DOSSIER Da dove viene la tua farina? - Terra Nuova Edizioni · Terra Nuova · gennaio 2015 53 Da...

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DOSSIER M olti di noi hanno smesso di comperare il pane, altri han- no iniziato a farlo in casa con la pasta madre e alcuni acqui- stano le farine direttamente dai pro- duttori, ma pochi conoscono il luo- go cardine della filiera del grano: il mulino. Nella nostra Bioagenda 2015, dedicata alla pasta madre, ab- biamo voluto inserire un indirizza- rio di luoghi dove acquistare le farine biologiche da grani antichi, e durante il lavoro di ricerca sono venuti alla luce centinaia di piccoli mulini, spes- so a trazione idraulica. Così abbiamo pensato che fosse giusto approfondire, considerando che la trasformazione del grano è un argomento di cui si parla ancora poco e che la figura del mugnaio oggi è custode di un sapere assai com- plesso e cruciale per l’intero «edifi- cio» della civiltà del grano. Una cultura che si è tramandata per mil- lenni sembra ora confinata ai margini dell’economia… ma non è ancora detta l’ultima parola. Terra Nuova · gennaio 2015 53 Da dove viene la tua farina? La farina oggi è diventata una merce globale, che segue processi di raffinazione e conservazione pericolosi per la salute. Ma i vecchi mulini resistono. Un viaggio nell’affascinante mondo di chi macina il grano. di Dafne Chanaz Macinazione del grano presso il Mulino Piedicava, nelle Marche. Foto di Alessandro Paddeu - www.terredelpiceno.it 1 1

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DOSSIER

Molti di noi hanno smesso dicomperare il pane, altri han-no iniziato a farlo in casa

con la pasta madre e alcuni acqui-stano le farine direttamente dai pro-duttori, ma pochi conoscono il luo-go cardine della filiera del grano: ilmulino. Nella nostra Bioagenda2015, dedicata alla pasta madre, ab-biamo voluto inserire un indirizza-rio di luoghi dove acquistare le farine

biologiche da grani antichi, e duranteil lavoro di ricerca sono venuti allaluce centinaia di piccoli mulini, spes-so a trazione idraulica.

Così abbiamo pensato che fossegiusto approfondire, considerandoche la trasformazione del grano è unargomento di cui si parla ancora

poco e che la figura del mugnaio oggiè custode di un sapere assai com-plesso e cruciale per l’intero «edifi-cio» della civiltà del grano. Unacultura che si è tramandata per mil-lenni sembra ora confinata ai marginidell’economia… ma non è ancoradetta l’ultima parola.

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Da dove vienela tua farina?

La farina oggi è diventata una merce globale, che segue processi di

raffinazione e conservazione pericolosi per la salute. Ma i vecchi mulini

resistono. Un viaggio nell’affascinante mondo di chi macina il grano.

di Dafne Chanaz

Macinazione del grano presso il Mulino Piedicava, nelle Marche. Foto di Alessandro Paddeu - www.terredelpiceno.it1

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La macinazione a pietraMolino Silvestri è un mulino situato sul ruscello Topi-no, in mezzo ai boschi di Torgiano dell’Umbria. Qui miaccolgono i fratelli Silvestri, mugnai da otto generazioni.Grandi sacchi di farina biologica fresca di macina sostanonell’atrio, mentre ci avviamo a visitare la struttura. Perprima cosa mi viene mostrato il punto in cui le acquedel ruscello, grazie a una piccola diga, accelerano il lorocorso e vengono convogliate nelle pale, che si trovanosotto alla costruzione in pietra del mulino, attivando ilmovimento rotatorio di un grande perno in acciaio.Dopo la battitura, la macina a pietra raccoglie il chic-co intero e lo schiaccia tra due pietre, dove dei solchi aforma di girandola permettono di convogliare il granomacinato sempre più finemente dal centro verso l’ester-no: la farina viene progressivamente espulsa ai margi-ni della pietra dalla forza centrifuga della rotazione. Conquesto procedimento si ottiene la farina integrale. Perottenere farina bianca invece, si deve eseguire l’abbu-rattamento, ovvero la setacciatura con il buratto, un gran-dissimo setaccio che viene mosso anch’esso da trazio-ne idraulica e a cui viene impartito un movimento oscil-latorio ritmico molto simile a quello di una persona chelo scuote.

La setacciatura in questo caso riesce a rimuovere mol-te delle crusche, ma conserva le parti più morbide qua-li il germe e lo strato aleuronico, che fanno sì che an-che nella farina di tipo 0 si trovino nutrienti preziosi. Imugnai mi spiegano che la farina 00 è impossibile da ot-tenere con questo procedimento, che non darà mai unprodotto totalmente bianco poiché non elimina tutti iframmenti degli strati interni della crusca (tritello), négli oli del germe, ricco di acidi grassi.

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I fratelli Silvestri, dell’omonimo mulino in Umbria, mugnai daotto generazioni.

L’acqua del ruscello che alimenta il meccanismo del MulinoPiedicava, nelle Marche.

Pale in legno che raccolgono l’acqua per far ruotare il pernodel Mulino Piedicava. Foto di Alessandro Paddeu - www.terre-delpiceno.it

Il perno in acciaio mosso da trazione idraulica, nel ventre delMolino Ronci, in Emilia Romagna.

Il buratto che setaccia la farina presso il Mulino Sobrino, inPiemonte.

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La farina così ottenuta si conserverà meno a lungo,perché essendo molto più «viva» e carica di micronu-trienti, attirerà gli insetti. I mugnai amano molto il pro-prio lavoro, l’unico difetto che lamentano è l’eccessivocarico burocratico. «Molti mulini» ci spiega Ernesto An-gelini del Mulino Piedicava, nelle Marche, «sono situatisui ruscelli tra i boschi, in luoghi disagevoli, perciò sonocostruiti con materiali reperiti in loco come il legno. Da-gli anni ’80 affrontano gravi difficoltà burocratiche, poi-ché le Asl gli rifiutano le autorizzazioni igienico-sani-tarie».

Quasi tutti i mugnai che abbiamo intervistato la-mentano le complicazioni legislative quale principaleostacolo. «Lavoro sei giorni a settimana» raccontaRenzo Nadalutti, dell’omonimo mulino in Friuli «e ilsettimo, la domenica, lo dedico alla burocrazia: non faparte del mio lavoro eppure mi riempie la giornata, chepasso a conformarmi a delle regole spesso pilotate dal-l’industria, dove i semi autoctoni sono fuorilegge, e acompilare formulari che non servono a migliorare né laqualità né la sicurezza del prodotto».

Il mulino industriale a cilindriIl mulino a cilindri industriale si è diffuso negli anni ’60e, come ricorda Giuseppe Li Rosi di Terre Frumenta-rie, «quando quaggiù in Sicilia se ne è impiantato uno,nel giro di un anno hanno chiuso ben 35 mulini a pie-tra». Il funzionamento di questi nuovi mulini è molto

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Il Mulino Silvestri, situato tra i boschi a Torgiano dell’Umbria.7

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diverso: la prima azione che com-piono, e sulla quale si basa il loro la-voro, è quella di estrarre le cruschee il germe dal chicco. In genere, pri-ma di iniziare questo procedimento,il grano viene messo in ammollo perammorbidire la crusca e poterla ri-muovere meglio. Quando il grano sibagna molto, però, si mette in motola reazione enzimatica della germi-nazione, scatenando una cascata dieventi chimici che trasforma da su-bito gli zuccheri complessi dei car-boidrati in parti più semplici. Suc-cessivamente, il seme viene passatoattraverso un primo set di cilindriche girano in direzione inversa, li-berandolo dalla crusca e rimuoven-do il germe. Appena viene separatodal resto, il germe inizia a irrancidi-

re, ma se si utilizza un mulino a ci-lindri non è possibile evitare di ri-muoverlo, poiché essendo gommo-so e appiccicoso intaserebbe le mac-chine. A questo punto rimane solol’endosperma, la riserva di calorie eproteine del seme, il «carburante»che, privo degli antiossidanti presentinel germe e soprattutto nella crusca,si ossida velocemente.

Il prodotto risultante da questiprocessi, che comportano la sot-trazione dei nutrienti e delle vita-mine, dei grassi nobili e dei minera-li, rappresenta inevitabilmente uncibo povero, uno zucchero rapido.La cosa più grave in realtà non è tan-to l’assenza della crusca, quanto delcruschello (gli strati più interni del-la crusca) e soprattutto del germe,

che spesso viene rivenduto a caroprezzo alle case farmaceutiche.

La tecnologia che peggiora il ciboIl mulino industriale a cilindri haconsegnato al mondo per la primavolta nella storia una farina che simantiene per anni e che è biancacome la calce. Come si legge nel te-sto Dietologia clinica, «la farinabianca è un alimento privo di so-stanze vitali, il che spiega come mainon attrae i predatori, i quali peristinto sanno quali sono le sostanzeidonee alla loro sopravvivenza; nonreputandola commestibile, ne stan-no alla larga»1.

Il mulino a cilindri ha fatto dellafarina, bene primario, una merce

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L’alchimia del chiccoChi mangia farine doppio zero dove il germe e le cruschesono assenti, non riesce a recuperare i benefici della farinaintegrale neanche assumendo separatamente le parti man-canti, con farine fortificate o integratori: l’alchimia non fun-ziona. Il seme infatti è molto più della somma delle sue com-ponenti.Se macinando il chicco ne manteniamo tutte le parti, sarannoin grado di mettersi in moto nel momento in cui andiamo aimpastare e interagire per dare vita a quelle reazioni chimi-che sinergiche in grado di fornirci un prodotto completo.Se invece le separiamo, oltre a perdere dei singoli nutrienti,perderemo questo effetto sinergico. L’amido libererà glizuccheri troppo in fretta esponendoci al rischio di stressare

il meccanismo dell’insulina e, a lungo termine, aumentandoil rischio di diabete. L’olio del germe di grano, in assenzadegli antiossidanti contenuti nella crusca, si irrancidirà. Masoprattutto, ci perderemo qualcosa che gli scienziati nonsanno ancora spiegare: l’effetto protettivo dei cereali inte-grali contro molte malattie: dai problemi cardiovascolari allasindrome metabolica, dall’obesità al diabete di tipo 2 o aitumori del pancreas, legati a stati infiammatori e stress os-sidativo.Già in passato molti avevano intuito l’importanza dei cerealiintegrali, come Catherine Kousmine, il movimento macro-biotico e molti altri, ma solo di recente la scienza ha iniziatoa verificare le loro intuizioni (al seguente indirizzo trovate irisultati sorprendenti ottenuto dal dottor Jacobs Jr:www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17556700).

CIUFFOVa rimosso in fase di pulitura perchécontiene micotossine.

ENDOSPERMA (83%)CARBOIDRATI (l’amido, cheforma la riserva di energia dellapianta) e PROTEINE (glutenina,che dà l’elasticità all’impasto, egliadina, che gli dà l’estensibilità).

STRATO ALEURONICO (8%)Rispetto alla media del chicco ha 4 volte piùvitamine e 10 volte più minerali, partecipaattivamente alla germinazione liberando gliENZIMI necessari. Contiene inoltre COMPOSTIFENOLICI, PROTEINE ad alto valore biologico,VITAMINE, SALI MINERALI e FIBRE.

CRUSCHE (4%)Proteggono il chiccodall’ambiente esterno,contengono FIBRE (cellulosa),molti principi ANTIOSSIDANTI,VITAMINE B (tiamina eniacina), di cui sono una dellepiù importanti fonti alimentari,SALI MINERALI.GERME (3%)

È l’embrione della pianta, contiene LIPIDI (acidi grassiessenziali), proteine, vitamina E(tocoferolo), un potenteantiossidante, VITAMINA A e B6.Protegge le membrane cellulari.

INVOLUCRODa non confondere con le crusche,si toglie con la battitura.

cellule tubolari

cellule trasversali

ipoderma

epiderma

perisperma

spermoderma

PERICARPO

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molto duttile. Improvvisamente non c’è stato più bi-sogno che fosse macinata sul momento, vicino al luo-go dove sarebbe stata usata, ed è stato possibile tra-sportarla per lunghe distanze e conservarne grandi quan-tità. I colossi dell’industria alimentare come la Cargillhanno potuto finalmente produrre e conservare farinain quantità sufficienti a rifornire la crescente popolazionedelle metropoli, scambiarla e negoziarne il corso sul mer-cato.

I danni causati alla salute dalle farine raffinate sonorisultati di tale portata da spingere le autorità statuni-tensi a deliberare l’obbligo per tutti i mulini di «forti-ficarle» con un pizzico di vitamine B di sintesi, proprioquelle che erano state tolte: una soluzione tecnologicadubbia a un problema generato dalla tecnologia stessa.

Secondo lo scrittore americano Michael Pollan, l’in-venzione del mulino a cilindri e la raffinazione della fa-rina segnano il momento storico in cui l’evoluzione tec-nologica ha iniziato a peggiorare il cibo anziché mi-gliorarlo. Secondo Catherine Kousmine, «con il processodi macinazione convenzionale, che elimina completa-mente sia la crusca sia il germe e conserva solo l’endo-sperma, vanno perduti il 30% del chicco, l’80% della fi-bra, più del 70% delle vitamine del gruppo B, il 90%della vitamina E e quasi tutti i composti fenolici. Il 70%circa delle preziose sostanze contenute nei cereali nonvengono utilizzate e si perdono».

Va precisato tuttavia che non tutti i mulini a cilindrilavorano secondo i dettami dell’industria. Ne esistonodi piccoli e artigianali, di cui parleremo più avanti, checonservano il germe e girano più lentamente.

Accorciamo la filiera!Tra le tante notizie negative che riguardano il mondodelle farine e del grano, ci sono fortunatamente anchedelle testimonianze positive. Sono diverse infatti le ini-ziative in atto per rimettere in funzione mulini a pietrae filiere locali: vicino a Messina, ad esempio, un giova-ne ventiduenne di nome Mirko gestisce da solo l’An-tico Mulino a Pietra, a trazione idraulica. «Il grano loprendiamo dalle nostre zone e sono riuscito a metter-

mi in contatto con fornai della regione per vendere lemie farine» mi racconta. «Il vecchio proprietario del mu-lino mi ha insegnato il mestiere, che faccio da un paiod’anni. Oggi andrò al Salone del Gusto a raccontare lamia esperienza». Mentre lo intervisto, sta sbarcando alporto di Genova per recarsi a Torino, pieno di energiaed entusiasmo per il suo progetto.

Claudio Pagliaccia, dell’Azienda Fornovecchino diMontefiascone (Vt), ha una storia diversa: nasce comeagricoltore, coltiva circa 220 ettari di terreno e il muli-no è entrato nella sua vita per salvare un’azienda mi-nacciata dall’industrializzazione. «Anziché riprodurreil seme, i consorzi e le norme europee ci hanno spintoad acquistarlo, così l’agricoltore ha fino a 10.000 eurodi spese per l’acquisto, più i costi dei mezzi meccani-ci» mi spiega. «I grossisti che ti vendono il seme ti pro-pongono di anticipartelo in cambio della promessa divendergli il raccolto. Nel frattempo però il prezzo delgrano muta in base alle fluttuazioni del mercato inter-nazionale. Nel momento della mietitura in Italia, duenavi cariche di grano americano e francese attraccanonei porti di Civitavecchia e di Messina, offrendo ai gros-sisti prezzi concorrenziali per il grano d’importazione;

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I principali tipi di farinaManitoba: è una farina di grano tenero 00, generalmente•di origine canadese, che proviene da un grano più riccodi glutine. Perciò viene chiamata «farina di forza».Farina 00: rimane solo il 70% del chicco. Con la macina a•pietra è impossibile da ottenere per quanto si setacci, per-ciò esiste solo da quando è stato inventato il mulino a ci-lindri. A differenza della 0, è priva non solo delle cruschema anche del germe, rimangono solo gli amidi e il glutinedell’endosperma, zuccheri (quasi) rapidi e proteine in-fiammatorie.Farina 0: è il massimo grado di setacciatura ottenibile nelle•farine macinate a pietra e conserva circa l’80% del chicco,comprese piccole parti degli strati esterni e il germe.Farina 1: conserva circa l’85% del chicco.•

Farina 2: conserva circa il 90% del chicco.•

Farina integrale: conserva 100% del chicco.•

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Farina fresca di macina da setacciare, Mulino Piedicava. Fotodi Alessandro Paddeu - www.terredelpiceno.it

Trebbiatura del grano per il Mulino Sobrino, in Piemonte.8

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così inizia una competizione mas-sacrante e si è costretti a svendere ilgrano italiano per poterlo piazzare.Solo il 20% del grano trasformatodai mulini industriali è italiano; gliagricoltori arrivano ad avere 200euro di remissione per ettaro nono-stante i contributi europei».

Claudio è del mestiere da diversegenerazioni, appartiene alla sua ter-ra e parla con una tipica cadenza delposto. Ha visto molti colleghi ab-bandonare l’agricoltura, ma essendouna persona acuta e caparbia, ha de-ciso di intraprendere una stradanuova: «L’agricoltore può anche af-fidarsi alla natura piuttosto che agliinput industriali per ottenere il pro-dotto. Ci eravamo arresi ad usare iterreni come pascoli per le greggimettendoli a trifoglio. Poi un gior-no ho deciso di convertire la miaazienda al biologico e di gestire la fi-liera dotandomi di un mulino. Via viaho imparato anche a riprodurre ilseme. Oggi coltivo grani antichi e miproduco da solo il 90% del seme, houna clientela locale che sa apprezzarele mie farine e la mia pasta e sto ini-ziando a incoraggiare altri agricoltoridella zona a coltivare biologico,poiché io posso garantirgli un red-dito dignitoso e sicuro. Sono statoincoraggiato da un incontro che si ètenuto a Norimberga, durante ilquale ho imparato dai tedeschi a darvalore alle filiere locali e a puntaresulla qualità del prodotto».

Il ruolo del mugnaioAccorciare la filiera significa innan-zitutto riconoscere l'importanza deimugnai: sono loro che un tempofungevano da cerniera e da connes-sione tra città e campagna, tra le co-munità rurali e i fornai, da granai eda consulenti. Renzo Sobrino, chegestisce un mulino da quattro gene-razioni, mi spiega tutto questo neldettaglio: «Il mugnaio non era uncommerciante ma un contoterzista,macinava per le famiglie. Un tempotutti panificavano in casa o nei for-ni di borgata, erano le nonne che fa-cevano il pane. La gente coltivava ilgrano e ce lo portava. Il mulino ser-viva da granaio per il paese. Quan-do avevano bisogno di fare il pane,venivano a farsi macinare il grano.

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Ma avevano pochi soldi, così segnavamo su un libret-to quel che avevano macinato e a volte in cambio ci la-sciavano parte della farina. Poi c’è stata una fase di pas-saggio in cui ancora ci si faceva il grano ma non si fa-ceva più il pane. Si portava la farina macinata dal pa-nettiere e questo te la panificava. Anche in quel caso senon avevi soldi, in cambio gli lasciavi la “crescenza”, cioèla crescita del pane: con un chilo di farina si fa più di unchilo di pane, ecco la differenza la lasciavi al fornaio».

Nelle parole di Renzo riecheggia l’esperienza vissu-ta di un’epoca che molti di noi non ricordano e di cuilui è stato testimone fin da bambino. «Negli anni ’60 poiil nostro è diventato un lavoro commerciale. Ma noi re-stiamo ancora al centro di una rete molto forte di rela-zioni personali: maciniamo solo grani dei contadini lo-cali, consigliamo loro di coltivare le varietà antiche, glireperiamo il seme e convinciamo i fornai a panificarlo,com’è successo con la filiera del pane di Langa. Il no-stro è un lavoro molto complesso, ci abbiamo messo tregenerazioni per poterci permettere di acquistare ilmulino anziché stare in affitto. Le soddisfazioni peròsono davvero tante, e derivano proprio dalle relazioniumane con i contadini e con i clienti. Comperiamo soloda una trentina di aziende in cui conosciamo tutti per-sonalmente, loro hanno la nostra fiducia sulla qualità esi fidano di noi per l’aspetto economico. I loro grani spes-so li paghiamo molto più del prezzo di mercato, per-ché sappiamo quanto valgono».

Coltivare il grano per l’autoconsumo è una tenden-za in ripresa anche secondo Ernesto Angelini e MariaDonata Caldaroni, dell’omonimo mulino a San GiovanniCampano, che spiega: «La maggior parte dei coltivatori

sono giovani. Quest’anno hanno avuto una brutta an-nata, ma io gli dico di resistere. Per una famiglia di trepersone bastano 1000 m2 di terreno in rotazione, è unabella soddisfazione!». Renzo Sobrino mi racconta cheai tempi famiglie di 7 persone riuscivano a produrre gra-no a sufficienza con 3000 m2 di terra. Anche oggi però,coltivando varietà autoctone adatte alle condizioni pe-doclimatiche del luogo, spesso non c’è bisogno di far al-tro che seminare e raccogliere. Chi lavora in questo modosu piccola scala spesso non possiede un mulino proprioné attrezzature per pulire il grano da pietre, polvere emicotossine. Ecco perché ancora oggi, dal Nord al SudItalia, accade che l’interfaccia migliore per un gruppod’acquisto sia proprio il mulino2.

Attenzione alle micotossineLa prima parte del lavoro del mugnaio è la pulitura delgrano, un passaggio importante che necessita di attrez-zature diverse da quelle che si possono avere a casa. Iva-no, del Molino Silvestri, mi spiega il procedimento mo-strandomi una stanza apposita con molti macchinari.«Nel grano appena raccolto rimangono molte pietruz-ze e residui di semi diversi che non debbono entrare nel-la macina. Una volta effettuato questo lavoro si passa allaspazzolatura. Se osservi la cariosside, puoi notare che incima c’è un “ciuffo”, questo ciuffo contiene delle mi-cotossine dannose per l’alimentazione umana ed è ne-cessario rimuoverlo. Poi il grano passa nella «lavagrano»(o bagnagrano), dove gli viene conferita un’umidità cheperò non deve superare il 13% e che i bravi mugnai cer-cano di mantenere sull’11-12%. A questo punto ripo-sa 12 ore in un cassone, dove la fessura del chicco si apreleggermente. In questo modo è possibile, con una suc-cessiva ultima spazzolatura, rimuovere tutte le impuri-tà rimaste e le eventuali muffe». Nei mulini industrialia cilindri invece il chicco viene bagnato per portarlo finoal 16% di umidità: la farina che ne risulta si attesterà per-ciò attorno al 15% consentito dalla legge, talvolta su-perandolo. Questo comporta un doppio vantaggio perle industrie: il peso del prodotto finale aumenta ed è piùfacile staccare le crusche e il germe. Inoltre questi mu-lini industriali scaldano così tanto che il grano si bru-cerebbe se non fosse bagnato. Peccato che oltre il 13%di umidità la farina sia soggetta a muffe, ragione per cuiè necessario inserirvi dei conservanti e candeggiare conil diossido di cloro. I mugnai artigianali invece, sia chelavorino a pietra o a cilindri, che lavino il grano con l’ac-qua o meno, non superano mai il 13% di umidità.

Un altro accorgimento che permette di evitare le mi-cotossine è lo stoccaggio in un luogo pulito, fresco earieggiato.

Macine e macinazionePer quanto riguarda la macinazione stessa, dobbiamoimparare a distinguere il mulino a cilindri industriale,che estrae il germe in partenza e esegue oltre 30 passaggi

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9 Macine in pietra presso il Mulino Sobrino, in Piemonte.9

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(per poi talvolta reintegrare le partimeno nutrienti della crusca e ven-derti la farina come integrale), daquello artigianale, che mantiene ilgerme ed esegue un massimo di 12passaggi, producendo farine 0 o 00.

Se proprio vogliamo usare una fa-rina 00, possiamo affidarci a questimulini. Se invece ci basta una 0, lapossiamo ottenere anche da un mu-lino a pietra, non dimenticandoperò che esistono diversi tipi di pie-tre, che comportano risultati spesso

molto differenti tra loro. Non tuttele pietre sono uguali ed è sempre piùdi moda usare macine, spesso pro-dotte in Austria, che sono costitui-te da polveri di pietra agglomeratecon la resina. Questo tipo di maci-na si scalda e si consuma più facil-mente. Claudio Pagliaccia ci raccontala sua esperienza in merito: «Per anniho fatto esperienza con una pietra«agglomerata», ma mi ha dato alcu-ni problemi. Oggi si è consumata enon c’è modo diripararla, ma quan-

do funzionava i grani più duri erocostretto a passarli due volte, ri-schiando di scaldarli. Ora ho decisodi sostituire il mio primo mulino conun mulino in pietra naturale. Scalole marce: dai 216 agli 80 giri al mi-nuto, ma la pietra ha un diametro di150 cm perciò può comunque lavo-rare quantità importanti di grano, ar-rivando a circa 60 kg l’ora. Essendopiù pesante rispetto alle pietre ag-glomerate con le resine, anche ichicchi più resistenti, come il farro,

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Impurità sottratte dal grano in fase di spietratura presso il Mu-lino Silvestri a Torgiano dell’Umbria.Macina in pietra naturale al Molino Ronci in Emilia Romagna.

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cedono naturalmente alla pressionedei suoi 7 quintali e non c’è bisognodi passarli due volte».

È molto meglio fare affidamentosu un mulino che ha una pietra verae intatta. Paolo Cavanna, del Muli-no della Riviera di Dronero mi spie-ga che «le pietre agglomerate forni-scono una farina non ben “definita”,la granulometria non si riesce a re-golare come facciamo noi con la pie-tra. La nostra è una pietra di grani-to francese, se si dovesse romperetrovarne di simili sarebbe difficilis-simo».

«Una volta le pietre si prendeva-no sul posto» precisa Renzo Sobri-no. «Poi è diventato possibile im-portarle e le migliori sono risultatequelle francesi provenienti dallacava di La Ferté, nei Pirenei, che oraha chiuso. Arrivavano sotto forma diblocchi e venivano lavorate per far-ne delle macine qui in Italia. Lamaggior parte dei mulini a pietra uti-lizza queste pietre. Le pietre naturaliogni due o tre mesi però vanno «ri-battute»: quando la pietra è «stanca»per l’usura bisogna ribatterne i sol-chi e solo una mano esperta è in gra-

do di farlo. In Italia saranno una de-cina i mugnai che sanno fare questolavoro, in media hanno 80 anni, mamolti insegnano ai figli o ai colleghi».Claudio Pagliaccia è tra i fortunati adaver trovato un maestro: «Certodovrò imparare a “rabbigliare” lapietra. Il mugnaio del Molino delCantaro, vicino a Rieti, mi ha pro-messo che mi insegnerà».

Il valore dell’esperienza«Diventare mugnaio non è una cosache si possa fare dall’oggi al doma-ni, è un vero e proprio mestiere in cuil’esperienza fa tutta la differenza»prosegue Claudio. «In questi anni hoimparato a conoscere la farina. Stia-mo parlando di qualcosa di vivo, chea seconda del clima reagisce in modototalmente diverso: quando tira latramontana si ritrae e macinare d’in-verno o d’estate, con un tempo umi-do o secco è un’esperienza comple-tamente differente».

Un’altra difficoltà che presenta illavoro del mugnaio è la giusta re-golazione del quantigrano e del re-

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DOSSIER

Attenzione al pane finto-integraleUna farina macinata a pietra e setacciata conserverà le partidi nutrienti più preziose: gli strati interni della crusca e lostrato aleuronico, i grassi nobili e le vitamine del germe, chela renderanno visivamente omogenea ma bigia. Un mulinoa cilindri artigianale conserverà il germe ma non la crusca.I mulini a cilindri industriali invece vendono il germe all’in-dustria farmaceutica per la produzione di integratori ali-mentari, da spacciare a chi ha una salute indebolita dal con-sumo di farine raffinate.Oggi a volte, sotto la pressione dei consumatori salutisti, leindustrie rimettono gli strati esterni della crusca nella farinabianchissima, sotto forma di scaglie grossolane. Questa ope-razione aggiunge pochissimi nutrienti, e il prodotto così ot-tenuto si chiama farina integrale «ricostituita». Anche alforno o al supermercato noterete spesso dei pani chiari eben lievitati punteggiati da queste scaglie. Istruite il vostroanimo salutista: non è un buon affare.Il mulino a cilindri è responsabile anche di una deviazionenegativa nella selezione genetica del frumento: coltiviamosempre più spesso varietà di grano che hanno un endo-sperma enorme, pieno di amido e glutine, e una crusca du-rissima e amara. La crusca più dura è ottimale per i mulinia cilindri, perché più facile da rimuovere in un colpo solosenza lasciare tracce. Il risultato è che quando la reintegranoper motivi «estetici», sono costretti a coprire l’amaro con dei

dolcificanti. Inoltre il «finto» pane integrale è lievitato conlievito di birra anziché con lievito madre. E le crusche con-tengono acido fitico, quella sostanza che sequestra i mi-nerali. Mentre la pasta madre è in grado, grazie all’enzimafitasi, di rompere questo incantesimo e liberare i minerali,il lievito di birra questo non lo può fare. Così l’acido fiticopresente nel pane pseudo integrale, oltre a tenersi i suoi mi-nerali, potrebbe anche portarsi via i nostri. Non è raro chechi fa un ampio consumo di questo tipo di alimento si de-mineralizzi per questo motivo.

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Nonno Felice Marino intento alla rab-bigliatura della pietra presso l’omonimomulino, in Piemonte. Foto di Mauro Rosso

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Page 10: DOSSIER Da dove viene la tua farina? - Terra Nuova Edizioni · Terra Nuova · gennaio 2015 53 Da dove viene la tua farina? La farina oggi è diventata una merce globale, che segue

gologranulometro: il primo deter-mina la quantità di grano che devescendere dalla tramoggia (l’imbutoposto sopra alla macina), mentre ilsecondo regola la distanza tra ledue pietre, quella inferiore che è fer-ma e quella superiore che ruota.Un bravo mugnaio userà l’orecchioe l’esperienza: vi è una particolare ar-monia di suoni che contraddistingueuna buona macinazione. Se le pietresono troppo vicine c’è il rischio di«micronizzare» le crusche. Se pa-recchie crusche vengono macinatemolto finemente assieme al resto delchicco, non sarà più possibile ri-muoverle con la setacciatura e an-dranno a formare tante lame sottilinell’impasto che ne compromette-ranno la tenuta spezzando la delicatamaglia glutinica. È quindi bene chele crusche più esterne rimangano didimensioni tali da poter essere se-tacciate, mentre quelle più interne epiù morbide (il tritello) possonorestare, arricchendo la farina «bigia».

E i mulini domestici?Se ancora non avete trovato il mu-gnaio della vostra vita, potete co-munque optare per un mulino do-mestico. In questo caso è moltoimportante fare attenzione alle di-mensioni della pietra. Infatti se il mu-lino è troppo piccolo (sotto ai 50 cmdi diametro), tende a scaldarsi di più.Alcuni sostengono che la farinadebba ossidarsi per raggiungere unaqualità ottimale nella lavorazionedell’impasto, per questo tradizio-nalmente si facevano passare circadieci giorni dalla macinazione primadi usare le farine per panificare.L’ossidazione presenta indubbi van-taggi tecnici, ma naturalmente ci faperdere una piccola parte di micro-nutrienti. Questa è una scelta per-sonale: il mulino domestico ci forniràuna farina sempre fresca di macinae con i massimi livelli nutritivi.

Io, per me, ho scelto: «nella pros-sima vita non voglio fare più di ot-tanta pensieri al minuto. Voglio se-guire il flusso e voglio essere capa-ce di regolare ogni sfumatura del miocarattere per andare incontro alle esi-genze dei miei familiari e amici. Vo-glio un compagno che mi sappia rab-bigliare: egli donerà al mio cuore unbattito dolce e impietoso, al mio sto-maco la resistenza per lavorare, e ri-conoscerà la mia importanza. Nel-la prossima vita, voglio essere unmulino ad acqua». Pensiero libera-

mente ispirato a una conversazionecon il mugnaio Paolo Cavanna: «Il“cuore” della pietra è la parte cen-trale che separa il chicco, lo “sto-maco” lo lavora, mentre “l’impor-tanza” è la parte esterna della pietrache rifinisce la farina». l

Note

Dietologia Clinica, alimenti e malattia,1.Medi Edizioni, 1999

L’Associazione Italiana Amici dei Mulini2.Storici (www.aiams.eu), nata nel 2011, haraccolto la storia di 124 mulini in tuttaItalia.

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Quantigrano artigianale presso il mu-lino Piedicava di Ernesto Angelini, nelleMarche. Foto di Alessandro Paddeu -www.terredelpiceno.it

Il grano scende nella tramoggia versoil centro delle macine, presso Molino Sil-vestri, in Umbria.

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