane.A Firenze oltre 3000 persone parteciparono al corteo che come le previsioni si concluse in prossimitàdel Consolato Usa. Niente di particolare evvenne in quel luogo, se non che come succedenormalmente un certo numero di partecipanti desse un occhio alle mosse degli onnipresenti sbirri.

La volontà di appendere una bandiera verso il consolato scatenò la reazione di polizia e carabinieri,che provocò numerosi feriti tra i presenti, lacrimogeni sparati ad altezza uomo, un fuggi fuggi daparte di numerosi dei presenti che niente di questo tipo si aspettavano. E’ logico che in quelmomento fu fatto il possibile per rispondere alla carica e forse questo ha consentito che altri nonfossero feriti. Certo non si può rallegrarsi di non essere riusciti ad evitare le manganellate o i colpiinferti con i manici di fucile ai manifestanti, o i colpi inferti a ragazzi caduti a terra, ma niente facevaprevedere che in quella occasione sarebbe successo quanto abbiamo visto.

Forse per il Dott. Luperi, contraddistintosi perle false molotov a Genova e le violenze allaDiaz era un banco di prova, ma in quelmomento quello che avremmo visto in seguitoa Napoli e a Genova poteva essere soloteorizzato dentro un inasprimento dellarepressione in uno stato in guerra.

Fu naturale per i manifestanti che l’immediatareazione portasse ad individuare comeobiettivo coloro che vennero ritenuti, econtinuano ad esserlo, i responsabili di quellecariche: il partito dei DS.Una grossa parte dei manifestanti partirono incorteo verso la sede DS che venne occupatadenunciando quanto accaduto.

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REPRESSIONE E CAMPAGNA MEDIATICA

Il clima di caccia alle streghe verso il movimento contro la guerra aveva già dato le prime avvisaglie.Il 1 Maggio a Torino in occasione della tradizionale manifestazione sindacale alcuni esponenti delmovimento contro la guerra che decisero di contestare l’atteggiamento confederale versol’aggressione in Jugoslavia, definita una “necessità contingente”, furono pesantemente caricati. Sequesto non bastasse polizia e carabinieri pensarono immediatamente di scatenare l’ondata repressivaverso il Centro Sociale Askatasuna. Le forze dell’ordine penetrarono al suo interno sfasciandocomputer e oggetti, mettendo a soqquadro il centro.

Nei giorni successivi ai fatti sotto il consolato si scatenò lacampagna mediatica, solertemente orchestrata dalle velinedella questura. Guerriglia, scontri preordinati e ben preparati,tentativi di assalto al consolato, infiltrati professionisti deidisordini, furono solo alcuni dei titoli che potevamo“ammirare” sulle prime pagine.A niente servì il video girato da un cineamatore chetestimoniava quanto realmente avvenuto, le cariche a freddo,i feriti e altro.La verità doveva essere occultata tanto da intimidire anche glieventuali testimoni, come nel caso del pastore della chiesaamericana che dopo una prima dichiarazione nella quale

affermava di aver visto la realtà delle cose e di essere in possesso di ulteriore materiale di prova, nonsolo dopo un primo contatto si negò più volte, ma addirittura diventò per noi irreperibile.

Questo fu solo il primo atto. Con la ripresa dell’attività delle organizzazioni combattenti il clima dicaccia alle streghe si fece ancor più pesante. In un clima di chiara ambiguità in modo tale da far“coincidere” i due contesti, mobilitazioni contro la guerra e ripresa dell’attività combattente in Italia,furono operate perquisizioni ai danni di esponenti conosciuti del movimento contro la guerra e delsindacalismo di base. Una operazione ben orchestrata per cercare di rendere ancora più torbida laricerca della verità sui fatti avvenuti sotto il consolato.Niente emerse dalle perquisizioni ma questo fu sufficiente per creare il clima ideale che caratterizzeràl’andamento del processo stesso.

Un filo rosso lega il CPA Fi Sud a Ira e Eta, maestri di guerriglia all’interno delle organizzazioni delsindacalismo di base, nuovi e vecchi militanti inseriti in un presunto comune disegno criminoso teso aricostruire le basi della guerriglia inItalia. Questo l’ulteriore passaggionella campagna mediatica successivaalle mobilitazioni. Panorama sicontraddistinse per la solerzia con cuifurono ben assemblate le veline dellaquestura.

Anche il processo doveva mantenersiall’interno di questa linea e va ritenutaparte di questa strategia la scelta disvolgere la prima udienza nell’aulabunker dove nel tempo si sono svolti iprocessi nei confronti dei/lle militantidelle Organizzazioni combattenti.Il clima in cui si andrà a svolgerel’intera fase processuale di primogrado sarà contraddistinto da un lento

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ed inesorabile inasprimento della legislazionerepressiva e della mano militare.Come abbiamo già affermato un paese in guerratende a creare un nuovo fronte di guerra ancheal suo interno nei confronti di coloro che gli sioppongono.

Se da una parte è evidente la repressionemilitare poliziesca, non deve essere perso di vistaquanto va a determinarsi sul piano dellaristrutturazione dell’apparato repressivo stesso.

Basta solo ricordare quanto delineato dalpacchetto sicurezza varato dal governo D’Alema e

dal riordino delle forze di polizia, i carabinieri come 4 arma dell’esercito, indipendente e con il doppioruolo di forza militare e di controllo del territorio all’interno delle metropoli cosi come nelle zone dioccupazione e guerra, la creazione dei corpi antisommossa, addestrati per mesi all’interno di PonteGaleria per poi essere scatenati come bestie contro i manifestanti a Napoli e a Genova.L’allargamento del 270 bis (ter, quater,quinques, …) stabilendo nuovi “confini” nella definizionedell’associazione sovversiva, sempre più elastici nel loro utilizzo verso strutture non facilmenteindividuabili nelle forme classiche di organizzazione.

Si va ad allargare,trovando la legittimitànecessaria nei fattidell’11 settembre, ciòche viene valutata“condotta terroristica”,escludendo anche l’usodella violenza, ritenendotale qualsiasiatteggiamentoriconducibile allepratiche stesse delladimensione dimovimento.Fino ad arrivare aldecreto Pisanu nel qualecon il 270 sexties si va adefinire tale lo stessoimpedimento a svolgerela propria attivitàdecisionale degli organiistituzionali.

Sempre con il governo di centro sinistra si va a dare maggiori poteri all’azione giudiziaria, potendointercettare, perquisire, pedinare senza l’autorizzazione del magistrato.Quel copia e incolla che poi servirà come base per l’arresto e la persecuzione di numerosiappartenenti al movimento di classe e rivoluzionario con le inchieste per associazione sovversiva chesi perpetueranno nel tempo.

Prendendo spunto da quanto già predisposto per gli eventi sportivi internazionali si procede ad unamaggiore integrazione delle polizie a livello europeo in particolare per quanto riguarda la prevenzionee la repressione delle iniziative del movimento in occasione dei vertici delle organizzazioni economico,politico e finanziarie internazionali.

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IL PROCESSO

E’ chiaro fin da subito quale sarà la strategia. Questo processo non è un processo per i fatti sotto ilconsolato, è il processo contro una parte del movimento fiorentino, è l’occasione per regolare il contoverso chi aveva osato negli anni creare una sorta di anomalia fiorentina, per gli anni di inchieste della

procura fiorentina, ad opera dei vari Fleury e Chelazzi,che non erano mai riuscite ad ottenere risultati. Ma perfare ciò dovevano essere prima di tutto individuati icattivi, estrapolati dal contesto delle mobilitazionicontro la guerra e inseriti nel perdurare di un lorodisegno eversivo di cui gli stessi manifestanti eranopraticamente vittime. Non più 45 gli imputati, ma 15,escludendo i delegati sindacali, i promotori, coloro chein qualche modo potevano rendere più difficilel’operazione. Dovevano rimanere i famosi esponentidei centri sociali, professionisti della guerriglia e deidisordini, humus di quel progetto rivoluzionario chenonostante la repressione, le campagne didissociazione e altro rinasce dalle ceneri nel nostropaese. Quello “stagno in cui i pesci nuotano” di cuiviene più volte fatto cenno nelle relazioni dei servizisegreti di quel periodo. E’ ben chiaro per lamagistratura fiorentina che esistono le leggi perpunirci sufficientemente, patrimonio dell’esperienzarepressiva del fascismo prima e dell’apparatolegislativo ex emergenziale del nostro paese. “Punirneuno per educarne cento” sembra il leit motiv checontraddistinguerà l’azione giudiziaria del PM Suchan,dalemiano di ferro, appartenenza da sempresbandierata con orgoglio, a cui sembra non sia andata

proprio giù la contestazione alla sede dei DS. Un processo che avrebbe voluto in tutti modicontraddistinto dal reato di associazione sovversiva, che se non è stato possibile nella forma è statoanche superiore nella sostanza. Un processo verso un movimento che a loro modo di vedererappresentava quindi nel presente e nel futuro quell’area verso cui doveva dirigersi inesorabilmentela repressione.

Dopo quasi dieci anni di udienze si arriva alla richiesta del PM Suchan: dai 4 ai 4 anni e mezzo perresistenza pluriaggravata.Una richiesta che risultava già fuori da ogni previsione, ben sapendo che lo stato non si autoprocessae che difficilmente in primo grado sarebbe stato possibile pensare ad una assoluzione od ad uneventuale riconoscimento della responsabilità delle forze di polizia e carabinieri. Una richiesta chenon solo aveva stupito i “militanti”, ma anche numerosi soggetti normalmente non certo schierati afavore della piazza.Immediata la risposta della solidarietà. Spontaneamente fin dalla prima sera centinaia di compagni/esolidali sono scesi in piazza mettendo in subbuglio le forze di polizia.Ma era solo il preludio di quella che pensiamo sia una delle sentenze più forcaiole sia nella condanna,sia nella sua stesura, che possiamo ricordare per quanto riguarda una manifestazione dicaratteristiche come quella del 13 maggio 1999.E’ alla fine di gennaio che arriva la stangata: 7 anni di condanna per tutti, senza se e senza ma.Unica nota stonata l’assoluzione di un dirigente Cobas.Avevamo già capito la situazione con la sentenza di primo grado nei confronti di un compagnocondannato con il rito abbreviato per gli stessi fatti ad una pena di quasi 3 anni, ma l’assoluzione inappello poteva in qualche modo almeno lasciare qualche speranza. La realtà è stata invece unacondanna esemplare.

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E’ interessante esaminare brevemente alcuni passi della sentenza

Emerge fin da subito una disparità evidente nella considerazione dell’attendibilità delle testimonianze.Accettate e indiscutibili quelle da parte della polizia, dagli squilli di tromba e di sirena per farsciogliere la manifestazione, totalmente assenti nel materiale video ed audio; l’arrivo di 400 autonomi(chissà dove li hanno trovati) una volta che il corteo si era sciolto quando dalle stesse riprese video sivede la totalità dei manifestanti che sostano in presidio in prossimità del consolato; la scomparsa deisindacalisti (buoni) e la presenza degli “autonomi” dei centri sociali (cattivi) quando dal materialevideo si vedono chiaramente le bandiere e gli esponenti del sindacalismo di base; il lancio di oggettiprecedente alle cariche e i tentativi di sfondamento, batterie di auto che volano e altri oggetti,quando se ci sono stato lanci di oggetti sono stati successivi alle cariche e certo non si vedono neimateriali video e fotografici e nemmeno sugli eventuali reperti“.... La potenzialità lesiva di tali oggetti e la capacità anche intrinseca anche di uccideregià di per sé colloca la scelta su un piano assai elevato sotto il profilo squisitamentecriminale con le ovvie conseguenze su quello sanzionatorio ….”.

Fondamentale è la preparazione del contesto da parte del Dott. Fama, ben evidenziato dagli estensoridella sentenza, che fa notare la totale mancanza di contatto con i manifestanti o meglio gliorganizzatori, ad eccezione dei sindacati di base, tanto da far prefigurare una premeditazione degliincidenti “.. un significativo ed univoco segnale della dolosa e predeterminataorganizzazione di attività criminose ….. In sostanza l’elemento introdotto chiarisceoramai definitivamente, la caratteristica di preordinazione che l’attacco aveva nellementi degli ideatori tra cui gli odierni imputati ...” Una contraddizione in seno alladichiarazione di Fama, in quanto proprio i sindacati erano gli organizzatori e quindi gli unici legittimatia prendere eventualmente contatto con gli sbirri.

Se non bastasse emerge il rischio di unpericolo per le buone relazioni tra Italia eUsa, in quanto il comportamento degliimputati risponde “alla volontà diimpedire che venisse portato acompimento l’atto di ufficio, insostanza la difesa del territoriostatunitense …..” ,“ …. non puòmancare di rilevarsi come , nell’ambitodi una ulteriore valutazione di gravità,quanto i fatti abbiano minacciato,quantomeno sotto un profilopotenziale, addirittura i rapportiinternazionali del nostro paese … ilrappresentante di uno stato estero sulnostro suolo collocato nel centrourbano cittadino.

E’ interessante la motivazione con le quali si attribuisce la veridicità dei riconoscimenti da parte deglisbirri che “ … individuano infatti con assoluta certezza per aver conosciuto numerosi fraquei soggetti in manifestazioni del 13 maggio quali autori della condotta tipica del reatodi resistenza mediante la creazione del corteo di sfondamento e mediante il lancio dioggetti anche di peso oggettivamente rilevante e di intrinseca pericolosità ...” “Riconoscimenti effettuati successivamente negli uffici della questura e non sul materiale video ocartaceo dei fatti, ma sulle foto segnaletiche.

Ben diverso il giudizio sulle testimonianze portate dalla difesa. “ il dato obiettivo che accomunale deposizioni dei testi a difesa e che spiega la mancata percezione di qualsiasi disordineche possa aver provocato è determinato, volgendo al termine la manifestazione, dalclima di distensione che si era creato …..era, dunque, fisiologicamente seguito dal crollodell’attenzione, anche visiva, verso quei luoghi intanto divenuti invece teatro dei

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disordini ….. In definitiva la conclusione che si trae non è quella della loro non credibilitàper aver riferito cose non vere, quanto invece di una “inattendibilità in buona fede”rispetto all’accadimento dei fatti, determinato da una condizione psicologica e da unadislocazione logistica ….”Per concludere, ciliegina sulla torta, le motivazioni con le quali è stata esclusa la concessione dellecircostanze attenuanti previste per legge, importanti nella formulazione della condanna, ma in veritàper noi totalmente estranee alla ricostruzione della realtà dei fatti successi quel 13 maggio 1999:“deve dirsi come gli imputati, pur esercitando il loro diritto di assenza, mai abbianopartecipato al procedimento, né si siano sottoposti all’esame, né abbiano ritenuto didover comunque intervenire per fornire al collegio una ragione giustificatrice e fondantedei fatti gravi loro addebitati ...”Possiamo rispondere che non avevamo e non abbiamo niente di cui giustificarsi.

Noi non pensiamo che ci sia pena che possa essere accettata, come non pensiamo che siano leiniziative di solidarietà e dibattito che potranno modificare gli esiti del processo.Ma tutto ciò ha una sua forza intrinseca. La forza di non voler sottacere davanti alla repressione, noncedere di un passo, rendere sempre più coscienti coloro che si avvicinano alla politica, quella con la Pmaiuscola, fuori dagli inciuci, i ritorni personali e i giochi di palazzo. Non trovarsi impreparati davantiagli attacchi violenti da parte dello stato e saper resistere anche nei momenti più difficili. In unperiodo dove l’inasprimento del divario tra gli interessi di classe, dove un capitale sempre più violentoall’interno della sua crisi ristruttura in termini negativi le relazioni sociali all’interno delle metropolidella periferia e del centro, così come nella fabbrica e nei luoghi di lavoro, alla reazione spessospontanea e frammentata, non può che rispondere con la repressione. L’azione preventiva, ilicenziamenti e le cariche contro i lavoratori, gli avvisi orali agli studenti e ai militanti, le sorveglianzesono il contraltare di quanto va a dispiegarsi nelle metropoli nei confronti degli immigrati e dellaillegalità proletaria. Le città si riempiono di divieti, le piazze si chiudono e le proteste le vorrebberorelegate all’interno dei circoli mediatici e istituzionali ben lontane dai centri di potere. Per noi diventaimprescindibile mettere al centro del dibattito tutto ciò, ben consci che non esiste una centralità deldibattito sulla repressione. E’ vero la repressione si combatte continuando a lottare, esprimendo lasolidarietà e non lasciando solo chi ne viene colpito. Ma questo non può essere un motivo per nonparlarne, perchè domani ognuno sappia, sia ben cosciente che la lotta per un mondo migliore passaanche attraverso le sbarre di una galera.